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DISABILITA' VISIVA, DEPRESSIONE E CARE GIVER
Punti di Vista l’Optometrista
Idor De Simone Scienze Visive - Optometrista Master in Neuroscienze Cliniche Contattologo Poliambulatorio Maugeri - Istituti Clinici Scientifici Maugeri www.facebook.com/idordesimone/
La disabilità visiva è un problema che affligge oltre un miliardo di persone (Bourne et al, 2017) e l’impatto sulla qualità della vita è decisamente più elevato rispetto a quello di altre condizioni croniche (Langelaan et al., 2007), in quanto sembrerebbe che oltre ad incidere sulla funzionalità della vita dei pazienti abbia anche un impatto importante sulla loro salute mentale (Court et al., 2014). Poiché negli anziani le disabilità visive sono sempre più frequenti - ma lo sono anche le condizioni di salute mentale avversa (World Health Organization, 2017) -, è naturale che via sia una correlazione tra i due elementi dimostrata da alcuni importanti studi longitudinali che hanno preso in esame il rischio di sviluppo di condizioni psicologiche avverse in pazienti affetti da disabilità visive di vario genere (Radloff, 1977 e Shafer, 2006). Da questi studi emerge come vi sia un’associazione bidirezionale tra i due fenomeni, in quanto i pazienti con disabilità visive tendono a sviluppare depressione, ma capita anche che i pazienti con sintomi depressivi pregressi siano quelli che hanno maggiori probabilità di riportare autonomamente l’esistenza di disabilità visive.
La correlazione bidirezionale avviene per ragioni che sono da ricercarsi in un disuso delle proprie funzioni visive, dalla più rara tendenza a cercare soluzioni per i propri problemi (anche visivi), o dalla possibilità che si sviluppino altri fattori di rischio (dieta non adeguata e altre modifiche dello stile di vita).
A mio parere, inoltre, ritengo che sia da indagare anche l’aspetto neuroscientifico del problema, che potrebbe dimostrare la stretta correlazione tra l’attività della corteccia frontale e subfrontale e le fibre nervose interagenti con le vie visive.
Un altro aspetto, analizzato da vari studi, è la possibilità di sviluppare depressione e variazioni di umore, non tanto nelle persone affette da disabilità visive quanto in coloro che di esse si prendono cura.
Un gruppo di studio di Baltimora ha condotto uno studio pubblicato sull’American Journal of Ophthalmology selezionando vari pazienti anziani con e senza disabilità visive ma accumunati dalla necessità di essere seguiti da qualcuno che si prendesse cura delle loro necessità.
Sono stati selezionati due gruppi di care giver (uno che seguivano anziani ipovedenti o con disabilità visiva e l’altro che assistevano persone con altro tipo di disabilità).
Il questionario somministrato mirava ad esaminare, nell’arco osservazionale di un mese, diversi fattori: ore passate a prendersi cura del paziente, l’influenza dell’attività di cura su altre attività importanti, eventuali difficoltà emozionali, finanziarie o fisiche e come “attività importanti” sono state considerate il visitare amici o familiari, uscire per divertimento, partecipare a funzioni religiose, partecipare a incontri di club o ad altre attività di gruppo.
I risultati dimostrano quanto sia più complicato prendersi cura di persone con disabilità visive piuttosto che di persone che hanno altri tipi di disabilità.
Chi accudiva anziani ipovedenti ha mediamente occupato nell’assistenza il 36% di ore in più rispetto ai soggetti del gruppo di controllo e le “attività importanti“ sono state influenzate per il 61% in più nei caregiver dei soggetti ipovedenti rispetto a quelli dell’altro gruppo. Nessuno sembra aver avuto maggiori difficoltà finanziarie o fisiche, ma per quanto riguarda il lato emotivo sembra che il rischio sia stato significativamente maggiore per chi si prendeva cura di persone affette da disabilità visiva. Di conseguenza, emerge dai vari studi che l’impatto della disabilità visiva sulla qualità della vita è particolarmente elevato, non solo in chi ne è affetto, ma anche in chi se ne deve prendere cura - che sono solitamente i familiari più stretti.