VDG AriOne Marzo 2012

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EMMA Tel. 0571/419776 Fax 0571/401238 info@emmasrl.it, www.blugirl.it


viaggi del gusto

editoriale

di Domenico Marasco

domenico.marasco@vdgmagazine.it

Agroalimentare: il rilancio del Paese passa da qui. Ma bisogna riorganizzare la promozione e fermare gli sprechi Siamo tutti d’accordo: il comparto agroalimentare è uno straordinario asset economico per il nostro Paese. Con una peculiarità rispetto a tutti gli altri settori che producono ricchezza: ovvero, non è delocalizzabile. Nel senso che il food & wine italiano potrà anche essere prodotto altrove, trasferendo le materie prime, i semilavorati o lo stesso know-how, ma nessuno potrà mai spostare fisicamente, in un altro territorio, gli ulivi centenari della Puglia, le vigne della Franciacorta o i pomodori di Pachino, per ottenere lo stesso risultato. Per intenderci: nessuno potrà mai delocalizzare quello che, in enologia, viene chiamato terroir, l’insieme cioè delle peculiarità territoriali (condizioni naturali e fisiche, zona geografica, clima) che contribuiscono a rendere “unico”, “tipico” e immediatamente identificabile, il vino italiano. Ciò che bisogna fare adesso, dunque, è valorizzare il più possibile questo inestimabile patrimonio enogastronomico, nell’obiettivo ultimo di generare fatturati sempre più importanti. Diciamo questo, perché convinti che l’agroalimentare possa rappresentare la ciambella di salvataggio del sistema-paese, il volano economico che può farci ripartire dalla crisi. Basta guardare i dati 2011, del resto, per rendersi conto del volume di affari che il cibo italiano – nonostante la congiuntura – produce nel mondo, e del suo ruolo di moltiplicatore (esponenziale) di investimenti. Per far sì che ciò avvenga però, al primo punto della nostra agenda di governo, bisogna mettere la consapevolezza/conoscenza di questo driver economico. Sembra banale, ma non lo è. L’ultimo governo “politico”, negli ultimi tre anni, è riuscito a nominare tre diversi ministri dell’agricoltura, a dimostrazione dell’importanza (!) che evidentemente si attribuiva alla programmazione in questo comparto. Al secondo punto – ça va sans dire – ci dev’essere la pianificazione di una strategia di valorizzazione adeguata e razionale. La promozione agroalimentare in Italia, troppo spesso, è stata declinata infatti ad un mero sistema di clientelismo politico e di distribuzione di prebende per i soliti amici e compari. Ergo, è tempo di ottimizzare le risorse, tagliare il superfluo ed istituire una cabina di regina unica! Mutuando, ad esem-

pio, il modello francese di un’agenzia centrale per la promozione come Sopexa, oggi in mano ai privati di Credit Agricole, ma per anni agenzia pubblica per la promozione del “prodotto Francia”. L’affidamento ad un unico soggetto finalizzato alla promozione del Made in Italy agroalimentare, dovrà, giocoforza, far sparire tutti gli altri enti, compresi quelli regionali e provinciali. Di soggetti esistenti infatti, ne abbiamo fin troppi: Enit, Ice, Buonitalia, istituti di ricerca, associazioni, fondazioni, e qui mi fermo, ma solo per pudore. Un sottobosco istituzionale dove trovano casa, e ingrassano le proprie tasche, furbi, furbetti e furbacchioni, a tutto discapito di operatori seri come i giornali di turismo che da anni promuovono “a costo zero” il nostro paese ma che poi, dimenticati dallo Stato al momento di distribuire le risorse, finiscono per chiudere, come è già successo a tanti. Gli italiani – è proprio il caso – dovrebbero sapere quante sono state, finora, le sovvenzioni erogate ai giornali “di parrocchia”, mentre si negavano invece aiuti a quelli seri, solo perché questi non avevano i giusti addentellati con la politica. Basta dunque con i soldi pubblici per l’agroalimentare sprecati per inutili e dispendiosi enti-carrozzone, per editoria patinata e senza contenuti, o peggio ancora, per spese farlocche, sagre da strapaese e gite di famiglia all’estero travestite da missioni! Lanciamo un appello al governo dei tecnici affinché venga convocata una tavola rotonda sul tema della promozione agroalimentare e si proceda ad una spending review nel settore. In proposito, crediamo ci sia da fare una grande opera di ottimizzazione della spesa, con conseguente risparmio di svariate decine di milioni di euro per le casse dello Stato. Ultimo, e fondamentale punto, è la distribuzione. In Italia abbiamo commesso un errore fatale, lasciandola in mano a francesi e tedeschi. Riteniamo sia arrivato dunque, il momento di sostenere gli imprenditori che vogliono seriamente impegnarsi ad internazionalizzare i nostri prodotti. Solo così il nostro driver dell’agroalimentare avrà le risposte che merita.

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sommario sommario marzo 2012

68 I vini di Reggio Calabria

34 Storie dall’Italia che merita 54 Personaggi 12 Dall’Italia e dal mondo 16 Occhio ai consumi

18 Fatti e contraffatti Olio, come difendersi

dalle frodi

22 Appuntamenti

48 Cover story Il cibo e il vino rappresentano, nonostante la crisi, la faccia vincente dell’Italia. Quella su cui bisognerebbe puntare per far ripartire il Paese

panorama

cibo&territorio

34 Le scuole alberghiere

62 Lungo la Riviera degli Olivi

L’Italia che merita di Marzo è quella degli istituti che hanno cresciuto generazioni di chef e dove crescono i talenti di domani

38 Val di Sangro, terra di cuochi Lo chef Caracino ci racconta di una stirpe di cuochi e camerieri abruzzesi che hanno lavorato per re, imperatori e persino per Hitler

40 A 25 anni dal caso metanolo

L’indagine: lo scandalo che segnò il momento più buio per il vino italiano. Da lì è partita la rinascita. Solo un caso?

Personaggi

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Donato Lanati A lezione dall’enologo-scienziato Armando De Zan Mr. 50 milioni di bottiglie vendute

54

58 Olio 6

Alla scoperta della sponda veneta del Garda e del suo extravergine Dop

68 I vini di Reggio Calabria La provincia enoica, i suoi vitigni, le sue tradizioni

70 La scoperta, l’asparago di Canino 72 Girogustando, i dolci pasquali 74 Il ristorante, Black Diamond (Milano) 76 Il buono a tavola, Sardegna 80 Scienza e vita, il miele 84 Almanacco 86 Orto, il radicchio 88 Chef italiani nel mondo



sommario sommario marzo 2012

100 L’Italia in mostra

96 Argentario

92 Emozioni di viaggio

132 Le selezioni

inviaggio

piaceri

92 Emozioni di viaggio: Pantelleria

116 Le mani raccontano

L’isola in cui nessuno è straniero. Qui anche Carole Bouquet ha trovato una casa. E un vino

96 L’Argentario L’arcipelago che vuol rinascere dopo il dramma del naufragio della nave Costa Concordia

100 L’Italia in mostra: Trieste L’eleganza abbagliante della città friulana impreziosita dal “fuoco della natura”

Cecchi de’Rossi e le sue borse di lusso, macchie di vino che diventano piaceri

118 Vini naturali 120 Benessere 122 Libri “La rivoluzione della lattuga” 124 Arte 126 #Cibo in rete

104 Camera con vista

128 Trendy

106 Week-end nel verde

130 Shopping

108 Città in 24 ore, Taranto 110 Città in 24 ore, Bruxelles 112 L’arte dell’accoglienza 8

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Oriana Bassetti Stylist manager

abito Alessandro Couture

...”hanno cercato di imitare la luce e la purezza dei cristalli ma mai nessuno è riuscito ad imitare l’amore che noi mettiamo nelle nostre creazioni”


contributors marzo 2012

Direttore Responsabile Domenico Marasco

GINO CELLETTI

ISA GRASSANO

RICCARDO LAGORIO

Umbro, ex manager farmaceutico, definito il “Talebano dell’olio”, è anche Capo Panel del Consiglio Oleicolo Internazionale. Nel suo libro “Monocultivar Olive Oil, l’olio perfetto” ha svelato le verità mai dette sull’olio. E ha perso qualche amico. Se volete sapere il perchè cliccate su www. monocultivaroliveoil.com pag. 58

Lucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi ed al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”. pag. 110

È nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il bloc-notes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. Tutte provate nei luoghi d’origine: la sua corporatura ne è testimone. pag. 48

Coordinamento editoriale Francesco Condoluci Tel. 0289053250 Editing Gilda Ciaruffoli Grafica e impaginazione Daniel Addai Carlo Fontana Foto Editor Giuseppe Magaretti Foto: giglioLab Stampa: PuntoWeb Srl 00040 Ariccia (Roma) Distribuzione Italia Messaggerie Periodici ME.PE. S.p.A. Via G. Carcano 32 20141 Milano tel. 02895921 fax 0289504932 Editore: Morgan Edizioni Srl Via Hoepli 3 20121 Milano

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collaboratori&ambasciatori Abruzzo Michele Caracino, Gaetano Castaldi

MICHELE CARACINO

GIUSEPPE PULINA

ROBERTO RABACHINO

Ha lasciato il suo Abruzzo da giovane per andare a Milano a cucinare nei circoli esclusivi dell’aristocrazia. Nella sua lunga carriera di chef, è arrivato persino a far da mangiare a papa Wojtyla. Di palati “che contano” ne ha deliziati parecchi insomma, tanto che, sui loro peccati di gola, potrebbe scriverci un libro. Lui però, preferisce godersi la pensione cucinando per gli amici. Ah, se lo incontrate fategli gli auguri, perché presto sarà nonno. pag. 38

Sassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti. pag. 80

Piemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, con il suo “Vocabolario del vino” ha vinto il Concorso Internazionale Libri da Gustare. pag. 50

Calabria Ottavio Cavalcanti, Salvatore Chiarella, Antonio Romeo Raffaele Romeo

Alessandro Mei, Giovanni Merone, Francesca Oliverio, Laura Ruggieri Liguria Alessandro Baffigi, Barbara Bacigalupo

Emilia-Romagna Lucrezia Argentiero Luca Bomezzadri, Marco Landucci, Gianpietro Nagliati, Luca Sardi, Nerino Trentini, Fruttuoso Zucchini, Luca Campana

Lombardia Cesare Assolari, Roberto Bonsi, Massimiliano Bruni, Franca Dell’Arciprete Scotti, Lorenzo Foti, Francesca Frediani, Valentina Gavarini, Eugenio Meloni, Umberto Mortelliti, Aldo Pagnussat, Giampaolo Perna, Barbara Pinnetti, Saro Trovato

Friuli Venezia-Giulia Valentina Coluccia

Marche Michela Pallonari Ferruccio Squarcia

Campania Ferdinando Cappuccio, Luisa Del Sorbo

Lazio Francesco Maria Bucarelli, Domenico Bruno, Paola Caselli, Rosalia Imperato,

Gian Nicolino Narducci Mauro Rosta, Sarah Scaparone, Puglia Bruno Micai, Jolanda De Nola, Nunzio Pacella, Mariella Piscopo, Sergio Siciliano Sardegna Roberto Dall’Acqua, Annalisa Bernardini, Lino Erriu, Sicilia Cesare Aldesino, Marco Scapagnini Toscana Elena Conti, Marco Ghelfi, Antonio Tartarelli Trentino Francesca Negri

Molise Giovanni Scapagnini

Umbria M. Pia Fanciulli

Piemonte Fabio Alcini,

Veneto Benedetta Frare



dall’Italia e dal mondo

di Francesco Condoluci redazione1@vdgmagazine.it

Scioperi, neve, Tir fermi e scaffali vuoti: è l’Italia della dittatura della gomma Oltre 200 milioni di euro. È il bilancio, approssimato per difetto, dei danni causati alla filiera agroalimentare dallo sciopero dei camionisti per il caro gasolio che, a gennaio scorso, ha, di fatto, paralizzato l’intera Italia. Pesce, frutta e verdura introvabili sui mercati, scaffali dei supermercati vuoti e prezzi aumentati mediamente del 10-15% nel corso della serrata. Considerando tutte le attività paralizzate dal blocco circolazione dei tir – dalla coltivazione alla raccolta, dalla trasformazione alla vendita nella grande distribuzione, delle perdite – secondo i dati raccolti su tutto il territorio nazionale dalle organizzazioni di categoria, almeno la metà è ricaduta sull’agricoltura, alimenti freschi e ortofrutta in particolare. Nemmeno qualche settimana dopo la fine dello sciopero degli autotrasportatori e il breve ritorno alla normalità, a febbraio è arrivata l’eccezionale ondata di maltempo a dare il colpo di grazia al comparto agroalimentare. La neve, infatti, ha bloccato di nuovo i trasporti su gomma, provocando un ulteriore fermo forzato al mercato delle derrate alimentari e mandando al macero 100 mila tonnellate di prodotti deperibili. Un’altra situazione di paralisi che, in termini di danni economici, ha colpito soprattutto il Centro-Sud, la macroarea del Paese dove è concentrato il 57% della produzione ortofrutticola nazionale e dove una azienda su 3, per giorni, non è riuscita a conferire il prodotto. La Coldiretti ha indicato in altri 300 milioni di euro l’ammontare delle perdite dell’agroalimentare causate, in questo caso, dalle intemperie climatiche che hanno imperversato, imponendo uno stop alla circolazione delle merci sulle strade.

Il commento Due eventi di natura diversissima tra loro, l’uno pianificato e l’altro del tutto accidentale, ma con un minimo denominatore comune: lo sciopero degli autotrasportatori di gennaio e l’emergenza freddo di febbraio, in questo primo difficilissimo scorcio del 2012, tra i tanti, hanno evidenziato (se mai ce ne fosse stato ancora bisogno) un dato incontrovertibile: ovvero che in Italia, da anni, vige un regime silenzioso e in grado di condizionare l’intero Paese, di fatto a suo piacimento. Un sistema di potere costituito, latente e inattaccabile, che potrebbe essere definito la “dittatura della gomma”. Uno stato di fatto che, in qualunque momento, può permettersi di ridurre il Paese alla fame, semplicemente incrociando le braccia. Le scene viste durante il blocco dei tir e successivamente, nei giorni più rigidi dell’ondata di maltempo, sembravano uscite direttamente da un “disaster movie” americano su catastrofi 12

nucleari o meteoriti pronte ad abbattersi sulla Terra. Massaie che si accalcavano nei supermercati a fare la scorta di cibo, scaffali vuoti, gente che frugava nei cassonetti dell’immondizia, code per comprare a prezzi esorbitanti l’ultimo ciuffo di verdura rimasto sui banchi del fresco, per non parlare delle liti furiose alle pompe di benzina per contendersi qualche litro di carburante. Per spiegare questa incredibile contingenza, basta citare un po’ di numeri: in Italia l’88,3% delle merci viaggia su strada a mezzo veicoli pesanti gommati e 9 prodotti alimentari su 10 percorrono più di 1000 km per arrivare dal campo allo scaffale del supermercato (con inevitabile ricaduta sui costi per il consumatore finale). In Europa, l’Italia, per ciò che concerne il trasporto merci su strada, è superata solo da Spagna e Gran Bretagna: staccatissima invece la Germania che, grazie ad una rete di trasporti ferroviari e fluviali particolarmente sviluppata, subisce molto meno la dittatura della gomma (65,4%). Ciò detto, resta

facile capire il perché lo Stivale finisce rapidamente in ginocchio, se le quasi 200 mila aziende del trasporto merci su gomma, per un motivo o per l’altro, spengono i motori. E diventa nondimeno semplice comprendere la capacità persuasiva che la lobby dei padroncini è in grado di esercitare sulle istituzioni nazionali. Quello che invece risulta davvero indecifrabile, è il motivo per cui, malgrado la “dittatura della gomma” spadroneggi ormai da decenni nel Belpaese, i governi seguitino ad investire ostinatamente sulla costruzione di infrastrutture stradali e autostradali, trascurando colpevolmente invece (a differenza del resto d’Europa) il potenziamento dell’intermodalità e dei trasporti su rotaia: un modello cioè ecosostenibile, più economico, sottoposto al controllo pubblico e per di più, anche meno condizionabile dalle intemperanze della natura. Eppure, treni merci e ferrovie continuano a languire. Mentre la dittatura della gomma (è proprio il caso di dirlo) fa il bello ed il cattivo tempo.



dall’Italia e dal mondo

Pesca selvaggia nei mari: tonni e sgombri rischiano l’estinzione

Pagamenti a tempo per i fornitori: è scontro tra Gdo e governo Monti

Tonni e sgombri a rischio estinzione nei mari di tutto il mondo. È uno studio condotto a livello internazionale da un gruppo di biologi canadesi ed europei ad aver tratteggiato questo inquietante scenario. La pratica della pesca senza limiti, in uso da oltre mezzo secolo, ha provocato infatti una diminuzione del 60% della popolazione di questo pesci nelle acque più fredde. In alcuni casi (per esempio i tonni atlantici) i branchi sono stati depauperati dell’80% e gli attuali ritmi di pesca contribuiscono a peggiorare una situazione che da tempo non è più sostenibile, perché il numero di esemplari pescati è ben al di sopra della capacità di ripopolamento. In totale, ogni anno il 12,5% dei tonni viene ucciso. L’altra grande famiglia, quella degli sgombri, non gode di miglior salute: la pesca, in questo caso, viaggia tra una sostenibilità risicata e l’eccesso insostenibile.

Frutta e verdura contro il cancro al colon-retto: lo dicono i coreani Consumare più frutta e verdura per prevenire il tumore al colon-retto: è il suggerimento che arriva dallo studio del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Daegu in Corea del Sud. Questo genere di neoplasia, tristemente noto per essere tra le principali cause di morte al mondo, è strettamente correlato al tipo di alimentazione adottata, poiché è noto come una dieta troppo sbilanciata possa cagionare processi infiammatori nel tessuto intestinale che, nel tempo, possono degenerare in lesioni tumorali. Secondo lo studio, la frutta e la verdura svolgerebbero invece una specifica azione protettiva anti-cancro, grazie alla presenza di una sostanza in esse contenuta, la leutolina, dotata di poteri antiossidanti e antinfiammatori, in grado di inibire la produzione di IGF-II, una sostanza legata alla proliferazione delle cellule tumorali del colon.

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Campagna contro l’obesità negli Usa, anche la Wal Mart si adegua La crociata condotta in prima persona da Michelle Obama contro l’obesità dilagante negi Usa comuncia a produrre i suoi effetti, perlomeno sulle catene della distribuzione alimentare. Tra le prime grandi aziende a recepire le indicazioni salutiste della campagna avviata dalla Casa Bianca, la Wal Mart che vende circa la metà del cibo consumato dagli americani. Il colosso del settore alimentare statunitense ha fatto esordire infatti, sui propri scaffali, una nuova etichetta, la Great for You, che segnala i prodotti più genuini ai consumatori e che comparirà su un gruppo di prodotti a marchio Walmart compresi nelle fasce di prezzo standard e medio-alta. Tra i segnalati, come prodotti sani e genuini, ci sono: frutta e verdura, il riso (solo quello integrale), alcuni tagli di carni bianche e comunque magre, il latte scremato e quello che contiene fino all’1% di grassi e le uova. Nessun dolce, invece, si è aggiudicato l’etichetta Great for You. Wal Mart, per andare incontro alle indicazioni del governo sul consumo critico, ha deciso anche di eliminare la differenza di prezzo esistente in 350 prodotti tra la versione standard e quella light.

Il decreto liberalizzazioni del Governo Monti, in Italia, dà molto fastidio nel settore della Grande Distribuzione Organizzata. A suscitare l’ostruzionismo delle grandi catene alimentari, in particolare, è l’articolo 62 del pacchetto agrolimentare contenuto nel decreto liberalizzazioni, quello cioè che impone l’obbligatorietà dei pagamenti a 30 e 60 giorni nei confronti dei fornitori, “in nome della libera concorrenza e del mercato, a tutto vantaggio del consumatore, e della tutela delle migliaia di piccole e medie imprese associate sempre più in difficoltà nei rapporti con la grande distribuzione moderna”. La Gdo ha giudicato infatti l’articolo “inapplicabile”. Un atteggiamento che il ministro per le Politiche Agricole, Mario Catania, ha duramente stigmatizzato: «Sono basito e preoccupato, non capisco come chi incassa cash tutti i giorni possa essere contrario a pagare in tempo”. La grande distribuzione si è mossa armi in pugno per far saltare l’articolo e non so come andrà a finire. Ma è una battaglia importante e sono determinato a combatterla fino in fondo. C’è un tentativo in atto di spazzare via principi equi e sacrosanti come il diritto ad avere contratti scritti nelle transazioni commerciali e a essere pagati entro certi termini. Sono soprattutto le piccole e medie imprese dell’agroalimentare a essere strozzate dalle condizioni poste dalla Gdo». Dalla parte del Ministro si sono schierate invece le organizzazioni del mondo agricolo, Confagricoltura, Coldiretti e Cia.


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di Marco Bacchetta e Danila Reposi

occhio ai consumi

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Novità sui ricorsi per multe Modificata la tempistica per poter inoltrare un ricorso al giudice di pace

Restano invariati invece i 60 giorni per impugnare le sanzioni davanti al Prefetto. La procedura non costa nulla, ma in caso di sconfitta, aumenta la somma da pagare

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I tempi per poter proporre un ricorso al giudice di pace sono stati ridotti, passando dai precedenti 60 giorni dalla notifica agli attuali 30 giorni (d. lgs.150/2011). Rimane invece invariata la possibilità di ricorrere al prefetto del luogo in cui è stata commessa la violazione entro 60 giorni dalla notifica. Di seguito le procedure che si possono seguire quando si vuole presentare un ricorso. Innanzitutto si deve individuare il soggetto legittimato a proporre il ricorso, che è individuato verificando le procedure di notifica. Il conducente non proprietario può ricorrere solo se l’infrazione gli è contestata di persona e gli viene rilasciata copia del verbale. Il proprietario può ricorrere dal giorno in cui gli viene notificata la sanzione. Entrambi possono ricorrere al giudice di pace entro 30 giorni oppure ricorrere al prefetto entro 60 giorni. In particolare si segnala che per presentare ricorso al prefetto si può inoltrare lo stesso attraverso raccomandata A.R. oppure si può presentare di persona presso l’organo di polizia che ha accertato la violazione. Si deve allegare al ricorso, in copia, il verbale in contestazione, conservando l’originale per eventuale ricorso ulteriore al giudice di pace. La procedura al prefetto non costa nulla, però, in caso di sconfitta, si corre il rischio di veder aumentata la sanzione pecuniaria per effetto del tempo trascorso. Si rammenta anche che non è possibile pagare la sanzione e contemporaneamente presentare ricorso, infatti un’azione esclude l’altra. Il ricorso al giu-

dice di pace invece si presenta con raccomandata A.R. oppure in cancelleria del giudice competente. Accertarsi prima della presentazione se venga richiesto in allegato l’originale del verbale oppure la copia, anche se allegando l’originale il ricorso è sicuramente valido. Ricordarsi di indicare i recapiti che verranno utilizzati dalla cancelleria per la notifica della data dell’udienza, a cui il ricorrente è obbligato a presenziare, che può essere comunicata anche via fax o mail. Il contributo da versare per il ricorso al giudice di pace è di 37 euro quando il valore di causa non supera 1.100 euro, e 85 euro per valori di causa superiori. La marca da bollo va apposta sul ricorso solo se il valore di causa supera 1.033 euro. Si precisa che il ricorrente può chiedere nel ricorso oltre all’archiviazione del verbale anche la modifica della sanzione applicata perché ritenuta più coerente nonché la sospensione delle sanzioni accessorie quali perdita di punti, sospensione della patente, sequestro del mezzo. Può essere richiesta anche la rateazione della somma. In particolare si segnala che se il ricorso viene presentato al prefetto e si perde, entro i successivi 30 giorni si può sempre ripresentare il ricorso al giudice di pace. Se anche il giudice di pace si pronunciasse contro il ricorso è ammesso il ricorso al Tribunale civile. In questo caso però ci si deve rivolgere a un avvocato che effettuerà tutte le procedure. È ammesso infine anche il ricorso alla Cassazione qualora tutti i gradi di giudizio siano stati negativi.


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fatti e contraffatti

di Marishel Fecchi

Olio: i segreti dell’extravergine e i trucchi dei furbetti Un consumatore informato è un consumatore più difficile da truffare. Ma come si fa a districarsi nella giungla di prodotti, prezzi ed etichette e difendersi dalle truffe alimentari? Fatti e Contraffatti proverà a fare chiarezza, partendo dall’alimento principe della tavola italiana. Per aiutarvi a capire cosa c’è nella bottiglia e il valore di ciò che acquistate

Partiamo dall’Abc dell’oliva dunque - drupa per gli addetti - scusandoci, fin da ora, se alcune cose potranno apparire ovvie, ma meglio ripeterle se servono a dare a chi legge un quadro più esaustivo e nitido possibile. A differenza delle altre oleginose, è dalla polpa del frutto, e non dal seme, che si ricava l’olio. Come per tutti i frutti, anche di olive ci sono tanti tipi, alcuni presenti su tutto il territorio nazionale, altri tipici di determinate zone. I diversi tipi si chiamano cultivar. Altra caratteristica sostanziale è la differenza di tipologia di coltivazione tra i vari paesi, in particolare tra l’Italia e la Spagna, che è il maggior produttore. Nella penisola iberica, e specie in Andalusia dove viene prodotta la quasi totalità dell’olio spagnolo, si pratica una coltivazione intensiva, una vera e propria industria con un procedimento molto invasivo. Nel nostro paese, per fortuna, molto olio viene ancora prodotto invece in piccole realtà dove l’artigianofrantoiano gioca un ruolo importante.

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Extravergine: c’è un solo modo per produrlo Per avere un buon olio, la drupa deve essere sana e aver raggiunto il giusto grado di maturazione. Anche le olive subiscono tuttavia l’attacco dei parassiti, tra i quali il più dannoso è la mosca olearia che, o fa rattrappire la drupa facendola cadere prima di aver raggiunto la maturazione ottimale, o comunque ne impedisce il pieno sviluppo influenzando la quantità e la qualità di olio in essa contenuto. Altro pericolo per la qualità dei frutti, come per ogni pianta, sono le gelate e la siccità. Il grado giusto di maturazione si raggiunge quando la drupa è di colore un po’ verde e un po’ violacea: in questo stadio la si definisce invaiata. Se la drupa è completamente verde, vuol dire che il frutto non è maturo e l’olio in essa contenuto è quantitativamente scarso e non ha ancora sviluppato le sue caratteristiche. Se è violacea invece vuol dire che è troppo matura: la quantità di olio sarà più sostanziosa ma in tal caso a risentirne sarà la qualità, dal momento che essa avrà acquistato un gusto di frutto passato di maturazione. Abbiamo detto che dà più olio: ma perché? Perché la membrana cellulare che contiene l’olio è più sottile, come succede in qualsiasi cellula vecchia, e quindi la fuoriuscita del contenuto è più semplice. Ma c’è un altro fattore negativo: poiché la membrana non ha più la sua forza protettiva durante il trasporto al frantoio, il liquido che fuoriesce ini-


zierà a fermentare danneggiando la qualità dell’olio. Non dimentichiamo che l’olio, come tutti i grassi, tende a ossidarsi e ad assorbire odori e sapori. Seguire i vari step di produzione aiuta a far capire che per ottenere un buon prodotto bisogna lavorare correttamente su tutto il processo produttivo, e a mettere in evidenza che molti errori che si commettono nelle diverse fasi produttive sono correggibili, ma purtroppo chimicamente (anche se non illegalmente). Questo è uno degli aspetti di cui il consumatore deve essere a conoscenza, e che può fare la differenza di prezzo. Ma proseguiamo con le fasi di lavorazione per ottenere un olio extra vergine d’oliva che dovrebbe essere l’unico autorizzato definirsi tale. Le drupe sane e al punto giusto di maturazione devono essere trasportate in contenitori di medie dimensioni affinché non si schiaccino, e devono essere frante entro 24 ore dalla raccolta. In caso di alte temperature questo tempo si deve accorciare per evitare il riscaldamento delle drupe che portano a oli difettosi. Appena le drupe entrano in frantoio, si inizia la separazione meccanica di rami, foglie e altre impurità. La presenza di troppa clorofilla nelle foglie e di tannini nei legni, produrrebbero nell’olio un gusto astringente. Alla separazione segue il lavaggio. Le olive lavate vengono portate alla frangitrice e durante la frangitura vengono schiacciate. Ci sono vari tipi di frantoi, ma tutti finalizzati a schiac-

ciare la drupa in modo che fuoriesca la membrana cellulare che contiene il suo succo. Non si deve pensare però che l’olio esca come da uno spremiagrumi. Quando le olive sono frante, si forma infatti una pasta che contiene olio, acqua e fibra data sia dalle membrane cellulari sia dal guscio dei noccioli. La pasta che esce dal frangitore passa nella gramola. Si tratta di una vasca a doppia parete dotata di mescolatori. Fra le doppie pareti, viene fatta circolare acqua che, normalmente, ha una temperatura tra i 25° e i 35°C per un periodo di 40-50 minuti. Qui c’è un’altra sostanziale differenza tra il metodo di lavorazione in Italia e in Spagna: da noi si lavora a 27°C e per massimo 50 minuti, in Spagna a 35° e fino a 90 minuti. La dicitura “spremitura a freddo”, come si evince, è elastica. Il processo di gramolatura è uno dei più importanti e delicati perché, se si alza la temperatura, si aumenta la quantità di olio che si può estrarre, ma come sempre a scapito della qualità. Se non si tara in maniera corretta il tempo di gramolazione a seconda del cultivar e della quantità di acqua di vegetazione (l’acqua contenuta OLI DENOCCIOLATI naturalmente nel frutto al momento Esistono in commercio oli della frangitura) si rischia poi di indenocciolati. Vuol dire che prinescare processi indesiderati. Duma della frangitura, con una macrante la gramolazione, le goccioline di olio avvolte nella membrana china apposita viene estratto il noclipoproteica contenuta nelle cellule ciolo in modo da avere l’olio dalla delle olive vengono liberate, per sola polpa. Ma gli esperti non sono coalescenza si aggregano in gocce unanimi sul risultato e pertanto più grandi e, nel decanter, verrannon è il caso di soffermarsi no definitivamente separate. Proprio più di tanto sul tema. durante la gramolazione si verificano processi importanti come la formazione di aromi, il conferimento all’olio delle sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali e, purtroppo, anche fenomeni negativi come l’influenza dell’ossigeno sugli acidi grassi, soprattutto i polinsaturi, favorendo la formazione di perossidi e il conseguente irrancidimento. Dopo la gramolazione la pasta viene diluita con un 10-30% di acqua rispetto al peso (dipende dal tipo di olive). L’acqua deve avere la stessa temperatura della pasta per poter separare al meglio acqua-olio-sansa. Variando il quantitativo dell’acqua, si può influenzare il gusto dell’olio e la sua sensibilità all’ossidazione. Riducendo l’acqua si ottiene un olio più ricco di sostanze fenoliche, di vitamina E e di tocoferoli: il risultato sarà un prodotto più amaro e più stabile. Temperature più alte sia nella fase di gramolazione che di decantazione aumentano la resa, ma l’olio sarà disarmonico; amaro ma senza aromi. Un olio piatto. L’indice di estrazione corretto è dell’80-87% di quello contenuto nelle drupe. A questo punto però non abbiamo ancora un olio pulito. Ci sono, in sospensione, particelle solide e acqua. Ma soprattutto, in questo stadio, l’olio

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fatti e contraffatti

In Italia molto olio viene prodotto in piccole realtà dove l’artigiano-frantoiano gioca un ruolo importante

Classificazione degli oli L’unico criterio che il legislatore utilizza per la classificazione è la quantità di acido oleico OLI VERGINI Olio extravergine di oliva max 0,80 gr/100 gr; Olio di oliva vergine max 2,00 gr/100 gr; Olio lampante da 2,00 gr in poi OLI NON VERGINI Olio raffinato max 0,3 gr (non vendibile direttamente al consumatore); Olio di oliva, miscela di olio raffinato e di olio d’oliva vergine, max 1,00 gr; Olio di sansa greggio (non vendibile direttamente al consumatore) ricavato dalla sansa per estrazione; Olio di sansa di olive raffinato dall’olio di sansa greggio, max 0,3 gr (non vendibile direttamente al consumatore); Olio di sansa d’oliva miscela di olio di sansa raffinato e vergine d’oliva, acidità max 1,00 gr

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non è conservabile: per renderlo conservabile deve essere pulito con un separatore. Il separatore non è che una centrifuga verticale: vi si introducono olio e acqua e quest’ultima trasporta con sé le impurità. L’olio così ottenuto deve essere subito filtrato e deumidificato. Per farlo, si usano filtri di cotone idrofilo per permetterne la conservazione. A una temperatura di 15-20°C e lontano da fonti di luce, l’olio si può conservare per circa 18 mesi mantenendo le sue caratteristiche peculiari. Frodi e contraffazioni. Come difendersi Le frodi più comuni sugli oli sono: a) miscelare olio d’oliva con oli di semi in particolare di nocciola, che è quello più simile all’olio di oliva; b) rettificare un olio vergine che costa il 30-40% in meno e farlo diventare extra vergine; c) trasformare gli oli di importazione in oli italiani. Cosa può fare, concretamente, il consumatore per difendersi? Prima di tutto informarsi. In secondo luogo leggere le etichette, non acquistare ciò che non è chiaro, diffidare di chi dà informazioni fuorvianti (ad esempio, “carboidrati 0” oppure “non contiene colesterolo”: tutti sanno che l’olio è un grasso vegetale e come tale non contiene colesterolo), leggere anche ciò che è scritto in caratteri microscopici. Seguendo l’iter di produzione si possono evidenziare i punti critici, esaminando le etichette per individuarli. Ma occorre fare una premessa: riteniamo che le categorie commerciali in cui sono suddivisi gli oli, e le qualità reali da essi possedute, non siano identiche. Un olio Dop dice sicuramente che le olive vengono coltivate e fran-

te in un’area limitata, che non devono fare grandi tragitti e ci sono più probabilità che arrivino al frantoio fresche e sane. Non è l’unico criterio, ma è quello più semplice. Grado di acidità: definisce il grado di alterazione dell’olio. Per un extravergine la legge dice che l’acido oleico non deve superare lo 0,8. Perché, ci chiediamo, se tutti sanno che se le olive sono sane, raccolte al momento giusto e lavorate come si deve, non si supera lo 0,3? Se la forbice è così ampia entrano nella categoria anche oli che non ne hanno diritto ma, de facto, lo hanno per legge: attenzione quindi ad acquistare oli la cui acidità è più vicina allo 0,3 che allo 0,8. L’etichetta non dice niente su altri fattori che caratterizzano un olio, ad esempio dal punto di vista salutistico, cioè nella prevenzione di malattie cardiovascolari o nella prevenzione del tumore; ci riferiamo al contenuto di acido oleico, che varia dal 54 all’82%, e lo stesso dicasi per il contenuto di vitamina E, dove si passa da 23 a 750 mg/kg. Sono differenze eclatanti di cui nessuno parla. Sul mercato arrivano oli che sono extravergine, non hanno difetti, ma che sono sicuramente vuoti, e forse peggio, anche se non fuorilegge. Oli deodorati e prezzi al consumatore Gli oli deodorati sono oli d’oliva non commestibili per via di grossi difetti che, con accorgimenti fisici e meccanici (non chimici, e quindi autorizzati a mantenere sull’etichetta “ottenuti meccanicamente”), diventano senza difetti, ma che non possono essere venduti come extravergine, a meno che non vengano miscelati con una quota di extravergine. Un olio deodorato è riconoscibile in laboratorio per la presenza di alchil esteri (si formano se le olive subiscono processi di fermentazione). Lo scandalo è che mentre prima erano fuorilegge, ora l’assurda legge europea sulla libera circolazione dei deodorati li permette fino a una presenza di alchil esteri di 70 mg/Kg: tali sono i valori che la Spagna si è fatta approvare da Bruxelles, contro i 30 mg/kg che aveva richiesto l’Italia. Il perché è chiaro. Ed eccoci al punto finale: il costo. Il costo dell’olio al supermercato non può essere inferiore a quello della borsa all’ingrosso sulle maggiori piazze nazionali e comunitarie. Ad esempio, il prezzo dell’extravergine Terre di Bari Dop in cisterna all’ingrosso, sul luogo di produzione, oggi è di circa 2,50 euro/ Kg (1Kg = 1,1litri), circa 2,24 euro la bottiglia da 750 ml. A questo costo del prodotto puro vanno aggiunti tutti i costi aggiuntivi, dal trasporto al vetro, dall’etichetta ai costi di imbottigliamento, da quelli di magazzino al supermercato. Il prezzo giusto, dice Coldiretti, è di circa 6 euro. Bene, ora la domanda è: se un olio di dubbia qualità in offerta costa circa 3 euro, quanto si risparmia in un anno? 30 euro? E ne vale davvero la pena?



di Gilda Ciaruffoli

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Friuli-Venezia Giulia Esclusivamente olio

Olio Capitale presenta le migliori produzioni nazionali ed estere di olio extravergine d’oliva. A Trieste, una città strategica per raggiungere nuovi mercati, da sempre crocevia di scambi commerciali, si incontrano così produttori provenienti da tutta Italia, Spagna, Croazia, Slovenia e Portogallo con i loro oli Dop, Igp, biologici, fruttati intensi, medi o leggeri. Evento esclusivo, è anche l’unico a puntare esclusivamente sull’extravergine di qualità senza altri prodotti food & beverage a distogliere l’attenzione. 2-5 marzo, Trieste - Info: www.oliocapitale.it

Piemonte O ci vai o ci sei Nel titolo il claim dell’edizione 2012 di Cioccolatò, la manifestazione che la Città di Torino dedica al cioccolato da nove anni a questa parte. Un chiaro invito a non mancare, che si sia torinesi o turisti, perché è un’occasione imperdibile di conoscere il cibo degli dei, di approfondire la tradizione cioccolatiera del Piemonte e di divertirsi con le tante iniziative proposte: incontri con gli esperti, degustazioni, attività culturali e di animazione per i più piccoli, legate al cioccolato made in Italy e internazionale. 2-11 marzo, Torino Info: www.cioccola-to.it

Lombardia Milano, mai così bionda L’Italia Beer Festival, la manifestazione itinerante dedicata alla promozione della birra artigianale e di qualità, fa tappa a Milano con il consueto mèlange di degustazioni, laboratori ed eventi che si propongono di diffondere la conoscenza del mondo birrario artigianale con particolare riguardo alla produzione italiana.
Ad accogliere la manifestazione, unica in Italia interamente dedicata al mondo dei microbirrifici artigianali, i caratteristici locali dello Spazio Antologico di via Mecenate. 9-11 Marzo, Milano Info: www.degustatoribirra.it

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Toscana La filosofia del vino

Torna, per la sua V edizione, Terre di Toscana, la più importante degustazione aperta al pubblico dedicata ai vini di una regione protagonista della vitivinicoltura italiana. Gli ambienti dell’Una Hotel di Lido di Camaiore, nel cuore della Versilia, vedono ancora una volta riunite 120 fra le migliori cantine, a partire da quelle che hanno fatto la storia del vino italiano fino alle più giovani; i produttori presenti sono ben lieti di raccontare la loro storia, il loro lavoro in vigna e in cantina, la filosofia che c’è dietro ai loro vini, illustrando le emozioni che essi possono regalare. Oltre 500 le etichette in assaggio. 11 – 12 marzo, Lido di Camaiore (Lu)
 Info: www.terreditoscana.info



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Veneto Tradizioni incendiarie

Usanza della quale si hanno tracce fin dal 1800, il Processo alla Vecia di Treviso si svolge da oltre 30 anni in prossimità del Ponte Dante. Qui la Vecia, appesa sopra l’acqua del fiume Sile, attende il suo ineluttabile destino: essere incendiata dai sub che scendono lungo il fiume con le fiaccole. La tradizione trevigiana prevede, prima del rogo, uno spettacolo del Gruppo Folcloristico Trevigiano con i suoi balli e canti tipici della tradizione contadina e un vero e proprio processo si svolge in chiave comica e farsesca con tanto di giudice, avvocato della difesa e pubblico ministero. 15 marzo, Treviso - Info: www.gruppofolcloristicotrevigiano.com

Sicilia Per fare tutto ci vuole… un’arancia La V Sagra dell’arancia rossa di Sicilia Igp è un momento gastronomico a tutto tondo, che sa intrattenere i visitatori che vogliono spingersi nell’ennese per offrire momenti decisamente piacevoli al proprio palato. Tanti gli stand e tre le zone di degustazioni dislocate nelle due piazze principali in cui viene distribuito gratuitamente succo di arancia, e sono preparate torte, frittelle, arancini… tutto rigorosamente a base di arancia! Artisti di strada, gruppi folkloristici e danze in costume allietano l’evento. 16-18 Marzo, Centuripe (En) Info: comune.centuripe.en.it

Emilia-Romagna Vent’anni verdi e gustosi La XX edizione della rassegna gastronomica Il Piatto Verde ha in programma molte iniziative, tra cui cene e corsi di cucina con rinomati chef stellati. Fulcro della rassegna è il concorso per la migliore ricetta realizzata con le erbe aromatiche che, nel corso delle precedenti edizioni, sono rientrate nell’elaborazione dei piatti vincitori del concorso: cerfoglio, finocchio, noce moscata, menta, dragoncello, aneto, rosmarino, calendula, ruta, ortica, salvia, malva, lavanda, camomilla, levistico, alchechengi. 12-16 marzo, Riolo Terme (Ra) Info: www.terredifaenza.it

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Toscana Il Diamante della Terra

La XIV Mostra Mercato del Tartufo Marzuolo si svolge nel borgo medioevale di Cigoli, avvolto nello splendore del paesaggio delle colline sanminiatesi. Protagonisti gli stand di prodotti
eno-gastronomici tipici, dove assaggiare vino, olio, e il tanto atteso tartufo Marzuolo. Per tutto l’arco della manifestazione inoltre sono a disposizione dei visitatori alcuni piatti al tartufo da degustati gratuitamente, e
per i più esigenti, è aperto il ristorante I giorni del tartufo, dove vengono presentate le creazioni dello chef Yuri Biligiardi.A fare da contorno alla manifestazione tante iniziative: dalla dimostrazione di escavazione del tartufo all’esposizione di antichi mestieri tradizionali.
 17 – 18 Marzo, Cigoli di San Miniato (Pi) Info: www.cigoli.org


Feletti compie 130 anni e celebra lo storico anniversario con autenticitĂ , passione e tradizione

Feletti S.p.A. Via Cascine, 32 - 11026 Pont Saint Martin (AO) Tel. 0374 350506 - email: commerciale@feletti.it - www.feletti.it


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Lazio Un week end da gustare

La Manifestazione CioccoTuscia – Festival dei Dolci Sapori si svolge presso la prestigiosa Residenza Domus La Quercia di Viterbo le cui sale e i chiostri storici ospitano i produttori di dolci tipici della Tuscia a base di cioccolato, ma non solo. Presenti infatti produttori dei vari settori dolciari locali pronti a offrire assaggi delle loro delizie, il tutto accompagnato da un programma di eventi ricchissimo che prevede mostre di pittura, di fotografie, sfilate di moda, musica, concerti, seminari e convegni: insomma tutti gli ingredienti per un week end tutto da gustare! 24-25 marzo, Viterbo - Info: www.cioccotuscia.it

Campania Non solo braciole Festa popolare e contadina, la Sagra del Maiale si articola in una mostra-mercato dei prodotti tipici locali: funghi, vino, miele, pane casereccio, formaggi, papazzi e, in particolar modo, il fagiolo cu muss pint, che cresce esclusivamente in queste zone, e l’olio extravergine d’oliva, nonché prodotti dell’artigianato locale e della Valle del Sele. Gli stand ovviamente riservano grande spazio e attenzione alla vendita e alla degustazione delle carni del maiale, ma solo di quelli locali allevati come tradizione, e natura, vuole. 23-25 marzo, Senerchia (Av) Info:
www.prolocosenerchia.it

Emilia-Romagna Assaporare con lentezza Torna la Primavera Slow nel Parco del Delta del Po Emilia-Romagna, e con essa la possibilità di scoprire un territorio e le sue eccellenze, le suggestioni, i paesaggi e i colori attraverso le tantissime iniziative in programma fino al 3 giugno. In particolare, segnaliamo la XXXIV Sagra del Tartufo con stand gastronomici, degustazioni con cuochi professionisti, mercatini di prodotti tipici del Parco del Delta del Po, mostre, conferenze e camminate in pineta. 24-25 marzo e 31 marzo-1 aprile, Ravenna Info: www.podeltabirdfair.it

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Veneto Una stagione bella e buona

Colori e Sapori di Primavera è la tappa conclusiva della Rassegna Fiori d’Inverno e quella di apertura della Rassegna Germogli di Primavera. Un gustoso punto di incontro tra il territorio, la sua tradizione e le sue produzioni, i cui protagonisti sono tre prodotti tipici del territorio quintino quali il radicchio rosso tardivo di Treviso, l’asparago bianco di Badoere e il radicchio verdolino verdon. In esposizione i pregiati prodotti a marchio Igp e tante creazioni dell’artigianato locale. 22-25 marzo, Quinto di Treviso (Tv) Info: www.germoglidiprimavera.tv


“Egli prese la tazza e bevendo il dolce vino con piacere indicibile, dell’altro ne chiedeva: dammene ancora, ti prego, e subito dimmi il tuo nome” Omero (Odissea)

Il sole e la terra hanno donato calore e vita al frutto, la luna gli ha regalato l’anima. Le note olfattive, grazie alle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, si arricchiscono di sfumature uniche ed irripetibili. Questo spumante nasce dalla vinificazione in bianco con metodo charmat, di uve nero d’avola di proprietà.

