8 minute read

IL VIAGGIO CONTINUA...

Il riscontro positivo, ricevuto lo scorso anno, ha spinto FAS a replicare anche per il 2023 il tour itinerante “Any Place, any Business”. Un format di successo, che si svolge a tappe lungo tutta la penisola, a contatto diretto con i gestori In tal modo, FAS riesce a comunicare con immediatezza al mercato tutte le novità presenti a bordo delle sue vending machine, approfondendone ogni dettaglio e affrontando anche altri temi di comune interesse. Un format che è piaciuto molto ai gestori che lo hanno già sperimentato, poiché permette di avere un confronto diretto con l’Azienda e di ricevere risposte ed approfondimenti sulle opportunità che le innovazioni possono dare al nostro Settore.

Al centro degli incontri ci sarà prima di tutto l’approfondimento degli ultimi sviluppi tecnologici applicati alla gamma delle vending machine by FAS:

- l’utilizzo di CO2 sulle macchine del freddo;

- il Fas Cloud+ nel nuovo aggiornamento per il controllo e la gestione delle macchine da remoto;

- i pagamenti digitali Satispay e Paypal a bordo di tutta la gamma FAS.

Quest’ultimo è un aspetto particolarmente importante, perché consente il pagamento via smartphone, un’evoluzione ormai necessaria per stare al passo con i tempi e soprattutto con le esigenze del consumatore finale.

Il tour sarà anche occasione per affrontare il tema del Vending 4.0. Nell’epoca della transizione digitale, la Distribuzione Automatica deve superare ed abbandonare le procedure di gestione tradizionali ed inserirsi nel contesto dell’Industria 4.0, un passaggio che non può più essere ignorato. Per supportare i gestori in questa transizione, il tour FAS si avvarrà della presenza di un commercialista, in grado di rispondere a tutte le domande dei gestori inerenti al tema.

Tutto è pronto per la partenza del FAS Tour 2023!

Ecco le tappe:

• il 10 febbraio a Padova presso l’Hotel Sheraton;

• il 24 febbraio a Bologna presso l’Hotel Sidney;

• il 10 marzo a Brescia presso l’Hotel Novotel;

• il 31 marzo a Torino presso il J Hotel.

E poi ancora il 19 maggio a Roma; il 9 giugno a Napoli; il 22 settembre a Palermo; il 20 ottobre a Taranto; il 17 novembre a Milano!

DA TRE ANNI CARMINE RONDINELLI

RICOPRE IL RUOLO DI EXPORT MANAGER

PRESSO LA ITALFOODS SRL, PROPRIETARIA DEL BRAND DOLCEVITA. NELL'AZIENDA

CARMINE È ARRIVATO IN UN CONTESTO

SOCIO-ECONOMICO GLOBALE DIFFICILE, IN SEGUITO ALLA PANDEMIA DEL COVID.

IN QUESTA INTERVISTA CI RACCONTA IL SUO VARIEGATO PERCORSO PROFESSIONALE, CHE LO HA PORTATO AD APPREZZARE E AD APPASSIONARSI AL MONDO DEL CAFFÈ E DEI PRODOTTI AFFINI.

È COSÌ CHE CARMINE È ENTRATO NEL

CANALE VENDING (E NON SOLO) RIUSCENDO A SVILUPPARE IN ITALIA E NEL

MONDO UN INTERESSANTE PORTAFOGLIO

CLIENTI, CON I QUALI HA STABILITO UN FORTE LEGAME BASATO SULLA FIDUCIA.

Da quale settore arrivi?

Sono entrato nel mondo del lavoro da imprenditore sportivo, nel senso che sono stato un fantino che a fine carriera è diventato allenatore nello stesso settore.

Successivamente, ho preso il brevetto da pilota e ho cominciato a giocare a golf, sicuramente per passione, ma anche perché volevo frequentare un ceto sociale alto, dove poter conoscere persone di un certo livello, con le quali entrare in affari.

