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Analisi dei dati e implicazioni economico giuridiche
specificità. Ad esempio le province del Meridione particolarmente colpite dalla diffusione del lavoro sommerso, ma anche le città di Firenze e Venezia, i cui flussi turistici alimentano un ingente numero di attività di accoglienza e ristorazione.
Analisi dei dati e implicazioni economico-giuridiche
Entrando nel merito del lavoro non regolare, il primo dato rilevato ha dimensioni allarmanti considerando che il 91% degli intervistati afferma di aver avuto esperienze di lavoro in nero. Solo un 9% afferma quindi di non aver mai rinunciato alla tutela contrattuale.
I rispondenti alla domanda sull’attuale condizione di lavoro sono stati all’incirca ⅔ del campione. In particolare si è cercato di cogliere la diffusione di forme parziali di irregolarità, di cui riferisce il 54% dei rispondenti, mentre il 46% dei rispondenti afferma di avere attualmente un contratto del tutto regolare.
Sebbene apparentemente più confortante del dato precedentemente citato, che indagava eventuali esperienze passate e/o presenti di lavoro in nero, occorre sottolineare che più della metà del campione riferisce irregolarità nel proprio contratto di lavoro.
Numeri così elevati impongono un incremento degli sforzi per comprendere il fenomeno, ma dovrebbe anche suscitare una riflessione più ampia sul mercato del lavoro in Italia. I servizi dell’ospitalità e della ristorazione costituiscono uno dei principali settori del sistema produttivo italiano, con circa un milione di lavoratori coinvolti.
Confrontando i dati della ricerca sul campione, con la popolazione di riferimento, si potrebbe stimare che oltre 500.000 persone non vedano riconosciuti a pieno i propri diritti, oltre ad introdurre il calcolo sulla stima della quota di evasione fiscale da lavoro nero prodotta dal settore. Ricordiamo infatti che il valore dell’economia non osservata
del sistema produttivo italiano è stimato a 200 milioni di euro (ISTAT 2017), di cui una quota non trascurabile deriva proprio dai pubblici esercizi.
Passando in rassegna le dichiarazioni dei lavoratori intervistati, emerge che a fronte di un 92% che desidera lavorare con forme contrattuali regolari, vi è invece un 7% che preferisce lavorare senza vincoli o tutele contrattuali. La motivazione principale risulta nella maggior parte dei casi (71%) la possibilità di un guadagno superiore.
Emerge anche il peso della presenza di studenti che compongono le brigate, i quali tenderebbero a sottrarsi ai vincoli contrattuali per ragioni di flessibilità ed economiche. A tal proposito, tra le altre motivazioni più frequentemente riportate, emerge un elemento comune che riguarda il coinvolgimento e la percezione delle istituzioni all’interno del mercato.
Così come molti studenti riferiscono di scegliere il lavoro in nero per poter mantenere determinati livelli di reddito e poter quindi accedere ai contributi per il diritto allo studio, un numero rilevante di lavoratori che non vorrebbe veder regolarizzata la propria posizione percepisce l’indennità di disoccupazione.
Nelle affermazioni più diffuse tra i rispondenti emerge però una profonda sfiducia nel sistema di tassazione insieme ad una radicata convinzione di necessità da parte dell’azienda di non regolarizzare i dipendenti per via degli elevati costi del lavoro.
Occorre quindi sottolineare come vi sia una contraddizione nel rapporto con le istituzioni che da un lato forniscono un supporto economico evidente ai soggetti più vulnerabili, proprio grazie al gettito dei contributi fiscali, ma sono comunque percepite come il principale ostacolo allo sviluppo dell’impresa e alla crescita economica.
Per quanto riguarda la posizione degli imprenditori, all’interno del campione il 68% ammette di aver fatto ricorso a manodopera irregolare.
Le ragioni prevalenti hanno a che fare con la necessità di inserimento rapido della risorsa, che è una delle caratteristiche peculiari di queste attività produttive e che entra in conflitto con le imposizioni della normativa e la burocrazia coinvolta nell’iter di assunzione.
I datori di lavoro affermano quindi di ricorrere al lavoro nero prevalentemente in situazioni di emergenza o per l’inserimento di risorse per periodi brevi o in modo sporadico. Queste affermazioni potrebbero giustificare il divario tra il numero di lavoratori che afferma di aver avuto esperienze di lavoro in nero, con la minor percentuale di lavoratori che attualmente riferisce irregolarità contrattuali.
La necessità di individuare tipologie di contratti specifiche per il settore, che tengano conto delle caratteristiche del settore come l’elevata flessibilità e le tempistiche di inserimento, appare quindi assolutamente primaria. Emerge infatti che le tipologie di contratto maggiormente utilizzate per inquadrare i lavoratori in prova o le risorse impiegate con frequenza occasionale, non siano adeguate alle esigenze delle parti, come dimostra il 36% di prove di lavoro che viene svolto senza considerazione dalla normativa.
Quelle sopracitate non esauriscono però le motivazioni degli imprenditori che ricorrono al lavoro nero. Il 36% dichiara infatti, che l’assunzione presenta costi non sostenibili. Unendo questa percentuale al 21% che lamenta un’eccessiva burocrazia, possiamo affermare che oltre la metà dei titolari che ricorre al lavoro irregolare afferma di essere in qualche modo spinto proprio dall’ente normatore.
Il 63% degli imprenditori intervistati dichiara però di aver assunto i propri dipendenti nel pieno rispetto della contrattualistica. Sebbene il 37% sia un dato non trascurabile di imprenditori che invece ammette irregolarità, è naturale interrogarsi sulla reale impossibilità di far fronte alle richieste della normativa, laddove più della metà dei titolari di impresa riesce invece a lavorare nel rispetto delle regole.
Gli ostacoli al rispetto dei vincoli legislativi in materia di lavoro dipendente sono reali ed evidenti, ma le contraddizioni emerse sono sintomatiche di un problema altrettanto radicato e complesso.
Il dilagare dell’evasione fiscale, così come la placida rinuncia da parte dei dipendenti alle tutele contrattuali, sono entrambi aspetti di una mentalità che legittima il non rispetto delle regole in virtù di difficoltà apparentemente insuperabili, ma che vengono invece rimosse da un nutrito numero di imprese che quelle stesse regole le rispetta. Quella stessa mentalità, si è radicata sviluppando l’idea che le istituzioni siano insufficienti e inefficaci nel sostenere l’impresa e i redditi dei lavoratori, ma allo stesso tempo si concorra ad indebolirle.
La reale dimensione di questo fenomeno resta particolarmente ostica da cogliere, così come le sue ragioni vanno identificate sia nella necessità di riformare il mercato del lavoro così da fornire risposte concrete alle specificità di settore, sia nella comprensione di dinamiche sociali e psicologiche che ben poco hanno a che fare con i dati oggettivi, ma che vengono legittimate proprio attraverso la strumentalizzazione delle cifre richieste dal rispetto delle normative.
Torino, lì 14/09/2020
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