Società Agricola Luna Sicana spa Casteltermini - Agrigento, Italy Mobile: +39.380.7919541 www.lunasicana.it - info@lunasicana.it


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Emilia-Romagna Ma cosa mangiano i marinai?

La XII edizione di Azzurro come il Pesce, manifestazione gastronomica dedicata alla valorizzazione del prodotto principe della cucina locale, si svolge presso la storica Colonia Agip e nel centro storico cittadino dove sono predisposti punti di somministrazione ed è possibile degustare i piatti tipici della tradizione marinara locale. L’iniziativa vede coinvolti anche diversi ristoranti della città, che proporranno menu ad hoc a prezzi particolarmente vantaggiosi. dal 30 marzo, Cesenatico (Fc) Info: 800 556 900

Piemonte Esplosioni di colore Messer Tulipano è la manifestazione che offre l’occasione per trascorrere una giornata nel parco storico del castello di Pralormo, alle porte di Langhe e Roero, immersi in 75mila tulipani fioriti. La mostra sviluppa quest’anno il tema della straardinaria ricchezza di colori della natura: nella serra francese e nell’antica orangerie si possono ammirare esposizioni dedicata alle orchidee mentre nel parco è allestita un’ampia sezione dedicata agli orti urbani con suggerimenti per allestirne anche in piccoli spazi grazie a soluzioni innovative e divertenti. dal 31 marzo, Pralormo (To) Info: www.castellodipralormo.com

Sicilia Un re dal cuore tenero Il borgo di Ramacca si inserisce in un territorio estremamente fertile, ricco di agrumeti e uliveti, con le colline coltivate a viti e le vaste pianure a cereali legumi e ortaggi. Ma ciò che rende davvero magico questo paesaggio è un Re dalla corazza impenetrabile e dal cuore tenero: il Carciofo Violetto. E a lui il paese dedica una Sagra, straordinario momento di socializzazione e arricchimento culturale, artistico e gastronomico con degustazione di piatti tipici e delizie a base di carciofo. 30 marzo - 01 aprile - Ramacca (Ct) Info: www.carciofofest.it

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Lombardia Mangia, e viaggia, sostenibile

Torna Fa’ la cosa giusta! che giunge quest’anno alla sua IX edizione. Di particolare interesse la sezione Mangia come parli, dedicata ad alimentazione sostenibile, agricoltura biologica e biodinamica, filiera corta e km zero, che torna anche quest’anno con una vetrina completa di novità e produzioni ormai consolidate. Non mancano degustazioni e laboratori per imparare o arricchire la propria esperienza diretta nella preparazione dei cibi. Sezione speciale di quest’anno è invece quella relativa al Turismo Consapevole: proposte innovative per vivere i viaggi in modo sostenibile. 30-31 marzo, Milano Info: www.falacosagiusta.org



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appuntamenti in breve

1 BilBOlbul Festival Internazionale di fumetto che, attraverso mostre, incontri con autori, proiezioni e attività laboratoriali, si propone di avvicinare il fumetto d’autore a un pubblico sempre più ampio. Info: www.bilbolbul.net 1-4 marzo, Bologna – Emilia-Romagna

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2 Cantine aperte Itinerario che tocca le principali cantine del paese. Protagonisti le migliori Doc locali, le cooperative produttrici, i prodotti agricoli del territorio. Info: www.cogne.org 2 marzo, Cogne (Ao) – Valle d’Aosta

3-5 marzo, Castello di Agazzano (Pc) Emilia-Romagna 


























 6 Sagra del Polentone Appuntamento giunto alla 442ª edizione. Mercatino di prodotti tipici e rievocazione storica. Info: alessandria.mondodelgusto.it 4 marzo, Ponti (Al) – Piemonte

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3 Art & Ciocc

10 Biosalute Triveneto

Il tour dei Cioccolatieri tenta con praline e cioccolatini, tavolette, cioccolata calda e... chi più ne ha più ne metta! Info: www.comune.savona.it 2-4 marzo, Savona – Liguria

Prodotti biologici e conferenze in tema di consapevolezza alimentare. Info: www.biosalute.eu 10-11 marzo, Santa Lucia di Piave (Tv) Veneto

15 7 Giornata nazionale delle ferrovie dimenticate Passeggiata nel Parco delle Dune Costiere lungo i sentieri sterrati tra lame carsiche, grotte e masserie. Info: www.cooperativaserapia.it marzo, Fasano (Br) – Puglia 4 Golosaria Tra i castelli del Monferrato un anticipo di primavera con due weekend di festa e degustazioni. Info: www.golosaria.it 2-4 marzo, Alessandria e Casale Monferrato / 9-11 marzo, Asti – Piemonte

5 Sorgentedelvino Live Mostra dei vini naturali. info: www.sorgentedelvinolive.org

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8 Festa di San Giovanni di Dio Tra le più suggestive della regione, si svolge a Troia, antichissima cittadina a ridosso del Tavoliere. Info: www.comune.troia.fg.it 8-9 marzo, Troia (Fg) – Puglia 9 Il Veneto al 300 x 100 300 vini di 100 aziende dimostrano l’eccellenza della produzione locale. Info: www.aisveneto.it 10 marzo, Susegana (Tv) – Veneto

11 Il Diamante Nero Manifestazione dedicata al tartufo nero con momenti di dibattito. Info: www.comune.scheggino.pg.it 10-11 marzo, Scheggino (Pg) – Umbria 12 Festival del formaggio In esposizione quasi 1000 tipi di formaggi nazionali da assaggiare. Info: www.kaesefestival.com 10-11 marzo, Campo Tures (Bz) Trentino-Alto Adige


13 Taste Salotto italiano del mangiare bene, dove si danno appuntamento i migliori operatori internazionali dell’alta gastronomia. Ricco programma di eventi Off. Info: www.fuoriditaste.it 10-12 marzo, Firenze – Toscana

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15 Sagra del Carciofo

20 Sagra del Carciofo Violetto

Presentazione e degustazione di numerosi piatti a base di carciofo e tipicità del territorio. Info: comune.uri.ss.it 11 marzo, Uri (Ss) – Sardegna

Degustazione del prodotto tipico e intensi momenti culturali e ludici. Info: www.sagracarciofoniscemi.it 23-25 marzo, Niscemi (Cl) - Sicilia

16 Sagra Campestre Festa durante la quale si possono gustare i piatti tipici della tradizione. D’obbligo lupini e“panittelle” benedette. Info:
www.comune.trebisacce.cs.it
 19 marzo, Trebisacce (Cs) – Calabria

14 Cioccolosità

21 Cavalcata di San Giuseppe

Maestri artigiani toscani, cioccolatieri e pasticceri artigiani presentano le proprie produzioni d’eccellenza. Info: www.comune.monsummano-terme.pt.it 11-13 marzo, Monsummano Terme (Pt) Toscana

Sfilata di cavalli con bardature floreali. Info: www.comune.scicli.rg.it 24 marzo, Scicli (Rg) – Sicilia

17 Sagra della Scurpella

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La Scurpella è un piatto fritto a base di pasta lievitata, per l’occasione viene preparato dalle donne del paese. Info: www.comune.fossalto.cb.it 19 marzo, Fossalto (Cb) – Molise

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22 Giornata FAI di Primavera Torna l’appuntamento con la giornata che festeggia venti anni e permette di scoprire le meraviglie nascoste d’Italia. Info: www.giornatafai.it 24-25 marzo, Località varie 23 Love Chocolate Oltre 20 espositori da tutta Italia propongono prelibatezze al cioccolato e offrono assaggi di dolci tipicità italiane. Info: www.comunesbt.it 24-25 marzo, San Benedetto del Tronto (Ap) – Marche

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Stand gastronomici, esibizione di gruppi folkloristici, musica e balli tradizionali. Info: www.prolocobotticino.it marzo, Botticino (Bs) – Lombardia

18 Festa di San Giuseppe

25 Sagra degli gnocchi

Falò nella piazza principale e musiche e danze folkloristiche nelle vie del paese. www.comune.farasanmartino.ch.it 19 marzo, Fara San Martino (Ch) Abruzzo

Gli gnocchi, colonna portante della kermesse, sono preparati dalle esperte mani delle massaie locali. Info: www.proloconazzano.com 25 marzo, Nazzano (Rm) – Lazio

19 Il falò di San Giuseppe Falò nei vari quartieri dell’antico paese arroccato su un’altura. Info: www.montescaglioso.net 19 marzo, Montescaglioso (Mt) Basilicata

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OTTOBRE MARZO 2012 2011

gi del gusto

Panorama

L’ALTRA ITALIA CIBO, VINO E TALENTI:

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Le scuole alberghiere L’Italia che merita di Marzo è quella degli istituti che hanno cresciuto generazioni di chef e dove crescono i talenti di domani

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Val di Sangro, terra di cuochi Lo chef Caracino ci racconta di una stirpe di cuochi e camerieri abruzzesi che hanno lavorato per re, imperatori e persino per Hitler

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A 25 anni dal caso metanolo L’indagine: lo scandalo che segnò il momento più buio per il vino italiano. Da lì è partita la rinascita. Solo un caso?

Personaggi 44

Donato Lanati A lezione dall’enologo-scienziato

54 Armando De Zan Mr. 50 milioni di bottiglie vendute

da pag. 58 Rubriche • Olio

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storie dall’Italia che merita

Il futuro d’Italia è servito Viaggio negli istituti professionali turistici e alberghieri da dove sono usciti i migliori chef tricolori. E dove crescono i cuochi che domani saranno la nuova ricchezza del Paese

Un nuovo modo di viaggiare sta conquistando un

sciuta come Legge Gelmini) il settore turistico ed enoga-

numero sempre crescente di appassionati. Sono i tu-

stronomico viene riorganizzato in funzione della forma-

risti enogastronomici. Si tratta di una forma di turismo

zione richiesta dagli operatori di settore. Infatti dalla

complessa,culturale,integrata,sostenibile quando è armo-

lettura di un recente lavoro di Unioncamere risulta che la

nizzata con la cultura, con l’arte e con gli eventi del terri-

richiesta di personale qualificato è superiore rispetto al

torio. La spesa di questo tipo di turista si distribuisce in

numero dei giovani formati in questo specifico settore.

maniera sostanzialmente omogenea su tutti i segmenti

Così le imprese provvedono a colmare il deficit di profes-

dell’offerta: dall’ospitalità alla cultura, dai prodotti enoga-

sionisti disponibili ricorrendo al mercato degli stranieri,

stronomici alle visite a mostre, musei e bellezze naturali-

con notevole perdita di professionalità. Se la carenza di

stiche. Chi si dovrà confrontare con questo nuovo tipo di

manodopera locale in altri settori, come ad esempio l’edi-

turismo sono i diplomati degli istituti alberghieri e turisti-

lizia e l’industria meccanica, risulta facilmente superabile

di Riccardo Lagorio

ci, concreti costruttori dell’Italia di domani. E il riordino

con il ricorso a personale straniero qualificato,perdere pro-

degli Istituti Alberghieri e degli Istituti Tecnici per il turi-

fessionalità nel settore turistico, enogastronomico e alber-

smo rappresenta la struttura della nuova scuola seconda-

ghiero significa perdere una professionalità permeata del-

ria del settore che necessita ora di innovazioni sostanziali

la cultura necessaria a promuovere il territorio,

nelle metodologie didattiche,nella selezione e formazione

pubblicizzarne le tipicità, l’arte, l’architettura, le ragioni

dei docenti, dei dirigenti e nella valutazione dei risultati.

stesse per cui un americano, un giapponese o un cinese e

Con la revisione della scuola secondaria superiore (cono-

un russo devono scegliere l’Italia per il proprio svago.

34


Linea diretta tra formazione e lavoro

to l’inverno facciamo ricerca per potere offrire al cliente

È Marina Aluchi a rispondermi al secondo squillo con

il meglio della ristorazione. Questo stato d’animo lo devo

voce acerba ma ferma, cadenza professionale e compe-

senz’altro alla scuola dove sono cresciuto, al grande mae-

tente.Telefono all’Istituto Professionale Erminio Maggia

stro Albano Mainardi». E i Numeri Uno usciti dall’Istitu-

di Stresa, uno dei capisaldi della formazione alberghiera

to Maggia sarebbero ancora molti da raccontare, come ad

in Italia. Fu fondato nel 1938 e da allora sono usciti dal-

esempio Alberto Gozzi, già sovrintendente delle attività

le sue aule alcuni tra i più importanti direttori d’albergo

di tavola e di cucina del Segretariato Generale della Pre-

a livello internazionale come Roberto Wirth (direttore

sidenza della Repubblica.

generale dell’Hotel Hassler di Roma) e Diego Masciaga,

Forse, quando si hanno 16 anni come Gianmarco Mar-

e chef del calibro di Alfonso Iaccarino. Lo rimarca con

cello che frequenta il terzo anno dell’Istituto Professiona-

soddisfazione Manuela Miglio, la dirigente scolastica:

le per i Servizi Alberghieri e la Ristorazione di Castel Vol-

«Da noi l’educazione è un concetto a tutto tondo che

turno, nel Casertano, il pensiero di guardare così avanti

vuol dire cultura,garbo,sorriso.I ragazzi vengono a scuo-

ancora non c’è. O forse sì: «Uscendo dalla scuola potrò

la in divisa dal primo giorno, non per costrizione ma

trovare lavoro in cucina, che è creatività e passione. Ne ho

perché riteniamo sia un valore». E nel difficile mondo

avuto prova durante il seminario che ho svolto la scorsa

della (dis)occupazione giovanile questa è un’isola felice.

estate in un grande ristorante di Ginevra, dove ho dovuto

«Chi esce dal nostro Istituto può continuare gli studi

praticare il francese. Alla fine lo capivo, e mi rendo conto

specialistici come all’Alma di Colorno o alla Scuola di

che per me sarà importante…».Dello stesso parere la pre-

Pollenzo, e nel frattempo inizia a lavorare, oppure deci-

side, Angela Petringa, secondo la quale «la scuola può da-

de di entrare nel mondo della professione direttamente.

re occasioni di lavoro solo se riesce ad alternare lezioni

Non sempre riusciamo a soddisfare il numero di richie-

teoriche ed esperienze presso strutture ricettive. La mo-

ste da parte di ristoranti e alberghi». E chi si diploma in

tivazione di un’esperienza pragmatica guiderà gli studen-

questa scuola pare mantenga per sempre un’attrazione

ti nelle loro scelte: è ciò su cui stiamo puntando in mezzo

fatale con le rive del lago Maggiore. Diego Masciaga ha

a mille difficoltà». Il riordino delle scuole pubbliche non

appena ricevuto l’onorificenza di Cavaliere al Merito

ha certo facilitato questa prospettiva,la decurtazione ora-

Per promuovere tipicità e territorio è necessaria una formazione adeguata che le scuole alberghiere garantiscono

dalle mani del presidente Napolitano, riconoscimento raro nel nostro Paese per chi lavora in questo settore. «Sono orgoglioso di essere italiano e trasfondere la mia italianità nell’incarico di direttore generale del Watersi-

Qui sotto l’Istituto Cornaro di Jesolo (Ve) che ospita oltre 800 allievi. A destra due gustose creazioni degli studenti dell’Istituto

de Inn», ha dichiarato Masciaga. Il Waterside Inn, nel villaggio di Bray che si srotola lungo il Tamigi, ha conquistato le tre stelle Michelin nel 1985 all’arrivo di Masciaga e non le ha mai perse. Un primato. «In una brigata di 65 persone almeno il 35% sono italiani, e una decina provengono dalla scuola che anch’io frequentai a Stresa: se questi giovani escono dal Maggia, hanno sicuramente un’attitudine verso la vita che corrisponde agli standard di un grande locale come ilWaterside Inn». La cultura non si acquista, ma va coltivata. «E la scuola deve dare gli strumenti per organizzare la propria professionalità», ribadisce Alfonso Iaccarino, geniale e passionario rivelatore del gusto campano e tricolore nel suo Don Alfonso 1890, luogo di innovazione legata a fitte trame alla tradizione. «Io non mi faccio coinvolgere dalle mode; con i miei figli sperimentiamo ogni giorno, tut-

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storiedall’Italia che merita

esi che scelgono l’Adriatico o le colline dell’interno alla ricerca di riposo e buon cibo. Una stretta collaborazione con le associazioni di categoria vengono segnalate come necessarie anche da Caltanissetta, all’Istituto Angelo Di Rocco, dove il preside ha intrecciato nei dieci anni di vita dell’Istituto, relazioni con la Federazione Provinciale Cuochi e l’Associazione Albergatori, attingendo il bacino di utenza scolastico dalle province di Enna e Agrigento. «Anche noi attuiamo corsi all’estero per i nostri studenti, ma facendo in modo che la cucina siciliana e i suoi prodotti siano al centro della loro attenzione», attacca Bruno Lupica. Un cuoco siciliano che si è formato lontano da casa, al Carlo Porta di Milano, ma che non ha mai lasciato idealmente la propria terra è Davide D’Arcamo. Dopo avere girato mezzo mondo è tornato sull’isola, a Resuttano, dove gestisce un affascinate baglio che lavora prodotti biologici, il Feudo Tudia. «La

Lo chef Alfonso Iaccarino del Don Alfonso 1890

ria si è spesso tradotta in diminuzione

Dati Unioncamere mostrano che la richiesta di personale qualificato è superiore rispetto al numero dei giovani formati nel settore alberghiero

delle ore di laboratorio,con serio danno al futuro della formazione degli alunni. I tagli lineari rappresentano un’agevole condotta

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scuola mi ha formato professionalmente, ma tecnicamente sono state le varie esperienze lavorative a farmi crescere definitivamente: se un ragazzo desidera diventare cuoco, la scuola dovrebbe impegnarsi sin dal primo anno a fare frequentare le cucine». Dove il mondo del lavoro e la scuola vanno in parallelo è all’Istituto Informatico eTuristico

Oronzo Costa di Lecce. Il dirigente Daniele Manni ogni settembre chiama a rapporto le aziende locali

per i politici, ma anche il più sprovveduto degli econo-

(alberghi, villaggi e residenze turistiche) e chiede loro co-

misti sa che spesso ciò si traduce in un irrevocabile dan-

sa si attendono dai nuovi diplomati. Il programma cerche-

no per tutto il sistema. E l’imperfetta formazione met-

rà di sintonizzarsi alle loro richieste tramite l’applicazione

te a rischio il futuro del Paese, se è vero che, come tutti

delle tecniche informatiche al servizio dello sviluppo tu-

dicono e pensano, l’Italia potrebbe vivere di turismo.

ristico. Nella scuola si sono anche inventati una coopera-

Un’altra dirigente scolastica,Paola Mambelli dell’Istitu-

tiva dal nome provocatorio, Repubblica Salentina. Orga-

to Bartolomeo Scappi di Castel San PietroTerme,espri-

nizza eventi e servizi a favore delle società del territorio,

me la propria preoccupazione, perché questa è una

creando opportunità di turismo anche fuori stagione.

scuola da cui ci si deve diplomare con un bagaglio di

Un decisivo supporto alla crescita professionale dei giova-

spiccata professionalità. «In questo senso è la Provincia

ni che devono affrontare con facilità il mondo del lavoro

a chiederci di organizzare dei percorsi di turismo eno-

lo offre l’Istituto Stanga di Pandino, in provincia di Cre-

gastronomico a cui partecipano i ragazzi. E noi rispon-

mona. Da oltre cinquant’anni lo Stanga è sinonimo di

diamo ben volentieri, inserendo anche una terza lingua

scuola casearia e da qui sono usciti numerosi allievi che

straniera obbligatoria, che ci caratterizza nel panorama

sono diventati dirigenti di successo.«La professionalità che

regionale». Si capisce: l’Emilia Romagna è tra le regioni

diamo è riconosciuta nel mondo del lavoro e le richieste

a più spiccata propensione turistica e serve capitale

di collaboratori è superiore al numero di studenti che fre-

umano in grado di soddisfare le esigenze dei nuovi Pa-

quentano la nostra scuola», asserisce Andrea Alquati, da


lio che ha sotto i piedi. Questo è quanto insegniamo ai ragazzi». E ne è testimone Antonio Crescitelli che ribadisce l’esistenza di una «palude di scuole e professioni che non portano a nulla se non alla disoccupazione, ma hanno miglior riconoscimento sociale; qui invece il posto lo abbiamo subito anche perché sono gli stessi professori a guidarci nell’inserimento professionale. E noi rispondiamo mettendo a frutto le informazioni che ci hanno passato». E in un momento dove la disoccupazione giovanile è alle stelle, è un traguardo non indifferente. Da Termoli a Cingoli, nel Maceratese. Qui l’Istituto Girolamo Varnelli è stato coinvolto in un’interessante esperienza realizzata presso l’istituto Italiano di Cultura di Londra, il progetto Ambasciatori del gusto. Artefice il preside, Elio Carfagna: «Abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con il Ministero degli esteri, la cui finalità è la promozione dell’enogastronomia italiana all’estero con particolare riferimento alla cultura della specifica area di provenienza dell’istituto selezionato e alla valorizzazione dei prodotti gastronomici, la promozione dei vini e delle riRoberto Wirth, direttore generale dell’Hotel Hassler di Roma

cette, nonché alla presentazione dei relativi beni artistici, architettonici e culturali. Il protocollo si concretizza attraverso l’organizzazione di iniziative

17 anni preside. E questa sembra essere la scuola ideale

ed eventi che ogni Istituto dovrà curare». Ma l’orgo-

anche per chi vuole avere un’alternativa vera al termine

glio del preside sboccia quando ricorda che due gio-

dei cinque anni di istruzione: non si è obbligati a conti-

vani formatisi al Varnelli sono stati premiati dal Mi-

nuare il corso degli studi e si trova un’occupazione; si

nistro del Turismo per il progetto Il sorriso

può proseguire e si ottiene una diversa professionalità.

dell’accoglienza. L’arte di fare turismo: dalla forma-

La scuola, statale, è l’unica in Italia ad avere un caseificio

zione alla professione. Ora Mirko Battaglini ha aper-

annesso che mette in vendita i prodotti degli studenti.

to un ristorante a Londra dove presenta piatti mar-

Quindi deve essere gestita proprio come un’azienda. E

chigiani; Mauro Raschia è titolare di un’apprezzata

gli studenti percepiscono questa responsabilità…

pasticceria a Civitanova Marche.

Nel nostro giro d’Italia alla ricerca delle migliori scuole

Pellegrino Artusi. Nomen omen: a Roma l’istituto di-

alberghiere o turistiche,l’Istituto per i ServiziAlberghie-

retto da Perla Pugliese è il decimo in Italia e primo nel

ri e della Ristorazione di Termoli è tra i più qualificati e

Lazio per bocciature. «La selezione viene fatta all’inter-

qualificanti. In ambito nazionale non è ancora chiara

no e nessuno è a spasso dopo i cinque anni di scuola. Il

l’attitudine di riconoscere l’enogastronomia e il turismo

rigore è tra i nostri princìpi e i ragazzi spesso accedono

come motori di sviluppo economico.«Si è pensato trop-

a ristoranti e alberghi di prestigio». E ricorda un ex alun-

po poco all’unicità dell’Italia nell’arte, nella cultura e si

no, direttore per anni dell’Hilton di Damasco: un altro

è investito nell’industria»,afferma Maria Chimisso,l’ap-

sogno realizzato, un ambasciatore della cultura italiana

passionata preside. «Come Paese noi dovremmo veico-

nel mondo. Ora tocca alle migliaia di studenti rimboc-

lare l’enogastronomia non con un approccio industria-

carsi le maniche perché qui in redazione, unitamente

le, ma aziendale. E soprattutto pensare a questo

ai nostri lettori, abbiamo capito che questo è il vero fu-

patrimonio come l’emiro del Qatar sa trattare il petro-

turo del nostro Paese.

Nella rete delle buone pratiche Ilario Ierace dal 2010 è presidente di Renaia, che ha il compito di coordinare le scuole a indirizzo turistico e alberghiero. Originariamente una mera associazione dei presidi, oggi rete nazionale degli istituti alberghieri. Il compito è sviluppare attività in comune, rappresentare le scuole nei confronti del Ministero dell’Istruzione, mettere in comune le buone pratiche e formare i dirigenti. Ammette che si potrebbero fare molte più ore di laboratorio per dare ai ragazzi una formazione consona al mercato del lavoro, ma passi avanti ne sono stati fatti anche perché la riforma non va a toccare i gangli portanti delle scuole a indirizzo turistico e alberghiero. A Jesolo, dove lavora presso l’Istituto Cornaro, gli allievi sono oltre 800 ma, dice «servirebbero altri due istituti per coprire il fabbisogno del turismo di questa parte del Veneto». Margini ampi per un turismo moderno ve ne sono molti. Ma ciò che conta è che chi esce da qui viene assunto anche da aziende che operano nel mondo della gastronomia, dei surgelati, della dolciaria e nella ristorazione veloce. «I ragazzi sanno che compiono una scelta di vita forte: spesso dovranno lavorare nei periodi in cui gli altri sono in festa». Anche questo fa selezione. 37


storie dall’Italia che merita

Lo storico chef del Clubino Dadi di Milano ci racconta la storia di una stirpe leggendaria di cuochi e camerieri “da esportazione” cresciuti nei paesini della provincia di Chieti , in Abruzzo, e chiamati in tutto il mondo a cucinare per re, imperatori e persino per Adolf Hitler C’è un posto in Abruzzo che, da secoli, sforna i migliori cuochi d’Italia “da esportazione”. Gente che, in tempi lontanissimi da quelli odierni dove gli chef sono diventati ormai fenomeni televisivi da baraccone, è andata in giro per il pianeta, anche a costo di sacrifici e privazioni, per insegnare al resto del mondo come si cucina e come si mangia italiano. Villa Santa Maria, Rosello, Borrello, Giuliopoli, Fallo, Pietraferrazzana, Roio del Sangro e Monte La Piana: paesetti da 500 anime o poco più, distanti un tiro di schioppo l’uno dall’altro in quel fazzoletto di terra, boschi e fiumi che chiamano Val di Sangro. È qui, nel cuore della provincia di Chieti, in mezzo a questi piccoli centri oggi spopolati dalla deindustrializzazione e dalla migrazione urbana, che è cresciuta un’intera generazione di chef, spesso autodidatti, ma dal talento purissimo. La leggenda dice che la tradizione culinaria della Val di Sangro risalga al 1500 ma il primo di questi maestri abruzzesi a portare le tradizioni gastronomiche del Belpaese fuori dai confi-

Dalla Val di Sangro alle cucine del Führer

ni nazionali, di cui si ha qualche notizia, è vissuto nell’800: si chiamava Giuseppe Cimino e le cronache narrano che si spinse fino in Russia e in Giappone, chiamato a cucinare per le più importanti famiglie nobiliari e titolate di quei paesi. Roba che sembra uscita da un feuilleton. E invece è tutto vero: a Rosello, suo (e mio) paese d’origine, ce lo ricordiamo ancora, Cimino. La sua storia l’ho sentita raccontare dagli anziani. E mi è sempre sembrato incredibile pensare al viaggio che ha intrapreso in un’epoca in cui già spostarsi in Italia era disagevole, figuriamoci mettersi in viaggio verso altri continenti! Quella di Giuseppe Cimino è stata un’esperien-

di Michele Caracino

38

za di vita, e di cucina, che ha fatto un po’ da model-


L’Italia che merita menzione d’onore liopoli, a Sacconi di Villa Santa Maria, a Coletta di Roio del Sangro. Tutti maestri cuochi che hanno lavorato al servizio delle più blasonate case regnanti, nelle ambasciate, nei più importanti alberghi dei cinque continenti e sulle grandi navi da crociera di un tempo, come la Raffaello e la Michelangelo. Ancora più di Rosello tuttavia, è Villa Santa Maria il comune che può fregiarsi, a buon diritto, del titolo di “Patria di cuochi” e che ha scelto di non disperdere questa straordinaria (e purtroppo sconosciuta ai più) tradizione di eccellenze gastronomiche e ristorative che i suoi figli possono vantare. Lì, a Villa, alla fine degli anni ’30, non a caso è stata aperta una delle prime scuole alberghiere d’Italia, che oggi è intitolata allo chef villese Giovanni Marchitelli ed è un punto di riferimento per operatori turistico-alberghieri italiani e internazionali. Ma non solo: il paese vanta anche un Museo dei Cuochi, unico nel suo genere in Italia, e forse nel mondo, istituito proprio per “raccogliere le testimonianze dei grandi cuochi di Villa Santa Maria” e conservare a futura memoria gli attestati del lavoro da loro svolto e le loro straordinarie storie professionali. Anche l’attuale sindaco di Villa Santa Maria, Vito Paolini, ha una famiglia con una storia gastronomica di incredibile fascino: suo padre Salvatore, infatti, partito dal paese per la Germania nel primo Dopoguerra, è arrivato a fare In apertura il monumento ai cuochi e ai camerieri a Villa Santa Maria (Ch). Qui sopra il documento che raffigura Salvatore Paolini ai tempi del suo servizio agli ordini di Hitler

il cameriere nientemeno che ad Adolf Hitler: proprio lui, il Führer. «Sì – racconta il sindaco – fu uno dei pochi ad avere il privilegio di vedere il terribile Führer in pantofole, dal momento che gli fece da domestico a Obersalzberg, nel celeberrimo Ni-

lo per tanti ragazzi di Rosello e dei centri

do delle Aquile, lo chalet-fortezza in cui Hitler

limitrofi. Negli anni ’50 e ’60 con il lavoro che

amava passare le vacanze circondato dai gerarchi

scarseggiava, noi ragazzi avevamo solo due alter-

del Terzo Reich. Qui a Villa sono venuti in tanti a

native: fare i contadini oppure emigrare. La mag-

farsi raccontare questa storia, assieme a tutte quel-

gior parte di noi ha scelto di partire in cerca di

le degli altri villesi che hanno onorato la tradizione

fortuna. E molti dei miei conterranei, così come

gastronomica e ristorativa del paese partita con i

me, sull’esempio del mitico Giuseppe Cimino, si

principi Caracciolo nel 1500». Se passate da queste

sono dati alla gastronomia, riuscendo a fare car-

parti, non vi sarà difficile capire di essere arrivati a

riere prestigiose. Penso ad esempio a Renato Per-

Villa Santa Maria: a darvi il benvenuto, ci sarà,

cario che ha lavorato per Margaret d’Inghilterra,

manco a dirlo, la statua bronzea del cuoco e del

ad Ugo Margiotta, a Nicola Caracino, Rinaldo Ci-

cameriere, doveroso omaggio della comunità vil-

mino e poi ancora a Fernando Beneduce di Giu-

lese all’impareggiabile storia culinaria del paese.

Luna Sicana: azienda giovane, sapori antichi La società agricola Luna Sicana di Casteltermini (Ag), comincia la sua avventura nel 2008 spinta dalla volontà di esaltare le potenzialità delle terre di Sicilia con la coltivazione di vigneti, uliveti e pistacchieti. La valorizzazione dei vitigni in essere, la sperimentazione di nuovi prodotti e la loro realizzazione conseguita mantenendo un’elevata qualità in tutte le fasi del processo lavorativo, sono il senso che l’azienda vuole dare a questa nuova sfida, senso che viene ben rappresentato dallo spumante brut Luna y Sol. Nato dalla vinificazione in bianco di uve di Nero d’Avola la cui vendemmia si svolge ai primi di agosto, momento di ottimale rapporto zuccheri/ acidità – con raccolta a mano in cassette dalle cinque alle dieci del mattino per preservare la freschezza delle uve – all’assaggio Luna y Sol si apre delicatamente con il ricordo di un prato in fiore. I toni assumono poi sostanza con la frutta bianca e i pistilli di zafferano, si arricchiscono di mineralità e macchia mediterranea con rosmarino e timo. Più passa il tempo nel bicchiere, inoltre, più si intensifica la coralità delle sue componenti odorose che si fanno complesse chiudendo con melograno e agrumi.

39


l’indagine

Il caso metanolo ha salvato il vino italiano? A un quarto di secolo dal tragico scandalo, Lamberto Vallarino Gancia, presidente nazionale Federvini, e Walter Massa (Federazione Vignaioli Indipendenti), ci illustrano le loro diverse opinioni di Francesco Condoluci

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Cosa sarebbe stato oggi il vino italiano senza lo scan-

sua Pocket Guide of Italian Wines per primo fece

dalo metanolo di 25 anni fa? In tempi di picchi re-

conoscere i nostri vini Oltreoceano – e lo conferma-

cord per l’export di italian wine (e all’approssimar-

no i produttori.

si dell’appuntamento annuale con il Vinitaly) chiederselo è più che mai legittimo. Anche perchè

Dalle stalle alle stelle

c’è un’opinione diffusa, che da anni aleggia sul mon-

Certo, resta difficile spiegarlo a chi quel dramma di

do enoico nazionale. E cioè che la tragica vicenda

ingordigia e irresponsabilità l’ha vissuta sulla propria

del vino al metanolo, alla fine – fermo restando il

pelle, ma un dato è certo: da quella primavera del

massimo rispetto che tutti nutriamo per le decine

1986, quando gli intrugli letali tra vino da tavola e al-

di vittime e i loro familiari che ancora attendono

col metilico, praticati dai “furbetti delle cantine” per

giustizia – sia risultata una ciambella di salvataggio,

aumentare la gradazione alcolica, mieterono le prime

un evento paradossalmente salvifico che ha fatto da

vittime, il vino italiano ha subito una trasformazione

spartiacque per la storia dell’enologia tricolore, una

radicale. Sono aumentati i controlli, cambiati i sistemi

sorta di nemesi purificatrice in forza della quale nul-

di produzione, diminuite le adulterazioni, e anche i

la, in quel mondo, è stato più lo stesso. Lo dicono gli

consumatori, messi al bando i vini cheap (a buon

esperti – a partire da quel Burton Anderson, il wine

mercato), hanno cominciato ad aprire gli occhi e sce-

writer americano che, alla fine degli anni ’70, con la

gliere con più oculatezza sugli scaffali. In una parola,


la cultura enologica italiana è salita di livello. E di tutto questo ne ha guadagnato, ovviamente, anche il business. Senza dimenticare, come giustamente sottolinea qualcuno, che oggi anche se bevi un vino adulterato non ci rimetti la vista o la pelle, al massimo te la cavi con un mal di pancia. Segno, evidentemente, che gli effetti mediatici e il crollo di mercato cagionati da quello scandalo hanno innescato processi virtuosi e portato conseguentemente a una rinascita qualitativa del vino italiano. Che, negli anni a seguire, dal punto di vista dei fatturati e del prestigio internazionale, si è reso protagonista, com’è noto, di una crescita senza soluzione di continuità, confermandosi anno dopo anno, come “l’ambasciatore per eccellenza dell’immagine, dello stile e dell’eccellenza dell’Italia all’estero”. Un traguardo straordinario se si pensa che in quei terribili giorni di 25 anni fa, nell’anno che segnò perdite per un quarto del valore dell’intero settore, i vini italiani venivano sdegnosamente bloccati alle dogane in tutti i paesi. L’inversione di tendenza dell’ultimo quarto di secolo può essere stata dunque solo un caso? O, al solito, gli italiani tirano fuori il meglio proprio quando sono a un passo dal baratro?