Dopo vent’anni di questo lavoro, che mi ha permesso di avere come clienti industriali e nobili che io stesso mi ero cercato e procurato, è arrivata la crisi del 2008, quella che ricordiamo come la crisi dei mutui, che ha colpito in particolar modo queste fasce sociali. Ricordiamo che ci fu il crollo delle borse, a cui si aggiunse un nuovo redditometro che andava a colpire beni come i cavalli da corsa come se fossero yacht o aerei privati, considerandoli beni di lusso. Il mondo dell’ippica fu completamente abbandonato ed io mi ritrovai con un curriculum da imprenditore che aveva tanto investito, in un momento in cui non c’erano più le condizioni oggettive che gli permettessero di rientrare degli investimenti fatti. Capii che era giunto il momento di cambiare. Avendo un curriculum focalizzato su un particolare settore, quale il mondo dei cavalli che pochi comprendevano, ho dovuto ricominciare tutto da capo

Come ti sei mosso?

Non mi sono perso d’animo e mi sono proposto alla Guatemal Caffè, una piccola realtà di Torino, dove ho iniziato come commerciale per il comparto HoReCa. Quello di Torino non è un mercato facile per chi intraprende nel caffè, perché ci si trova di fronte a competitor di una certa levatura come Lavazza, Costadoro, Vergnano, solo per nominare i più grandi.

Applicando la stessa strategia che avevo usato nelle precedenti esperienze, soprattutto nel mondo dei cavalli, sono riuscito in poco tempo a sviluppare un fatturato interessante per una piccola realtà come Guatemal Caffè. Purtroppo, dopo qualche anno in cui ero riuscito a creare una rete commerciale strutturata, l’azienda decise di vendere ed io ancora una volta dovetti cambiare strada, andando a lavorare in aeroporto come agente di rampa. La mia inclinazione per un lavoro di tipo commerciale mi ha permesso di fare carriera anche all’interno dell’aeroporto, dove sono passato ad occuparmi degli aerei di linea, vendendo pacchetti di servizi.

Durò un paio di anni, dopo i quali sono tornato al settore del caffè col Gruppo Daroma, che aveva appena comprato la Palombini di Roma, diventando una bellissima azienda, tra le prime in Italia nel canale HoReCa.

Lì mi fu assegnato il compito, non facile, di sviluppare una rete commerciale per inserire il caffè Palombini nei bar del Piemonte. Dico non facile, perché si tratta di un caffè dall’aroma deciso, adatto al consumatore del centrosud Italia, ma non del nord dove, si sa, si preferisce un caffè più dolce di tipo arabica. Questa breve ma intensa esperienza, mi ha insegnato a lavorare totalmente in autonomia, imparando a fronteggiare molteplici realtà.

Cosa hai fatto?

Ho valutato altre offerte e tra queste quella di Unilever, con la quale ero stato messo in contatto direttamente con l'HR dell’Azienda.

Al colloquio mi era stato però proposto lo stesso lavoro che facevo prima, ovvero il door-to-door nel canale HoReCa ed io non avevo intenzione di ripropormi al mercato in quella veste, anche se rinunciare a quest’incarico non è stata una decisione semplice, in quanto avrei potuto far parte di un colosso conosciuto a livello internazionale.

È a quel punto che c’è stato l’incontro con Manuele e Matteo Simondi della Italfoods?

A fine febbraio 2020, pochi giorni prima della pandemia, ho firmato il contratto con la Italfoods, che è stata una sfida per me sia perché, abituato a gestirmi da solo, per la prima volta mi sono ritrovato a lavorare in un team, sia perché c’era qualcuno che credeva in me, mi dava fiducia, ritenendomi la persona giusta per far crescere l’azienda all’estero

Manuele e Matteo Simondi sono per me delle persone eccezionali, che fin dall’inizio hanno creduto nelle mie potenzialità, creando una fiducia reciproca. Non mi hanno mai messo pressione, affidandomi un ruolo stimolante per me, perché non lavoravo più nel door-to-door ma con l’estero, che era quello che appunto desideravo.

Una sfida ancora più stimolante, considerando che partivo da un portafoglio a zero euro, il cui sviluppo dipendeva esclusivamente dalle mie capacità. In più non si trattava di una multinazionale in cui sarei stato uno dei tanti, ma di un’azienda piccola, in cui potevo fare la differenza e dimostrare a me stesso che potevo farcela.

Qual è stata la tua strategia per affrontare il Settore?

Inizialmente, rappresentando una piccola azienda ho trovato difficoltà a rendermi credibile presso i grandi distributori. L’unica strategia in quel momento era di catturare l’interesse di piccoli buyer, che credessero nelle potenzialità di Dolcevita grazie all’ampio range di prodotti, che è il nostro punto di forza. E ci ho visto giusto.

Con quali Paesi hai cominciato?

