DISCOVER PALLADIO

Page 1

DISCOVER

PALLADIO

© Antonio Tafuro

LA VITA E LE OPERE DEL GRANDE ARCHITETTO

giunta regionale – 9^ legislatura

PATRIMONIO

ALLEGATO A Dgr n. 418 del 31/3/2015

UNESCO Marchio Turistico Regionale per l’Italia

LE VILLE DI ANDREA PALLADIO DICHIARATE PATRIMONIO MONDIALE DELL’UMANITA’

pag. 1/1


VenetoVogue N.4 /2017 Amare e vivere il Veneto Il suo passato e il suo futuro

VENETO VOGUE

VENETOVOGUE PRESS Corso Palladio 179 36100 Vicenza segreteria@venetovogue.it +39 0444.327976 Copyright ©VENETOVOGUE PRESS All right reserved under International Copyright Conventions

© Marco Gnata

Tr i m e s t r a l e d i s t o r i a _ a r t e _ c u l t u r a _ b e l l e z z a d e l Ve n e t o - a b b o n a m e n t o a n n u a l e e u r o 2 0 - u n a c o p i a e u r o 1 0 , 0 0

Rivista trimestrale di arte, storia, cultura e bellezze del Veneto

No part of this book may be reproduced or utilized in any form or by any neans,electronic, or mechanical, including photocopyng, recording, or by any information storage and retrieval system, without permission in writing form the publisher. Inquiries should be sent to VENETOVOGUE PRESS.

WWW.VENETOVOGUE.ORG VENETOVOGUE MAGAZINE


giunta regionale – 9^ legislatura

ALLEGATO A Dgr n. 418 del 31/3/2015

pag. 1/1

Marchio Turistico Regionale per l’Italia

DISCOVER

PALLADIO

pag. 36

EDIFICI PUBBLICI Logge Basilica Palazzo del Capitanio Teatro Olimpico Arco delle Scalette Ponte di Bassano

LE VILLE NEL VICENTINO Villa Trissino Villa Godi Villa Piovene Porto Godi Villa Valmarana Bressan Villa Gazzotti Villa Thiene Villa Pisani Villa Saraceno Villa Caldogno Villa Pojana Villa Agugliaro Villa Chiericati Villa Trissino Villa Da Porto Villa Valmarana Villa Forni Villa Porto Villa Capra

pag. 22

pag 60

SOMMARIO pag. 6

Marchio turistico Regionale per il Mercato Estero

LA CARRIERA DI UN GENIO - Ville rurali vicentine - Palazzi e ville vicentine - Ville la nobiltà veneta - La consacrazione a Venezia

PALLADIO A VICENZA pag. 15

EDIFICI PRIVATI Palazzo Civena Palazzo Garzadori Palazzo Thiene Palazzo da Porto Palazzo Chiericati Loggia Valmarana Casa Cogollo Palazzo Schio Palazzo Pojana Palazzo Valmarana Palazzo Barbarano Palazzo Porto Breganze Palazzo Bonin Longare

LA CARRIERA E LE OPERE DI ANDREA PALLADIO pag.74

LE OPERE A VENEZIA Facciata Chiesa di S. Pietro Convento della Carità Refettorio di S. Giorgio Chiesa di S. Francesco

Chiesa di S. Giorgio Progetto Ponte di Rialto Chiesa delle Zitelle Sede di Palazzo Ducale Chiesa del Redentore

LE VILLE NEL VENETO Villa Contarini Villa Cornaro Villa Pisani Villa Badoer Villa Barbaro Villa Foscari Villa Mocenigo Villa Zeno Barchessa di Villa Thiene Villa Emo Villa Serego la Migra Villa Serego a S. Sofia Tempietto di Villa Barbaro

3



Veneto: una storia millenaria PATRIMONIO

UNESCO

Benvenuti nel Veneto, la regione con il più alto numero di siti protetti dall’Unesco che riflette la straordinaria sintesi tra natura, storia e cultura di un popolo millenario che da oltre 5000 anni abita sulla stessa meravigliosa terra compresa tra le montagne e il mare, tra le colline e la laguna, tra i laghi e il fiumi costellati di castelli mediovali e ville rinascimentali. I musei veneti raccontano la storia di una popolazione che aveva raggiunto alti livelli di civiltà prima dell’avvento dell’Impero Romano che tramite Ottaviano, nel 42 a.C., ne delimita i confini, chiamandola Venetia e incorporandola nella X^ Regio Venetia e Histria. Ogni città conserva le traccie dell’illuminato dominio della Repubbica Venezia che dall’anno 1000 fino al 1797 estende il suo dominio prima nelll’ Adriatico (Stato da mar) e poi, dal 1404, sull’entroterra storico dei Veneti, portando la sua sovranità fino alla provincia di Bergamo (Stato da Tera). La bellezza delle città venete, difese sin dal medioevo da alte cinte murarie e rinforzate successivamente dai veneziani, è implicita nella conservazione e stratificazione del tessuto urbano nel corso dei secoli. La struttura urbana testimonia il passaggio dal periodo romano a quello gotico-veneziano, dal periodo della rinascenza fino all’esplosione del genio di Palladio, capace di trasformare il volto di una piccola città come Vicenza in un modello di armonia e bellezza ispirato dal mondo antico. Ma l’estetica di Palladio si rivela nella progettazione delle ville, in grado di trasfigurare il l’ambiente rurale in paesaggio sublime e di coniugare la bellezza delle forme con la praticità e l’efficienza, la concretezza e la perfezione, l’economicità e l’invenzione, tratti genetici della creatività e dell’ingegnosità della gente veneta .

© Pettinà Giuseppe

© Ruggero Acqua

5


DISCOVER PALLADIO

IL MONDO ANTICO DI PALLADIO Architetto della Repubblica Veneta

© Ruggero Acqua

Andrea Palladio, pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola (30 novembre 1508 - 19 agosto 1580), fu il più importante architetto della Repubblica di Venezia nel cui territorio progettò diverse ville che lo resero famoso, oltre a chiese e palazzi, questi ultimi principalmente a Vicenza dove iniziò il suo apprendistato. A Vicenza il giovane scalpellino venne istruito da Giangiorgio Trissino all'arte antica e si formò come architetto. Spinto dal desiderio degli umanisti del suo tempo di ravvivare i canoni di armonia codificati da Vitruvio, fin da giovane Palladio perseguì un ideale di 6

bellezza e perfezione non disgiunto dalla percezione della realtà e dalle esigenze dei committenti, che lo ispirò in ogni fase della sua carriera. Secondo Guido Piovene, famoso critico vicentino, il genio di Palladio risiede nell'aspetto visionario del popolo veneto: "L'autentico genio veneto, in molte delle sue più grandi espressioni, è la qualità visionaria. La stessa cosa vale per Mantegna, che venne prima del Palladio, e con Piranesi, che venne dopo; erano tutti visionari attraverso i mezzi offerti a loro, che era un'idea del mondo antico ".


LA CARRIERA DI UN GENIO (1530 - 1580)

DISCOVER PALLADIO

Da scalpellino a proto di Venezia

© Sergio Vezzaro

Nel panorama dell’architettura del sedicesimo secolo, Palladio è una figura d’eccezione. Andrea di Pietro era nato a Padova, ma dall’età di sedici anni aveva vissuto e lavorato a Vicenza. Il suo tirocinio non fu da pittore, né da scultore, ma da tagliapietra. Infatti, se non fosse stato per i suoi contatti, a partire dalla seconda metà degli anni trenta, con il nobile e scrittore vicentino GianGiorgio Trissino (1478-1550), Palladio sarebbe probabilmente rimasto un abile ed intelligente artigiano, capace forse di disegnare portali e monumenti funebri, ma senza la cultura e l’abilità intellettuale che in questo momento erano necessarie ad un vero architetto. Certamente egli non sarebbe stato trasformato nel famoso architetto Andrea Palladio, secondo il sofisticato nome romano che Trissino inventò per lui.

Giochi di luce a Villa Caldogno

Andrea Palladio costruì le sue chiese più importanti a Venezia, ma le opere più ammirate nei secoli successivi furono quelle di Vicenza, perché erano espressione di un equilibrio estetico-formale che si adattava perfettamente a rappresentare l’immagine di una classe nobiliare che poteva così elevare le proprie ambizioni materiali e sociali all’interno di una dimensione estetica-intellettuale influenzata dagli accademici che insegnavano le discipline umanistiche all’Università di Padova. Ma fu solo in seguito alla pubblicazione del suo libro ”I quattro libri dell’Architettura” che il genio di Palladio assunse una rilevanza internazionale. La diffusione dell’opera determinò la nascita di quel “Palladianesimo democratico” che ebbe una straordinaria influenza culturale in tutta Europa e nella nascente società americana. 7


DISCOVER PALLADIO

LA CARRIERA DI UN GENIO (1537 - 1549) Le ville rurali produttive

© Antonio Tafuro

Probabilmente Andrea incontra per la prima volta Giangiorgio Trissino quando lavora con il laboratorio di Pedemuro alla costruzione di villa Trissino a Cricoli. Grazie a questo incontro e alla sua raccomandazione, il giovane scalpellino lascia il laboratorio Pedemuro e riceve l’incarico di progettare Villa Godi a Lonedo di Lugo. Dal 1540 Andrea per la prima volta appare in alcuni documenti come “Palladio” e ad usare il titolo di architetto per firmare le sue prime ville che rispondevano alla necessità di un nuovo tipo di residenza rurale. I suoi disegni riconoscono implicitamente che non era necessario avere un grande palazzo in campagna modellato direttamente su quelli di città: qualcosa di più piccolo, spesso con un unico piano principale abitabile, era adatto come centro per controllare l’attività produttiva, da cui derivava probabilmente la maggior parte del reddito del proprietario, e per impressionare gli affittuari e i vicini oltre 8

Villa Trissino ai Cricoli

che per intrattenere gli ospiti importanti. Queste residenze stabilivano una presenza sociale e politica nelle campagne ed erano adatte per il riposo, la caccia, e per sfuggire dalla città, sempre potenzialmente malsana. Le facciate, dominate da frontoni di solito decorati con le insegne del proprietario, annunciavano una potente presenza in un vasto territorio pianeggiante. Negli interni Palladio distribuiva le funzioni sia verticalmente che orizzontalmente. Cucine, dispense, lavanderie e cantine si trovavano al piano terreno: l’ampio spazio sotto il tetto veniva impiegato per conservare il prodotto più prezioso della tenuta: il grano, che incidentalmente serviva anche per isolare gli ambienti abitabili sottostanti. Al piano principale, abitato dalla famiglia e dai suoi ospiti, le stanze più pubbliche (la loggia e il salone) si trovavano sull’asse centrale mentre a destra e a sinistra vi erano delle infilate simmetriche di stanze.


LA CARRIERA DI UN GENIO (1540 - 1552)

DISCOVER PALLADIO

Palazzi e ville per le nobili famiglie vicentine

© Sergio Vezzaro

Dal 1542 al 1550 Palladio si dedica alla progettazione di importanti palazzi a Vicenza: il palazzo Thiene, il palazzo Porto, e il palazzo Chiericati. Se la base economica delle principali famiglie delle città venete derivava dalla campagna, la vita politica convergeva invece nei centri urbani, dove la maggior parte di coloro che costruivano e possedevano palazzi controllavano gli affari cittadini come consiglieri. Palazzo Thiene, il primo dei palazzi di cui si occupò, venne iniziato nel 1542 per Marcantonio Thiene e suo fratello, che in quel momento erano i personaggi più ricchi della città. E’ possibile ipotizzare che il disegno iniziale per il palazzo sia stato fatto da Giulio Romano, ma dopo la sua morte nel 1546, egli ebbe la possibilità di applicare le proprie idee ed i propri motivi all’edificio. Poco dopo Palladio progettò il palazzo per Iseppo (Giuseppe) Porto, ma è con palazzo Chiericati che egli “si laurea” definitivamente architetto: inventa qualcosa che pri-

Giochi di luce a Palazzo Chiericati

ma non esisteva, un palazzo integrato con il tessuto urbano tanto da avere al piano terreno un portico pubblico, che si ispira direttamente alle grandi architetture antiche, con poderose colonne a pianterreno che sorreggono i piani superiori. Se palazzo Chiericati rappresenta un tipo inedito di dimora urbana, con le logge del palazzo della Ragione Palladio realizza il più imponente palazzo pubblico esistente in Italia. Egli crea una quinta monumentale di particolare magnificenza intorno ad un nucleo preesistente. La struttura, realizzata in solida pietra, è, nonostante il suo aspetto romano, quasi gotica nel combinare leggerezza e solidità. L’adozione del motivo della serliana fa sì che il massimo di luce penetri all’interno dell’edificio e che le inevitabili irregolarità dell’alzato siano assimilate in maniera discreta, quasi impercettibile, negli spazi tra l’ordine minore e i pilastri, lasciando gli elementi principali, pilastri ed archi, uguali e regolari. 9


DISCOVER PALLADIO

LA CARRIERA DI UN GENIO (1552 - 1564) Le Ville per l’aristocrazia veneziana

Villa Badoer a Fratta Polesine

In seguito alle straordinarie opere , Palladio è pronto per salire un gradino più alto: diventare l’architetto dei grandi aristocratici veneziani. Dopo le prime ville agricole ealizzate per i nobili vicentini e il successo per la prima villa relazzata per la famiglia veneziana dei Pisani a Bagnolo di Lonigo, per tutti gli anni Cinquanta Palladio realizza ville per i grandi patrizi della capitale: villa Cornaro a Piombino Dese, villa Emo a Fanzolo, villa Barbaro a Maser, villa Foscari a Mira, villa Badoer a Fratta Polesine. Non si tratta più delle piccole ville degli anni Quaranta, ma di poderosi complessi edilizi dotati di ampie barchesse e di un corpo centrale molto sontuoso, arricchito con decorazioni affidate ai grandi pittori del momento, come Paolo Veronese o Battista Zelotti. La fitta rete do amicizie di natura intellettuale e religiosa permette a Palladio di inserirsi in un contesto socio-culturale estremamente 10

©Stefano Maruzzo

ricettivo al suo linguaggio archiettetonico fondato sulla proporzione che faceva dell’euritmia matematica l’ideale di perfezione filosofica ed estetica. Con le “ville per i veneziani” Palladio compie altresì un percorso di avvicinamento alla capitale: dopo averlo sperimentato nelle proprie residenze in campagna, i patrizi veneziani cominciano a coinvolgere Palladio in progetti a Venezia. Va detto che la maggior parte di essi fa parte di un preciso gruppo di potere che punta alla razionalizzazione della vita politica e amministrativa veneziana, anche a costo di cambiamenti radicali. Palladio, con la sua architettura razionale e basata sulla ragione, diviene la metafora di un futuro possibile per una Venezia riformata nel diritto, nella organizzazione amministrativa e persino militare.


DISCOVER PALLADIO

LA CARRIERA DI UN GENIO (1564 - 1580) L’arrivo a Venezia e la consacrazione

Venezia - Punta della Dogana

Sono i potenti fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro a procurare a Palladio i primi progetti per Venezia: il rifacimento della facciata di San Pietro di Castello, ma soprattutto un intervento complessivo sul monastero benedettino dell’isola di San Giorgio, che porta alla realizzazione del grande Refettorio, e quindi della chiesa e del chiostro. Quasi contemporaneamente i Canonici Lateranensi gli commissionano la fabbrica del loro convento della Carità. Palladio si trova quindi a lavorare per due potentissime compagini religiose in città. Ormai è una figura emergente nel panorama della capitale, tanto da riuscire a scalzare il potente Jacopo Sansovino dalla realizzazione della facciata della chiesa di San Francesco della Vigna. Giorgio Vasari include le opere di Palladio nella seconda edizione delle sue Vite degli artisti nel 1568: è la consacrazione. Due anni più tardi Palladio stesso

© Angela Semilia

dà alle stampe il suo trattato “I Quattro Libri dell’Architettura” che tanta parte avrà nella sua fortuna internazionale. Anche se Palladio non riesce a conseguire un incarico formale come architetto della Repubblica veneta, di fatto per le sue mani passano tutti i progetti più importanti: a lui è affidata la costruzione della chiesa del Redentore dopo la peste del 1576, e il rifacimento di sale in palazzo Ducale. E’ richiesto in Savoia e a Bologna per la facciata di San Petronio, e realizza diversi palazzi la grande loggia del Capitaniato. Palladio muore improvvisamente nell’agosto del 1580: non sappiamo esattamente in che giorno, né dove e nemmeno per quale causa. Non è chiaro nemmeno dove sia stato sepolto il suo corpo, come se avesse voluto cancellare ogni traccia di sé e vivere attraverso la fama dei suoi edifici e nelle pagine dei suoi libri. 11


DISCOVER PALLADIO

DISCOVER PALLADIO PALLADIO MUSEUM

© Ruggero Acqua

Vicenza - Contrà Porti, 8 phone +39 0444.323014 accoglienza@palladiomuseum.org www.palladiomuseum.org info workshop Palladio Il Palladio Museum ha sede a Palazzo Barbarano, l’unico che Palladio ha potuto vedere completato supervisionando sia la costruzione che gli oggetti decorativi. L’itinerario espositivo inizia con la Sala del Libro che racconta l’enorme successo editoriale dei Quattro Libri e della Rotonda, modello diffuso in tre continenti. Prosegue con la Sala della Pietra in cui sono in mostra le tecnologie concepite da Palladio per cstruire con la pietra e gli altri materiali. La Sala della seta è dedicata a Vicenza perché la manifattura e il commercio internazionale 12

della seta hanno dato origine a una mentalità cosmopolita che permise alla nobiltà imprenditoriale vicentina di capire un’architettura rivoluzionaria come quella palladiana. La Sala del grano e della gloria, è dedicata alle grandi ville e all’apogeo della bonifica che ha trasformato il Veneto del XVI secolo, ma anche ai sogni di gloria dei mecenati del Palladio. Alla fine la Sala Venezia dedicata alla Chiesa del Redentore, in cui ogni elemento compositivo è ideato in base al rapporto proporzionale definito dalla regola aurea rispetto agli altri oggetti e al tutto.


60° Corso sull’architettura palladiana

PALLADIO E MANTOVA programma

Vicenza, 30 Agosto - 5 Settembre Guido Beltramini and Howard Burns Deadline: 20 August 2018, 12:00. Palladio e Mantova L’edizione 2018 dello storico corso annuale sull’architettura palladiana sarà dedicata a “Palladio e Mantova”. È un modo efficace per dare sostanza all’intuizione, diffusa fra gli specialisti, della centralità di Mantova e dei suoi artisti – in particolare Leon Battista Alberti, Giulio Romano, Mantegna e Bertani – nella formazione del celebre architetto veneto.

Giovedì 30 Agosto mattino Lezione at Palazzo Barbarano, Vicenza: Guido Beltramini, La vita di Andrea Palladio Vicenza: Palladio Museum, Palazzo Iseppo Porto, Palazzo Chiericati, Loggia di Palazzo della Ragione, Palazzo Thiene, monumento a Lavinia Thiene in Cattedrale Palazzo Gualdo pomeriggio Lezione a Palazzo Barbarano, Vicenza - Howard Burns, Palladio e Mantova - Francesco Paolo Fiore, Leon Battista Alberti a Mantova - Caroline Elam, Mantegna e le achitetture diinte di Amedeo Belluzzi, Giulio Romano e Giovani Battista Bertani a Mantova

Domenica 2 Settembe mattina Visite nel Vicentino: villa dei Vescovi a Luvigliano; villa Valmarana a Vigardolo; villa Caldogno a Caldogno pomeriggio Visite nel Vicentino: villa Thiene a Quinto Vicentino, Palladio Lab a villa Gazzotti a Bertesina, con Mario Piana e Damiana Paternò Lunedì 3 Settembre Visite nel veneziano Villa Foscari “La Malcontenta” a Mira, Villa e Tempietto Barbaro a Maser, Villa Emo a Fanzolo, Villa Cornaro a Piombino Dese

Martedì 4 Settembre Giunto quest’anno alla sua sessantesima Visite a Venezia: edizione, dal 1958 il corso palladiano percorso in barca sul Canal Grande; chiesa Venerdì 31 August ha attirato nel Veneto oltre 7.000 storici del Redentore; complesso di San Giorgio MagMantova: Chiesa di San Sebastiano; Casa Mandell’architettura, architetti, ingegneri, giore; convento della Carità tegna, chiesa di Sant’Andrea, Palazzo d’Arco, storici dell’arte, studenti provenienti da Palladio Lab (sede da definire) Casa Bertani, Cattedrale, Palazzo Ducale, chie50 paesi europei, americani, asiatici e sa di Santa Barbara SCARICA L’APP O VISITA IL SITO africani. Mercoledì 5 Settembre

IL PORTALE DI INFORMAZIONI TURISTICHE DELLA PROVINCIA DI VICENZA

Agli iscritti si offre l’occasione, in sette giorni di corso, di visitare pressoché tutte le opere di Andrea Palladio a Vicenza, a Venezia e nel Veneto; e inoltre di trascorrere due giorni a Mantova visitando insieme agli esperti le opere che più hanno influito sull’architettura di Palladio.

Docenti

iOS 1 September Android Sabato mattina Mantova: casa di Giulio Romano; palazzo Te pomeriggio Visite: San Benedetto Po, abbazia di San Benedetto ; villa Della Torre a Fumane; villa Sarego a Santa Sofia; villa Pisani a Bagnolo

visite a Vicenza mattina Villa Poiana a Poiana Maggiore Villa Capra, “La Rotonda”, Vicenza pomeriggio Teatro Olimpico, Loggia del Capitaniato, Palazzo Valmarana, Palazzo Da Schio

www.vitourism.it 1. Richiesta di ammisione

2. Form di registratione 13


DISCOVER PALLADIO

VICENZA - LA CITTA’ DEL PALLADIO 8

3

4

7 5

11

3

10 2 TR

C.

9

1

A’ DO RO

6

14

DE

13

2

12 © Ruggero Acqua

1

4

14


MAPPA DEGLI EDIFICI PUBBLICI

1. Logge della Basilica

1. Palazzo Civena

5. Palazzo Chiericati

10. Palazzo Valmarana

2. Loggia del Capitanio

2. Palazzo Garzadori

3. Teatro Olimpico

3. Palazzo Thiene

6. Loggia Valmarana

11. Palazzo Barbarano (1569)

E PRIVATI

7. Casa Cogollo

12. Palazzo Porto Breganze

4. Arco delle scalette

4. Palazzo Iseppo da Porto

8. Palazzo Schio 9. Palazzo Pojana*

13. Palazzo Bonin Longare 15


© Riccardo Contarin

16


1

BASILICA PALLADIANA (1546)

Dal 1481 al 1494 Tommaso Formenton circonda di un doppio ordine di logge l’antico Palazzo della Ragione, sede delle Magistrature pubbliche di Vicenza e, al piano terreno, di un attivo gruppo di botteghe. Due anni dopo la fine del cantiere crolla l’angolo sud-ovest e per oltre quarant’anni i vicentini dibatteranno sulle modalità della ricostruzione. Nel corso dei decenni vengono investiti del problema i più quotati architetti operanti nella regione: Antonio Rizzo e Giorgio Spavento nel 1496, Antonio Scarpagnino nel 1525 e quindi Jacopo Sansovino nel 1538, Sebastiano Serlio nel 1539, Michele Sanmicheli nel 1541, e da ultimo Giulio Romano (1542) che elabora la singolare proposta di innalzare piazza delle Erbe e isolare l’edificio al centro di una grande piazza simmetrica. Nonostante pareri tanto illustri, nel marzo del 1546 il Consiglio cittadino approva il progetto di un architetto locale di appena trentotto anni, allora decisamente poco conosciuto: Andrea Palladio. L’incarico al proprio protetto fu senza dubbio una delle migliori vittorie di Giangiorgio Trissino, capace di coagulare intorno al suo nome la maggioranza dei consensi. Anche se accanto al giovane architetto, quasi a garantirne l’operato, figurava l’esperto e affidabile Giovanni da Pedemuro, per dissipare ogni dubbio il Consiglio chiede la costruzione di un modello ligneo di una delle nuove arcate da sottoporre al giudizio dei vicentini. Dopo altri tre anni di discussioni, che rimettono in gioco i progetti Rizzo-Spavento e Giulio Romano, nel maggio del 1549 viene definitivamente approvato il progetto di Andrea Palladio per il quale si esprimono con forza Gerolamo Chiericati e Alvise Valmarana, negli anni successivi committenti palladiani per i propri palazzi di famiglia. Si sono conservati diversi disegni autografi che documentano il precisarsi dell’idea progettuale dalla primitiva versione del 1546 alla struttura poi realizzata. La soluzione proposta da Palladio è una struttura per così dire elastica, in grado di tener conto dei necessari allineamenti con le aperture e i varchi del preesistente palazzo quattrocentesco. Il sistema si basa sull’iterazione della cosiddetta “serliana”, vale a dire una struttura composta da un arco a luce costante affiancato da due aperture laterali rettangolari,

di larghezza variabile e quindi in grado di assorbire le differenze di ampiezza delle campate. Il funzionamento è evidente nelle arcate angolari, dove le aperture architravate sono ridotte quasi a zero, ma è presente in tutte le campate, la cui larghezza varia sempre, seppure di poco. La serliana (che Sebastiano Serlio pubblica nel IV Libro del suo trattato, edito a Venezia nel 1537) è in realtà una traduzione in linguaggio classico della polifora gotica, utilizzata per la prima volta da Donato Bramante in Santa Maria del Popolo a Roma e già impiegata in Veneto da Jacopo Sansovino nella Libreria Marciana nel 1537. Tuttavia, il referente diretto dell’idea palladiana per Vicenza si ritrova nell’interno della chiesa del monastero di San Benedetto in Polirone, ristrutturato a partire dal 1540 da Giulio Romano, dove le serliane vengono utilizzate per assorbire le differenze di larghezza delle campate quattrocentesche della vecchia chiesa. Con una certa enfasi retorica, lo stesso Palladio definisce “basilica” il Palazzo della Ragione circondato dalle nuove logge in pietra, in omaggio alle strutture della Roma antica dove si discuteva di politica e si trattavano affari. Per la carriera di Palladio il cantiere delle Logge costituisce un punto di svolta definitivo. Con questo egli diviene ufficialmente l’architetto della città di Vicenza, responsabile di un’opera grandiosa (interamente in pietra e che a consuntivo costerà la notevole somma di 60.000 ducati) senza eguali nel Cinquecento veneto: per ottenere un altro incarico di tale portata dovrà attendere gli anni ’60, con il cantiere della chiesa di San Giorgio a Venezia. Al tempo stesso, il salario di 5 ducati al mese costituiranno per Palladio e la sua famiglia una indispensabile fonte costante di reddito, cui non rinuncerà per tutta la vita. Il cantiere procederà a rilento: il primo ordine di arcate settentrionali e occidentali sarà concluso nel 1561, il secondo livello, avviato nel 1564, sarà completato nel 1597 (diciassette anni dopo la morte di Palladio), il prospetto su piazza delle Erbe nel 1614. 17


2

LOGGIA DEL CAPITANIO (1565)

DISCOVER PALLADIO

© Ruggero Acqua

© Ruggero Acqua

Paragonando le arcate gotiche di Palazzo Ducale a Venezia con le logge della Basilica palladiana, ispirate al linguaggio classico della Roma antica (e ancor più i palazzi cinquecenteschi di Vicenza con quelli sul Canal Grande) appare chiara la volontà dei vicentini di rimarcare un’autonomia culturale dai modelli architettonici della Serenissima. Tuttavia vent’anni più tardi, quando sulla stessa piazza il Consiglio cittadino commissionerà il rifacimento della residenza ufficiale del Capitanio veneziano, responsabile militare della città per conto della Repubblica veneta, è ancora Palladio il protagonista dell’impresa, e la sfida semmai è fra due architetture straordinarie, che sorgono una di fronte all’altra. È un caso assai raro che un architetto abbia la possibilità di intervenire due volte nello stesso luogo a distanza di vent’anni. 18

Il giovane architetto della Basilica, ancora sottoposto alla tutela di Giovanni da Porlezza, è ormai diventato il celebrato autore di edifici importanti: chiese, palazzi e ville per l’élite dominante del Veneto. Palladio sceglie di non far colloquiare i due edifici: al purismo del doppio ordine di arcate della Basilica (in pietra bianca e priva di decorazione se non nel disegno degli elementi architettonici come fregio, chiavi d’arco e statue) fanno fronte le colossali semicolonne composite della Loggia che arginano una ricchissima decorazione a stucco. Sia l’uso dell’ordine gigante sia la ricchezza decorativa sono tratti peculiari del linguaggio palladiano del suo ultimo decennio di vita, mentre il contrasto cromatico fra il bianco della pietra e il rosso del mattone (che pure Palladio ricerca nel Convento della Carità di Venezia) è frutto solamente del degrado delle superfici originarie: sono ancora © Ruggero Acqua

© Giorgio Marino


ben visibili, appena sotto i grandi capitelli compositi, ampi residui dell’intonaco chiaro che rivestiva i mattoni. La loggia palladiana sostituì una struttura analoga che si trovava sullo stesso sito dal Medioevo e che era già stata ricostruita almeno due volte durante il Cinquecento: una loggia pubblica coperta al piano terra e una sala delle udienze al piano superiore. La nuova costruzione divenne economicamente sostenibile nell’aprile del 1571 e i lavori iniziarono immediatamente. Palladio fornì gli ultimi disegni per i modelli di stampaggio nel marzo 1572 e alla fine di quell’anno l’edificio fu coperto se Giannantonio Fasolo dipingeva i lacunari della sala delle udienze e Lorenzo Rubini eseguiva gli stucchi e le statue. Mentre la sala superiore mostra un soffitto piatto a cassettoni, la loggia al piano terra ha una sofisticata copertura a volta, sicuramente per sostenere meglio il peso della sala. Il design complessivo è estremamente sofisticato, come ad esempio i portali che si aprono all’interno delle nicchie e seguono la loro curvatura. Inutile affrontare lo sterile e secolare dibattito sull’ipotetico prolungamento della loggia sino a cinque (o sette?) arcate. Piuttosto, decisamente sorprendente appare la libertà compositiva di Palladio, che progetta in modo radicalmente diverso la facciata sulla piazza e quella su contra’ del Monte, in qualche modo rompendo l’unitarietà logica dell’edificio. A ben guardare, tuttavia, Palladio si limita, da par suo, a dare la risposta adeguata a due situazioni differenti: l’ampia visuale frontale dalla piazza impone (anche considerando i vincoli dimensionali dello stretto prospetto) lo slancio potente della dimensione verticale delle colonne giganti; le ridotte dimensioni sia del fianco dell’edificio sia di contra’ del Monte obbligano a un ordine più misurato. Del resto, la facciata su contra’ del Monte sarà utilizzata come una sorta di perenne apparato trionfale a ricordo della vittoria ottenuta dalle armate veneziane contro i turchi a Lepanto nell’ottobre 1571.

© Paolo Martini

19


3

TEATRO OLIMPICO (1565)

DISCOVER PALLADIO

© Mia Battaglia

Fondata nel 1556, l’Accademia Olimpica dovette attendere oltre vent’anni per riuscire a costruire un edificio teatrale stabile che potesse ospitare le rappresentazioni sino ad allora messe in scena in effimere strutture di legno nei cortili dei palazzi o nel salone del Palazzo della Ragione. Solamente nel 1580 infatti l’Accademia dà inizio, su un terreno presso l’Isola ceduto dal Comune di Vicenza, al cantiere del teatro su progetto del proprio accademico Andrea Palladio. Ma nell’agosto dello stesso anno l’architetto muore senza poter vedere la fine dei lavori, conclusi dal figlio Silla. Dopo Palladio, è Vincenzo Scamozzi a intervenire sul teatro inserendo oltre la scena le scenografie allestite per la rappresentazione inaugu20

rale del 1585, le Sette vie di Tebe, destinate a diventare parte integrante dell’edificio. Studi recenti hanno dimostrato che l’originale progetto palladiano prevedeva solamente un’unica prospettiva sviluppata in corrispondenza della porta centrale della scena, mentre nei due varchi laterali dovevano trovare posto fondali dipinti. Al tempo stesso risale al progetto palladiano la cesura delle due ali di muro e il soffitto “alla ducale” sopra il proscenio. L’auditorio è modellato su un semicerchio, proporzionato e suddiviso con estrema attenzione dalle entrate e dalla disposizione dei posti a sedere. Pareti e colonne supportano le state che rappresentano i membri dell’Accademia, esponenti dell’aristocrazia vicentina.


Alle spalle del palcoscenico torreggia un arco di trionfo che rimande alle facciate dei palazzi palladiani Con il teatro Olimpico si avvera sogno, sino ad allora irrealizzato, di generazioni di umanisti e architetti rinascimentali: erigere in forma stabile uno degli edifici simbolo della tradizione culturale classica. Il progetto palladiano ricostruisce il teatro dei romani con una precisione archeologica fondata sullo studio accurato del testo di Vitruvio e delle rovine dei complessi teatrali antichi. In ciò costituisce una sorta di testamento spirituale del grande architetto vicentino. Con l’Olimpico rinasce il teatro degli Antichi, e nel progettarlo Palladio raggiunge una consonanza assoluta con il linguaggio della grande architettura classica, di cui per una vita intera “con lunga fatica, e gran diligenza e amore” aveva cercato di ritrovare le leggi della segreta armonia.

© Angelo Nicoletti

21


Opere giovanili, non certe e incompiute 1531

1534

22

PORTALE CHIESA S. MARIA DEI SERVI Il portale dei Servi spicca per la qualità nel disegno dei elementi architettonici, molto vicini a quelli veneziano del Sansovino. È possibile quindi che si tratti di una realizzazione del giovane Andrea. VILLA TRISSINO AI CRICOLI Questa villa non è sicuramente opera di Palladio, ma è uno dei luoghi del suo mito, anzi ne è l’origine. La tradizione vuole infatti che proprio qui, nella seconda metà degli anni ’30, il nobile vicentino Giangiorgio Trissino (1478-1550) incontri il giovane scalpellino Andrea di Pietro impegnato nel cantiere della villa. Intuendone in qualche modo le potenzialità e il talento, Trissino ne cura la formazione, lo introduce all’aristocrazia vicentina e, nel giro di pochi anni, lo trasforma in un architetto cui impone l’aulico nome di Palladio. Giangiorgio Trissino era un letterato, autore di opere teatrali e di grammatica, e a Roma era stato accolto nel ristretto circolo culturale di papa Leone X Medici, dove aveva conosciuto Raffaello. Abile dilettante di architettura, è probabilmente responsabile in prima persona della ristrutturazione della villa di famiglia a Cricoli, appena fuori Vicenza, ereditata dal padre. Trissino non demolisce l’edificio preesistente, ma ne ridisegna in primo luogo il fronte principale verso sud, che diviene una sorta di manifesto di adesione alla nuova cultura costruttiva fondata sulla riscoperta dell’architettura romana antica. Fra due torri preesistenti inserisce una loggia a doppio ordine di arcate, che si ispira direttamente alla facciata di villa Madama a Roma di Raffaello, così come pubblicata da Sebastiano Serlio nel Terzo libro dell’architettura (edito a Venezia nel 1540). Nella riorganizzazione degli spazi interni la sequenza delle stanze laterali, di dimensioni diverse ma legate da un sistema di proporzioni interrelate (1:1; 2:3; 1:2), individua uno schema che diventerà un tema chiave nel sistema progettuale palladiano. Il cantiere è certamente concluso nel 1538. A fine Settecento l’architetto vicentino Ottone Calderari interviene pesantemente sull’edificio, e nei primi anni del Novecento una seconda campagna di lavori cancella le ultime tracce della fabbrica gotica, compiendo una postuma “palladianizzazione” della villa.

DISCOVER PALLADIO

1537

PORTALE DOMUS COMESTABILIS MONUMENTO A GIROLAMO SCHIO

1545

PALAZZO GARZADORI Girolamo Garzadori tra il 1545 e il 1563 promuove il rifacimento delle case ereditate dalla zio Battista Graziani in contra’ Piancoli. Forse a Palladio viene richiesto uno studio in merito. 2

1546

VILLA ARNALDI (non completata) Villa Arnaldi è la testimonianza preziosa di un processo di trasformazione di un edificio preesistente in una nuova architettura. Vincenzo Arnaldi, uno dei più ricchi e influenti aristocratici vicentini, nel 1547 commissiona infatti ad Andrea Palladio la ristrutturazione di un complesso agricolo quattrocentesco da lui appena acquistato. La ragione è per così dire strumentale: le migliorie dell’immobile devono servire a incrementarne il valore in vista di una causa legale di uno dei precedenti proprietari. Nel 1565, trovato un accordo, Vincenzo interrompe i lavori e affitta la casa senza più curarsi di concludere i lavori. In una serie di disegni autografi palladiani è possibile seguire i tentativi dell’architetto di intervenire sull’irregolare complesso quattrocentesco, cercando di regolarizzare gli edifici che insistono sulla corte e di ritrovare una simmentria nella nuova disposizione degli ambienti della casa — che egli organizza attorno a una loggia a tre arcate con aperture minori rettangolari ai fianchi tuttora esistenti sebbene tamponate e, infine, incorniciando le finestre con i suoi usuali profili.

1548

PALAZZO VOLPE Alla fine degli anni quaranta, Antonio Volpe, nel 1551 provveditore alle Logge della Basilica, decide di rimodernare la fronte della sua abitazione gotica in contra’ Gazzolle. È possibile che il disegno sia fornito da Palladio. 14


1

PALAZZO CIVENA (1540)

DISCOVER PALLADIO

© Ruggero Acqua

Il primo palazzo di città realizzato da Palladio a Vicenza viene costruito per conto dei fratelli Giovanni Giacomo, Pier Antonio, Vincenzo e Francesco Civena. La data “1540” incisa sulla medaglia di fondazione, conservata al Museo Civico di Vicenza, fissa in quell’anno la posa della prima pietra. L’edificio è probabilmente terminato ventiquattro mesi più tardi, sei prima dell’inizio del cantiere del grande palazzo Thiene. La storia del palazzo è tuttavia sfortunata: pesantemente modificato da Domenico Cerato nel 1750, è semidistrutto dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, e quindi ricostruito per divenire oggetto di una recente volgare ricoloritura della facciata che lo ha reso l’ombra di se stesso. Palazzo Civena non è inserito nei Quattro Libri, ma esistono vari disegni autografi palladiani che documentano le diverse alternative elaborate durante la progettazione. L’odierna distribuzione degli ambienti non è la soluzione definitiva scelta da Palladio ma è frutto del pesante intervento del Cerato che prolungò l’atrio e modificò le scale. La planimetria originale è comunque ricostruibile grazie a una pianta

pubblicata da Ottavio Bertotti Scamozzi nel 1776 (a suo dire ottenuta dagli allora proprietari): il raggrupparsi delle stanze in due nuclei posizionati ai lati dell’atrio, con una serliana che filtra il rapporto con l’esterno, è molto vicino ai progetti palladiani di villa di quegli stessi anni. La precoce data di progettazione rende palazzo Civena una preziosa testimonianza dell’attività giovanile palladiana e della sua cultura architettonica prima del risolutivo viaggio a Roma nel 1541. Come già la villa di Cricoli, l’edificio segna una frattura con la prassi costruttiva vicentina: la tradizionale polifora al centro della facciata è sostituita da una sequenza regolare di campate, ritmata da lesene accoppiate. In ciò Palladio si ispira evidentemente ai palazzi romani di primo Cinquecento, ma è chiaro che non si tratta di una conoscenza diretta: la facciata dell’edificio appare come ritagliata da un foglio di carta, priva di reale consistenza plastica. Per altro, tutti gli elementi del linguaggio architettonico derivano da esperienze venete, e non romane, in primo luogo gli edifici realizzati da Giovanni Maria Falconetto a Padova. 23


3

PALAZZO THIENE (1542)

DISCOVER PALLADIO

© Giorgio Marino

Nell’ottobre del 1542 Marcantonio e Adriano Thiene danno inizio alla ristrutturazione del quattrocentesco palazzo di famiglia, secondo un progetto grandioso che avrebbe occupato un intero isolato di 54 x 62 metri, sino ad affacciarsi sulla principale arteria vicentina (l’attuale corso Palladio). Ricchi e potenti, i sofisticati fratelli Thiene fanno parte della grande nobiltà italiana e si muovono con naturalezza nelle maggiori corti europee: hanno quindi bisogno di un palcoscenico adeguato a frequentazioni cosmopolite e alla nobiltà dei propri ospiti. Al tempo stesso, come referenti politici di una precisa fazione dell’aristocrazia cittadina, vogliono rimarcare il proprio ruolo in città con un palazzo principesco, segno di vera e propria potenza signorile. Nel 1614 l’architetto inglese Inigo Jones, in visita al palazzo, annota un’informazione riferitagli direttamente da Vincenzo Scamozzi e Palma il Giovane: “questi progetti furono di Giulio Romano e eseguiti da Palladio”. È molto probabile infatti che l’ideazione di palazzo Thiene sia da attribuirsi al maturo ed esperto Giulio Romano (dal 1523 a Mantova presso i Gonzaga, con cui i Thiene mantenevano strettissimi rapporti) e che il giovane Palladio sia piuttosto responsabile della progettazione 24

esecutiva e della realizzazione dell’edificio, un ruolo essenziale, soprattutto dopo la morte di Giulio nel 1546. Sono chiaramente riconoscibili gli elementi del palazzo riferibili a Giulio e alieni dal linguaggio palladiano: l’atrio a quattro colonne è sostanzialmente identico a quello del palazzo del Te (anche se il sistema delle volte è senza dubbio modificato da Palladio), così come le finestre e la parte inferiore del prospetto su strada e del cortile, mentre le trabeazioni e i capitelli del piano nobile vengono definiti da Palladio. Il cantiere dell’edificio ha inizio nel 1542. Nel dicembre dello stesso anno Giulio Romano è a Vicenza per due settimane per una consulenza sulle Logge della Basilica, e probabilmente in questa occasione fornisce i disegni di massima per palazzo Thiene. I lavori procedono a rilento: sul prospetto esterno è incisa la data 1556 e sul cortile la data 1558. Nel 1552 muore in Francia Adriano Thiene e di lì a poco, quando il figlio di Marcantonio, Ottavio, diviene Marchese di Scandiano, gli interessi di famiglia si spostano nel Ferrarese. Del grandioso progetto viene quindi realizzata solo una minima porzione, ma probabilmente né i veneziani né gli altri nobili vicentini avrebbero accettato una simile reggia privata nel cuore della città.


4

© Giorgio Marino

PALAZZO ISEPPO DA PORTO (1546)

DISCOVER PALLADIO

È molto probabile che Iseppo (Giuseppe) Porto intraprenda la costruzione di un grande palazzo nella contrada dei Porti spinto dall’emulazione nei confronti di quanto i suoi cognati Adriano e Marcantonio Thiene avevano cominciato a realizzare a poche decine di metri di distanza, nel 1542. È possibile che proprio il matrimonio di Iseppo con Livia Thiene, nella prima metà degli anni ’40, sia l’occasione concreta che determina la chiamata di Andrea Palladio. Alleati ai Thiene, i Porto erano una famiglia ricca e potente in città, e i palazzi dei diversi rami della famiglia si attestavano lungo la contrada che ancora oggi porta il loro nome. Iseppo fu personaggio influente, con diverse responsabilità nell’amministrazione pubblica della città, che più di una volta si intrecciarono con incarichi affidati a Palladio. Molto probabilmente fra i due i rapporti dovevano essere più stretti che fra committente e architetto, se consideriamo che trent’anni dopo il progetto per il palazzo di città, Palladio progetta e inizia a realizzare una grande villa per Iseppo a Molina di Malo, mai completata. I due amici muoiono nello stesso anno, il 1580. Il palazzo era abitabile nel dicembre del 1549, a meno di metà della facciata, conclusa tre anni più tardi, nel 1552. Numerosi disegni autografi palladiani testimoniano un iter progettuale complesso, che prevedeva sin dall’inizio l’idea di due blocchi residenziali distinti, il primo lungo la strada e un secondo attestato sulla parete di fondo del cortile. Nei Quattro Libri i due blocchi edilizi sono collegati fra loro da un maestoso cortile con enormi colonne composite: si tratta chiaramente di una rielaborazione di quell’idea originaria ai fini della pubblicazione. Confrontato con palazzo Civena, precedente appena di qualche anno, palazzo Porto restituisce appieno la misura dell’evoluzione palladiana successiva al viaggio a Roma del 1541 e al contatto con l’architettura antica e contemporanea. Il modello bramantesco di palazzo Caprini viene qui reinterpretato tenendo conto dell’abitudine vicentina di abitare il piano terreno, che quindi risulta più alto. Lo splendido atrio a quattro colonne è una reinterpretazione palladiana di spazi vitruviani, dove sopravvive anche il ricordo di tipologie tradizionali vicentine. Le due sale a sinistra dell’atrio furono affrescate da Paolo Veronese e Domenico Brusasorzi, mentre gli stucchi sono del Ridolfi. Sull’attico del palazzo, le statue di Iseppo e suo figlio Leonida, vestiti come antichi romani, sorvegliano l’ingresso dei visitatori alla loro casa. 25


5

© Ruggero Acqua

© Tiziano Casanova

26

PALAZZO CHIERICATI (1550)

DISCOVER PALLADIO


DISCOVER PALLADIO

Nel novembre del 1550, Girolamo Chiericati registra nel proprio “libro dei conti” un pagamento a favore di Palladio per i progetti del proprio palazzo in città, tracciati all’inizio dell’anno. Nello stesso mese, Girolamo è chiamato a sovraintendere la gestione del cantiere delle Logge della Basilica, inauguratosi nel maggio del 1549. Tale coincidenza non è affatto casuale: insieme a Trissino, il Chiericati era tra i fautori dell’affidamento del prestigioso incarico pubblico al giovane architetto, per il quale si era battuto in prima persona in Consiglio, e a lui ricorreva per la propria abitazione privata. Del resto anche suo fratello Giovanni, pochi anni più tardi, commissionerà a Palladio la villa di Vancimuglio. Nel 1546 Girolamo aveva ottenuto in eredità alcune vecchie case prospicienti la cosiddetta “piazza dell’Isola”, uno spazio aperto all’estremità est della città, che doveva il proprio nome all’essere circondato su due lati dal corso del Retrone e dal Bacchiglione, che confluivano l’uno nell’altro: porto fluviale cittadino, l’Isola era sede del mercato di legname e bestiame. L’esiguità del corpo delle vecchie case spinge Girolamo a chiedere al Consiglio cittadino di poter utilizzare una fascia di circa quattro metri e mezzo di suolo comunale antistante le sue proprietà per realizzarvi il porticato della propria abitazione, garantendone una disponibilità pubblica. All’accoglimento dell’istanza segue l’immediato avvio del cantiere nel 1551, per arrestarsi nel 1557 alla morte di Girolamo, il cui figlio Valerio si limita a decorare gli ambienti interni, coinvolgendo una straordinaria équipe di artisti: Ridolfi, Zelotti, Fasolo, Forbicini e Battista Franco. Per più di un secolo palazzo Chiericati rimane un maestoso frammento (simile all’attuale palazzo Porto in piazza Castello) interrotto a metà della quarta campata, così come documentano la Pianta Angelica e i taccuini dei viaggiatori. Solo alla fine del Seicento sarà completato secondo la tavola dei Quattro Libri. Esistono diversi autografi palladiani che restituiscono l’evolversi del progetto, da una prima soluzione dove il portico aggetta solamente al centro della facciata (per altro coperto da un timpano, come sarà per villa Cornaro) sino a quella attuale.

La pianta è determinata dalle strette dimensioni del sito: un atrio biabsidato centrale è fiancheggiato da due nuclei di tre stanze con dimensioni armonicamente legate (3:2; 1:1; 3:5), ognuna con una scala a chiocciola di servizio e una monumentale al lato della loggia posteriore (un altro elemento che tornerà nelle ville Pisani e Cornaro). Per conferire magnificenza all’edificio, ma anche per proteggerlo dalle frequenti inondazioni (e dai bovini che venivano venduti davanti al palazzo nei giorni di mercato), Palladio lo solleva su un podio, che nella parte centrale mostra una scalinata chiaramente mutuata da un tempio antico. La straordinaria novità costituita da palazzo Chiericati nel panorama delle residenze urbane rinascimentali deve moltissimo alla capacità palladiana di interpretare il luogo in cui sorge: un grande spazio aperto ai margini della città, davanti al fiume, un contesto che lo rende un edificio ambiguo, palazzo e villa suburbana insieme: non a caso sono molte le affinità con le ville Cornaro a Piombino e Pisani a Montagnana, per altro costruite negli stessi anni. Il progetto è pensato per esaltare la funzione della piazza come luogo collettivo per cui il palazzo doveva imporsi come un abbellimento integrato allo spazio urbano. Sulla piazza delll’Isola Palladio imposta una facciata a doppio ordine di logge in grado di reggere visivamente lo spazio aperto, e che si pone come elemento di un ipotetico fronte di un Foro romano antico. Sebbene logge sovrapposte siano presenti in palazzo Massimo a Roma del Peruzzi e nel Cortile antico del Bo di Moroni a Padova, l’uso che di esse ne fa Palladio nella facciata di palazzo Chiericati è qualcosa di assolutamente inedito per forza e consapevolezza espressiva. La Basilica e palazzo Chiericati rappresentano il passaggio definitivo dall’eclettismo dei primi anni alla piena maturità di un linguaggio dove stimoli e fonti provenienti dall’Antico e dalle architetture contemporanee sono assorbiti in un sistema ormai specificatamente palladiano. Compare qui per la prima volta la chiusura del fianco delle logge con un tratto di muro in cui si apre un’arcata: una soluzione mutuata dal Portico di Ottavia a Roma che diventerà usuale nei pronai delle ville. 27


6

LOGGIA VALMARANA (1559)

Š Ruggero Acqua

Giacomo Valmarana, proprietario di un vasto appezzamento di terreno fuori Porta Castello, commissiona probabilmente a Palladio il progetto di una loggia affacciata su un giardino. La data riportata sulla loggia, 1592 con il nome di Leonardo Valmarana, dovrebbe riferirsi alla apertura al pubblico del giardino, decisa appunto da Leonardo in quell’anno. 28

DISCOVER PALLADIO


7

© Carmen Menguzzato

CASA COGOLLO (1559)

DISCOVER PALLADIO Noto come “casa del Palladio”, in realtà l’edificio non ha nulla a che spartire con l’abitazione del maestro vicentino: sono state piuttosto le sue dimensioni, contenute rispetto all’enfasi monumentale degli altri palazzi palladiani, a spingere all’equivoco chi cercava in città un segno visibile del domicilio dell’architetto. In realtà, la ristrutturazione della facciata della propria casa quattrocentesca è imposta dal Maggior Consiglio al notaio Pietro Cogollo come contributo al “decoro della città”, vincolante la positiva accettazione della sua richiesta di conseguire la cittadinanza vicentina, con un investimento economico nel cantiere non inferiore ai 250 ducati. In mancanza di documenti e disegni autografi, l’attribuzione a Palladio dell’elegantissima facciata divide tuttora gli studiosi, ma l’intelligenza della soluzione architettonica proposta, così come il disegno di tutti i dettagli, difficilmente possono essere riferiti ad altri. I vincoli posti da uno spazio angusto e dalla impossibilità di aprire finestre al centro del piano nobile per la presenza di un camino (e relativa canna fumaria) spingono Palladio a porre l’enfasi sull’asse della facciata, realizzando una struttura costituita a piano terra da un’arcata affiancata da semicolonne e al piano superiore da una sorta di tabernacolo che incorniciava un affresco di Giovanni Antonio Fasolo. A pianterreno l’arcata è affiancata da due vani rettangolari che danno luce e facilitano l’accesso al portico, componendo una sorta di serliana, come già nella Basilica. L’esito è una composizione di grande forza monumentale ed espressiva, pur nella semplicità dei mezzi a disposizione. 29


PALAZZO POJANA (1560) 8

Il palazzo come lo si vede oggi nasce dall’unione di due unità edilizie separate dalla stradella Due Ruote, probabilmente realizzata nel 1566, a seguito di una richiesta di Vincenzo Poiana al Comune di Vicenza nel 1561. L’attribuzione a Palladio non si fonda su riscontri documentari né su disegni autografi, ma sull’evidenza della qualità architettonica dell’articolazione del piano nobile, con un ordine che abbraccia due piani, nonché del disegno di particolari, come gli elegantissimi e carnosi capitelli compositi e la trabeazione. Tuttavia, elementi come le paraste prive di “entasi” (vale a dire il caratteristico rigonfiamento che culmina a un terzo dell’altezza) poco si accordano al linguaggio palladiano degli anni Sessanta, tanto da far pensare che il disegno della porzione sinistra del palazzo sia frutto di un progetto giovanile di Palladio, poi esteso all’edificio confinante negli anni ‘60, quando il Poiana decide di ingrandire la propria casa. Ciò spiegherebbe anche le differenze nella configurazione della zona del basamento nelle due metà dell’edificio. 30

PALAZZO SCHIO (1560) 9

Nel 1560, Palladio progetta per Bernardo Schio la facciata della sua casa di Vicenza, nei pressi del ponte Pusterla. Impegnato nelle realizzazioni veneziane, che in quegli anni lo spingono a un soggiorno pressoché stabile nella capitale, Palladio dovette seguire distrattamente il cantiere, tanto che il lapicida incaricato della realizzazione interrompe i lavori per mancanza di chiare indicazioni. Alla morte di Bernardo, la vedova non è interessata a concludere i lavori cui provvederà il fratello di Bernardo, Fabrizio, nel 1574-1575, dopo che pietre e materiali da costruzione erano stati a lungo ammassati nel cortile.


10

© Giorgio Marino

PALAZZO VALMARANA (1565)

DISCOVER PALLADIO

La medaglia di fondazione dell’edificio porta incisi la data 1566 e il profilo di Isabella Nogarola Valmarana, ed è quest’ultima a firmare i contratti per la costruzione coi muratori nel dicembre del 1565. Tuttavia non vi è dubbio sul ruolo avuto dal suo defunto marito Giovanni Alvise (morto nel 1558) nella scelta di Palladio come progettista del palazzo di famiglia. Sul sito poi occupato dal nuovo palazzo cinquecentesco, la famiglia Valmarana deteneva proprietà edilizie sin dalla fine del Quattrocento, che progressivamente furono accorpate sino a costituire l’oggetto della ristrutturazione palladiana. L’irregolarità planimetrica degli ambienti discende senza dubbio dall’andamento sghembo della facciata e dei muri preesistenti. In questo senso appare evidente quanto l’olimpica regolarità della planimetria del palazzo presentato nei Quattro Libri sia frutto della consueta teorica astrazione palladiana, tanto più che l’estensione del palazzo oltre il cortile quadrato non solo non fu mai realizzata, ma a quanto pare neppure ricercata da Leonardo Valmarana, che risulta acquisire immobili confinanti piuttosto che proseguire nella costruzione del palazzo di famiglia. La facciata di palazzo Valmarana è una delle realizzazioni palladiane più straordinarie e insieme singolari. Per la prima volta in un palazzo, un ordine gigante abbraccia l’intero sviluppo verticale dell’edificio: si tratta evidentemente di una soluzione che prende origine dalle sperimentazioni palladiane sui prospetti di edifici religiosi, come la pressoché contemporanea facciata di San Francesco della Vigna. Come nella chiesa veneziana le navate maggiore e minore si proiettano su uno stesso piano, così sulla facciata di palazzo Valmarana appare evidente la stratificazione di due sistemi: l’ordine gigante delle sei paraste composite sembra sovrapporsi all’ordine minore di paraste corinzie, in modo tanto più evidente ai margini dove la mancanza della parasta finale rivela il sistema sottostante, che sostiene il bassorilievo di un soldato con le insegne Valmarana. 31


11

© Ruggero Acqua

32

PALAZZO BARBARANO (1569)

DISCOVER PALLADIO

La fastosa residenza realizzata fra il 1570 e il 1575 per il nobile vicentino Montano Barbarano è il solo grande palazzo di città che Andrea Palladio riuscì a realizzare integralmente. Esistono almeno tre differenti progetti autografi (conservati a Londra) che documentano ipotesi alternative per la planimetria dell’edificio, ben diverse dalla soluzione realizzata, a testimonianza di un complesso iter progettuale. Il Barbarano chiede infatti a Palladio di tener conto dell’esistenza di varie case appartenenti alla sua famiglia già presenti sull’area del nuovo palazzo e, a progetto già definito, acquista un’ulteriore casa adiacente, col risultato di rendere asimmetrica la posizione del portone d’ingresso. In ogni caso i vincoli posti dal sito e da un committente esigente diventano occasione di soluzioni coraggiose e raffinate: l’intervento palladiano è magistrale, elaborando un sofisticato progetto di “ristrutturazione” che fonde le diverse preesistenze in un edificio unitario. Al pianterreno, un magnifico atrio a quattro colonne salda insieme le due unità edilizie preesistenti. Nel realizzarlo Palladio è chiamato a risolvere due problemi: quello statico di sostenere il pavimento del grande salone al piano nobile, e quello compositivo di restituire un’apparenza simmetrica a un ambiente penalizzato dall’andamento sghembo dei muri perimetrali delle case preesistenti. Sulla base del modello delle ali del Teatro di Marcello a Roma, Palladio ripartisce l’ambiente in tre navate, disponendo al centro quattro colonne ioniche che gli consentono di ridurre l’ampiezza della luce delle crociere centrali, controventate da volte a botte laterali. Pone così in opera un sistema staticamente molto efficiente, in grado di reggere senza difficoltà il pavimento del salone soprastante. Le colonne centrali vengono poi raccordate ai muri perimetrali da frammenti di trabeazione rettilinea, che assorbono l’irregolarità planimetrica dell’atrio: si realizza così una sorta di sistema a “serliane”, un accorgimento concettualmente simile a quello delle logge della Basilica. Anche il tipo insolito di capitello ionico — derivante dal tempio di Saturno nel Foro romano — viene adottato perché consente di mascherare le lievi ma significative rotazioni necessarie ad allineare colonne e semicolonne. Nella decorazione del palazzo, Montano coinvolge a più riprese alcuni grandi artisti del suo tempo: Battista Zelotti, già intervenuto negli spazi palladiani di villa Emo a Fanzolo, Anselmo Canera e Andrea Vicentino; gli stucchi sono affidati a Lorenzo Rubini, autore negli stessi anni della decorazione esterna della Loggia del Capitanio, e, dopo la sua morte avvenuta nel 1574, al figlio Agostino. L’esito è un palazzo sontuoso in grado di rivaleggiare con le dimore dei Thiene, dei Porto e dei Valmarana, e che consente al suo committente di rappresentarsi in città come esponente di punta dell’élite culturale vicentina.


12

PALAZZO PORTO BREGANZE (1571)

DISCOVER PALLADIO

© Ruggero Acqua

L’impressionante sezione di palazzo che fa da quinta scenografica alla piazza del Castello è l’evidente testimonianza dell’esito sfortunato di un cantiere palladiano. Alla sinistra del frammento è chiaramente visibile la vecchia casa quattrocentesca della famiglia Porto, destinata ad essere progressivamente demolita con l’avanzare del cantiere del nuovo palazzo: visti gli esiti, non si può che apprezzare la lungimirante prudenza del committente, Alessandro Porto. La datazione è incerta, ma senz’altro posteriore al 1570, sia perché il palazzo non è inserito nei Quattro Libri (pubblicati a Venezia nello stesso anno) sia perché Alessandro riceve in eredità le proprietà di famiglia in piazza Castello dopo la morte del padre Benedetto, nell’ambito della spartizione dei beni di famiglia con i fratelli Orazio e Pompeo, avvenuta nel 1571.

Francesco Thiene, proprietario dell’omonimo palazzo palladiano all’altro estremo della piazza, sposò Isabella Porto, sorella di Alessandro, e come già nel caso di Iseppo Porto e i cognati Marcantonio e Adriano Thiene, forse fu proprio la competizione fra le due famiglie ad essere all’origine delle inusuali dimensioni di palazzo Porto. Del resto è la posizione stessa del palazzo, fondale della piazza, a rendere necessaria un’accentuata monumentalità, in grado di dominare il grande spazio aperto antistante: una logica sperimentata pochi anni prima con la Loggia del Capitaniato in piazza dei Signori. Con buona probabilità il palazzo avrebbe dovuto svilupparsi in sette campate e avere un cortile concluso ad esedra, come prova un’analisi delle murature superstiti. Non è chiara la ragione del blocco del cantiere, che Vincenzo Scamozzi dichiara nel 1615 di aver portato personalmente alla attuale, parziale conclusione. 33


13

PALAZZO THIENE BONIN-LONGARE (1572)

DISCOVER PALLADIO

© Giorgio Marino

Sulla storia del palazzo che Francesco Thiene fece realizzare sulle proprietà di famiglia all’estremità occidentale della Strada Maggiore (l’attuale corso Palladio) presso il Castello sussistono più dubbi che certezze, a partire dalla data esatta della costruzione. Alla morte di Palladio l’edificio non è ancora realizzato: nella Pianta Angelica del 1580 appaiono infatti ancora solo le vecchie case e il giardino. Enea Thiene, che eredita i beni di suo zio Francesco, porta a conclusione la fabbrica, probabilmente entro il primo decennio del Seicento. Il palazzo sarà acquistato nel 1835 da Lelio Bonin Longare. Nel suo trattato L’idea della architettura universale (edito a Venezia nel 1615), Vincenzo Scamozzi scrive di aver portato a compimento il cantiere dell’edificio sulla base di un progetto altrui (senza specificare di chi si tratti) con qualche variazione rispetto all’originale (di cui non chiarisce l’entità). L’architetto non nominato da Scamozzi è sicuramente Andrea Palladio, perché esistono due fogli autografi riferibili 34

al palazzo per Francesco Thiene: in essi sono tracciate due varianti di planimetrie, sostanzialmente vicine a quelle dell’edificio attuale, e uno schizzo per la facciata, molto diverso da quella poi realizzata. Analizzando l’edificio realizzato, appaiono diversi elementi che rendono possibile una datazione dell’idea agli anni ’70, considerando i molti punti di contatto ad esempio con palazzo Barbaran da Porto, sia nel disegno della parte inferiore della facciata sia nella grande loggia a doppio ordine sul cortile. Il fianco invece potrebbe essere opera di Vincenzo Scamozzi, considerando la sua affinità con palazzo Trissino al Duomo. Anche il profondo atrio, sostanzialmente indifferente alla griglia degli ordini, potrebbe essere scamozziano ed è interessante notare che, mentre la stanze alla sua destra entrando risultano chiaramente riutilizzare murature preesistenti piuttosto irregolari, quelle alla sua sinistra sono perfettamente regolari, evidentemente frutto di nuove fondazioni.


4

ARCO DELLE SCALETTE (1576)

DISCOVER PALLADIO

© Mia Battaglia

Poco chiara appare la genesi e l’autografia dell’arco che dava inizio al percorso di accesso al Santuario di Monte Berico prima della realizzazione, a metà Settecento, dei portici di Francesco Muttoni. Certe appaiono la data di costruzione, fissata al 1595, e l’identità del committente, il Capitano veneziano Giacomo Bragadino. Altrettanto documentate sono le richieste dei frati del Santuario, risalenti al 1574-1576, che chiedono alla Comunità un sostegno finanzia-

rio per la ristrutturazione dell’intero percorso delle Scalette, ma nulla prova che l’arco fosse incluso del processo di rinnovamento generale, che per altro investe anche lo stesso Santuario. Altrettanto incerta è l’originale configurazione dell’arco, che in immagini seicentesce mostra nicchie frontali, successivamente spostate nell’intradosso per accogliere l’Annunciazione di Orazio Marinali. 35


LE VILLE

18

1

16

10

2

15

8

LE VILLE DEL PALLADIO 0. Villa Trissino (1534) 1. Villa Godi Malinverni (1537) 2. Villa Piovene Porti Godi (1539) 3. Villa Valmarana (1541) 4. Villa Gazzotti Curti (1542) 5. Villa Thiene (1542) 6. Villa Pisani Bonetti (1542) 7. Villa Saraceno (1543) 8. Villa Pojana (1546) 9. Villa Caldogno (1545) 10. Villa Angarano (1548) 11. Villa Chiericati (1550) 12. Villa Porto Pedrotti (1554) 13. Villa Trissino Rossi (1558) 14. Villa Valmarana Bertesina (1563) 15. Villa Forni Cerato (1565) 18. Villa Porto (1564) 17. Villa Capra (156) 18. Il ponte di Bassano

4

3

14

0

5

11 17

13

12

6 9 7


MAPPA DELLE VILLE NEL VICENTINO

1534

0. Villa Trissino in Cricoli

1537

1. Villa Godi a Lonedo di Lugo

1539

2. Villa Piovene Porto Godi a Lonedo di Lugo

1542

3. Villa Valmarana a Vigardolo

1542

4. Villa Gazzotti a Bertesina

1542

5. Villa Thiene a Quinto Vic.no

1542 1548

1548 1549

DISCOVER PALLADIO

1549

10. Villa Angarano a Bassano del Grappa

1550

11. Villa Chiericati a Vancimuglio

1553

12. Villa Trissino a Meledo di Sarego (barchesse)

1554

13. Villa Porto a Dueville

1563

14. Villa Valmarana a Bertesina

1564

15. Villa Forni

1564

16. Villa Porto a Molina di Malo

1566

17 .Villa Capra a Vicenza

6. Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo

7. Villa Saraceno a Finale di Agugliaro

8. Villa Caldogno a Caldogno

9. Villa Pojana a Pojana Maggiore 37


Š Stefano Maruzzo


DISCOVER PALLADIO

LE VILLE VICENTINE Il maggior pregio di Andrea Palladio fu di avere l’umiltà di ascoltare le priorità, soprattutto economiche, dei suoi clienti. Sapeva che la volontà della committenza pesava e, in una certa misura, era gioco forza assecondarli, e una volta confessava di aver fatto “il più possibile per soddisfare le loro esigenze, alle quali bisognava obbedire”. Fu per la sua straordinaria capacità, quasi sartoriale, di adattare i progetti alle richieste del committenti che i nobili di Vicenza lo scelsero per sostituire del tutto i manufatti medievali che erano diventati obsoleti, o che dovevano essere adattati alle nuove esigenze della produzione agricola. La gestione del fondo richiedeva di disporre di ampio spazio per l’immagazzinamento dei raccolti, il ricovero degli attrezzi e e tutti quei locali indipensabili per alloggiare la servitù e i locali necessari alla vita quotidiana. Palladio ha avuto l’opportunità di testare la sua arte classica con le diverse situazioni del momento: le grandi scale esterne di accesso al piano nobile avevano lo scopo di preservare le “volte in mattoni” del piano terra, costruite con grande maestria dai costruttori del periodo gotico, mentre le “barchesse” svolgevano la funzione collegare e racchiudere, a volte in semicerchi, l’attività produttiva, dominata al centro dall’imponente prospettiva del maniero. A parte il caso di Villa Capra, progettata per rispondere all’esigenza del cliente di ritirarsi uno spazio “sacro” adatto alla contemplazione e alla meditazione, il progetto delle ville di campagna si basava su un processo razionale di sintesi di diversi fattori che hanno contribuito a definire l’unicità di ciascuna soluzione specifica. Il genio di Palladio si rivela non solo nel riprodurre l’armonia nascosta delle forme architettoniche celebrate da Vitruvio, ma soprattutto di coniugare gli aspetti materiali (bisogni economici, funzioni produttive) con gli aspetti immateriali (luce, orientamento, colore, spazi vuoti e pieni) che costituiscono il linguaggio della poetica palladiana. L’architettura palladiana è una realtà fatta di luce e che vive nella luce, è una visione di colori e forme che si mescolano con le emozioni di armonia e perfezione, è una ricerca incessante di soluzioni uniche progettate per un sito reale e, nello stesso tempo, per un sito ideale, prefigurato dalla sua mente. Dall’ immaginazione visionaria, razionale e emotiva allo stesso tempo, emerge il potere dell’architettura di trasfigurare la dimensione produttiva del terreno agricolo in un paesaggio incomparabile, sublime e irripetibile, ancora oggi oggetto di studio e ammirazione. 39


0

© Marica Piva

40

VILLA TRISSINO (1534)

DISCOVER PALLADIO


DISCOVER PALLADIO

ALLE ORIGINI DEL MITO Questa villa non è sicuramente opera di Palladio, ma è uno dei luoghi del suo mito, anzi ne è l’origine. La tradizione vuole infatti che proprio qui, nella seconda metà degli anni ’30, il nobile vicentino Giangiorgio Trissino (1478-1550) incontri il giovane scalpellino Andrea di Pietro impegnato nel cantiere della villa. Intuendone in qualche modo le potenzialità e il talento, Trissino ne cura la formazione, lo introduce all’aristocrazia vicentina e, nel giro di pochi anni, lo trasforma in un architetto cui impone l’aulico nome di Palladio. Giangiorgio Trissino era un letterato, autore di opere teatrali e di grammatica, e a Roma era stato accolto nel ristretto circolo culturale di papa Leone X Medici, dove aveva conosciuto Raffaello. Abile dilettante di architettura (si sono conservati i suoi disegni del proprio palazzo in città e un abbozzo di trattato sull’architettura), è probabilmente responsabile in prima persona della ristrutturazione della villa di famiglia a Cricoli, appena fuori Vicenza, ereditata dal padre. Trissino non demolisce l’edificio preesistente, ma ne ridisegna in primo luogo il fronte principale verso sud, che diviene una sorta di manifesto di adesione alla nuova cultura costruttiva fondata sulla riscoperta dell’architettura romana antica. Fra due torri preesistenti inserisce una loggia a doppio ordine di arcate, che si ispira direttamente alla facciata di villa Madama a Roma di Raffaello, così come pubblicata da Sebastiano Serlio nel Terzo libro dell’architettura (edito a Venezia nel 1540). Nella riorganizzazione degli spazi interni la sequenza delle stanze laterali, di dimensioni diverse ma legate da un sistema di proporzioni interrelate (1:1; 2:3; 1:2), individua uno schema che diventerà un tema chiave nel sistema progettuale palladiano. Il cantiere è certamente concluso nel 1538. A fine Settecento l’architetto vicentino Ottone Calderari interviene pesantemente sull’edificio, e nei primi anni del Novecento una seconda campagna di lavori cancella le ultime tracce della fabbrica gotica, compiendo una postuma “palladianizzazione” della villa.

Giangiorgio Trissino

Andrea Palladio

I VIAGGI DI FORMAZIONE Di Andrea Palladio, Trissino curò soprattutto la formazione di architetto inteso come “umanista”. Questa concezione risulta alquanto insolita in quell’epoca, nella quale all’architetto era demandato un compito preminentemente di tecnico specializzato. Non si può capire la formazione umanistica e di tecnico specializzato della costruzione dell’architetto Andrea della Gondola, senza l’intuito, l’aiuto e la protezione di Giangiorgio Trissino. È lui a credere nel giovane lapicida che lavora in modo diverso e che aspira a una innovazione totale nel realizzare le tante opere. Trissino gli cambierà il nome in “Palladio”, come l’angelo liberatore e vittorioso presente nel suo poema L’Italia liberata dai Goti. Secondo la tradizione, l’incontro tra il Trissino e il futuro Palladio avvenne nel cantiere della villa di Cricoli, nella zona nord fuori della città di Vicenza, che in quegli anni sta per essere ristrutturata secondo i canoni dell’architettura classica. La passione per l’arte e la cultura in senso totale sono alla base di questo scambio di idee ed esperienze che si rivelerà fondamentale per la preziosa collaborazione tra i due “grandi”. Da lì avrà inizio la grande trasformazione dell’allievo di Girolamo Pittoni e Giacomo da Porlezza nel celebrato Andrea Palladio. Sarà proprio Giangiorgio Trissino a condurlo a Roma nei suoi viaggi di formazione a contatto con il mondo classico e ad avviare il futuro genio dell’architettura a raggiungere le vette più ardite di un’innovazione a livello mondiale, riconosciuta ed apprezzata sia in Europa che nella nascente nazione americana dove la sua “lezione” ebbe una straordinaria diffusione. 41


1

VILLA GODI MALINVERNI (1537)

Il progetto palladiano di una villa per i fratelli Girolamo, Pietro e Marcantonio Godi a Lonedo iniziò nel 1537 per concludersi nel 1542. Con ogni probabilità non si trattò di un incarico autonomo, ma piuttosto di una commissione ottenuta dalla bottega di Gerolamo Pittoni e Giacomo da Porlezza, all’interno della quale il giovane Andrea rivestiva il ruolo di specialista per l’architettura. In realtà i lavori di ristrutturazione della tenuta di famiglia cominciarono già nel 1533, per volontà del padre Enrico Antonio Godi, con la costruzione di una barchessa dorica nel cortile di sinistra. Prima opera certa di Andrea, che ne dichiara la paternità nei Quattro Libri, villa Godi segna la tappa iniziale del tentativo di costruire una nuova tipologia di residenza in campagna, dove è evidente la volontà di intrecciare temi derivanti dalla tradizione costruttiva locale con le nuove conoscenze che Palladio stava via via acquisendo grazie all’aiuto del Trissino. L’esito è quello di un edificio severo, in cui è bandito ogni preziosismo decorativo tipico della tradizione quattrocentesca. © Carmen Menguzzato 42

DISCOVER PALLADIO

Chiaramente simmetrico, l’edificio è impostato su una netta definizione dei volumi, ottenuta arretrando la parte centrale della facciata, aperta da tre arcate in una loggia. La stessa forte simmetria organizza la planimetria dell’edificio, impostata lungo l’asse centrale costituito da loggia e salone, al quale si affiancano gerarchicamente due appartamenti di quattro sale ciascuno. A partire dalla fine degli anni ’40 ha inizio la campagna decorativa degli interni, dovuta in un primo momento a Gualtiero Padovano, che affresca la loggia e l’ala destra dell’edificio, e successivamente (primi anni ’60) a Battista Zelotti, che interviene nel salone e nelle sale dell’ala sinistra, e a Battista del Moro, cui si deve l’ultima stanza antistante la loggia. Contemporaneamente alla campagna decorativa, Palladio interviene nuovamente sul corpo dell’edificio, modificando l’apertura posteriore del salone e realizzando il giardino retrostante a emiciclo e la splendida vera da pozzo.


2

VILLA PIOVENE PORTO GODI (1539)

DISCOVER PALLADIO

Sono più i dubbi che le certezze in merito al coinvolgimento di nao, che reca incisa la data 1587. Andrea Palladio nella realizzazione di villa Piovene, che sorge a Infine, nella prima metà del Settecento, l’architetto Francesco Muttoni costruisce le attuali barchesse laterali, sistema il giardino e poche centinaia di metri da villa Godi. Innanzi tutto l’edificio non risulta inserito nei Quattro Libri, an- probabilmente realizza la scala a doppia rampa che conduce alla che se tale esclusione avviene per altre ville certamente autografe loggia. La scenografica scalinata che dà accesso alla villa viene invece realizzata alcuni anni prima, con il bel cancello del 1703. come Gazzotti o Valmarana a Vigardolo. Ma sono soprattutto le caratteristiche dell’edificio a destare le maggiori perplessità: la planimetria è poco significativa, le finestre forano il prospetto senza un particolare ordine, il pronao si innesta © Augusto Mia Battaglia con durezza al corpo dell’edificio. Si ipotizza che il giovane Andrea , non ancora maturo e forse ostacolato dal suo datore di lavoro Giovanni di Giacomo da Porlezza, abbia di fatto realizzato solo le sucessive modifiche al pronao. Sicuramente la villa è frutto di almeno tre campagne di lavori: i documenti certificano la presenza di una casa dominicale più piccola dell’attuale certamente realizzata entro il 1541, la quale viene ingrandita in un secondo tempo con l’inserimento del pro43


3

VILLA VALMARANA BRESSAN (1541)

Nei primi anni ’40 Palladio progetta una piccola villa per i due cugini Giuseppe e Antonio Valmarana nel fondo ereditato in comune a Vigardolo, pochi chilometri a nord di Vicenza. La necessità di alloggiare nell’edificio due nuclei familiari potrebbe spiegare la particolare disposizione delle stanze, organizzate in due appartamenti autonomi e simmetrici, accessibili dal salone posteriore anziché dalla loggia frontale in comune fra i due cugini. La data assai precoce colloca il progetto per villa Valmarana fra le prime prove autonome dell’architetto, testimoniate da un ricco gruppo di disegni autografi, uno dei quali (RIBA XVII/2r) è con tutta evidenza il progetto preparatorio per l’edificio. Le differenze fra il disegno e l’edificio realizzato possono spiegarsi con le difficoltà sorte in fase di costruzione: nella villa mancano l’alto podio dove disporre gli ambienti di servizio seminterrati (irrealizzabile per la presenza di numerosi corsi d’acqua) e il frontone interrotto, mentre compare un mezzanino; il soffitto della loggia è piano anziché a volta. © Carmen Menguzzato

44

DISCOVER PALLADIO

Frammenti di decorazione parietale testimoniano che la villa era in origine completamente affrescata. Si tratta in definitiva di un progetto di transizione, in cui troviamo tuttavia per la prima volta compiutamente formulati i tratti caratterizzanti del linguaggio palladiano. Nella villa sono presenti infatti elementi propri della tradizione costruttiva vicentina, come la disposizione delle stanze, che ricalca quella di villa Trissino a Cricoli, e in particolare di quelle laterali legate da precisi rapporti proporzionali (2:3:5, e precisamente 12,18 e 30 piedi vicentini). Accanto a loro tuttavia convivono le suggestioni formali derivanti dalle grandi strutture termali antiche, conosciute direttamente da Palladio nel primo viaggio a Roma del 1541, ben riconoscibili nella loggia, nelle strutture voltate delle stanze e nella serliana utilizzata come filtro verso l’ambiente esterno.


4

VILLA GAZZOTTI GRIMANI CURTI (1542)

Andrea Palladio progetta la villa per Taddeo Gazzotti fra il 1542 e il 1543. Taddeo non è di nascita aristocratica, ma è un uomo colto, appassionato di musica e legato da vincoli di parentela acquisita ad Antenore Pagello, elemento di spicco della nobiltà vicentina, e infine fautore — insieme a Giangiorgio Trissino — del rinnovamento architettonico della città. Una speculazione sbagliata sul dazio del sale porta Gazzotti alla rovina e nel 1550 è costretto a vendere la villa, ancora in costruzione, al patrizio veneziano Girolamo Grimani che la completa nel giro di alcuni anni. Nel progettare la villa, Palladio deve innanzi tutto fare i conti con la necessità di assorbire in un insieme aggiornato e coerente una casa a torre preesistente, citata nei documenti e ancora ben visibile all’angolo destro dell’edificio realizzato. Palladio la raddoppia all’altra estremità della pianta, creando due appartamenti simmetrici di tre stanze ciascuno, collegati da una loggia voltata a botte alla grande sala coperta a crociera.

DISCOVER PALLADIO

La struttura dell’edificio, lungo e poco profondo, con l’ordine composito che fascia l’intera altezza e la loggia centrale, risente fortemente dell’influsso di palazzo del Tè di Giulio Romano a Mantova e della contemporanea progettazione della grande villa per i fratelli Thiene a Quinto. L’enfasi sulla sala a crociera e la presenza di appartamenti di tre unità fanno parte di un linguaggio che andrà poco a poco affinandosi.

45


VILLA THIENE (1542)

5

DISCOVER PALLADIO

© Carmen Menguzzato

La villa Thiene di Quinto, come il palazzo di famiglia a Vicenza, fu costruita per Marcantonio e Adriano Thiene probabilmente in base a un progetto di Giulio Romano, poi modificato dal direttore dei lavori, Palladio. Affacciata sul fiume Tesina, essa era situata al centro di due grandi corti agricole dei Thiene. Il progetto prevedeva una soluzione ben diversa da quella delle altre ville palladiane: la fabbrica è dominata da una grande loggia voltata a botte, più alta del resto dell’edificio, mentre l’esterno è articolato con lesene doriche, raddoppiate sui lati corti. La struttura è eseguita in mattoni — in origine coperti da intonaco, ma ora a vista — con un uso limitato di pietra bianca nelle basi, nei capitelli, nei davanzali delle finestre e agli angoli del cornicione e del timpano. Il resto delle parti sagomate è eseguito in cotto. Il progetto venne redatto fra il 1542 e il 1543, in contemporanea con quello del palazzo, e la costruzione verosimilmente si arrestò negli anni ’50: la morte di Adriano (avvenuta alla corte di Francia, al servizio di Francesco II) e lo spostamento degli interessi familiari nel 46

Ferrarese, a seguito dell’acquisizione del feudo e del titolo di conte di Scandiano da parte di Ottavio, figlio di Marcantonio, sono probabilmente all’origine dell’incompletezza della fabbrica. Nel 1614 Inigo Jones registra nella sua copia dei Quattro Libri lo stato di incompiutezza dell’edificio, cui mancava la volta della loggia. Un intervento di Francesco Muttoni, certamente anteriore al 1740, insiste pesantemente sull’edificio: pur conservando gli appartamenti eseguiti, elimina la grande loggia e crea una nuova facciata principale verso sud. Quelli che dovevano essere i fianchi diventano quindi le odierne facciate, con una rotazione di 90 gradi. Nelle due stanze a sinistra rimangono gli affreschi realizzati da Giovanni Demio nei primi anni ’50.


6

VILLA PISANI BONETTI (1542)

DISCOVER PALLADIO

La realizzazione di villa Pisani a Bagnolo, a partire dal 1542, costitui- La grande sala centrale a “T” è coperta a botte come gli edifici termali antichi, riccamente decorata e illuminata da un’ampia finestra termasce per la carriera del giovane Palladio un vero punto di svolta. I fratelli Vettore, Marco e Daniele Pisani fanno infatti parte dell’éli- le: uno spazio radicalmente diverso, per dimensioni e qualità formale, te aristocratica veneziana, con conseguente netto salto di scala nella dalle sale delle ville prepalladiane, tradizionalmente più piccole e coperte da un soffitto piano con travi di legno. committenza palladiana sino ad allora soprattutto vicentina. Nel progetto di villa Pisani l’obiettivo di Palladio è ambizioso: realiz- Una ricca decorazione pittorica ad affresco, con scene tratte dalle zare una dimora di campagna che sia adeguata ai raffinati gusti dei Metamorfosi di Ovidio dovute probabilmente alla mano di Francesco fratelli Pisani e al tempo stesso in grado di offrire una risposta concre- Torbido (1482/84-1561), dialoga con lo spazio architettonico esaltanta e razionale in termini di organizzazione di tutto il complesso degli done la monumentalità. Un ricco dossier di disegni autografi, oggi conservati a Londra, documenta l’evolversi del progetto palladiano. Augusto Mia annessi agricoli. Palladio infatti inserisce in un disegno©unitario casaBattaglia padronale, stalle, barchesse e colombare, vale a dire quegli elementi Nelle prime ipotesi si affollano suggestioni derivanti dalle architetture che nella villa quattrocentesca si affacciavano sull’aia in un disegno antiche e moderne visitate nel viaggio a Roma appena compiuto (da villa Madama di Raffaello al Belvedere bramantesco, sino alla cappelcasuale, privo di gerarchie funzionali e formali. Al tempo stesso, le necessità pratiche della vita agricola sono tradotte la Paolina di Sangallo) accanto a elementi più specificamente veneti: in forme inedite, in un nuovo linguaggio ispirato all’architettura anti- la disposizione delle stanze, la loggia serrata da due torrette come in ca. Come un tempio romano, la villa sorge su un alto basamento che villa Trissino a Cricoli o il potente bugnato sanmicheliano della facciata sul fiume. dà slancio all’edificio e accoglie gli ambienti di servizio. 47


7

VILLA SARACENO (1543)

Sul finire degli anni ’40 Andrea Palladio è chiamato da Biagio Saraceno a intervenire a Finale di Agugliaro su una corte agricola preesistente, da tempo di proprietà della famiglia. È possibile che il progetto prevedesse una ristrutturazione complessiva dell’insieme: nei Quattro Libri Palladio presenta l’edificio serrato fra due grandi barchesse ad angolo retto. Sta di fatto che una risistemazione globale non fu mai effettuata e l’intervento palladiano è circoscritto al corpo padronale: sul lato destro della corte gli edifici sono ancora quattrocenteschi, mentre la barchessa viene costruita all’inizio dell’Ottocento. In ogni caso, il corpo della villa è uno degli esiti più felici fra le realizzazioni palladiane degli anni ’40. Di straordinaria semplicità, quasi ascetico, l’edificio è un puro volume costruito in mattoni e intonaco, dove ogni elemento decorativo è bandito e il raro impiego di pietra lavorata è limitato agli elementi architettonici più significativi (come finestre e portoni) e alle parti strutturali. È solamente il disegno dell’architettura a infondere ma© Carmen Menguzzato gnificenza all’edificio, a dispetto delle dimensioni ridotte, derivando i 48

DISCOVER PALLADIO

propri elementi dal tempio romano antico: il piano nobile è sollevato da terra e poggia su un podio, dove trovano spazio le cantine; la loggia in facciata è coronata da un timpano triangolare. Piccole finestre illuminano le soffitte, dove veniva conservato il grano. Anche in pianta la villa è di una semplicità disarmante: due ambienti minori destinati ad accogliere le scale determinano la forma a “T” della sala, ai cui lati sono disposte due coppie di stanze legate da rapporti proporzionali. La datazione dell’inizio dei lavori va collocata nel periodo di tempo che intercorre tra due stime fiscali: nella prima, del 1546, è ancora citato l’edificio dominicale preesistente, mentre nella seconda, datata 1555, è descritta la nuova villa palladiana. È possibile che la costruzione risalga al 1548, quando Biagio Saraceno acquisisce un’importante carica politica in città. In ogni caso è solo trent’anni più tardi che Pietro Saraceno, figlio di Biagio, realizza gli intonaci interni e avvia l’apparato decorativo, forse dovuto al Brusasorzi.


8

VILLA CALDOGNO (1545)

DISCOVER PALLADIO

© Luca Agnoletto

Nel 1541 Losco Caldogno, aristocratico vicentino e attivo commerciante di seta, ottiene in eredità una corte agricola e numerosi campi a Caldogno, a pochi chilometri a nord di Vicenza. Legato da stretti vincoli di parentela a committenti palladiani come i Muzani e successivamente i Godi, con buona probabilità commissionò a Palladio la ristrutturazione della corte agricola. Non si hanno elementi precisi circa la datazione dell’intervento: è possibile fissare l’inizio dei lavori al 1542, la casa è certamente abitabile nel 1567 e la data “1570” incisa sulla facciata indica probabilmente la fine delle opere di decorazione. Non esistono prove documentarie della paternità palladiana della villa, che non è inclusa nei Quattro Libri. La planimetria è molto semplice e le stanze non sono perfettamente proporzionate, ma molto probabilmente ciò deriva dal riutilizzo di murature preesistenti. In ogni caso, determinanti per un’attribuzione a Palladio risultano le analogie, soprattutto nel prospetto anteriore, con opere come villa Saraceno o villa Muzani.

Nel Seicento una terrazza e due torrette angolari modificano il prospetto posteriore. Intorno al 1570 affreschi di Giovanni Antonio Fasolo e di Giovanni Battista Zelotti nelle due stanze maggiori di sinistra trasformano gli spazi interni in una fastosa scenografia architettonica.

49


9

VILLA POJANA (1549)

La villa è commissionata a Palladio dal vicentino Bonifacio Poiana, di famiglia fedelissima alla Repubblica di San Marco, che possedeva sin dal Medioevo una giurisdizione di tipo feudale sui territori che portano il suo nome. Palladio probabilmente progetta la villa sul finire degli anni ’40, il cantiere procede a rilento e in ogni caso i lavori sono terminati entro il 1563, quando è compiuta la decorazione interna eseguita per mano dei pittori Bernardino India e Anselmo Canera e dello scultore Bartolomeo Ridolfi. Sia nei Quattro Libri sia nei disegni autografi palladiani conservati a Londra, la villa viene sempre trattata come parte di un globale progetto di riorganizzazione e regolarizzazione dell’area attorno ad ampi cortili. Di tale progetto tuttavia è stata costruita solamente la lunga barchessa a sinistra della villa, con capitelli dorici ma intercolumni tuscanici. Il complesso è completato nel Seicento, quando i discendenti di Bonifacio adattano l’edificio al loro gusto e alle loro necessità, con l’addizione di un corpo edilizio sulla destra della villa che ne riprende le modanature delle finestre. Disposta lontana dalla strada, all’interno di una profonda corte, e fiancheggiata da giardini, la villa si innalza su un basamento destinato 50

DISCOVER PALLADIO

agli ambienti di servizio. Il piano principale è dominato da una grande sala rettangolare voltata a botte, ai cui lati si distribuiscono simmetricamente le sale minori, coperte con volte sempre diverse. Evidentemente la fonte dell’ispirazione palladiana sono gli ambienti termali antichi, anche per gli alzati: il cornicione, che in facciata disegna una sorta di timpano interrotto deriva dal recinto esterno delle terme di Diocleziano a Roma, così come la serliana, che pure risente di sperimentazioni bramantesche nella configurazione a doppia ghiera con cinque tondi. Più in generale sembra che Palladio ricerchi la logica per così dire utilitaria dell’architettura termale antica, con un linguaggio straordinariamente sintetizzato nelle forme e astratto, quasi metafisico. Privo di capitelli e trabeazioni, l’ordine è appena accennato nell’articolazione essenziale delle basi dei pilastri. L’assenza di ordini e di parti in pietra lavorata (se non nei portali della loggia) deve avere assicurato una globale economicità nella realizzazione dell’opera, confermata dall’uso del mattone intonacato e del cotto sagomato, sul quale il recente restauro ha trovato traccia di policromie.


VILLA ANGARANO (1549)

10

DISCOVER PALLADIO

© Augusto Mia Battaglia

Della villa che Palladio progettò per il suo grande amico Giacomo Angarano nei dintorni di Bassano del Grappa esiste ben poco: solamente due barchesse che affiancano un corpo padronale dall’aspetto chiaramente seicentesco. La tavola dei Quattro Libri (II, p. 63) ci restituisce la planimetria del complesso nelle intenzioni dell’architetto: due barchesse piegate a “U” che serrano un corpo padronale fortemente sporgente. Dai documenti sappiamo che sul sito preesisteva un edificio abitato da Giacomo: probabilmente fu per questo che si iniziarono i lavori dalle barchesse, lavori che si arrestarono prima di coinvolgere la ristrutturazione dell’antica casa, attuata in seguito, non certo secondo il progetto palladiano. In realtà non è sicura nemmeno la data di progettazione della villa. Tradizionalmente viene fatta risalire alla fine degli anni ’40, con solide argomentazioni, ma è possibile che sia invece connessa all’improvvisa eredità del fratello Marcantonio che Giacomo ottiene nel 1554, anche considerando che due anni più tardi questi acquisirà importanti cariche pubbliche a Vicenza. Angarano è un appassionato di architettura e stretto amico di Palla-

dio, il quale nel 1570 gli dedica la prima metà dei Quattro Libri. Purtroppo, 18 anni più tardi Giacomo è costretto a restituire alla famiglia di sua nuora, rimasta vedova, l’intera dote, e ciò provoca un collasso finanziario che lo costringe a vendere la villa al patrizio veneziano Giovanni Formenti.

51


11

VILLA CHIERICATI (1550)

A dispetto della scarsa attenzione dedicatale dalla critica, villa Chiericati a Vancimuglio segna una tappa fondamentale nell’evoluzione del linguaggio palladiano perché per la prima volta un vero e proprio pronao di tempio antico viene applicato al corpo di una villa, dando origine a un motivo che diventerà una soluzione classica nei progetti successivi (per esempio nel caso della Rotonda e della Malcontenta). Il committente della villa è Giovanni Chiericati, fratello di Girolamo, per il quale negli stessi anni Palladio sta realizzando il palazzo all’Isola di Vicenza. Con buona probabilità il progetto per la villa è pressoché contestuale a quello per palazzo Chiericati, e quindi da far risalire ai primi anni ‘50, anche se nel 1554 il cantiere non risulta ancora aperto. Nel 1557, un anno prima della morte del committente, la villa è largamente incompiuta, tanto che nel 1564 risulta coperta ma ancora priva di solai e finestre, e non abitata. Acquistata da Ludovico Porto nel 1574, la villa è ultimata nel 1584 ad opera di Domenico Groppino, abituale collaboratore palladiano. 52

DISCOVER PALLADIO

Alcuni disegni e schizzi autografi conservati a Londra documentano il progetto originale palladiano per la villa, sensibilmente modificato in fase esecutiva: è sparito infatti il salone centrale biabsidato a favore di un semplice vano cubico. Il cambiamento di programma ha portato alla chiusura di una finestra termale ancora visibile nel progetto posteriore. In uno schizzo di studio si coglie anche una prima soluzione per un pronao con colonne anche sui fianchi, poi sostituita dall’attuale muro forato da un arco, garanzia di irrigidimento della struttura, secondo l’esempio antico del portico di Ottavia. L’esecuzione appare comunque molto poco controllata da Palladio, che sicuramente non avrebbe mai realizzato colonne prive di entasi, come invece appaiono. Inoltre la distribuzione interna a due sale frontali obbliga a porre la finestra in prossimità degli angoli della fabbrica: una disposizione sconsigliata anche nei Quattro Libri perché indebolisce eccessivamente l’angolo dell’edificio che, infatti, mostra visibili segni di cedimento.


12

VILLA TRISSINO (1553)

Nei Quattro Libri Palladio afferma di aver cominciato a Meledo una fabbrica di villa per i fratelli Ludovico e Francesco Trissino, figure di primo piano dell’aristocrazia vicentina e committenti palladiani non solo a Meledo ma anche per un proprio palazzo di città in contra’ Riale (1558) e per un piccolo villino suburbano. L’incisione del trattato restituisce una struttura imponente, articolata su più livelli, palesemente ispirata allo sviluppo dei complessi acropolici romani antichi. Non è possibile affermare se tale progetto avesse velleità esecutive. D’altro canto esistono tracce evidenti di un inizio di progetto palladiano nelle imponenti fondazioni in pietra degli edifici lungo il fiume e nelle due barchesse con colonne tuscaniche di ottima fattura. L’ipotesi più economica porta a pensare che sia esistito un progetto palladiano per villa Trissino, tuttavia non necessariamente identico a quello presentato nei Quattro Libri. Quest’ultimo sembra piuttosto lo sviluppo di un’ipotesi teorica imma-

DISCOVER PALLADIO

ginata per il sito reale di Meledo. L a torre colombara è fornita di camini e affrescata con grottesche da Eliodoro Forbicini (pittore veronese che aveva già lavorato nei palladiani palazzi Chiericati e Thiene), segno evidente di un utilizzo non solo utilitario.

53


13

VILLA PORTO (1554)

14

VILLA VALMARANA (1563)

© Antonio Tafuro

Nel 1554 Paolo Porto spartisce con i propri fratelli l’eredità paterna acquisendo un fondo a Vivaro, a nord di Vicenza, dove nei quattro anni seguenti realizza una villa che la tradizione vorrebbe progettata da Palladio. Il conte Paolo Porto, uno dei più potenti canonici della Cattedrale (nel 1550 è sul punto di diventare vescovo) è uomo colto e sofisticato, trascorre molto tempo a Roma dove è amico del cardinale Alessandro Farnese, e fra i suoi amici e parenti vicentini annovera committenti palladiani di primo piano come Giangiorgio Trissino, Biagio Saraceno, Bernardo Schio o Girolamo Garzadori. Tale rete di amicizie potrebbe averlo messo molto facilmente in contatto con Palladio, anche se, a ben guardare, l’architettura della villa pone più dubbi che certezze, mostrando diverse fasi costruttive successive che rendono ardua l’individuazione di un eventuale originario progetto palladiano: il pronao, ad esempio, si innesta con evidente discontinuità sul corpo dominicale. Senza dubbio ottocentesche sono invece le due ali laterali, frutto di una postuma palladianizzazione della villa ad opera dell’architetto Caregaro Negrin.

54

La villa che vediamo oggi è molto diversa da quella progettata da Palladio per Gianfrancesco Valmarana, intorno al 1563. Un’idea del progetto palladiano è resa nell’incisione dei Quattro Libri, che mostra una struttura con doppio ordine di logge serrate da torricelle su entrambi i fronti, ma il disegno in questo caso mostra — ancora più che altrove — diverse incertezze e imprecisioni. In ogni caso il cantiere della villa si interrompe nel 1566 per la morte di Gianfrancesco e viene probabilmente concluso in economia dal nipote Leonardo Valmarana (figlio di suo fratello Giovanni Alvise), committente della cappella Valmarana in Santa Corona ed erede del grande palazzo palladiano di famiglia. Il secondo ordine delle logge non venne mai costruito e il settore mediano fu concluso con una specie di attico. Quasi distrutta dai bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale, è stata ricostruita di recente.


15

VILLA FORNI (1565)

Villa Forni Cerato, come già casa Cogollo, rappresenta un caso esemplare di intervento palladiano su un edificio preesistente, trasformato pur con mezzi modesti in un significativo episodio monumentale. Come l’abitazione del notaio Cogollo, anche questa villa è l’unica progettata da Palladio per un proprietario certo ricco, ma non nobile: Girolamo Forni, agiato mercante di legnami, amico di artisti come il Vittoria e pittore egli stesso, collezionista di antichità e Accademico olimpico. È possibile che l’asciutto minimalismo di questo calibrato edificio sia in armonia con lo status, per così dire, borghese del proprietario. Proprio l’astratto linguaggio di villa Forni ha ingenerato dubbi sull’effettiva paternità palladiana, così come la planimetria estremamente semplice, priva delle consuete relazioni fra le dimensioni delle stanze, o la presenza di qualche disarmonia proporzionale fra le parti dell’edificio. In realtà la villa è l’esito della ristrutturazione della “casa vecchia” preesistente, e caso mai il punto di vista va rovesciato, cogliendo l’intelligenza palladiana nel trasformare vincoli condizionanti in opportunità espressive. Ne fa testo il chiaro disegno della serliana, con le colonne ricondotte a nitidi pilastri stereometrici in funzione della limitata larghezza della loggia (probabilmente dimensionata sul salone preesistente) o il fregio ridotto a una semplice fascia sotto il cornicione. Il prospetto della loggia, del resto, è concettualmente identico a quello di casa Cogollo, collegando una volta di più questi due edifici singolari.

16

VILLA PORTO (1572)

DISCOVER PALLADIO

Gli straordinari dieci fusti di colonne in mattoni che dominano la grande corte quattrocentesca dei Porto a Molina testimoniano l’inizio di un grandioso progetto che Palladio realizza per Iseppo (Giuseppe) Porto: il nome del committente è infatti inciso sui plinti delle splendide basi in pietra delle colonne, accanto alla data 1572. Ricco esponente di una delle più importanti famiglie vicentine, cognato di Adriano e Marcantonio Thiene (committenti dell’omonimo palazzo palladiano), Iseppo Porto già possedeva in città un grandioso palazzo realizzato da Palladio oltre vent’anni prima. Dai documenti d’archivio è possibile comprendere che le enormi colonne non sono il frammento di una barchessa monumentale, come quella per i Pisani a Bagnolo, ma piuttosto la fronte di un vero e proprio edificio residenziale in campagna. L’enorme colonnato corinzio, citazione diretta di quello del pronao del Pantheon, avrebbe raggiunto un’altezza complessiva di oltre tredici metri. Porticati più bassi a forma di quarto di cerchio, ancora visibili nell’Ottocento, avrebbero collegato il corpo padronale agli annessi agricoli a destra e sinistra. È interessante notare inoltre che, nel pubblicare il palazzo di città di Giuseppe Porto nei Quattro Libri, Palladio arricchisce il progetto originario con un cortile a ordine composito gigante, estremamente vicino a quello della villa alla Molina. La morte di Giuseppe nel 1580 provoca l’arresto del cantiere, mai completato. 55


LA GRANDE BELLEZZA

34


17

VILLA CAPRA (1566)

Icona universale delle ville palladiane, la Rotonda in realtà è considerata dal suo proprietario come una residenza urbana o, più propriamente, suburbana. Paolo Almerico vende infatti il proprio palazzo in città per trasferirsi appena fuori le mura e lo stesso Palladio, nei Quattro Libri, pubblica la Rotonda fra i palazzi e non già fra le ville. Del resto è isolata sulla cima di un piccolo colle e in origine era priva di annessi agricoli. Il canonico Paolo Almerico, per il quale Palladio progetta la villa nel 1566, è uomo di alterne fortune, rientrato infine a Vicenza dopo una brillante carriera alla corte papale. La villa è già abitabile nel 1569, ma ancora incompleta, e nel 1591, due anni dopo la morte di Almerico, viene ceduta ai fratelli Odorico e Mario Capra che portano a termine il cantiere. Subentrato a Palladio dopo il 1580, Scamozzi in sostanza completa il progetto con interferenze che studi recenti tendono a considerare molto limitate. Non certo villa-fattoria, la Rotonda è piuttosto una villa-tempio, un’astrazione, specchio di un ordine e di un’armonia superiori. Orientata con gli spigoli verso i quattro punti cardinali, vuole essere letta innanzitutto come un volume, cubo e sfera, quasi si richiamasse alle figure base dell’universo platonico. Certo le fonti per un edificio residenziale a pianta centrale sono diverse, dai progetti di Francesco di Giorgio ispirati a villa Adriana o dallo “studio di Varrone”, alla casa di Mantegna a Mantova (o la sua “Camera degli sposi” in palazzo Ducale), sino al progetto di Raffaello per villa Madama. Sta di fatto che la Rotonda resta un unicum nell’architettura di ogni tempo come se, costruendo una villa perfettamente corrispondente a se stessa, Palladio avesse voluto costruire un modello ideale della propria architettura. La decorazione dell’edificio è sontuosa, con interventi di Lorenzo Rubini e Giambattista Albanese (statue), Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Bascapè, Fontana e forse Alessandro Vittoria (decorazione plastica di soffitti e camini), Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e più tardi Ludovico Dorigny (apparati pittorici).

57


CAPPELLERIA PALLADIO DAL 1899

DISCOVER PALLADIO

INFO Cappelleria Palladio Piazzetta Palladio, 13 Centro storico Vicenza www. cappelleriapalladio.com info@cappelleriapalladio.it tel. +039 o444.324516

Attiva dall’inizio del 1900 in contra’ Pescherie Vecchie, allora piazza degli Zoccoli, la Cappelleria Palladio è nell’attuale sede dal 1959, specializzandosi sempre di più nella vendita di cappelli da uomo e da donna. Nel 2007 è stata dichiarata “Bottega Storica”. In tutti questi anni il rapporto con i clienti si è sempre più consolidato e rafforzato, essendo fondato su qualità, efficienza e affidabilità: caratteristiche che hanno conferito nel tempo la continuità e la motivazione per proporre versioni sempre nuove e innovative. L’intraprendenza, l’impegno, la costanza, hanno portato la Cappelleria Palladio ad un’elevata attitudine nel rispettare la tradizione, integrandosi al contempo con l’evoluzione della moda, arricchendosi

52

con modelli sempre più rispondenti alle attuali esigenze della vita moderna, compresa la vasta scelta di copricapi rivolti ai giovani in linea con l’evoluzione delle tendenza. Punti di forza che hanno rappresentato e rappresentano dei tratti vincenti per rivolgersi a tutte le fasce del mercato. Nell’antiquariato è immersa tutta l’atmosfera del negozio, a partire dal reparto ai cappelli femminili, arredato in stile Settecento veneziano, dove si rivive l’aria salottiera degli atelier fra drappeggi di velluto porpora e imponenti consoles dorate; il settore maschile, avvolto da atmosfere d’ispirazione austriaca e inglese, ospita svariati modelli in cui si riconoscono il talento e la fantasia produttiva di una professione in continua evoluzione.


12

VILLA TRISSINO (1553)

Nei Quattro Libri Palladio afferma di aver cominciato a Meledo una fabbrica di villa per i fratelli Ludovico e Francesco Trissino, figure di primo piano dell’aristocrazia vicentina e committenti palladiani non solo a Meledo ma anche per un proprio palazzo di città in contra’ Riale (1558) e per un piccolo villino suburbano. L’incisione del trattato restituisce una struttura imponente, articolata su più livelli, palesemente ispirata allo sviluppo dei complessi acropolici romani antichi. Non è possibile affermare se tale progetto avesse velleità esecutive. D’altro canto esistono tracce evidenti di un inizio di progetto palladiano nelle imponenti fondazioni in pietra degli edifici lungo il fiume e nelle due barchesse con colonne tuscaniche di ottima fattura. L’ipotesi più economica porta a pensare che sia esistito un progetto palladiano per villa Trissino, tuttavia non necessariamente identico a quello presentato nei Quattro Libri. Quest’ultimo sembra piuttosto lo sviluppo di un’ipotesi teorica imma-

DISCOVER PALLADIO

ginata per il sito reale di Meledo. L a torre colombara è fornita di camini e affrescata con grottesche da Eliodoro Forbicini (pittore veronese che aveva già lavorato nei palladiani palazzi Chiericati e Thiene), segno evidente di un utilizzo non solo utilitario.

53


LE VILLE

5

14

10

8

2

1 9

13

6

12 11

3

LE VILLE 4

7


MAPPA DELLE VILLE NEL VENETO

DISCOVER PALLADIO

1546

1. Villa Contarini a Piazzola sul Brenta

1554

8. Villa Zeno a Cessalto (TV)

1552

2. Villa Cornaro a Piombino Dese

1556

9. Barchessa di Villa Thiene a Villafanca (PD)

1552

3. Villa Pisani a Montagnana (PD)

1556

10. Villa Emo a Fanzolo (TV)

1554

4. Villa Badoer a Fratta Polesine (RO)

1561

11. Barchesse di Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo (VI)

1554

5. Villa Barbaro a Maser (TV)

1562

12. Villa Sarego a Miega, Veronella (VR)

1554

6. Villa Foscari a Mira (VE)

1565

13. Villa Sarego a Santa Sofia, Pedemonte (VR)

1554

7. Villa Mocenigo a Dolo

1580

14. Tempietto di Villa Barbaro a Maser (TV)

59


11

© Antonio Tafuro

DISCOVER PALLADIO


VILLA CONTARINI (1546)

1

DISCOVER PALLADIO

La magniloquente apparenza barocca con cui si presenta oggi villa Contarini è con buona probabilità il risultato della trasformazione seicentesca di una villa realizzata da Andrea Palladio negli anni ’40 per Paolo Contarini e i suoi fratelli. Dell’opera palladiana restano tracce in mappe e documenti d’archivio, anche se poco è ancora visibile nell’edificio trasformato a più riprese a partire dal 1662. Nel 1676 si procedette all’ampliamento e trasformazione dell’ala destra, con doppio ordine di colonne rustiche e telamoni, e una fastosa decorazione scultorea che invase anche il corpo principale della villa. Una mappa del 1788 documenta che a quella data esisteva già l’emiciclo di portici che delimita la grande piazza. Sui ruderi del castello ereditato dai Da Carrara, Francesco e Paolo Contarini fecero innalzare il corpo centrale del palazzo su progetto del Palladio che recupera lo zoccolo murario e le fondazioni del precedente edificio. In un disegno del 1556 il corpo centrale della villa appare in fase di costruzione, con due piani e due torrette che lo inquadrano, affiancato da due ali di rustici porticati, preceduto da un vasto cortile rettangolare e dotato di due barchesse. L’ampio sviluppo delle ali porticate, saldato al fabbricato della villa, si presta ad essere considerato un primo esempio nella produzione palladiana, di villa fattoria. Attualmemte di proprietà della Regione Veneto, è dotata di un immemso parco di 50 ettari. 61


VILLA CORNARO (1552)

2

DISCOVER PALLADIO

© Stefano Maruzzo

Insieme alla pressoché contemporanea Pisani di Montagnana, la villa realizzata a Piombino Dese per un altro potente patrizio veneziano, Giorgio Cornaro, segna un netto salto di scala nel prestigio e nella capacità di spesa della committenza palladiana, sino ad allora essenzialmente vicentina. Il cantiere è già in piena attività nel marzo del 1553, e nell’aprile dell’anno seguente l’edificio — pur incompleto — è abitabile, tanto da esservi documentato Palladio “la sera a zena” col padrone di casa. Quest’ultimo, con la novella sposa Elena, nel giugno dello stesso anno prende formalmente possesso della villa, o meglio del suo cantiere: a questa data risulta infatti realizzato solamente il blocco centrale, ma non le ali né il secondo ordine delle logge. A ciò si provvede in due campagne successive, nel 1569 e nel 1588, la seconda condotta da Vincenzo Scamozzi, probabilmente responsabile anche del coinvolgimento di Camillo Mariani nella realizzazione delle statue del salone. Le ville Pisani e Cornaro sono legate da molto più di una semplice coincidenza cronologica e dall’alto status del committente. Infatti anche la Cornaro ha una struttura e un decoro molto simili a un palazzo ed è più residenza di campagna che villa: isolata rispetto alla tenuta agricola e alle dipendenze, la sua posizione premi62

nente sulla strada pubblica ne rimarca il carattere ambivalente. Del resto i camini presenti in tutte le stanze ne provano un uso non solo estivo, e non a caso una struttura assai simile sarà replicata pochi anni più tardi per il palazzo “suburbano” di Floriano Antonini a Udine. Come per la Pisani, anche la planimetria di villa Cornaro è organizzata intorno a un grande ambiente con quattro colonne libere, qui per altro spostato più al centro della casa e quindi più propriamente salone, a cui si accede con la mediazione della loggia o di uno stretto vestibolo. I due livelli della villa sono connessi da due eleganti scale gemelle che separano nettamente un piano terra, per l’accoglienza di ospiti e clientes, dai due appartamenti superiori riservati ai coniugi Cornaro. Lo straordinario pronao aggettante a doppio ordine riflette la soluzione palladiana della loggia di palazzo Chiericati a Vicenza, ultimata negli stessi anni, con il tamponamento laterale a dare rigidezza alla struttura, come nel Portico di Ottavia a Roma. Va considerato del resto che il tema della doppia loggia in facciata è frequente anche nell’edilizia gotica lagunare, così come colonne libere sostengono i pavimenti dei saloni delle grandi Scuole di Venezia: si tratterebbe quindi di una sorta di “traduzione in latino” di temi tradizionali veneziani.


3

VILLA PISANI (1552)

A partire dal 1552, nelle adiacenze del borgo medievale di Montagnana, Palladio realizza per l’amico Francesco Pisani un edificio che è insieme palazzo di città e casa di villa. Potente e influente patrizio veneziano, Pisani è un mecenate e amico di artisti e letterati, da Paolo Veronese a Giambattista Maganza, ad Alessandro Vittoria e allo stesso Palladio, questi ultimi entrambi coinvolti nella costruzione e decorazione della sua casa a Montagnana. Il cantiere è sicuramente attivo durante il settembre 1553 e risulta concluso nel 1555, compresa la decorazione plastica. Privo di parti destinate a funzioni agricole, di bellezza astratta nel volume pressoché cubico, villa Pisani ben riflette il gusto sofisticato del proprietario. Per la prima volta compare in villa un doppio ordine di semicolonne e un doppio loggiato coronato da timpani, soluzione già incontrata in palazzo Chiericati. Il tutto cinto da un ininterrotto ed elegante fregio dorico su una tessitura di intonaco bianco a bugne graffite. Nel fronte sul giardino la bidimensionalità della parete si movimenta nello scavo plastico del portico e della loggia superiore. Pur non esistendo disegni autografi palladiani relativi all’edificio, è possibile affermare che la tavola con la descrizione della villa dei Quattro Libri è frutto di un ampliamento a posteriori dell’invenzione realizzata.

DISCOVER PALLADIO

Caso raro nella produzione palladiana, la villa è a due piani: il superiore con gli appartamenti padronali, l’inferiore per la vita di tutti i giorni, quando si trattano affari e si ricevono i fittavoli, e non solo d’estate come provano i numerosi camini. I due livelli presentano la medesima articolazione degli spazi interni. Diversi sono invece i soffitti, che al piano terreno sono voltati, a partire dallo straordinario ambiente a semicolonne, una via di mezzo fra atrio e salone, chiaramente l’ambiente più importante della casa con sculture delle Quattro stagioni di Alessandro Vittoria, poco prima impegnato nel palladiano palazzo Thiene. I collegamenti verticali sono assicurati da simmetriche scale a chiocciola ovate ai lati della loggia verso il giardino.

63


4

VILLA BADOER (1554)

Ai confini meridionali dei territori della Serenissima, nelle piatte e nebbiose lande del Polesine, Palladio progetta nel 1554 una villa per il nobile veneziano Francesco Badoer, destinata a diventare il baricentro della vasta tenuta agricola di quasi cinquecento campi da questi ricevuta in eredità sei anni prima. Costruita e abitata nel 1556, la villa doveva quindi essere funzionale alla conduzione dei campi e insieme segno visibile della presenza, per così dire feudale, dei Badoer sul territorio: non a caso l’edificio sorge sul sito di un antico castello medievale. Palladio riesce a unire in una sintesi efficace entrambi i significati, collegando il maestoso corpo dominicale alle due barchesse piegate a semicerchio che schermano le stalle e altri annessi agricoli. Probabilmente sfruttando le sottostrutture del castello medievale, il corpo dominicale della villa sorge su un alto basamento, richiamando precedenti illustri come villa Medici a Poggio a Caiano di Giuliano da Sangallo, o la poco lontana villa dei Vescovi a Luvigliano di Falconetto. Ciò rende necessaria una scenografica scalinata a più rampe, la principale a scendere nella corte, e le due laterali a connettersi con le testate delle barchesse, ricordando così la struttura di un tempio antico su terrazze. Le elegantissime barchesse curvilinee sono le uniche concretamente realizzate da Palladio fra le molte progettate (per esempio per le ville 64

DISCOVER PALLADIO

Mocenigo alla Brenta, Thiene a Cicogna o villa Trissino a Meledo) e la loro forma — scrive lo stesso Palladio — richiama braccia aperte ad accogliere i visitatori: fonte antica di riferimento sono molto probabilmente le esedre del tempio di Augusto a Roma. Nelle barchesse Palladio usa l’ordine tuscanico, adeguato alla loro funzione e alla possibilità di realizzare intercolumni molto ampi che non intralcino l’accesso dei carri. La loggia della villa mostra invece un elegante ordine ionico a enfatizzare il ruolo di residenza dominicale. Il fuoco visivo dell’intero complesso è calibrato proprio sull’asse dominato dal grande frontone triangolare retto dalle colonne ioniche, su cui campeggia lo stemma familiare, tanto che i fianchi e il retro della villa non sono assolutamente caratterizzati e presentano un disegno semplicemente utilitario. Per il resto la struttura distributiva del corpo dominicale presenta la consueta organizzazione palladiana lungo un asse verticale, con il piano interrato per gli ambienti di servizio, il piano nobile per l’abitazione del padrone e infine il granaio. Tutte le sale sono coperte da soffitti piani e sulle pareti Giallo Fiorentino ha disegnato complessi intrecci di figure allegoriche dai significati in parte ancora oscuri.


5

VILLA BARBARO (1554)

DISCOVER PALLADIO

© Stefano © Maruzzo Stefano Maruzzo

All’inizio degli anni ’50, la realizzazione della villa per i fratelli Barbaro a Maser costituisce per Palladio un punto di arrivo importante nella definizione della nuova tipologia di edificio di campagna. Per la prima volta infatti (anche se la soluzione ha precedenti in ville quattrocentesche) la casa dominicale e le barchesse sono allineate in un’unità architettonica compatta. Se è vero che per molti versi la villa mostra marcate differenze rispetto alle altre realizzazioni palladiane, ciò è senza dubbio frutto dell’interazione fra l’architetto e una committenza d’eccezione. Daniele Barbaro è un uomo raffinato, profondo studioso d’architettura antica e mentore di Palladio dopo la morte di Trissino nel 1550: sono insieme a Roma nel 1554 per completare la preparazione della prima traduzione ed edizione critica del trattato di Vitruvio, curata da Barbaro e illustrata da Palladio, che vedrà le stampe a Venezia nel 1556. Marcantonio Barbaro, energico politico e amministratore, ha un ruolo chiave in molte scelte architettoniche della Repubblica e col fratello Daniele è instancabile promotore dell’inserimento di Palladio nell’ambiente veneziano. Intendente d’architettura egli stesso, riceve un esplicito omaggio da Palladio nei Quattro Libri per l’ideazione di una scala ovata. Nella costruzione della villa Palladio interviene con abilità, riuscendo a trasformare una casa preesistente agganciandola alle barchesse

rettilinee e scavando sulla parete del colle un ninfeo con una peschiera dalla quale, grazie a un sofisticato sistema idraulico, l’acqua viene trasportata negli ambienti di servizio e quindi raggiunge giardini e brolo. Nella didascalia della pagina dei Quattro Libri che riguarda la villa, Palladio mette in evidenza proprio questo exploit tecnologico che si richiama all’idraulica romana antica. È evidente che, piuttosto che le venete ville-fattoria, il modello di villa Barbaro sono le grandi residenze romane, come villa Giulia o quella che Pirro Ligorio realizzava a Tivoli per il cardinale Ippolito d’Este (al quale per altro Barbaro dedica il Vitruvio). All’interno della villa Paolo Veronese realizza quello che è considerato uno dei più straordinari cicli di affreschi del Cinquecento veneto. La forza e la qualità dello spazio illusionistico che si sovrappone a quello palladiano hanno fatto pensare a una sorta di conflitto fra pittore e architetto, tanto più che Veronese non viene citato nella didascalia della tavola dei Quattro Libri dedicata alla villa. Del resto, evidentemente influenzato (e probabilmente intimorito) dal gusto e dalla personalità dei Barbaro, è molto probabile che Palladio si sia ritagliato per sé un ruolo tecnico e di coordinamento generale, lasciando ai committenti — se non, secondo alcuni, allo stesso Veronese — largo spazio per l’invenzione: lo prova il fantasioso disegno della facciata che difficilmente può essergli attribuito. 65


VILLA FOSCARI (1554)

6

DISCOVER PALLADIO

© Stefano Maruzzo

La villa che Palladio realizza per i fratelli Nicolò e Alvise Foscari intorno alla fine degli anni ’50 sorge come blocco isolato e privo di annessi agricoli ai margini della Laguna, lungo il fiume Brenta. Più che come villa-fattoria si configura quindi come residenza suburbana, raggiungibile rapidamente in barca dal centro di Venezia. La famiglia dei committenti è una delle più potenti della città, tanto che la residenza ha un carattere maestoso, quasi regale, sconosciuto a tutte le altre ville palladiane, cui contribuisce la splendida decorazione interna, opera di Battista Franco e Gian Battista Zelotti. La villa sorge su un alto basamento, che separa il piano nobile dal suolo umido e conferisce magnificenza all’edificio, sollevato su un podio come un tempio antico. Nella villa convivono motivi derivanti dalla tradizione edilizia lagunare e insieme dall’architettura antica: come a Venezia la facciata principale è rivolta verso l’acqua, ma il pronao e le grandi scalinate hanno a modello il tempietto alle fonti del Clitumno, ben noto a Palladio. Le maestose rampe di accesso gemelle imponevano una sorta di percorso cerimoniale agli ospiti in visita: approdati davanti all’edificio, ascendevano verso il proprietario che li attendeva 66

al centro del pronao. La tradizionale soluzione palladiana di irrigidimento dei fianchi del pronao aggettante tramite tratti di muro viene sacrificata proprio per consentire l’innesto delle scale. La villa è una dimostrazione particolarmente efficace della maestria palladiana nell’ottenere effetti monumentali utilizzando materiali poveri, essenzialmente mattoni e intonaco. Come è ben visibile a causa del degrado delle superfici, tutta la villa è in mattoni, colonne comprese (tranne quegli elementi che è più agevole ricavare scolpendo la pietra: basi e capitelli), con un intonaco a marmorino che finge un paramento lapideo a bugnato gentile, sul modello di quello che compare talvolta sulla cella dei templi antichi. La facciata posteriore è uno degli esiti più alti fra le realizzazioni palladiane, con un sistema di forature che rende leggibile la disposizione interna; si pensi alla parete della grande sala centrale voltata resa pressoché trasparente dalla finestra termale sovrapposta a una trifora. In quest’ultima è chiarissimo il rimando al prospetto di villa Madama di Raffaello, documentando un debito di conoscenza che Palladio non ammetterà mai direttamente.


7

VILLA ZENO (1554)

DISCOVER PALLADIO

Disegni di Bertotti Scamozzi

Non è certa la datazione del progetto per la villa Zeno a Cessalto, una delle meno conosciute e certo la più orientale (geograficamente parlando) fra le ville palladiane. Ipotesi recenti fissano il progetto al 1554, vale a dire non appena Marco Zeno acquisisce la proprietà della tenuta di Cessalto, e ciò è ben compatibile con le evidenti affinità formali con altre ville dello stesso periodo come Saraceno e Caldogno. Sicuramente autografa, è pubblicata sui Quattro Libri con grandi barchesse ad angolo retto, in realtà non realizzate sino ai primi decenni del Seicento. Senza dubbio il progetto palladiano interviene trasformando un edificio preesistente, e ciò potrebbe spiegare alcune singolarità della pianta. Pesantemente modificata nel corso dei secoli, attualmente la villa non mostra più la finestra termale originaria, tamponata nel Settecento 67


8

VILLA EMO (1556)

DISCOVER PALLADIO

© Stefano Maruzzo

La villa palladiana quale esito di una nuova tipologia, dove le necessità pratiche della vita agricola sono tradotte in forme inedite e in un Maruzzo linguaggio nuovo ispirato all’architettura antica, ha senza dubbio un punto di approdo definitivo in villa Emo. Gli edifici funzionali alla conduzione delle campagne, che nella villa quattrocentesca sono casualmente disposti intorno all’aia, in villa Emo raggiungono una sintesi architettonica mai vista prima, che riunisce in un’unitïà lineare casa dominicale, barchesse e colombare. La datazione della fabbrica è controversa, ma dovrebbe fissarsi al 1558, dopo le ville Barbaro e Badoer, con le quali condivide l’impostazione generale. Ormai accettato dalle grandi famiglie aristocratiche veneziane, Palladio costruisce la villa per Leonardo Emo, la cui famiglia possedeva proprietà a Fanzolo dalla metà del Quattrocento. La zona era attraversata dall’antica via Postumia, e la trama dei campi seguiva la griglia della centuriazione romana. 68

La villa è orientata secondo tale trama antica, come si può ben cogliere dagli ingressi all’edificio, allineati in una lunghissima prospettiva. La composizione del complesso è gerarchica, dominata dall’emergenza della casa del padrone, innalzata su un basamento e collegata al suolo da una lunga rampa di pietra; ai fianchi due ali rettilinee e simmetriche di barchesse sono concluse da altrettante torri colombare. Il purismo del disegno è sorprendente quanto calibrato: basti guardare come le colonne estreme della loggia sono assorbite dal muro per 1/4 del loro diametro e graduano il passaggio dalla cavità in ombra alle pareti in piena luce. L’ordine scelto è il dorico, il più semplice, e persino le finestre sono prive di cornici. Alla logica stereometrica degli esterni corrisponde una decorazione interna straordinaria, opera di Battista Zelotti, che era già intervenuto nei cantieri palladiani di villa Godi e della Malcontenta.


9

VILLA SAREGO (1562)

DISCOVER PALLADIO

Nel 1552 Annibale Serego, a conclusione delle divisioni ereditarie con il fratello Marcantonio, entra in possesso di campi con corte, casa e brolo alla Miega. Ivi il 22 luglio 1562 risulta presente Palladio sulla via del ritorno da Brescia. Quindi a questo periodo dovrebbe risalire il progetto, noto dalle tavole dei Quattro Libri. La tipologia della villa riporta alle fabbriche a doppia loggia di Piombino Dese, Montagnana, Udine e al palazzo suburbano ai Portoni della Bra’ a Verona per Giambattista Della Torre, cognato di Annibale. Il cantiere inizia solo nel luglio del 1564, senza la soprintendenza del maestro, per interrompersi nel 1566. La porzione di fabbrica costruita, circa un terzo, già in cattivo stato al tempo di Francesco Muttoni (1740), è stata demolita nel secondo decennio del ‘900. Sopravvivono un capitello ionico, frammenti di fregio, due camini monumentali (riciclati nel villino novecentesco che ha sostituito il frammento palladiano), tratti di barchesse ad arcate rimaneggiate nel ‘600.

10

BARCHESSA THIENE (1562)

La barchessa oggi esistente è l’unica parte realizzata di un ambizioso progetto redatto da Andrea Palladio per Francesco Thiene e i suoi figli Odoardo e Teodoro. Nei Quattro Libri Palladio dichiara che fu Francesco a dare inizio al cantiere, e poiché questi morì nel 1556 è probabile che il progetto palladiano sia stato redatto poco prima. Nel 1563 il cantiere è in piena attività, e una mappa dell’anno successivo ben rappresenta lo stato dei lavori, che si arrestano nel 1567, quando Odoardo abbandona precipitosamente Vicenza per fuggire in terra protestante per motivi religiosi. Andrea Palladio era probabilmente amico personale di Odoardo, tanto è vero che lo assiste nel momento concitato della fuga, presenziando all’atto notarile di nomina del fratello Teodoro a procuratore delle proprietà abbandonate forzosamente dietro di sé. Il progetto di villa Thiene è documentato dall’incisione dei Quattro Libri. Decisamente ambizioso, era caratterizzato da una grande loggia a ordine gigante, serrata da torri ai quattro angoli dell’edificio. Della barchessa realizzata esiste un disegno di mano di Marcantonio Palladio, assai vicino all’eseguito. Essa sarebbe stata connessa al corpo dominicale da due porticati ricurvi, che pressoché negli stessi anni Palladio progettava per villa Badoer a Fratta Polesine. 69


11

VILLA SEREGO - S. SOFIA (1565)

Isolata all’estremo occidente della “geografia palladiana” del Veneto e una delle ultime fabbriche di villa progettate da Palladio, villa Serego a Santa Sofia rappresenta per molti versi un episodio eccezionale. A differenza della villa-tipo palladiana, generalmente un organismo fortemente gerarchizzato e dominato dal “pieno” della casa dominicale, Palladio preferisce qui articolare lo spazio attorno al grande “vuoto” del cortile centrale, prendendo probabilmente a modello le proprie ricostruzioni della villa romana antica. Anziché di mattoni e intonaco, le grandi colonne ioniche sono realizzate con blocchi di pietra calcarea appena sbozzati e sovrapposti a creare pile irregolari: il tipo di materiale utilizzato (proveniente dalle cave che i Serego possedevano poco lontano) e la dimensione gigantesca delle colonne contribuiscono a generare una sensazione di potenza mai raggiunta da nessun’altra villa realizzata. Il committente è il veronese Marcantonio Serego, che entra in possesso della proprietà di Santa Sofia nel 1552 ma solamente dal 1565 decide di rinnovare radicalmente il complesso edilizio ereditato dal padre. 70

DISCOVER PALLADIO

Poche e frammentarie sono purtroppo le notizie che riguardano le vicende costruttive del complesso, che venne realizzato solo in piccola parte rispetto alla grande estensione disegnata da Palladio nei Quattro Libri: meno della metà del cortile rettangolare e in particolare la sezione settentrionale. Nel 1740 Francesco Muttoni poté vedere il tracciato dell’intero cortile scandito dalle basi già poste in opera delle colonne che avrebbero dovuto completarlo. È dunque ipotizzabile che con la morte di Marcantonio negli anni ’80 del Cinquecento i lavori siano stati definitivamente interrotti, anche se pare dimostrata la volontà di concludere almeno la parte del complesso riservata agli appartamenti signorili. Entro la metà dell’Ottocento la villa subì notevoli mutamenti a opera dell’architetto Luigi Trezza: nuovi ambienti abitabili vennero ad aggiungersi lungo il lato occidentale dell’edificio, innestandosi al tratto originale cinquecentesco e in parte manomettendolo, mentre alle testate del cortile lasciate incompiute veniva data un’immagine definitiva facendo girare trabeazione e balaustra.


12

TEMPIETTO VILLA BARBARO (1580)

DISCOVER PALLADIO

Ai piedi del declivio su cui sorge villa Barbaro, Palladio realizza un raffinato tempietto destinato ad assolvere la doppia funzione di cappella di villa e chiesa parrocchiale per il Borgo di Maser. Non si conosce con certezza la data di inizio dei lavori di costruzione. Nel fregio sono incisi il millesimo 1580, i nomi del patrono, Marcantonio Barbaro, e di Palladio. Insieme al Teatro Olimpico il tempietto è l’ultima opera di Palladio, che la tradizione vuole morto proprio a Maser. I modelli di riferimento dell’edificio sono evidentemente il Pantheon, ma anche la ricostruzione offerta dallo stesso Palladio del tempio di Romolo sulla via Appia. Al tempo stesso è possibile che sul tempietto convergano le riflessioni palladiane per la soluzione a pianta centrale del progetto per il Redentore, poi abbandonata a favore della variante longitudinale, ma che proprio Marcantonio Barbaro aveva sostenuto in prima persona. La planimetria dell’edificio è innovativa perché combina insieme un cilindro e una croce greca. Quattro massicci pilastri servono a contraffortare la cupola, che è ispirata espressamente a quella del Pantheon e quindi “all’antica”, a differenza di quelle di San Giorgio e del Redentore. Molti studiosi stentano a riferire a Palladio la ricca decorazione a stucco dell’interno, che tuttavia è molto simile a quella presente all’interno e all’esterno dei palazzi palladiani degli anni ’70.

© Stefano Maruzzo

71


AZIENDE ASSOCIATE CONSORZIO DI TUTELA PROSCIUTTO VENETO DOP

L’arte di far prosciutti Il Consorzio di Tutela del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo nasce a Montagnana il 10 giugno 1971 tra i produttori operanti nella pianura compresa tra i Colli Berici e gli Euganei, con l’obiettivo di tutelare l’origine e la qualità del prodotto, il Prosciutto, che qui ancora oggi viene lavorato secondo antiche usanze e tradizioni. “Il 25 novembre, giorno di S. Caterina, le Fiere di Montagnana e dei paesi della dorsale Berico-Euganea segnavano l’inizio delle contrattazioni delle cosce, destinate a diventar prosciutti in mano ad alcuni salumieri, i piu’ intraprendenti e capaci, progenitori degli attuali produttori Veneti. Mani esperte le massaggiavano e le cospargevano di sale secondo le regole della scuola Veneta, ancor oggi rigidamente applicate.” Nel 1996 l’Unione Europea assegna al Prosciutto Veneto la D.O.P. Denominazione di Origine Protetta, marchio che garantisce lo strettissimo legame tra la produzione ed il suo territorio, 15 comuni posti tra i Colli Berici ed Euganei, con Montagnana che ne è il centro più rinomato e sede del Consorzio. Oggi il Prosciutto che rispetta il disciplinare viene marchiato a fuoco con il Leone di San Marco e la scritta “VENETO”, non prima di 12 mesi di stagionatura, che possono diventare anche 19-20. Una lunga attesa per far acquisire al prosciutto tutta la sua fragranza, il suo colore rosato e la sua straordinaria dolcezza.

CONSORZIO DI TUTELA PROSCIUTTO VENETO DOP


FRE SCO

ME ZZANO

STAGI ONAT U RA 1 / 2 M ESI (M ORB I D O E D OLC E)

STAGI ONAT U RA 4 / 6 M ESI (GU STOSO E SAPORI TO)

V ECC H IO

STRAV ECC H IO

STAGI ONAT U RA 1 0 + M ESI (F RAGRANT E E D EC I SO)

STAGI ONAT U RA 1 5+ M ESI (I NT ENSO E L EGGERM ENT E P I CC AN T E )


DISCOVER PALLADIO

RELAIS CASTELLO BEVILACQUA NEL CUORE DELLA STORIA Suggestivo per la sua posizione e affascinante per la sua impeccabile eleganza, il Castello Bevilacqua vi conquisterà sin dal primo istante. Ricavato dai resti di una fortezza scaligera risalente al XIV sec., il Castello Bevilacqua si trova nel cuore di un parco di 25.000 mq ed è circondato sui tre lati da un giardino pensile (secondo in Europa per estensione). Dopo 700 anni di storia, la fam. Cerato-Iseppi si è occupata del restauro nel rispetto dello stile cinquecentesco: con mano attenta e sapiente sono stati riportati all’antico splendore gli interni del Sanmicheli, gli antichi saloni nobili e il cortile interno circondato da armoniosi porticati e impreziosito da un pozzo di marmo rosa di Verona. Attraverso una successione di arcate si entra nell’antico ed imponente complesso immergendo il visitatore in un’atmosfera d’altri tempi. Le pareti dai toni pastello, i tendaggi e l’arredamento creano uno scenario incantevole all’altezza degli standard più prestigiosi di ospitalità. Il castello fa da cornice a banchetti, eventi, matrimoni e offre eleganti spazi per congressi e meeting. RISTORANTE E HOTEL Nelle cucine del Castello chef qualificati accompagnano l’ospite del relais e non solo, in un viaggio nei sapori tradizionali che parla di genuinità e racconta tutta la semplicità che nasce dalla più raffinata elaborazione. Il menù porta in tavola i migliori piatti della cucina italiana e locale abbinati ai vini più prestigiosi. E’, inoltre, possibile soggiornare avvolti da queste antiche mura scegliendo tra una delle 7 suite create per vivere un’esperienza indimenticabile: letti a bal74

dacchino, magnifici affreschi e ampie vasche idromassaggio per concedervi una vacanza di relax, lontano dalle routine di tutti i giorni. EVENTI & MEETING Nella cornice del Relais Castello Bevilacqua ogni evento è unico e di successo, grazie ad un contesto inedito ed esclusivo dove lusso e funzionalità lavorano insieme nel rispetto di un’ospitalità di alto livello. Una location esclusiva per matrimoni, ricevimenti e banchetti. Gli eleganti saloni e i giardini pensili sono una cornice unica e suggestiva in tutte le stagioni, anche in inverno. Particolarmente attento alla clientela business, il Relais Castello Bevilacqua accoglie meeting ed eventi di grande charme. Le sale, modulabili e attrezzabili con la miglior tecnologia, possono ospitare dal più informale incontro alla cena di gala, trovando nei saloni affrescati del castello una location inedita ed esclusiva. A disposizione del cliente la professionalità di tutto il nostro staff. La qualità della cucina interna, disponibile anche per servizi banqueting e catering, e la personalizzazione di ogni dettaglio, sono gli ingredienti che vi offriamo per il successo di ogni evento.

IL CASTELLO BEVILACQUA Via Roma 50, Bevilacqua - Verona www.castellobevilacqua.com info@castellobevilacqua.com T. +39 0442 93655 F. +39 0442 642192 Whatsapp: +393924571146


DISCOVER PALLADIO

VISIT MONTAGNANA

Montagnana è un sensazionale borgo medievale perfettamente conservato, giunto ai nostri tempi per raccontarci un passato glorioso. Arrivando dalla compagna circostante, si resta a bocca aperta nel trovarselo innanzi! Una dama elegante che affiora tra verdi prati circostanti. La sensazione è quella di piombare in un’altra epoca in un istante, e torna la voglia di sognare... un richiamo a dame, vassalli e cavalieri in una delle città meglio conservate d’Europa! Il nome potrebbe far sorridere se di pensa che questa cittadina, protetta da una cinta di mura tardo-medievali tra le più spettacolari d’Europa, si trova in una zona pianeggiante. Essendo attestato un fundus enianus, il nome deriverebbe dal diffusissimo nome locale Motta aggiunto a Eniana. Racchiusa in una cinta medievale intatta che si staglia imponente per circa 2 km, meravigliosamente decorate da 24 torri di guardia, il borgo di Montagnana è molto suggestivo, caratterizzato da portici, casette colorate e stradine acciottolate che si snodano fra piazze, monumenti e negozietti di vario genere. Non visitare Montagnana è come perdersi una delle gemme più belle d’Italia! Nessun invasore all’orizzonte... Soltanto turisti e visitatori alla ricerca di torri, castelli e ricordi medievali.

Info: info@visitmontagnana.it www.visitmontagnana.it Cell. +39 335.7982865 75


DISCOVER PALLADIO

VILLA FOGAZZARO - COLBACHINI La lunga storia della proprietà, antico possedimento della Repubblica Serenissima di Venezia, prende il via nella seconda metà del ‘400 come residenza estiva dei nobili Chiericati, cui succederanno i Caldogno. Nel 1824 la proprietà viene acquistata dalla famiglia Fogazzaro, quindi passerà ai Roi per poi diventare proprietà Colbachini nel 1990. Ogni famiglia che si succederà nella gestione del vasto complesso architettonico-paesaggistico lascerà le proprie tracce, ma le trasformazioni che più caratterizzano il sito provengono dalla famiglia Fogazzaro. E’ don Giuseppe Fogazzaro, appassionato botanico e zio dello scrittore Antonio, a definire l’attuale parco che vive nelle pagine di Piccolo Mondo Moderno. Protagonista indiscusso della proprietà Colbachini, assieme alla villa, è certamente il parco romantico. Dal 1846, oltre ad occuparsi della radicale trasformazione della villa, l’architetto Antonio Caregaro Negrin interviene anche nel parco e nel giardino all’italiana. Una fitta vegetazione fa da cornice naturale alla proprietà. Passeggiare nel parco significa attraversare corsi d’acqua, indugiare su dolci declivi, farsi stupire dall’impatto scenografico dei maestosi taxodium distichum, le cui nodose radici emergono fitte dal terreno. Significa meravigliarsi per la bellezza di ultracentenari platani, pioppi, faggi, olmi, salici, ontani… e, ancora, fermarsi al sottopasso del galoppatoio e immaginare la natura selvaggia oltre la zona dei ruderi del parco San Marco. I due maestosi alberi censiti dal WWF, il 76

calocedro e il pino silvestre, dominano il giardino all’italiana, composto da otto aiuole perimetrali che ne cingono altre quattro di minore dimensione e coltivate a roseto, al cui centro si trova una vasca con piante acquatiche. Il percorso tra le aiuole è delimitato da vialetti in ghiaino bordati con siepe di bosso nano. E’ in questa cornice architettonicopaesaggistica di accattivante fascino e bellezza che trova la sua straordinaria collocazione il Muvec - Fondazione Museo Veneto delle Campane Daciano Colbachini -. Il museo, che si sviluppa su 5 sale, un cortiletto e un giardino, è la più ricca e curata collezione di campane esistente in Italia, la seconda in Europa ed onora la secolare tradizione imprenditoriale della famiglia Colbachini (ora IVG Colbachini S.p.A.), avviata nel 1745 con l’attività di fusione delle campane. La notevole e pregiata collezione raccoglie più di 200 campane prodotte da diverse famiglie di fonditori e provenienti da Europa, Cina, Thailandia, India, Ucraina, attraverso un arco di tempo che va dall’epoca romana ai nostri giorni. Agli straordinari esemplari si affianca una fitta attività didattica e di programmazione culturale che, ad oggi, fanno del Muvec una dinamica fucina di idee e progetti che prendono vita attraverso itinerari didattici, concerti, eventi stagionali, mostre temporanee. Per informazioni su visite, orari di apertura: www.muvec.it, info@muvec.it tel. 0444 737526 Villa Fogazzaro-Colbachini Via Fogazzaro 3, Montegalda (VI)


VILLA VALMARANA

DISCOVER PALLADIO

Villa Valmarana ai Nani, situata a pochi chilometri dal centro storico di Vicenza, custodisce dal 1757 uno dei più celebri cicli ad affresco dei Tiepolo, padre e figlio. La villa, visitabile tutti i giorni dell’anno, si pone all’avanguardia nell’offerta di servizi al visitatore e per le nuove tecnologie abbinate ai capolavori tiepoleschi. Villa Valmarana offre inoltre la possibilità di soggiornare nelle due Suite “Achille” e “Ifigenia”, ricavate al piano superiore della Palazzina. Le suite (circa 115 mq ciascuna) sono dotate di ogni comfort moderno, sono impreziosite dagli arredi originali finemente restaurati ed ospitano fino a 4 persone ciascuna.

VILLA PIOVENE PORTO GODI

Già prima del ‘500, nel sito dell’attuale Villa, esisteva una casa dominicale dei conti Godi. Su questo edificio, per incarico del conte Camillo Godi, venne edificato nel 1597, su disegno dell’architetto Vincenzo Scamozzi, l’attuale Villa Piovene. In quanto centro amministrativo della proprietà Scamozzi la progettò essenziale nelle forme e priva di decorazioni architettoniche, ma perfettamente strutturata per essere utilizzata al meglio per la gestione degli affari e dei ricevimenti.

La splendida cornice della Villa si presta infine ad ospitare eventi esclusivi come matrimoni, convegni, serate celebrative, servizi fotografici.

La Villa si trova a 10 km da Vicenza, a Sarmego di Grumolo delle Abbadesse ed è stata restaurata per ospitare riunioni culturali, meeting aziendali, convegni, sfilate di moda, matrimoni. Un vasto parco con alberi secolari di 25.000 mq. circonda la Villa conferendole grande fascino pur lasciando ampi spazi per eventi all’esterno; gli ampi portici delle barchesse, consentono riunioni estive. Ampio parcheggio interno.

Info: palazzina.villavalmarana.com contact@villavalmarana.com +39 333 5973054

Info: info@villagodipiovene.it www.villagodipiovene.it Cell. 333 2566556 - 348 7817645

77


DISCOVER PALLADIO

VILLA FOSCARINI ROSSI Lungo le rive del fiume Brenta sorge Villa Foscarini Rossi, un prestigioso complesso seicentesco, costituito da tre edifici: Villa padronale, Foresteria e Scuderia. L’insieme fu realizzato, nel tardo ‘500 dall’architetto Vincenzo Scamozzi per volere della nobile famiglia veneziana Foscarini. La Foresteria, nacque come luogo destinato ad ospitare gli ospiti illustri, che animavano l’elegante Salone delle Feste, decorato nel 1652 da Domenico De Bruni e Pietro Liberi. Oggi, dopo un accurato restauro, Villa Foscarini Rossi è tornata a nuova vita. La Foresteria vive di eventi aggregativi di diverso genere: concerti, meeting, esposizioni, eventi aziendali, eventi culturali e matrimoni. La Villa padronale ospita il Museo della Calzatura; percorrendo le numerose sale, il visitatore può ammirare più di 1500 esemplari di calzature, prodotte dall’Azienda Rossimoda dalla seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri per alcune delle più famose case di moda internazionali, quali Dior, Yves Saint Laurent, Fendi, Givenchy, Porsche, Lacroix, ecc. Il complesso è visitabile tutti i giorni da lunedì a martedì dalle ore 9,00 alle ore 13,00 e dalle 14,00 alle 18,00, sabato e domenica dalle 14,30 alle 18,00.

INFO Villa Foscarini Rossi Via Doge Pisani - Stra - Venezia Tel 049 9800335 www.villafoscarini.it

78


DISCOVER PALLADIO

VILLA DA SCHIO

Il corpo centrale, la cui costruzione risale alla seconda metà del ‘600, presenta la classica struttura delle ville venete: un cortile interno caratterizzato da un imponente colonnato con le barchesse e la Cappella. La Villa è contornata dal parco settecentesco con grandi viali di piante secolari e un importante presenza di statue dell’Officina del Marinali. Il progetto della Villa è attribuito all’Architetto Antonio Pizzocaro che seguì le orme palladiane. EVENTI: Villa da Schio è la location ideale per l’organizzazione di eventi privati quali convegni e conferenze, appuntamenti aziendali e workshop, feste a tema e matrimoni.

Per opportuna scelta di privacy è prevista l’organizzazione di un solo evento nel corso della giornata a questo dedicata. VISITE: si visitano gli esterni e tutto il parco. Condizioni particolari per scuole, università ed enti culturali. Gruppi minimi di 15 persone. SOGGIORNI: la Villa dispone di quattro residenze di diverse dimensioni, rifinite in ogni dettaglio, per periodi di media durata o vacanze. MATRIMONI: in Villa da Schio è possibile celebrare matrimoni con rito civile.

INFO Villa da Schio Via Villa 117 - Castelgomberto (VI) info@villadaschio.com www.villadaschio.com

79


© Loris Guerrato


DISCOVER PALLADIO

Nell’ottobre del 1567 una vigorosa piena del fiume Brenta travolge lo storico ponte, una struttura in legno su piloni e coperta da un tetto che costituisce la fondamentale via di comunicazione fra Bassano e Vicenza. Coinvolto nella ricostruzione sin dai mesi immediatamente successivi al crollo, Palladio propone dapprima un ponte completamente diverso dal precedente, a tre arcate di pietra sul modello degli antichi ponti romani. Ma il Consiglio cittadino boccia il progetto, imponendo all’architetto di non discostarsi troppo dalla struttura tradizionale. Nell’estate del 1569 Palladio presenta quindi il progetto definitivo di un ponte che richiama in pratica la struttura precedente, sebbene radicalmente rinnovata quanto a soluzioni tecniche e strutturali, e di grande impatto visivo. Unico rimando a un linguaggio architettonico è l’uso di colonne tuscaniche come sostegni dell’architrave che regge la copertura. Il ponte é a 5 campate lunghe circa 13 metri formate da grandi travi in legno con rompitratta obliqui che sono appoggiate sui quattro piloni intermedi e sulle due spalle laterali. I 4 piloni in legno hanno una forma idrodinamica rispetto alla corrente del fiume e sono formati da 8 pali spessi circa mezzo metro infissi nel terreno sul letto del fiume e da una serie di pali ad altezza decrescente che conferiscono un profilo obliquo ai piloni intermedi. A conferma dell’efficienza tecnologica della struttura palladiana, il ponte resistette per quasi duecento anni; fu ricostruito secondo il disegno palladiano dopo una distruttiva piena nel 1748, così come avvenne dopo l’ultima demolizione per mano delle truppe tedesche nella seconda guerra mondiale.

81


6

8

2

12

LE VILLE

5 3 7 9


MAPPA DELLE OPERE A VENEZIA 1559

1. Facciata Chiesa di S. Pietro

1560

2. Convento della CaritĂ

1560

3. Refettorio Monastero di S. Giorgio

1564

4. Chiesa di S. Francesco della Vigna

1565

5. Chiesa di S. Giorgio Maggiore

1566

6. Progetto Ponte di Rialto

1574

7. Chiesa delle Zitelle

1574

8. Sede di Palazzo Ducale

1577

9. Chiesa del Redentore

DISCOVER PALLADIO

4

1

84


1

FACCIATA CHIESA DI S .PIETRO (1559)

DISCOVER PALLADIO

La prima occasione di intervento palladiano nella capitale lagunare è la progettazione di una nuova facciata per la chiesa di San Pietro di Castello, cattedrale patriarcale di Venezia. Al prestigioso incarico Palladio giunge probabilmente grazie a Daniele e Marcantonio Barbaro, che risultano garanti del contratto con i muratori nel gennaio del 1558. La morte del committente, il patriarca Vincenzo Diedo, provoca l’arresto del cantiere a due anni dall’inizio dei lavori, che riprenderanno alla fine del secolo sotto la direzione di Franceso Smeraldi. La facciata attuale quindi non riprende esattamente il progetto palladiano, ma è fedele alle sue linee essenziali, in particolare al tema fondamentale dell’interazione fra un ordine maggiore corrispondente alla navata centrale e uno minore in relazione a quelle laterali, effettivamente realizzato in San Francesco della Vigna poco più tardi.

85


2

CONVENTO DELLA CARITA’(1560)

DISCOVER PALLADIO

Tre anni dopo lo sfortunato esordio di San Pietro di Castello e pochi mesi dopo l’inizio del cantiere del refettorio di San Giorgio Maggiore, Palladio ha un’altra occasione di lavoro con una committenza ecclesiastica veneziana. Nel marzo del 1561 gli viene infatti pagato un modello per il convento dei Canonici Lateranensi. Per i monaci Palladio inventa un progetto grandioso, chiaramente ispirato ai suoi studi sulla casa degli antichi romani, con un atrio di monumentali colonne composite e due cortili separati da un refettorio. Dal 1569, tuttavia, l’ambizioso cantiere segna il passo dopo la realizzazione del chiostro e dell’atrio, quest’ultimo distrutto da un incendio nel 1630. Il progetto per il convento della Carità ha come punti di riferimento le riflessioni palladiane sulle terme e soprattutto sulla casa degli antichi romani, studiata e ricostruita per l’edizione di Vitruvio del 1556. Nella concezione palladiana la casa degli Antichi poteva essere infatti ricreata solamente in termini di una grande struttura organizzata (come un complesso monastico) o, in grado minore, di una dimora privata come palazzo Porto a Vicenza: qualcosa in effetti di molto lontano dalla realtà disorganica delle dimore romane antiche. Di questo progetto straordinario sono giunti sino a oggi sostanzialmente tre episodi architettonici: la scala ovata vuota nel mezzo, la sacrestia della chiesa modellata come un “tablino” della casa antica e la grande parete del chiostro a tre ordini sovrapposti. Il tablino è senza dubbio uno dei più puri esempi di classicismo palladiano: le colonne libere e le terminazioni absidali furono probabilmente ispirate ai resti di camere simili localizzate intorno al frigidarium delle terme di Caracalla e usate da Palladio nella ricostruzione di altre terme. Singolare è il contrasto cromatico fra gli elementi dell’ordine: il fregio lungo la parete, di colore rosso, si innesta su un settore di trabeazione in pietra bianca, a sua volta sostenuta da una colonna in marmo rosso. La stessa accentuata bicromia si ritrova nella potente parete del chiostro a ordini sovrapposti che molto deve al cortile di palazzo Farnese a Roma. La tessitura muraria era realizzata con mattoni sagomati da lasciare in vista, protetti da una pittura rossa, mentre capitelli, basi e chiavi d’arco venivano realizzati in pietra bianca. Tale inedita libertà espressiva è una delle caratteristiche del Palladio della maturità, quando l’assimilazione dell’architettura romana antica è tale da concedergli la libertà di ricercare effetti insoliti, come sovrapporre un fregio corinzio con bucrani e festoni (sul modello del tempio di Vesta a Tivoli) all’ordine dorico del primo ordine del cortile. 86


3

REFETTORIO DI S. GIORGIO (1560)

Il primo contatto fra Andrea Palladio e la ricchissima congregazione benedettina di Santa Giustina riguarda la costruzione del refettorio del convento di San Giorgio Maggiore a cominciare dal luglio del 1560 per concludersi tre anni più tardi. In realtà si tratta della ristrutturazione e del completamento di un edificio impostato una ventina d’anni prima che Palladio trasforma in una delle sue realizzazioni più sontuose e affascinanti; questa conduce all’aula del refettorio attraverso una calibrata sequenza scenografica di spazi su due livelli. Un’ampia scalinata conduce a un primo grandioso portale (citazione filologica di un preciso modello romano antico: il portale del San Salvatore a Spoleto) attraverso il quale si accede a un vestibolo dove, su di un pavimento bianco e rosso, sono collocati due straordinari lavamani gemelli di marmo rosso; quindi un secondo portale — che è una reinterpretazione palladiana del precedente — introduce nella grande aula. Quest’ultima è coperta da una grandiosa volta a botte che si trasforma in crociera sulla mezzeria per consentire l’apertura 87

DISCOVER PALLADIO

di due finestre termali: il modello è evidentemente la copertura degli ambienti termali antichi, già ricercata in progetti giovanili come villa Valmarana a Vigardolo (1542), ma qui riproposti in un’inedita enfasi dimensionale. La magnificenza dell’architettura del refettorio era in origine completata dal posizionamento sulla parete di fondo della grande tela raffigurante le Nozze di Cana, commissionata a Paolo Veronese già nel 1562 e conclusa in poco più di un anno di lavoro. Senza dubbio il dipinto era stato pensato in relazione allo spazio palladiano e alla grande finestra termale sovrastante, ma fu trafugato nel 1797 per volontà di Napoleone e trasferito al Louvre. La straordinaria ricchezza dell’insieme rende testimonianza della qualità del gusto dei monaci e della grandiosità del tenore di vita del monastero, uno dei più potenti d’Italia. Tuttavia ciò non impedisce ai monaci di imporre la conservazione delle arcaiche finestre cinquecentesche — evidentemente residuo del primo cantiere — che Palladio si deve limitare a incorniciare con elementi all’antica.


4

CHIESA DI S. FRANCESCO DELLA VIGNA (1564) Dopo lo sfortunato esordio di San Pietro di Castello, molto probabilmente fu ancora una volta Daniele Barbaro a favorire un incarico palladiano, convincendo il patriarca di Aquileia Giovanni Grimani ad affidargli la costruzione della facciata di San Francesco della Vigna. Scelta di non poco significato perché di fatto estrometteva Jacopo Sansovino, che aveva costruito la chiesa trent’anni prima (approntando anche disegni per la facciata), preferendogli Palladio che si imponeva così come alternativa concreta, sostenuta dalla parte culturalmente più avanzata del patriziato veneziano, all’ormai anziano protagonista del rinnovamento architettonico di piazza San Marco. Da Leon Battista Alberti in poi, gli architetti del Rinascimento si sono impegnati nel difficile tentativo di adattare la fronte di un edificio ad aula unica, quale è il tempio antico, alla planimetria a più navate delle chiese cristiane. Con la facciata della chiesa di San Francesco della Vigna Palladio offre la sua prima risposta concreta al tema, dopo lo sfortunato impegno sostanzialmente solo progettuale di San Pietro di Castello. Proiettate su un unico piano la navata maggiore, coperta da un grande timpano, e le due laterali coperte da due semitimpani, il problema compositivo era costituito dal collegamento organico dei due sistemi e dal rapporto modulare dei due ordini, il maggiore chiamato a reggere il timpano principale e il minore i due semitimpani. La soluzione realizzata da Palladio è brillante, anche se lo costringe a impostare entrambi gli ordini su uno stesso alto basamento: una difficoltà che sarà agevolmente superata nella facciata del Redentore, anteponendo una grande scalinata alla sezione centrale della facciata. 88


5

CHIESA DI S. GIORGIO (1565)

DISCOVER PALLADIO

© Pino Guidolotti In sostanziale continuità con la progettazione del refettorio, a pochi anni di distanza Palladio affronta la costruzione della grande chiesa del convento, senza dubbio il suo cantiere più complesso e difficile dai tempi delle Logge della Basilica vicentina. Le grandi ricchezze del monastero e della potente Congregazione di Santa Giustina dettano la scala dell’intervento; le precise indicazioni liturgiche e le tradizioni dell’Ordine determinano la scelta della pianta longitudinale, nonché la presenza di coro, presbiterio, crociera, navata e cupola. Tra il novembre 1565 e il marzo 1566, il progetto di Palladio viene trasposto in un modello che impressiona profondamente Giorgio Vasari in visita a Venezia. 89

Nel gennaio dell’anno successivo si stipulano i contratti con gli scalpellini e i muratori che devono seguire i profili e le misure indicate da Palladio. Nel 1576 è finita la struttura generale. Molti anni dopo, tra il 1607 e il 1611, si realizza anche la facciata attuale, che tuttavia studi recenti stanno dimostrando lontana dall’originaria volontà palladiana. Come già Leon Battista Alberti cento anni prima, così Palladio prende a modello i grandi edifici termali romani antichi. Nella planimetria si possono leggere con chiarezza le quattro entità spaziali chiamate da Palladio a comporre il corpo dell’edificio. Alla navata principale voltata a botte e controventata da tre volte a crociera — un vero e proprio frigidarium delle terme romane — segue l’improvvisa espansione


6

CHIESA DELLE ZITELLE (1574)

laterale delle absidi e verticale della grande cupola su tamburo; a quest’ultima Palladio affianca lo spazio estremamente studiato del presbiterio dal quale, attraverso una transenna di colonne, è visibile il coro che si pone come un interno-esterno, quasi la transenna fosse il pronao di una villa attraverso il quale osservare il paesaggio. La sequenza degli spazi corre lungo un asse centrale molto marcato che garantisce la continuità e il trapasso da una zona della chiesa a un’altra. Nei dettagli dell’ordine Palladio ricerca la massima varietà, rifiutando soluzioni facili e prevedibili; una grande enfasi è data alla forza plastica delle membrature: le semicolonne sono enfiate oltre il diametro e i pilastri sono molto sporgenti; vi è una forte ricerca di continuità verticale negli elementi dell’ordine.

DISCOVER PALLADIO

Fonti seicentesche attribuiscono la progettazione della chiesa di Santa Maria della Presentazione, detta “delle Zitelle”, ad Andrea Palladio, senza tuttavia che ricerche anche recenti abbiano potuto ritrovare tracce documentarie o grafiche di un suo intervento: in realtà la maggior parte degli studiosi esprime forti dubbi su tale attribuzione. La chiesa è parte di un complesso ecclesiastico creato dal gesuita Benedetto Palmi per assistere le ragazze povere e, sebbene l’acquisizione dell’area edificabile alla Giudecca risalga al 1561, l’inizio dei lavori è posteriore alla morte di Palladio: la prima pietra è posta nel 1581 e la chiesa viene consacrata nel 1588.

90


7

PROGETTO PONTE DI RIALTO (1566)

DISCOVER PALLADIO

L’annosa questione della ricostruzione del ponte di Rialto, nodo cruciale dell’emporio realtino, si pone periodicamente all’autorità veneziana in occasione di crolli e guasti: nel 1444, nel 1507, nel 1514 (quando fra Giovanni Giocondo elabora un progetto descritto da Vasari), nel 1525 quando ne viene deliberata la ricostruzione con bando di concorso. La questione invero troverà soluzione solo nel 1591 con il progetto di Antonio Da Ponte. Esistono due proposte di Palladio. La prima, nota attraverso i disegni conservati al Gabinetto dei disegni e stampe della Pinacoteca Civica di Vicenza, databile a dopo il maggio del 1566; la seconda è quella del Trattato. Entrambi gli elaborati prevedono la razionalizzazione dell’intera area di Rialto, con due fori commerciali alle teste del ponte, secondo criteri ispirati al mondo antico, invero anticipati da fra Giocondo nel progetto del 1514.

“Il Capriccio palladiano” realizzato da Canaletto nel 1756 era un genere di veduta che furoreggiava presso la ricca e variegata clientela del pittore veneziano, specie britannica. Per gli aristocratici inglesi le opere civili di Palladio rappresentavano un modello di architettura democratica, aperta al divenire sociale e priva di referenzialità verso il potere. La struttura dei tre edifici palladiani dipinti da Canaletto (Basilica, palazzo Chiericati e il ponte di Rialto mai realizzato) è infatti permeabile, traforata dalla luce e da percorsi interni che hanno la funzione di eliminare la separazione del potere istituzionale (Basilica), nobiliare (palazzo Chiericati) ed economico (il ponte Rialto) dal tessuto urbano e quindi sociale. 91


8

SALE DI PALAZZO DUCALE (1574)

DISCOVER PALLADIO

L’11 maggio 1574 un incendio distruggeva alcune sale di rappresentanza al piano nobile di palazzo Ducale. Decisa immediatamente la ricostruzione, la direzione tecnica ed esecutiva venne affidata al “proto” Antonio da Ponte, affiancato da Andrea Palladio e Gianantonio Rusconi. Nei registri di spesa gli interventi di Palladio non sono mai specificati, tranne in un pagamento del 15 gennaio 1575 a un intagliatore che eseguì parti lignee disegnate dall’architetto vicentino. Pur risultando difficile l’individuazione di interventi progettuali riconducibili alla sua mano, gli studiosi hanno ugualmente tentato di riconoscerne la matrice nelle porte interne, in particolare quella che dalla Sala dell’Anticollegio conduce alla Sala delle Quattro Porte e quelle presenti in quest’ultima, e nei camini delle sale del Collegio e dell’Anticollegio. La presenza di Palladio a Palazzo Ducale è documentata pure tra il 1577 e il 1578, per il restauro dell’edificio danneggiato da un secondo grave incendio in cui andarono perduti importanti cicli pittorici. Anche in questo caso, le ipotesi di una sua proposta concreta lasciano dubbi tra la critica. 92


9

CHIESA DEL REDENTORE (1576)

Nell’estate del 1575 scoppia a Venezia una terribile epidemia di peste che in due anni provocherà 50.000 morti, quasi un veneziano su tre. Nel settembre del 1576, quando il male sembra invincibile dagli sforzi umani, il Senato chiede l’aiuto divino facendo voto di realizzare una nuova chiesa intitolata al Redentore. Scegliendo rapidamente fra diverse opzioni circa forma, localizzazione e progettista cui affidare la costruzione, nel maggio del 1577 si pone la prima pietra del progetto palladiano. Il 20 luglio successivo si festeggia la fine della peste con una processione che raggiunge la chiesa attraverso un ponte di barche, dando inizio a una tradizione che dura ancora oggi. 93

DISCOVER PALLADIO

La chiesa è destinata ai Padri Cappuccini, che ne determinano sia l’impianto planimetrico secondo il modello dei Francescani osservanti (di cui i Cappuccini costituiscono una filiazione) sia la scelta di rifuggire l’uso di marmi e di materiali pregiati, preferendo mattoni e cotto anche per la realizzazione dei bellissimi capitelli all’interno della chiesa. Nel rispetto della griglia funzionale dei Cappuccini, per la definizione della planimetria Palladio riflette a fondo sulle strutture termali antiche (in un rilievo delle terme di Agrippa è possibile ritrovare molti degli elementi che caratterizzano la pianta) come fonte delle sequenze di spazi che si susseguono armonicamente una dopo l’altra.


DISCOVER PALLADIO

La pianta deriva infatti dall’armonica composizione di quattro cellule spaziali perfettamente definite e diverse fra loro: il rettangolo della navata, le cappelle laterali che riprendono la forma a nartece, la cella tricora composta dalle due absidi e dal filtro di colonne curve, il coro. Una volta definite con precisione tali figure, Palladio studia soluzioni raffinate per accompagnare il passaggio dell’una dentro l’altra, ricercando un’armonica fusione del tutto. La trabeazione dell’ordine maggiore, ad esempio, fascia tutto il perimetro interno della chiesa senza mai risaltare in corrispondenza dei sostegni, ed è particolarmente efficace il taglio in diagonale dei pilastri della cupola. Il risultato è frutto di una consumata capacità compositiva e di una particolare sensibilità per gli effetti scenografici. La facciata del Redentore costituisce l’esito più maturo delle riflessioni palladiane sui fronti di chiesa a ordini intersecati, a partire da San Francesco della Vigna.

Questo genere di facciate prende origine da riflessioni sulla vitruviana Basilica di Fano sin da Bramante all’inizio del secolo. Nel caso specifico del Redentore Palladio “monta” più soluzioni antiche, presenti per altro anche nei Quattro Libri, come il Tempio della Pace o il Tempio del Sole e della Luna. L’imponente prospetto della facciata in pietra d’Istria assolve alla funzione di quinta prospettica e di ingresso trionfale per la lunga processione che avanza perpendicolarmente attraverso il ponte votivo di barche. I quindici gradini della scalinata invece evocano il tempio di Salomone. L’ampio timpano sormontato dall’attico invia al Pantheon romano, mentre la maestosa cupola affancata da due campanili, simili ai minareti, ricorda il santo Sepolcro. Ancora una volta quindi, la Repubblica veneziana si autoplocama , come Roma e Gerusalemme, come baluardo della cristianità e centro della fede in grado di sconfiggere sia le pestilenze che i nemici. 94


I QUATTRO LIBRI DELL’ARCHITETTURA

DISCOVER PALLADIO

A sinistra: Edizione francese del 1790 Sotto: le colonne della Basilica Palladiana

Palladio iniziò a scrivere il trattato a soli 22 anni e lo arricchì poi con le proprie opere. La prima edizione de I quattro libri dell’architettura vide la luce a Venezia nel 1570. Seguono varie edizioni e rifacimenti posteriori, oltre a traduzioni in francese, olandese e inglese. All’interno di questo testo sono presenti illustrazioni atte a dimostrare le idee del Palladio circa la purezza e la semplicità dell’architettura classica, disegnate di suo pugno. Il trattato è suddiviso in quattro libri che trattano argomenti diversi: Primo libro: tratta la scelta dei materiali, le tecniche costruttive, le forme degli ordini architettonici. Secondo libro: riporta una serie di progetti architettonici di Andrea Palladio ed una serie di progetti di costruzioni non realizzate. Le raffigurazioni delle tavole talvolta si discostano dall’edificio costruito in quanto risentono di un processo di idealizzazione e adeguamento al maturo linguaggio del maestro. Terzo libro: descrive la maniera di costruire le strade rettilinee lastri95

cate in pietra, i ponti in legno ed in pietra con numerosi progetti palladiani, le piazze antiche realizzate dai greci e dai latini ed infine le basiliche fra cui la basilica progettata da Vitruvio a Fano e l’importante Basilica Palladiana di Vicenza. Quarto libro: contiene i rilievi di 26 edifici romani antichi fra cui 18 templi a pianta rettangolare dei fori repubblicano e imperiale. Nei Quattro libri sono indicate regole sistematiche per il costruire ed esempi di progetti, cosa che all’epoca non era usuale. Anziché modelli da copiare, le tipologie architettoniche assumono la fisionomia di schemi compositivi dove poter esercitare infinite varianti. Dopo la pubblicazione nel 1570 de I quattro libri dell’architettura, molti architetti di tutta Europa visitarono nei secoli seguenti l’Italia per analizzare sul posto l’opera di Palladio. Al loro ritorno adattarono lo stile palladiano alle differenti condizioni climatiche e topografiche e alle richieste dei committenti. Così l’ideale palladiano si diffuse in ogni parte d’Europa, raggiungendo l’apice della popolarità nel XVIII


IL PALLADIANESIMO

DISCOVER PALLADIO

© F. Romano

© F. Romano

secolo, prima in Inghilterra e in Irlanda e successivamente negli Stati Uniti. Uno dei primi studiosi fu l’architetto inglese Inigo Jones (15731652), arteficie dell’importazione dell’influenza palladiana in Gran Bretagna. Il palladianesimo di Jones e dei suoi contemporanei, come quello dei suoi allievi, fu uno stile che ricercò principalmente l’estetica della facciata, incurante invece della distribuzione interna degli spazi teorizzate da Palladio in base a formule matematiche e l’armonia geometrica. Thomas Jefferson, presidente degli Stati Uniti d’America, fu uno dei più fervidi estimatori di Palladio e una volta si riferì a questo testo definendolo “la Bibbia” dell’architettura; Jefferson possedeva cinque diverse edizioni del testo e progettò la propria residenza di Monticello (foto in alto) e la Rotonda dell’università della Virginia in stile neopalladiano (foto in basso). L’architettura neopalladiana guadagnò in brevissimo tempo popolarità in tutta Europa e servì da base per il neoclassicismo della fine del

XVIII secolo e dell’inizio del XIX, mentre nel Nord America determinò gran parte dell’immagine architettonica degli edifici istituzionali, a partire dalla “Casa Bianca”, la sede presidenziale a Washington. Le ragioni di tale successo furono anche di natura politica. Il Palladianesimo ebbe un grande influsso nei paesi anglosassoni perchè rappresentava un modello di architettura democratica, aperta all’integrazione delle diverse classi sociali e rispettosa della necessità di coniugare estetica rappresentativa e funzionalità pragmatica, indispensabile per enfatizzare l’importanza simbolica dell’edificio sede del potere istituzionale o finanziario, come ad esempio la sede della borsa di Wall Street a New York. PRIME TRADUZIONI DEI QUATTRO LIBRI DI ANDREA PALLADIO In francese, 1650, Les Livres d’architecture in inglese, 1715, The Architecture of A. Palladio - Londra in russo, 1798, Russky Pallady, 1938, Ivan Zholtovsky. © Giuseppe Desideri

96


LA CIVILTA’ VILLE VENETE LE DELLE VILLE PALLADIANE Verso la metà del ‘500 molte famiglie patrizie veneziane decisero di investire le grandi ricchezze accumulate nei commerci con l’Oriente nella realizzazione di grandi imprese agricole da amministrare direttamente. Fu allora che i Corner, i Barbaro, i Badoer, gli Emo, i Grimani, i Foscari, detentori del potere economico e politico, ma anche grandi studiosi di filosofia e cultori d’arte, trovarono in Andrea Palladio il loro interprete ideale. Nasceva così la Villa Veneta, una tipologia abitativa e produttiva assolutamente originale, che ebbe un grande successo poiché rispondeva nello stesso momento ad esigenze estetiche e funzionali. Essa recepiva alcuni caratteri morfologici e strutturali di derivazione romana imperiale che Palladio aveva potuto conoscere sui testi antichi e nei diversi viaggi a Roma in compagnia del suo pigmaglione, l’umanista Gian Giorgio Trissino. Se la Villa quindi, fatto senza precedenti, assumeva forme di tempio classico, non dobbiamo tuttavia dimenticare che nell’età dell’Umanesimo il tempio non aveva tanto un significato religioso, quanto piuttosto la funzione di marcare una differenza culturale: i segni della classicità riassumevano un intero sistema di valori antropologici, etici ed estetici, basati sul sapere ereditato dai Greci e dai Romani e riscoperti dagli umanisti. Ed ecco allora sorgere, accanto al corpo centrale destinato all’abitazione del signore, le tipiche barchesse, le stalle, le colombare, le abitazioni per i coloni. Nell’arco di tre secoli varie centinaia di Ville furono edificate nella campagna dell’entroterra Veneto e lungo i principali corsi d’acqua, ma la nuova concezione socio economica testimoniata dalla Villa Veneta si diffuse ovunque, arrivando anche molto lontano e perfino nel Nuovo Mondo, nelle grandi piantagioni del Sud degli Stati Uniti d’America. Oggi, percorrendo le strade del Veneto, capita spesso di incontrare qua e là Ville dall’inconfondibile impronta. Tutte le Ville palladiane furono realizzate nel terzo quarto del ‘500. In questa prima fase della diffusione della Villa Veneta, gli aspetti piacevoli della vita a contatto con la natura rimanevano in secondo piano rispetto alla scelta, tutta economica, di orientare gli investimenti verso un’agricoltura di tipo intensivo. Successivamente, e con sempre maggiore decisione col passare dei decenni, la Villa prese ad assumere principalmente il carattere di “luogo di delizie” ed anche una specie di status symbol. La “villeggiatura”, cioè il soggiorno in Villa, che tendeva di norma a concentrarsi in coincidenza con i due principali periodi di raccolto dell’annata agricola: la mietitura, tra metà giugno e fine luglio, e la vendemmia, dai primi di ottobre a metà novembre, iniziò ad assumere nel ‘700, un carattere

DISCOVER PALLADIO

mondano e di distinzione sociale per la ricca borghesia veneziana, fregiatasi, nel frattempo, anche di titoli nobiliari. Questa moda, tipicamente veneziana, costituì la materia prima per quella Trilogia della Villeggiatura in cui Carlo Goldoni seppe magistralmente rappresentare l’evoluzione della società del suo tempo. Le Ville si diffusero in tutto l’entroterra veneto lungo i corsi d’acqua, poiché questi costituivano allora la più comoda, sicura ed economica via di comunicazione. Il più famoso tra questi è certamente il Naviglio di Brenta che collega Venezia con la città di Padova, lungo il quale, tra il Cinquecento ed il Settecento, furono edificate varie decine di Ville, dando luogo a quel grande complesso idrografico, urbanistico e monumentale noto in tutto il mondo come Riviera del Brenta. La concentrazione di Ville si fece tanto elevata da determinare una trasformazione radicale della fisionomia della riviera che divenne una sorta di naturale continuazione del Canal Grande. Molte di queste Ville, com’è ancor oggi visibile, richiamano caratteri tipologici e decorativi delle architetture veneziane, dotandosi delle strutture necessarie alla produzione agricola (stabbi, barchesse, colombare, ecc.). La facciata principale guardava sempre verso il canale, dove transitava il traffico commerciale e da diporto. Sul canale passava anche effettuando un vero e proprio servizio di collegamento quotidiano tra Venezia e Padova, il Burchiello, un grosso battello ben attrezzato e dotato di ogni comfort, trainato sulle alzaie da cavalli o buoi. La Riviera del Brenta culmina a Stra, con la favolosa Villa Pisani, che più che una Villa è una vera e propria reggia. Costruita nella prima metà del ‘700 dalla famiglia del Doge Alvise Pisani, tradisce, nella grandiosità e nell’articolazione scenografica della struttura, finalità principalmente di rappresentanza.

© Giuseppe Desideri

73 89


&

Una romantica minicrociera tra le Ville Venete della Riviera del Brenta, da Padova a Venezia e viceversa, tra arte e storia lungo il percorso dell’antico Burchiello veneziano del ‘700.

www.ilburchiello.it - +39 049 8760233 I Battelli del Brenta® & Il Burchiello® della Antoniana Viaggi - via Porciglia 34 (Padova)


CONOSCERE ANDREA PALLADIO Andrea Palladio, pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola (30 novembre 1508 - 19 agosto 1580), fu il più importante architetto della Repubblica di Venezia nel cui territorio progettò diverse ville che lo resero famoso, oltre a chiese e palazzi, questi ultimi principalmente a Vicenza dove iniziò il suo apprendistato. A Vicenza il giovane scalpellino venne istruito da Giangiorgio Trissino all'arte antica e si formò come architetto. Spinto dal desiderio degli umanisti del suo tempo di ravvivare i canoni di armonia codificati da Vitruvio, fin da giovane Palladio perseguì un ideale di bellezza e perfezione non disgiunto dalla percezione della realtà e dalle esigenze dei committenti, che lo ispirò in ogni fase della sua carriera. Secondo Guido Piovene, il genio di Palladio risiede nell'aspetto visionario del popolo veneto: "L'autentico genio veneto, in molte delle sue più grandi espressioni, è la qualità visionaria. La stessa cosa vale per Mantegna, che venne prima del Palladio, e con Piranesi, che venne dopo; erano tutti visionari attraverso i mezzi offerti a loro, che era un'idea del mondo antico ".

VENETOVOGUE PRESS www.venetovogue.org Disponibile in versione Italiano/Inglese ordini: segreteria@venetovogue.it

€ 10,00


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.