Nel 1986, dopo i morti causati dall’abuso di alcol metilico nelle cantine, l’italian wine ha conosciuto il suo momento più buio. Da allora è partita la rinascita che ha portato ai risultati di oggi: è stato solo un caso?

Lamberto Vallarino Gancia (Federvini)

«Il cambiamento ci sarebbe stato comunque»

presenti nelle riflessioni degli operatori».

Il presidente nazionale della Federvini,

Quali sono stati gli effetti più incisivi del-

Lamberto Vallarino Gancia è d’accordo ma

la reazione?

solo parzialmente su questa tesi: «L’opinio-

«Il vino italiano già all’epoca si “spartiva”

ne secondo cui la tragedia del metanolo

il mercato con i francesi. La reazione al

abbia, in qualche modo,“salvato” il vino ita-

metanolo ha contribuito ancor di più a

liano, come tutte le sintesi è parziale ­– dice

consolidare la serietà di piccoli, medi e

– ma è indubbio che siano conseguiti mag-

grandi produttori. Forse la grande diffe-

giori controlli, diverse prescrizioni per se-

renza fra il prima e il dopo metanolo, sta

guire i flussi del vino, immediati investi-

nell’esigenza di intervenire sull’immagi-

menti per comunicare che il vino italiano

ne e la qualificazione dei nostri prodotti.

non era “metanolo”, fino ad arrivare alla

Prima avevamo già ottime produzioni,

nuova legge sulle denominazioni dei vini.

ma forse si dava per scontato che comun-

L’immediatezza della reazione e la chiarez-

que il vino italiano giocava un ruolo di

za degli obiettivi sono anche un segno che

“secondo” arrivato. Dopo il 1986, fummo

i fermenti di quei cambiamenti erano già

obbligati a rassicurare i consumatori sul-

41


l’indagine

Massa: «Le adulterazioni sono finite, oggi il problema sono i taroccamenti» la qualità dei nostri prodotti e a convincere le

Per Vallarino Gancia dunque, il caso me-

E oggi? Siamo certi che fenomeni tragici

autorità di controllo dei paesi di esportazione

tanolo avrebbe soltanto accelerato un

come quello del metanolo non si ripete-

sulla serietà dei produttori e l’efficacia dei

cambiamento nel mondo del vino italiano

ranno mai più?

controlli. È stato lo scatto d’orgoglio che ha

che, comunque, era già in essere.

«Direi di sì. Ma semplicemente, perché

innescato un cambio di passo e consolidato il

Walter Massa, vigneron dei colli Tortone-

adesso fare il vino con l’uva costa talmente

peso e il ruolo di chi da sempre ha prodotto

si ed esponente della Federazione Vigna-

poco che sarebbe da stupidi fare le cose fuo-

secondo le regole».

ioli Indipendenti, invece non la pensa co-

ri legge. Piuttosto bisognerebbe parlare in-

sì. E alla diplomazia, da protocollo, del

vece del problema dei “taroccamenti”. Io

Ma il vino che si produce oggi in Italia è dav-

presidente nazionale di Federvini, con-

ripeto spesso che “le vigne hanno le ruote”.

vero esente dalle adulterazioni del passato?

trappone la verve polemica di chi è abi-

Siamo sicuri che il Chianti o il Soave ven-

«Purtroppo, come in tutte le attività econo-

tuato a non avere peli sulla lingua. «Dopo

gano fatti secondo il disciplinare di produ-

miche, ci sono i professionisti e gli appassio-

quella tragedia è cambiato tutto – sostiene

zione? Ve lo dico io: no. E sapete perché?

nati, la quasi totalità, e pochissime pecore ne-

infatti Massa – erano i primi del ’900

Perché non c’è la volontà politica, da parte

re che però fanno più notizia. Il fatto che

quando mio nonno usava scherzare dicen-

di quei “professionisti dei tavoli” che passa-

siano regolarmente individuati è comunque

do di “tagliare le vigne e costruire delle

no il loro tempo non a produrre vino, ma a

la prova che i controlli sono efficaci, e che la

vasche”. Una volta si consumava acqua

stare seduti al Ministero dell’Agricoltura

complessità delle regole è stata studiata in

sporca, non vino. Si era abituati a utilizza-

con i rappresentanti del governo, per cura-

modo approfondito e ha generato tutta quel-

re sempre le scorciatoie. Poi, con il meta-

re i loro interessi. La stessa gente che impe-

la serie di comportamenti che ne garantiscono

nolo, e purtroppo sulla pelle di chi ci ha

disce ai produttori come me di mettere sul-

il rispetto».

rimesso la vita, è arrivata la svolta cultu-

le nostre bottiglie l’etichetta “vino

rale. Si è cominciati a percepire il vino co-

artigianale”. Chi vive tutti i giorni l’artigia-

I dati dicono che il vino è tuttora l’asset più

me un prodotto edonistico e si è investito

nalità vera, la cantina, dovrebbe poter sce-

forte dell’agroalimentare italiano: cos’è che

seriamente sulle vigne. L’Italia, nel frat-

gliere il proprio metodo e la propria eti-

lo rende così vincente?

tempo, è anche cambiata sul piano dei

chetta. Ma ciò non viene consentito perchè,

«In primis l’offerta in grado di soddisfare qual-

consumi. Allora si usciva fuori a cena in

“in alto”, darebbe troppo fastidio».

siasi gusto e richiesta, poi l’importanza storica e

media 2 volte al mese, oggi al ristorante si

culturale del nostro patrimonio, il territorio e

mangia 5 giorni a settimana. La cultura

l’unicità dei nostri prodotti, e il fatto che chi li

enologica dell’italiano medio si è alzata:

consuma se ne sente parte. Quindi la nostra co-

oggi le bottiglie datate sono le più ambite,

spicua presenza sui mercati esteri, valorizzata

la gente non vuole bere porcherie, dopo il

dai nostri connazionali che vivono fuori dall’Ita-

metanolo si è abituata ad accarezzare il

lia e dal lavoro della nostra ristorazione nel mon-

palato e non più a spendere poco».

do. È un puzzle che tanti hanno realizzato col

42

proprio piccolo o grande apporto. Credo sia ne-

Sul versante dei produttori, cos’è cambia-

cessario fare sempre più squadra anche con gli

to invece?

altri settori dell’agroalimentare, abbinare sem-

«È emersa gente che credeva nelle proprie

pre più le operazioni di promozione congiunta,

radici e faceva le cose con il buon senso.

avere dei “testimoni” da passarci di mano in ma-

Si è guardato al modello francese, facendo

no quando mostriamo i nostri territori e le no-

“cultura del vino” e non limitandosi inve-

stre sapienze produttive e favorire l’educazione

ce a copiare, come tanti pappagalli, le bol-

ai consumi, per esempio al bere in stile mediter-

licine. Anche il mondo della divulgazione

raneo ormai patrimonio mondiale dell’Unesco

si è adeguato, promuovendo i vini legati

con la sua dieta».

alle nostre radici, alla nostra cultura».

Walter Massa, vignaiolo indipendente dei Colli Tortonesi


marcialisgroup.com

Sovrano correttivo del caffè.

Bevi Varnelli responsabilmente

Made in Marche

varnelli.it


personaggi

Professor Lanati, com’è arrivato alla scelta di fare l’enologo e perché è nata Enosis? È improbabile che un bambino di 8 o 9 anni esprima il desiderio di fare da grande l’enologo, a meno che sia figlio d’arte o sia nato in un territorio ad alta vocazione viticola; molto più facile sentirgli dire che vorrà fare il medico, l’avvocato, il pilota o il calciatore. Io sono un’eccezione, perché sono nato a Voghera da genitori che facevano tutt’altro che occuparsi di vigneti e di vino. Un giorno di settembre di molti anni fa con mio padre, che era cacciatore, andammo nel Monferrato e ci fermammo in aperta campagna, più precisamente a Cuccaro Monferrato. Fui libero di correre in una vigna e io, che non avevo mai visto la pianta dell’uva prima di allora, di fronte ai grappoli di un bellissimo colore blu luminoso, che mi sembravano piramidi capovolte, restai incantato, quasi folgorato, come un bambino nel paese dei balocchi! Tornai di corsa da mia madre e le dissi che da grande avrei voluto studiare quei frutti. Avevo trovato la motivazione della mia vita. Quell’attimo magico, ricco di emozione e di passione, mi aveva indicato la via: diventare enologo. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi personaggi nel mondo del vino, che mi hanno insegnato moltissimo. Tra questi metto ai primi posti il Professor Eynard, che considero il mio maestro in assoluto, e Annibale Gandini, un grande microbiologo. Sono stati loro a insegnarmi l’importanza della conoscenza, il valore delle idee e quanto siano fondamentali la ricerca e il

A lezione di enologia dal professor Lanati Lo definiscono l’enologo scienziato. Consulente di personaggi come Gerard Depardieu e Carole Bouquet e fondatore nel 1990 di Enosis – Centro Servizi e Ricerca in Enologia e Viticultura – Donato Lanati è un grande comunicatore e ha reso accessibile ai più l’affascinante mondo del vino di Roberto Rabachino

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suo tempismo. Questi maestri mi hanno portato in giro per il mondo e proprio durante quei viaggi notai che i centri nei quali si facevano ricerca, formazione e applicazione dei risultati, spesso si trovavano in luoghi distanti centinaia di chilometri tra loro. È da quel momento che ho iniziato a pensare a Enosis: sognavo un centro dedicato allo studio del vino, dove si applicasse la ricerca all’attività quotidiana, in cui si formassero enologi molto qualificati e si applicasse un metodo di lavoro basato sulle conoscenze. E questo sogno si è realizzato! Enosis è una realtà, che ha la sua sede in una cascina che fu costruita sulla cima di una collina, chiamata Meraviglia perché domina il Monferrato a 360 gradi, con una vista che arriva fino alle Alpi. In questo luogo la “ricerca” è applicata al lavoro di molte tra le principali aziende vinicole italiane


alta la concentrazione sui temi che ci stanno a cuore quali: la sicurezza alimentare, l’elevata qualità, l’origine territoriale e la tracciabilità del vino. La vera chiave di volta è stata lo studio dell’acino: capire cosa contiene, quali sono i punti di forza o di debolezza dell’uva Sangiovese rispetto al Nebbiolo o al Merlot, ci hanno permesso di interpretare in chiave scientifica la tradizione e il territorio. Conoscendo tutte le molecole di qualità presenti in un acino possiamo capire il valore di quel vigneto particolare in cui si è formato e studiare come mantenere l’espressione della territorialità, per arrivare a un vino dalla qualità facilmente percepibile dal consumatore e riconducibile a un determinato luogo d’origine. Un altro aspetto importante è scaturito dalla domanda che ci siamo posti sul modo più efficace per garantire e comunicare al consumatore che ci sono prodotti di qualità elevata e sicurezza alimentare certa, ottenuti rispettando l’ambiente da cui provengono. La risposta è un marchio di certezza che garantisce, oltre a determinati parametri qualitativi, l’assenza di sostanze dannose alla salute, il risparmio energetico e la contenuta emissione di In alto: Donato Lanati e Genesis, il vinificatore da lui inventato. Sotto: la sede Enosis

CO2 nella filiera di produzione, il rispetto della natura sia in vigna sia in cantina e l’utilizzo razionale dei solfiti. Tutto ciò è espresso sulla bottiglia attraverso

e del mondo ed è all’Enosis che trova sede l’ultimo anno del corso di laurea di secondo livello in enologia dell’Università di Torino. Qual è l’innovazione che il suo lavoro ha apportato all’enologia tradizionale? La cosa che ho sempre cercato di capire è stata la verità insita nella tradizione. La tradizione si basa sui risultati ottenuti in centinaia di vendemmie che si sono susseguite nel tempo e da sperimentazioni approssimative fatte per decenni dai contadini. Oggi strumenti precisissimi ci permettono di capire l’evolversi dei fenomeni che avvengono nella trasformazione dell’uva in vino e poi nel suo affinamento, consentendoci di dare razionalità scientifica ai procedimenti elaborati per intuizione dalla tradizione contadina. Da solo non sarei mai riuscito a raggiungere le conoscenze che mi mancavano, così nel tempo ho cercato di formare una squadra dalle diverse specializzazioni e competenze che lavorando insieme mantengono

«Nello scegliere un vino, il consumatore pretende che abbia una personalità, che gli trasmetta conoscenze, ambisce a una ventata di cultura che lo faccia sentire importante»

il logo Mister Wine, l’Uomo del vino e della terra, che permette di trovare online tutti i dati analitici e le informazioni che corrispondono a quel lotto di vino. Il nostro desiderio è stato quello di dare origine a un marchio che, oltre a certezze, fornisca informazioni e immagini sui luoghi di produzione perché al consumatore d’oggi non bastano più le garanzie di qualità: pretende anche cultura. La definizione di winemaker è molto di moda e viene spesso preferita a quella di enologo. Lei come ama essere definito? Le rispondo rifacendomi all’etimologia delle due parole. Il termine inglese significa letteralmente “colui che fa il vino”. Maker deriva dal verbo to make, che tradotto in italiano vuol dire fare, costruire. Enologo significa “colui che studia il vino”, con la quale mi identifico. Inoltre winemaker mi sa tanto di guru, di apprendista stregone. Il che è fuorviante, perché il vino è un progetto in cui l’enologo fa parte di un siste-

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personaggi

una sorta di nobile dimensione che nell’immaginario collettivo è vista come un ideale di misteriosa occupazione. Ovviamente poi la realtà della produzione vinicola si scontra con problemi tecnici, di gestione, di comunicazione che è bene rimangano un po’ in sordina per far emergere solo l’aspetto del piacere e del fascino che il vino sa evocare e proprio nell’esaltazione di questi aspetti credo sia assolutamente positiva l’ondata di attenzione e curiosità che ha investito il vino anche grazie alle produzioni vinicole di Cavalli, di Sting o di Francis Ford Coppola. Se le celebrità si dedicano al mondo del vino solo perché di moda non si va molto lontano: le mode sono effimere, invece i territori rimangono. Ecco perché mi trovo bene con coloro che si sono dedicati al vino ma prima di tutto alla terra per passione e non per moda. In questo caso spesso sono riusciti ad apportare un valore aggiunto non soltanto economico, con capitali da investire per far crescere un territorio, ma anche mentalità innovative che quel territorio hanno permesso di interpreIl marchio Mister Wine, permette di risalire con semplicità ai dati analitici e a tutte le informazioni che corrispondono a un particolare lotto di vino

tare in maniera scientifica e originale. Se mi è consentito fare degli esempi, citerei il podere di Pasquale Forte a Castiglione d’Orcia in Toscana, l’azienda di

L’enologo è un personaggio molto particolare nel mondo del vino: un po’ psicologo un po’ veggente, è allo stesso tempo un tecnico, un intrattenitore e un uomo di comunicazione

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ma composto dal territorio, dalla varietà e dal produt-

Carol Bouquet a Pantelleria e ai suoi tempi l’azienda

tore, ma è il vino, non lui, il protagonista.Winemaker

di Niels Liedholm nel Monferrato.

o enologo non fa differenza: importante è la sensibilità, che bisogna mettere nel nostro lavoro per inter-

Come sarà il vino del futuro?

pretare il territorio, e la costanza che bisogna avere

Io sono convinto che la sua qualità dovrà andare mol-

nel preservare e rispettare le nostre varietà e la loro

to di là del profumo, del colore e del gusto che sono

originalità. L’enologo o winemaker è un personaggio

stati finora gli obiettivi della nostra ricerca. Già oggi

molto particolare nel mondo del vino: è un po’ psi-

il consumatore, anche quando beve un vino che co-

cologo, perché deve saper interpretare i desideri e le

sta pochi euro, vuole qualcosa di più: pretende che

aspirazioni degli imprenditori, un po’ veggente per

abbia una personalità da poter quasi toccare, un ca-

riuscire a precorrere i tempi e prevedere i gusti del

rattere che gli comunichi delle conoscenze, ambisce

consumatore, ma nello stesso tempo è uno scienzia-

inconsapevolmente a una ventata di cultura che lo

to, un intrattenitore e un uomo di comunicazione. Il

faccia sentire importante. Il vino del futuro è quello

nostro è un mestiere molto affascinante!

che entusiasma chi lo beve, dando emozioni provocate dal riconoscimento sia della varietà sia della zona

Cosa pensa della recente moda che ha coinvolto le

d’origine. Emozioni che in una frazione di secondo,

celebrità ad investire nel vino?

in un battito d’ali del pensiero, ti fanno trovare là, nel

Il vino è diventato di moda, suscita grande fascina-

territorio dove quel vino ha la sua storia e la sua tra-

zione e di conseguenza dà molta visibilità mediati-

dizione, a confrontarsi con la cultura della sua gente.

ca. È fisiologico che sia riuscito a coinvolgere anche

Questo è quanto di più efficace e onesto io sappia

il mondo dello spettacolo. Dietro al vino si muove

immaginare per legare la gente in modo duraturo a

tutto un mondo di cultura, tradizione, esperienze:

quel vino, a quel produttore e a quel territorio.



l’altra Italia: cibo, vino e talenti cover story

La faccia vincente del Belpaese Ce la farà l’Italia? O meglio: ce la faranno gli italiani a scivolare indenni fuori dall’impasse? In attesa che le istituzioni facciano il loro lavoro, ci siamo chiesti quali possano essere le molle che ci tireranno fuori dalla crisi. È nata così l’idea di raccontare alcune storie rappresentative di quanto gli italiani, nelle occasioni difficili, possano dimostrare di meritarsi credito nel mondo intero di Riccardo Lagorio

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Esistono, ne siamo certi, ragioni strutturali che fanno del

nire da grandi produttori, capaci di organizzare una rete

nostro Paese qualcosa di diverso dalla Germania, dalla

di offerta su scala (almeno) nazionale al tempo stesso che

Francia e anche dalla Cina e dagli Stati Uniti. Sono quel-

il turista veniva dirottato esclusivamente (ripeto: per co-

le stesse ragioni strutturali che fanno dell’Italia un luogo

modità) in luoghi blasonati. Abbandonate alcune pecu-

appetibile per trascorrervi una vacanza e che ci hanno ca-

liarità di cultura materiale, al nostro Paese non è rimasto

ratterizzato sul mercato internazionale per i buoni sapo-

che fare la guerra sul fronte dei grandi numeri, delle frotte

ri e lo stile che sappiamo esportare. Un infuso di storia e

di turisti innamorati dello stereotipo degli spaghetti, del

luoghi impervi (bensì affascinanti) che ha dato origine a

mandolino e della laguna che affoga anno dopo anno in-

un’ultrasecolare selezione di formaggi, di salumi, di vini,

sieme a una delle più straordinarie meraviglie del mon-

di carni, di oli, di paste, di risi e poi di conserve, di dolci,

do. Ma l’Italia non è questo. O non è solamente questo.

di unioni tra le materie prime citate che procurano gioia

L’Italia può uscire dal pantano solo se vende un tutt’uno

e stupore in chi ci visita. È pur vero che il turista è spinto

tricolore fatto di peculiarità introvabili là da dove i visita-

dalle grandi agenzie turistiche a recarsi a Venezia, Firenze,

tori provengono: laghi pittoreschi con i loro oli profuma-

Roma, forse a Milano e sulla Costiera Amalfitana e così

ti, minuscoli centri urbani da cui provengono straordina-

sfuggono i mille e mille campanili che meriterebbero una

ri salumi, ripide montagne e incantevoli formaggi. E mi

sosta e una riflessione più accurata; ed è altrettanto con-

sembra che pochi abbiano saputo attuare questa scelta,

solidato il fatto che a quel tipo di turista vengono fatti co-

al di là delle dichiarazioni di rito.

noscere, per ragioni di tempo e di opportunità, quasi solo esclusivamente i formaggi più diffusi, i salumi più noti, le

Tutti assieme per il figo moro

etichette considerate (da chi?) più prestigiose. Restano

Il nostro viaggio parte da quel Nord-Est che spesso ha dimo-

fuori da questa miracolosa cerchia che dà reddito pulito

strato di sapercela fare sparigliando le carte della concorren-

(perché rigenerabile con il semplice ricorso della natura

za e imponendosi all’attenzione mondiale.A Caneva, fazzo-

e del saper fare italico) straordinari prodotti che (al pari

letto di Friuli impregnato ancora di Veneto, non lontano da

della cattedrale di Trani o del perimetro murato di Cit-

Sacile dove il Livenza fa della cittadina una perla gemmata

tadella) quel turista si perde. Il mercato che ha cambiato

dalla Serenissima, un gruppo di agricoltori e appassionati si

regole formalizzate da secoli ha imposto che alcune tra

è preso a cuore le sorti del fico dalla buccia sottile e violet-

le nostre migliori creazioni alimentari dovessero prove-

ta, il figo moro. Una volta essiccato, al tempo dei dogi ve-

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l’altra Italia: cibo, vino e talenti cover story

Il vino è il miglior ambasciatore dell’Italia nel mondo Il recente investimento nell’italian wine da parte del Brazos Equity Partners, un fondo privato americano, dimostra ancora una volta che l’agroalimentare, in tutte le sue declinazioni è una delle eccellenze del made in Italy: non sfruttare le immense ricchezze dei nostri territori significa fare un regalo ai nostri competitor di Roberto Rabachino L’ostacolo più grande in questo momento è credere di non avere scelta e pensare che la situazione sia immutabile e per questo motivo sia inutile combattere o soffrire. Niente di più sbagliato! In Italia, fino al metanolo, praticamente non esisteva un’economica enologica. Nella stragrande maggioranza dei casi, in cantina avveniva di tutto, con forti dubbi non solo sulla qualità ma anche sulla salubrità del prodotto. Poi è arrivata la disgrazia del metanolo, e tutto è cambiato e a guadagnarci è stata l’intera filiera del vino che, guarda caso, ha incrementato non solo le esportazioni ma soprattutto la qualità e la credibilità internazionale. Molti osservatori stranieri concordano nel dire che noi italiani stiamo distruggendo sistematicamente quello che di buono abbiamo fatto e che il nostro più grande problema è quello di guardare il futuro con paura e ansia. Il nostro futuro. Ma cos’è il futuro? Il futuro, per definizione, ha contorni un po’ vaghi. C’è chi lo teme e chi lo invoca. Ai tempi di Cicerone si usava scrivere mala tempora currunt, che tradotto in linguaggio corrente significa “tira una brutta aria”. Indiscutibilmente, il futuro è la parte di tempo che ancora non ha avuto luogo. Eleanor Roosevelt definiva il futuro “peculiarità di chi crede alla bellezza dei propri sogni” mentre Friedrich Nietzsche dichiarava che “il futuro influenza il presente tanto quanto il passato”. Per quel che mi riguarda credo che pensare al nostro futuro sia semplicemente uno stimolo per migliorarci. Certo, l’aria che tira in questo periodo non è delle migliori ma, per favore, non “buttiamo l’acqua sporca con tutto il bambino”! Abbiamo delle eccellenze in Italia? Sicuramente sì. Una di queste è indubbiamente l’agroalimentare in tutte le sue declinazioni. È certificato da tutti che questo comparto sia uno straordinario veicolo di promozione internazionale del nostro paese e rappresenti un importante capitolo per la nostra economia, cerchiamo dunque di analizzare, laicamente e senza preconcetti, alcuni indiscutibili dati. Nel 2011, ci dice il Centro Studi Coldiretti, è stato raggiunto il massimo 50

storico di 30 miliardi nel valore delle esportazioni, in crescita del 9% sul 2010. A crescere all’estero sono stati i settori più tradizionali del Made in Italy come il vino, che ha messo a segno un aumento record in valore del 25%, i formaggi a partire da Grana Padano e Parmigiano Reggiano, che sono i più esportati con una crescita del 26%, ma anche l’olio di oliva (+9%) e la pasta (+7%). Pressoché stabile l’ortofrutta, la voce più “pesante” con il vino. E non mancano risultati sorprendenti, come il boom del 18% nell’export della birra italiana in Gran Bretagna, grande paese produttore di questa bevanda o la crescita record dello spumante in Russia che, con un +40%, si classifica addirittura al quarto posto tra i paesi esteri di destinazione, ma anche l’incremento del 22% nelle esportazioni di formaggi italiani in Francia, che è tradizionalmente molto nazionalista in questo campo. Brazos Equity Partners, fondo privato americano con 1,4 miliardi di dollari di capitale in gestione e 715 milioni di dollari di “liquidità”, che controlla 55 marchi top in settori che vanno dai servizi alla sanità, dall’industria alla finanza, dal food & beverage alla distribuzione, ha deciso di investire nel vino ed è diventato primo azionista di Winebow, uno dei più importanti importatori e distributori di vini italiani (e non solo) degli Stati Uniti, fondato da Leonardo Lo Cascio, che oggi ha in portafoglio 122 brand da tutto il mondo, Italia in primis, e serve altri 125 distributori per un business che tocca tutti i 50 stati Usa. Nella prima conferenza stampa il responsabile della Brazos ha dichiarato che «uno dei motivi che ha portato all’investimento, è la massiccia presenza, nel portafoglio fornitori, di titolate aziende produttrici italiane tipo». E poi, il nostro turismo. È una risorsa importante dell’Italia. Per decenni è stato considerato una sorta di comparto economico ad esclusivo appannaggio di albergatori e commercianti di souvenir. Certamente un’economia importante ma molto meno importante dell’industria o del commercio. Come è noto ormai a tutti, il nostro territorio rappresenta un universo unico

nel panorama dell’offerta mondiale. Abbiamo una tale ricchezza che la mera catalogazione rappresenta un’opera pressoché impossibile. Anche in questo settore è tempo di muoversi in maniera coordinata ed incisiva guardando il futuro con occhio ottimistico. Concludo, invitando tutti a essere consapevoli che l’Italia è cresciuta nonostante molte contraddizioni e scelte scellerate e che dobbiamo continuare a sfruttare le immense ricchezze dei nostri territori. Non farlo sarebbe imperdonabile, e soprattutto sarebbe un regalo troppo caro per i nostri agguerriti competitor internazionali.


niva utilizzato sulle galee come barretta energetica,

taminati dai riflettori, ma illuminati solo dalle 180

tanto che la razione di cibo quotidiana prevedeva

biolche parmigiane di terra (all’incirca 60 ettari) che

per i naviganti un fico e un’aringa. Per secoli il fico

danno orzo, erba medica, fave, soia e granoturco: gli

di Caneva è stato servito anche fresco sulle tavole

unici ingredienti dei pasti delle loro vacche. Vacche

più prestigiose ed era presente nei mercati rionali di

frisone, un centinaio in lattazione (“sono le vacche a

Venezia e Padova. Negli anni Novanta buona parte

fare il formaggio; noi rispettiamo il loro latte”, dico-

delle piante che costellano la pedemontana versava-

no ineffabili), curate come fossero bambini. Danno,

no in cattivo stato di conservazione e il patrimonio

ciascuna, una media di 20 litri di latte al giorno, cifra

culturale e arboreo si stava perdendo. Dopo le og-

che di sicuro fa sorridere le colleghe bianche e nere

gettive difficoltà iniziali, nel 2005 i 15 soci fondatori

che hanno invaso la pianura padana a partire dagli

del Consorzio (Tel. 3358167447) raccolgono i primi

anni Cinquanta. È dal 1° gennaio 1997 che i Bonati

fichi mori e li collocano nella distribuzione organiz-

producono Parmigiano Reggiano per sé, vale a dire

zata di Veneto e Friuli: grazie a una precisa logica di-

non conferiscono il latte che producono a caseifici

stributiva si può garantire al consumatore che il fico

terzi. Fu Giorgio a impressionarmi, una quindicina

raccolto oggi sarà l’indomani mattina sui banchi del

d’anni fa, per la scelta scrupolosa, che sconfina quasi

negozio. La crescente richiesta impone nuove pian-

nel maniacale, del foraggio che può entrare nella die-

tagioni, che nell’ultima campagna hanno assicurato

ta delle lattifere. Lui vaglia, ostinato, i fili d’erba; eli-

circa 280 quintali di prodotto fresco. Non sono solo

mina quelli non idonei alle mandibole dei suoi ani-

Le vacche frisone del Caseificio Bonati di Basilicanova di Traversetolo

aziende agricole che fanno parte del Consorzio: c’è l’architetto che vuole preservare il paesaggio, l’avvocato che desidera riposarsi tornando nella campagna della famiglia. E ovviamente le aziende agricole, per le quali il figo moro è una preziosa integrazione al reddito. Ma non è tutto: lavorando i fichi il Consorzio ha dato vita a salse al fico con peperoncino, al fico arricchito con senape per la gioia dei turisti teutonici in visita alle città d’arte, e con numerose erbe aromatiche per accompagnare lessi, grigliate e formaggi. Presto il mercato potrà contare anche sull’aceto di fico rimarcando la schietta creatività che nell’agroalimentare paga sempre (o quasi).

Un padre, un figlio e il re dei re Sull’onda della tradizione anche la storia di uno speciale Parmigiano Reggiano. Perché se non è difficile sentire affermare che il Parmigiano Reggiano è il re dei formaggi, allora quello che esce dal minuscolo Caseificio Bonati di Basilicanova di Traversetolo (Tel. 0521681707) è il re dei re. Fa impazzire il suo profumo intenso e avvolgente, fa trasecolare il suo gusto profondo ma garbato. Incantevole è la presenza dei cosiddetti grani di riso che fanno godere gli inguaribili golosi morso dopo morso. Ma ancora maggiore è la piacevolezza di questo Parmigiano Reggiano quando si conosca la storia di Giorgio e Gianluca, padre e figlio, contadini spontanei e incon51


l’altra Italia: cibo, vino e talenti cover story

In questa pagina le strutture, il formaggio e le capre della fattoria Ma’ Falda

Nel 2011 il comparto agroalimentare ha raggiunto il massimo storico di 30 miliardi nel valore delle esportazioni, in crescita del 9% sul 2010

mali, ottenendo un sapore e

te, anche l’indicazione della caldaia e il giorno in cui

un profumo del latte insupe-

è avvenuta la cagliata in modo da raggiungere una

rabili. Fu quindi l’espressa vo-

tracciabilità perfetta. Alcuni tra i più rinomati risto-

lontà di non cedere all’anoni-

ranti in Italia e nel mondo fanno a gara per poter-

mato la molla scatenante che

si concedere nel loro menù il Parmigiano Reggiano

impose ai Bonati di aprire un

dei Bonati. A La Pergola dell’Hotel Hilton a Roma,

proprio caseificio non distante dalla stalla, ma so-

da Aimo e Nadia a Milano o all’Albereta di Gual-

prattutto che suggerì loro di andare in controten-

tiero Marchesi nel bresciano come da Pinchiorri a

denza con la consuetudine del mercato che tende

New York c’è sempre un tocco di classe dei Bona-

ad accorciare i tempi di stagionatura. La filosofia su

ti che rende indimenticabile la sosta. Ultimamente

cui si è basata sin dall’inizio l’azienda agricola na-

l’esportazione ha raggiunto anche l’Arabia Saudita

sce dalla consapevolezza che a una certa fascia di

(si prelude forse a uno scambio prossimo venturo

consumatori è necessario proporre un Parmigiano

di cibo a fronte di petrolio?), mentre il Giappone è

Reggiano da lunghe stagionature, mai inferiore ai 26

da tempo presente nelle commesse. Un esempio di

mesi e spesso almeno di 36. Alcune forme vengono

impresa familiare che fa distinguere, con umiltà e

tenute sulle assi della casera per 5 o 7 anni, ma in

senza presunzione, l’Italia nel mondo.

occasioni speciali vengono tagliate forme che di anni

Grazie Giorgio; grazie Gianluca.

ne possiedono 10.A quell’età il formaggio mantiene

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una fragranza inusuale, riesce a stupire ancora con

Pascolando al suono di mille violini

profumi netti e vigorosi; il colore vira dal paglierino

C’è poi chi lascia le grandi città in cerca di se stesso

all’aranciato. Per distinguersi ancora di più in preci-

e crea straordinari prodotti. È ancora la volta di for-

sione e scrupolo, i Bonati hanno inserito sullo scalzo

maggi, ma di capra. Ed è una storia davvero singolare

delle forme, oltre alle prescrizioni necessarie e dovu-

quella di Flavio Cova, milanese trapiantato a Firenze,


e Anne Line Redtroen, norvegese, che si stabilirono sull’altopiano denominato Frascarelle, incuneato fra Todi e Orvieto. Non soli: con la di lei sorella, Åste, e il suo compagno, il franco-tedesco Herbert Baldzuhn. Provenienze plurali, interessi plurali. Ma un’unica motivazione: conoscere, nella seconda parte della vita, ciò che era loro ancora ignoto. Frequentare gli animali, riconoscere i fiori, godere del ritmo della natura svegliandosi di buon mattino sono diventati per le due composite coppie uno stile di vita. Complice un’amica francese dei quattro che qualche anno prima dovette cambiare il gregge e spedì parte di esso tra le colline umbre. La zona, da sempre monopolio di formaggi ovini, in pochi anni si è distinta per caprini di grande pregio. Gli animali, di razza Camosciata delle Alpi, sono nutriti con fieno, erba medica e cereali provenienti dagli appezzamenti dell’azienda. La stabulazione avviene in una elegante struttura dalle

Vini, cultura, vacanze, economia: riflessioni di un enoturista Aggiornamento dell’offerta in cantina e promozione integrata con il territorio. Queste, secondo Chiara Lungarotti (Movimento Turismo del Vino) le carte sulle quali puntare affinché l’enoturismo rappresenti un motore efficace per la rinascita italiana. Toscana e Friuli Venezia Giulia insegnano

capriate di legno, alta su un poggio, dove di tanto in tanto qualche capra che maggia rompe il silenzio. Per la verità il silenzio c’è raramente: Anne Line e Åste hanno capito che le capre diventano raggianti all’ascolto di motivi di musica classica, privilegiando su tutti Arcangelo Corelli. Così è molto facile imbattersi in brani che forse tengono lontano lo stress dagli animali, ma di sicuro anche dai numerosi visitatori che la fattoria nel frattempo si è conquistata. Dalle capre, il formaggio. La lavorazione del latte è interamente manuale. Il prodotto di punta, straordinario sotto il profilo organolettico per l’intenso gusto fungino, è un cacio a pasta molle, derivato da latte che coagula lentamente in un’ora e che si ottiene rompendo poi la cagliata grossolanamente. Viene messa nelle fuscelle senza successivo riscaldamento e, diventata formaggio, viene rigirato su se stesso dopo 24 ore, salandone una faccia e, dopo altre 12 ore, cospargendo di sale l’altra faccia. Durante le fasi di riscaldamento del latte si aggiunge del penicillium candidum, che conferirà la caratteristica piumatura alla crosta, tenuta a opportuno tasso di umidità. Reinventarsi la vita lontano dalla città in una fattoria del nome malandrino, Ma’ Falda (Tel. 0758749646): un messaggio che viene dal cuore verde d’Italia perché, come dicono i quattro, è imprescindibile non vivere in un preciso luogo, ma vivere del luogo.

Per la prima volta la Conferenza Internazionale sul Turismo del Vino (CITV) ha fatto tappa in Italia, dal 30 gennaio al 2 febbraio scorsi a Perugia. Un riconoscimento al Paese che, immodestamente, più di altri avrebbe meritato di essere messo al centro dell’attenzione di questo consesso internazionale sin dalla sua nascita, una ventina di anni fa. La CITV è un momento d’incontro e di confronto, riflessione e analisi tra differenti operatori del settore nei vari Paesi produttori, mentre motore incalzante dell’approdo in terra umbra è stata Chiara Lungarotti, presidente del Movimento Turismo del Vino Italia. Nel corso di un’intervista rilasciata alla nostra rivista, la Lungarotti ha definito ancora “sottodimensionato” il turismo del vino in Italia, ipotizzando che venga espresso solo il 20% del suo potenziale (suppergiù 5 miliardi di euro). Inoltre, in attesa di prendere misure adeguate al superamento della crisi, non si può prescindere dall’importanza del consumatore italiano: la congiuntura economica deve servire da spunto per conoscere la storia, la tradizione e la cultura della propria regione o delle regioni limitrofe. La crisi, se considerata sotto questa lente, diventa un’opportunità di crescita per tutti quanti per uscire dall’attuale situazione. Peraltro il turista del vino non visita solamente le cantine, ma genera economia su un ter-

ritorio più vasto e ripete emozionalmente gli acquisti del luogo che ha visitato, una volta tornato a casa. In questo senso, un aspetto molto importante è quello del turismo esperienziale. Infatti, cosa c’è di più tangibile di una visita in cantina? Non è quindi l’idea di fare una bevuta che deve muovere il consumatore, ma la professionalità, la storia e la serietà che si trovano dentro e fuori la cantina. Ovviamente per raggiungere il turista enoico va pianificata una promozione integrata dei vini e dei territori. Cosa che paesi emergenti come l’Australia, o Germania e Austria nel vecchio continente, hanno già approntato. Per questa ragione va adattata e aggiornata l’offerta delle cantine, come Diane Letulle del Wine Lover’s Journal ha sottolineato nel corso di un’affollata conferenza, con certi accorgimenti: un’adeguata segnaletica stradale, orari di apertura consoni al turista, tempi di visita talvolta troppo lunghi e un’idonea accoglienza in lingua inglese. «Il rispetto delle aspettative di aspetti di cultura materiale e allo stesso tempo romantica sono molle che potranno portare turisti d’Oltreoceano nel nostro Paese», ha voluto evidenziare Bill Eyer della Cuvée Corner Wine Blog. Esperienze come quelle della Toscana e del Friuli Venezia Giulia possono senz’altro servire da esempi per un’Italia che ce la può fare. R.La.

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personaggi

Armando De Zan Mister “50 milioni di bottiglie vendute” di Francesco Condoluci

Ha cominciato quasi per scommessa. Oggi, dopo 30 anni di importazione di vini italiani negli USA, Armando De Zan, titolare della Arel Group, Wine&Spirits, Inc. con sede ad Atlanta, può essere considerato, a buon diritto, “l’uomo che ha convinto gli americani a non fare più l’aperitivo col whisky”

o Moscato: l’offerta è ampia ed è per tutti i gusti e tutte le tasche. Quello che gli italiani probabilmente non sanno invece è che dietro lo straordinario panel di bottiglie tricolori che i consumatori americani hanno a disposizione da New York alla California, ci sono storie di lavoro, impegno, tenacia e creatività che hanno come protagonisti i cosiddetti wine importers, professionisti che hanno dedicato la loro vita a far conoscere (e vendere) agli yankees quello che, non a caso, è oggi l’asset economico più vincente del made in Italy: il vino, appunto. Il Belpaese che ha successo nel mondo, è anche opera loro. Di gente, ad esempio, come Armando De Zan, un self-made-man partito da Portogruaro e oggi alla guida della Arel Group, Wine & Spirits, Inc. con sede ad Atlanta che, dopo 30 anni di attività e ol-

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Gli italiani che vivono, o che risiedono spesso, ne-

tre 50 milioni di bottiglie di vino italiano vendu-

gli Stati Uniti, lo sanno. Oggi, bere un bicchiere

te negli Usa, può vantarsi, a buon diritto, di essere

di vino italiano (più o meno) ovunque ci si trovi

“l’uomo che ha convinto gli americani a non fare

negli States, è facile: basta entrare in un qualun-

più l’aperitivo con il whisky”, come succedeva in-

que supermercato e scegliere sullo scaffale l’eti-

vece fino agli anni ’80, quando in America, di vino

chetta preferita. Rossi, bianchi, prosecchi, Chianti

italiano, si conosceva (a stento) solo il Lambrusco.


La storia di De Zan è una di quelle che ha tutti gli ingredienti dell’Italian style di successo: coraggio, intuito, passione, spirito di sacrificio. È lui stesso a raccontarcela.

Trenta anni fa un incontro col destino, a New York «Tutto è iniziato quasi per caso – ci spiega – nel 1984 ero andato a Los Angeles a vedere le Olimpiadi e andai a trovare la famiglia di un mio zio emigrato in America agli inizi del secolo scorso. Per fare un regalo a mia moglie, che mi aveva appena regalato nostra figlia Barbara, ho deciso di passare tre giorni a New York prima di rientrare in Italia. A quel tempo, pur possedendo molti terreni, in parte ereditati da mia moglie, facevo l’agente assicurativo, ma quella professione mi stava stretta. Così,

un piccolo capitale, e mi prefissai

passando in Madison Avenue, dove allora c’era la

di tentare di investirli in un bu-

sede dell’Ice, la Trade Italian Commission, ho det-

siness con qualche distributore.

to a mia moglie: quasi quasi provo a fare qualche

Con mia moglie, che è laureata

affare qui in America. Detto e fatto. Sono entra-

in lingue e parla benissimo l’in-

to negli uffici, dove mi ha ricevuto il dottor Zani,

glese, prendemmo l’elenco de-

il direttore dell’epoca, al quale ho subito parlato

gli importatori portato da New

delle mie intenzioni. Lui, apprendendo che mi oc-

York e iniziammo a contattare i

cupavo di polizze assicurative, con tono scherzoso

più importanti, quelli che dispo-

mi disse che sarebbe stato un po’ difficile prova-

nevano di un telex, allora non c’era-

re a venderle anche lì negli Stati Uniti. Ma io, che

no i fax né tantomeno le e-mail. “Se en-

come clienti avevo aziende di vino e del mobile,

tro fine anno non riusciremo a concludere un

per tutta risposta, gli domandai quanto valessero

affare, lasceremo perdere” ci eravamo ripromessi

in termini economici quei due settori. Il direttore

con mia moglie. E stavamo per farlo, dopo mesi

dell’Ice rispose che il volume di affari tra vino e

passati senza ricevere risposte dagli Usa. Poi a di-

mobile, in quel momento, era equivalente. “Lei, al

cembre, la fortuna, o chissà forse la sfortuna, ci ha

posto mio, su cosa investirebbe allora?”, gli chiesi.

regalato il primo contatto e quindi la possibilità di

E questo gentilissimo signore che spero un giorno

aprire il mercato di New York. Poi il Texas, Chica-

o l’altro di poter incontrare per ringraziarlo, senza

go, il Colorado. Da allora non ci siamo più fermati,

esitare, mi disse: “Io, che sono trentino, punterei

lavorando come pazzi: per 15 anni di file, non ho

sul vino”. Dopodiché mi fece un regalo eccezio-

preso un solo giorno di vacanza».

Fino a metà anni ’80, gli americani a tavola usavano bere tè, acqua e, al massimo, whisky. Di vini italiani, sugli scaffali si trovava giusto il Lambrusco. L’avvio dell’attività di importatore di Armando De Zan è coincisa con l’inizio dello strepitoso successo dell’italian wine negli Stati Uniti d’America.

In apertura Armando De Zan brinda con moglie e figlie al successo della sua attività, negli Usa come in Italia, dove, nell’azienda agricola di famiglia situata ad Annone Veneto (Ve), produce la fortunata etichetta di vini Tenuta Polvaro

nale: l’elenco degli importatori americani di vino, mia avventura. Tornato in Italia, infatti, provai a

Così il vino italiano ha conquistato l’America

chiedere ad alcune aziende se erano interessate

Ad Armando De Zan non piacciono le autocelebra-

a investire, trovando però porte sempre chiuse. A

zioni. Lui, generalmente, è abituato a parlare attra-

quel punto, essendomi innamorato di quest’idea,

verso il suo lavoro. Perciò declina cortesemente l’eti-

decisi di fare tutto da solo: avevo a disposizione

chetta dell’uomo “che ha portato il vino italiano in

10 milioni di vecchie lire, che 30 anni fa erano

America” e preferisce definirsi «come uno che, sen-

che a quei tempi, erano centinaia. Lì è iniziata la

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personaggi

De Zan, sta infatti «nella capacità di aver sempre saputo adeguare i prodotti da vendere alle esigenze del mercato». «In tutti questi anni – continua il wine importer di origine veneta – ho sempre avuto come principio basilare del mio lavoro, quello secondo cui il vino va fatto nella maniera in cui lo desidera il consumatore finale, anche il packaging deve essere adeguato ai gusti degli americani. PriA sinistra l’ingresso della Tenuta Polvaro, “gioiello” della famiglia De Zan. Sopra e sotto, una fase della vendemmia e i filari di vigne

ma di trasferirmi stabilmente con la mia famiglia in America nel 1990, passavo lì 10 giorni al mese per studiare l’orientamento dei consumi. E quando ho aperto gli uffici della mia azienda ad Atlanta, in Georgia, non a caso ho assunto personale americano, proprio perché loro conoscono meglio di noi italiani il mercato locale. Oggi il vino italiano in America è un prodotto d’eccellenza. Il mercato, dopo qualche anno di preferenza verso i vini australiani, è tornato a guardare all’Italia con grande favore. Noi, lo scorso anno abbiamo aumentato del 35% il nostro volu-

Dai business in America all’eredità di famiglia a Portogruaro: l’ultima sfida di De Zan è la Tenuta Polvaro, azienda vitivinicola “gioiello” dedicata alla moglie e alle figlie

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me d’affari e sa perché? Perché vendiamo prodotti che soddisfano, in termini di gusto, di immagine e di prezzo, tutte le fasce di consumatori. Il mio orgoglio più grande sta nel fatto che non c’è cliente, anche tra quelli acquistati 20 anni fa, che, incontrandomi, non mi venga a salutare sorridendo. Il mio cruccio? Forse l’unico è quello di non essere mai riuscito a za presunzione, è stato per molti anni tra gli artefici-

vendere un vino della mia terra, il Raboso veneto,

promotori dell’italian wine negli Usa». «Fino a metà

rispetto al quale il mercato Usa, dove spopolano in-

anni ’80, in America, a tavola si beveva tè, acqua o al

vece Pinot Grigio, prosecchi e Moscato, non è mai

massimo, whisky – racconta ancora – era deprimente,

stato sensibile».

si trovava in commercio il Lambrusco, ma il business

Ma per un vino difficile da piazzare, ce n’è un altro

italiano del vino era ristretto a quello. In parallelo con

invece che a De Zan sta regalando una soddisfazione

l’inizio della mia attività di importatore, nell’epoca

tutta speciale. È quello con l’etichetta Tenuta Polvaro

che di fatto ha segnato l’inizio del successo del vino

che viene prodotto tra i filari di vigne dell’omonima

italiano negli Usa, hanno cominciato a lavorare an-

tenuta, l’azienda agricola gioiello di famiglia messa

che grandi consorzi come Cavit o Santa Margherita:

su nella terra di origine a Portogruaro, dove l’impor-

come vedete, non sono stato il solo. Diciamo che ho

tatore ama trascorrere i brevi periodi dell’anno che

fatto la mia parte, arrivando anche a cambiare le eti-

passa in Italia: «Questo vino di nostra produzione è

chette per adattarle al mercato americano. Pensi che

un omaggio a mia moglie che mi è stata sempre vi-

in quegli anni abbiamo ideato delle linee in Abruzzo,

cina in tutti questi anni e che mi ha regalato le no-

riuscendo a vendere in America, nei primi tre mesi,

stre splendide figlie, Barbara e Caterina. È il modo

70 mila casse di vino col nuovo marchio. Così anche

per esprimerle tutto il mio amore, la mia gratitudine

in Toscana e Piemonte».

e la mia riconoscenza».

Il segreto del successo della sua attività, secondo

Prosit allora, mister De Zan.



di Gino Celletti Capo Panel Consiglio Oleicolo Internazionale

l’olio

www.frantoicelletti.com www.monocultivaroliveoil.com

The world’s best olive oils Un elenco di cultivar e luoghi: perché i grandi dell’olio nazionale vengano chiamati per nome e i loro prodotti siano rintracciati e assaggiati. Anche dagli italiani

Un titolo in inglese? Di più! Avrei voluto scrivere tutto l’articolo in inglese. Spiego subito la mia tentazione. Se chiedi a un amico che olio usa per casa, ti dice che glielo portano dalla Sicilia a 6 euro al litro. Vai al supermercato e su gli scaffali trovi offerte 2x1 a 8 euro. Parli con un ristoratore e senti che acquista un extra vergine toscano a 5 euro al litro. Poi parli con un produttore siciliano e scopri che esporta a Londra a 15 euro a bottiglie da 0,75. Ne senti un altro toscano e ti racconta che il suo importatore svedese gli ha appena fatto un ordine di 40.000 euro per 4000 bottiglie da 0,50 e un altro trentino che ha finto la sua produzione a febbraio, venduta tutta ad Austriaci e Tedeschi. E allora perché scrivere sull’olio in italiano se il mercato che tira parla inglese o tedesco? Forse proprio per informare gli Italiano delle meraviglie di casa loro? Ma no!

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Lo sanno benissimo; quei produttori hanno collaboratori, agenti, rivenditori, amici italiani che sanno benissimo che quel produttore stravince tutti i concorsi a cui va. E allora? Come mai non acquistano il suo olio? Per il prezzo! Per l’italiano quell’olio è caro. È caro in Italia ma non è caro in tutto il resto del mondo, incluso Svezia, Nuova Zelanda, Filippine, Argentina, Brasile che non mi pare proprio abbiano lo stesso nostro tenore di vita. Dunque c’è altro. Si tratta di una sorta di malattia trasversale che non riguarda il reddito, e nemmeno la latitudine, l’età, il rango, la professione ma piuttosto un comportamento tutto italiano. Due italiani a Londra dopo 30 secondi elogiano la City e parlano male dell’Italia. Due inglesi a Roma non si permetterebbero mai di criticare Albione. È “nichilismo” la malattia che ci priva del meglio, in tutti i campi. Una sindrome da cui non mi sono fatto contagiare e quindi reagisco, facendo nomi e cognomi. Le monocultivar siciliane di Tonda Iblea, che sa di pomodoro verde, fatta dai Sallemi, dai Gulino, dai Cutrera, o di Biancolilla, che sa di mela verde, prodotta dai Galluffo, dai Burgarella, dai Sarullo, o ancora di Nocellara del Belice, che profuma di ravanello targata Mandranova o Lombardo, sono come i Templi di Agrigento, uniche e irripetibili. E ancora, le monocultivar pugliesi di Coratina, amara e ardente, che sa di prato falciato, fatte dai Nicola Monterisi, dai Ferrara, dai Galantino, o di Peranzana che sa di mandorla fresca come quella di Mio Padre è un Albero o di Marina Colonna, irripetibili come Castel del Monte. Poi c’è l’Ortice campano che sa di sedano crudo, come lo fanno Caccese e Rinaldi, ed è come il Vesuvio. Il Moraiolo umbro che sa di mandorla tostata e salvia fatto da Viola, Decimi, Marfuga, che è l’Umbria stessa. Ma vado avanti: le cultivar toscane Frantoio e Olivastra Seggianese che modulano il profumo del carciofo fino al carciofino sottolio interpretate da Franci, Vicopisano, Hostulanus, Nonno Adamo, Pietrapiana, Greppi di Silli, Fonte di Foiano, Buonamici, e incantano come la Galleria degli Uffizi. Quando non la friggi, l’Ascolana Tenera marchigiana del Conventino di Monteccicardo, che sa di pomodoro in salsa; e poi via su su fino alla Casaliva trentina dei Toniolli, Ca Bianca e Laghel 7, che ti inonda la bocca di banana verde. Tutto Patrimonio dell’Umanità da tutelare con l’Unesco. Ho fatto volutamente un elenco di nomi e luoghi, ovviamente incompleto, perché i grandi dell’olio italiano vengano chiamati per nome e i loro oli siano rintracciati e assaggiati. E perché gli italiani si vantino di questo tesoro, anche i nichilisti. Qui almeno non c’è niente di cui vergognarsi.




Cibo&Territorio 62

Lungo la Riviera degli Olivi Alla scoperta della sponda veneta del Garda e del suo extravergine Dop

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I vini di Reggio Calabria La provincia enoica, i suoi vitigni, le sue tradizioni

da pag. 70 Rubriche

• La scoperta • Girogustando • Il Ristorante • Il buono a tavola • Scienza e vita • Almanacco • Orto • Chef italiani nel mondo

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cibo&territorio

Lungo la Riviera degli Olivi Alla scoperta della sponda veneta del Garda, tra paesaggi idilliaci, tutti rocce a strapiombo nell’acqua e antiche pievi immerse nel verde, seguendo percorsi segnati dal gusto delicato di un’extravergine Dop dai piacevoli sentori di erba fresca e fieno

di Gilda Ciaruffoli Tra cespugli fioriti di rosa selvatica, oleandro, acacia e ciuffi di limonella, sulle sponde del Garda e all’ombra del Monte Baldo – il “giardino botanico d’Europa” di incomparabile suggestione – l’olivo viene coltivato da millenni. Furono gli etruschi prima, e i romani poi, a favorirne lo sviluppo, unitamente a condizioni climatiche decisamente favorevoli che l’hanno resa una delle piante caratteristiche dell’intero territorio lacustre. Gran parte dell’olio prodotto in zona rientra nella Dop Garda, con un’ulteriore qualifica geografica che ne determina la zona di produzione e che, per il territorio della provincia veronese, assume la denominazione di Orientale (a seconda dell’area di produzione l’extravergine Dop Garda può infatti assumere anche la denominazione di Bresciano o Trentino).Assaggiarlo seduti a bordo lago, in un’assolata giornata di primavera, significa riempirsi i sensi del profumo di erba fresca e di fieno, carciofo, cardo ed erbe aromatiche, che si fondono in un gu-

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Veneto Lago di Garda

Assaggiare l’extravergine Garda Dop significa riempirsi i sensi del profumo di erba fresca e fieno, carciofo, cardo ed erbe aromatiche, dal retrogusto di mandorla sto delicato con note di amaro e piccante percepibili

14° Concorso olio extravergine di oliva Garda Dop; o

in gola, cui si affianca il tipico retrogusto di mandorla.

Fish & Chef, l’evento che Malcesine dedica ai prodot-

Delicato ed elegante, l’extravergine del Garda Dop si

ti tipici della sponda veronese del lago dal 26 aprile al

adatta ai più svariati impieghi e soddisfa ampiamente

6 maggio. Protagoniste saranno le specialità del terri-

ogni esigenza edonistica in fatto di gusto. Caratteristi-

torio, extravergine Garda Dop in testa, accompagnato

ca comune agli oli gardesani è anche la bassa acidità (il

dal pesce e dalle erbe del Baldo, e ancora dalla pregiata

disciplinare della Dop Garda ammette infatti un’aci-

carne del Consorzio della GarroneseVeneta, senza tra-

dità massima dello 0,5). Per gustarne tutte le sfuma-

lasciare i formaggi del Consorzio tutela Monte Vero-

ture, un’ottima opportunità è quella di approfittare

nese Dop, e ovviamente i tanti vini locali. E se Malce-

dell’iniziativa Frantoi Aperti, nell’ambito della quale

sine è certamente uno dei paesi più caratteristici della

le aziende agricole locali aprono le proprie porte ai cu-

Riviera degli Olivi, tante sono le località che meritano

riosi gourmand offrendo degustazioni e la possibilità

di essere visitate o ammirate da una diversa prospet-

di visitare gli impianti e scoprirne i segreti (per cono-

tiva, quella comoda e rilassata del traghetto, a bordo

scere le date e tutti i dettagli: www.oliogardadop.it).

del quale lasciar cadere lentamente lo sguardo sugli

Oppure partecipare a una delle tante manifestazioni

antichi borghi nascosti nel verde di una natura che

e sagre che si svolgono in zona, come quella del 17-21

vede convivere inaspettatamente vegetazione alpina

maggio a Cavaion Veronese (Vr), ovvero la 44ª Festa

e mediterranea. E proprio immersi in questo incredibi-

degli Asparagi durante la quale si svolgerà tra l’altro il

le panorama sorgono Torri del Benaco, dove gli uliveti,

La storia da vicino Il Museo dell’Olio ospitato dall’Oleificio Cisano a Cisano di Bardolino (Vr) da oltre vent’anni espone strumenti antichi e inconsueti, in uso nei frantoi dal Settecento sino agli inizi del Novecento, oltre a suppellettili e attrezzi utilizzati in varie epoche e a un’imponente pressa a leva in legno di quercia, un frantoio azionato da una ruota a trazione idrica (perfettamente funzionante) e altri originali esemplari di presse in legno e in ferro. www.museum.it

In apertura: Malcesine (Vr) che si specchia nelle acque del Garda. In questa pagina le piante storiche e due momenti della lavorazione delle olive relativi all’azienda Redoro Frantoi di Grezzana (Vr)

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cibo&territorio

L’olio non sente crisi Presidente del Consorzio Veneto Dop nonché titolare dell’azienda Redoro Frantoi di Grezzana (Vr), Daniele Salvagno, ci introduce alla produzione olivicola veneta. «Il territorio veneto è caratterizzato da due denominazioni d’origine, la Garda Dop che abbraccia tutta la zona del Garda veronese, bresciano e trentino, e, nell’interno la Dop Veneto che a sua volta si distingue in Veneto Valpolicella, Veneto Euganei e Berici e Veneto del Grappa. Si tratta di due tra le Dop più alte dell’olivicoltura mondiale, al limite della sopravvivenza della pianta dell’olivo. A caratterizzare questa produzione un gusto delicato e non invasivo che ben si sposa alle pietanze della cucina internazionale ed è molto apprezzata dagli chef di tutto il mondo». E dagli italiani? «Sul mercato nazionale i competitor sono forti, e molto si gioca sul piano dei prezzi: quelli delle Dop venete infatti possono essere più alti, a volte anche raddoppiati, rispetto ad altre produzioni nazionali. Quello che è importante sottolineare però è che in quell’euro in più, che è poi il prezzo di un caffè, sono racchiuse una qualità e delle caratteristiche davvero uniche, di cui godere a lungo».

Santuario della Madonna della Corona a metà della parete verticale rocciosa del Monte Baldo

intervallati da contrade secolari e solitarie chiesette, si spingono fin sulle lunghissime spiagge, e Rivoli Veronese, gioiello incastonato nello spettacolo naturale delle colline moreniche. Più a sud il paese che al lago dà il nome, con il suo splendido golfo: arrivando a Garda, a farsi notare sono punta San Vigilio, mèta obbligata delle celebrità in vacanza sulla Riviera, e il colle della Rocca, dalla cima del quale la vista è letteralmente mozzafiato. Poco lontano merita una visita Costermano, antica località di villeggiatura delle famiglie nobili che qui hanno lasciato un patrimonio architettonico di rara eleganza, e Bardolino, borgo ameno che evoca

Immagino dipenda anche dalle caratteristiche delle realtà produttive locali… «Consideri che le due denominazioni venete radunano l’1% dell’olivicoltura nazionale! Noi siamo grandi nel nostro territorio, perché la produzione di extravergine qui è molto importante, ma a livello nazionale siamo piccolissimi; in termini di quantità non possiamo paragonare la nostra realtà con quelle pugliesi, siciliane o calabresi». E i piccoli produttori locali come stanno affrontando la crisi? «Molto bene. In questi ultimi anni è un continuo fiorire di piccole aziende premiate, considerate tra le migliori sul territorio nazionale. E il merito è della cura e dell’attenzione che vengono messe nella produzione, e ovviamente dei terroir e di piante secolari e quindi uniche. Un insieme di fattori che è garanzia di eccellenza». L’attività produttiva va di pari passo con quella di accoglienza ai turisti? «Certamente. Questo è un territorio votato al turismo enogastronomico. Consideri che noi, come Redoro Frantoi, nel periodo di frantoio abbiamo 45 scuole che vengono a far didattica nella nostra struttura, e un’intensa affluenza di turisti che vengono accolti con degustazioni gratuite e visite all’azienda, e che spesso acquistano una nostra bottiglia. Tornati a casa poi gli ordini continuano; spediamo bottiglie fino in Giappone. Chi prova la qualità di un extravergine Dop difficilmente torna indietro. Ed è disposto a spendere anche quell’euro in più. Per questo sono tranquillo nel dire che l’olio non sente crisi».

l’omonimo rosso, punto di partenza per percorrere la Strada del Vino Bardolino e sede del locale Museo del Vino (www.museodelvino.it);e ancora Lazise, che visse nel Medioevo il suo splendore e che oggi racchiude, tra le mura scaligere e il castello, un antico e curatissimo centro storico. Ultima tappa Peschiera del Garda, città fortificata e completamente racchiusa dall’acqua. Le spiagge qui sono lunghissime, costeggiate da canneti in cui trova riparo una fauna ricca e variegata, e lo sguardo si riempie di un panorama aperto sul lago e si spinge più a nord, fino al cono del Baldo, che placido veglia sui silenziosi uliveti, sugli antichi borghi, sui villeggianti in gita in barca, e su di noi.

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Una suggestiva veduta nottura di Peschiera del Garda




Sempre più...gusto Gli artigiani delle prelibatezze e tipicità italiane vi aspettano nei tre punti vendita milanesi Dove scoprire il meglio della enogastromia italiana? Al Vie del Gusto Store, la vetrina di riferimento per tutti i buongustai, nato con l’intento di far conoscere gli artigiani del gusto che realizzano prodotti di qualità, ma che spesso faticano a superare i confini regionali. Un luogo di incontro ideale dove il consumatore è coccolato e indirizzato nella scelta di prodotti garantiti. Dai migliori vini della Penisola agli oli extravergini doc, ai salumi e formaggi tipici, ai dolci e tanto altro ancora. Vi aspettiamo per un tour enogastronomico indimenticabile!

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cibo&territorio

I vini della provincia di Reggio Calabria Ben 6 produzioni Igt e 2 Doc, oltre a innumerevoli varietà di nicchia distribuite dal Tirreno allo Jonio, fanno del territorio reggino un’area d’eccellenza i cui giacimenti vitivinicoli custodiscono affascinanti e antichissime tradizioni magnogreche di Rosario Previtera

Reggio di Calabria

Dalla costa tirrenica alla costa ionica, la vite da sempre caratterizza il territorio reggino ricco di valli e torrenti affacciati sullo Stretto che precipitano direttamente sul mare Tirreno, oppure con ampie e larghe fiumare bianche che dolcemente dall’Aspromonte si riversano nel caldo mare Ionio. Ben 6 produzioni Igt e 2 Doc, omogeneamente distribuite, fanno della provincia di Reggio Calabria un interessante e accattivante giacimento vitivinicolo che custodisce antichissime tradizioni magnogreche da cui scaturiscono unicità enogastronomiche dalla storia millenaria. Se un tempo, i vigneti tappezzavano

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Calabria


La “provincia enoica” al Vinitaly 2012 Per la prima volta, la provincia di Reggio Calabria partecipa al Vinitaly con propri stand (Pad. 7B – Stand n. F10, G10, H8, G10) al fine di esaltare la “regginità” nel vasto mondo del vino e «con lo scopo di offrire servizi mirati e opportunità concrete alle aziende vitivinicole in un Vinitaly tutto business oriented» così come tengono a evidenziare il presidente della provincia Giuseppe Raffa e l’assessore provinciale all’agricoltura Gaetano Rao. Alla manifestazione si terranno seminari, convegni e iniziative a tema (www.provincia.rc.it/vinitaly) presso lo spazio-eventi Agorà e vi parteciperà una selezione di aziende vitivinicole, sia storiche che nuove, le quali realizzano prodotti di nicchia di elevata qualità e rappresentativi delle produzioni Igt e Doc provinciali:

quasi tutto il territorio, dalla costa all’entroterra, og-

ronato a seconda della predisposizione del vitigno. E

gi le aree vocate si estendono a macchia di leopardo

i vitigni sono davvero tanti: la piattaforma ampelo-

per più di 2 mila ettari, garantendo prodotti di ec-

grafica è vasta e variegata e spesso nasconde ancora

cellenza, a conferma di quanto Reggio, la “provin-

antichissime varietà, dai nomi e dai sinonimi presso-

• Coop. Agricola Enopolis Costa Viola

cia enoica”, voglia nuovamente appropriarsi degli

ché infiniti a seconda dell’area, arrivate miracolosa-

• Azienda Vitivinicola Pichilli

antichi primati in campo gastronomico ed enolo-

mente ai giorni nostri e che posseggono una grande

• Azienda Agricola Altomonte

gico. Un proliferare di cantine e di cooperative viti-

valenza in termini di biodiversità. Uve antiche che

vinicole nell’ultimo decennio ha ampliato il pano-

si uniscono nei blends con uve moderne e più co-

rama vinicolo provinciale, spingendo verso l’alto la

nosciute, varietà autoctone e varietà internaziona-

qualità delle produzioni: vini, a volte di nicchia, ma

li che conferiscono al vino la potenza del mito e la

molto spesso innovativi nel solco della tradizione,

facile bevibilità richiesta dal mercato: a bacca ros-

che si affermano sui mercati anche esteri oltre che

sa troviamo Nerelli vari, Greco nero, Malvasia nera,

nell’ambito di prestigiosi concorsi enologici. Un set-

Nocera, Prunesta, Gaglioppo, Magliocco, Calabre-

• Associazione Megale Hellas in rappresentanza delle aziende vitivinicole del Doc Greco di Bianco e Igt Locride – Mantonico: Baccellieri, Ceratti, Luca’, Maisano, Capo Zefirio S.R.L. , Cantine Ielasi, Tenuta D’albo, Tenuta Dioscuri, Naimo, Viglianti

tore in crescita sempre più pervaso da un consapevo-

se (Nero d’Avola), Alicante, Castiglione, Sangiove-

le enoturismo che valorizza le innumerevoli risorse

se, Cabernet, Cabernet Sauvignon, Merlot mente a

storico-culturali ed ambientali diffuse e a favore del

bacca bianca troviamo Malvasia bianca, Mantonico,

quale operano attivamente l’Ecostrada del vino e

Greco bianco, Inzolia, Zibibbo (Moscato d’Alessan-

dei sapori della Costa Viola e la Strada dei vini e dei

dria vinificato in proprio dai viticoltori della Costa

sapori della Locride. Dunque, Tirreno e Jonio uniti

Viola), Guardavalle, Sauvignon, Chardonnay. Que-

da circa 200 km di costa caratterizzata dalle torri di

ste sono solo alcune delle varietà che costituiscono

guardia ottocentesche ma anche dal verde e dal ros-

l’ampelografia della viticoltura reggina e che insieme

so dei vigneti i quali, a volte, dal livello del mare si

ad altrettanti cloni con sinonimi di antica introdu-

abbarbicano fino alle colline pre-aspromontane. Vi-

zione, danno vita ai vini Igt Scilla, Costa Viola, Ar-

gneti per lo più coltivati ad alberello ma sempre più

ghillà, Pellaro, Palizzi, Locride ai quali si aggiungono

spesso allevati a spalliera, quando con impianti nuo-

le due prestigiose Doc: il Bivongi e il passito Greco di

vi si riesce nella potatura a Guyot o a Cordone spe-

Bianco. Una “provincia enoica” tutta da gustare.

• Enopolis Bivongi Srl • Le Aziende dell’Ecostrada del Vino e dei Sapori della Costa Viola • Le Aziende della Strada dei Vini e dei Sapori della Locride

Nella pagina a sinistra: in apertura i vigneti terrazzati sul mare della Costa Viola (Tirreno), in basso una vigna in collina nella zona jonica. Qui sopra l’appassimento naturale del Greco di Bianco sui graticci

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la scoperta

di Riccardo Lagorio

Gli asparagi di Canino Fanno capolino da sotto il terreno vulcanico e vengono su con un tono robusto e poderoso sul quale il mare, poco distante, gioca un peso non indifferente. Nelle campagne viterbesi li chiamano “mangiatutto”: sono le verdure regine di primavera e non hanno eguali nel resto della penisola

Canino

Lazio

70

Benché il concetto di stagionalità dei vegetali sia stato messo a dura prova negli ultimi anni da coltivazioni in serra e ortaggi che attraversano gli oceani in una sola notte, l’immaginario collettivo ci conduce a pensare agli asparagi come “la verdura primaverile” per antonomasia. Una delle piccole grandi capitali dell’asparago italiano si trova nel Viterbese, uno dei luoghi altresì noti per l’ottimo olio extravergine d’oliva: cioè il comune di Canino. Anzi, quelli della località Paglieto vengono considerati tra i primi della Penisola a fare capolino da sotto il terreno vulcanico. Un traguardo che gli asparagi di Canino tagliano già a fine gennaio grazie all’acqua termale di forzatura che scorre a temperature variabili tra i 30 e i 38 °C in grandi tubi a contatto con le radici. Gli altri arriveranno sul mercato dai primi giorni di febbraio sino a tutto giugno. Detto in altre parole la forzatura ottenuta con l’utilizzo dell’acqua calda naturale fa anticipare la raccolta di 40 giorni, preannunciando quella primaverile. Ma l’asparago di Canino gode anche di particolari doti di gusto. Infatti il terreno vulcanico è ricco di potassio, sali minerali, calcio e altri microelementi che si trasferiscono senza artifizi nei turioni. Inoltre non si può escludere che la presenza del mare a soli 10 km possa avere qualche condizionamento

sulla buona riuscita della coltivazione e soprattutto sul tono robusto e poderoso. Gli asparagi vengono cavati con il caratteristico pirozzo, un taglierino che scende a 5 cm sotto terra e li taglia a un’altezza intorno ai 30 cm. Dopo la raccolta a mano, vengono riposti in una bisaccia di stoffa perché i raggi del sole non danneggino il colore verde brillante e il corpo ben sodo che li caratterizza. Tuttavia, prima di essere immessi sul mercato in mazzetti da 500 gr, gli asparagi vengono calibrati sui 26 cm, una misura perfetta per ottenere il meglio in cucina. Nelle campagne intorno a Canino l’asparago è infatti conosciuto come mangiatutto: la cottura avviene in maniera omogenea e permette di consumare l’intero pezzo. Si utilizza come antipasto, appena scottato in acqua salata e aceto e servito con olio extravergine d’oliva, oppure fritto; in torte salate, nel classico risotto ma anche con pomodoro, che deve essere ben maturo. La produzione è su oltre 250 ettari, ciascuno dei quali riesce a dare anche 85 quintali. Buona parte della produzione va sui mercati di Torino e Ferrara, un’altra consistente frazione parte per Germania, Francia e Paesi Bassi come primizia. Ragione per cui di certo anche l’asparago di Canino contribuisce a rendere noto il sottosuolo buono d’Italia.



girogustando

di Cesare Aldesino

Dolcezza vestita a festa Durante la settimana Santa, in tutta la Sicilia si preparano una varietà di dolci e pani rituali, legati al significato religioso della Pasqua. A base di farina, uova, zucchero, pasta di mandorle e ricotta, sono vere e proprie specialità dalle forme diverse e fantasiose strettamente legate a simbolismi religiosi

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La Pasqua in Sicilia è un evento di grande risonanza e molto sentito dalla popolazione, a dimostrazione della fede cattolica dei siciliani. È infatti soprattutto durante le ricorrenze più importanti, come questa, che l’arte culinaria locale dà il meglio di sé. Le ricette create per celebrare, anche in cucina, tale evento rispecchiano i classici canoni della gastronomia isolana, a partire dalle regole del buon gusto, dalla fantasia popolare e dal rispetto della tradizione. Ogni provincia della Sicilia, in materia di dolci, conserva una propria peculiarità così come per ogni festa popolare, religiosa e familiare. Dopo il periodo di penitenza della Settimana Santa il giorno della Resurrezione è un tripudio di gioia: il ciclo della vita riprende. Le massaie, durante la settimana Santa, preparano per i bambini tanti

dolci vestiti a festa, decorati da mille ghirigori di glassa e da una miriade di codine di zucchero colorato (cavallucci, campane, colombe, pupe etc.) in cui sono incastonate le uova sode colorate e i pani rituali legati al significato religioso della Pasqua. Le famiglie si riuniscono per festeggiare e consumare in compagnia le svariate specialità: su ogni tavola imbandita, oltre alle uova non possono mancare i picureddi a simboleggiare Gesù crocifisso – l’agnello sacrificale, vere e proprie creazioni artistiche di pasta reale –, i pupi cu’ l’ova, panierini di pasta pane dolce o frolla che contengono, immersi o affioranti, delle uova con il guscio spesso colorato di rosso, simbolo di fertilità. L’uso di inserire uova sode all’interno di impasti di pane è antico ed è presente in molte zone del mediter-


raneo. Un tempo questi pani venivano decorati con semi di sesamo o di papavero, oggi vengono ricoperti da una glassa di zucchero, albume e limone (allustrata). Le forme di questi dolci casalinghi sono tantissime e spesso curiose, come i nomi con i quali vengono indicati a secondo del luogo dove vengono preparati: cannateddi a Prizzi e Montelepre, panareddi cu’ l‘ova a Palazzolo Acreide, campanara nel trapanese, cuddura cu l’ova a Messina, cannileri nell’agrigentino e così via. A Bisacquino, nel palermitano, si usa tutt’ora preparare dolci con le uova a forma di seno femminile detti perciò minneddi. A Favignana il campanaru si mangiava il Sabato Santo dopo aver baciato per terra. A Centuripe, ma anche altrove, il pane di Pasqua si consumava in chiesa mentre suonava il Gloria, quando veniva repentinamente abbassato il grande velo quaresimale e talvolta si liberavano le colombe. A Montelepre (Pp) questo rito era accompagnato dalla formula: «A gloria sunàu / cannateddu si spizzau / e si fici a mmostra a mmostra / cannateddu senza ossa (A Gloria suonò / cannateddu si spezzò / e si fece a pezzetti / cannateddu senza ossa)». Nella tradizione popolare, ancora praticata nei paesi dell’entroterra, era consuetudine scambiarsi tra i parenti più stretti la cuddura cu l’ovu in senso di affetto e di rispetto e, a secondo del destinatario, era più grossa e con più uova. Durante il periodo pasquale, le vetrine delle pasticcerie e dei bar sembrano vere e proprie cornucopie opulente. Traboccano di classiche cassate, colombe, cannoli di ricotta, uova di cioccolata ricoperti di carta stagnola dai variopinti colori; in mezzo a questa variegata coreografia fanno mostra di sé le pecorelle di pasta reale, detta anche Martorana, in quanto furono le suore del monastero della Martorana a tramandare l’arte di questa lavorazione: un composto di mandorle dolci, albume di uovo e zucchero. I picureddi vengono realizzati in diverse forme, le più comuni sono adagiate sopra un prato verde circondato da un recinto e decorato da confetti multicolori e infilzati, sul dorso, da una bandierina rossa, che nell’iconografia sacra rappresenta lo stendardo della resurrezione. Altre si presentano come dei bassorilievi composti sulla loro base e sono riempite di confettura di frutta secca, pistacchio e zucca candita. Tra tutte queste prelibatezze, la cassata e le cassatelle/ravioli, anche se prodotte ormai quasi tutto l’anno, sono i dolci pasquali per antonomasia in Sicilia. E questo è infatti il periodo più idoneo per poterli degustare, in quanto il pascolo conferisce alla ricotta, ingrediente principe di entrambe le preparazioni, una consistenza maggiore e un sentore di erba e di selvatico più intenso.

La colomba, tra sacro e profano

In apertura un’invitate Cassata siciliana. Qui, dall’alto: i picureddi, vere e proprie creazioni artistiche di pasta reale, e i pupi cu’ l’ova

Su tutto il territorio nazionale, il dolce che accomuna gli italiani è la colomba, simbolo per eccellenza della spiritualità cristiana il cui nome è legato alla sua presunta nascita. Infatti, secondo la leggenda, le sue origini risalgono al lontano 1552, a Milano, durante il dominio degli spagnoli. Il governatore Ferrante Gonzaga per esigenze militari decretò la demolizione della Cupola di santa Maria delle Grazie, ma venne dissuaso dall’apparizione di un angelo e della colomba dello Spirito santo. La gratitudine della città prese forma proprio in questo dolce, destinato nel tempo a diventare una delle espressioni più vive della Pasqua nel nostro paese. La storia recente, e forse quella più realistica, vede nei primi del Novecento una nota azienda milanese creare un dolce simile al panettone ma con un aspetto decisamente legato alla Pasqua: nasce così la colomba come la conosciamo oggi, un morbido dolce lievitato, con canditi e una croccante ricopertura di glassa e mandorle tostate. Sono ancora diverse, in talune zone dell’Italia, quelle preparate da veri maestri della pasticceria, che mantengono viva la tradizione con una lavorazione artigianale e che utilizzano materie prime selezionate e processi di lievitazione completamente naturali, derivanti dall’impiego di puro lievito madre senza l’aggiunta di lieviti chimici. Provare per credere!

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il ristorante

di Gualtiero Anelli

Pause fashion style In via Vittor Pisani, la strada più newyorkese di tutta Milano, brilla una nuova pietra preziosa: il Black Diamond Café

Il locale, appena ristrutturato, presenta un’impostazione moderna ed elegante, orientata ai giochi cromatici tra nero lucido e ampie superfici vetrate. Bellissima, tanto da togliere quasi il fiato, l’ampia parete verde che raggiunge il soffitto. Seduti ai tavoli del Black Diamond Café è sempre possibile vedere i cuochi in azione: i finger food più rinomati della città e le altre pietanze in carta qui non hanno segreti! Grandi vetrate lasciano infatti spazio alla curiosità dei numerosi clienti del locale, che restano affascinati nell’osservare tutte le fasi di preparazione dei cibi che degusteranno di lì a pochi istanti. Nel periodo primaverile ed estivo è imperdibile il dehor, da cui si gode una splendida vista su tutta Via Vittor Pisani, dalla Stazione Centrale sino a Piazza della Repubblica. Questo è il luogo perfetto per un incontro, sia esso lavorativo o piacevolmente romantico; il personale, sempre cortese e discreto saprà infatti consigliare la migliore soluzione per far sì che il vostro appuntamento si trasformi in un idillio. Dalle 6 alle 23 è possibile gustare rivisitazioni di classici piatti – dai risotti, alle lasagne, dal pesce al forno alle gustose carni nostrane – proposti sempre con fantasiose varianti. Pollo curry e ananas, tartare di salmone al frutto della passione, tonno in crosta di pistacchi... E per concludere, perché no, un tiramisù alle pere o un tortino ai 2 cioccolati con cuore di cioccolato bianco alla cannella! Dalle 17 in poi il Black Diamond Café sfodera la carta dell’aperitivo più fashion di tutta Milano: cocktail sempre curati e preparazioni gastronomiche innovative creano l’atmosfera giusta per passare una serata in compagnia degli amici o del proprio amore. Il buffet propone giornalmente freschissimi finger food, barchette e coni gelato alle tre mousse (salmone, tonno e cheese), pizza homemade, conchiglie primavera, gazpacho di maracuja, freschissime tartare di pesce, mini soup, sapori agro-dolci e speziati, cocottine mediterranee con salame piccante, polentine a fantasia dello chef. Da non perdere i cocktail Fashion style!, Punk is pink (zucchero, limone, Martini rosato), Shangai (frutta fresca menta e vodka profumata artigianalmente con scorza di mandarino), e Martini cocumber: rivisitazione del tradizionale Martini cocktail con infuso di cetriolo. Black Diamond Cafè Via Felice Casati, 44 angolo Via Vittor Pisani - Milano Tel. 0267100130

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Voyage en Sardaigne A trip to Sardinia

Colore

Profumo

Sapore

Carattere

Colori, Sapori, Profumi. Il Carattere dell’isola nei vini della Cantina Dorgali.

CANTINA

info@cantinadorgali.com - www.cantinadorgali.com - tel. +39.0784.96143

Fotografie e grafica di Antonio Fancello

Viaggio in Sardegna


Il buono a tavola

di Antonio Romeo romeo_1961@libero.it

La cucina color zafferano

Le Seadas (o Sebadas) Sono uno dei dolci sardi più conosciuti al di fuori dell’isola; considerate un dolce perché cosparse di miele di corbezzolo e zucchero, in origine erano un secondo piatto. Il loro nome ricorda la brillantezza dovuta al miele di corbezzolo. Ingredienti: farina “00” strutto arance limone formaggio fiore sardo fil’e ferru (grappa sarda) miele di corbezzolo zucchero olio extra vergine di oliva

Ci sono posti, in Sardegna, dove si ha l’impressione di poter toccare la Luna. Questa terra è un non luogo, greve di un silenzio assordante, e la sua gastronomia ne rispecchia l’anima solitaria: piatti buoni, curati nell’estetica, con una cottura che richiede attenzione e dedizione

Sull’isola dei nuraghi la natura solitaria sembra un orto abusivo di corbezzoli, finocchio selvatico, ginepro e mirto. Gli scorci che si intravedono sono di una sfacciata bellezza e il mare, qui, invita alla meditazione. La cucina è pastorale e agricola. Primeggiano le carni alla brace, soprattutto l’agnello, il porceddu e tutti i derivati del latte. I procedimenti di cottura più praticati sono quello allo spiedo e quello a incarralzadu, con l’alimento cotto in una buca piena di tizzoni di legno odoroso. La carne è presente anche nei sughi che servono per condire la pasta, come i malloreddus, piccoli gnocchi di semola, zafferano e acqua. L’altro primo piatto tipico è la fregula, che ricorda vagamente il cuscus, viene preparata in brodo, ma si serve anche asciutta con abbondante pecorino. La Sardegna ha una produzione casearia molto importante, i formaggi sono conosciuti anche fuori dai suoi confini: il pecorino sardo, la caciotta, il fiore sardo, un formaggio a pasta cruda, e la ricotta salata che si presta a essere grattugiata sulla pasta. Il pecorino si accompagna molto bene con i salumi, in particolare con il prosciutto di cinghiale e il prosciutto di capra o di pecora

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Preparazione: Mettere in una ciotola il formaggio grattugiato, aggiungere le scorze degli agrumi grattugiate, la grappa fil’e ferru e impastare fino a ottenere un composto morbido. Creare una fontana con la farina sulla spianatoia impastare con acqua calda, e aggiungere poco alla volta lo strutto. Quando la pasta sarà molto elastica farla riposare un’ora circa e stendere una sottile sfoglia ricavando dischi di circa 12 cm. Mettere un cucchiaio dell’impasto, coprire con un altro cilindro, pressare bene perché non rimanga aria all’interno. Friggere i dischi in abbondante olio bollente, scolarli bene. Servire con miele scaldato e cospargerli di zucchero a velo.

Malloreddus alla campidanese Ingredienti: malloreddus di salsiccia fresca pomodori pelati d’olio extravergine d’oliva cipolla foglie di basilico

un pò di zafferano pecorino grattugiato sale Preparazione: Mettere a rosolare nell’olio la cipolla tagliata e la salsiccia sbriciolata; dopo alcuni minuti aggiungere i pomodori pelati precedentemente passati al setaccio, lo zafferano e il sale; lasciare cuocere il tutto per circa 20 minuti, poi aggiungere le foglie di basilico e terminare la cottura. Nell’acqua bollente salata introdurre i malloreddus, scolarli e versarli in un recipiente grande, per condirli con il sugo. Versare un po’ di formaggio e servirli caldi.

Porceddu allo spiedo Ingredienti: un maialino (porceddu di 4 kg) sale
 lardo Preparazione: Infilzare il porcetto nello spiedo e cuocerlo a una distanza di almeno due metri dal fuoco vivace. Girarlo continuamente per fare in modo che la carne prima rosoli e poi inizi a cuocersi. Durante la cottura ungere la carne con del lardo riscaldato sul fuoco, e salare. Alla fine ricoprire di cenere il braciere e, una volta sfilato dallo spiedo, stendere il porcetto sopra la braci. Servire caldo su un letto di foglie di mirto.


Linguine con i ricci di mare

Il riccio di mare commestibile è la femmina, riconoscibile dai caratteristici colori che variano dal marrone rossiccio al violaceo. Quando si raccolgono dal fondale marino, la femmina si distingue dal maschio (nero) oltre che dal colore anche dal fatto che si ricopre di conchiglie, sassolini o alghe. Le parti commestibili sono gli spicchi arancione, da disporre a raggiera, che si trovano all’interno dei ricci. Ingredienti: linguine ricci di mare (10 a persona) 2 spicchi d’aglio olio extravergine d’oliva vino bianco sale, pepe bianco q.b. prezzemolo Preparazione: Tagliare i ricci di mare e raccogliere con delicatezza le uova in una ciotola. Soffriggere in padella, in abbondante olio bollente, l’aglio tritato privato del germoglio; quando l’aglio sarà appena imbiondito aggiungere qualche cucchiaio di uova di ricci, sfumare con il vino e togliere il dal fuoco. Lasciare raffreddare l’olio; lessare la pasta, scolarla al dente e amalgamare in una zuppiera con l’olio soffritto, e abbondante pepe, le rimanenti uova dei ricci e il prezzemolo tritato. Servire subito.

1 aragosta da 1 kg circa 1 scalogno 1 spicchio di aglio vino bianco secco 1 piccolo peperone giallo 1 rametto di santoreggia 1 rametto di timo 2-3 foglie di basilico olio extravergine di oliva sale pepe Preparazione: Lavare il peperone e asciugarlo; fasciarlo in un foglio d’alluminio e cuocerlo in forno caldo a 220 °C per circa 30 minuti, quindi sbucciarlo, mondarlo e tagliarlo a pezzi. Tagliare a pezzi testa, base delle antenne e zampe dell’aragosta: ricavarne tutta la carne possibile e tenerla da parte, compresa la materia gialla contenuta nella testa e le eventuali uova. In un capace tegame scottare le zampe e la corazza in 3 cucchiai di olio, schiacciandole bene; unire l’aglio e lo scalogno sbucciati e un bicchiere di vino. Lasciare parzialmente evaporare a fuoco alto, aggiungere il peperone, le foglioline di timo e santoreggia; salare e proseguire la cottura, a tegame coperto e abbassando la fiamma al minimo, per circa 20 minuti. Eliminare tutti i frammenti di corazza dell’aragosta, asportarne la polpa e mettere quest’ultima tagliata a tocchetti nel sugo, con le uova e la crema gialla della testa. Aggiungere ancora un paio di cucchiai di olio, una spruzzata di vino e il basilico. Proseguire la cottura a pentola scoperta ancora per 10 minuti a fuoco basso. Lessare nel frattempo la fregola in abbondante acqua bollente salata, scolarla e condirla nella padella con il sugo a fuoco vivace.

che hanno un gusto più dolce. Persino in pasticceria, il formaggio ha trovato una sua collocazione, basta assaggiare le sebadas, tortelli dolci farciti di formaggio fresco, fritti nell’olio, serviti caldi e ricoperti di miele di corbezzolo oppure le paredulas, dolci ripieni di ricotta aromatizzata con zafferano e scorza di limone grattugiata. Anche se la tradizione culinaria di quest’isola assegna un ruolo importante alla carne, troviamo un’infinità di piatti di mare come l’aragosta preparata alla catalana con pomodoro, sedano, cipolla cruda e basilico, un piatto fresco, colorato, un vero inno alla gioia. Un altro piatto particolare sono le orziadas, cioè le attinie infarinate e fritte, senza dimenticare i ricci di mare da mangiare appena pescati e poi, da servire come antipasto insieme ai pomodori camone, pomodoro tipico sardo, e alla bottarga, uova di muggine o di tonno lavate con acqua salmastra e lasciate essiccare pressate. Il clima mite favorisce la coltivazione di molte verdure, tra cui il carciofo spinoso sardo, ottimo da mangiare in pinzimonio e lo zafferano, ingrediente fondamentale della cucina sarda. Anche il pane si è adattato al territorio: schiacciato senza mollica, facilmente trasportabile dai pastori è il pane carasau, detto anche carta da musica, appunto per la sua consistenza lieve. Il vino ha un legame antichissimo con l’isola. Il rosso più conosciuto è il Cannonau, secondo gli studiosi sarebbe uno dei più antichi, tra i bianchi il più noto è il Vermentino, un vino che ha il respiro dell’estate e la cui storia millenaria rappresenta un valore aggiunto, a ogni sorso.

Fregola con aragosta all’algherese Ingredienti: semola di grano duro a grana grossa zafferano sale un bicchiere di acqua 320 g di linguine

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Il buono a tavola

Cantina del Vermentino Monti

Riflessi di Vermentino La storia del vino in Sardegna ha radici profonde. Le tracce di un laboratorio enologico, rinvenute nel complesso megalitico Nuraghe Arrubiu, indicano una tradizione che risale all’origine dei tempi e che è andata sviluppandosi grazie alle invasioni di fenici e cretesi, romani, bizantini e spagnoli Furono gli spagnoli a introdurre in Sardegna alcune delle cultivar attualmente di maggior peso, come il Vermentino, unica Docg sarda (a fronte di 19 Doc e 15 Igt) e che in Gallura ha trovato un habitat favorevole grazie ai terreni di origine granitica. Il Vermentino di Gallura è ottenuto dalle uve dell’omonimo vitigno, presenti dal 95% al 100%. Di colore giallo paglierino chiaro, con riflessi verdognoli, ha profumo delicato, lievemente aromatico, mentre il sapore è secco e asciutto, con un leggero retrogusto amarognolo. Fresco e delicato, è ideale con antipasti, aperitivi, o pasti leggeri a base di pesce e di verdure. Per scoprire abbinamenti originali e sfiziosi, e soprattutto due ottime cantina dove degustarlo in contesti del tutto speciali, ecco un paio di indirizzi da segnare in agenda per la vostra prossima vacanza sarda. G.C.

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Vigne Surrau In una struttura completamente rinnovata in senso fortemente contemporaneo, la giovane Cantina (la prima vendemmia è del 2005), nata dalla voglia di recuperare antichi vigneti e ampliare la propria attività della famiglia Demuru, sorge nei pressi di Arzachena, vicinissima al mare. Fortemente votata all’enoturismo, la Cantina organizza all’interno dei suoi spazi non solo degustazioni guidate, ma anche mostre di fotografi e artigiani locali e concerti (di prossima apertura un centro congressi). La produzione della cantina Surrau si orienta per il 60% ai vini bianchi e per il 40% ai rossi; 50 gli ettari di proprietà. Particolarmente interessante il percorso di degustazione che offre abbinamenti che cambiano con le stagioni e che, tra le soluzioni più curiose, propongono ad esempio il Vermentino di Gallura Docg Superiore Sciala con un assaggio di bottarga di muggine di Cabras, ricotta salata e mandorle tostate o fresche, o lo Spumante di Vermentino Brut Metodo Classico proposto con Grana Anglona di pecora. www.vignesurrau.it

Fondata nel 1956, oggi conta su 350 soci proprietari e conduttori di vigne tutte ubicate in territorio di Olbia e Monti, piccolo paese tra bassa Gallura e il Logudoro, nell’entroterra della Costa Smeralda. I vigneti di Monti sono impiantati su terreni derivati da disfacimento granitico a quote inferiori a 450 metri sul livello del mare, con sesti d’impianto, forme di allevamento e sistemi di potatura tradizionali e comunque tali da non modificare le caratteristiche proprie delle uve e dei vini. Tra le principali produzioni commercializzate, ovviamente il Vermentino di Gallura Docg (Arakena, Funtanaliras, S’èleme, Aghiloià), ma anche il Cannonau di Sardegna Doc, rossi e rosati Colli del Limbara Igt; spumanti Vigne del Portale e le grappe di Vermentino. Un’ottima occasione per visitarla è la Sagra del Vermentino, da 20 anni organizzata in Cantina la prima domenica di Agosto. Durante la giornata è possibile effettuare visite guidate in stabilimento e assaggiare, oltre che i vini di produzione, anche i prodotti tipici del territorio. www.cantinavermentino.com



di Giuseppe Pulina Professore di Zootecnia speciale all’Università di Sassari

scienza e vita

porta con sé l’aroma dei fiori da cui trae origine e che mantiene inalterata la sua identità rispetto al territorio di produzione anche dopo i processi di lavorazione. Il miele ha una dolce storia e un presente concreto. Su questo magnifico alimento abbiamo intervistato uno dei massimi esperti nazionali, il professor Ignazio Floris, docente di Apicoltura presso l’Università di Sassari.

Il Miele, una storia di infinita dolcezza Altamente digeribile, ricco di vitamine e oligoelementi, e dal potere dolcificante superiore a quello dello zucchero da cucina, l’ambrato frutto del lavoro delle api non è solo un alimento squisito ma è anche espressione diretta del territorio che lo produce, nel totale rispetto dell’ambiente

Ignazio Floris, docente di Apicoltura presso l’Università di Sassari

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Nel corso della storia umana, il miele è stato utilizzato non solo come dolcificante, ma anche come medicamento. Attualmente la produzione annua di miele è stimata pari a circa 1,4 milioni di tonnellate (FAO, 2005). A partire dalla metà del secolo scorso sono state dedicate al miele molte migliaia di indagini scientifiche, che hanno riguardato la sua origine, le sue proprietà, le tecniche per migliorarne la produzione, l’estrazione e la preparazione. La scienza ha in parte dimostrato le virtù curative del miele riportate dagli antichi scrittori, poeti e scienziati. Oggi, il miele, nella sua ampia varietà, è un alimento comune ma anche da intenditori, che trova proficua utilizzazione nei campi industriale, cosmetico e farmaceutico. È il solo prodotto che

Che il miele si ottenga dalle api lo si impara alle elementari. Ci può spiegare in dettaglio i processi di questa straordinaria produzione? La “storia biologica” del miele parte dalla raccolta operata dalle api delle secrezioni zuccherine naturali come il nettare o la melata, realizzata compiendo percorsi di volo complessivamente pari a tre circonferenze terrestri per appena un vasetto di mezzo chilo di miele, ottenute con un meticoloso lavoro nell’alveare di elaborazione e immagazzinamento nei favi di cera. La vera natura del miele è quindi da ricercare nello stretto rapporto simbiotico tra api e fiori: un rapporto alla base dell’evoluzione stessa delle piante superiori, che ci rivela il significato profondo dei fiori in natura, come ben spiega Karl Von Frish (premio Nobel nel 1973 per i suoi studi sul linguaggio delle api): “Raramente pensiamo, quando guardiamo un mazzo di fiori, che i suoi bei colori e il suo profumo non sono stati concepiti per i nostri sensi, bensì per gli organi sensoriali degli insetti, i quali trovano il loro nutrimento in questi fiori. Mentre suggono il nettare o il polline, essi pagano, per modo di dire, il loro nutrimento effettuando l’impollinazione. Volando di fiore in fiore, trasmettono, da allevatori inconsapevoli, il polline agli stigmi provocando in tal modo la fecondazione. Le due controparti sono così soddisfatte e si adattano reciprocamente a questi rapporti stretti e costanti. Ciò è avvenuto sulla terra molto tempo prima che l’uomo cogliesse il primo mazzo di fiori”. Le api raccolgono il nettare e gli altri liquidi zuccherini tramite il loro apparato boccale e li immagazzinano temporaneamente in una dilatazione dell’esofago denominata “borsa melaria” per il trasporto nell’alveare. Qui, li arricchiscono di enzimi contenuti nei secreti salivari. Poi, giunte nell’alveare, cedono di bocca in bocca (trofallassi) il contenuto della loro borsa melaria ad altre api operaie e iniziano il processo di eliminazione dell’acqua in eccesso, mediante l’esposizione del nettare all’ambiente dell’alveare adeguatamente condizionato dall’attività delle api ventilatrici. Il miele in maturazione viene poi immagazzinato nelle cellette dei favi e, quando raggiunge circa il 20% o meno di umidità, le cellette vengono opercolate con un sigillo di cera che ne impedisce il riassorbimento di acqua dall’ambiente dell’alveare.


Le api lavorano per se stesse, per la colonia. Noi interferiamo su tanto lavoro sottraendone parte con tecniche non distruttive della stessa. Ce le può spiegare? È vero. Un tempo l’estrazione del miele avveniva per diretta spremitura dei favi costruiti dalle api nei bugni villici, con la conseguente distruzione, parziale o totale, dei nidi e spesso con l’eliminazione delle stesse api. Oggi, nell’apicoltura razionale, le colonie di api vengono controllate e curate regolarmente, evitando qualsiasi pratica cruenta, grazie all’impiego di arnie a favo mobile. I melari (settori dell’arnia destinati all’immagazzinamento del miele) vengono facilmente rimossi e trasferiti in appositi locali dove avviene la lavorazione: disopercolazione (apertura manuale o meccanica delle cellette dei favi), estrazione mediante centrifuga (smielatura), filtrazione, decantazione e confezionamento; il tutto utilizzando attrezzature in acciaio inox. I favi di cera vengono così preservati per essere reimpiegati in successivi cicli produttivi. Il miele non subisce nessun trattamento che ne alteri le caratteristiche originarie. Caratteristiche che lo rendono un prezioso alimento completo, seppure a elevato valore energetico. Eccoci al punto: un prodotto naturale, con caratteristiche speciali. Potrebbe illustrarle? Nel miele sono stati identificati complessivamente oltre 300 componenti diversi. La composizione

dipende soprattutto dalle materie prime bottinate dalle api sulle piante, dalle condizioni ambientali e dalle tecniche di produzione. I componenti principali sono i carboidrati, soprattutto fruttosio e glucosio (che insieme rappresentano dall’85 al 95% dei carboidrati totali), responsabili delle caratteristiche fisiche del miele e del suo valore energetico. La percentuale di acqua non supera di norma il 20%, a parte alcune eccezioni. Molti sono gli acidi identificati nel miele: acetico, butirrico, citrico, formico, gluconico, lattico, malico, ossalico, succinico ed altri. Il pH ha valori oscillanti tra 3,2 e 3,9 ed è condizionato dalla presenza di diversi elementi minerali: potassio, sodio, calcio, magnesio, ferro, rame, manganese, fosforo e silicio. In genere, i mieli scuri (es. castagno) sono più ricchi di sostanze minerali di quelli chiari (es. acacia). Le proteine sono presenti in quantità molto ridotta (0,2-0,3%) e hanno origine sia dalle materie prime sia dalle stesse api. Ci sono poi gli enzimi, i quali hanno il ruolo fondamentale di accelerare le reazioni biochimiche durante il processo di maturazione del miele, nel quale possono essere inoltre presenti anche particelle solide disperse (es. microparticelle di cera). Tra i componenti minori riscontriamo numerose sostanze volatili: acidi, alcoli, chetoni, aldeidi nonché vari tipi di pigmenti di origine vegetale: carotenoidi, antociani, flavonoidi, xantofille, che conferiscono l’aroma e il colore al miele e sono quindi implicate nella definizione delle caratteristiche organolettiche.

I melari (destinati all’immagazzinamento del miele) vengono facilmente rimossi e trasferiti in appositi locali dove avviene la lavorazione del prodotto

Volando di fiore in fiore, le api trasmettono il polline agli stigmi provocando la fecondazione. Ciò avviene sulla terra da molto prima che l’uomo cogliesse il primo mazzo di fiori

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scienza e vita

Una composizione complessa, molto di più del semplice nettare originario, frutto di una intensa opera di trasformazione biologica compiuta dall’insetto. Quali sono gli aspetti nutrizionali ed eventualmente benefici per la salute del miele? Dal punto di vista nutrizionale, si presenta altamente digeribile e fornisce un immediato apporto calorico, che lo rende particolarmente idoneo alla dieta di sportivi, giovani in fase di crescita e anziani, anche grazie alla presenza di vitamine e oligoelementi. Il suo potere dolcificante è inoltre superiore a quello del saccarosio (zucchero di cucina), per la generale prevalenza del fruttosio, che consente, a livello dietetico, di realizzare un risparmio energetico. Sotto il profilo terapeutico, al miele sono state attribuite molte proprietà benefiche, ma dal punto di vista clinico, resta il problema del suo impiego farmacologico non facilmente standardizzabile. In generale, è sufficientemente documentata l’attività antibatterica del miele,̀ legata all’acqua ossigenata e ad altre caratteristiche come l’effetto osmotico, dovuto alla concentrazione di zuccheri che, in associazione con l’acidità, blocca l’attività di eventuali microrganismi patogeni. Anche alcune sostanze naturali presenti nel miele concorrono all’attività antibatterica, ad esempio le sostanze fenoliche. Tuttavia, pur esplicando una buona azione antimicrobica, il miele non è esente dall’attacco di particolari microrganismi come alcune specie di lieviti che tollerano alte concentrazioni zuccherine, rendendolo suscettibile alla fermentazione, la quale si può evitare solo conservando il miele in condizioni ottimali (luogo fresco o refrigerato).

Il miele porta con sé l’aroma dei fiori da cui trae origine e mantiene inalterata la sua identità rispetto al territorio di produzione anche dopo la lavorazione

Esistono molte varietà di miele, di solito legate alla o alle specie botaniche bottinate. Vi è un rapporto con la sua qualità? Per comprendere la qualità del miele, occorre conoscere anche la sua diversificazione botanica e geografica, alla base della classificazione commerciale. In questo caso, l’elemento fondamentale è il polline (nel caso del miele di melata, le spore e le ife). Ogni specie di pianta ha, infatti, un polline caratteristico e morfologicamente distinguibile da quello delle altre specie. Le api, bottinando i fiori per il nettare, assumono anche granuli pollinici della stessa pianta, che persistono nel nettare dopo il trasporto e l’elaborazione del

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Oggi le colonie di api vengono controllate regolarmente, evitando qualsiasi pratica cruenta, grazie all’impiego di arnie a favo mobile

miele. Su questo presupposto è possibile, mediante un’analisi microscopica (melissopalinologica), l’identificazione dell’origine botanica e geografica del miele e la distinzione dei mieli uniflorali, cioè a prevalente composizione di nettare di una solo specie, dai multiflorali o millefiori, nonché la caratterizzazione dell’origine geografica (es. miele italiano, miele argentino, miele cinese, etc.). Al mondo esistono molte tipologie di miele in relazione alle differenti possibili sorgenti botaniche visitate dalle api. L’Italia vanta un’ampia diversificazione qualitativa con alcune decine di mieli uniflorali, per 18 di questi esiste una scheda tipologica di riferimento, definita a livello ministeriale (I mieli uniflorali italiani, MIPAF, 2000): acacia (Robinia pseudoacacia), agrumi (Citrus spp.), cardo (Carduus spp., Galactites sp., Cirsium spp.), castagno (Castanea sativa) corbezzolo (Arbutus unedo, rinomato per il sapore spiccatamente amaro), erba medica (Medicago sativa), erica (Erica spp.), eucalipto (Eucalyptus spp.), girasole (Helianthus annuus), nespolo (Eryobotrtrya japonica), rododendro (Rhododendron spp.), rosmarino (Rosmarinus officinalis), sulla (Hedysarum coronarium), tarassaco (Taraxacum officinale) tiglio (Tilia spp.), timo (Thymus spp.), melata di abete (Abies alba e Picea excelsa), melata di Metcalfa (Metcalfa pruinosa).

Per approfondire Bogdanov S., (2011) “The wonders of the Bee Exagon: The bee products” www.bee-hexagon.net. Crane, E. (1975) “History of honey, In Crane, E (ed.) Honey, a comprehensive survey”, William Heinemann; London; pp 439-488. Crane, E. (1999) “The world history of beekeeping and honey hunting”, Gerald Duckworth & Co Ltd London Jones, R. (2001) “Honey and healing through the ages”, in Munn, P., Jones, R. (Eds.) Honey and healing, IBRA, Cardiff, UK, pp. 1-4 Ransome, H.M., (1937) “The sacred bee in ancient times and folklore”, George Allen and Unwin, London



almanacco di barbanera

di M. Pia Fanciulli

Sole e luna Il Sole Il 1° sorge alle 06.35 e tramonta alle 17.50 L’11 sorge alle 06.18 e tramonta alle 18.02 Il 21 sorge alle 06.01 e tramonta alle 18.14 Il 1° marzo si hanno 11 ore e 15 minuti di luce solare – mentre il 31 se ne hanno 12 ore e 41 minuti. Si guadagnano 1 ora e 26 minuti di luce solare.

La stagione dei fiori Filastrocche e proverbi abbondano sulla primavera, periodo dell’anno che più di ogni altro ha in sé la voglia e la forza della rinascita. Un momento speciale che rimette in moto la natura, che ci chiede di raccogliere i frutti di quanto seminato, ma soprattutto di guardare avanti, con le giornate che si allungano e il vento che spazza via le nuvole

Da ricordare

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Giovedì 8 marzo Festa della donna Mimosa o non mimosa, questione su cui ogni anno si confrontano pareri diversi, la festa della donna è sempre occasione di dibattiti sulla condizione femminile. Le origini della ricorrenza conducono al 1908, quando a New York le operaie dell’industria tessile Cotton iniziarono uno sciopero per protestare contro le terribili condizioni di lavoro. E proprio l’8 marzo il proprietario bloccò le porte della fabbrica e appiccò il fuoco, causando la morte di 129 operaie. Fu Rosa Luxemburg a proporre la data del terribile evento come giornata internazionale delle donne.

Mercoledì 21 marzo Primavera Astronomicamente parlando la nuova stagione prende avvio con l’equinozio, giorno in cui notte e dì hanno uguale durata. E un tempo l’arrivo della bella stagione coincideva pure con il giorno dedicato a San Benedetto, patrono d’Europa. “Per San Benedetto la rondine sotto il tetto” ci ricorda uno dei più noti proverbi italiani, ma oggi non è più così, perché l’amato Santo si celebra l’11 luglio. Questo non impedisce però alla città di Norcia, dove il fondatore dell’Ordine benedettino è nato, di dedicargli il 20 e il 21 marzo un ricco programma di celebrazioni fra tradizione e cultura.

Lunedì 19 marzo San Giuseppe, Festa del papà Vengono dai Vangeli di Matteo e Luca le notizie sulla vita di San Giuseppe, falegname di Nazareth. Già sposato e padre di cinque figli, fu scelto come fidanzato della Vergine Maria che sposò dopo la nascita di Gesù. Esempio straordinario di amore per la famiglia, è festeggiato come protettore dei papà. Il nome ebraico Yôseph era già molto diffuso nell’antica Israele. Grecizzato in Iósepos, significava “possa Dio aggiungere”, sottinteso “altri figli”. Tradizionalmente il nome si dava ai primogeniti.

Domenica 25 marzo Ora legale estiva A un balzo dall’atteso arrivo della Primavera, la strada verso la bella stagione, con le giornate che si allungano e tante ore di luce che ci danno nuove energie, arriva anche il cambio d’orario. E allora teniamo bene a mente che domenica 25, alle ore 2, le lancette dei nostri orologi dovranno essere spostate alle 3. Si dormirà un’ora di meno, ma avremo un’ora di luce in più. E sarà così fino al ripristino dell’ora solare, detta anche ora legale invernale, che tornerà domenica 28 ottobre.

La Luna Il 1° tramonta alle 01.23 e sorge alle 10.52 l’11 tramonta alle 07.38 e sorge alle 22.11 Il 21 sorge alle 05.05 e tramonta alle 17.24 La Luna è al Perigeo sabato 10 alle ore 11. È all’Apogeo lunedì 26 alle ore 08. Luna in viaggio In questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 13, 14, 18, 19.


Belli e sani

Orti e dintorni Persino William Shakespeare, in Romeo e Giulietta, fa entrare in scena il rosmarino in uno dei momenti salienti del noto dramma. Immancabile aroma in cucina, questo arbusto sempreverde è una presenza familiare negli orti, nei giardini e anche sul terrazzo dove si può coltivare con estrema facilità. Pianta rustica e forte della macchia mediterranea, si trapianta tra febbraio e marzo insieme ad altre aromatiche quali salvia, maggiorana e timo, facendosi dare una mano dalla fase di Luna crescente. Si può coltivare facilmente anche in vaso, l’importante sarà collocare la piantina in un contenitore profondo almeno 50 cm riempito con terriccio standard, da sistemare poi in un punto riparato ed esposto al sole. Nell’orto invece la Luna crescente ci chiede di seminare in semenzaio cetrioli, melanzane, peperoni, peperoncini, pomodoro, meloni, timo. In piena terra mettere invece il lattughino da taglio e le fave. Trapiantare le aromatiche, ma anche l’asparago bianco e verde, le carote nelle varietà tardive, i piselli. Raccogliere la valerianella. In calante seminare in semenzaio basilico, lattuga, maggiorana e sedano. All’aperto cavolo cappuccio primaverile ed estivo, bietola da orto e rapa. Trapiantare cipolla e aglio. E nel giardino? Seminare in crescente, in coltura protetta, i ciclamini. Seminare all’aperto le specie annuali, tra cui calendula, papavero e iberide. Piantare i bulbi a fioritura estiva-autunnale, ad esempio ciclamini e amarillis. Iniziare la semina dei tappeti erbosi. Terminare in fase calante le potature degli alberi e degli arbusti spoglianti. Infine preparare il terreno per la messa a dimora di nuove piantine e rinvasare le piante da interno, le fucsie e le ortensie.

Con i giusti ingredienti si possono preparare creme idratanti in casa che regalano una sferzata di energia, si adattano a ogni tipo di pelle e non hanno controindicazioni. Si ottengono miscelando ad esempio yogurt, avena e miele, e si arricchiscono con oli essenziali. Vanno preparate al momento e conservate in frigo per 1 o 2 giorni, non di più. Ecco una ricetta per la pelle secca: mescolate 2 cucchiai di farina di avena, uno di miele e uno di panna fresca. Aggiungete qualche cucchiaio di acqua di rose fino a ottenere una crema morbida e spalmabile. Unite infine gli oli essenziali: 3 gocce di arancio dolce, 2 di lavanda e 2 di rosa damascena. A marzo è importante depurare l’organismo dalle scorie dell’inverno mangiando verdure fresche amare, germogli e yogurt con fermenti lattici vivi. Farà anche bene, bevuta nel periodo di Luna calante, una tisana di cicoria (stimola lo stomaco, facilita la digestione e abbassa il tasso glicemico), specie se selvatica: le sue radici sono infatti eccellenti depurativi del sangue e dunque preziose per prevenire anche arteriosclerosi, artrite, affezioni di fegato e reni. Sempre in movimento: si dice che i bambini non sentono la stanchezza, o talvolta non ne parlano per evitare letto o ricostituenti. Ma l’ostacolo, soprattutto nei momenti del cambio di stagione, si può aggirare ricorrendo alla pappa reale, l’alimento delle api regine, ricco di zuccheri, grassi, proteine, vitamine e minerali. È una sostanza rivitalizzante, immunostimolante, energetica ed euforizzante. Potranno così ritemprare le forze recuperando pure entusiasmo e appetito. In più favorisce la memoria e li aiuta nello studio.

Saggezza popolare Saggezza popolare • Nei mesi errati non sedere nei prati. • Marzo un sole e un guazzo. • Eucalipto, liquirizia e viola fan guarire il mal di gola. • San Giuseppe (19 marzo) antico: torna la rondine e migra il beccafico. • La pace tra suocera e nuora dura quanto la neve marzaiola. • Se le gemme fan cucù, l’inverno non si teme più. • Basta una stella per far sera, basta un’ape per far primavera. • Per l’Annunziata (26 marzo) la rondine è ritornata. • Marzo ventoso, frutteto generoso. • Due ceppi nel cortile: uno per marzo e uno per aprile.

luna piena

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primo quarto

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ultimo quarto

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orto dei semplici

di M. Pia Fanciulli

Radicchio, il fiore rosso dell’orto Rosso e croccante, con una punta di amarognolo che porta in sé il rigore dell’inverno ma anticipa sapori, e profumi della bella stagione. Può essere di Treviso, di Verona, di Chioggia: tutte varietà a marchio Igp

Crudo in insalata, o cotto ai ferri, fritto, stufato, nei risotti: ottimo in ogni preparazione, il radicchio ha nel Veneto la sua terra d’elezione

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Oggi non manca mai dalle tavole più ricercate, ma per molto tempo il radicchio è stato il cibo povero delle campagne: poco più che selvatico, rosso e amarognolo, lo si raccoglieva nei campi. Ortaggio originario dell’Italia settentrionale, e precisamente del Veneto, è una varietà di cicoria rossa, Cichorium intybus, che si cominciò a coltivare dal XVI secolo. Poi nel tempo se ne è affinata sempre di più la produzione – dall’area veneta raggiunge il mondo intero –, ma è solo dopo la metà dell’Ottocento che le piante, sottoposte alla tecnica della forzatura e dell’imbianchimento, sono giunte a essere il prodotto oggi tanto amato noto come radicchio rosso della Marca Trevigiana. Sembra che la tecnica colturale utilizzata derivi da quella utilizzata per l’insalata belga e giunta da noi grazie al fiammingo Van

den Borre, creatore di giardini, che negli anni tra il 1860 e il 1870 fu chiamato a villa Palazzi, vicino Treviso, per realizzare un giardino all’inglese. La pianta invece da cui il bellissimo fiore rosso dell’inverno deriva, la più comune cicoria, si trova ovunque nei luoghi erbosi e incolti dell’area euroasiatica e leggenda vuole sia stata scoperta da Adamo nel Paradiso Terrestre.
Forse un’esagerazione, ma l’utilizzazione da parte dell’uomo della specie spontanea risale davvero alla notte dei tempi. Anche Plinio il Vecchio cita nella sua Naturalis Historia la lattuga veneta sottolineandone le efficaci qualità depurative. In antichità veniva usata anche come medicamento, specialmente per curare l’insonnia. Tornando a oggi, e all’area veneta, suo luogo d’elezione, sembra proprio che solo in questa terra esistano le condizioni ideali per


Coltiviamoli così La cassetta e il terriccio I vasi, meglio se di forma rettangolare, lunghi almeno un metro e profondi 25 cm, vanno riempiti con un terreno a medio impasto in cui i vari elementi, dalla sabbia all’argilla, dalla torba alla ghiaia, devono esser presenti in maniera da assicurare un substrato soffice e drenato. La semina Il radicchio, Cichorium intybus, si semina tutto l’anno, preferendo i giorni di luna calante. Interrare i semi ad una distanza di 5 cm e ad profondità di 1 –1,5 cm. Importante non fargli mancare l’acqua nelle semine estive, mentre si possono diradare le annaffiature dalla metà di

ottobre, quando comincia a piovere con una certa regolarità. Quando le piante cominciano ad avere 3 o 4 foglie si procede con il diradamento. Raggiunto un diametro di circa 30 cm, si procede all’operazione dell’imbianchimento che può essere fatto legando la pianta con filo di rafia o posandovi sopra una campana. Punti deboli In genere il radicchio soffre di marciumi e muffe. Se non si vogliono impiegare fungicidi occorre evitare l’irrigazione con acque fredde. I parassiti animali sono invece le chiocciole che si nutrono delle foglie, da grillotalpa e larve di maggiolini che danneggiano le radici. Se attaccato dagli afidi, utilizzare piretrine naturali o soluzioni di acqua e aglio tritato.

Buono a sapersi Per quanto la cicoria si adatti bene a qualsiasi clima, la temperatura ideale per la sua crescita e 15-18°C. Ideali invece sono le consociazioni con altri ortaggi come carote, fagioli rampicanti, lattuga, finocchi, pomodori e ravanelli. Raccolta e conservazione Tagliare i cespi di radicchio, a scalare, 60 - 90 giorni dopo la semina. La varietà precoce verso la metà di settembre, quella tardiva da metà novembre alla metà di dicembre. Si può utilizzare un coltello o una roncola. Si possono lasciare le radici al loro posto per una nuova fase vegetativa. Come tutte le insalate vanno consumate fresche. Comunque si mantiene per una settimana se messo in frigorifero avvolto in un panno umido o all’interno di un sacchetto di carta bucherellato.

Generose Dalie

la sua produzione. Tentata infatti diverse volte già dal secolo scorso, in varie parti d’Italia e d’Europa, la coltivazione non ha però mai avuto successo. Preziosissimo in cucina, dove è sempre più protagonista di piatti di una tradizione ritrovata o di nuovi e insoliti accostamenti, dal punto di vista nutrizionale il radicchio contiene però meno minerali della cicoria classica. E per chi volesse farne una piccola coltivazione nell’orto di casa o sul balcone, lo si può coltivare in tutti i mesi dell’anno, ma si raccoglie soprattutto in autunno-inverno. Ne esistono varietà precoci e tardive. Quando si dice bello e buono Segni particolari: rosso e croccante. Con una punta di amarognolo che porta in sé il rigore dell’in-

verno. In realtà esistono più varietà di radicchio, che comprendono il Rosso di Treviso (precoce e tardivo), il Rosso di Verona ed il Rosso di Chioggia, tutte insignite del marchio Igp, ovvero Indicazione geografica protetta. Quanto al radicchio di Treviso, la varietà precoce è in vendita già alla fine di settembre, ha grossi cespi allungati, con foglie rosse larghe e una lunga costola centrale bianca. Ottimo per preparazioni ai ferri. La varietà tardiva invece, detta anche Spadone trevigiano, si trova da metà novembre. Più fragrante e gustosa, ha cespi formati da germogli compatti e uniformi, le foglie strette e la costola dorsale completamente bianca. Si può mangiare crudo in insalata, o cotto ai ferri, fritto, stufato, nei risotti.

Con l’arrivo della primavera, oltre all’orto pure il giardino chiede le sue attenzioni. Anche perché, se vogliamo godere di belle fioriture di qui ai mesi successivi, è tempo di impiantare bulbi e tuberi a fioritura estiva, come ad esempio le dalie. In questo caso la prima operazione da compiere è quella di interrare concime organico o compost ben maturo poiché queste specie, che prediligono terreni freschi e fertili, temono la sostanza organica fresca. Importante anche scegliere bulbi ben conformati e sani. Per ogni tipo sarebbe tra l’altro utile optare per varietà dello stesso colore sia per godere di un piacevole effetto cromatico sia per semplificare le operazioni di estrazione e conservazione. Un piccolo consiglio. Se si amano in particolare le dalie, germoglieranno meglio se avranno sul tubero un pezzetto di stelo vecchio.


chef italiani nel mondo

di Gianluigi Pagano

Giovanni Parrella

Valter Gosatti

Diplomato all’istituto alberghiero Luigi dei Medici di Cicciano (Na), per 10 anni lavora nelle cucine di molti importanti ristoranti. Nel 2001 apre a Istanbul il primo ristorante italiano di una lunga serie (4 in 3 anni). Nel 2005 si trasferisce a Mumbai per far parte del team Hyatt Regency Mumbai e aprire il nuovo ristorante, Italiano Stax. Attualmente lavora nella capitale cinese presso il Grand Hyatt Beijing.

Executive Chef, nato ad Aosta nel 1962, ha iniziato l’attività nel ristorante di famiglia. Dopo aver completato gli studi è stato assunto come cuoco al Grand Hotel Billia, stabilimento a cinque stelle attiguo al Casinò di Saint Vincent. Ha lavorato in Svizzera, Spagna e Cipro. Nel 1995 Chef Valter lavora a Singapore, in Malaysia, Thailandia, Mongolia e in Cina, dove è stato premiato nel 2010 con un diploma di Master Chef cinese, e nel 2011 con un Italiani master Chef certificato Academia Barilla.

Crudo di tonno, insalatina di finocchi, capperi e agrumi Ingredienti 400 gr di tonno fresco 20 gr di capperi dissalati 1 ciuffetto di germogli freschi 20 gr di pinoli tostati 40 ml succo di limone 30 gr di succo di arancia 1 finocchio 1 arancia olio d’oliva extravergine sale e pepe q.b. Procedimento: Tagliate il tonno a fettine, poi a strisce, quindi a dadi piccoli. Tritate a coltello i pinoli con i capperi e le olive, uniteli al tonno, aggiungete i germogli e aggiustate di sale e pepe. Condite la tartara con succo di limone, arancio e olio extravergine di oliva, poi lasciatela 10 minuti in frigorifero quindi servitela con dell’insalata di finocchi affettati e arance pelate a vivo il tutto condito un filo di olio extravergine.

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Fideo semplice ed eccellente Ingredienti: 1 aragosta da 400gr 200 gr di vongole 200 gr di cozze 150 gr di calamari 150 gr di branzino sfilettato 150 gr di merluzzo 100 gr di gamberi Zuppa d’astice q.b. 100 gr di spaghetti uno spruzzo di vino bianco 3 spicchi d’aglio 50 gr di brandy prezzemolo per decorazione 150 gr olio d’oliva sale e pepe nero spaccato s.q.

Procedimento: Spezzettate gli spaghetti fino a ridurli alla lunghezza di circa 2 cm, metteteli in un padellino senza alcun soffritto e cuoceteli aggiungendo poco alla volta la bisque di aragosta come per cuocere il risotto, fino a cottura ultimata, senza lasciarli troppo asciutti; deve essere più una zuppetta. Nel frattempo aprite le vongole e le cozze in una padella con l’aggiunta di uno spicchio d’aglio e un po’ di olio d’oliva; quando saranno aperte conservatele al caldo nella loro acqua di cottura. A parte, in una larga padella, far cuocere il resto dei pesci in un soffritto di aglio e olio d’oliva, la polpa dell’aragosta, i calamari, il branzino sfilettato, il merluzzo a cubetti, e infine i gamberetti; sale a gusto, irrorare di brandy e vino bianco. A cottura ultimata aggiungere un po’ di bisque di aragosta e tenere in caldo. Quando gli spaghetti son cotti, aggiungete i cubetti di cod fish e i calamari, disporre il tutto in una padella bella da presentare a tavola, decorare con l’aragosta, i filetti di branzino, i gamberi, le cozze e le vongole, e concludere con un tocco di prezzemolo e un pizzico di pepe nero spaccato.


DAVIDE CARè

Nicolino Lalla

La sua prima esperienza in un ristorante storico è stata al Cambio di Torino. A Berlino è stato Sous Chef presso l’Enoteca Reale (con la guida di Cristiano Rienzner) dove è stato iniziato alla cucina molecolare. Nel 2004 a Lussemburgo è Chef di Cucina. Si è poi trasferito a Singapore, per collaborare con il ristorante Garibaldi. A Shanghai ha lavorato per il gruppo Gaia come Executive Chef nel ristorante Va Bene; oggi è Executive Chef del ristorante Tavola sul Bund di Shanghai.

Abruzzese, frequenta l’istituto alberghiero di Villa Santa Maria e fa importanti esperienze stagionali tra Porto Cervo, St. Moritz e Londra. A Philadelpia è Chef Consultant. Successivamente va a Bangkok come Executive Chef per l’avviamento di un ristorante con cucina internazionale, e quindi a Phuket per l’apertura di un resort di lusso che entrata nella top five dei migliori del Sud Est Asiatico. Attualmente lavora al Portofino e a Le Meridien Beach Resort di Phuket.

Filetto di Angus con salsa al cioccolato 70% e Rhum

Millefoglie di crema di salmone e caprino con pane croccante, frutto del cappero, caviale, pepe rosa e foglia d’oro

Ingredienti: 180 gr filetto di Angus 100 gr di patate americane Timo fresco, rosmarino e maggiorana q.b. 30 gr di Cioccolato Amedei 70% 10 ml di Rhum 100 ml di fondo di vitello 100 gr di funghi porcini freschi (solo le teste) 1/3 di bacca di vaniglia del Madagascar Cacao in polvere Preparazione: Pelare le patate e tagliarle a 0,5 cm di spessore. Bollirle per 3’ in acqua salata, asciugarle con un foglio di carta assorbente. Friggerle in olio di soia a 180°C. Spadellare i porcini per 1,5’ e aggiungere vaniglia e maggiorana. Fare una riduzione del fondo di vitello e aggiungere cioccolato, Rhum e rosmarino. Grigliare il filetto di manzo e creare un ventaglio con le fette di patate e porcini al centro del piatto. Versare due cucchiai di salsa al cioccolato a adagiare il filetto nel centro del piatto. Decorare con carote a julienne fritte e cacao in semi o in polvere.

Ingredienti per 2 persone: Per la mousse di caprino e salmone: 160 gr di salmone affumicato 80 gr di formaggio caprino fresco 80 gr di mascarpone 5 gr di succo di limone 20 gr di panna da cucina sale, pepe nero e prezzemolo tritato q.b. Per il dressing al pepe rosa: 1 gr di pepe rosa 40 gr di burro chiarificato 1 gr di prezzemolo tritato

Composizione: Alternate uno strato di pane e uno di mousse. Guarnite l’ultimo strato di pane con una rosa di salmone affumicato, il frutto del cappero, un anello di cipolla rossa, una foglia d’oro e un rametto di aneto. Poggiate intorno al piatto 5 anelli di cipolla rossa; aggiungete del caviale, i pomodori secchi, il frutto del cappero e l’aneto. Cospargete il piatto con il dressing al pepe rosa.

Preparazione: Unite tutti gli ingredienti per la mousse in un mixer fino a quando non diventa un composto omogeneo e cremoso. Mettete la mousse in un sacco a poche. Affettate il pane e tostatelo in forno. Preparate il dressing unendo pepe rosa, burro chiarificato e prezzemolo tritato. Affettate della cipolla rossa ad anelli.

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in Viaggio 92

Emozioni di viaggio: Pantelleria L’isola in cui nessuno è straniero. Qui anche Carole Bouquet ha trovato una casa. E un vino

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L’Argentario L’arcipelago che vuol rinascere dopo il dramma del naufragio della nave Costa Concordia

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L’Italia in mostra: Trieste L’eleganza abbagliante della città friulana impreziosita dal “fuoco della natura”

da pag. 104 Rubriche

• Camera con vista • Week-end nel verde • Città in 24 ore, Taranto • Città in 24 ore, Bruxelles • L’arte dell’accoglienza

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emozionidiviaggio

A metà strada tra l’Africa e la Luna

Sicilia

Pantelleria

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A Pantelleria nessuno è straniero. Non lo erano i fenici ieri e non lo sono gli arabi oggi; come anche i greci, e gli italiani, le cui strade qui si incontrano e si fondono. Quest’antica vocazione al melting pot trova spazio anche in tavola dove il pesce è il piatto principale, miele e spezie caratterizzano i dolci e Zibibbo, Moscato e Passito riempiono i calici

Che cosa dire di Pantelleria che non sia già stato

di Luca Campana

za vento i fasci luminosi dei fari africani”. Abitata

detto o scritto? Difficile trovare le parole per descrivere quest’isola vulcanica, scaturita da un turbolento fondale marino nel bel mezzo del Canale di Sicilia, più vicino alle coste africane della Tunisia che a quelle della Trinacria, plasmata nei millenni dal vento e dalle piogge. Per il Nobel colombiano Gabriel García Marquez non esiste al mondo “un luogo più adatto per pensare alla Luna. Ma Pantelleria è più bella. Le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta di calce fino agli scalini dalle cui finestre si vedono nelle notti sen-


“Le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta di calce fino agli scalini dalle cui finestre si vedono nelle notti senza vento i fasci luminosi dei fari africani”. (Gabriel García Marquez)

In apertura: le splendide coste di Pantelleria. In questa pagina alcuni dei suoi simboli segnalatici da Francesco Pilli, milanese e “pantesco” acquisito: un tipico dammuso, il pesce del quale le acque (e le tavole) sono ricche e i capperi Igp

dall’uomo fin dal neolitico – 5.000 anni fa – Pantel-

in luoghi come Pantelleria sia di casa da sempre. Ter-

leria è da sempre crocevia di traffici, di culture e di

re di confine in cui nessuno si sente straniero e tutti

gusti: saperi e sapori che si sono mescolati, stratifican-

si sentono a casa. L’arabo come, prima di lui, il fenicio.

dosi, nei secoli, dando vita oggi a quello straordinario

L’italico come il greco. Questa multiculturalità – una

e indistricabile unicum mediterraneo che solo da poco

fusion talmente vera e antica da diventare tradizione

siamo riusciti a valorizzare nella sua complessità e

– è uno dei tratti distintivi di quest’isola che a tavola

nella sua infinita varietà di sfumature linguistiche, ga-

come nei toponimi delle antiche Contrade contadine

stronomiche, musicali. Per chi vive ai margini di quel

– Khamma, Rekhale, Gadir, Bukkuram, Bugeber –

grande lago salato che è il Mare Mediterraneo – No-

conserva viva, diremmo quasi perpetua, la me-

strum per il latini, nel senso più stretto e domestico

moria del periodo di dominazione araba.

di “Mare di casa” – è difficile accettare che una delle

E così sulla tavola pantesca troviamo

categorie più innovative della modernità, la fusion, il

mirabili rielaborazioni di questa cul-

mix culturale o, per dirla all’americana, il melting pot,

tura di mare e di terra, in cui a farla

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da padrone – ça va sans dire – è il pesce mentre la carne, non del tutto assente, quasi in omaggio alla cucina semitica, non prevede il maiale, preferendogli, come accade in altre realtà isolane, il coniglio selvatico. Tra i primi a base di pesce, le paste col sugo di granchio, di ricci, di patelle, di polipo, di aragosta, di scampi o ancora col sugo di cernia; e poi i ravioli amari, delicati, ripieni di ricotta locale e menta magari conditi con il pesto pantesco, un condimento a base di pomodoro crudo, olio d’oliva, basilico locale e origano di Pantelleria, aglio e peperoncino, usato sia per condire le paste sia i pesci arrostiti o le carni lessate; o ancora, il couscous di pesce, accompagnato da un misto di verdure e legumi e in genere servito come piatto unico, senza dimenticare la saporitissima zuppa di lenticchie di Pantelleria. Tra i secondi, come

Carole Bouquet: «Il mio passito assomiglia a questa terra. E a me» Quando penso alla passione, all’entusiasmo e al trasporto, inevitabilmente mi viene alla mente Carole Bouquet. Un’attrice di straordinario charme e talento, un’artista dai mille volti, solare e misteriosa allo stesso tempo, una donna francese di origine ma, di fatto, apolide, che proprio a Pantelleria ha trovato la sua “terra speciale”. E Carole, con il suo ardore, riesce a incarnarne perfettamente le magiche e profonde atmosfere. Carole, cos’ha di così speciale Pantelleria? «È un sogno dove ho messo le mie radici. Un posto lontano che è un’invenzione di se stessi. Sembra arida, difficile, violenta, affascinante, paradossale perché produce delle cose di una bontà e dolcezza straordinaria. Sono a casa, nel cuore della nostra cultura, quella mediterranea». Da dove nasce la sua passione per l’agricoltura? «È un amore nato, prima ancora che per l’agricoltura, per quest’isola, per la luce di questo posto. È stato sempre il mio sogno mentale, una casa, una campagna con profumi speciali, ricordi, e qui a Pantelleria ho scoperto il piacere di camminare nella mia terra, di parlare con Nunzio al quale dovrei fare una statua per tutto quello che riusciamo a dirci, per la forza e la saggezza che a volte mi mancano e che lui riesce a trasmettermi».

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detto, prevale il pesce: ricciole, cernie, pesce spada, Perché si è messa a coltivare proprio la vite e produrre il vino e non altro? «In realtà, quando ho comprato a Pantelleria il primo ettaro e poi il secondo e così via, non pensavo di mettermi a produrre vino. Il mio intento era solo sistemare il posto, mantenerlo curato e fare i capperi. Soltanto dopo ho pensato di fare il vino, ma ho deciso che non sarebbe stato un vino qualunque. Mi sono prefissata di fare un vino con un’anima, che assomiglia alla terra e a chi lo fa». Anche il nome che ha scelto è straordinario: Sangue d’Oro. Come le è venuto? «Mi è venuto subito, in un secondo, sia in italiano che in francese. Contro tutto e tutti coloro che mi dicevano che è difficile fare il vino, mi sono detta che tutto si può imparare. E allora sono andata a cercare un enologo geniale, Donato Lanati. Mi dicevano che non avrebbe mai lavorato per me e invece, ho preso il telefono, l’ho chiamato e lui mi ha detto “Certo che l’aiuto”». E alla fine è riuscita a produrre un Passito di qualità. Qual è il suo segreto? «Ha un grande equilibrio tra l’acidità e lo zucchero. Ma è soprattutto un passito che appartiene a Pantelleria, che ha i suoi profumi e il suo carattere. E, come desideravo, assomiglia alla persona che lo produce. È un vino che si fa bere sorso dopo sorso, e fa andare oltre la bottiglia. Non è troppo dolce e accompagna felicemente gli antipasti e i formaggi. Ma parlarne non serve, bisogna assaggiarlo». Domenico Marasco

dentici, saraghi, murene cucinati in modo semplice sulla griglia, al forno o in deliziose zuppe come nel caso della zuppa di pesce rosso cipolla; e poi i ricci, le patelle, con le quali si prepara un’ottima salsa, e i migroci, particolari granchi della scogliera; i gustosis-


simi polipetti e le seppie in umido o impanate, senza dimenticare le ostriche e le aragoste. Saporitissimi sono, infine, i conigli selvatici, presenti in abbondanza a Pantelleria, spesso cucinati al forno con le patate. E poi ancora le fantasiose insalate pantesche, condite con olio extra-vergine di oliva, pomodori dell’isola, patate bollite, uova sode, pezzetti di sardina o di pesce salato e secco, il pesce sciutto, olive, tumma – un formaggio fresco locale – origano e gli immancabili capperi che danno un tocco speciale a tutta la cucina locale. Tra i dolci i baci, ripieni di ricotta; la mustazzola, una sfoglia condita con un ripieno di semola, miele o vino cotto, scorzette di arancia candita, cannella e altre spezie; i ravioli dolci, con ricotta zuccherata e cannella; gli sfinci, una specie di frittelle ricoperte di miele; i cassateddri e i pasticciotti; il cannateddro, il tradizionale dolce pasquale. Per quanto riguarda i vini dire Pantelleria significa dire Zibibbo, Moscato e il notissimo Passito. A sinistra, dall’alto, un delicato fiore di cappero e una distesa di mustazzola, sfoglia condita e ripiena. Qui sotto, un tipico dammuso in pietra con tetto a cupola, di tradizione fenicia reinterpretata nei secoli e arrivata fino a oggi in abbinamento al “giardino pantesco” che protegge le colture al suo interno dalle intemperie

Tradizione sotto sale Erano mani rovinate dalla terra, mani bruciate dal vento che qui muove ogni cosa, mani che sapevano di sale e che raccontavano storie di un’isola lontana. Erano mani che a volte non hanno potuto fare altro che giungersi in preghiera e sperare che la terra desse qualche fiore, mani che accompagnavano ogni giorno quel gesto quasi mistico di piegarsi la mattina e la sera in ginocchio su un terreno sassoso quasi nero per raccogliere gemme verdi. Erano mani così quelle che nel 1949 hanno dato vita alla Bonomo & Giglio, che ancora oggi raccoglie e lavora quelle piccole perle verdi che sono i capperi, di Pantelleria. Erano e sono mani così quelle che amalgamano ancora oggi queste perle con altri gioielli della terra e del mare secondo antiche preparazioni, che racchiudono il gusto autentico del Mediterraneo e della nostra storia. La Bonomo & Giglio, capperificio più antico dell’Isola, è da sempre un’azienda artigianale con lavorazioni manuali e scarsamente meccanizzate, legata a doppio filo alla tradizione. Da qualche anno ripropone anche antiche ricette dell’Isola in confezioni per i negozi e la ristorazione oltre a completare la gamma dei prodotti con i vini selezionati dell’isola. Oltre ai capperi conservati in sale di mare, raccolti e fatti maturare da maggio ad agosto, inimitabili per profumo e sapore (per questo non esistono altri capperi al mondo a cui è stata attribuita l’Indicazione Geografica Protetta), l’azienda propone anche patè di capperi, pesto di capperi, salsa di capperi, trito di capperi, capperi o cucunci in olio extravergine d’oliva, pomodori secchi e capperi in olio extravergine d’oliva. Antico Capperificio Bonomo & Giglio Srl Capperificio: Contrada Scauri Alto Laboratorio/Bottega: Località Kazen/ Balate - Pantelleria (Tp) Tel. 0923916021 www.bonomoegiglio.it www.lanicchia.com

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inviaggio

Toscana

Argentario, l’arcipelago che vuol rinascere

Ricco di vegetazione mediterranea, l’Argentario sorge dal mare e si lega alla terra con lingue di sabbia dorata e lagune blu. Il lembo di mare che lo divide dall’Isola del Giglio è stato di recente teatro della tragedia che tutti sappiamo. Rassicurano gli esperti: grazie alla profondità dei fondali e alle forti correnti, le acque saranno presto pulite dagli inquinanti riversati dal relitto. Ma la ferita resterà aperta ancora a lungo di Elena Conti

Argentario

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Apparentemente selvaggio ma al tempo stesso protettivo, per le tante anse che creano riparo quando il mare è in burrasca, Monte Argentario è un promontorio che si protende sulle acque blu del Tirreno sospeso fra terra e mare, in corrispondenza delle due isole più meridionali dell’arcipelago toscano, Giglio e Giannutri. Con il naufragio della nave da crociera Costa Concordia, un’improvvisa notorietà si è abbattuta su questo tratto di mare. Se prima era meta prediletta di un turismo abbastanza elitario, abitudinario e sicuramente riservato, la cronaca ha sbattuto prepotentemente questo lembo di terra, nel vortice dei media. Oggi in tutto il mondo l’isola del Giglio è diventata tristemente famosa, si sa come sono i fondali, a quanto e come soffia il Grecale e sarà difficile dimenticare l’immagine dell’immensa nave arenata a pochi metri dalla costa, simbolo di un

La notte dei pirati

Dal 4 al 6 di maggio, assalto dei Pirati a Porto Ercole. La manifestazione trasforma il paese in un luogo senza tempo, dove ciurme rumorose arrivano in porto per partecipare alla caccia al tesoro. Un’idea nata per caso alcuni anni fa, che ha trovato un fortissimo consenso popolare. Così per tre giorni la pace della località marina viene sospesa per l’arrivo di gruppi in costume, gozzi e velieri con bandiere pirata: il mare si accende di fuochi alla deriva, i ristornati propongono menù a tema, i vicoli risuonano di grida marinaresche. Oltre alla grande caccia al tesoro, vengono premiate le migliori coreografie e i costumi più belli delle diverse squadre. Diverse comunque le feste che animano la località toscana. Tra queste ricordiamo anche il Palio marinaro dell’Argentario – ogni anno, il 15 agosto, in località Porto Santo Stefano – con sfilata storica in costumi spagnoli. Al tramonto di mezz’agosto, spiegate le bandiere dei Rioni Croce, Fortezza, Pilarella e Valle, la gente del luogo si raduna per rinnovare l’antico patto con il mare.

equilibrio violato e perduto. La natura apparentemente aspra degli isolani, gelosi custodi di un territorio che è rimasto tale anche grazie a questo loro atteggiamento, nella tragedia si è mostrata straordinariamente solidale e infinite sono le storie e i racconti dei naufraghi che testimoniano il grande cuore dei gigliesi. Il relitto pesa sul futuro di questo luogo incantato, per il grande quantitativo di inquinanti di cui è carico. «Ma l’isola ce la farà – afferma un pescatore di Giglio Porto osservando le manovre dei tecnici olandesi, per svuotare le cisterne di gasolio della nave –, sarà dura ma ce la farà. Il mare qui è molto profondo e le correnti sono fortissime, si ripulirà in fretta, anche se la ferita resterà aperta per molto tempo». Anche Monte Argentario un tempo era un’isola. Oggi invece è una piccola montagna ricca di vegetazione mediterranea che sorge dal mare e si lega alla terra con lingue di sabbia dorata e lagune blu, magico incontro di calette e spiagge, strapiombi e viste mozzafiato sul Mediterraneo, meta esclusiva e straordinaria per gli appassionati del mare e della natura incontaminata, ma anche per chi desidera passare la notte nei locali più esclusivi. Nel corso dei se-

In apertura: la marina di Porto Ercole. Qui a destra, dall’alto, i pirati protagonisti della manifestazione di maggio e, sotto, il Monte Argentario visto dall’alto (in evidenza le lingue di sabbia che lo collegano alla terra ferma) e dalla costa

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inviaggio

Giglio, isola ferita

coli l’azione lenta delle correnti marine e del fiume

Proprio a Orbetello, sulla Costa d’Argento, a pochi

Albegna, hanno creato due tomboli, il tombolo della

chilometri da Porto Ercole e da Porto Santo Stefano

Per capire cosa rappresenta l’isola del Giglio per chi la ama profondamente, che sia gigliese Doc o villegiante seriale – mi riferisco a quella particolare casta di persone che da anni la frequentano e che gelosamente la sente propria – ho chiesto, in una sorta di gioco di parole, di definirla con solo tre aggettivi. E mi hanno detto profumata, ventosa e assolata o aspra, fiera e scoscesa, ma anche salata, incantata e magica. In molti hanno detto ferita, a causa del naufragio della grande nave da crociera Concordia. Qui i colori sono fortissimi sia sotto il sole cocente dell’estate, che nelle giornate fredde d’inverno, quando soffia l’irresistibile Grecale. Riserva naturale per quanto riguarda la terra, il Giglio è regno indiscusso dei conigli selvatici. Non ci sono vipere, i porcini spuntano profumati nei boschi di leccio e corbezzolo; lungo la costa, la vegetazione mediterranea lascia spazio ai Carpobrotus, piante grasse che cannibalizzano le altre e, ad aprile, ricoprono di fiori fucsia le scogliere. Situata nell’arcipelago toscano, fa parte della provincia di Grosseto; ha circa duemila abitanti e il collegamento con la terra ferma è garantito dai traghetti con imbarco da Porto Santo Stefano. Qui volano falchi e gabbiani corsi, dalle scogliere si possono vedere le balene o le foche monache. Il Giglio è un vero paradiso per i pescatori sportivi, perché grazie alle forti correnti e al mare con fondali che rapidamente raggiungono gli ottanta metri di profondità, poco distanti dalla costa, si possono pescare pesci di grandi dimensioni che pesano fino a 40 chili. «Da alcuni anni sono tornati anche i tonni rossi – racconta un pescatore di Giglio Porto –, grazie alla regolamentazione che è stata attuata e che controllando la pesca indiscriminata, ha permesso il ripopolamento del mare». Ma lo spettacolo più entusiasmante sono i delfini che si divertono a rincorrere le rotte delle imbarcazioni. Per chi non ha una barca ci sono noleggi sia al Porto che a Campese e taxi-boat disponibili. Ci sono molti ristoranti, a Giglio Porto e a Giglio Castello, e spiagge attrezzate come Campese, Cannelle, Arenella e Caldane, quasi tutte raggiungibili in automobile.

Giannella e il tombolo della Feniglia, che hanno uni-

e altrettanti da Capalbio e da Talamone, c’è infatti

to l’isola alla terra ferma, formando la laguna di Or-

questo locale particolare, gestito dagli stessi pescato-

betello, uno specchio d’acqua fantasticamente “a gal-

ri della cooperativa La Peschereccia che prima pesca-

la” fra la laguna di Levante e quella di Ponente,

no e poi cucinano quanto hanno pescato, seguendo

famoso per l’allevamento dei pesci. Qui infatti ven-

la più autentica tradizione gastronomica locale. La

gono allevate allo stato naturale, e seguendo i loro

loro storia è curiosa. Nel 1376 Gregorio XI fu salva-

ritmi, molte varietà pregiate come ombrine, sgombri,

to dai flutti in tempesta dai barchini dei pescatori lo-

anguille, sogliole, spigole e orate. Dopo la crisi atrofi-

cali. Una volta tratto in salvo, il Pontefice li nominò

ca provocata dal prolificare delle alghe negli anni 90,

“Nobili pescatori di Nassa e di Fibbia”. Da allora sono

la Cooperativa dei pescatori di Orbetello cominciò a

diventati una vera e propria casta. Solo dieci anni so-

occuparsi anche della trasformazione del pescato, con

no serviti ai pescatori-cuochi di Orbetello per trasfor-

anguille affumicate e una pregiatissima bottarga di

mare la tradizionale pesca lagunare in un’azienda

cefalo, attivando una filiera completa che si occupa

multiforme e moderna. La laguna pescosa è anche la

dell’allevamento, della pesca, della trasformazione fi-

meta preferita di migliaia di eleganti trampolieri e di

no alla ristorazione organizzata nell’ex stalla dei ca-

una moltitudine di fenicotteri, che riunendosi in

valleggeri di Orbetello, oggi trasformata in ristorante.

gruppi numerosi, la punteggiano di rosa.

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Scelti per voi dove mangiare Osteria dei nobili santi L’osteria è situata in un vicoletto nel centro di Porto Ercole. Un menù ricchissimo di antipasti di pesce, caldi o freddi, tra cui una mousse di cavolfiore con bottarga, parmigiana di melanzane di pesce, carpaccio di polpo, fiori di zucchina ripieni di pesce. Ottima la grigliata di pesce con scampi, gamberi e calamari. Un piccolo ristorante che stupisce per la cura e qualità della sua cucina. Il menù gioca con il mare e i prodotti della Maremma. Da non perdere la bottarga di muggine della laguna di Orbetello. Via dell’Ospizio, 8/10 Porto Ercole (Gr) Tel. 0564833015 www.osterianobilisanti.eu

Una terra selvaggia, che sa accogliere Monte Argentario, a tratti selvaggio e popolare, con il colore dei paesini vivaci di gente e di attività, nasconde protettivo e magnanimo alberghi extra lusso, ville private straordinarie, strutture che lo rendono una meta davvero al top. Non basta una sola visita per capirne la forza e la delicatezza, l’asprezza dei venti e la bellezza disorientante degli scorci. Qui si trovano un campo da golf con re-

Trattoria del pesce povero L’ambiente è semplice, il pesce freschissimo è cucinato perfettamente. Grande ospitalità, con la rara sensazione di essere davvero l’ospite atteso e servito con gioia. Non c’è da scegliere, viene proposto pesce appena pescato. Un’esperienza che vorresti fosse un’abitudine. Via delle Saline, 7 Orbetello (Gr) Tel. 0564871300

sort e Spa di design esclusivo, un campo da polo, percorsi per equitazione e porti dove ormeggiano barche davvero incredibili. Due paesi, entrambi a vocazione marinara, formano il comune di Monte Argentario; rivolto verso nord-ovest, si trova Porto Santo Stefano, mentre Porto Ercole, più piccolo, è rivolto verso sud-est. Il punto più alto è Punta Telegrafo, 635 m sul livello del mare, che si raggiunge salendo lentamente immersi in un paesaggio collinare a tratti impervio, affascinati dai terrazzamenti per la coltivazione della vite. I più sportivi lo risalgono in bici, ma è decisamente impegnativo. La costa, molto frastagliata, offre cale e calette, prevalentemente sassose, di notevole bellezza dal punto di vista naturalistico.

Nella pagina precedente: Giglio Porto. Qui, dall’alto: il complesso del Convento dei frati passionisti che sorge sul versante del Monte Argentario in direzione Punta Telegrafo; fenicotteri rosa nella laguna di Orbetello e, qui sotto, il borgo di Porto Santo Stefano

Santi Capitani Terrazza panoramica sul golfo di Campese. Con il vento da nord si vedono la Corsica e Montecristo. Specialità di pesce. Via Santa Maria, 3 Giglio Castello Tel. 0564 806188

dove dormire Torre di Cala Piccola Nel verde di olivi e oleandri, superbo panorama che spazia fino alle isole dell’Arcipelago toscano, l’hotel 4 stelle si sviluppa attorno a un’antica Torre Saracena di avvistamento. Località Cala Piccola Porto S. Stefano (Gr) Tel. 0564825144 www.torredicalapiccola.com Albergo Belvedere Bellissimo panorama, spiaggia con accesso privato, ampio giardino con terrazza panoramica, bar, parcheggio privato; 3 stelle. Strada provinciale 161, 2 Porto S. Stefano (Gr) www.belvedereargentario.it Pardini’s Hermitage In posizione panoramica, raggiungibile solo via mare, lontano da ogni abitato, dalla folla e dai rumori, propone tranquilli soggiorni in un luogo senza tempo. Nella proprietà è svolta una semplice attività agraria integrata con allevamento semibrado di animali tra cui capre e l’asino Amiatino. Condotta in modo naturale e senza concimi chimici e pesticidi, fornisce parte dei prodotti utilizzati in cucina, come l’olio d’oliva e gli ortaggi. Cala degli Alberi Tel. 0564809034 www.hermit.it


l’italiainmostra

foto: Fvg Film Commission

Effetto Trieste

Città che vive come sospesa, di un’eleganza abbagliante. E in vivace trasformazione, dove il vecchio incontra il nuovo che avanza, idealmente appoggiati al banco di un caffè letterario, gustando un ottimo “capo in b” Friuli Venezia Giulia

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Nel titolo, la brevissima quanto efficace definizione con la quale Jan Morris ha delineato i tratti di Trieste e raccontato il fascino della città attraverso le pagine del suo romanzo Trieste o del nessun luogo (ed. Il Saggiatore). Sarà per la particolare posizione geografica che la pone all’estremo confine orientale della penisola, per l’eterogenea mescolanza di culture, lingue e religioni che da sempre la caratterizzano o per il ricor-

Trieste

di Olga Carlini

do di vecchi fasti commerciali, politici e strategici


Affacciata sul mare, Piazza Unità d’Italia è il cuore della città. Sostare qui significa riempirsi gli occhi di meraviglie architettoniche, e il cuore del caldo aroma di caffè che ne hanno definito l’aspetto, ma la sensazione che Trieste trasmette a un primo sguardo è quella di una città sospesa, di un’eleganza abbagliante, dove il vecchio incontra pigramente il nuovo che avanza. Città di mare e di cultura, di scienza e di ricerca, Trieste è in continua evoluzione e negli ultimi anni sta attuando un progressivo recupero di intere aree come ad esempio la zona di Cavana. Sviluppatosi inizialmente quale borgo per le famiglie di marinai, ricco di bar, trattorie e bordelli, l’intero quartiere fu successivamente abbandonato portando a uno stato di degrado edifici, piazze, chiese e il reticolato di strade che collegano l’intera area al colle di San Giusto. Oggi Cavana – grazie a un restyling radicale – è senza dubbio la zona più interessante e vitale dell’intera città. Un susseguirsi continuo di bar, negozi di modernariato, vintage stores, indirizzi di design, ristoranti tipici e storiche trattorie delineano un percorso dove è possibile perdersi per un’intera giornata di shopping e deguIn apertura, il Canal Grande. A destra, dall’alto: il Parco San Giusto, piazza Unità d’Italia e il tipico “capo in b”, il “cappuccino alla triestina in bicchiere” veloce da ordinare e da bere!

stazioni. Percorrendo la Piazza Cavana in direzione della centralissima Piazza Unità d’Italia ci si ritrova nel cuore di Trieste, punto privilegiato di partenza per interessanti percorsi alla scoperta dei luoghi simbolo della città, dal Borgo Teresiano con il Canale di Ponterosso, al Colle di San Giusto, passando per il sito archeologico del Teatro Romano. La Piazza stessa, considerata la più grande d’Europa e affacciata sul mare, vale una sosta per assaporare una delle tante varianti del caffè triestino e per ammi-

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l’italiainmostra

La natura in mostra all’Ex Pescheria Dipinti, fotografie, sculture, video e installazioni di 82 artisti contemporanei provenienti da 18 diverse nazioni: attraverso una sequenza d’immagini sublimi Il Fuoco della Natura, mostra promossa e realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Trieste, a cura di Marco Puntin e Jonathan Turner, presenta la natura nei suoi vari aspetti, dalle prospettive delle grandi distanze geografiche ai macroingrandimenti. Il tutto senza dimenticare il momento di instabilità ambientale e di cambiamenti climatici che stiamo vivendo. La mostra è allestita nella splendida struttura del Salone degli Incanti / Ex Pescheria, edificio di inizio Novecento ed esempio di architettura eclettica e sperimentazione materica, affacciata da un lato sul delizioso Borgo Giuseppino e dall’altro sul mare. L’Ex Pescheria, tanto cara ai triestini, nella sua trasformazione in spazio espositivo ha vissuto un intervento di recupero che ha lasciato inalterati gli esterni e ha esaltato la polivalenza degli interni, sfruttando per intero l’ampia disponibilità di spazio offerto. Considerate le enormi dimensioni a disposizione, i curatori Marco Puntin e Jonathan Turner hanno scelto di privilegiare opere di grande formato. I lavori selezionati provengono da importanti collezioni private, gallerie d’arte e, in alcuni casi, direttamente dallo studio degli artisti. La mostra è stata allestita in un labirinto itinerante ideato in collaborazione con Gian Paolo Venier e Luigi Semerani di ell(E)gi Architecture, Trieste. fino al 9 aprile Salone degli Incanti Ex Pescheria Riva Nazario Sauro, 1 www.triestecultura.it

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rare la meraviglia architettonica dei palazzi che la circondano. Progettati da architetti di fama quali Artmann, Geiringer, Buttazzoni, Moro – solo per citarne alcuni – i palazzi di Piazza Unità d’Italia Studio ell (E)gi Architecture

non sono che una piccola porzione dell’impianto architettonico di una città che annovera numerosissimi edifici di pregio, da Palazzo Gopcevich di Giovanni Berlam, a Palazzo Tergesteo con la rinnovata galleria coperta, dal Salone degli Incanti / Ex Pescheria, ai numerosissimi edifici di culto testimoni di una possibile convivenza religiosa, etnica, culturale. Un viaggio a ritroso che si completa con la visita ai caffè storici di Trieste: più che una tradizione un’abitudine trasmessa ancora oggi alle giovani generazioni. Spesso luoghi d’incontro di letterati, artisti, intellettuali, i caffè continuano ad accogliere quanti desiderano leggere le pagine di un libro, di un quotidiano, confrontarsi su temi va-

Dall’alto, uno scorcio di Piazza Ponterosso e il rendering della mostra Il Fuoco della Natura. Sotto l’imponente ingresso del Salone degli Incanti / Ex Pescheria

ri gustando un “capo in b”… anche in questo caso la tradizione continua.


Da non perdere

Qui sotto, una delle opere in mostra presso il Salone degli Incanti /Ex Pescheria: Marc Quinn, Thor in Nanga Parbat, 2009. A destra il Castello di Miramare

foto: Fvg Film Commission

In occasione di un viaggio a Trieste immancabile la visita al Castello di Miramare che, circondato da un rigoglioso parco, gode di una posizione panoramica incantevole, a picco sul mare; voluto attorno alla metà dall’Ottocento dall’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo, offre la testimonianza unica di una lussuosa dimora nobiliare (Viale Miramare - www.castello-miramare. it). E ancora, il Museo Revoltella, galleria d’arte moderna fondata nel 1872 e ospitata in un’elegante costruzione neorinascimentale di tre piani (Via Armando Diaz, 27 – www. museorevoltella.it).

Scelti per voi dove dormire

dove mangiare

Grand Hotel Duchi D’Aosta Tante le celebrità che hanno scelto questa elegante struttura ottocentesca per la loro vacanza triestina: dall’Ammiraglio Nelson a Giacomo Casanova, per arrivare ai nostri giorni con Francis Ford Coppola, Sting, Bob Dylan… solo per citarne alcuni. Piazza Unità, 2 Tel. 0407600011 www.duchi.eu

Ristorante al Bagatto Da oltre 40 anni la famiglia Marussi è impegnata nel proporre il miglior pesce della zona. Via Luigi Cadorna, 7 Tel. 040301771 - www.albagatto.it

Savoia Excelsior Palace Impareggiabile la vista sul golfo e sul Castello di Miramare. Completamente rinnovato, l’hotel è in un edificio monumentale che rievoca i fasti mitteleuropei. Riva del Mandracchio, 4 Tel. 04077941 savoiaexcelsiorpalace.starhotels.com House 5 Room Design Nel cuore della città una albergo simbolo dei contrasti che la caratterizzano, tra i fasti antichi della struttura e gli interni di raffinato design contemporaneo. Via Giulia, 5 Tel. 0400644872 www.house5.it

Champagneria Ristorante Bollicine Design minimalista per questo locale elegante e versatile che propone piatti dal tocco creativo e le più sofisticate maison de champagne. Piazza S. Antonio Nuovo, 2 Tel. 040771041 Ristorante Tavernetta al Molo Buon pesce preparato in modo semplice e genuino. Riva Massimiliano e Carlotta, 11 Tel. 040224275 Chocolat Delizioso mini caffè dove gustare cremose cioccolate calde. Via Cavana, 15/b Salumare Laboratorio del pesce con annessa pescheria dove lasciarsi tentare da originali proposte ittiche accompagnate dai migliori vini del Carso e del Collio. Via Cavana 13/a


camera con vista

di Gilda Ciaruffoli

Romanticismo d’altri tempi C’era una volta una Villa di delizie, in cui cavalieri e dame amavano trascorrere il tempo… e c’è ancora: è il Grand Hotel Villa Torretta, membro di MGallery, un’esclusiva collezione di hotel dalla personalità e dal fascino unici

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Immerso nel verde del Parco Nord di Milano, in un’affascinante oasi sospesa tra storia e arte, sorge il Grand Hotel Villa Torretta, membro del prestigioso network MGallery, una collezione internazionale di hotel d’alta gamma dalla spiccata individualità, in cui ogni soggiorno è ricco di emozione e scoperta. Ospitato in una storica e prestigiosa dimora risalente al XVII secolo, appartenuta alle più ricche e blasonate famiglie milanesi, il Grand Hotel Villa Torretta rappresenta un luogo di charme unico, destinato a un’accoglienza che rievoca lo spirito e le atmosfere dell’epoca seicentesca, il cui splendore rifulge ancora nei saloni, nelle stanze e nelle corti. Le 78 camere, suddivise tra Superior, Executive, Junior Suite e Suite, tutte diversamente arredate, offrono i più moderni servizi di ospi-

talità, combinati al fascino di una personalità unica. Gli arredi in stile d’epoca si sposano a mobili moderni ed esclusivi. Gli affreschi, le travi in legno del sottotetto, i marmi preziosi fanno delle suite delle autentiche oasi di charme. Imperdibile una cena presso il ristorante Il Vico della Torretta, che accoglie i suoi ospiti in sale splendidamente affrescate, affacciate sull’incantevole chiostro del piano nobile della Villa. Il ristorante, aperto anche alla clientela esterna, propone un raffinato menù à la carte, con cui lo chef Angelo Nasta invita gli ospiti a scoprire le delizie della migliore tradizione gastronomica milanese e nazionale, accompagnate da una sofisticata selezione di pregiati vini nazionali e internazionali. L’alta qualità della cucina e il servizio impeccabile, fusi alle suggestive atmosfere della Villa, con i suoi saloni, le corti fiabesche e i giardini all’italiana, rendono Villa Torretta la cornice ideale per suggellare e ospitare occasioni romantiche come matrimoni, commemorazioni e banchetti, ma anche meeting aziendali e convention da vivere in un contesto magico e indimenticabile. Il Grand Hotel Villa Torretta offre anche un’ampia gamma di servizi e soluzioni personalizzate per il settore business. Un funzionale centro congressi con 9 sale meeting, ognuna delle quali con la sua peculiare e affascinante personalità, e un Auditorium (360 mq) progettato da Renzo Piano, con una capacità di 258 posti allestiti ad anfiteatro. Villa Torretta: il perfetto connubio per i viaggiatori che amano farsi viziare dal fascino di una dimora storica senza tralasciare la qualità di tutti i più moderni comfort di ospitalità. www.mgallery.com - www.villatorretta.it


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SIAMO AL VINITALY 2012 PADIGLIONE PUGLIA

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weekend nel verde

di Gilda Ciaruffoli

Armonie di natura, arte e benessere Passione e fiducia nella propria realtà e nel territorio che la ospita sono gli ingredienti di una ricetta anti-crisi tutta umbra Centoventi ettari di terreno nel cuore dell’Umbria più verde, dove moderne strutture dalle forme medievali si integrano perfettamente alla delicata natura dei luoghi: è la Tenuta dei Ciclamini, nota anche per ospitare il C.E.T. (Centro Europeo di Toscolano), associazione culturale no-profit fondata dall’autore e poeta Mogol e diretta dalla moglie Daniela, operante in tre settori: musica e cultura popolare, medicina e ambiente. Il coraggio di investire sul territorio con tenacia e costanza ha portato la Tenuta ad ampliare la propria ricettività grazie a 20 nuove camere che si aggiungono alle 50 già esistenti, dotate di tutti i comfort, una rinnovata cucina e varie sale congressi che possono ospitare fino a 250 persone: la Tenuta dei Ciclamini è infatti principalmente un centro per eventi e convention aziendali e le aziende ospitate sono del calibro Microsoft, Barilla, Bayer, Audi, MPS Axa, Il Sole 24 Ore, Confindustria. Tante le possibilità di svago e relax durante un soggiorno alla Tenuta dei Ciclamini: 106

dalle cavalcate alla scoperta dei favolosi itinerari naturalistici locali (grazie a una scuderia di 20 cavalli) in compagnia di esperti istruttori FISE, ai trattamenti del centro benessere completo di sala massaggi e Spa, alle partite di pallone nei campi a disposizione della struttura, alla pesca sportiva nei due laghetti attrezzati; dal tiro con l’arco alla mountain bike. La Tenuta dei Ciclamini, oltre a proporre raffinati menu basati sulla genuinità dei prodotti tipici umbri, organizza anche escursioni nelle vicine città d’arte o presso attrazioni naturalistiche e storiche quali la cascata delle Marmore, la Foresta Fossile e l’antica città romana di Carsulae. Il centro si occupa infine di ricerca scientifica nel campo medico, ottenendo ottimi risultati sulle malattie autoimmuni. L’obiettivo è quello di far nascere nuovi centri di medicina preventiva e predittiva: occorre educare le persone alla necessità di effettuare un “tagliando” almeno una volta l’anno – proprio come le automobili – per proteggere la propria salute.

In apertura una suggestiva immagine in notturna della Tenuta dei Ciclamini. In alto, Mogol e sua moglie Daniela in sella a due cavalli della scuderia interna

Tenuta dei Ciclamini Loc. Casa Pancallo, 3 Avigliano Umbro (Tr) Tel. 074493431 daniela@cetmusic.it iciclamini@cetmusic.it www.iciclamini.it


“Regala ogni giorno amore e rispetto alla tua Terra. Lei saprà ricompensarti” Lo ripeteva sempre il padre di Massimo Setaro che, cresciuto con questa filosofia di vita, ha scelto, con la moglie Mariarosaria, di continuare l’attività svolta dai genitori tra le vigne alle pendici del Vesuvio. È nata così l’azienda agricola Casa Setaro i cui vigneti si estendono per circa 10 ettari in punti diversi del Parco Nazionale del Vesuvio, con ottima esposizione a Sud. Il microclima offre estati assolate con eccellente ventilazione e ottime escursioni termiche giorno-notte. L’età media delle piante, allevate a guyot e cordone speronato, è di 15-20 anni. L’influenza benefica della brezza marina si fonde con la composizione vulcanica dei suoli stendendo un ideale tappeto di mineralità e sapidità che si ritrova nel bicchiere. L’azienda lavora su nove cru territoriali, interpretando al meglio l’anima di ogni vitigno: Aglianico Igt Tauro, dall’omonimo vitigno, Lacryma Christi del Vesuvio Doc rosso e rosato, dal vitigno autoctono Piedirosso. Con gli stessi vitigni, Piedirosso e Aglianico, realizza il Don Vincenzo, riserva rossa, vino dedicato al fondatore dell’azienda, prodotto con le uve migliori. Con l’uva bianca Falanghina a Casa Setaro viene prodotta l’Igt Falanghina Minos, con il Caprettone l’omonimo spumante, metodo classico “Caprett one” e il Lacryma Christi del Vesuvio Doc bianco. Completano la gamma dei bianchi di Casa Setaro il Fiano di Avellino Docg Fià e il Greco di Tufo Docg Grè. Obiettivo di Massimo Setaro e di chi con lui condivide fatiche e soddisfazioni è quello di puntare all’eccellenza, ritornando vignaioli non per moda o per interesse, bensì per pura passione e amore per la terra d’origine coltivata da genitori e nonni.

Casa Vinicola Setaro via Bosco del Monaco, 34 - 80040 Trecase (Na) - Tel. e Fax +39 081 8628956 - info@casasetaro.it - www.casasetaro.it


di Lucrezia Argentiero

una città in 24 ore

1. “Immergersi” nelle sale del Museo Archeologico Il Museo Archeologico (nell’acronimo Marta) è un vero e proprio tempio dell’arte. Nelle sale dell’ex convento di San Pasquale, tra opere antiche e nuovi arredi, si rimane affascinati dalle collezioni greche, romane e apule. Tutto è esposto come in uno spettacolo: sculture, ceramiche, monili in oro. 2. Ammirare il Ponte girevole, trait d’union di due mari Con lo scheletro di ferro nero e la sua anima antica, il Ponte Girevole di San Francesco di Paola è il simbolo della città. Collega l’isola artificiale del Borgo Antico con la penisola del Borgo Nuovo. La sua particolarità sta nell’apertura: i due bracci ruotano in senso orizzontale e si accostano alle due opposte sponde per consentire il passaggio delle navi più grandi attraverso il Canale navigabile. 3. Scoprire il mondo sotterraneo del Borgo Antico Occupa un frammento di terra avvolto dalle onde dei due mari. Un vero dedalo di vicoli, strade e stradicciole, ricavate tra le pareti delle case, strette una all’altra per recuperare quanto più spazio possibile. E sotto le case, una vera città sotterranea: oltre 700 metri quadrati di ambienti che permettono di scendere fino a 14 metri di profondità, su tre livelli differenti, compreso l’accesso diretto al mare.

Taranto in 5 tappe La chiamano la “Città dei due mari”, mar Grande e mar Piccolo. Un tempo è stata il fulcro della Magna Grecia, tanto che si narra che fu fondata da Taras, giunto via mare in sella a un delfino. Oggi affascina per il suo centro storico, da scoprire in ogni angolo

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4. Farsi catturare dall’immenso Castello Aragonese Anche detto Castel Sant’Angelo, è una delle costruzioni più imponenti, a pianta quadrangolare. Oltre l’ingresso luminoso, che accoglie il turista tra piante rampicanti e cancelli di ferro battuto che affacciano sul mare, si apre il labirinto di un mondo sotterraneo creato per essere inespugnabile e difendere tutto il Sud dell’Italia. 5. Nell’Acropoli dei Greci Due colonne, in carpano locale, alte circa 8 metri, testimoniano la presenza del Tempio Dorico più antico della Magna Grecia, consacrato alle divinità femminili di Artemide, Persefone o Hera. Si ammirano attraverso una recinzione in piazza Castello, proprio di fronte l’ingresso del Castello Aragonese. Convinzione diffusa è che il tempio originale fosse costituito da 6 colonne sui lati corti e da 13 sui lati lunghi.

dove mangiare Le Vecchie Cantine Cucina attenta ai prodotti stagionali, dove il pescato detta il menù del giorno. Prezzi: da 40 euro. Lama – Via Girasoli, 23 Tel. 0997772589 Trattoria Gesù Cristo La tradizione tarantina nell’arte di mangiare il pesce fresco. Prezzi: da 25 euro. Via Cesare Battisti, 8 Tel. 0994777253 www.trattoriagesucristo.com

dove dormire Relais Histò San Pietro 46 camere lussuose ed eleganti. Intorno una campagna di ulivi secolari. Prezzi: da 90 euro per la camera doppia. Via Santandrea Circummarpiccolo www.relaishisto.it Grand Hotel Delfino Mercure Sul lungomare di Taranto. Camere eleganti. Viale Virgilio, 66 www.grandhoteldelfino.it

dove comprare Bernardi il cioccolato Una delle cioccolaterie più antiche del Tarantino. Praline alla frutta, al vino, senza zucchero. Corso Due Mari Tel. 099 4532624 www.bernardinet.it

L’idea in più Organizzare un viaggio a Taranto durante i riti suggestivi della Settimana di Pasqua. I confratelli, detti “perdùne”, come tradizione, il Venerdì Santo, danno vita alla processione dei Misteri. Con il loro incedere “bazzicante”, lentamente e a piccolissimi passi, quasi dondolando, scalzi e con il volto coperto da un cappuccio bianco, attraversano le vie del borgo, rientrando la mattina all’alba.


Vdg selezioni

Viticoltori con le radici nel territorio Credere molto nel proprio territorio e nelle sue potenzialità vinicole. Questo il filo conduttore che sta alla base della produzione dell’azienda Taverna Pur essendo oggi una realtà giovane e innovativa, l’azienda Taverna nasce e si sviluppa fin dai primi anni cinquanta. La famiglia Lunati, da sempre strettamente legata al proprio territorio, ha coltivato nel tempo la volontà di lavorare per una sempre maggiore qualità del prodotto, il che comporta un investimento continuo e al passo con i tempi sia in innovazione tecnologica che in sperimentazione di pertinenza di esperti del settore. Proprio per questo motivo, Taverna ha spesso collaborato con l’Università degli Studi della Basilicata, anche con l’intento di valorizzare il patrimonio vitivinicolo della zona per la sua promozione, cosa che l’ha portata a svolgere un ruolo preponderante all’interno di un contesto territoriale e socioeconomico più ampio. Tra le attività portate avanti dall’azienda, il cui contributo alla ripresa del lavoro nelle campagne locali e al loro ripopolamento è notevole, da ricordare un importante progetto per il recupero degli antichi vitigni autoc“Taverna toni in collaborazione con il mondo uniFirm was founded versitario e il Consiglio per la Ricerca and began to develop its e la Sperimentazione in Agricoltura. defining structure at the «Nella nostra idea di azienda – conbeginning of the 1950’s. Always clude Lunati – non può mancare il linked to its territory Taverna has contatto con il territorio e con le persone. Cerchiamo di essere molgrown over time for a constant to attivi organizzando eventi che improvement of the quality of its coinvolgono gli abitanti, sia attrawines involving both continuous verso occasioni istituzionali, come technology investments and Cantine Aperte, che mondani e culhigh wine-producing turali, come mostre d’arte».

research”.

Società Agricola Taverna Contrada Taverna - Nova Siri (Mt) Tel. 0835877083 - www.aataverna.com


di Isa Grassano

una città in 24 ore

dove dormire Hotel Amigo Della catena Rocco Forte Hotels, si trova a pochi passi dalla Grand Place. Camere eleganti in stile moderno. Rue de l’Amigo, 1-3 www.hotelamigo.com

1. Restare incantati dinnanzi alla Grand Place La Grand Place è la zona più antica. Impossibile distogliere lo sguardo dalle oltre 300 statue, dalle numerose colonne decorate e dalle arcate dell’Hotel de Ville (sede del comune), l’unico edificio medievale originale, scampato a guerre e bombardamenti. Tutto intorno, ci sono le case delle corporazioni (dei macellai, dei birrai) e la casa della stella, la brutta stella, perché vi abitava il giudice che pronunciava le sentenze di morte. 2. Fotografare il piccolo bimbo Manneken Pis, il bambino che fa la pipì, simbolo della città. L’origine di questa statua rimane ignota, ma la leggenda vuole che nel medioevo il figlio di un duca fu colto a urinare contro un albero nel bel mezzo di una battaglia. Per questo la piccola statua (soli 30 cm) divenne simbolo irriverente delle virtù militari del Paese. La tradizione vuole che i capi di stato che visitano la città donino al piccolo un abito tipico e così, periodicamente, si può vedere la scultura vestita di tutto punto.

Bruxelles in 5 tappe Era il 1912 e Jean Neuhaus, nella sua pasticceria di Bruxelles, creava la prima pralina: un guscio di cioccolato con un ripieno morbido al rhum. Oggi, per celebrare i 100 anni di questa golosa tentazione, vale la pena raggiungere la capitale belga, per scoprirla più da vicino, tra pasticcerie, locali gestiti da italiani (qui ne abitano circa 35 mila), musei e fumetti

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3. Visitare il Museo Magritte Si trova in centro, nella neoclassica Place Royale, e conserva la più grande collezione al mondo di opere del grande artista surrealista, René Magritte. Oltre 250 dipinti disposti su tre piani, tra cui alcune tele che esprimono aspetti poco noti dell’artista: la sua visione del comunismo e i suoi contributi alla comunicazione pubblicitaria. www.musee-magritte-museum.be 4. Scoprire come nasce il cioccolato Un tuffo nella storia del cibo degli Dei all’interno del museo “del cacao e del cioccolato”. Qui si può vedere un maestro artigiano all’opera e, al primo piano, un’esposizione di raffinate cioccolatiere in porcellana della fine del XIX secolo, con rari pezzi di limoges, argento, art déco. 5. Passeggiare tra colori e fumetti Il centro belga dei fumetti raccoglie tutto ciò che riguarda le bande dessinée, con particolare attenzione al famoso Tintin, globetrotter avventuroso (creato dalla matita di Hergé nel 1907) e ai Puffi tutti blu. E non solo. Qui la fantasia si è scatenata, tanto che su molti palazzi si possono ammirare murales che colorano la città. www.cbbd.be

Pantone Hotel Tutto, dalle camere ai complementi d’arredo ai vetri delle finestre, è dedicato alla famosa paletta cromatica Pantone. Place Loix, 1 www.pantonehotel.com

dove mangiare Restaurant Francois Il fiore all’occhiello di questo ristorante? Le specialità di mare. Place Sainte Catherine, 12 www.restaurantfrancois.be Ristorante Bocconi All’interno dell’Hôtel Amigo, propone piatti della cucina italiana e mediterranea. Tel. +32 025474715

dove comprare Maison Des Maitres Chocolatiers La vetrina di 10 artigiani d’eccellenza che lavorano il cioccolato nella più pura tradizione belga. Grand-Place, 4 Tel. +32 028886620 www.mmcb.be

L’idea in più A solo un’ora di treno da Bruxelles si trova Liegi, una delle più grandi città della Vallonia. Appena si arriva si ha subito l’incontro con la nuova stazione Guillemins per treni ad alta velocità, progettata dall’architetto Santiago Calatrava. Una vera e propria opera d’arte che ricorda la forma di una grande balena e affascina per la sua struttura.

Voli consigliati su Bruxelles: Air One Per info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)


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Il vigneto Amastuola si estende per oltre 100 ettari nelle terre di Puglia (Italia) su un altopiano a 210 metri sul livello del mare, dove il microclima mediterraneo favorisce un’ottima coltivazione biologica. La vocazione vitivinicola della zona risale addirittura al tempo dell’antica civiltà magno-greca e la masseria Amastuola è centro agricolo di rilievo sin dal XV secolo. La zona in cui sorge il vigneto, prima abbandonata, è stata recuperata nel 2002 da un suggestivo progetto del noto paesaggista Fernando Caruncho: il nuovo scenario si presenta come vero e proprio “vigneto giardino”. I filari sono disegnati in onde accentuate e parallele che si prolungano e oscillano per tre chilometri: ventiquattro “isole” di ulivi secolari ne intervallano il movimento, offrendo ulteriore fascino. Il vigneto, per la sua progettualità innovativa, è stato oggetto di studio e di

Merlot 2010

Syrah 2010

attenzione a livello internazionale acquisendo in breve tempo importanti riconoscimenti: nel 2007, nel convegno internazionale su “Architettura e paesaggio” tenutosi a Tokyo, ha ricevuto il riconoscimento per aver aperto “nuove frontiere alla valorizzazione di paesaggi doc”; nel 2009 la Regione Umbria lo ha premiato come esempio di “Buona pratica per il recupero di paesaggi agricoli non più produttivi”; nel 2010 il vigneto Amastuola è stato vincitore del concorso “Buona pratica di tutela e valorizzazione del paesaggio agricolo anche a fini turistici” indetto dalla Regione Puglia. L’“onda del cambiamento” è la metafora che racchiude l’azione ispiratrice della Famiglia Montanaro che sempre agisce con coraggio tra il rispetto delle tradizioni e costante apertura alle evoluzioni dei tempi.

Merlot 2010

www.amastuola.it


l’arte dell’accoglienza

di Raffaele Romeo Docente – I.P.S.S.A.R. C. Porta – Milano

A Chilometro Zero La Coldiretti ha dato il via a un’iniziativa che ha fatto tendenza: il menù a basso impatto ambientale, subito ribattezzato “menù a chilometro zero”. I ristoranti che aderiscono all’iniziativa s’impegnano a scegliere e acquistare tutti i prodotti che servono per realizzare menù con prodotti delle aziende agricole circostanti al ristorante. Si tratta di un’iniziativa volta a sensibilizzare i ristoratori e accorciare la filiera, contro l’inquinamento del pianeta e a favore delle produzioni locali. La filiera corta diventa un valore aggiunto per i consumatori perché garantisce maggiore qualità e freschezza.

La carta d’identità del ristorante Nel menù del giorno i diritti e i doveri di clienti e ristoratori

La lista dei piatti del giorno racchiude in poche righe, o poche pagine, le potenzialità dell’intero servizio e la qualità che l’azienda intende fornire. È il principale strumento che regola il rapporto tra un ristoratore e un cliente che, già da una prima veloce lettura, si può fare un’idea delle potenzialità del luogo in cui si trova. Il menu è dunque uno strumento di comunicazione fondamentale, che deve riportare indicazioni corrette, chiare e precise. Le questioni che spesso insorgono si possono infatti evitare rispettando le semplici norme riportate di seguito. Il listino prezzi. I pubblici esercizi hanno l’obbligo di consegnare ai clienti o di esporre il listino prezzi con le voci di spesa, compreso servizio e coperto, pena pesanti sanzioni. Servizio e coperto. Il coperto e il servizio sono legittimi, ma disorientano il consumatore e scatenano proteste. Il sindaco può emanare ordinanze che vietano di applicarli e stabiliscono una multa per i trasgressori. Egli può anche imporre che nei listini non si usino espressioni e sigle ambigue come “s.p.” (secondo porzione), “s.q.” (secondo quantità) e altre ingannevoli. I prodotti congelati. Per legge è obbligatorio indi-

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care nel menu l’uso di prodotti congelati e surgelati, frequente con pesce e crostacei. Non è corretto riportare un’avvertenza generica come: “In questo locale possono essere usati ingredienti surgelati”, senza indicare gli ingredienti e i piatti in cui sono utilizzati. I prezzi. Sono stabiliti in tutta libertà dal ristoratore. Se esposti, il cliente non può reclamare quando paga il conto; se li ritiene alti può alzarsi e allontanarsi prima di aver fatto l’ordinazione, vincolo che invece obbliga al pagamento. I sovrapprezzi. In qualche locale viene praticato un sovrapprezzo in alcuni giorni festivi (per esempio a Ferragosto), oppure il prezzo dei primi ordinati due volte in luogo del secondo subisce un aumento. Anche se poco eleganti, i sovrapprezzi non sono vietati, a patto che siano esposti con chiarezza sul menu o sul listino. Menu speciali. Un’idea che valorizza l’immagine del ristorante è il menu per bambini, clienti spesso trascurati. La scelta dei piatti includerà le proposte più gradite, come le patatine fritte, e l’aspetto grafico sarà molto accattivante: il menù stesso, per esempio, può contenere un gadget con cui giocare durante l’attesa.

Strumento di comunicazione fondamentale, deve riportare indicazioni corrette, chiare e precise


Azienda Vitivinicola Nasini Località Collecchio 58051 Magliano di Toscana (Gr) Tel. +39 3472910551 info@vinolafornace.com www.vinolafornace.com Ufficio Marketing INMEDIA 10, av. de Thonex, Chene-Bourg 1225 Genève (CH) info@inmedia-adv.it



Piaceri 116

Le mani raccontano Cecchi de’Rossi e le sue borse di lusso, macchie di vino che diventano piaceri

da pag. 118

Rubriche

• Vini naturali • Benessere • Libri letti per voi • Arte • #Cibo in rete • Trendy • Shopping

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lemaniraccontano

Quando una macchia di vino

diventa un piacere da vedere Le idee migliori, si sa, nascono per caso. E Tommaso Cecchi de’Rossi, giovane e talentuoso “alchimista del lusso”, lo sa meglio di chiunque altro: un banale incidente occorsogli tra le vigne di famiglia in Toscana, ha dato il la ad una trovata artistica che, in capo a 5 anni, lo ha portato a vendere le sue borse ed i suoi accessori colorati con residuati organici del vino, nei migliori negozi del mondo di Francesco Condoluci

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«Stavo seguendo la vendemmia nell’azienda di famiglia e

le pelli basato sui residui della vinificazione” premiata al

avevo lasciato la mia borsa di pelle in cantina. Improvvi-

Florence Expo 2008) e quindi – dopo aver affinato e bre-

samente si è rotto un tubo e le vinacce hanno sommerso

vettato la tecnologia del processo – un marchio, pellEvi-

la borsa, formando delle macchie indelebili dalle tinte ros-

no®, che oggi è diventato un cult nel comparto luxury

se e dal profumo di vino. Ho tentato di lavarla e tirare via

dell’artigianato mondiale. Potenza della fantasia e dell’in-

le macchie ma non c’è stato nulla di fare. A quel punto,

tuito tipicamente italiano.

invece di insistere, mi sono detto: perché non provare a

Ma non solo: in questa originale storia di business e arti-

utilizzare gli scarti della vinificazione per colorare la pelle?

gianato,un ruolo non indifferente l’ha giocato anche il Dna

Per un intero anno ho provato a sperimentare, finché non

imprenditoriale del rampollo di casa Cecchi de’Rossi, una

sono arrivato a ottenere una scala cromatica completa».

famiglia aristocratica che tra i territori di Pescia e Pistoia,

Di quest’idea, Tommaso Cecchi de’Rossi ne ha fatto pri-

gestisce da sempre aziende agricole e vitivinicole, e, fino

ma l’argomento della sua tesi di laurea (“Le potenzialità

agli anni ’80, anche una conceria, la Tre chiodi Cecchi, fa-

di mercato per un metodo di colorazione del cuoio e del-

mosa per l’elevata qualità dei pellami.


Tommaso,insomma,partendo da quella che chiama

per la collezione, si passa a costruire a mano ogni

“serendipità” (l’imponderabile combinazione tra ca-

borsa utilizzando pelle, pelliccia, seta, cotone e la-

so, destino, fortuna, che porta a trovare una cosa,

na, ma anche materiali meno usuali e high-tech.

mentre se ne sta cercando un’altra), non ha fatto al-

Ogni elemento ha un processo di realizzazione

tro che coniugare felicemente le storiche attività

diverso, ma ad esempio nel Concetto 4 utilizzo la

della sua famiglia: pelle e vino. «Del resto – ama ri-

stessa tecnica con cui gli antichi romani modella-

petere – c’è sempre un nesso tra ciò che si fa e il ter-

vano le armature in cuoio, creando quindi borse

ritorio di origine, o comunque un nesso con le pro-

completamente senza cuciture». Dopo Parigi, pel-

prie radici. Se la mia famiglia non avesse posseduto

lEvino® punterà su Tokyo e New York: «La voca-

una conceria, se non fossi nato e cresciuto in una

zione all’internazionalizzazione c’è stata fin

fattoria vitivinicola in Toscana, se anche non fossi

dall’inizio, la prima borsa l’abbiamo venduta a un

nato in una zona d’Italia vissuta principalmente da

giapponese – chiosa Cecchi de’Rossi – ma il nostro

artigiani, lanifici e cartiere, se non avessi incontrato

mondo ideale è quello dei musei, delle aste, dell’ar-

persone che vivono e lavorano in questo territorio

te contemporanea, dove si può tenere vivo il lega-

che mi hanno appassionato con la loro abilità, pro-

me fra atto artistico e atto pratico. L’Italia, comun-

babilmente non avrei fatto questo».Dopo una prima

que, rimane la piazza più interessante, perché è il

esperienza con la stilista spagnola Maria Rodriguez

luogo dove ci contaminiamo con più facilità».

In apertura e in alto, scampoli di pelli trattate con l’esclusivo metodo di colorazione a base di vinacce e, sotto, il suo creatore, Tommaso Cecchi de’Rossi

Padin, per la quale ha cominciato ad applicare, sui capi finiti, il suo metodo esclusivo di colorazione a base di vinacce, Cecchi de’Rossi, da un paio d’anni, ha un suo atelier-laboratorio tra le splendide campagne fra Pescia e Lucca, dove sviluppa questa nuova filosofia della colorazione “al sapor di vino” anche su carta e filati, oltre che sulla pelle: una tecnologia ecosostenibile che, abbinando questo futuristico procedimento di tintura all’antica artigianalità tipica toscana, riesce a creare prodotti capaci di regalare ai clienti esperienze di puro piacere multisensoriale. Tra qualche settimana, Tommaso presenterà al Marais di Parigi, alla Galerie Laure Roynette, la sua nuova collezione artistica 2012, borse e accessori che rappresentano l’ultima evoluzione del trattamento di colorazione pellEvino® e che riproducono i colori della Toscana: magenta, cotto, verde scuro, verde chiaro, viola, marrone e grigio. Quando gli chiediamo di illustrarci la sua tecnica di lavorazione, si schermisce un po’ e risponde: «Non posso entrare nello specifico, perché il processo rappresenta il knowhow più importante dell’azienda.Posso solo dire che lavoro con due scale cromatiche, una ottenuta con gli scarti dell’uva rossa e una con quelli della bianca: ho a disposizione molti più colori di quelli dell’arcobaleno. Uso una tintura a freddo completamente senza aggiunta di mordenti o solventi chimici. Una volta terminate le prove colori sui materiali scelti

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di Michela Pallonari Consulente indipendente wine Marketing e Comunicazione culturale

vini naturali

La dive bouteille (naturelle!) Che la Francia sia più avanti di noi è un fatto. I cugini d’Oltralpe trattano il vino come un elemento culturale da sempre. Quindi molti dei fenomeni che riscontriamo a casa nostra hanno già avuto uno sviluppo nella terra degli Chateau e dei Domaine. Per toccare con mano le differenze un tour tra locali parigini e fiere della Loira

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Per sapere come se la passano gli amici francesi in tema di vini naturali, sono partita alla volta di Parigi prima e della Loira poi. Nei locali parigini ho notato che il vino naturale è una scelta più radicale, una tendenza reale e non un fenomeno estemporaneo: se il caviste decide di sposare la causa dei vini naturali lo fa sul serio. Il mio viaggio inizia a RetròBottega, una piccola bottega\enoteca gestita da Pietro e Concetta, due italiani che hanno deciso di condividere i colori e i profumi della nostra terra con la Ville Lumière. Con loro chiacchieriamo davanti a un magnifico Pinot nero biodinamico francese mentre il locale si riempie: è frequentato da giovani che parlano con Pietro, che amano la buona cucina e il buon bere. È grazie a questo clima


e a questi vini particolari che l’atmosfera del ristorante è festosa. I clienti si rilassano, si raccontano, sorridono… che meraviglia! Pietro nel frattempo è ai fornelli: vellutata di ceci con ricotta sarda grattugiata. C’è profumo di casa e di relax serale. Pietro è molto attento alla scelta dei vini, li prova, li annusa, li studia. Come molti suoi colleghi, in questo momento e per il futuro, vorrebbe avere nella sua lista più vini naturali italiani. Che bello, dico io! Ma sono molti i ristoranti a Parigi che stanno facendo la scelta di convertire la lista dei vini in lista dei vini naturali. Questi, più digeribili e più vivi, si combinano meglio con il lavoro di chi nutre massimo rispetto nei confronti del prodotto e soprattutto dei clienti: quando si vive il proprio mestiere con passione, non si può non approdare ai vini naturali! Il mio viaggio prosegue verso Saumur in macchina con Johan Moraux e Francois Grinaud de Demaine du Perron e Jean Yves Peron, vignerons dell’Alta Savoia: che bello sentir parlare di rapporto con la natura, di sofferenza emotiva per pioggia e grandine inattese, di rispetto dell’ambiente. Durante la sosta ci fermiamo per un boccone e mi accorgo che tutta la provincia è stata contaminata dal vino naturale, proprio come Saumur (cittadina che conta meno di 30mila abitanti). Qui ristoratori e cantinieri pian piano vanno passando al naturale perché hanno capito che chi propone il vino deve offrire qualcosa di più, che vada oltre la superficie: la gente vuole una storia dietro la bottiglia, e qui di storie da raccontare ce ne sono! Saumur è anche il posto dove da più di dieci anni si svolge l’evento La Dive Bouteille, organizzato da Sylvie Augereau. Presso Château de Brézé (10 km da Saumur) si sono riuniti (gli scorsi 29 e 30 gennaio nell’ambito della 13a edizione) oltre un centinaio di

piccoli produttori, tra grandi nomi dell’enologia e grandi vignorons, nei sotterranei del castello, una grotta dove il vino si mantiene a temperature costanti. Un tunnel dove il tempo si è fermato. Qui il vignerons è un’artista affettuoso e non un “sultano” dalle mani curate: qui tutti hanno mani che hanno qualcosa da dire. Nel sotterraneo ho incontrato Cyril Bongiraud dalla Serbia, Giovanni Wurdeman dalla Georgia, due splendidi italiani, Paolo Vodopivec e Dario Princic, e molti altri tra cui dei piccoli vignerons spagnoli. Non lontano da lì, ad Angers, si svolgevano nello stesso periodo altre due fiere, e io non potevo perderle: la Renassance e Les Vignerons bio della Valle della Loira. Anche là erano presenti alcuni italiani: Elisabetta Foradori e Cascina degli Ulivi a dimostrare che il nostro vino naturale è molto apprezzato fuori nazione e ci viene riconosciuta un’altissima qualità. Orgogliosa di tutto ciò, posso tornare a casa, verso le fiere italiane più importanti dei vini naturali: Vinovinovino a Cerea (www.viniveri.net) e Vinnatur a Villa Favorita (www.vinnatur.org), entrambe dal 24 al 26 marzo. La cosa che mi ha colpito di più delle manifestazioni francesi è che ciascuna pubblicizzava nella propria locandina gli altri saloni come saloni amici. Io so che ognuna di queste organizzazioni ha una propria idea di vino, sempre nel rispetto dell’ambiente e della naturalità, ma è bello vederle unite nella comunicazione. Sinceramente non ho potuto far a meno di pensare all’Italia e alla nostra diversa realtà… chissà magari quest’anno qualcosa cambierà anche qui!

Per le strade di Francia RetròBottega Se avete bisogno di tirare il fiato in modo allegro e divertente, a due passi dalla Bastiglia (metro: Faidherbe-Chaligny). rue Saint Bernard, 12 - Parigi Domaine du perron Se avete voglia di bere “serio”. Rue du Village Villebois – Bugey www.domaineduperron.com Jean-Yves du Peron Se cercate chi ha trovato in Bruno Schuller (vin d’Alsace) la sua ispirazione. Chef lieu, Chevaline – Alta Savoia

Sono molti i ristoranti a Parigi che stanno facendo la scelta di convertire la “lista dei vini” in “lista dei vini naturali”: quando si vive il proprio mestiere con passione, non si può non intraprendere questa strada! 119


benessere

di Francesca Frediani

Eccellenza italiana

Tradizione e qualità Da oltre 50 anni la Cereria Lumen è sinonimo di qualità e tradizione artigianale. La fabbricazione delle candele prevede l’uso esclusivo di cere vegetali. È infatti dal 1961 che l’azienda utilizza materiali di derivazione naturale rifiutando l’uso di lacche a solventi per la colorazione delle candele e, naturalmente, nessuna materia prima di origine animale. Made in Italy che rispetta l’ambiente. www.lumen.it

Kalidria Thalasso Spa Resort Membro della prestigiosa collezione MGallery, il resort in Località Principessa – Castellaneta Marina (Ta), rappresenta un’oasi di bellezza e benessere immersa nella natura, affacciata sulle acque cristalline del litorale pugliese. L’hotel è caratterizzato da una bioarchitettura all’avanguardia, che incastona le suite nella pineta della riserva biogenetica di Stornara; 3.500 i metri quadri dedicati al benessere che fanno del Kalidria la più grande Thalasso & Spa d’Italia. www.mgallery.com

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Trussardi è uno dei marchi più innovativi nei settori più importanti del Made in Italy: moda, design, arte e cucina. Per celebrare i 100 anni dalla fondazione e un impegno lungo un secolo, l’azienda lancia due nuove fragranze, uomo e donna, completamente nuove che riportano però alla mente i profumi icona della marca. Trussardi Donna, femminile e avvolgente, deciso e passionale, scatena sensazioni di intenso romanticismo, il flacone è rivestito di bianco con preziosi dettagli dorati. www.trussardi.com

Ceramiche porte-bonheur Dall’incontro tra l’antica Ceramica del Ferlaro di Parma e un designer contemporaneo è nata l’originale linea di fragranze per la casa Bonheur di Officina Parfum, azienda profumiera parmense che opera nel mercato del lusso cosmetico. Le creazioni sono vere e proprie opere d’arte profumiera in un connubio artistico unico e senza precedenti che ha sapientemente indicato una nuova filosofia di lusso domestico. Il porte-bonheur per eccellenza è l’uovo che Officina Parfum propone in due diversi colori: verde e blu. www.officinaparfum.com


Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugi I recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali I pazienti ai quali è possibile inserire impianti a carico immediato sono i portatori di protesi totale completa e i soggetti affetti da piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inserimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico masticatorio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa

senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presentino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimenticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento. I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale completa, che viene sostituita da una protesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Altri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi

dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un doppio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli impianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cliniche, al fine di ottimizzare la percentuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomiche sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore. Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il paziente viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperatorio, mentre gli antidolorifici comuni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegrazione e di guarigione si è realizzato,

RX panoramica con impianti osteointegrati si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei denti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire reinterventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromettere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia professionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.


libri letti per voi

di Francesco Condoluci

questo punto, l’unica strada per evitare il disastro che sembra incombere sul mondo, è “ritornare alla terra”. Riprendere cioè a coltivare e produrre, in proprio o ancora meglio in forma collettiva, frutta, ortaggi, carne, pollame, utilizzando tutti gli spazi disponibili, nelle città, nelle metropoli, nei giardini di casa, nelle terre e nei luoghi abbandonati dalle migrazioni urbane. Vi sembra un monito apocalittico da Savonarola del terzo millennio? La sussiegosa profezia di qualche fanatico dell’eco-sostenibile? Sbagliate: è il responso che vien fuori dalla documentata e puntuale analisi sul complesso panorama mondiale dell’agroalimentare nell’era della globalizzazione, contenuta nel libro La rivoluzione della lattuga, l’ultima fatica di Franca Roiatti, giornalista di Panorama e già autrice, nel 2010, del primo studio italiano sul fenomeno del land grabbing, la caccia alle terre coltivabili e ai cosiddetti investimenti-alpha (rischio minimo, massimo profitto) nel Terzo Mondo da parte di investitori senza scrupoli che hanno capito in anticipo che il cibo sarà “l’oro del futuro”. Il sottotitolo del bel libro della Roiatti, pubblicato lo scorso anno per i tipi della Egea (www.egeaonline. it) recita però provocatoriamente: “si può riscrivere l’economia del cibo?”. Prima di dare una risposta a questo fatidico quesito, con l’autrice proviamo però a partire dall’inizio.

La rivoluzione della lattuga L’autrice, Franca Roiatti, presenta il suo libro Il mondo è sull’orlo di una catastrofe alimentare. Perché? Perché “la fine del cibo” è sempre più vicina. Qualche dato? Nel 2050, per soddisfare il crescente fabbisogno di mais e grano della popolazione mondiale, ci vorranno 1000 miliardi di tonnellate d’acqua in più rispetto a quelli utilizzati oggi. Nei prossimi 40 anni, in tutto il pianeta, crescerà vertiginosamente anche il consumo di carne pro capite e per nutrire il bestiame bisognerà raddoppiare la produzione di granaglie: con quella attuale, infatti, saremo in grado di sfamare al massimo 5 miliardi di persone su 9. A tutto questo aggiungiamo che multinazionali e grande distribuzione alimentare stanno battendo sempre più la scorciatoia dei prodotti elaborati, frutto di ricerche chimiche e biologiche, per soddisfare l’incalzante domanda di cibo, finendo per provocare però un’intensificazione delle patologie mortali legate alla cattiva alimentazione. A

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Cosa ti ha spinto a scrivere La rivoluzione della lattuga? Ero stanca di mangiare frutta e verdura di plastica e ho deciso di provare a comprarle direttamente da un’azienda biologica. Mi sono informata e ho scoperto che nell’area di Milano in un anno erano nati almeno una decina di servizi di consegna a domicilio. A questo poi ho aggiunto l’ostinazione nel voler coltivare qualcosa sul balcone, una passione che riguarda sempre più persone e sempre più cittadini nel mondo stanchi di essere consumatori disattenti: mangiare è un atto politico, farlo in modo consapevole è forse la rivoluzione più grande che possiamo attuare. Perché i grandi media si occupano poco dei trucchi, degli affari sporchi, delle iniquità della catena alimentare? I media si occupano soprattutto delle crisi, come l’epidemia di E coli che ha colpito la Germania nel maggio del 2011, oppure del rialzo dei prezzi alimentari, o degli episodi più eclatanti di contraffazione dei prodotti. Ciò che manca, forse, è una riflessione più approfondita sulle storture profonde del sistema. I governi, a tutti i livelli, hanno demandato la politica alimentare al mercato. Ma la questione del cibo è nodale per il futuro dell’umanità: abbiamo di fronte la prospettiva di un mondo affollato e di un clima che sta inesorabilmente cambiando.


Proviamo ad accennare una lista dei responsabili delle distorsioni della produzione e distribuzione alimentare che si sono verificate a partire dagli anni ’90… Abbozziamo qualche numero: dieci società detengono il 67% dei brevetti sulle sementi, altrettante controllano l’89% delle forniture di pesticidi. I primi 10 big dell’industria alimentare controllano più di un quarto del loro settore. L’elenco comprende Monsanto, Syngenta, Dupont, Bayern, Nestlè, Kraft, Unilever. A questi dobbiamo aggiungere i giganti del trading delle materie prime agricole come Cargill e quelli della grande distribuzione come Wal Mart, Carrefour, Tesco Quali sono, per i consumatori, gli effetti più immediati dell’aggressione alimentare scatenata dai nuovi padroni del cibo? L’ampia diffusione di cibi ricchi di grassi e zuccheri, pubblicizzati ovunque, e la perdita della diversità del gusto: tre quarti della biodiversità agricola è infatti già andata perduta. Oggi il 90% della nostra alimentazione arriva da 15 piante e 8 specie animali. Allevati spesso in condizioni deplorevoli. Molti piccoli agricoltori sono stati schiacciati perché il frutto del loro lavoro non veniva pagato abbastanza. Dai community garden di Chicago alle cooperative modello cubane, ai Gruppo di Acquisto Solidale in Europa: a che pun-

to è la battaglia per l’affermazione della “democrazia alimentare”? Nella mia ricerca ho incontrato persone entusiaste, desiderose di ricostruire la propria relazione con il cibo e i rapporti con la loro comunità. C’è ancora molta strada da fare e molti “rivoluzionari” della lattuga si perderanno per strada. Ma sono certa che il fenomeno ha messo radici e crescerà. E in Italia? Il primo Gruppo di Acquisto Solidale è nato nel 1994; oggi si calcola che i GAS siano almeno 2000. Alcuni hanno dato vita a veri e propri distretti di economia solidale che stanno cambiando il volto del territorio e la sorte di aziende agricole. La gente compra sempre di più nei mercati contadini, direttamente dai produttori, gli orti comunitari germogliano in tutte le città. Ma l’unica ricetta per riscrivere l’economia del cibo è davvero la “permacultura” o ci sono alternative più facilmente percorribili? Non esiste un’unica ricetta. Per citare Vandana Shiva le “monoculture della mente” sono le più preoccupanti. Direi che la cosa più importante è cominciare a farsi domande su quello che compriamo e vincere il torpore della passeggiata tra gli scaffali per riempire il carrello.

“Mangiare è un atto politico, farlo in modo consapevole è forse la rivoluzione più grande che possiamo attuare”

Un anno di felicità Nel 2012 Barbanera, l’almanacco più celebre e antico d’Italia, festeggia i suoi 250 anni. Un compleanno speciale per il quale l’Editoriale Campi e la Fondazione Barbanera stanno dando vita a tutta una serie di iniziative. Tra queste: “Un Anno di Felicità. Racconta i tuoi momenti felici e vinci”, concorso fotografico on line lanciato sul sito www.unannodifelicita.it, con scadenza 30 aprile. Partecipare è facile: basta raccontare un proprio momento felice con una foto oppure con un video di 60 secondi. I documenti verranno valutati mese per mese da una giuria di “esperti in felicità”. Ai vincitori premi originali e inattesi, come un viaggio nel regno del Bhutan, il paese gemma dell’Himalaya, definito il regno della felicità per aver scelto di indicare il proprio stato di “salute” non con il PIL (prodotto interno lordo) ma con il FIL (felicità interna lorda)! Anche gli utenti Facebook e Google+ potranno comunque dire la loro e votare le opere preferite. Tutti i documenti ricevuti, infine, saranno studiati dall’antropologo Franco La Cecla che li utilizzerà per tracciare la mappa dell’Italia felice e scattare la sua “fotografia” al Paese da cui prenderà avvio un dibattito che si concluderà con un convegno il 24 maggio 2012 per proseguire poi online.

In apertura Franca Roiatti, giornalista di Panorama e già autrice del primo studio italiano sul fenomeno del land grabbing

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arte

di Gilda Ciaruffoli

Avere una bella cera

D’après Giorgio Si articola nelle stanze della Casa-museo Giorgio de Chirico il progetto espositivo che prevede gli interventi di diversi artisti di livello internazionale, invitati a dialogare con le opere, gli oggetti e l’architettura preesistenti. I lavori esposti – installazioni, dipinti, disegni, sculture, fotografie – sono realizzati appositamente per i suggestivi spazi della casa in cui de Chirico abitò negli ultimi trent’anni della sua vita, sviluppata sui tre piani superiori del seicentesco Palazzetto dei Borgognoni in Piazza di Spagna a Roma. Qui le opere pittoriche, grafiche e scultoree testimoniano la fervida attività del de Chirico artista, mentre l’arredamento e gli oggetti presenti nella casa svelano un lato più intimo e personale del grande maestro. fino al 27 gennaio 2013 Fondazione Giorgio e Isa de Chirico - Piazza di Spagna, 31 - Roma www.fondazionedechirico.org

È dedicata alle figure in cera a Venezia e in Italia la mostra organizzata a Palazzo Fortuny, la prima mai realizzata al mondo sul tema. Le sale dello storico Palazzo, divenuto ormai un punto d’incontro imprescindibile per gli amanti dell’arte che si recano a Venezia, sembrano fatte a posta per ospitare l’esposizione. Il percorso prende l’avvio dal tema del calco e della maschera funebre: nella prima sezione sarà esposta una serie di maschere funebri in cera di dogi veneziani del XVIII secolo, testimonianza unica dell’uso di utilizzare “doppi” di cera nelle cerimonie funebri; seguono volti di santi e di criminali, due temi ricorrenti nella tradizione ceroplastica. La sezione centrale della mostra, dedicata al vero e proprio ritratto in cera, è introdotta da due figure a grandezza naturale di bambini veneziani del Settecento in abiti d’epoca di qualità impareggiabile per esecuzione e inquietante nel realismo. 10 marzo - 26 giugno Palazzo Fortuny - San Marco, 3958 Venezia - www.museiciviciveneziani.it

I giganti dell’Avanguardia L’Arca – Chiesa di San Marco, a Vercelli, che ospita la collezione Guggenheim, dedica i propri spazi a 40 selezionatissime opere di tre giganti dell’avanguardia, Miró, Mondrian e Calder, dei quali si ripercorre in modo cronologico e puntuale la carriera. Interessante l’esposizione, non meno la struttura che la contiene: una ex chiesa gotica a tre navate al centro della quale è stata costruita un’arca rettangolare che funziona da spazio espositivo. Le pareti sono disegnate da affreschi emergenti ancora da studiare, mentre sulla facciata d’ingresso campeggia, a caratteri cubitali, la scritta Mercato pubblico, altra passata destinazione della fascinosa struttura. 3 marzo - 10 giugno Arca, Chiesa di San Marco - Piazza San Marco, 1 www.guggenheimvercelli.it

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cibo in rete notizie

curiosità

di Paola Caselli

consigli

passaparola

gossip

Parola di ortista Una zucca, un pomodoro, un grappolo d’uva, tutto può essere visto da una prospettiva nuova e inaspettata. Mettendo in campo, è proprio il caso di dirlo, creatività, gusto e amore per la terra crescono frutti originali e straordinariamente interessanti, come l’Orto di Michelle, un luogo sul web dove scoprire le infinite connessioni dei prodotti dell’orto. Con la moda, l’arte, il design, senza dimenticare, ovviamente, la cucina. È Mirco, stilista-ortista, che coltiva e disegna questo incredibile blog dedicato ai lati inaspettati e fascinosi dell’orto. Da non perdere. http://lortodimichelle.blogspot.com

Esploratori di vita e osterie Alla cultura del cibo, con uno sguardo a 360°, è invece dedicato il blog di Nicola Ganci e Erica Repaci, appassionati esploratori di vita e di cibo, o meglio, come dicono loro stessi: due splendidi trentenni, in cerca di lavoro, vivi, belli, bravi e… modesti. Nel loro blog troviamo molti approfondimenti interessanti e curiosità su piatti, tradizioni, letteratura ed eventi legati al cibo. Molte le ricette, facili e accattivanti, utilissima la sezione dedicata a trattorie e locali sperimentati di Genova e del Piemonte. www.diciboealtrestorie.com

Acquoline letterarie Sempre in tema di contaminazioni tra cibo e arte, curioso lo spazio curato da Paolo Maria Deganutti. Veneto di nascita e toscano di adozione, ama definirsi un enofilo e di vino si occupa sia da designer, disegnando calici e bicchieri, sia organizzando eventi e degustazioni. Nel suo rifugio troviamo utili consigli di lettura, ovviamente a tema enogastronomico, e una speciale sezione di ricette ricavate da libri e film famosi. Un esempio? La caponata di Leonardo Sciascia, magistralmente elaborata da Gianola Nonino. Provare per credere. www.irifugidellospirito.org

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La cucina illustrata In rete troviamo spesso bellissime foto di piatti preparati con arte, album interi dedicati alle preparazioni ed esistono molti fotografi specializzati nell’immortalare il cibo. E se al posto delle foto ci fossero dei cartoon? Alya Mark, una straordinaria illustratrice spagnola, ci propone le sue ricette, minuziosamente illustrate, con istruzioni chiare e immediate. Un blog colorato e divertente, per vere appassionate di cucina e disegno. È in lingua spagnola, ma vale davvero la pena di visitarlo. http://cartooncooking.blogspot.com


Idee cruelty free E a proposito di cultura sostenibile, sono ormai in molti a scegliere di diventare vegetariani, così come aumentano coloro che optano per uno stile di vita Vegan che vede bandite non solo le carni ma qualsiasi prodotto abbia origine animale. Punto di riferimento della cultura vegana è il Vegan Blog, che raccoglie centinaia di ricette, prodotti, notizie, consigli e appuntamenti, certificati dallo specifico marchio di qualità Cruelty Free. www.veganblog.it

Un desiderio appena espresso

Quando un chicco di caffè fa nascere una passione, le declinazioni possono diventare praticamente infinite. E una passione si trasforma in lavoro, anche in tempi di crisi. Se amate il caffè o siete semplicemente curiosi, lasciatevi avvolgere dal seducente percorso alla scoperta del suo mondo. Storie, racconti, prodotti, ricette e trucchi per imparare tutto sul caffè, gustarlo, ma anche per aprire un bar con successo, grazie ai corsi organizzati dalla Espresso Academy. www.ilcaffeespressoitaliano.com www.aprireunbar.com

La buccia che visse due volte C’è chi gli scarti di frutta e verdura li butta semplicemente nel cestino – speriamo nell’umido –, c’è chi con gli scarti fa il compost, ma c’è anche chi con gli scarti crea oggetti di design. Completamente biodegradabili, ecco gli accessori del designer israeliano Ori Sonnenschein. Realizzata completamente a mano, Solskin Peel è la linea di oggetti per la casa fatta di bucce d’arancia essiccate. Colorati e divertenti, a fine vita si trasformano in ciotole per le piante o per gli uccellini. www.solskindesign.com

Cambia il mondo con un click Grow the Planet è il social network tutto italiano dedicato agli appassionati di lavori dell’orto, che siano agricoltori professionisti, coltivatori esperti o principianti. Lo scopo è quello di diffondere la cultura di un’alimentazione più sana e naturale attraverso la creazione di una rete di amicizie virtuali basate su un interesse più che concreto, offrendo la possibilità a chi lo desideri di scambiarsi informazioni su tecniche di coltura, tempi di semina e di raccolta, irrigazione e potatura. Volendo si ha anche la possibilità di segnalare la posizione del proprio orto e di creare di conseguenza una vera comunità di coltivatori diretti che vivono nella stessa zona. Il sito fornisce anche informazioni su condizioni meteo ed eventuali misure da prendere in caso di eventi atmosferici estremi. http://beta. growtheplanet.com

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trendy

di Giemme

Piccole soddisfazioni marzoline Mese nuovo. Mese di primavera. Giorni più chiari. Vento. Cambiamenti. E perché no, nuovi accessori! Ogni anno quando inizia la stagione primaverile ci viene voglia di cose nuove, colori nuovi, pesi più leggeri, materiali freschi. E di comperare accessori. Scarpe che abbiamo già visto nelle vetrine dei negozi ma che ci sembravano troppo colorate o troppo delicate perché sui nostri marciapiedi c’erano ancora 20 cm di neve. Borse realizzate con materiali e forme innovative. Cinture da abbinare anche a capi che abbiamo già nel guardaroba ma che in qualche modo tornano a splendere. Occhiali dalle montature inedite e dalle lenti colorate. Cravatte con disegni estrosi o con tinte unite più calde. Sciarpe leggere. Spille, fermagli, anelli, bracciali, collane, orecchini. Insomma: dopo un inverno super rigido, non solo dal punto di vista climatico, il mese di marzo ci spinge sempre a nuovi acquisti. Ognuno di noi ha bisogno anche delle più piccole gratificazioni. Ecco cosa ci propongono le griffe: MiuMiu: borsa multicolor. Church’s: scarpa classica, ma non nei colori. Etro: cappelli e sciarpe con tinte tenui. Hogan: occhiali con lenti super tecnologiche. Chloè: scarpa in tessuto jeans. Marni: accessori super colorati e leggeri. Polo Ralph Lauren: gessato blu primaverile. Bulgari: occhiali rosa arricchiti da scintillanti pietre verdi.

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In alto, Africa di Marni, a destra Polo di Ralph Lauren. Tutto attorno: trittico di cappelli Etro, scarpa in tessuto jeans Chloè e borsa multicolor MiuMiu


Massimo Gianolli, appassionato di vini sin dalla giovinezza, dĂ avvio alla produzione nel 2005, selezionando l’uva destinata al suo primo Amarone, che viene alla luce quattro anni piĂš tardi. Inizia cosĂŹ la storia dell’azienda vinicola La Collina dei Ciliegi, oggi parte di un progetto che ha, letteralmente, “preso il voloâ€?

Vdg selezioni

Gioielli in cantina

L’azienda vinicola La Collina dei Ciliegi nasce dalla passione della famiglia Gianolli per la terra, l’agricoltura e il vino; le sue origini risalgono alla fine degli anni ’60 dello scorso secolo. La sede amministrativa è a Milano, quella commerciale a Biella, in Piemonte, mentre l’azienda agricola e i vigneti sono in Veneto, sulle colline della Valpantena nei pressi di Verona. Una tenuta di 45 ettari allietata sia da vigne che da lussureggianti ciliegeti (di qui la denominazione del marchio) che oggi produce e commercializza vini tipici veronesi quali Il Garganega Igt, il Lugana Doc, il Brut (Metodo Charmat), lo Zamuner Riserva Villa La Mattarana (Metodo Classico Extra Brut) il Corvina Igt, il Valpolicella Superiore Doc, il Ripasso Doc, il Ripasso Superiore Doc, l’Amarone Doc e il Recioto Doc. Oltre a quello italiano, i mercati dove i prodotti vengono esportati in quantitĂ rilevanti sono Cina, Regno Unito, USA, Germania, Australia e Paesi Scandinavi. Nel 2010 è stato inaugurato lo showroom di Milano, in via Melchiorre Gioia 45, dove è possibile degustare l’intera gamma in un ambiente rilassante e riservato. I vini de La Collina dei Ciliegi sono destinati all’Ho.Re.Ca di qualitĂ e a intenditori privati, e sono distribuiti in Italia e all’estero attraverso i seguenti canali: s GLI STORE ,A 'IOIELLERIA DEL 6INO IL PRIMO DEI QUALI Ă’ STATO INAUgurato nel maggio 2011 a Porto Cervo. In ottobre la boutique è stata trasferita a Milano, in via Melchiorre Gioia 45. Nei mesi successivi sono nate le prime Gioiellerie del Vino in franchising, a Legnano, Como e Roma. Sono allo studio aperture all’estero: prima mossa a Shanghai; s ON LINE TRAMITE IL SITO WWW LACOLLINADEICILIEGI IT CHE GARANtisce il contatto diretto tra cliente e produttore, ma anche attraverso selezionatissime piattaforme di terzi; a breve la gamma sarĂ disponibile sul sito cinese The Lux; s MEDIANTE DISTRIBUTORI SCELTI CHE CONDIVIDANO LA FILOSOFIA DI comunicazione e di posizionamento dei prodotti.

La Collina dei Ciliegi - LocalitĂ Erbin, 36 Grezzana (Vr) - www.lacollinadeiciliegi.it

Alla fine del mese di febbraio La Collina dei Ciliegi ha presenziato a un road show di 10 giorni a Shanghai, e parteciperĂ , a Verona, alla fiera internazionale Vinitaly (stand F3-F4 - Pad 7B). Gli amici del marchio sono sempre piĂš numerosi. Dopo un solo anno di presenza sui principali social network (Facebook, Twitter etc.) se ne contano piĂš di 7.000. Infine, per la clientela piĂš raffinata ed esigente, l’azienda propone un servizio ineguagliabile che prevede, a disposizione di chi lo desideri, a casa o sul proprio yacht, uno chef di fama internazionale che “creaâ€? in esclusiva e un sommelier che abbina alle vivande i vini piĂš indicati. Vi attendiamo per degustare insieme le primizie della straordinaria vendemmia 2011.


shoppin shopping

di Olga Carlini

Sotto il sol leone Cappello in paglia stretch della collezione estiva Ermanno Scervino, linea che ridisegna le fantasie classiche nelle sfumature del nuovo celeste pastello rendendole insolitamente moderne. Prezzo: 180 euro

Dettagli iconici Forma oversize e volumi sinuosi per l’occhiale da sole Belle dall’allure iper femminile che si traduce nel frontale arrotondato in iniettato e nelle aste ondulate in metallo, elemento iconico degli occhiali Jimmy Choo. La gamma cromatica si sviluppa con abbinamenti raffinati: avana/oro, nero/oro, beige/oro rosso e grigio specchiato/oro chiaro. Prezzo: 190 euro

Impossibile da dimenticare Louise Turner (Givaudan) ha creato la fragranza Roberto Cavalli Profumo per lei, esuberante e solare, le cui note alte, illuminate dal peperoncino rosa, emanano una genuina forza di carattere. Vibrante e sensuale, il profumo esulta al primo contatto, racchiudendo la nobiltà assoluta del fiore d’arancio. Questa sensualità si avvolge nelle note di fondo del Tonka bean che lascia la sua essenza intrigante sulla pelle... ed è impossibile da dimenticare. Prezzo: 30 ml 55 euro / 50 ml 73 euro / 75 ml 95 euro

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ng Shining heart Cuore bombato in plexiglass trasparente, impreziosito con Swarovski elements cristal, con collarino in argento rodiato. Artigianato tutto italiano dermatologicamente testato. Disponibile in 22 diverse colorazioni dei cristalli. Prezzo: 76 euro

Ritratti in rete La fotocamera WB850F, compatta super zoom dotata della tecnologia Wi-Fi Direct, è perfetta per condividere i propri scatti attraverso tutti i social network. Prezzo: 379 euro

Fiori in viaggio Design, colore e funzionalità sono i protagonisti di questo trolley con stampa floreale che, grazie alle 4 ruote piroettanti, garantisce massimo confort e praticità per il viaggiatore. Il compagno ideale per viaggi brevi o più impegnativi, con il vantaggio della leggerezza del policarbonato. Massima sicurezza grazie alle chiusure rigide in polipropilene. Prezzo: trolley grande 239 euro / trolley medio 229 euro

Stampare senza vincoli Stampe professionali, veloci e da realizzare in qualsiasi circostanza grazie all’elegante e portatile Selphy CP810 di Canon dal design sottile e compatto, ricca di funzioni creative e semplici da utilizzare. È in grado di produrre stampe in formato cartolina (148 x 100 mm), L (119 x 89 mm) e carta di credito (86 x 54 mm). Prezzo: 110 euro

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selezioni

Incontro col Barone Questa è la storia di un’amicizia ritrovata, un affetto che ha resistito alla distanza e agli anni. È la storia di Vincenzo, anziano Siciliano partito dalla sua terra negli anni 50 per trasferirsi in Germania, dove si è sposato e ha avuto 2 figli, ormai grandi. Ci racconta Vincenzo: «Tutto è cambiato in Sicilia da quando sono partito da emigrante: il modo di vestire, i paesi, la campagna e soprattutto la mentalità. Prima di partire avevo lavorato come aiuto portiere nel palazzo del vecchio Barone La Lumia e avevo fatto amicizia col suo nipotino Nicolò, trascorrendo insieme a lui le ore libere della giornata, divertendoci con i semplici giochi di un tempo. Ora, tornato a Torre di Gaffe nei pressi di Licata, là dove nel 1943 sbarcarono gli americani, ripensando alla fanciullezza mi venne il desiderio di rivederlo. Lo chiamai al telefono e mi feci riconoscere. Ci incontrammo nella sua tenuta,

Un’amicizia nata in terra siciliana, dalle radici solide, come quelle delle viti, e come il vino lasciata riposare e invecchiata bene

non lo avevo più visto da circa sessanta anni. Era diventato un distinto anziano signore, non sapevo se dargli del Voscenza come usava a quei tempi o del tu e lui avendo capito il mio imbarazzo mi abbracciò dicendomi: “Caro Viciuzzo sarà passato tanto tempo ma io sono rimasto lo stesso. Come tu sai ho sempre amato la campagna e a questa mi sono dedicato con grande passione e amore. Era la vigna che specialmente mi entusiasmava perché ne potevo seguire l’evolversi fino all’arte di saper trasformare il frutto in ottimo vino. Studiai il mio territorio ricco di mille avvenimenti e di tante leggende, imparai a fare il vino cosi come lo fecero i vecchi coloni greci, imparai le nuove tecnologie che mi diedero la possibilità di coniugare la saggezza e l’esperienza con le nuove scoperte enologiche. Fu tutto un ricercare nei ruderi dell’antichità i segreti di quest’arte e aggiun-

gervi quel tanto di creatività che li rendeva antichi e moderni allo stesso tempo. Questo ho fatto caro Viciuzzo e cosi ho accumulato nel tempo tante belle esperienze per me e per gli altri. Ho cercato di ridare ai vini di Sicilia le vesti regali di un tempo. Ho raccolto nel casale della mia tenuta tanti oggetti da cui rifulge le bellezza l’arte e l’animo del popolo Siciliano. Oggi è bello poter raccontare, mostrare e offrire ai turisti di tutto il mondo questo sogno che si è concretizzato nel tempo in questa campagna dove trascorro una vita ancora piena di interessi”. Lo guardai e dissi: “Come sarebbe stato bello restare con te la mia vita sarebbe stata di sicuro più serena e felice”. Ci abbracciammo con la promessa di rivederci presto». www.baronelalumia.it facebook: tenuta la lumia


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Raccolta Latte: Il latte di pecora, materia prima del Pecorino Romano, viene raccolto da greggi altamente selezionate prevalentemente dai ricchi pascoli del fertile Agro Romano, da Ottobre a Giugno, nel rispetto del ciclo naturale della pecora da latte.

Salatura: esclusivamente a secco! BRVNELLI ancora oggi come secoli fa, secondo la tradizione romana, porta avanti la salatura a secco, anzichĂŠ ad immersione in salamoia

Stagionatura: dai 12 ai 18 mesi, in antiche grotte naturali tufacee risalenti al periodo Etrusco-Romano del I sec. A.C.

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Finitura: tipica dell’antica Roma e che ancora oggi contraddistingue il BRVNELLI D.O.P. è la sua caratteristica scorza nera, la “cappaturaâ€? nera come comunemente viene definita, simbolo della tradizione Romana

AUT. CONSORZIO PER LA TUTELA DEL FORMAGGIO PECORINO ROMANO N. 63/92 - D.P.R. 30/10/1995 MODIF. COND D.M. 06/06/1995 D.O.P. - REG. CE 1107/96

GARANTITO DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI AI SENSI DELL’ART. 10 DEL REG. (CE) 510/2006


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Alla ricerca dei sapori perduti Calabraittica si dedica da più di un decennio alla produzione di prodotti ittici avvalendosi di semplici materie prime come il sale, l’olio e il peperoncino, per farci gustare tutto il sapore della natura e della tradizione di terra calabra Industria artigiana situata a metà strada tra i mari Jonio e Tirreno, Calabraittica nasce sulle basi e dall’esperienza trentennale di una piccola attività di famiglia. Negli anni 90, con il marchio Oroazzurro, diventa Industria con l’obiettivo di conservare il pesce delle coste locali mettendo in pratica metodi e segreti tradizionali di un piccolo laboratorio artigianale. Oggi, l’industria si estende su 2000 mq di locali altamente rifiniti e attrezzati di celle frigo con una linea di confezionamento automatica. Il marchio Oroazzurro con la produzione di acciughe, sardine, filetti, novellame, sughi è presente in Italia e all’estero nei negozi di prodotti tipici, nelle gastronomie e nella grande distribuzione. Altissima la cura, e tanti i piccoli preziosi accorgimenti che l’azienda mette in atto in fase di produzione, come la lavorazione del fresco effettuata entro poche ore dalla pesca, che regala al palato il piacere di sapori persi nella memoria e finalmente ritrovati. I processi di trasformazione e le fasi di confezionamento concorrono in modo decisivo a questo risultato, garantito da un rigoroso sistema di controlli e, ancor prima, dalla selezione del pescato. Il

Il marchio Oroazzurro, con le sue specialità marinare è presente in Italia e all’estero nei negozi di prodotti tipici, nelle gastronomie e nella grande distribuzione


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Non tutti i filetti sono uguali Il Filetto Reale Piccante Calabraittica ha ottenuto il riconoscimento come Prodotto Innovativo nell’ambito della scorsa edizione di TuttoFood. Le alici utilizzate sono pescate nel mare Ionio e trasformate in tempi brevi; catturate e salate nei mesi di settembre/ottobre dopo un’accurata pressatura con l’umidità ideale della zona, a maturazione ideale vengono conservate e stagionate per almeno 24 mesi. Le motivazioni del riconoscimento recitano: “Riteniamo tale trattamento innovativo in quanto solitamente i tempi di lavorazione e preparazione delle acciughe alla vendita avvengono in 4/5 mesi”.

reparto di produzione opera secondo le normative CEE, applicando rigorosamente il sistema HACCP. Inoltre l’azienda adotta tutte le procedure e le prescrizioni previste dallo standard I.F.S. (International Food Standard). Qualità e sicurezza sono garantite non solo dai ripetuti test dell’azienda (idoneità delle materie prime e conservazione), ma anche da scrupolosi organi istituzionali di controllo. Freschezza e qualità ottimale del prodotto sono tutelate anche dai materiali selezionati per le confezioni che preservano al meglio i prodotti.

Calabraittica Strada San Francesco, 1 Anoia (Rc) Tel. 0966944935 - Fax. 0966 944983 www.calabraittica.it


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Il sapore della Primavera Tre Marie La Colomba Tre Marie. Una ricetta antica, custodita e tramandata nel tempo. La forma della Colomba, con le ali spiegate in volo, è ricca di significati simbolici positivi, vitali e solari. Evoca purezza, morbidezza, leggerezza e pace. Celebra la rinascita, il rinnovamento, il risveglio tipici della primavera. Una tradizione che vive ogni anno nella nostra ricetta Tre Marie è una marca storica diventata negli anni simbolo della tradizione dolciaria milanese, sinonimo di prodotti di pasticceria di alta gamma, preparati con competenza e cura. Tre Marie ha una storia affascinante, fatta di autenticità e gusto, valori ed emozioni, che inizia nel lontano 1150 nel cuore di Milano, con la nascita del Forno benefico delle Quattro Marie e continua con la fondazione nell’Ottocento della rinomata Pasticceria Tre Marie, punto di riferimento per raffinatezza e qualità. Le specialità della casa erano i dolci lievitati, il Panettone e la Colomba, tipici della tradizione natalizia e pasquale. Nasce così una produzione tramandata di anno in anno nel rispetto delle ricette originali: una bontà che grazie a Tre Marie è diventata uno dei simboli irrinunciabili delle Feste. La Colomba Tre Marie nasce ancora oggi nel cuore di Milano, con grande fedeltà alla ricetta delle origini: un morbido impasto di farina, burro e uova fresche, arricchito con scorze d’arancia candite, ricoperto da una glassa decorata con mandorle intere e granella di zucchero. Gli ingredienti, dalla farina alle uova fresche, dai canditi alle mandorle sono accuratamente selezionati e frutto dell’impegno e della passione di Tre Marie per la qualità. Il processo produttivo è lungo e curato: tre impasti, tre giorni di lievitazione, otto ore di lento raffreddamento. Tre giorni complessivi di lenta attesa suggellati

dalla decorazione con la glassa, la bianca granella di zucchero e con le mandorle intere. La Colomba è poi cotta a vista e lasciata raffreddare lentamente per ottenere la sofficità perfetta. L’ingrediente più prezioso di tutti i nostri prodotti è il lievito naturale. Nasce da un impasto detto Madre, conservato da sempre in un ambiente isolato e chiuso nel cuore dello stabilimento Tre Marie. Protetta da un panno di cotone e racchiusa con cura con una corda, la Madre è composta da microrganismi vivi che si rigenerano spontaneamente, giorno dopo giorno. Da sempre la custodiamo con cura e ne preleviamo piccole porzioni, per dar vita a tutti i nostri prodotti lievitati. Ti invitiamo a scoprire Tre Marie attraverso la Collezione Pasqua 2012. Visita tremarie.it.

Luci. Colori. Profumi. La dolcezza Tre Marie ritorna e arricchisce il momento con sapori senza tempo


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Accoglienza tra i filari Il Castello di Spessa a Capriva del Friuli, in provincia di Gorizia, fa parte – con l’azienda vinicola La Boatina di Cormòns – del gruppo Pali Wines. Intorno a esso si estende una proprietà di 60 ettari, di cui 25 coltivati a vigneto, tutti dislocati nella Doc Collio Le origini del Castello di Spessa risalgono al milleduecento, ma dalle testimonianze documentali si evince una storia ancora più antica, fino a un primitivo stanziamento dei Romani nel III secolo d.C. Nel 1987 la tenuta è stata acquistata da Loretto Pali, che gli ha dato nuova vita e ne ha fatto il cuore del complesso d’hotellerie Castello di Spessa Resort, con campo da golf 18 buche, l’Hosteria del Castello, La Tavernetta al Castello Hotel e Ristorante, l’azienda vinicola, la sala congressi Casanova e il wine store. L’ospitalità quindi, è di altissimo livello. Ma senza trascurare l’aspetto vitivinicolo del territorio. I vini a oggi prodotti si dipanano in una gamma variegata, che spazia dal bianco al rosso e strizza l’occhio alla tipicità: Friulano, Ribolla Gialla, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Sauvignon, Santarosa Pinot Bianco in barrique, Segrè Sauvignon e, per i rossi, Torriani Merlot, Vigna Rosaris Merlot, Rassauer Cabernet Sauvignon, Casanova Pinot Nero, Conte di Spessa Collio Rosso. Le cantine d’invecchiamento, sintesi perfetta di funzionalità ed estetica, sono visitabili.

Castello di Spessa Via Spessa, 1 - Capriva del Friuli (Go) Tel/Fax: 0481808124 www.castellodispessa.it - www.paliwines.com

Castello di Spessa Pinot Bianco Doc Collio Prodotto a Capriva del Friuli (Go), il vino (100% Pinot bianco), dal colore giallo paglierino con riflessi dorati, all’olfatto è ricco e ricorda la frutta matura e tropicale (ananas, melone, banana e mela al forno). Le uve sono vendemmiate a mano nella seconda decade di settembre. Al gusto risulta condito con una nota intrigante di burro, l’entrata in bocca è molto ben bilanciata e il finale è lungo e ben sostenuto. Consigliato l’abbinamento con antipasti leggeri a base di pesce al vapore e pesce di mare, risotti delicati di pesce e piatti di pasta o minestre di verdura. E ancora spaghetti con le triglie, tagliatelle con sogliola allo zafferano, zuppa di frutti di mare con polenta, orata al forno, rombo con patate e zuppa di pesce. Temperatura di servizio: 10°- 12° C. Gradazione alcolica: 14% vol.


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Happy Hour made in Sicily Appuntamento al Vinitaly con Le Terre di Nero d’Avola

Viticultori Associati si presenta alla 46a edizione del Vinitaly di Verona forte dei successi ottenuti dalla critica specializzata e dai consumatori di tutto il mondo. La Fiera italiana del vino sarà ancora una volta l’attesissima vetrina che metterà in evidenza la crescita di questa significativa realtà produttiva siciliana che conta su oltre 460 piccoli e attenti viticoltori per una base viticola di oltre 1.000 ettari di vigneto. Giovanni Greco, presidente della Cantina di Canicattì, illustra i punti su cui ruoterà la partecipazione dell’azienda alla fiera di Verona. Presidente, per il secondo anno consecutivo il vostro stand fieristico lancerà un messaggio chiaro. Ce lo vuole raccontare? Il territorio è la chiave di volta su cui si fonda una produzione enologica di qualità. Siamo ben consapevoli

di operare in una tra le zone vitivinicole più vocate d’Italia, per tradizione e per condizioni pedoclimatiche. Una terra, quella dell’entroterra agrigentino, che si esprime al meglio con il vitigno principe degli autoctoni di Sicilia, il Nero d’Avola. Così, già dallo scorso anno, ci è parso ovvio dover rendere omaggio a questo talento, intitolando il nostro stand con la dicitura Terre di Nero d’Avola. Con questo non vogliamo dire che il migliore Nero d’Avola sia il nostro, ma piuttosto rendere più territorialmente connotati i nostri grandi rossi. Per Viticultori Associati il territorio continua quindi a essere la base di tutta una filosofia produttiva… La nostra realtà, da oltre quarant’anni, attraverso investimenti soprattutto in campo tecnologico, si è impegnata a definire un nuovo e più alto concetto di qualità vitivinicola volta a esprimere al meglio le peculiarità di un territorio straordinario. La ricerca costante della migliore espressione dello stile siciliano è sempre stata alla base del nostro lavoro che ci ha permesso di creare dei vini che, fortemente connotati dai contesti di origine, rispondono, con eleganza e qualità, all’evoluzione dei consumi e alle richieste provenienti dai nuovi mercati.

Quali saranno le novità che porterete al Vinitaly di quest’anno? Ai banchi d’assaggio presenteremo in anteprima le ultime annate dei vini in commercio a marchio CVA, tutti contrassegnati da un invidiabile rapporto qualità/ prezzo. Tra i prodotti della gamma aziendale, a spiccare sarà certamente l’Aynat, il nostro vino di punta ottenuto da uve di Nero d’Avola in purezza, che da poco ha ottenuto una grande dichiarazione di stima dalla prestigiosa rivista inglese Decanter nella lista dei vini siciliani più entusiasmanti. Grande spazio sarà riservato al Centuno e Fileno, che prendono vita rispettivamente da uve di Nero d’Avola e Grillo, due etichette che solo alla seconda vendemmia ci hanno regalato grandi soddisfazioni. Ai winelovers, inoltre daremo la possibilità di degustare, tra gli altri, i nostri due amatissimi blend, lo Scialo (ottenuto da un uvaggio di Syrah e Nero d’Avola) e il Calìo (Nerello Cappuccio e Nero d’Avola), che, insieme al Satari (versione frizzante del Cataratto) sono vini ideali per un Happy Hour made in Sicily.


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L’oro nero della Lomellina A 45 km da Milano, nella campagna pavese, l’azienda agricola Tenuta San Giovanni apre i suoi saloni a eventi e cerimonie, e propone una specialità unica: il Nero di Lomellina

Prodotto di alta qualità, dai chicchi che non scuociono mai, ricchi di vitamine e sali minerali, il riso Nero di Lomellina ha un gusto particolarmente delicato, declinabile nelle ricette più diverse

Oltre 2mila metri quadrati di tetti “alla piemontese”, grosse travi di larice e un’architettura imponente caratterizzano la Tenuta San Giovanni, recentemente restaurate nel pieno rispetto della tradizione con il risultato di un ambiente rustico e raffinato. Gli edifici, di epoca secentesca e ottocentesca, hanno mantenuto immutata la struttura originaria e le caratteristiche di semplicità e ruralità tipiche delle cascine lombarde, aggiungendo un giusto tocco di eleganza. Tutto questo grazie al coordinamento attento di Cristiana Sartori, che da anni gestisce l’attività di famiglia con sapienza e amore. Qui si organizzano meeting, incontri enogastronomici, cosi di cucina e matrimoni, ma prima di tutto si coltivano riso Carnaroli e il Nero di Lomellina, riso integrale biologico del quale Cristiana Sartori è l’unica produttrice in Lombardia. Ci racconta Cristiana: «il Nero di Lomellina nasce da una selezione durata 8 anni presso la nostra Tenuta; è un prodotto di altissima qualità, con chicchi che non scuociono mai, ricchi di vitamine, sali minerali e altamente digeribili (100% amilopectina), adatto a chi ha problemi di anemia o diabete». La fragranza è unica, molto delicata, e si sposa con ogni condimento. Trentadue gli ettari di campi della Tenuta convertiti a biologico, in una rotazione che porta ad arricchire naturalmente i terreni con sovesci invernali, nell’ambito di un più ampio progetto “Sano e Bello” intrapreso dall’azienda dagli anni Novanta e che la caratterizza come realtà attenta alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente.

Tenuta San Giovanni Via Uberto De’ Olevano, 1 Olevano di Lomellina (Pv) Cell. 335 57 29 936 www.Leonedilomellina.It


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120 anni e non dimostrarli Passione, tradizione ed esperienza sono gli ingredienti del successo che, dal 1892, cresce e si consolida per la Distilleria Andrea Da Ponte Spa


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Alla base del successo Da Ponte la cura del Tempo (per distillare non ci vuole fretta), l’attenzione per la purezza e l’armonia della Materia, così come l’orgoglio e la volontà di fare sempre meglio, che è Spirito. Non dimenticando la salvaguardia dell’integrità di un ambiente così prezioso perché Natura

Dal 1892 Da Ponte significa passione per la tradizione, utilizzo di materie prime genuine e semplici con un impegno costante grazie all’esperienza nella creazione di prodotti eccellenti e dal gusto unico. Una storia piena di successi e costellata di momenti importanti: così l’Andrea Da Ponte Spa festeggia i 120 anni di attività della distillazione, anni caratterizzati da una dedizione unica e continua nel tempo e da risultati eccellenti. In tutto questo tempo la Distilleria ha saputo migliorarsi, plasmarsi, trasformarsi per rispondere alle esigenze contingenti del mercato. Oggi come allora il Metodo Da Ponte ha sempre dimostrato tutta la propria validità e l’Azienda una grande capacità di

fornire risposte concrete rappresentando un modello che ha tutte le potenzialità per affrontare il futuro. In un periodo economico e sociale difficile come quello in cui ci troviamo, con un mercato che tende a banalizzare il valore dei prodotti, per premiare invece i servizi al consumo, la Distilleria Andrea Da Ponte ha sempre dimostrato di portare avanti una continua innovazione sia nei processi di controllo qualitativo che nei prodotti, orientandosi sempre alla sicurezza e alla elevata qualità, principali fattori alla base del suo successo. Una vocazione autentica che trae ispirazione dalle colline di Conegliano-Valdobbiadene e che rispetta natura e tradizione, ma segue e accompagna l’innovazio-


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ne attraverso la sapiente combinazione di quattro elementi necessari all’arte distillatoria. Questi elementi sono il rispetto della tradizione, ovvero la cura del Tempo (per distillare non ci vuole fretta); l’attenzione per la purezza e l’armonia della Materia, così come l’orgoglio e la volontà di fare sempre meglio, che è Spirito, evocabile anche nei raffinati effluvi. Non dimenticando la salvaguardia dell’integrità di un ambiente così prezioso perché Natura. Con queste premesse, la distilleria Andrea Da Ponte ha creato non soltanto tre prodotti di eccellenza, ma una vera cultura. Cultura del territorio, della natura, del lavoro, della

responsabilità etica. Vecchia Grappa di Prosecco 8 annate, Unica Da Ponte 10 annate e Libera Da Ponte 1992, tre grappe che sono non soltanto nettare per il palato, ma opere d’arte che elettrizzano ognuno dei nostri sensi. L’apprezzamento da parte del pubblico e della critica specializzata è stato confermato negli anni da numerosi riconoscimenti, l’ultimo dei quali è stato conferito alla Riserva di 18 anni Libera Da Ponte 1992, Grappa da vinaccia di Prosecco, prodotta in 4892 champagnotte numerate e premiata con la medaglia d’oro al prestigioso IWSC (International Wine and Spirit Competition).

Centoventi anni di storia: oggi come ieri il Metodo Da Ponte conferma tutta la sua validità e l’Azienda dimostra, ancora una volta, una grande capacità di fornire risposte concrete rappresentando un modello che ha tutte le potenzialità per affrontare il futuro

Andrea Da Ponte Spa Via Primo Maggio, 1 Corbanese di Tarzo (Tv) Tel. 0438 933011 www.daponte.it



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Da noi il Gavi è di famiglia Dal 1970 di proprietà di Giancarlo Ariano, che oggi lo gestisce con i figli, Podere Saulino vanta una superficie di 12 ettari in un corpo unico, con annessa cantina di vinificazione e imbottigliamento; 9 ettari di vigneto sono coltivati esclusivamente a vitigno Cortese Un po’ di storia

Nel 1529 Novi Ligure è stata annessa alla repubblica di Genova e i Marchesi Sauli di Genova diventarono proprietari di terreni e fabbricati in Novi Ligure tra i quali il Podere Saulino, La Saula, il Palazzo Sauli e un vicolo tutto di proprietà chiamato Sauli. I Sauli diedero a Genova 29 senatori e 3 Dogi. Verso la fine dell’800 le proprietà dei Sauli vennero a far parte della grande tenuta del Conte Edilio Raggio. La viticoltura da sempre praticata in questa zona, fu indirizzata dall’amministrazione Raggio verso la coltivazione specializzata del vitigno Cortese da cui proviene il vino Gavi, ora Docg.

Azienda di tipo familiare destinata a durare nel tempo grazie alla grande passione di tutte le generazioni coinvolte (i più giovani discendenti della famiglia Ariano sono ventenni e già attivamente all’opera!), il Podere Saulino produce esclusivamente Gavi Docg. Nella vinificazione, fermentazione, lavorazione, stabilizzazione e imbottigliamento dei vini l’azienda si avvale di macchinari all’avanguardia sia per tecnologia che per economicità. Nel prossimo futuro l’azienda si propone di coprire l’intera superficie aziendale con vigneti, e punta anche alla realizzazione di grappe ricavate della vinacce di produzione (monovitigno). Da notare le peculiarità del Gavi Podere Saulino che si distingue per una serie di fattori che ne contraddistinguono la qualità e la tenuta nel tempo; per iniziare nel vigneto non vengono utilizzati diserbanti e la vite viene curata seguendo il regolamento 2078 che vieta l’uso indiscriminato degli antiparassitari. Inoltre, il vigneto è esposto a Sud-Ovest e prende il sole dall’alba al tramonto, sfruttando in tal modo al massimo le ore di luce. Il sistema di allevamento e di potatura non consentono produzioni elevate e le concimazioni sono finalizzate solo alla alta concentrazione zuccherina e non alla quantità. Di particolare interesse, la notizia che la cantina del Podere Saulino è una delle poche il cui titolare è anche l’enologo, a differenza di quello che avviene nella gran parte di quelli della zona che vengono seguite da un gruppo di enologi che danno a tutte la propria consulenza.

Podere Saulino Via Gavi, 85 Novi Ligure (Al) Tel. 0143743174 www.poderesaulino.it




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