Con il mercato arabo, perché all’inizio della pandemia lì era estate ed il virus ancora non aveva colpito come da noi. Secondo me, in quel momento erano gli unici che mi potessero prestare attenzione, visto che l’Europa e gli Stati Uniti erano messi in ginocchio dal Covid. Infatti, oggi il marchio Dolcevita è più conosciuto nei Pasi arabi che negli altri. Dopo tre anni siamo almeno in 65 Paesi e sono molto soddisfatto di quello che sono riuscito a fare e degli obiettivi che intendo raggiungere. Nel 2024 dovremmo crescere esponenzialmente all’estero, perché mentre in Italia siamo saturi di torrefazioni, fuori c’è ancora molto lavoro da fare.

Cosa ha contraddistinto questo successo?

Credo che in primo luogo sia stata la mia voglia di rivalermi rispetto alle ultime esperienze, che non mi avevano lasciato grandi soddisfazioni e quindi la necessità di tornare a credere nelle mie capacità, mettendo in gioco le skills che avevo nel tempo sviluppato. Su questa base che definirei personale e motivazionale, sono intervenuti altri fattori legati all’azienda. Credo fermamente che il servizio e la qualità del prodotto siano aspetti fondamentali, più importanti del prezzo, e sono questi i valori alla base della nostra strategia commerciale. Al centro dell’attenzione c’è sicuramente il servizio, grazie ad un team capace di prendersi le responsabilità e di risolvere i problemi, anche non dipendenti direttamente da noi, ma da parti terze nostri partner, come ad esempio i corrieri. Se la merce arriva al cliente in cattive condizioni a causa del trasporto, cerchiamo di trovare soluzioni e tranquillizzare il cliente, senza scaricare la responsabilità sul corriere, come tanti fanno. Una soluzione la troviamo sempre.

Cosa rende il servizio un buon servizio?

Prima di tutto la celerità nel rispondere al cliente. Io, ad esempio, ho sempre la mail sotto controllo ed anche se mi arriva una richiesta di assistenza di sabato o domenica, rispondo sempre, anche solo per dire che l’ho ricevuta, per far capire al cliente che da parte nostra c’è disponibilità e flessibilità. A me costa pochi minuti, per il cliente è importante.

Altra cosa importante è l’aggiornamento continuo sulle novità. Se abbiamo un nuovo prodotto, lo comunico subito al cliente e gli mando una campionatura, in modo che possa provarlo e questo vale sia per i clienti fidelizzati che per i nuovi.

Un altro punto importante è essere precisi e puntuali nei pagamenti agli intermediari, che si sentono valorizzati e fidelizzati.

Tutto questo grazie al team e ai proprietari dell’azienda che mi appoggiano continuamente, seguendomi nel mio vorticoso modo di lavorare. Pensa che nel 2022 ho visitato 12 Paesi partendo ogni 2-3 settimane perché sono convinto che il cliente vada seguito da vicino, che il rapporto umano conti molto di più di una telefonata. L’azienda ha spostato questo mio modus operandi e non ha mai messo un freno, ad esempio, ai costi per le trasferte, credendo nella mia strategia e nel ritorno che ne avrebbe avuto in termini di business.

Quali sono i problemi che hai affrontato in questi tre anni? Prima di tutto quelli legati alla pandemia, che mi ha fatto iniziare col piede sbagliato. Pensa che all’inizio riuscivo a chiudere 5 ordini su 1000 e quindi è stato molto difficile partire. Non ho mai perso l’entusiasmo e ogni ordine che riuscivo a chiudere, nonostante le circostanze, mi ha dato nuova carica per continuare e crescere. Quest’anno poi abbiamo dovuto affrontare le conseguenze della guerra russo-ucraina e i numerosi aumenti che hanno colpito le aziende, dalle materie prime ai costi energetici, i trasporti, i carburanti e tutte le speculazioni che ne sono derivate, ma ce l’abbiamo fatta!

Cosa significa lavorare per una piccola azienda? Per me rappresenta un plus, poiché, a volte devi essere in grado di adattarti anche ad altri ruoli essendo l’unico intermediario tra la dirigenza e il cliente, dandomi la possibilità di gestire in autonomia le trattative, nelle quali ho totalmente “carta bianca” da parte della proprietà, potendo proporre autonomamente delle soluzioni e accontentare il cliente, fidelizzandolo.

This article is from: