Ver Sacrum VI

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VER SACRUM VI

Il fascino demoniaco delle Streghe tra mito e fiaba, storia e letteratura, arte e cinema

Il cinema Horror italiano anni '90, Luigi Cozzi Vernon Lee, Angela Carter, Dino Battaglia Musiche: Black Rose, Cries of Tammuz, Emotional Outburst, Putrefactio, Simon Dreams in Violet, Trom Racconti di Stregoneria, poesie e rubriche varie


Indice

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- L’immagine della strega dalla mitologia antica all’età moderna

(gratuiti per gli abbonati, £ 2.000 per gli altri) Abastor è un nuovo progetto mail-artistico di Apathya aperto alla collaborazione di tutti. Chiunque voglia esporre la propria arte può invia3 re collage, cartoline, bolli, fotografie, poesie... Inviate il vostro viaggio nell'interzona, la vostra visione dell'erotismo, del sesso, i vostri sogni 4 ed incubi. Di prossima uscita per Apathya è una compilation di musiche sperimentali più mille altri eclettici progetti. Scrivete a Fabio Casagrande Napolin, via Roma 53, 31021 Mogliano V.to (TV).

- La Stregoneria e l’arte figurativa

7 Un ricco e succulento catalogo video è a disposizione contattando

- Racconti di streghe dell’800/900

9 wave (ma non solo), sia di gruppi noti che meno famosi. Da segnalare la lista dei film e la bella presentazione grafica del catalogo. 13 anche Progetto antagonista e Politically Correct! Scrivete a Marcello Russo,

- Editoriale

- Le erbe del Sabba

Marcello Russo. Tantissimi titoli di genere gothic, post punk, new

- L’immagine della strega nella fiaba 16 via S. Sebastiano 26, 33080 Roveredo in Piano (PN). - La Stregoneria nel cinema dagli albori agli anni ‘60

delle attività SIN ORGANIZATION: E' in uscita 18 Aggiornamento SUFFER 3 & 4 - Annual Report, numero sperimentale che ha necessi-

- Le streghe al cinema 22 dalla fine degli anni ‘60 ad oggi - Suspiria di Dario Argento

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- “Manfred” di Byron: lo Stregone Ribelle

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- Stregoneria e streghe nell’Europa moderna

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- Interviste: Black Rose

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Cries of Tammuz

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Emotional Outburst

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Simon Dreams in Violet

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Trom

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tato un anno di lavoro; circa 60 pagine A4 con articoli e/o interviste a: Nimrod, Brotherhood of Pagans, Candiru, Nova State Conspiracy, Darkland of Tears, PorcupineTree, Neither/neither World, Splintered. Oltre 400 recensioni fra CDs, vinile, pubblicazioni e demotapes con tutte le etichette electro/gothic/wave tedesche e internazionali; inoltre musica sperimentale, EBM, industrial. Suffer è scritta in un inglese scorrevole e comprensibile. Per prenotare una copia scrivete al ns. indirizzo il prima possibile. PRODUZIONE: sono in fase di preparazione vari titoli, tra cui la raccolta su nastro + libretto Let your Conscience Rise con Tempesta Noire, Lha Mo, Mangled, In My Rosary, Equinox/Sonnenwende, Thine Eyes e Lonsai Maïkov. Da definire i nastri del gruppo guitar-industriale olandese Lewd e la raccolta di gruppi gothic e industrial lituani dal titolo provvisorio di Ancient Forest. DISTRIBUZIONE: inviando £ 5.000 in busta chiusa è possibile ricevere 4 uscite del nostro catalogo (sempre in crescita e a prezzi abbordabilissimi) + vari aggiornamenti per tutto il '95. Fra le etichette distribuite: Musica Maxima Magnetica, Alea Jacta Est, Apocalyptic Vision, Tatra, Foyrth Dimension, Purity, ... più cassette, fanzines, etc. ALTERNATIVE OCEAN: è il ns. programma settimanale su Radio Onde Furlane (Udine, ogni martedì dalle 20.30 alle 22.00). E' stata giudicata come una delle trasmissioni più curate e valide in Europa, i contatti sono ormai migliaia in tutto il mondo. Gruppi, etichette e fanzines: contattateci! Generi: post-punk, gothic, electro, sperimentazione, industrial, guitar-abuse. Sin Org svolge le sue attività in modo "nonprofit"! Scriveteci, allegando bollo, per info o catalogo (senza dimenticarvi Ver Sacrum, OK?): Gianfranco Santoro, via Adige 8, 33010 Colugna Tavagnacco (UD), tel. 0432/401295 ore 13 - 14.

- Il Gotico nel cinema fantastico italiano: gli anni ‘90

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- Intervista a Luigi Cozzi

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- “La Camera di Sangue” di Angela Carter

50 Torino e dintorni con cui andare ai concerti e per instaurare rapporti

- Dino Battaglia

51 Vendo/scambio audio e video registrazioni ufficiali e non genere Dark/Gothic. Cerco live tapes e rarità (audio e video) di: Soft Cell, 52 Marc & the Mambas, Marc Almond e The Human League (1978 -

- Putrefactio

Mi chiamo Simona e mi piacerebbe conoscere ragazzi/e dark di di amicizia. Non ho preferenze di carattere o di età. Telefonate allo 0124/616182 (19 - 21.30).

- Vernon Lee

53 1984). Rinaldo Branchesi, via Tornazzano 116/A, 60024 Filottrano

- Luoghi Macabri - L'approfondimento satirico ...

54 Sono disponibili le poesie di Ian C. Stewart, poeta americano dallo 55 stile minimale ed ermetico. Inviare £ 9.000 a Paolo Sorrentino, via

- Poesie

57 di feste dark a Trieste e dintorni.

- Recensioni dischi e CD

Febbraio esce su cassetta Reaping Time - A Tribute to DEATH IN 59 AJUNE, compilazione di cover versions del gruppo da parte di artisti

- Demotapes

(AN), tel. 071/7221147, ore pasti.

Piccardi 4, 34141 Trieste. Contattate Paola per informarvi sulle date

63 italiani e non. Distribuito esclusivamente dalla Psychotic Release c/o Emanuele Lago, via Meianiga 43, 35013 Cittadella (PD). Il prezzo

- Bibliotheca Lamiarum

65 sarà di £ 10.000 s.p.i..

- Lanterna Magica

67 Imperdibile per chi legge il francese è la fanzine Necro Spiritual, il cui

- Racconti di Streghe

68 Mephisto Walz, Madre del Vizio, Into the Abyss, S. Constantine...

2° numero contiene 92 pagine A4 piene di articoli, interviste a

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segue in terza di copertina


Editoriale

VER SACRUM VI Dicembre '94/Gennaio '95 - £ 5.000

Al sesto passo del suo cammino VER SACRUM ha incontrato la Strega: quale posto e quale ruolo nella Storia e nelle Arti occupa questa nostra compagna di strada? La domanda può sembrare retorica ma la risposta è meno semplice di quello che sembra perché questa figura, per la sua ambiguità, è difficilmente definibile. Di volta in volta ha preso le sembianze del diverso, dell’eretico, del diseredato, della persona -insomma- ai margini della società. E soprattutto della Donna, più di tutti succube del pregiudizio e dell’intolleranza. Ma la Caccia alle Streghe non è ancora terminata e continuerà finché ci sarà qualcuno più debole su cui scaricare il proprio carico d’odio e violenza... Venendo ad argomenti assai più prosaici vi sarete certamente accorti dell’aumento del prezzo di copertina ma speriamo che allo stesso tempo avrete notato anche il netto miglioramento della grafica e della qualità di stampa. Contiamo quindi di avere la vostra comprensione. A tutti coloro che hanno ricevuto questo numero per corrispondenza diciamo che siamo costretti a non rispondere personalmente allegando una lettera alla fanzine, per contenere le spese postali in un ambito accettabile. Siamo comunque lieti di ricevere le vostre lettere a cui risponderemo volentieri nei tempi biblici che, ahinoi, ci contraddistinguono. Dopo tante richieste da questo numero inauguriamo il servizio di abbonamento e per i particolari vi rimandiamo alla terza di copertina, dove troverete inoltre le ultime notizie sui nostri progetti. A chi possiede un computer e un modem consigliamo la BBS romana Cyber Space (tel. 06/5015861) in cui un piccolo spazio è dedicato a VER SACRUM. E' possibile trovare una selezione degli articoli pubblicati sui vecchi numeri della fanzine ed anteprime di quelli in lavorazione. Infine dedichiamo VER SACRUM VI alla memoria di Robert Bloch, Peter Cushing, Franco Fortini, Anton Giulio Majano, Moana Pozzi e GianMaria Volonté.

Redazione: c/o Marzia Bonato, via S. Paolo 5, 56125 Pisa Christian Dex (Luca De Santis) Manfred (Massimo Brando) Mircalla (Marzia Bonato) Natalie C. (Loredana Fayer) Raffaello Galli Storm (Rosario Alessio) Hanno collaborato a questo numero: Abdul Alhazred (Paolo Bianconi) Antonio Biella Carmilla (Francesca Zampone) Délie (Simona Coppo) Hadrianus (Adriano Moschioni) Giulio Pasquali PunkDark (Luciano Guenzoni) Alberto Rizzi Lord Ruthven (Fabio Casagrande-Napolin) Stefano Sciacca Revisione testi: Mircalla Grafica & impaginazione: Christian Dex & Ismaele Fotolito: Andrea Ciocchetti @ Immagina VT Questo numero esce come supplemento di "Stampa Alternativa", reg. Tribunale di Roma n° 276/83. DirettoreResponsabile:MarcelloBaraghini (un grazie a Marcello e a Gigi Marinoni) Un sentito ringraziamento va ad Andrea Ciocchetti (Gran Guru di Photoshop e QuarkXPress) senza il quale VER SACRUM VI non sarebbe uscito in questa forma. Per pubblicità su queste pagine rivolgetevi all'indirizzo della redazione o telefonate in ore serali allo 050/21067 Gli articoli presenti in questo numero sono copyright dei rispettivi autori e le immagini che li corredano delle rispettive agenzie o case editrici detenenti i diritti.

La Redazione 3


L’immagine della strega dalla mitologia antica all’età moderna Gorgoni, Chimere, creature della Notte e signore del Male, le streghe da sempre M eduse, popolano i miti e l’immaginario fantastico dell’umanità. Sia che si tratti di giovani affa-

scinanti dallo sguardo incantatorio che di vecchie laide dai terribili poteri diabolici, é comunque l’elemento femminile a caratterizzare questi esseri malefici e pericolosi. Nelle antiche culture medio-orientali (sumera e assiro-babilonese) si identificano con le seguaci di “Lilitu”, la dea alata portatrice di morte e simbolo della lussuria, e di “Lamashtu”, demone che sottrae alle donne gravide gli infanti, e poi in età ebraica con le proselite di “Lilith”, spettro notturno che succhia il sangue ai neonati, procreatore degli incubi e succubi. Nel mondo grecoromano compaiono invece le adoratrici di Ecate, dea funebre strettamente legata ad Artemide, signora delle Ombre, degli Inferi, della Notte. Il suo culto possiede una doppia valenza: positiva, in quanto ha il potere di concedere la prosperità materiale, l’abbondanza e la fecondità; negativa perché è anche la signora delle magie e degli incantesimi, soprattutto di quelli negromantici, notturni e funerari. Essa appare ai suoi adepti con due torce in mano e può assumere l’aspetto di giumenta, cagna e lupa, ed è rappresentata nelle statue con tre teste femminili (Ecate triforme). Teocrito, Apollonio Rodio, Ovidio la indicano come “Dea delle streghe”; gli dei stessi la onorano e Zeus le concede il potere di dare o negare ai mortali ciò che essi desiderano. Alla corte di Ecate vi sono le Empuse, spettri che assumono l’aspetto di incantevoli fanciulle per possedere gli uomini durante la notte e condurli alla morte. Le streghe però nel mondo antico hanno generalmente le sembianze delle Erinni (o Furie), divinità nate dal sangue di Urano (secondo Esiodo), figlie della Notte e del Tartaro (secondo Eschilo), che, invocate come vendicatrici, balzano fuori dalle tenebre e si impadroniscono della vittima rendendola folle e poi sbranandola, oppure perseguitandola in ogni luogo finche la sua colpa non venga espiata. Anch’esse appaiono in numero di tre, con i nomi di Aletto-Tisifone-Megera, in forma di geni alati, dalla testa avvolta di spire di serpenti, i corpi neri come il carbone, le ali da pipistrello e gli occhi iniettati di sangue. Simili sono le Arpie, esseri metà donna e metà uccello, che si nutrono di carne umana senza essere mai sazie, e le Lamie, vampiri notturni che succhiano il sangue dei bambini e poi ne divorano i corpi o li utilizzano per i loro rituali magici. Tutte queste forme di demoni femminili confluiscono in epoca romana sotto il termine di “Striges”, da cui deriva l’appellativo utilizzato nel Medioevo e presente ancora oggi. Molti scrittori latini narrano di questi esseri favolosi, Orazio, Petronio, Stazio, ma soprattutto Ovidio, che le descrive come donne vecchie e cattive che si trasformano in uccelli rapaci e che “volan di notte e cercano i bimbi, che son senza balia/ li ruban dalle culle e poi ne fanno strazio./ Si dice che col rostro strappino i visceri ai lattanti, e del succhiato sangue s’empion il gozzo./ E si chiaman strigi, il cui nome deriva da questo: che soglion di notte stridere orrendamente.” Nel primo libro delle Satire Orazio racconta invece una vera e propria scena di stregoneria in cui le due “striges” Canidia e Sagana, pallide, con vesti nere e a piedi nudi, i capelli scarmigliati, ululanti Lilitu, la dea sumera portatrice di morte 4


alla luna, evocano Ecate e Tisifone; appaiono poi i serpenti e le cagne infernali, mentre viene gettata sul fuoco una figurina raffigurante l’uomo fatto oggetto della malia. Molto spesso nel mondo classico i termini di strega e di maga si identificano tra loro: ecco allora che possono essere considerate tali personaggi mitologici come Circe, maliarda e incantatrice, oppure Medea, simile alle Furie vendicatrici, in possesso della conoscenza dei filtri e delle arti magiche, o ancora la maga tessala Ericto, descritta da Lucano come una donna di orribile magrezza, dalla faccia pallida e i capelli cinti di serpi di vipera. Oltre ad avere capacità magiche, sono poi anche in grado di comunicare con il regno dei morti, di evocare i defunti e di compiere atti di negromanzia, come nel caso della biblica pitonessa di Endsor (che chiamò Samuele dalla tomba per volontà di David). Con il sopraggiungere del cristianesimo tutte queste figure mitologiche demoniache non scompaiono immediatamente, ma continuano nell’ombra ad alimentare i culti pagani sopravvissuti nelle credenze popolari. Nell’Alto Medioevo è così testimoniata la presenza della “società (o compagnia) di Diana” (“societas Dianae”) costituita da donne che dicono di andare in giro di notte a cavallo di animali e di radunarsi in misteriosi convegni presieduti da una “signora del gioco”, di solito Diana, Ecate o Erodiade. Diana, come Ecate, è una divinità dei morti, signora della Luna, dea degli animali e colei che guida la cosiddetta “caccia selvaggia” (“Wilde Jagd” nella tradizione germanica), cioè l’esercito furioso delle schiere dei morti. Erodiade nelle credenze medioevali è invece la figlia di Erode, ovvero Salomè, erroneamente confusa con sua madre (Erodiade per l’appunto) e rappresenta colei che accompagna le “cacce selvagge” in volo, come spirito che eternamente guida la danza. Infatti, secondo la leggenda riportata da Grimm, quando le fu presentata su un piatto la testa mozzata del Battista, ella, disperata e pentita, la coprì di baci e di lacrime; ma la bocca della testa decapitata cominciò a soffiare terribilmente, spingendo la colpevole in alto nell’aria. Da allora Erodiade vola errando qua e là, senza potersi più fermare. Nel Medioevo si credeva che le “bonae damae” che facevano parte della “compagnia di Diana”, si allontanassero di notte dalle case, all’insaputa dei mariti, e si intrufolassero in quelle altrui per succhiare il sangue ai bambini, per rapirli e portarli ai conciliaboli notturni, dove venivano sbranati e dilaniati secondo le regole di un rito sacrificatorio. Non bisogna infatti dimenticare che Diana è anche la “Dea Abundia”, o “Dea Bona”, divinità alla quale i romani dedicavano un culto misterico celebrato solamente da donne, legato ai piaceri e alla fertilità, che riprendeva i riti dionisiaci ed eleusini di origine orientale. Secondo lo studioso C. Ginzburg la “societas Dianae” sarebbe da ricondurre essenzialmente ad un rito di carattere estatico: il volo notturno verso i convegni, alla presenza di una divinità femminile funebre, ma anche simbolo di abbondanza, riecheggerebbe, in forma ormai stravolta e irriconoscibile, un rito agricolo ctonio che prevedeva il viaggio dei viventi nel regno dei defunti, cui si accedeva attraverso uno stadio di morte provvisoria, ottenuta con stati di trance e di estasi. Si tratta di una forma rituale di tipo sciamanico, originaria delle steppe russe e caucasiche, ed in seguito estesa ad un’ampia area geografica (Dalla Scozia alla Romania) il cui denominatore comune è quello di essere stata abitata per centinaia di anni da popolazioni celtiche. La stessa Diana si sarebbe pertanto sovrapposta in realtà a una o più divinità celtiche, come Hera, dea funeraria che appariva volando nei giorni consacrati al ritorno dei defunti, oppure Epona, dea mortuaria sempre raffigurata a cavallo, o ancora le “Matrones” (o “Matres”), dee legate al culto dei morti e spesso associate alle Parche, che venivano raffigurate nelle epigrafi sotto forma di tre donne sedute con in mano simboli di fertilità. E’ pertanto probabile l’esistenza di un sostrato rituale unico, legato al culto dei defunti, che a partire dal mondo celtico sarebbe passato in quello classico (tramite la mediazione sciita) e infine, combinandosi con tradizioni diverse, si sarebbe protratto fino al Medioevo. Un esempio viene anche dalla tradizione scritta, cioè dai romanzi del ciclo di Artù, in cui appare il personaggio della fata Morgana, che rappresenta la tarda reincarnazione di due dee celtiche, l’irlandese Morrigan, corrispondente ad Epona, e la gallese Modròn, cioè una delle tre “Matres”. Del resto tra le fate nominate nelle confessioni delle streghe scozzesi del 500/600 e quelle che popolano i romanzi medievali la parentela è strettissima. Si può così ricollegare tutta una serie di tradizioni celtiche connesse ad elfi e fate all’immagine della stregoneria che sarà elaborata dai 5


demonologi. Ma nei numerosi testi medievali, sia giuridici che letterari, l’idea che viene data della “società di Diana” è molto differente da quella degli spaventosi Sabba che popolano i racconti dell’epoca dell’Inquisizione. Infatti per lungo tempo le “bonae damae” vengono tollerate dalla Chiesa e dalle autorità del tempo e sono minacciate, semmai, soltanto di pene spirituali (come dice il Canon Episcopi del X secolo). E’ solo a partire dal XIII secolo che comincia a diffondersi la credenza che le donne facenti parte della congrega notturna siano in realtà delle streghe malefiche che operano atti criminali in nome del diavolo. Alle riunioni notturne presiedute da Diana, Ecate ed Erodiade si sostituiscono così i Sabba tenuti da Satana, assiso su un trono regale in forma di capro o cane, durante i quali le streghe si uniscono in orge carnali con i loro amanti demoniaci. L’antica società femminile da residuo di paganesimo si trasforma in un atto eretico contro la Chiesa e diventa oggetto di persecuzione. Ha inizio pertanto la caccia alle streghe, che, alimentata nel XIV dai processi contro lebbrosi, ebrei ed untuori, sfocia infine in un massacro autorizzato che si estende in tutta Europa (e anche nel Nuovo Mondo) per più di tre secoli. E le vittime sono quasi sempre le donne, capri espiatori del furore misogino del popolo e degli stessi inquisitori. Si pensi che il famoso “Malleus Maleficarum”, testo giuridico che fissa le norme della persecuzione, redatto nel 1487, afferma che le femmine sono più inclini dei maschi a credere nel demonio e dunque più facilmente ne vengono possedute. Inoltre essendo cattive per natura preferiscono rinnegare Dio per darsi ai malefici e per soddisfare con i demoni la loro insaziabile libidine. Le presunte streghe sono per lo più donne anziane e vedove, perché ciò le pone in uno stato di subordinazione rispetto al resto della società rendendole più facilmente esposte alle accuse. Oppure sono giovani ma nubili, in quanto a quel tempo esisteva una concezione del corpo femminile come elemento da fecondare (moglie), al di fuori del quale c’era solo l’immagine di una donna sterile e maligna, non controllabile socialmente. La strega dunque è in possesso di una sessualità pericolosa, perché impiegata al di fuori del matrimonio. Non concepisce o allatta i bambini, ma preferisce rapirli e divorarseli. A ciò si aggiunge la sessuofobia dei giudici che si esplica nella curiosità perversa e patologica di conoscere le relazioni che queste donne dovevano intrattenere con il demonio. Si cerca così sul loro corpo il “signum diaboli”, una zona cioè in cui il diavolo ha posto il suo morso e che pertanto deve essere indolore. Con questa scusa le presunte streghe vengono denudate e depilate per essere sottoposte a una minuziosa analisi compiuta tramite spilloni infissi nelle carni con morbosa sadicità. La persecuzione diventa pertanto un comodo mezzo per risolvere il timore di una sessualità femminile che era comunque il segno di qualcosa di diverso rispetto alle norme di vita comuni. Del resto i Sabba, sia che si considerino come realmente avvenuti o solo come il frutto di esperienze onirico-allucinatorie derivate da antichi riti, servivano a queste donne per liberarsi dalle costrizioni mortificanti della loro società e ad accedere ad una realtà alternativa, più naturale, gioiosa e gratificante.

Mircalla

A. Dürer: Le quattro streghe, 1497

Bibliografia: -P. Castelli, Le antenate di Malefica, in “Art e dossier” n°85, Dicembre 1993; -C. Corvino, La strega e la lussuria, in “Abstracta” n° 39, Luglio-Agosto 1989; -A. Di Nola, Il diavolo, Newton Compton Ed., 1987; -Franco Fede, Il vero libro delle streghe, Ed. Albero, 1987; -C. Ginzburg, Storia notturna, Einaudi, 1989. 6


La Stregoneria e l’arte figurativa diffusione del Cristianesimo nell’Occidente portò ad una L anuova interpretazione delle credenze pagane che, inglobate nella nuova religione come

manifestazioni del potere di Satana, crearono un’iconografia magica del male che trovò il suo culmine negli anni oscuri del Medioevo. In questo periodo la Chiesa cristiana, ormai arrivata ai vertici del suo potere spirituale e temporale, favorì con quella follia che fu l’inquisizione, una vera e propria mitologia stregonesca, ispirando centinaia di artisti che riversarono sulle streghe i loro misteriosi traffici, macabre fantasie religiose ed inconfessate ossessioni erotiche. Fino al XV secolo furono molto rare le opere “d’autore” dedicate esclusivamente alla stregoneria: argomento trattato per lo più dai miniatori, e successivamente, dai xilografi che, con elaborate decorazioni di streghe e diavoli, integrarono i numerosi scritti sacri e profani che circolarono copiosi sull’argomento. E comunque in un’atmosfera dominata dal peccato e dalla dannazione eterna erano impensabili opere artistiche che alimentassero ulteriormente la “caccia alle streghe” degli Inquisitori e la superstizione di una popolazione illetterata e impressionabile. Tra il XV e il XVI secolo le streghe cominciarono, timidamente, ad apparire nei quadri complessi e filosofici di Bosch, Durer e Brueghel il Vecchio. Bosch le raffigurò folli e grottesche nei suoi inferni esoterici e allucinanti; Durer, sulla falsariga di Van Mecknem e Venceslao Olmutz, le dipinse prorompenti e muscolose, mentre Brueghel dapprima le disegnò come un’accozzaglia di mentecatte e poi come allegre ed innocenti vecchiette intente, apparentemente, a giochetti innocui e insignificanti. Con Halbung Grien le streghe non suscitarono più sentimenti di ripulsa: le megere mostruose e le laide vecchiette dell’immaginario medievale si trasformarono in voluttuose e formose seduttrici che, immerse in un’atmosfera sensuale, anticiparono il gusto macabro per la bellezza orrida e intrisa di vampirismo che tanto sarà in voga tra i romantici e i simbolisti ottocenteschi. Nella lunga lista di misconosciuti pittori che nel Cinquecento si dedicarono alle numerose varianti dei modelli di Durer e Grien, gli unici degni di nota furono Jan Luyken e Picart: riportando la strega ad una dimensione più umana la raffigurarono fragile e piangente di fronte all’imminente fine sul rogo. Nell’iconografia seicentesca la tematica ispirata alla magia è molto rara: le tele di Teniers non sono altro che scene di genere, mentre la “Zingara” di Caravaggio- la prima nel ‘600 che alludesse a tematiche magiche- è semplicemente un tema di vita quotidiana e popolaresca. Ormai sono scomparsi gli intenti filosofici di un Bosch o di un Durer. Ricompaiono, seppure in misura limitata, in Salvator Rosa, leggendaria figura preromantica immortalata da scrittori di prima grandezza quali il fiabesco Hoffmann e lo straordinario Theophile Gautier. Napoletano di nascita e di formazione ideò il genere della veduta fantastica, dello scenario tenebroso e selvaggio che ne fece il precursore del “pittoresco e sublime” tanto caro ai paesaggisti del XIX secolo. Anticonformista ed insofferente ai modelli estetici dei contemporanei, nel ciclo delle stregonerie inaugurò apertamente il gusto dell’orrido e del macabro già ampiamente sperimentato nei paesaggi e nelle scene di battaglia. Alludendo ad un mondo in crisi dipinse un popolo ripugnante di streghe e di stregoni, ormai completamente assuefatto ad una vita scandita dal F. Goya: Bella Maestra!, 1797-98

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fetore dei cadaveri e dal marchio infamante della superstizione e della miseria più completa. Nel XVIII secolo le streghe trovarono un’eccezionale interprete in Francisco Goya che le trasformò in una disincantata e durissima denuncia sociale e morale. Nei “Capricci” e in diverse incisioni di piccolo formato descrisse, con beffarda disillusione e feroce sarcasmo, ogni genere di creduloneria e di fanatismo. Immagini di supplizi, di follia e stregoneria che dovevano porre davanti allo sguardo dell’osservatore l’anima grottesca e malefica del genere umano. Abbandonata ogni forma di speranza e di ironia Goya sfogò la sua disperazione e la sua rabbia nelle Pitture nere, affreschi allucinati e visionari che descrivono un mondo immerso nell’oscurità e nel male più assoluti, un mondo dove le streghe sono mostruose e violente, esseri senz’anima prostrati stoltamente dinanzi ad un demonio bestiale e grottesco. Nell’Ottocento non esistono più le streghe dedite a strani ed innominabili riti. E’ l’essenza stessa della donna, l’eterno femminino a trasformarsi in un simbolo di dannazione e di malefiche stregonerie. Gli artisti decadenti e simbolisti crearono un modello di bellezza fatale e maledetta che traeva ispirazione dalle eroine castratrici della Bibbia e dalle divinità lunari delle antiche religioni pagane. “Femmes fatales” e d’ispirazione letteraria che con un fascino perverso da arpie sensuali daranno origine alle vamp(ire) e alle dark ladies rese celebri -e in parte involgarite- dalla cinematografia e dalla letteratura noir del ‘900. Nel nostro secolo la tradizione iconografica stregonesca è relegata nei ristretti confini delle illustrazioni e delle copertine dei libri fantastici realizzate da grandi illustratori quali Frank Frazetta, Karel Thole e Boris Vallejo (1) che, nonostante l’evidente preparazione artistica e l’indubbio talento, vengono costantemente sotR. Venosa: Buddhasphinx, '76-'78 tovalutati e ignorati dalla cultura e dalla critica ufficiale. Nella pittura invece, non è più un gruzzolo di signore più o meno avvenenti a rappresentare la magia e il mondo dell’occulto: è la pittura che diviene magica e mistica. L’orrorifico Giger e il mistico Robert Venosa (2), la sciamanica Susan Seddon Boulet (3) e la soave ed eterea Angela Oro (4), sono solo alcuni degli artisti che nella nostra epoca portano coraggiosamente avanti la concezione di una pittura sensoriale ed orfica, pervasa da quel sentimento del meraviglioso di cui la nostra società ipertecnologica necessita per ricordarsi che l’essere umano in fondo è “una creatura” che ha bisogno di sognare per sopravvivere.

Délie (1) Ho citato soltanto i nomi più illustri. La schiera di illustratori validi è lunghissima: Charles Wess, Syd Mead, John J. Muta, Hildebrant, etc. (2) Pittore americano. Inserisce elementi mitologici in un contesto surreale e futurista, senza perdere la sua attitudine tipicamente fantastica. E’ stato spesso associato ad artisti quali Matt Klarwein, H.R. Giger e Ernst Fuchs. (3) Pittrice metafisica sudamericana. Dipinge, attraverso una fusione di figure umane ed animali, spiriti elementari derivanti in parte da una straordinaria inventiva e in parte da antichi culti e tradizioni indiane e sciamaniche. (4) Pittrice torinese. Di attitudine espressionista, crea in una sovrapposizione di bambole, maschere, particolari anatomici, volti e drappeggi, composizioni sognanti e purissime. Bibliografia orientativa: ”Streghe, diavoli e morte” incisioni e libri dei sec. XV-XX, Museo del Sannio, Benevento 1988; ”Il Fantastico, la fantascienza, e la favola”, AA.VV. Ed. Longanesi, Milano 1974; ”Shaman” di Susan Seddon Boulet, Ed. Pomegranate, 1989; ”Noosphere” di Robert Venosa, Ed. Pomegranate, 1991 8


Racconti di streghe dell’800/900 termine della terrificante ed oscura età dell’Inquisizione, A lquando ormai la luce della ragione comincia ad illuminare le menti degli uomini cac-

ciando via gli orridi fantasmi della superstizione, quando non ci sono più capri espiatori da mettere al patibolo, l’immagine della strega si trasferisce nel mondo della letteratura, diventando oggetto di racconto. Già Shakespeare, ancora in età elisabettiana, ricorre in “Macbeth” alla presenza di tre vecchie che vivono immerse nella tempestosa e nebbiosa landa di Scozia, tra calderoni e amuleti, con l’ingrato compito di predire al protagonista il suo infausto futuro. Ma è in particolar modo con l’Ottocento e l’avvento del Romanticismo che la figura della strega trova un posto di primo piano nell’immaginario letterario grazie alla riscoperta delle antiche fiabe e leggende, delle tradizioni popolari nordiche, della religiosità pagana e celtica. Tra gli autori che si interessano alla rivalutazione di questo mondo nascosto vi è lo scrittore inglese W. Scott, che nel 1830 pubblica le “Lettere sulla Demonologia e la Stregoneria” allo scopo di dimostrare razionalmente la malvagità della persecuzione. Secondo lui le accuse di stregoneria servivano in realtà a liberarsi delle persone socialmente non desiderabili, come i vecchi e le donne, che erano considerati improduttivi. A una ricostruzione di carattere storico egli aggiunge inoltre vari racconti mitico-leggendari che spaziano dai vampiri ai licantropi fino alle religioni indiane. Di ambito più propriamente romanzesco è invece “Le streghe del Lancashire” (1849) di W. H. Ainsworth, che riprende come tema i processi alle streghe avvenuti in Inghilterra nel 1613 ed attorno ad essi inventa un mondo occulto e gotico, alla Radcliffe, per intenderci, sfruttando la suggestione di un paesaggio selvaggio, incantato. Dal punto di vista morale il giudizio rimane invece sospeso in quanto egli, anche se segue Scott nel voler mostrare i mali derivanti dalla persecuzione, sembra però affermare che le streghe sono veramente tali e che il loro destino deve compiersi al di là di qualsiasi interferenza umana.(1) Contemporaneamente lo stesso argomento viene trattato nella nuova terra d’America da uno dei suoi più importanti scrittori: N. Hawthorne. Nato e cresciuto a Salem, la città delle streghe, discendente di un famoso giudice che era stato un implacabile accusatore nei processi del 1692, maledetto assieme alla sua progenie da una delle condannate, egli per tutta l’esistenza porta impresso dentro di sé e nelle sue opere il marchio di questa colpa da espiare. Sceglie pertanto di stare dalla parte delle indiziate, delle vittime, in una sfida di sangue nei confronti del suo antenato. Si studia tutti i documenti in circolazione sui processi di streghe, ritorna indietro nel tempo e ricostruisce i luoghi e i momenti cruciali di quella follia sterminatrice, facendo rivivere in “La supplica di Alice Doane” il Colle della Forca che si erge minaccioso e il bagliore dei roghi all’orizzonte. Passa dalla storia alla leggenda in “Feathertop” dove descrive una vecchia e buffa strega alle prese con uno spaventapasseri cui infonde la vita, o all’allucinazione di “Il giovane Goodman Brown” in cui ricostruisce le cerimonie demoniache di un notturno Sabba che coinvolge tutte le persone all’apparenza più rispettabili e devote di Salem. Interessante per capire la sua posizione riguardo la stregoneria è anche “Il maggio di Merry Mouth” su di una felice comunità dedita a riti di fertilità e di gioioso paganesimo che viene imprigionata, torturata e distrutta dai feroci e “sciagurati infelici” Puritani. Dal villaggio di Salem torniamo ora in Europa, e precisamente in Germania, dove dagli inizi dell’Ottocento era in voga il “Märchen”, ovvero una narrazione fiabesca fatta di 9


principesse, di orchi, mostri, fate e streghe. A questa tradizione si rifà L. Bechstein nei sei racconti di “Storie di streghe” (1854), solo che invece di attingere dalla fantasia prende spunto da atti di processi realmente avvenuti tra la metà del ‘500 e gli inizi del ‘700 e li trasfigura in maniera immaginaria. Le sue storie grondano sangue, soprusi, ingiustizie e narrano una crudeltà nata dalla superstizione e alimentata da una paura irrazionale. Lo scrittore non risparmia gli eventi più scabrosi, racconta i procedimenti della tortura, l’assurda estorsione di confessioni raccapriccianti, senza però indugiare nella descrizione, ma esaltandone l’orrore e l’assurda tragicità. Per Bechstein non è la stregoneria ad essere pericolosa, bensì la convinzione della sua esistenza, e il terrore non viene dalla presenza di culti magici e demoniaci, ma dalle autorità giudiziarie che innescano la follia persecutrice. Sembra invece credere fortemente all’immagine della strega e alla potenza del suo mito lo scrittore francese J. Michelet, al quale si deve il famoso saggio “La Strega” (1862), che tanta influenza ebbe sui suoi contemporanei (Baudelaire) e successori (Bataille). Egli la descrive come la sacerdotessa di un culto notturno e demoniaco che si richiama ad antichi riti di fertilità, ma ne fa in realtà soprattutto il simbolo della rivolta sociale della donna, emblema della repressione erotica ottocentesca. Così la “strega” assomiglia a molte altre donne del suo secolo, eroina, combattente, ribelle, portatrice di eros ma anche di tragica morte. L’epoca decadente di fine Ottocento accoglie con forza il tema della stregoneria accentuandone l’aspetto orrorifico e spaventoso. Per gli scrittori del tempo non è importante sapere chi in realtà fossero le streghe condannate a morte dalla Inquisizione, quello che conta é la presenza archetipa di figure oscure, maligne, demoniache che popolano la terra e sconvolgono la mente e la vita degli uomini. Così è la strega di uno dei migliori racconti di Stevenson, “Janet la storta”, una vecchia brutta e zoppa, “col collo torto e la testa girata da una parte come quella di un impiccato”, dal ghigno satanico, sbavante e imprecante contro Dio come un’indemoniata, che si rivela essere in realtà un cadavere morto da molto tempo, sottratto alla tomba e portato in giro dai diavoli per la dannazione del villaggio. E simili sono anche i personaggi che popolano l’immaginario fantastico dello scrittore gallese A. Machen, i cui racconti narrano di antichi mondi terribili, di divinità demoniache e sono carichi “di ansia e di orrore strisciante...di un possente senso di terrore e di aberrazione cosmica” (2). Ne “Il grande Dio Pan” una donna dalla bellezza stranamente esotica spinge al suicidio gli uomini e fa sì che un artista dipinga incredibili quadri raffiguranti i Sabba delle streghe, per poi scoprirsi che si tratta addirittura della figlia del ripugnante Pan, il dio della natura. “Il Popolo Bianco” è invece il diario di una fanciulla iniziata a soli tre anni dalla governante ai riti magici proibiti che richiamano il malefico culto delle streghe, diffuso attraverso generazioni di contadini in tutta Europa, e i cui membri si riuniscono in boschi tetri e in luoghi solitari dove celebrano disgustose orge. Frattanto anche nel resto d’Europa si moltiplicano i racconti di streghe, tra i quali vorrei citare il francese “L’occhio invisibile” di Eckermann e Chatrian su di una perfida vecchia strega che ordisce di notte incantesimi ipnotici che spingono gli ospiti di una locanda a impiccarsi. Questo motivo dell’ ipnotismo, tipico del resto della fine del secolo quando si scatenò una vera e propria moda per lo spiritualismo di ogni genere, diventa portante in un bellissimo e misconosciuto romanzo dello scrittore americano F. M. Crawford, “La strega di Praga” (1891). In esso opera una coppia demoniaca di stregoni, Unorna e Keyork, la prima incisione di H. Burgkmair 10


dalla bellezza eccezionale e dalle capacità mesmeriche, il secondo dedito all’occultismo e creatore di automi e mummie viventi. Unorna viene descritta come una donna dai capelli rosso tiziano, dagli occhi (uno bruno, l’altro chiaro) inumani e distruttivi, dal temperamento imprevedibile, sensuale, ed inoltre superstiziosa, irrazionale, tutta presa a seguire una grande passione fino all’ingenuità e allo spreco del suo talento. Ella ci appare inoltre come simbolo e paradigma della città di Praga, “stregonesca, ammaliatrice e soporifera nella sua bellezza medusea” (3). Tutti i personaggi del romanzo vengono sedotti dalla bella strega, ma sono anche in grado di resisterle e contrapporre un fluido altrettanto potente, cosicché l’intera storia si risolve in un incontro tra personalità magnetiche, all’interno di un’ambientazione surreale e gotica, a metà “tra il faustismo di Mary Shelley e il demoniaco di Monk Lewis” (3). Agli inizi del Novecento il tema della stregoneria continua ad alimentare le opere di molti scrittori, dando vita a bellissimi racconti, come ad esempio “Antiche magie” di A. Blackwood, uno dei maestri inglesi del racconto del terrore, ambientato in un antica cittadina francese stregata, i cui abitanti, capaci di tramutarsi in felini, sono coinvolti in una vicenda di sabba e reincarnazione. Ma è soprattutto l’opera dello scrittore americano H. P. Lovecraft (tra gli anni ‘20 e ‘30) a distinguersi per la frequenza e l’importanza con cui tratta l’argomento. Tutto il suo mondo letterario è popolato da personaggi coinvolti in culti e riti misteriosi di divinità mostruose, primigenie, ora scomparse dalla terra, ma che è possibile rievocare tramite procedimenti magici conosciuti solo da pochi iniziati. Tra i suoi racconti più aderenti all’argomento della stregoneria sono da ricordare il romanzo breve “Il caso di Charles Dexter Ward” (‘27) che ripercorre la figura dello stregone Joseph Curwen nella Providence (città natale di Lovecraft) del XVIII secolo, “L’orrore di Dunwich” (‘28) su pratiche magiche che riportano in vita una mostruosa creatura primordiale, “L’orrore a Red Hook” (‘25) su di una comunità dedita a culti demoniaci che si rifanno all’antica dea Lilith. Figure di streghe sono quelle di “I sogni della casa stregata” (‘32) in cui rivive Keziah Mason, condannata nei processi di Salem del 1692 dal Giudice Hathorne (l’antenato di Hawthorne), e di “Medusa”, (‘30) in cui la protagonista si rivela essere unita da qualche legame oscuro con l’antica menade, incarnazione della dea Tanit-Iside, depositaria dei Segreti Antichi. Molte sono anche le collaborazioni avute nel corso degli anni con altri autori suoi discepoli e successori, e numerose sono le revisioni fatte sui lavori degli altri. Ne è un esempio il racconto “L’orrore di Salem” (‘36) pubblicato da H. Kuttner in cui la mano del maestro è facilmente riconoscibile nei riferimenti alla vecchia strega, somma sacerdotessa di uno dei Grandi Antichi, o il racconto di R. Bloch “I servi di Satana” (‘35), in cui Lovecraft operò una serie di correzioni, aggiunte e annotazioni. Tutta una generazione di scrittori americani del resto lo considera un maestro ed è stata fortemente influenzata dal suo lavoro, come è possibile leggere sulle pagine di “Weird Tales”, rivista di letteratura dell’orrore, vera fucina e palestra di addestramento per i giovani autori che si dedicavano al genere. I racconti che hanno come tema le streghe finiscono pertanto col diventare via via sempre più diffusi, dando vita a opere considerate minori, ma comunque testimonianza di un forte interesse e di una buona qualità artistica, contribuendo a creare uno dei filoni “classici” del genere “horror”, tanto spesso trasportato al cinema e tuttora ancora vitale. Esiste anche un filone della letteratura femminile che cerca di approfondire l’immaginario della strega, spesso con maggior sensibilità, coinvolgimento e forza rispetto agli scrittori maschili. All’incirca si possono individuare due linee di ispirazione principali, che spesso tendono a fondersi tra loro: da una parte mettere in evidenza tutta la carica sociale della sua figura, dall’altra sottolineare il suo legame con l’antico patrimonio fiabesco. Di particolare interesse è “Storie di bimbe, di donne e di streghe” (1854) di E. Gaskell, scrittrice vittoriana inglese, serie di racconti che narrano vicende al confine tra fantasia e realtà, illuminando proprio quelle parti della storia ufficiale che vengono di solito scartate o considerate marginali. Le protagoniste di queste storie passano da un’infanzia felice ad una maturità disillusa e solitaria, le difficoltà della vita le rendono dure e ostinate, ma resta in loro uno spirito indomabile e un carattere selvaggio cosicché assumono agli occhi della comunità i tratti inquietanti della strega. Sono le depositarie silenziose di saperi antichi, di enigmi indecifrabili, di passioni e sentimenti repressi, sono personaggi complessi, che rivelano zone inquietanti ed oscure. Molto interessante è soprattutto “La strega 11


Lois” che ricostruisce gli avvenimenti di Salem del 1692, cercando di indagare, in maniera quasi antropologica, la vicenda della caccia alle streghe. Viene mostrato così il clima di sospetti e di persecuzioni che si sviluppò al tempo nel paese e il fenomeno di isteria delle cosiddette “bambine sataniche” che dettero il via alle condanne, piccoli esseri che furono facili prede di un’immaginazione morbosa e ossessiva, di una morale rigidamente puritana, del terrore proprio di un mondo chiuso assediato dai pericoli esterni. Un’atmosfera magica e popolare allo stesso tempo è invece quella ricostruita da E. Parodi nelle sue “Le novelle della nonna” (1892), in cui dà vita ad un universo fiabesco composto da streghe paesane e da diavoli astuti, inoltrandosi nei territori del misterioso e del diabolico. Si tratta per lo più della trasposizione letteraria di antiche leggende del Casentino (Arezzo), legate ad una cultura contadina e rurale, in cui compaiono le brutte “befane” che portano il carbone ai bambini cattivi, oppure l’”incantatrice” che seduce i viaggiatori, o la vecchiaccia che vive nel bosco e comanda sugli animali, intenta nelle sue pozioni magiche. Alle fiabe si riallaccia anche Angela Carter, scrittrice inglese contemporanea, in “La Camera di sangue” (‘79), anche se ne fa un uso stravolto, per cui le vecchie streghe e vampire diventano le protagoniste della società, donne dalla forte personalità e capaci di imporre la propria volontà, il tutto intrecciando vicende quotidiane e soprannaturali con una forte componente magico-orrorifica. Il tema della strega si trasforma così in una metafora che racconta il difficile percorso iniziatico compiuto dalle donne nel passaggio dall’adolescenza al mondo adulto, tra paura e mistero, tra desiderio e incubo. Ma essere strega vuol dire soprattutto avere una capacità particolare ad entrare in contatto con le cose e la natura, una sensibilità al di fuori dell’ordinario, un rifiuto ad accettare le regole convenzionali della società alla ricerca di un destino più libero e giusto. E’ questa l’immagine che scaturisce dal bel libro di Maryse Condé “Io, Tituba, strega nera di Salem” (‘87) che ripercorre le vicende di quella giovane schiava caraibica che fu accusata di avere istigato ai malefici e ai riti satanici gli abitanti di Salem. Il colore della sua pelle, le pratiche rituali e magiche ereditate dalla sua cultura, la ribellione di fronte ai nemici della sua razza, ne fanno il perfetto capro espiatorio e accendono la paura dei bianchi nei suoi confronti. Ma lei sopravvive alla terribile persecuzione puritana e, una volta morta, il suo spirito torna ad abitare i luoghi amati sotto forma di animale e di pianta. E’ questo del resto il destino della strega, figura che, come tutti i miti dell’umanità, non può morire mai, ma che anzi risorge dal suo tragico passato ed aleggia in mezzo a noi ipnotizzandoci con il suo sguardo affascinante e la sua inquietante magia, eterno simbolo della lotta tra bene e male, tra libertà e potere, tra vita e morte.

Mircalla (1): da “Storia della letteratura del terrore” di D. Punter, Ed. Riuniti, ‘84. (2): da “L’orrore soprannaturale in letteratura” di H. P. Lovecraft, Ed. Theoria,’89 (3): dall’introduzione di A. Contenti a “La strega di Praga” di F.M. Crawford, Ed. Studio Tesi, ‘87. Per la bibliografia mi limito a segnalare i libri di più facile reperimento e rinvio per gli altri a comunicazioni personali nel caso qualcuno fosse interessato: -N. Hawthorne, “Racconti dell’ombra e del mistero”, Theoria ‘93; -L. Bechstein “Storie di Streghe”, Oscar Mondadori ‘92; -J. Michelet “La strega”, BUR ‘87, -R. L.Stevenson “Janet la storta”, Tascabili Newton Compton ‘94; -H. P. Lovecraft, “Tutti i romanzi e i racconti”, Tascabili Newton Compton,’ 94; E. Gaskell “Storie di donne, di bimbe e di streghe, Astrea, Giunti ‘90; -E. Parodi “Le novelle della nonna”, Einaudi Tascabili ‘93; -A. Carter, “La Camera di Sangue, Feltrinelli ‘94; -M. Condé “Io, Tituba, strega nera di Salem”, Astrea Giunti, ‘92. 12


Le erbe del Sabba classica tramandataci dall’iconografia medievale U n’immagine e dalla letteratura popolare è quella della strega che prepara pozioni magiche con ingre-

dienti disgustosi ed erbe misteriose. La conoscenza delle proprietà terapeutiche delle piante è chiaramente antichissima e anche i primi studi formalizzati di Medicina dimostrano una precisa cognizione dei poteri medicamentosi naturali. Nella società medievale grande era presso il popolo la fiducia nella “magia” delle piante; si pensi che la Chiesa cercò di ribattezzare alcune erbe con nomi cristiani in modo da attribuire le capacità curative alle virtù miracolose dei santi. Antica è poi l’immagine di donne che raccolgono le erbe per preparare decotti e pozioni: sorta di guaritrici popolari le Herbarie agiscono ai margini della società, spesso osteggiate e perseguitate dalle autorità. A loro ad esempio si rivolgono altre donne in cerca di decotti contraccettivi o medicine per abortire, cosa che renderà le Herbarie particolarmente colpevoli agli occhi della Chiesa. L’identificazione tra la raccoglitrice di erbe e la Strega si va facendo strada sin dalla fine del ‘300; sono pertanto numerosi i casi di ignari guaritrici tratte in arresto e condannate per stregoneria. E’ dal XV secolo che le Herbarie vengono viste definitivamente come streghe: la loro figura verrà da questo momento in poi confusa con quella di chi conosce assai bene le piante più nocive, le più velenose; di chi vaga di notte sotto le forche in cerca dell’afrodisiaca Mandragora; di chi sa come trasformare in letale veleno i delicati fiori di Giusquiamo. Ma di pozioni d’amore e di morte non vogliamo qui trattare.... Nel ‘500 un gruppo di intellettuali comincia ad affermare che le azioni associate alle streghe non sono altro che dei vagheggiamenti di donne denutrite e isteriche, e sogni provocati da droghe naturali. Gerolamo Cardano, Giovan Battista Della Porta e Johann Wier tentano così nelle loro opere di scardinare la tesi del complotto diabolico sostenuta dalla Chiesa e dal “fior fiore” degli intellettuali dell’epoca. Queste affermazioni riconducono a cause naturali ed elementari la complessa e paurosa superstizione legata alle streghe. Ma se il Sabba, il connubio diabolico, i voli delle fattucchiere sono solo allucinazioni, se insomma non c’è lo zampino del diavolo, la paura del popolo viene meno e conseguentemente viene ridimensionata l’autorità della Chiesa. Questi pensatori vengono, come è facile immaginare, fortemente osteggiati: il Della Porta ha anche noie con l’Inquisizione tant’è che la seconda edizione del suo “De Magia naturalis sive de miraculis” esce edulcorata dei passi più controversi, quelli relativi alla preparazione dell’«unguento del Sabba». Condizione essenziale per il rito Sabbatico è appunto l’unguento, preparato con erbe “magiche” e spalmato su tutto il corpo. Le streghe devono quindi spogliarsi e cospargersi del preparato soprattutto nei genitali che essendo zone fortemente irrorate di sangue permettono con maggiore facilità alla droga di entrare in circolo. La documentazione sull’unguento è abbondante: addirittura Jean de Nynauld nel 1615 ne elenca tre tipi, diversi per effetto e per l’uso che ne fanno le streghe: uno serve per recarsi al Sabba con l’immaginazione, un secondo per cavalcare una scopa e volare attraverso l’aria 13


e il terzo per trasformarsi in animale. Oltre alle piante magiche l’unguento è composto di grasso e sangue di bambino, ragnatele e via degenerando tant’è che è lecito chiedersi se in queste descrizioni gli scrittori non abbiano calcato un po’ la mano alla ricerca dell’effetto (una sorta di Splatter ante-litteram?). Proprio per l’uso e l’importanza delle droghe nella stregoneria alcuni studiosi, M.A. Murray fra tutti, sostengono che il rito sabbatico è probabilmente una derivazione degli antichi rituali pagani e dei culti dionisiaci. La Murray evidenzia comunque una decisa differenza nell’uso delle droghe nei culti primitivi e moderni, in cui al posto della frenesia, della perdita violenta del controllo, tipica dei riti delle Baccanti, si cerca “l’instupidimento”, l’abbandono in un mondo di visioni inebrianti. Dalle confessioni delle streghe (quelle vere almeno) nei processi si delinea un’immagine del Sabba abbastanza standardizzata: esse si recano in volo nel luogo prescelto (ad esempio in Italia il famoso albero di Noce nei pressi di Benevento) dopo essersi spogliate e cosparse d’unguento; qui incontrano i loro consimili riuniti a festeggiare Satana con luculliani banchetti e riti orgiastici. E proprio la scelta delle erbe che compongono l’unguento dimostra una sorta di conoscenza empirica alla volta di ottenere nel sogno i desiderati effetti: la sensazione del volo e i piaceri derivati dai cibi e dagli amplessi. Nessuna strega parla mai nelle confessioni di effetti spiacevoli o di incubi. Fra le piante maggiormente usate nella preparazione dell’unguento troviamo la Belladonna, il Giusquiano, l’Aconito e la Mandragora. La Belladonna, o meglio Atropa Belladonna appartiene, strano a dirsi, alla stessa famiglia del pomodoro. Cresce spontaneamente nelle aree montane e submontane e il suo nome deriva dall’impiego cosmetico dei suoi derivati, usati per rendere più luminosi e grandi gli occhi. Fra i contenuti della Belladonna vi è l’atropina la cui azione farmacologica è quadrupla: paralizza le fibre nervose dei muscoli, riduce le secrezioni ghiandolari, accelera le pulsazioni del cuore e determina una fortissima eccitazione cerebrale. A dosi massicce questa sostanza provoca inizialmente fuga di idee ed irrequietezza, tremolio agli arti; in seguito compaiono forme allucinatorie acustiche e visive e infine stanchezza e sonnolenza. Per evitare gli effetti collaterali dovuti all’ingestione (nausea e vomito) le Streghe usavano la Belladonna sotto forma di unguento. Il Giusquiamo è una pianta del gruppo delle solanacee che comprende undici specie, due delle quali diffuse anche in Europa, la “nera” (Hyoscyanus niger) e la “bianca” (Hyoscyanus albus). La varietà più usata è quella “nera” dalle cui foglie e fiori si ricava la sostanza attiva. La farmacopea cinquecentesca individua la sua azione in “alienazione di mente e ubriachezza e stupore et immobilità di tutti li membri”. Secondo alcune fonti il Giusquiano, pianta magica di Giove, può essere utilizzato nelle operazioni occulte solo se queste si tengono di Giovedì, nelle ore diurne sacre H. Baldung Grien: Un buon anno ai chierici, 1514

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al dio; in questo caso la pianta porta all’illuminazione, al benessere e alla prosperità. Anche William Shakespeare nell’Amleto cita il Giusquiamo riferendosi per l’esattezza alla sua potente azione come veleno. L’Aconito (Aconitum Napellus) ha fra i suoi componenti l’aconitina. Si tratta di un potentissimo veleno, mortale in dosi di un solo milligrammo, che agisce eccitando e poi paralizzando i centri nervosi. L’assunzione di una delle parti della pianta provoca una forte secrezione salivare accompagnata da un’eccessiva sudorazione; può intervenire anche la contrazione dei muscoli facciali. Si accompagna una sensazione generale di freddo e mancanza del respiro, e sopraggiunge poi uno stato confusionale e vertigini. Si hanno quindi forti disturbi visivi, offuscamento della vista e visioni doppie, e infine si presentano stati allucinatori permanendo tuttavia integra la coscienza. Che la Mandragora sia la pianta principe della tradizione stregonesca è cosa certa: inquietante sin dal nome, la sua fama sinistra si deve forse alla forma della sua radice che ricorda vagamente un feticcio umano. Secondo alcuni la Mandragora nasce principalmente dallo sperma che l’impiccato emette negli spasmi dell’agonia e va quindi ricercata preferibilmente nei luoghi dei supplizi. Complesso è poi il rituale per la raccolta della sua radice: si crede che la pianta sia abitata da un demone che se risvegliato ucciderebbe con il suo urlo lo sprovveduto raccoglitore. E’ quindi necessario legarla con una corda allacciata al collo di un cane in modo da far cadere il maleficio sul povero animale. Indispensabile è poi non toccarla con metalli vili e a mani nude a causa della sua pericolosità. Dai tempi antichi sono note le proprietà narcotiche e soprattutto afrodisiache della pianta. La scienza moderna ci ha rivelato che la Mandragora contiene alcuni principi attivi (ioscina, atropina mandragorina e iosciamina) capaci di effetti sedativi ed eccitanti allo stesso tempo. Essi inducono poi uno stato ipnotico simile a quello in cui si cade nella fase REM del sonno, quella del sogno. Ma è possibile limitare il Sabba e i suoi oscuri rituali ad una questione di droghe? Il fatto che nelle visioni indotte dall’unguento le Streghe vedano le stessi immagini e provino simili esperienze ci fa supporre che le droghe agiscano soprattutto da amplificatori di desideri e aspettative legate all’immaginario culturale dell’epoca. Le Streghe, già secondo il Dalla Porta sono delle povere vecchie laide ed accidiose, ai margini della società; è la loro stessa vita grama a favorire il desiderio di fuga nell’immaginario. Al tempo stesso non va ignorata la tesi della Stregoneria come rituale pagano: in questo caso la droga, come nelle cerimonie religiose degli indios americani, riduce i freni inibitori e consente una maggiore partecipazione ma soprattutto una maggiore consapevolezza della funzione del rito. Le erbe del Sabba e il portentoso unguento permettono così di abbattere il “muro del sonno” e spiare da un varco il giardino del subconscio con i suoi tortuosi labirinti ed ermetici simboli.

Christian Dex (in questa pagina: la Mandragora in un'incisione del '300) Bibliografia: C. Corvino: “La donna manipolatrice di erbe: Strega o Guaritrice?” in Abstracta n° 34, Febbraio 1989; P. Castelli: “«Donnaiole, amiche de li sogni» ovvero i sogni delle streghe” in Bibliotheca Lamiarum, 1994 Pacini Ed.; J. Castaneta: Guida alle droghe magiche, 1992 Fratelli Melita Ed. 15


L’immagine della strega nella fiaba L

a strega è un personaggio tipico e caratteristico della fiaba tradizionale. Ma la sua presenza, al contrario di ciò che si può pensare, non è necessariamente legata all’esigenza di contrapporre una figura “malvagia” all’eroe/ina “buono/a” per antonomasia. In realtà assume un ruolo molto più complesso e di difficile analisi, in quanto la sua immagine risulta composta da una vasta serie di dettagli tratti da racconti diversi che non corrispondono fra loro e non convergono a formare un’unica coerente visione. Comunque in base all’analisi condotta da Propp, soprattutto sulla fiaba russa, esistono in sostanza due tipi differenti di streghe: la “strega-donatrice” che incontra l’eroe, lo mette alla prova e infine gli concede dei premi per continuare il cammino, e la “strega rapitrice” di bambini, che vorrebbe cuocerli e mangiarseli, ma gli sfuggono, cosicché è lei a finire bruciata nella stufa. In realtà i due tipi di streghe hanno molte caratteristiche in comune e il loro ruolo risulta essenzialmente connesso con il regno dei defunti. Infatti secondo lo studioso Frazer la fiaba rispecchierebbe in realtà dei riti di passaggio un tempo estremamente diffusi, cioè dei riti di iniziazione dei fanciulli al sopraggiungere della maturità sessuale, connessi strettamente alla concezione della morte (si pensi a “Barbablù”, “Pollicino” e “Il gatto con gli stivali”). In pratica si suppone che durante gli antichi rituali il ragazzo/a dovesse simbolicamente morire per risorgere a nuova vita come vero uomo/donna. Ha così luogo la cosiddetta “morte temporanea” che può consistere ad esempio nel venire immaginariamente inghiottito da un animale mostruoso (Giona e la balena), oppure nell’essere cotto, bruciato e fatto a pezzi o direttamente nell’essere costretto a scendere nel regno degli Inferi. Nella fiaba il compito della “strega-donatrice” è per l’appunto quello di “traghettare” l’eroe nel regno dei defunti, di aprirgli le porte dell’Ade di cui è guardiana. Vive nel mezzo di una foresta che viene sempre descritta come un luogo buio, misterioso e terribile e che ha in linea di massima la funzione di ostacolo, di impedire il cammino e di far smarrire la strada all’eroe. La capanna della strega simboleggia l’entrata agli Inferi ed è caratterizzata dalla presenza di porte dall’aspetto animalesco, oppure da una palizzata esterna adorna di teschi. L’eroe per potervi accedere deve prima esorcizzarne le porte pronunciando una parola magica (come in Alì Babà) o portandovi una vittima sacrificale. Una volta entrato, la strega gli offre da mangiare e bere; in questo modo, secondo il rito, egli partecipa al pasto destinato ai defunti ed entra a far parte del loro mondo, dimostrando di non aver paura, seppur vivo, ad accettare un cibo che a lui (come a tutti gli uomini) è proibito. Poi la strega lo sottopone a una serie di prove, tra cui la più impegnativa è quella del sonno, perché addormentarsi nella sua capanna comporta immediatamente la morte. I defunti del resto non dormono mai, mentre i viventi possono venire facilmente scoperti proprio per questo motivo, e dunque la strega mette sull’avviso l’eroe e lo aiuta a superare la prova. Si compie così il rito di iniziazione della morte e successiva rinascita, dopodiché egli è libero di riprendere il suo cammino. La “strega-donatrice”, dal punto di vista dell’aspetto, ricorda un cadavere, una morta. A. Rakham: Hey, Up the Chimney, Lass!, 1907

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Vive in una piccola capanna come se si trattasse di una strettissima bara. Le è sempre peculiare l’attributo della decomposizione: schiena curva e divorata dai vermi, carne flaccida, ossa fragili. Inoltre i suoi piedi scheletrici e l’andamento claudicante sono legati al fatto che non cammina mai, ma vola o giace, manifestandosi così come cadavere. Ella è anche la signora degli animali e dunque può assumere un aspetto animalesco, così come Empusa, a guardia delle Antiporte dell’Ade, che si poteva presentare in forma di bue, asino o donna con una gamba senz’osso, segno di persona morta. La strega inoltre è tradizionalmente cieca e non vede l’eroe, che però sa riconoscere dall’odore (il puzzo dei viventi), ed è contemporaneamente a lui invisibile. Di conseguenza anche l’eroe quando si imbatte in lei diventa cieco, perché una persona morta non può essere vista da una viva. In alcuni racconti la strega viene invece accecata dall’eroe (come Polifemo da Odisseo) oppure ha palpebre infiammate e occhi rossi o addirittura non ha bulbi oculari e le grosse orbite sono cave. Un’altra sua caratteristica è il sesso fortemente marcato: possiede infatti enormi mammelle, segno di maternità. Solo che nelle fiabe è sempre vecchia, senza marito e non può avere figli. E’ sì madre, ma non di uomini, bensì degli animali della foresta, sui quali ha un enorme potere, così come sui fenomeni naturali. La sua immagine si ricollega pertanto a quella della Dea-Madre, signora della Natura, fecondatrice della Terra, e dunque a divinità antiche come Cibele ed Artemide. Il secondo tipo di strega, invece, quella “rapitrice” e “divoratrice” di bambini, viene descritta come spirito, animale o uccello notturno, e corrisponde nel mondo classico alle Arpie o alle Lamie. Ella toglie i bambini dalle loro case e li porta nel bosco, dove li sottopone a tremende torture, percosse, bruciature, amputazioni di dita, asportazioni di pelle dalla schiena. Queste azioni ricordano i trattamenti cui venivano sottoposti i fanciulli nei riti di iniziazione, che dovevano servire a provocare uno stato fisico e mentale simile a quello della morte. In questo modo (e con l’aggiunta di erbe venefiche) si otteneva infatti uno stato di follia temporanea, tale che l’iniziando perdeva la memoria fino a dimenticarsi persino il suo nome e a non riconoscere i genitori, cosicché credeva davvero di essere morto e resuscitato. Questo fenomeno trova del resto riscontro nello sciamanesimo, negli stati di estasi presenti nell’antichità classica (come la follia di Oreste) ed è alla base di molte teorie sull’origine del Sabba. Nella fiaba, però, l’azione della “strega-rapitrice” risulta alla fine fallimentare: ella vorrebbe tagliare a pezzi i bambini e cuocerli nella stufa, ma questi fuggono ed è lei a essere bruciata al loro posto (cfr. “Hansel e Gretel”). Il motivo è dovuto al fatto che l’operato della strega viene in questo caso considerato malvagio e come tale va punito. Ciò sta a indicare che il concetto della morte e della rinascita simbolica è stato ormai perduto e non è più considerato come un beneficio ed un accesso a nuova vita, ma come un evento sbagliato e orrendo. Questo tipo di fiaba testimonia cioè la scomparsa dei riti di iniziazione nelle società primitive, fatto che comporta anche la perdita della visione positiva della strega, come accompagnatrice nel regno dei morti, e la nascita di una visione negativa della sua immagine, come demone infernale portatore di male, e dunque da combattere. La signora degli animali da fata buona diventa perciò una strega cattiva che mangia i bambini. Così quella che era la testimonianza di un antico rituale sacro finisce con il trasformarsi in un tremendo atto di diavoleria.

Mircalla Bibliografia: -V.J. Propp, Le radici storiche dei racconti di magia, Newton Compton Ed. 1976-77; -J.G.Frazer, Il ramo d’oro, Newton Compton Ed. 1992. 17


La Stregoneria nel cinema dagli albori agli anni ‘60 L

a strega, personaggio ambiguo, carico di implicazioni sociali, politiche ed erotiche, ha conquistato, con il suo fascino oscuro e morboso, un ruolo importante fin dagli albori della storia del cinema. E’ difficile inseguire la sua immagine da un film all’altro, tanto evanescente e sfuggevole essa ci appare, così ricca di sfaccettature e di interpretazioni diversificate, capace di attraversare i generi più diversi, dall’horror alla commedia, dal cinema impegnato a quello seriale e televisivo. La sua figura si materializza tra le silenti e suggestive brume della terra di Danimarca, in uno dei capolavori del cinema espressionistico nordico, “Haxan” (Streghe), ovvero “La stregoneria attraverso i secoli”, di B. Christensen (1922). Film di ricostruzione storica, di spiegazione e condanna del grande fenomeno della caccia alle streghe, riesce a raggiungere anche un alto valore lirico ed evocativo. Le sue mute inquadrature, gli intensi primi piani ed i soffici chiaroscuri, trasportano in una atmosfera sognante per poi ripiombare nell’oscurità angosciante dell’animo e del pensiero umano. Vengono rivissute le allucinazioni della stregoneria, le immagini del Sabba, di Satana, le possessioni diaboliche in un convento di monache, e poi le scene di tortura, l’arroganza dell’Inquisizione, l’ignoranza del popolo, i crimini commessi nel nome della fede. Senza questo film probabilmente non sarebbero mai state realizzate le suggestive scene dei roghi delle protagoniste di “Metropolis” e del “Faust”, entrambe opere del grande regista tedesco W. Murnau. Ma in particolar modo “Haxan” é stato il punto di riferimento di C.T. Dreyer, uno dei massimi esponenti della cinematografia mondiale (ricordate l’onirico “Vampyr”?). Nei suoi film richiama le atmosfere nordiche ed oscure di Christensen, (del resto era danese anche lui), e vi aggiunge la sua fosca e tragica visione dell’esistenza. Prende così forma tra le lande desolare della terra natia, circondata e invasa dalla Germania nazista, una terribile storia di caccia alle streghe, di persecuzione, crudeltà e morbosi desideri: “Dies Irae”(1943). Il racconto, ambientato nel 1623, sviluppa il tema della stregoneria della protagonista (Anne), in possesso di una magia luminosa, vitalistica e sensuale, che si scontra con la rigidità delle norme, con il formalismo religioso, con l’istituzione vampiresca del potere ufficiale. La sua anomalia esistenziale, l’anticonformismo, la forza del desiderio vengono schiacciate dalla violenza di un sistema disumano, cosicché la ricerca della pienezza dell’esistenza si risolve in un angoscioso destino di morte. Anne è strega perché è l’incarnazione della sessualità peccaminosa, perché ha osato trasgredire alle regole sociali. Ma soprattutto è la sua condizione di diversa, di emarginata, a costringerla alla magia: i suoi poteri naturali sono l’unica arma contro l’ingiustizia. Dreyer insiste sul suo legame con la natura e giustifica il suo erotismo come una forza primordiale, alla quale non può resistere. E’ la vittima di superstizioni ataviche che vedono nella donna la presenza di elementi malefici, esiziali. Ma soprattutto è la vittima della logica del potere, che la costringe prima a ribellarsi e poi ad essere punita. Ed ugualmente colpevole per la sua diversità, per la sua irregolarità, è la protagonista di un altro film di Dreyer, “La passione di Giovanna d’Arco” (1928). Santa, folle o strega che sia, questa donna “anomala” che sente delle voci, che parla La stregoneria attraverso i secoli di B. Christensen, 1922 18


con Dio come se fosse uno spirito, che veste abiti maschili e combatte per la libertà, suscita la paura dei suoi inquisitori, e pertanto viene perseguitata fino ad essere arsa sul fuoco come eretica. Il regista si sofferma sulla lotta di Jeanne contro l’ordinamento religioso, contro l’ipocrisia e la violenza del regime politico ed ecclesiale. Il fatto di essere incompresa e respinta dalla società la costringe al martirio e alla solitudine, all’oppressione e alla violenza che avranno fine in una morte liberatoria. I film di Dreyer mostrano che l’orrore vero non sta certo in quelle disgraziate creature accusate di praticare la stregoneria, ma in coloro che le perseguita e tortura, membri di istituzioni malvagie e oppressive. Nessun altro autore dopo di lui saprà raggiungere una tale angosciante profondità d’animo e potenza evocativa. Intanto sull’altra sponda dell’oceano, negli Stati Uniti d’America, si assiste al boom del cinema horror degli anni venti e trenta, nel quale però il tema della stregoneria è utilizzato solo per produzioni di secondo piano, come “Puritan Passions” del ‘23 di F. Tutle, ambientato a Salem, o di cassetta, come “The Black Cat” del ‘34 di E. Ulmer, primo di una serie di film interpretati dalla coppia Karloff/Lugosi, che riprende il racconto di E.A.Poe, stravolgendolo in un insieme di necrofilia, sadismo e culti satanici. Bisogna arrivare agli inizi degli anni ‘40 per poter trovare dei film che raggiungano, almeno in parte, l’intensità di quelli del cinema europeo. Il produttore Van Lewton, con i pochi soldi a sua disposizione, realizza il film “Cat People” (Il bacio della pantera), ‘42, per la regia di J. Tourneur, il cui seguito esce due anni più tardi con il titolo “Curse of the Cat People” (Il giardino delle streghe) per la regia di R. Wise. In entrambe le opere il tema della stregoneria rimane sempre piuttosto ambiguo e sfumato, però è indubbio che la figura della protagonista Irina, che si trasforma in un felino e tenta di aggredire le persone, ha molte caratteristiche in comune con quella della strega, anch’essa donna-animale, capace di continue metamorfosi e di assalti sanguinosi. Del resto è lei stessa ad affermare di essere originaria di un antico e sperduto villaggio in cui sono presenti strane credenze riguardo alle donne, di non aver mai saputo il nome di suo padre e di essere stata generata da una madre che i bambini chiamavano “strega”. Dapprima incredula e sgomenta di fronte ai suoi poteri, a poco a poco la sua parte malvagia e selvaggia acquista sempre più forza fino a scatenare orrore e distruzione. Ma la sua morte non mette fine alla vicenda: nel seguito del film ella ricompare sotto forma di una velata e bellissima donna vestita di bianco, oggetto della fantasia e del desiderio della piccola Amy, la figlioletta del marito di Irina. Costui teme di vedere nascere nella bambina le stesse passioni morbose e gli istinti furiosi che avevano distrutto la moglie, ma il tutto si risolve all’interno di un’atmosfera ancor più rarefatta e fiabesca che in precedenza. Sempre negli stessi anni viene prodotto negli USA un film in cui il personaggio della strega è completamente stravolto: si tratta di “I married a Witch” (Ho sposato una strega), ‘42, del regista francese René Clair, che ne usa tutti gli stereotipi in chiave comica e di commedia. Il successo sarà tale da dare il via ad un nuovo filone, continuato nel ‘59 dal film di R. Quine “Bell Book and Candle”(Una strega in paradiso) (con K. Novak, J. Stewart e J. Lemmon) e soprattutto da una nota serie di telefilm americani degli anni ‘60/70, “Bewitched”. In Francia viene invece realizzato nel ‘57 un bel film di R. Rouleau “Les Sorcieres de Salem” (Le streghe di Salem) tratto da una pièce teatrale di A. Miller, “The Crucible”, in cui è ricostruito da un punto di vista storico e politico il clima di terrore e di sospetto che diede il via alla caccia alle streghe del 1692. Ritornando al cinema del terrore mi limito a segnalare alcuni film minori realizzati dalla metà degli anni ‘40 fino agli inizi degli anni ‘60, tra cui “Weird Woman” di R. Le Borg, ‘44, con Lon Chaney jr., dal romanzo di Fritz Leiber “Congiure Wife” (Ombre del male), ripreso successivamente anche nel film inglese “Night of the Eagle” (La notte delle streghe) di S. Hayers, ‘61; “The woman who came back”, ‘45 di W. Colmes, sulla presunta reincarnazione di una strega nella Nuova Inghilterra; 19


“City of the dead” (La città dei morti), ‘60 di J. Maxey, che narra di un villaggio popolato da streghe sopravvissute alla morte sul rogo, e “Witchcraft”, ‘64, di Don Sharp, in cui una strega morta cent’anni prima torna in vita e si vendica sui discendenti dei propri carnefici. Ma il primo importante film realizzato negli anni ‘60 è, invece, proprio italiano, e si tratta di quel capolavoro di Mario Bava che è “La maschera del demonio” ‘60, in cui l’ammaliante Barbara Steele interpreta la parte di una donna creduta la reincarnazione di una strega-vampira suppliziata cent’anni prima ponendole sul volto una maschera di bronzo con fitti aculei all’interno La Maschera del Demonio, di M. Bava, 1960 (cfr. anche l’articolo apparso su Ver Sacrum V). Il più importante regista della casa cinematografica inglese Hammer, T. Fisher, sfiora il tema della stregoneria in “The Gorgon” (Lo sguardo che uccide) ‘64, opera anomala per le sue atmosfere oniriche e fiabesche e per essere l’unica imperniata su di una donna, una giovane archeologa invasata da una Gorgone (figura demoniaca della mitologia antica), che attira gli uomini in un castello per poi pietrificarli con lo sguardo. Ma è interessante soprattutto “The Devil rides out”, ‘68, mai tradotto in italiano nonostante sia uno dei suoi capolavori, tratto da un romanzo di D. Wheatley e sceneggiato da R. Matheson, che narra di una setta dedita ad un culto diabolico notturno cui si contrappone un esperto di satanismo, il quale, dopo una notte trascorsa in preda alle più tremende apparizioni, riesce finalmente a distruggere le forze demoniache. Come in tutti i film di Fisher esiste un netto contrasto tra la forza del bene e quella del male, rispettivamente simboleggiate dalla Luce e dalla Tenebra, in cui la prima è sempre destinata a vincere e la seconda ad essere irrimediabilmente distrutta. E così quello che gli interessa non è l’esistenza o meno del soprannaturale, ma soltanto il comportamento morale dei suoi personaggi. All’interno del suo repertorio si tratta comunque di un film piuttosto strano, allegorico e mistico, e che rappresenta l’unica sua incursione nel territorio dell’esoterismo. Un altro regista della Hammer, J. Gilling, dirige nel 1965 due film in odore di stregoneria: “The plague of the Zombies” (La lunga notte dell’orrore) e “The reptile” (La morte arriva strisciando), ambientati nella Cornovaglia del XIX secolo. Nel primo vengono messi in scena tutta una serie di riti voodo che finiscono con l’uccidere la protagonista, nel secondo invece è presente una donna-serpente dall’aspetto ammaliante, ma intrinsecamente malvagia; da sottolineare è il fatto che entrambi i film si concludono con dei roghi purificatori. Si tratta di opere estremamente cupe e pessimiste, che si svolgono in un ambiente chiuso e isolato in cui il regista mostra passo passo l’intensificarsi dell’orrore; non trasmettono alcuna sensazione di sollievo finale e lo stile è freddo, neutro, distaccato e fa spesso ricorso a inquadrature di tipo espressionistico. Dalla Hammer in seguito sono stati prodotti due film, “The Witches” (Creatura del diavolo), ‘66 di C. Frankel, su una setta di streghe nella moderna Inghilterra, e “Twins of evil” (Le figlie di Dracula) di J. Hough, terza parte della saga della famiglia Karnestein (quella di Carmilla), che mescola stregoneria e vampirismo. Negli Stati Uniti R. Corman agli inizi degli anni ‘60 dà vita ad una serie di film del terrore basati sui racconti di E. A. Poe; tra questi “The Haunted Palace” (La città dei mostri) ‘63, si ispira invece ad un romanzo breve di H.P. Lovecraft, “The case of Charles Dexter Ward”. Il film, che deve molto anche a “William Wilson” di Poe, narra lo sdoppiamento del protagonista che progressivamente si reincarna nel suo antenato bruciato sul rogo per stregoneria nel secolo diciottesimo e che ora vuole vendicarsi dei discendenti di coloro che lo hanno ucciso. Rispetto ai temi lovecraftiani della continua minaccia di una razza aliena e della magia nera, Corman predilige il motivo della perdita di identità del protagonista e della presenza del ritratto diabolico carico di magnetismo, senza per questo perdere in tensione e in orrore. Successivamente realizza “The tomb of Ligeia” (La tomba di Ligeia) ‘64, tratto da Poe, uno dei suoi film migliori per le complesse suggestioni visive e narrative. Il tema della stregoneria di Ligeia, morta, ma capace di reincarnarsi in un gatto e di rivivere come spirito nel corpo di Lady Rowena, prende forma in un ambientazione gotica e barocca, carica delle suggestioni 20


della antica civiltà egizia, e sviluppa poi le ossessioni tipiche dell’autore americano per l’ipnotismo, il mesmerismo e le forme di non-morte. Ma il regista che più di ogni altro si è dedicato negli anni ‘60 al tema della stregoneria, realizzando film tanto interessanti quanto sottovalutati dalla critica, è l’inglese Michael Reeves, che gode fama di maledetto per essersi suicidato a soli venticinque anni. Egli riuscì a realizzare ben quattro film, tutti in qualche modo legati a figure di streghe. I primi due, “Castle of the living dead” (Il castello dei morti vivi), ‘64, e “The revenge of the blood beast” (Il lago di Satana), ‘65, sono entrambi girati in Italia e realizzati in tutta fretta con bassissimo budget, dunque disordinati e spesso maldestri, ciononostante carichi di originali momenti e di immagini suggestive. Nel primo film la strega è in realtà un uomo (interpretato da D. Sutherland) vittima di un esperimento fallito, che, anche se assalta con irruenza le sue vittime, rappresenta un personaggio positivo, una forza del bene. Nel secondo invece Barbara Steele è la malefica strega Vardella che, uccisa dalla folla in un villaggio della Transilvania del 1700 promettendo di vendicarsi, si reincarna in una giovane donna e stermina con indicibile violenza tutti i discendenti dei giustizieri. Il male portato da Vardella del resto è strettamente connesso a quello insito negli altri personaggi, nell’eroe stesso, perché in Revees non c’é una contrapposizione netta come in Fisher tra buoni e cattivi, ma in ognuno “il male è inestricabilmente congiunto con il bene e la violenza è circolare ed ambigua” (D. Pirie). Due anni dopo egli realizza altri due film, considerati i suoi capolavori, “The Sorcerers” (Il killer di Satana) e “The Witchfinder General” (Il grande Inquisitore), ‘67. Il primo, estremamente eccentrico e complesso, narra la vicenda di una coppia di anziani (lui è un vecchissimo Boris Karloff) dedita all’ipnosi, che finisce con il ridurre un giovane sotto il suo completo controllo, emotivo e fisico. La donna, all’apparenza una dolce vecchietta, racchiude in realtà un’enorme quantità di desideri perversi e sadici che, una volta emersi, si rivelano incontrollabili e distruttivi fino Twins of Evil, di J. Hough, 1971 ad indurre il giovane a commettere degli atroci delitti femminili a sfondo sessuale. Il secondo è certamente il lavoro più compiuto di Revees per l’intensità e la potenza con cui raffigura una società brutale, in cui la crudeltà diventa l’unico mezzo possibile di vita. Il film, ambientato nell’Inghilterra del 1625, narra la vicenda di un malvagio avvocato puritano (interpretato da Vincent Price) dedito alla caccia alle streghe. Il film accumula orrori e violenze come se si trattasse di gesti quotidiani e naturali, contrapponendo all’umanità corrotta una natura serena e incontaminata, rappresentata da uno splendido paesaggio inglese. Assolutamente terribile è la scena finale in cui la protagonista femminile, legata ad un tavolo di tortura, lancia un urlo che si propaga per le scale e rimbomba nei corridoi deserti del castello fino a coprire anche i titoli di coda, comunicando una sensazione agghiacciante. Nel film domina la convinzione che la purezza e l’onestà a nulla possano contro la corruzione e la violenza dominanti. Reeves si ricollega così direttamente a Dreyer nell’accusa contro la società: invece di rivelare direttamente le infamie del proprio tempo, è meglio riferirsi ad un’epoca precedente, quella dell’Inquisizione, in cui la credenza nelle streghe era diffusa e sanzionata ufficialmente, per dimostrare che il sistema di potere è sempre atroce e ingiusto e gode a perseguitare gli altri, soprattutto i diversi e i più deboli, con gusto sadico e morboso.

Mircalla Bibliografia: -Hammer e dintorni, a cura di E. Martini, Bergamo Film Meeting ‘90; -T. Mora, Storia del cinema dell’orrore 1 e 2, Tomo I, Fanucci, ‘77-’78; -S. Prawer, I figli del Dottor Caligari, Ed. Riuniti, 1981; -P.G. Tone, Dreyer, Ed. Castorino, 1978; -G. Turroni, Corman, Ed. Castorino, 1976. 21


Le streghe al cinema dalla fine degli anni ‘60 ad oggi Una Premessa...

Come abbiamo visto il tema delle streghe è stato trattato nel cinema piuttosto ampiamente fin

dagli albori, anche se effettivamente poi è relativamente poco frequente la sua trattazione in modo esplicito e -diciamo così- canonico. Da qui, e dal fatto che i film sono nebulizzati (a parte le opere maggiori) in centinaia di produzioni di differente caratura, deriva la difficoltà di documentazione e reperimento dei titoli e l’impossibilità di darne un resoconto completo. Le cose si complicano, se è possibile, ancora di più se ad essere preso in considerazione è l’ultimo ventennio: dagli anni ‘70 in poi, infatti, ci si allontana sempre di più dalle iconografie e dalle tematiche horror e gotiche tradizionali (si spegne ormai anche la spinta propulsiva del tradizionale revival hammeriano), per esplorare, in accordo con i tempi ed i gusti nuovi, inedite possibilità del cinema della Paura. I linguaggi, gli stili, le iconografie ed i temi si incrociano e si contaminano sempre di più, rendendo proporzionalmente più difficoltoso assegnare un film ad un’area tematica rigidamente stabilita. Il che vale ovviamente anche per le nostre amate Sorelle Streghe. Quanto segue dunque non può e non vuole avere pretesa di completezza, ma vuole semplicemente essere un percorso, opinabile, attraverso i film di un qualche interesse che hanno avuto le Streghe come protagoniste e -riguardo i film stranieri- limitando lo sguardo a quelli che hanno avuto l’edizione italiana. Gli anni ‘70. Gli anni ‘60 si chiudono con un gioiello del cinema satanico stregonesco, e cioè il bellissimo “Rosemary’s Baby” (1968) di Roman Polansky e prodotto da William Castle, vero e proprio insuperato precursore di tutti i film del filone “satanico” e “di possessione” che avrà propaggini fino oltre la metà degli anni ‘80. Che cosa è se non una strega, pur fragile e riluttante, la Rosemary (interpretata da una splendida Mia Farrow) che accetta di essere la Madre dell’Anticristo? Da ricordare l’apparizione di Castle in una parte secondaria. La paura delle streghe è il motore del riuscitissimo “Chi giace nella culla della zia Ruth?” (GB, 1971) di Curtis Harrington, sorta di delirante variazione sulla favola di Hansel e Gretel, in cui è d’effetto il continuo gioco d’ambiguità fra realtà ed immaginario. Molto interessante è poi la figura di Oona, sacerdotessa del culto celtico delle streghe, protagonista dello strano e sperimentale ( la fotografia ha frequenti viraggi in viola) “Satana in corpo” (GB, 1970) di Gordon Hessler, ambientato nella Scozia del ‘500. Una sacerdotessa di Satana appare anche nella produzione inglese “La pelle di Satana” (1970) di Piers Haggard, ambientato sempre nel ‘500, in cui la strega Angel (!) vuole dare vita fisica a Satana donandogli un corpo fatto con parti di cadaveri smembrati. Donne devote a Satana, ma ai nostri giorni, sono poi Roxane e Paula, le protagoniste de “La macchia della morte” (incredibile titolo italiano per l’originale “The Mephisto Waltz”) (1972) dell’americano Paul Wendkos: questa storia, in cui i moventi del patto con il diavolo sono solo l’arrivismo, la sete di successo e l’egoismo, è influenzata dalla a volte goffa “moda” della critica sociale in auge nei primi anni ‘70. Sono molti infatti gli horror ambientati nel mondo della contestazione giovanile e presso le comunità alternative; a noi può in qualche modo interessare il mediocre “Simon, re dei diavoli” (ma “delle streghe” nel titolo originale) (1971) dell’inglese Bruce Kessler, in cui un hippie -in preda a delirio di onnipotenza- si mette in testa di volere controllare il potere delle streghe. Addirittura un’intera famiglia di streghe e stregoni appare poi nel lovecraftiano e violento “Le vergini di Dunwich” (USA, 1970) di Daniel Haller, liberamente ispirato a vari racconti dello scrittore di Providence. E quasi (mea culpa) dimenticavo le terribili monache del capolavoro “I Diavoli” (1971) di Ken Russel, il quale, pur rifuggendo da interpretazioni soprannaturali, ci presenta uno dei più spaventosi quadri di violenza e perversione nascoste sotto la maschera della religione che mai si siano visti sul grande schermo! Il 1973 è l’anno di uscita de “L’esorcista” di William Friedkin, film che nonostante la sua scarsa qualità si rivelerà un’enorme successo al botteghino e di conseguenza il mercato verrà monopolizzato da una serie infinita di sue pessime imitazioni prodotte ovunque. Però, in mezzo ad una folla 22


di Ossesse, Possedute, Anticristi etc. le nostre streghe continuano a ritagliarsi un loro dignitoso, benché angusto, spazio. Una strega incarnazione di Satana, a capo di una comunità di lebbrosi asserviti al suo potere, è la protagonista del mediocre “Lemora, le metamorfosi di Satana” (1973) del regista e scrittore inglese (molto meglio come scrittore: leggete il bel “Solo la notte” edito dall’Editrice Nord) John Blackburn. Dalla Germania proviene invece “Le streghe nere” (1973) di Adrian Hoven, da segnalare praticamente solo per l’esplicita condanna dell’ Inquisizione che contiene. Nel 1976 una strega tutta particolare è creata dal grande Brian De Palma in “Carrie, lo sguardo di Satana” (il titolo italiano, rispetto al semplice “Carrie” inglese, cerca furbescamente di sfruttare tardi echi del filone esorcistico) tratto liberamente da un libro di Stephen King, allora ancora illustre sconosciuto: Sissy Spacek dà vita ad una indimenticabile figura di adolescente gracile e tormentata dotata di poteri telecinetici e che diventa “strega” solo a causa della violenza e del pregiudizio (la madre -una davvero satanica Piper Laurie- fanatica fondamentalista cristiana, e gli altri sempre pronti a sentirsi migliori e ad infierire). Christopher Lee è il protagonista del tardo prodotto Hammer “Una figlia per il Diavolo” (GB, 1976) di Peter Sykes, dove ancora una volta appaiono sette stregonesche e sataniche. Una strega-bambina emissaria del Male agisce poi nell’italiano “Stridulum” (1978) di Giulio Paradisi che firma un non più che dignitoso prodotto, nonostante lo strepitoso cast a disposizione (Mel Ferrer, Glenn Ford, Shelley Winters e nientemeno che John Huston!!!). Sempre italiana è la strega figlia del diavolo che agiCarrie, lo sguardo di Satana, di B. De Palma, 1976 sce nel violento “Un’ombra nell’ombra” (1979) di Pier Carpi, ma sicuramente una delle figure femminili più suggestive del genere, e non solo in ambito italiano, è la Florinda Bolkan di “Non si sevizia un paperino” (1974) di Lucio Fulci, che presta la sua splendida maschera ad una tradizionale strega rurale del profondo sud. Del capolavoro del cinema stregonesco “Suspiria” (1977) di Dario Argento invece parliamo a parte. Gli anni ‘80. Negli anni ‘80 l’utilizzo della figura della strega subisce in qualche modo un risveglio ed un incremento, ma ancora di più che negli anni passati, le streghe vivono il più delle volte in opere che non possono essere considerate film di genere, e che nei migliori casi sono (fortunatamente) produzioni non americane. Apre le danze “La casa di Mary”(1982 ) di James Robertson, tipico medio prodotto statunitense, che se parte con un suggestivo flashback, poi diventa il solito film di ammazzamenti seriali. Sempre del 1982 è l’interessantissimo “Il quarto uomo” dell’olandese Paul Verhoeven (oggi assurto alle hollywoodiane glorie), film difficile ed angosciante in cui non si può davvero dire che al figura della strega sia trattata in maniera canonica. Altra problematica figura di strega è la protagonista del bellissimo “La Coda del Diavolo” (1987) dell’italiano Giorgio Treves: siamo nel ‘400, in un lazzaretto in cui vengono internati i malati di sifilide; uno dei medici qui operanti si accorge che una bellissima ragazza rinchiusa non presenta i sintomi della malattia, pur essendo stata denunciata dal marito come strega propagatrice del morbo. Indagando il medico scopre che la ragazza (temuta e scansata anche dagli altri malati) è stata internata volutamente dal marito per liberarsi di lei. Il medico si innamorerà della ragazza e cercherà di organizzare la sua fuga da quel terribile lager. Come si vede nulla di più lontano dal racconto tradizionale, ma il film, girato con una splendida fotografia e bellissime scenografie è difficilmente dimenticabile e molto illuminante sulle radici delle intolleranze. Difficilmente dimenticabile è anche l’inquietante Beatrice Dalle protagonista de “La visione del 23


Sabba” (1988) di Marco Bellocchio: una ragazza chiusa in un manicomio criminale è convinta di essere la reincarnazione di una strega morta secoli addietro. Durante le sedute di analisi riesce a coinvolgere emotivamente nelle sue storie e nei suoi presunti ricordi anche lo psichiatra che dovrebbe curarla. Ancora una volta, dunque, una storia assolutamente non canonica, per un film ostico e difficile come del resto tutti i film di Bellocchio: le scene di sabba girate in una Massa Marittima superbamente fotografata sono comunque splendide. Altre monache-streghe sataniste, ma questa volta con risvolti fantastico-orrorifici rispetto al film di Russel, appaiono nel disgraziato (nel senso di peripezie produttive) “Demonia” (1989) di Fulci, cui abbiamo accennato anche nello scorso numero di Ver Sacrum. Da segnalare è anche “Streghe” (1989) di Alessandro Capone, giovane regista italiano che ha girato il suo film negli USA con un cast tutto americano: purtroppo, nonostante un bell’inizio, il lavoro scade in un facile splatter di “contaminazione a catena” stile “La Casa” o “Demoni”. E poi, non è forse una strega “buona” la dolce e bellissima Jennifer capace di comunicare telepaticamente con gli insetti in “Phenomena” (1985) di Dario Argento? Ma gli anni ‘80 sono anni anche di commedie; basti ricordare Cher, Susan Sarandon e Michelle Pfeiffer nel divertente “Le streghe di Eastwick” (1987) di George Miller con Jack “due-espressioni-due” Nicholson nella parte del Diavolo, il fracassone “Una strega chiamata Elvira” (1988) dello statunitense James Signorelli o la farsa italiota “Mia moglie è una strega” (1980) di Castellano e Pipolo con Pozzetto, la Giorgi e... Helmut Phenomena, di D. Argento, 1984 Berger! (per la serie “Visconti si rivolta nella tomba”...). Gli anni ‘90. I film sulle streghe di questa prima metà degli anni ‘90 sono quasi tutti di produzione americana, e tutti -per ora- nell’ambito della commedia. Del 1990 è il bel “Chi ha paura delle streghe?” di Nicholas Roeg una nera fiaba per adulti con un’Angelica Huston dal fisique du role perfetto per interpretare la regina del Sabba. Strega patinata è anche l’Isabella Rossellini di “La morte ti fa bella”(1992), la divertente ed acida commedia hi-tech di Robert Zemeckis, variazione sul tema del patto col diavolo. Ultimo arrivato dall’America è il leggero “Hocus Pocus” (1993) di Karel Ortega, produzione Disney (come sempre) ad alto livello tecnologico, ma che si rivolge essenzialmente ad un pubblico infantile. Per concludere sono da segnalare le streghe italiane di “Ma non per sempre” (1990) di Marzio Casa, opera (ci risiamo!) praticamente priva di distribuzione. E già che ci siamo, ricordiamo ancora una volta le streghe dei cortometraggi in video “Malefica” (1990) e “Tregenda” (1991) entrambi di Nicola Lombardi, di cui parliamo più ampiamente in un altro articolo di questo numero. Questo è tutto, per ora. Ma in un periodo come questo di rivalutazione della tradizione e del gusto gotico ormai anche a livello di grandi produzioni (pensiamo al “Bram Stoker’s Dracula” di Coppola, al “Mary Shelley’s Frankestein” di Branagh, a “Intervista col vampiro” di Jordan al preannunciato remake “Blacula” di Attenborough) non è escluso che qualche grande figura di Strega ci venga a far visita, dai Sogni della Settima Arte, prima dello scoccare del Terzo Millennio.

Manfred Bibliografia: DIZIONARIO DEI FILM, Sugarco 1993; ARGENTO, "Mostri e C.: enciclopedia illustrata del cinema horror e di fantascienza”, Anthropos 1982; MORA, “Storia del cinema dell’orrore” vol. 2, Fanucci 1978/79; COLOMBO/TENTORI, “Lo schermo insanguinato: il cinema italiano del terrore 1957-1989”, Solfanelli 1990; BRUSCHINI/TENTORI, “Profonde Tenebre: il cinema thrilling italiano 1962-1982”, Granata 1992; BONOMI, “Professione strega” in “Dylan Dog/Almanacco della Paura 1994”, pp. 163-175; GIOVANNINI “Le streghe al cinema” in “Profondo Rosso” n°13 , luglio 1991.

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Suspiria di Dario Argento: la paura delle streghe. Non esistono fiabe incruente. Tutte le fiabe provengono dalla profondità del sangue e dell’angoscia. Franz Kafka

due anni dopo il rivoluzionario “Profondo Rosso”, Dario Argento gira quello che N elpuò1977, essere considerato non solo il più grande film di streghe mai girato in Italia, ma anche

uno dei più grandi capolavori del fantastico tout court. “Suspiria” è una bellissima Fiaba Nera e Sanguinaria in cui Argento tratta il tema classicissimo delle Streghe con una verve ed un’inventiva inusitate. L’idea del film è legata al rapporto di Argento con Daria Nicolodi, da sempre interessata alla magia ed alla stregoneria e che crede esplicitamente anche alla funzione magica ed alchemica del cinema, la quale spinge il regista ad una decisa virata verso l’horror puro con l’intento di amplificare ancora di più quelle “grandi vele di irrazionale e di delirio” a lui tanto care. La Nicolodi, dunque, firma a quattro mani il soggetto e la sceneggiatura, ed inventa la frase latina secondo cui la stregoneria è “quoddam ubique, quoddam semper, quoddam ab omnibus creditum est” (la cosa che ovunque, sempre, da tutti è creduta), frase che può quasi essere considerata una sorta di manifesto del film perché tradisce l’intenzione di trattare gli ancestrali ed universali meccanismi che stanno alla base delle paure dell’uomo. Argento crea un’opera totale ed estrema che realizza davvero quel concetto di “film puro” teorizzato da Hitchcock; ciò che gli interessa è creare un laboratorio sulle possibilità ed i meccanismi del cinema della Paura attingendo ad uno dei miti ancestrali della nostra civiltà e, lasciando da parte tutte le presunte spiegazioni o giustificazioni storico-sociali del fenomeno “stregoneria”, guardando ad esso con gli occhi di un bambino impaurito (fra l’altro nella stesura originaria il film doveva essere interpretato tutto da bambini...): “a me le streghe ... fanno paura. Sarà perché ripesco nelle cose infantili: quand’ero piccolo avevo paura delle streghe e allora poi mi piaceva fare un film sulle streghe...”. Ed è proprio dalla favola per bambini che Argento parte per creare i suoi incubi; insistentemente e significativamente Argento porta come suo modello cinematografico ispiratore “Biancaneve e i sette nani” di Walt Disney, ed inoltre il film inizia con la voce del regista stesso che introduce alla vicenda (con un espediente che ritornerà poi anche in “Phenomena”(1985) e nel finale di “Opera”(1987)), conferendole un'aura fiabesca. Da questo espediente Argento parte per condurre Susy (una Jessica Harper tutta stupefazione ed occhi sgranati), sua personale Alice, in un allucinante viaggio nel Terrore e nella Violenza Pura, verso l’incontro con Elena Markos, la Strega Immortale, la Regina Nera. Il plot di per sé esile ed i dialoghi ridotti al minimo essenziale, lasciano larghissimo spazio ad una fotografia onirica e delirante (stupefacente il lavoro del grande Luciano Tovoli), ad un montaggio veloce e nervoso (di Franco Fraticelli), ad un suono violento ed invadente. Le inquadrature sono tagliate da lame di luce rossa, blu, gialla che immergono i personaggi e gli ambienti in un’atmosfera straniante, totalmente astratta e genialmente antinaturalistica: a questo riguardo bisogna sottolineare che “Suspiria” costituisce un unicum irripetibile, in quanto è stato girato con le ultime rimanenze di pellicola Kodak-Technicolor degli anni ‘50, acquistate da Argento in Cina, e che conferivano ai film a colori di quegli anni quei particolari toni pastosi e sgranati; un apposito procedimento di svi25


luppo (...e, si vocifera, un errore di esposizione...) ha poi reso l’ immagine così com’è. L’azione si svolge a Friburgo, nel cuore della Mitteleuropa magica e gotica (“...ho fatto un giro di tre mesi nel Nord Europa a scoprire il gotico, i suoi colori, gli ambienti, le punte, gli aculei...”) e quasi esclusivamente in interni, nel ventre della scuola di ballo che nasconde la Regina Nera: ecco, le scenografie (“...l’interno della scuola...l’ho reinventato io, è una composizione di tanti ambienti che ho conosciuto. La sala da ballo... è rifatta sul modello di una sala di un grande palazzo di Bruxelles dell’epoca simbolista. L’esterno della scuola è stato in parte ripreso dal vero...”); enorme l’opera di Giuseppe Bassan (che fra l’altro crea anche un serie di inquietanti suppellettili) che mette al servizio del suo lavoro geometrie taglienti ed oniriche, tutte ispirate al concetto simbolista di scenografia. E qui sta il punto; perché nonostante la reticenza (o il vezzo?) di Argento ad indicare modelli ispiratori, e nonostante la sua grande originalità stilistica, “Suspiria” è pieno di significative citazioni, di veri propri omaggi: innanzitutto la presenza di due attrici come Alida Valli e Joan Bennet che, a parte la loro straordinaria maschera, richiamano senza ombra di dubbio tutta una dimensione cinematografica “autorale” cui Argento ammicca con amore, ma anche forse con ironica consapevolezza. Dietro al nome della Valli corrono infatti nomi come Visconti, Antonioni, Bertolucci, Pasolini, ma anche Hitchcock, mentre la Bennet è legata a filo doppio con Fritz Lang di cui ha prodotto ed interpretato quattro film. La scena della piscina, inoltre, è la stessa del classico “Il bacio della pantera” (1942) di Tourneur, mentre la corsa finale di Susy negli stretti corridoi della scuola cita espressamente l’analoga situazione di “Rosemary’s baby” (1968) di Polansky. Dunque tradizione, ma anche innovazione se, come abbiamo detto, “Suspiria” è anche un vero e proprio laboratorio sulle possibilità cinematografiche della paura: virtuosismi della macchina da presa, dettagli inquietanti, punti di vista “impossibili”, concertazione “coreografica” dei delitti, elementi irrazionali, perfetto calcolo dei tempi, uso estremo del suono (dimenticavo di dire che la colonna sonora, variamente premiata, è eseguita dai Goblin su idee dello stesso Argento: il tema principale, ad esempio, è una elaborazione di un motivo folkloristico greco), sono tutte caratteristiche che se sono nate con “Profondo Rosso”, vengono codificate pressoché definitivamente in questo film, che ne diverrà una sorta di cava per i film seguenti. La scena dell’uccisione del cieco nella piazza (Flavio Bucci), è un esempio di come sia possibile ribaltare completamente l’equazione terrore=luogo angusto e claustrofobico, con una soluzione che tornerà -estremizzata- solo in “Tenebre” (1982). Un grande film dunque, ma soprattutto un terribile viaggio nelle Paure di un uomo e nei miracoli del Sortilegio-Cinema, perché solo al cinema “...i vivi cercano i morti... i morti cercano i vivi!..”, perché solo al cinema possiamo provare il brivido di sentirci sussurrare nell’orecchio, ai confini del deliquio: “...hai mai sentito... parlare...di Streghe?..." Dissolvenza in nero.

Manfred Bibliografia: Cozzi, “Dario Argento, il suo cinema, i suoi personaggi, i suoi miti”, Fanucci 1991; Giovannini, “Dario Argento: il brivido, il sangue, il thrilling”, Edizioni Dedalo 1986; Colombo/Tentori, “Lo schermo insanguinato: il cinema italiano del terrore 1957-1989", Solfanelli 1990; Pugliese, “Argento”, Il Castoro Cinema 1987; Soare, “Il cinema thrilling da Psyco a Tenebre”, Fanucci 1982; Costa, “Umori maligni: il cinema di Dario Argento”, Biblioteca di Cinema di “Nosferatu” allegato al n°1, 1990; Morsiani (a cura di), “Rosso Italiano (1977/1987)", “Sequenze”n°7, Comune di Modena-Ufficio Cinema 1988; Martin, “Dario Argento: a Deep Red Opera”, “Fantasy Film Memory presents: directed by”, 1991; Argento, “Postfazione a “Profondo Thrilling”, Newton Compton 1994; King, “Danse Macabre”, pag. 198, Theoria 1992; “Cine’ 2000” n° 4/5: “Daria Nicolodi Actrice”, Mars-Juin 1978.

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“Manfred” di George Gordon Byron: lo Stregone Ribelle “Dimenticavo di dirvi che una specie di poema in dialogo (in versi sciolti) o dramma... iniziato l’estate scorsa in Svizzera è finito: è in tre atti, ma di un genere molto selvaggio, metafisico, ed inesplicabile.” Con queste parole scritte da Venezia il 15 febbraio del 1817, George Gordon Byron informa il suo editore inglese dell’avvenuta composizione del dramatic poem “Manfred” che verrà pubblicato, nella stesura definitiva, nel giugno dello stesso anno. “Manfred” è la storia di uno stregone alchimista divenuto, grazie all’assidua frequentazione di una scienza tanto empia quanto potente, capace di tenere sotto il suo potere le forze elementari della natura, di comandare i demoni e le entità più oscure di questa terra. Egli ha raggiunto l’immortalità, ma conduce la sua infinita vita con nel cuore una terribile sofferenza, legata ad un terrificante segreto, ad un innominabile peccato: ha ucciso l’unica cosa che amava di questo mondo, Astarte, amante-sorella. Sfibrato dal rimorso e dalla sua (draculesca?) solitudine, Manfred è disposto a rinunciare al suo status d’immortale pur di rivedereanche solo nella parvenza esteriore- la donna amata. Riuscirà nell’intento solo dopo un allucinante viaggio fra le gerarchie infernali, ma -appunto- al costo della vita e dopo un’apparizione di Astarte tutt’altro che consolante. Questa in sintesi la trama dell’opera, ma in realtà il “Manfred” è dramma in qualche modo ossimorico, dato che vi manca del tutto l’azione tradizionalmente intesa. I personaggi non agiscono, non si muovono né si spostano fisicamente (né esiste alcuna didascalia in tal senso nel testo), ma sono ridotti a pura voce, ad essenziale oralità, ad affascinante espressione sonora. Questa sostanziale irrappresentabilità del “Manfred” se da una parte spiega le pochissime rappresentazioni dell’opera, dall’altra non poteva non costituire una sfida. Sfida raccolta poi solo da due grandi personalità della Musica tout court: Robert Schumann e Carmelo Bene. Schumann scrive le musiche di scena del “Manfred” fra il 1848 ed il 1849: il grande musicista romantico crea così uno dei suoi capolavori ed uno dei capisaldi dell’intera produzione musicale romantica. Il “Manfred” schumaniano è ben lontano dal volere essere un mero supporto sonoro al lavoro del poeta inglese, anzi -nato com’è dalla consapevolezza che musica chiama musica- diventa a sua volta un’interpretazione del pensiero dello scrittore inglese, interpretazione a volte inevitabilmente in contrasto con gli intenti di Byron. Dunque Schumann è riuscito a creare una sorta di controManfred, nato dalla necessità di smussare le asperità del romanticismo di Byron (a volte -secondo un’espressione di Manganelli- “angusto”) per darne un’interpretazione meno pessimista ed apocalittica, meno cupa e più luminosamente epica. Il “Manfred” di Schumann è dunque una specie di alter ego del “Manfred” di Byron, pur riuscendo a creare con esso un unicum in cui le varie anime del romanticismo convivono -emblematicamente- nel contrasto. Chi ha genialmente intuito questa vitale dicotomia è stato Carmelo Bene (semplicemente, il più grande attore occidentale di questo secolo) che nel 1980, nell’ambito delle sue fondamentali ricerche sulle possibilità attoriali ed espressive della Voce, è riuscito a creare dall’opera di Schumann/Byron un rivoluzionario caposaldo del teatro della nostra epoca. Assumendo su di sé tutti i ruoli tranne quello dell’antagonista Astarte (affidato ad un’algida Lydia Mancinelli) e dei cori dei demoni (personificate dal coro del Teatro alla Scala), Bene ricava uno spettacolo “in forma di concerto”, dove -eliminato ogni movimento puramente e banalmente fisico- Voce e Musica (che si identificano), in una stupefacente varietà di timbri, colori e toni, diventano i veri protagonisti e dove -in uno slancio di eroico egocentrismo tutto byroniano- il lavoro di Schumann/Byron mostra tutto il suo significato. Fondamentali sono infine la straordinaria riduzione e traduzione che Bene ha fatto del testo di Byron (e le nostre citazioni sono tratte da essa) e l’ormai introvabile (ed irrinunciabile!!) documento sonoro costituito da una registrazione live alla Scala edita in cofanetto dalla Fonit Cetra nel 1981. Tornando al testo di Byron, chiari appaiono i riferimenti al “Faust” di Goethe ed al più antico “Doctor Faustus” di Marlowe (e dunque alla “Storia del dottor Faust, ben noto mago e negromante” dello Spies, che tutti li informa), anche se Byron negò di avere conosciuto queste opere al momento della composizione, ed indicò come suo ispiratore l’eschileo “Prometeo incatenato”. Ma, 27


quali che siano i riferimenti letterari più o meno velati o consapevoli, pare evidente come il personaggio di Manfred abbia come matrice elementi autobiografici (le asprezze del carattere, il rapporto incestuoso con la sorellastra Augusta, la presenza incombente della Donna Autoritaria qual’era la madre Catherine, il forte senso della colpa e del peccato scaturito dall’educazione calvinista) assunti a dignità letteraria tramite la commistione a caratteri derivanti dalla tradizione dell’Angelo Caduto, prometeico, satanico ed infinitamente solo. Tradizione che, se riempirà di sé la cultura romantica (sintetizzandosi nella figura del villain del romanzo gotico), trae le sue origini dall’età barocca a partire dal triste e mortifero Satana del Cavalier Marino (Negli occhi dove mestizia alberga e morte) fino al paradigmatico rovinato Arcangelo miltoniano. Fin dall’inizio Byron pone l’accento sulla angosciosa immortalità di Manfred: Ecco, si spegne il lume. Nuovamente / m’è forza rianimarlo, anche se certo / morrà di nuovo prima del mio tempo... Manfred è anche del tutto consapevole della condizione di superiorità cui è arrivato attraverso gli Studi, ma anche di aver commesso un tremendo peccato: Filosofia Meraviglioso Scienza / Conoscenza del mondo Idee sovrane / tutto provai... A nulla valse.../ Bene Male Passioni Energia Vita / di che son fatti gli altri sono per me una pioggia su la sabbia / -dopo quella mia ora innominabileNasce così la sua davvero romantica, antirazionalistica sfiducia verso il Sapere, anche se non ortodosso: ... l’albero della scienza non fu mai / l’albero della vita. Quel che conta è -ancora una volta romanticamente- il Sentire, l’Amare, anche se è un amore estremo, tanto estremo da essere distruttivo. Così infatti Manfred rievoca il suo amore per Astarte: I nostri lineamenti si assomigliavano / occhi, capelli, tratti... la sua voce! / ...Ma il tutto assai più dolce e temperato dalla bellezza / I suoi difetti erano anche i miei, / tutte sue le virtù / .. L’amai e distrussi.... / Il mio cuore spezzò il suo cuore: / il suo fissò il mio e appassì. Non senza un malinconico ricordo di ciò che egli era prima di questa passione: La mia gioia fu sola: nelle notti / mute seguire il corso della Luna... / ...e ascoltare le foglie disperse / e i canti serali mormorati / da venti d’autunno... / da ossami disseccati, teschi, polvere / trassi vietate conclusioni. Ma senza l’amore questo Potere non ha più senso. E’ questa consapevolezza che porta Manfred a chiedere ardentemente l’apparizione di Astarte: ...Amata, parlami! Tanto ho sofferto / e soffro ancora tanto. Guardami / La tua fossa non ti ha mutato tanto / quant’io son mutato per te. / Non eravamo fatti per torturarci così. / ...Dimmi che tu non mi detesti... / ...Prima di morire vorrei udire di nuovo la tua voce.. / parlami, Sdegnata se vuoi, ma parlami...! Apparizione che tutto sarà tranne che consolatoria, perché alle richieste di perdono di Manfred, alle sue disperate domande (...Ho il tuo perdono? Ci rivedremo ancora?..) ella risponde con un raggelante Addio..... Ma è questa sofferenza che finalmente rifarà trovare a Manfred la sua umanità, tutta la sua stupefazione per la vita ma anche per la morte (che della vita è la parte insolubile) fino a fargli dire, quasi con il sorriso sulle labbra: Non è così difficile / Morire. Appunto.... (guarda caso...) Manfred Bibliografia: S. Gori (a cura di) G.G. Byron “Manfred”, Mursia 1994; M. Praz “La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica”, Sansoni 1986; G. Manganelli “Il privilegio della dannazione”, nel booklet del cofanetto di dischi “Schumann-Byron Manfred/Carmelo Bene”, Fonit Cetra/Musica Aperta 1981; P. Klossowky/ G. Deleuze “Manfred: un rinnovamento straordinario” nel booklet di cui sopra; L. Ferrari “Robert Schumann: Manfred (18481849)” nel booklet di cui sopra; C. Bene “Versione italiana e riduzione del Manfred di G.G. Byron” nel booklet di cui sopra; C. Bene “La voce di Narciso”, il Saggiatore 1982. 28


Stregoneria e streghe nell’Europa moderna: un convegno internazionale di studi a Pisa giorni dal 24 al 26 marzo 1994, si è tenuto a Pisa un convegno internazionale di studi sul tema N ei“Stregoneria e Streghe nell’Europa moderna”, organizzato dalla locale Università, dalla locale biblioteca

universitaria e dall’Università di Ferrara. Al convegno era collegata poi una bella mostra intitolata “Bibliotheca Lamiarum: documenti ed immagini della stregoneria dal Medioevo all’Età Moderna” oltre che un breve ciclo di film di argomento stregonesco. Le tre giornate dei lavori, che hanno visto la partecipazione di autorevolissimi studiosi italiani e stranieri, hanno permesso di fare il punto sulla ricerca storico/scientifica riguardante il fenomeno della stregoneria dalla fine del Medioveo per tutta l’età moderna (e non solo). Non è qui la sede per fare un resoconto completo degli interventi, tenendo anche conto che a tutt’oggi, gli Atti, promessi per giugno non sono stati ancora pubblicati. Quello che si può dire è che gli indirizzi di studio sono, in una grossolana divisione, sostanzialmente due: quello più propriamente storico-filologico ad ampio respiro che abbraccia lo studio dei grandi sistemi filosofici, letterari ed ideologici, e quello che potremmo definire storicosociologico che studia invece contesti più limitati cronologicamente e topograficamente, che si interessa di più alla storia locale. E’ chiaro che queste due sfere d’interesse devono poi interagire fra loro per una più completa visione della Storia. Nel primo indirizzo si possono ad esempio inserire interventi come quello del professor Hugh Trevor Roper (Università di Oxford) dal titolo The limits of Scepticism: witch-hunting ad its intellectual context il fenomeno della caccia alle streghe in ambito Europeo, oppure quello del professor André Schnyder (Università di Berna) dal titolo L’inquisitore racconta. Modelli narrativi di argomentazione nel “Malleus Maleficarum”, dove viene dimostrato che il “Malleus”, al di là del giudizio morale che vi si può dare, è opera di raffinata cultura letteraria e retorica. Oppure ancora analisi di grandi opere letterarie come in La repressione della stregoneria alle soglie del razionalismo giuridicopolitico. La “Démonomanie des sorciers” di Jean Bodin (1580) di Diego Quagliotti (Università di Trento), o il bellissimo intervento di Attilio Agnoletto, noto storico delle religioni dell’Università di Milano che in Demonismo e giudeofobia nel “De judaeis et eorum mendaciis” di Martin Lutero (1543) dimostra che l’intolleranza non è monopolio dei soli cattolici. Per finire, è poi da segnalare, fra gli altri lo straordinario La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi di Luciano Parinetto (Università di Milano) che mostra il ruolo attivo che la demonizzazione e la streghizzazione degli indios ha avuto nella conquista e nello sterminio del Nuovo Mondo, ma anche -di contro- come il medesimo concetto di demonizzazione e streghizzazione era utilizzato dagli indios contro i conquistadores. Nel secondo indirizzo di studio possiamo invece includere interventi come Medici, streghe e fattucchiere nelle fonti giuridiche siciliane del tardo medioevo e della prima età moderna di Andrea Romano (Università di Messina), oppure l’interessantissimo Le cortigiane e l’Inquisizione a Venezia nel secondo Cinquecento di Marisa Milani (Università di Padova) in cui si sottolinea l’eguaglianza prostituta anziana=strega, o anche Maleficio e rappresentazioni collettive, ovvero, perché in Inghilterra le streghe non volavano di Robert Rowland (Università di Lisbona) che mette l’accento sul diverso modo di vivere una medesima credenza in diversi contesti geografici e culturali. Sono poi da segnalare anche due interventi di ambito antichistico; Il Patto col diavolo e la “Confessio Cypriani” di Albano Biondi (Università di Modena) e La strega come necromante: il caso della Pitonessa di Endor di Paolo Lomabardi, giovane ricercatore fiorentino, che mettono in luce l’origine paleo ed addirittura precristiana della figura della strega. Interessantissimi anche alcuni interventi, diciamo così, interdisciplinari come Rappresentazioni della stregoneria dello storico dell’arte Francisco Bethencourt (Università di Lisbona), Le piante nella stregoneria del biologo Emilio Tomei (Università di Pisa) o Musica e streghe nel Seicento del musicologo Paolo Fabbri (Università di Ferrara). Naturalmente vi sono stati molti altri interventi, fra relazioni più lunghe e semplici comunicazioni. Spiace concludere con una nota dolente: “padre” Corrado Balducci, sedicente demonologo esorcista, ci ha propinato un intervento dal titolo Stregoneria, magia e superstizione alla luce della vera demonologia. Questo individuo ha sottoposto l’audience a 45 minuti di un discorso a braccio a base di cialtronate, volgarità, luoghi comuni, imbecillità, curiosità da Settimana Enigmistica, presuntuosaggini e stronzate varie degne del peggior programma di Piero Vigorelli, che ovviamente nulla avevano a che vedere con il carattere scientifico del convegno. E’ inutile descrivere le facce dei convegnisti, organizzatori compresi: l’unica cosa da sperare è che gli venga rifiutato lo spazio nella pubblicazione degli atti. Segnatevi bene il nome di questo cialtrone ciarlatano: “PADRE” CORRADO BALDUCCI. Se lo conosci lo eviti.

Manfred 29


R o s e B l a c k

Pur essendo in assoluto una delle band italiane più conosciute e apprezzate all’estero, i Black Rose rimangono un po’ lontani dal circuito nazionale, cosicché molti ancora ignorano la loro opera intrisa di romanticismo e poesia, la grazia e la profondità delle liriche, la forza e la passione che li sostiene. Il loro è un mondo schivo e solitario, fatto di piccole cose e di grande sensibilità, che non può che far innamorare chiunque ricerchi nella musica sensazioni intense e una comunione d’animo che serva a placare le proprie paure e sofferenze.

Il vostro ultimo album è, a mio parere, davvero stupendo. Si tratta di un lavoro molto concettuale e in cui la ricerca di intensità lirica e di essenzialità poetica è, se possibile, ancora più radicale che in precedenza. In che direzione vi state muovendo artisticamente? Innanzitutto ci fa piacere venire a conoscenza che il nostro ultimo lavoro sia arrivato ai cuori e alle menti di qualcuno, in questo caso voi, nonostante il gran caos verificatosi intorno alla “tecnica di distribuzione”, praticamente inesistente!!! E vi ringraziamo per l’attenzione che ci dedicate, anche se non siamo il massimo nelle interviste!!! Per quanto riguarda la direzione verso la quale ci stiamo muovendo artisticamente penso che essenzialmente, per ciò che riguarda la composizione seguiteremo a dare priorità alla poesia e al pianoforte, mentre per quanto riguarda l’insieme il nostro desiderio rimane sempre quello di poter sperimentare la fusione della nostra musica con delle immagini. Il romanticismo e la malinconia struggente delle vostre musiche sembrano appartenere ad un mondo senza tempo, assoluto. Come vi rapportate alla realtà del presente? Trovo molto giusto ciò che affermate in questo punto. E’ infatti molto complesso per noi rapportarci alla realtà quotidiana e presente. Attualmente stiamo vivendo in conflitto con il mondo intorno, poco serenamente. La tendenza è quella di chiudersi sempre di più nel guscio. Il titolo del vostro ultimo CD “Beyond the wall of sleep” riprende un racconto di Lovecraft in cui un uomo ha, attraverso il sogno, visioni di un’altra dimensione sconosciuta agli umani. Anche voi cercate qualcosa “oltre la barriera del sonno”? Dietro la barriera del sonno io vivo. Spesso molto più realmente ed intensamente di quanto non lo faccia nei momenti di veglia. So che vivo anche in quella dimensione e non posso mai sfuggire da me stessa. Ci sono poi anche dei giorni in cui stento a capire dove sta la “barriera” tra le due dimensioni. Potete parlare della dedica del vostro lavoro a tutti coloro che, come voi, hanno trovato nella poesia il significato della vita? Ritengo la poesia una delle espressioni più pure e più profonde, un’espressione che viene da grande sensibilità e passione e che racchiude in sé momenti tanto intensi che vengono dal profondo dell’animo del poeta che penso possa divenire significato di vita ed elemento essenziale. Così ho voluto dedicare questo lavoro a tutti quelli che come me sentono che la loro vita senza poesia non sarebbe possibile. Mi ha colpito molto la citazione di un brano tratto da “La Peur” di Guy De Maupassant. La vera paura -egli dice- è qualcosa come una reminiscenza dei terrori fantastici di una volta. Cos’è per voi la paura? E’ tanto difficile descrivere la paura. La paura è tante cose, tanti volti... è il vuoto, il non aver certezze. A volte per me è sapere di dovermi svegliare il giorno dopo. Quali sono gli altri poeti e scrittori ai quali vi sentite più legati emozionalmente? Ci sono vari e poeti e scrittori che amiamo, sia classici che contemporanei. 30


Personalmente in questo momento amo particolarmente leggere poeti quali L o r e n z o Calogero (che è sempre sul mio comodino), Emily Dickinson, William Blake. Per quanto riguarda la prosa sto leggendo Thomas Mann. Un’ e s p e r i e n z a unica! Erri so che sta leggendo Pessoa, del quale pare che si sia innamorato. I testi delle vostre canzoni sono estremamente intimisti, profondi, sofferti. Volete parlarne... Mi è veramente difficile se non impossibile parlare o commentare in alcun modo i miei testi. In essi vi è racchiusa tutta me stessa e tutta la mia vita. Mi è sembrato che molte liriche nascano da uno stato d’animo comune, per cui da un nucleo di angoscia, di oscurità e chiusura c’è un tentativo di apertura verso la luce e verso una sensazione di libertà e di infinito... A volte ho questa sensazione di voler spiccare il volo. Tentativi ne faccio tanti, ma non so, spesso per me è molto dolce il richiamo alla chiusura. In questo ultimo lavoro ci sono due testi che vengono recitati in italiano. Perché non avete ancora provato a cantare in questa lingua? Il motivo per cui non canto spesso in italiano non è perché non voglia o non mi piaccia la lingua, ma è strettamente legato ad un fattore di musicalità. Mi spiego, sino ad ora non ci pareva che le nostre sonorità potessero combaciare con la musicalità naturale che già racchiude in sé la lingua italiana. Per questo motivo abbiamo sempre lasciato al momento della composizione la scelta della lingua, ciò significa che non precludiamo assolutamente l’eventualità dell’uso dell’italiano in futuro. Quali sono le vostre esperienze di concerti? Com’è il vostro rapporto con il pubblico? Il nostro rapporto con il pubblico è soprattutto di stima. Cerchiamo sempre di dare il meglio. A volte però è talmente forte l’emozione che proviamo che ci rendiamo conto di entrare in uno stato di trance, inoltre siamo molto timidi in pubblico ed io personalmente prima di andare sul palco entro in uno stato di terrore, anche adesso dopo tanti anni, anzi forse più adesso di prima. Parlate dei vostri progetti futuri. Il nostro futuro è il presente ed il presente ora è la composizione del nostro nuovo Album che uscirà all’inizio del ‘95 edito dalla “Hyperium Records”, la nostra nuova casa discografica. E’ ormai quasi pronto e si intitolerà “Into the glass house”.

Mircalla disegno di Antonio Biella 31


Cries of Tammuz

Una vacanza a Londra fuori stagione; il flyer di un concerto che mi ha incuriosita. E’ stato così, per caso, che ho scoperto i Cries of Tammuz, forse il migliore, anche se ancora semisconosciuto, gruppo apparso sulla scena inglese negli ultimi anni. Stanno progettando la pubblicazione di un CD single, ma per il momento hanno al loro attivo solo un demo tape intitolato The Summening, che costa 4,25 sterline s.p.i., che consiglio a tutti coloro che amano il dark sound oscuro alla Fields of the Nephilim.

Chi sono i membri dei Cries of Tammuz? Qualcuno di voi aveva suonato in altri gruppi precedentemente? I membri dei Cries of Tammuz sono io, Paul Nemeth, al canto, che facevo parte con Robert (basso) di un gruppo con influenze dark/Doors un paio di anni fa. Non eravamo contenti degli altri componenti così mettemmo un inserzione per cercare un chitarrista ed un batterista. John (chitarra) e Steve (batteria) suonavano in una goth band che si chiamava Shadow of doubt. Lasciarono quel gruppo perché stava diventando una specie di copia dei Fields of the Nephilim, John rispose all’annuncio così formammo i Cries of Tammuz. Successivamente John fece entrare nel gruppo il fratello Mark (tastiere). Questa è la line-up definitiva, che ci ha permesso di sviluppare nuove atmosfere aggiungendo cori e strumenti a corda come sfondo alla musica. Da quanto tempo fate parte della scena gotica londinese? Nessuno di noi fa strettamente parte della scena gotica londinese. Sono andato quattro o cinque volte a vedere i Fields of the Nephilim anni fa ma non ci siamo mai inseriti nel giro. E’ così ristretto che non ne vale la pena. Speriamo di farci conoscere in Europa dove la musica dark sembra accettata più facilmente. Non siamo particolarmente innamorati del gotico. Siamo naturalmente un gruppo di dark rock, ma non tutti i gruppi dark sono gotici. Ad alcuni di noi piace quella che viene chiamata musica gotica: Siouxsie & the Banshees, Bauhaus, Killing Joke, Fields of the Nephilim, ma non ci piacciono molti altri gruppi della scena come i Children on Stun, i Nosferatu ed i Sisters of Mercy da Vision Thing in poi, perché questi gruppi non hanno alcun dinamismo musicale, almeno secondo noi. Pensate che sia cambiata molto dagli inizi? Non so quanto la scena gotica sia cambiata. John e Mark erano dei punks alla fine degli anni ‘70 e Mark andava a concerti come quello dei Sex Pistols al “100 Club”, Adam & the Ants e Siouxsie & the Banshees (é uscito con Siouxsie); Steve andava a vedere Siouxsie ed i Killing Joke, ma nessuno di loro ha mai fatto parte della scena gotica. A me piacevano Adam & the Ants nei primi anni ottanta, ma dato che ho 22 anni ero troppo giovane per frequentare una scena. Che cosa significa essere gotici, secondo voi? Dato che non siamo quelli che la gente qui chiama “gotici” la parola “gotico” non ha nessun significato particolare per noi. Abbiamo comunque le nostre idee su come viene comunemente interpretata: per alcune persone “gotico” vuol dire vestirsi di nero, truccarsi di nero, cotonarsi i capelli e tingerli di nero per poi andare in locali gotici ed incontrare altri gotici. Secondo noi fare così vuol dire essere dei “gotici mondani”, ma non spirituali. Per esserlo non credo che una persona debba necessariamente vestirsi di nero o avere i capelli neri e neppure andare in giro con altri gotici. Si può essere gotici nello spirito, nella coscienza personale. Non ti devono piacere per forza la musica dark o i film dell’orrore. Puoi interessarti di occultismo, magia ed usare le tue energie astrali, o leggere libri che narrano tempi passati, in cui le cose erano davvero oscure e gotiche e l’arte, come veniva semplicemente chiamata, era gotica. Io credo chi i gotici siano persone dotate di un’intelligenza elevata, di una volontà forte e di una personalità con un lato oscuro. Alcuni si interessano di occultismo e religione, altri hanno una presenza molto potente. Ma bisogna sempre considerare che la parola “gotico” ha dei significati molto diversi per una vasta gamma di persone. Vi interessate a mitologie antiche? Nessun altro membro del gruppo si interessa approfonditamente di mitologie e religioni. 32


Steve si interessa un po’ di occultismo, perché la sua ragazza ne è appassionata. John si interessa alle cose occulte o mitologiche quando se le trova davanti, ma non le studia di proposito. Io invece sono molto appassionato delle religioni antiche dei Celti e dei Sumeri e sto cercando di scoprire una connessione tra le due religioni e le due razze. Non mi sento vicino ad alcuna di queste religioni ma voglio capirle. Mi interessano anche molto i Rosacroce ed in generale i poteri dell’aura umana e dei campi di energia. Da dove avete tratto il nome Cries of Tammuz? Il nome Cries of Tammuz mi è venuto in mente leggendo un libro sulle religioni assiro-babilonesi. Raccontava la storia di Tammuz, che era il dio dell’agricoltura, che fu portato negli inferi mentre gridava e ciò causò la devastazione della terra: Ishtar, che era la sua moglie divina, (Inanna) riunì il popolo per lanciare insieme a lei un lamento che fosse una replica delle grida di Tammuz, supponendo che ciò avrebbe restituito alla terra la sua fertilità. Poi Ishtar andò negli inferi per riportare indietro Tammuz ed in seguito si sposarono per promettere un anno di buoni raccolti. Leggendolo fui ispirato dalla storia e dal modo poetico in cui veniva narrata, così scrissi dapprima una canzone e da questa prendemmo poi il nome del gruppo. Cosa volete esprimere con la musica? La nostra potenza ed i nostri testi si basano molto su questa leggenda e sugli altri argomenti di cui parlavo prima. Il vostro gruppo preferito erano i Fields of the Nephilim? Non capisco perché pensi questo. A me e Robert piacciono, ma il resto del gruppo non li adora. Comunque il miei artisti preferiti sono i Doors e Tory Amos, mentre i favoriti di Robert sono i New Model Army; il musicista prediletto da John è probabilmente Frank Gambali, a Steve piacciono i Killing Joke ed a Mark la musica classica ed il jazz. Ascoltiamo molti generi musicali ed il gotico è solo uno di questi. Capisco che la gente ci possa paragonare ai Nephilim perché abbiamo un suono molto potente ed oscuro, ma ti assicuro che non ci ispiriamo a loro. Eppure, secondo me, sul palco hai un look molto McCoyiano. Non vado in scena cercando di somigliare a Mc Coy. Dici così perché porto un cappello? Un cappello molto diverso, vorrei aggiungere. Non è detto che chiunque si metta un cappello sul palco e si vesta di nero stia imitando Carl Mc Coy. Jim Morrison fu forse influenzato da Carl? Anche lui portava un cappello, molto tempo prima, e così Andrew Eldritch: Penso che Mc Coy sia il cantante che ha maggiormente imitato gli altri. Cosa avete pubblicato finora? Il demo The Summening, ma contiamo di pubblicare presto un mini CD che dovrebbe intitolarsi Hyperion, ispirato al poema epico di John Keats. Avete avuto una buona risposta dal pubblico? Recentemente abbiamo avuto delle risposte molto positive. All’inizio avevamo dovuto suonare di supporto a gruppi jazz-funk e, come puoi immaginare, non andava troppo bene. Poi l’anno scorso abbiamo suonato come supporters degli Incubus Succubus e da allora è stato tutto in salita, speriamo di arrivare in cima! Vi sareste aspettati un’intervista per una fanzine italiana? Abbiamo degli amici in Italia, che ci hanno raccontato del vostro paese e delle sue stranezze. Sappiamo anche che alcuni dei maggiori gruppi dark hanno un buon pubblico da voi.

Natalie C. Contatti: Paul Nemeth, 58 Ravenscroft Ave., Wembley, Middx HA99TL, UK. sfondo di Antonio Biella 33


Emotional Outburst

Gli Emotional Outburst sono un gruppo attivo da circa tre anni e mezzo nella scena tedesca. Malgrado dalla Germania arrivino numerosi gruppi decisamente meno validi ed originali, non hanno ancora trovato un’etichetta che abbia loro prodotto un CD, anche se agli esordi si erano subito imposti all’attenzione del pubblico grazie al 040 Sampler, in cui la loro “Die Nacht” era forse il pezzo migliore; poi la cantante di allora, Anna Hotzel ha lasciato il gruppo ed è stata sostituita da Dorina Gumm. La musica degli Emotional Outburst è un'elettronica carica di sonorità oscure ed angoscianti, Dirk Rieger mi disse che gli è molto più facile creare nei momenti negativi, quindi, inevitabilmente, la loro musica riflette ciò.

Puoi raccontarci gli inizi degli Emotional Outburst? Gli Emotional Outburst furono fondati nell’autunno del 1991 da Anna Hotzel e me. Io avevo suonato in altri gruppi, ma si erano sciolti, così prima decisi di fare musica da solo, poi arrivò lei ed iniziammo a suonare insieme. Dopo soli tre mesi registrammo Verloren, il nostro primo demo, e poi pubblicammo “Die Nacht” sul sampler 040 Hamburg strikes back. Lo 040 sampler vi ha aiutato a farvi conoscere? Ci ha aiutato moltissimo, ci ha scritto persino gente dall’America, ma da allora la nostra musica è cambiata, e talvolta è difficile spiegarlo. Ai concerti ci chiedono di suonare “Die Nacht”, ma quella canzone era di Anna e a me e Dorina non sembra giusto suonarla ora che lei non fa più parte del gruppo. Il vostro stile cambia parecchio da un demo all’altro. Cambiare e’ importante per voi? Noi non vogliamo fare solo un tipo di musica. Penso che diventerebbe molto noioso suonare sempre le stesse cose. Non vogliamo diventare uno di quei gruppi che puoi riconoscere dalle prime note di una canzone. Avete dei nuovi lavori in progetto? Lavoriamo sempre a nuove canzoni. Ne abbiamo già tre pronte, ma non sono abbastanza per un nuovo demo; forse ne pubblicheremo uno verso la fine dell’anno. Lo stile cambierà ancora? Sicuramente. Ci saranno più percussioni, ma assolutamente non sarà techno; non ci interessa diventare un gruppo da dance floor. Amo definire la nostra musica “avanguardia elettronica”. Cosa volete esprimere con la vostra musica? Penso che il nostro nome sia la miglior spiegazione della nostra musica. Emozioni che vengono alla luce, che vengono mostrate a chi è attorno. Parliamo di ciò che ci viene in mente: i nostri problemi, qualcuno che ci manca. Il più delle volte sono tematiche tristi ed oscure. Penso che quando sei depresso ti vengono le idee migliori. Registri quello che ti passa per la testa e poi lo rielabori con calma successivamente. Chi scrive i testi? A volte io a volte Dorina. Di cosa parlano i vostri testi? La maggior parte dei testi parla di cose che ci capitano, che ci colpiscono, a volte anche cose che vediamo in televisione, come appunto il testo di “Sleep well”, che ho scritto dopo aver visto un episodio di “Star Trek Next Generation” in cui un androide solitario si costruì un compagno che considerava una specie di figlio. Alla fine dell’episodio questo figlio muore. Quello che mi ha colpito è stato vedere i sentimenti di una creatura elettronica, di una cosa che viene comunemente considerata come un oggetto senz’anima. La canzone vuole rappresentare l’addio dell’androide al figlio. “Sleep well”, ovvero riposa bene ... per sempre. Scrivete prima i testi o la musica? Il più delle volte li scriviamo insieme. A volte abbiamo dei testi ma non riusciamo a trovare una musica che gli si adatti. Altre volte componiamo delle musiche cantandoci sopra delle parole a caso e scriviamo il testo dopo, ma credo che la cosa più semplice sia farli insieme. Qual’ è il ruolo di Dorina nel gruppo? Suona le tastiere, canta e si occupa specificamente dei suoni strani, dei suoni sintetici 34


mentre io seguo le parti orchestrali. Componete insieme? Componiamo sempre insieme. La prima idea per un nuovo pezzo viene ad uno, ma poi la elaboriamo sempre insieme per trovare altri suoni ed arricchire e completare le canzoni. Solo alcuni pezzi del primo demo sono stati composti da me da solo, era del vecchio materiale che risaliva a prima della nascita degli Emotional Outburst. Lavorare con Anna Hotzel era più difficile. A volte suonava un pezzo sul momento, guidata dall’ispirazione; poi mi chiedeva di programmarlo, ma lei stessa non riusciva più a rifarlo uguale Che posto ha la musica nella tua vita? Lavoro per comprare gli strumenti; dopo il lavoro passo quasi tutto il resto della mia vita a suonare. Penso che anche se gli Emotional Outburst si sciogliessero io continuerei a suonare. Non avete ancora trovato un’etichetta. Pensi che sia perché la vostra musica non è abbastanza commerciale? Si. La nostra non è una musica che puoi ballare, perciò è molto difficile trovare un’etichetta: scrivi e ricevi risposte del tipo “Abbiamo già troppi gruppi da promuovere” o “la vostra musica non è vendibile”. Comunque continuiamo a cercare anche se temo che la nostra musica sia troppo strana, quindi a molta gente può non piacere. Inoltre non è il genere di musica che puoi capire ad un primo ascolto superficiale e questo rende tutto più difficile perché molti non hanno voglia di soffermarsi. Però avete suonato come spalla a gruppi importanti come i Goethes Erben e gli In the Nursery. E’ stato bello suonare con loro, però a volte è stata dura, perché la gente era lì per il gruppo principale ed in Germania molte persone non ascoltano neanche i supporters, anche se per fortuna non tutti sono così e abbiamo visto anche tante persone interessate. Usate delle scenografie particolari? Durante il tour con gli In The Nursery avevamo due grandi bolle sospese nell’aria e suonammo la prima canzone dentro queste bolle. Era divertente perché il pubblico non riusciva a capire chi suonava, dato che c’era anche molto fumo sul palco. Poi abbiamo fatto una session fotografica con la faccia coperta di olio e schegge di metallo, ma finora non l’abbiamo mai fatto in concerto perché potrebbe essere pericoloso se ci fossero scintille o fuoco. Il più delle volte sul palco mi limito ad indossare qualche maglietta strana ed a cotonarmi i capelli. Poi mi muovo molto, a volte vado tra il pubblico, inoltre cerchiamo sempre di variare la scaletta, spesso la decidiamo durante il concerto. Ritieni che gli strumenti elettronici diano una possibilità di espressione più varia rispetto alla strumentazione classica? Noi siamo due persone e non potremmo mai suonare contemporaneamente tutti gli strumenti che usiamo. Quindi dobbiamo programmare e lavorare molto al computer. Non mi piace molto programmare, ma non abbiamo alternative quando vogliamo, ad esempio, un suono orchestrale. In situazioni come la nostra l’elettronica aiuta molto. Avete anche girato un video di “Es Geschah” Il video è stato prodotto per un canale televisivo indipendente che trasmette opere di privati. E’ stato abbastanza facile produrlo. L’abbiamo girato con una sola telecamera e poi abbiamo aggiunto molti effetti. Ma è solo il clip di una canzone; non credo che possa essere venduto. Avete in programma di girarne altri? Vorremmo, ma dovremmo trovare il tempo. Devi trovare i posti, pensare a cosa devi fare, cosa vuoi mostrare nel video, è un lavoro molto lungo.

Natalie C.

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Simon Dreams in Violet

Oltre il muro del sonno i sogni in viola si fanno musica, intreccio di suoni eccitanti, oscuri e potenti. I Simon Dreams in Violet sono una delle più interessanti realtà dello scoppiettante panoramo sotterraneo italiano. Dopo la recente dipartita del chitarrista il gruppo si trova ad un punto di svolta e con entusiasmo e qualche dubbio si accinge a scrivere il secondo capitolo della sua storia. Roma, settembre ‘94: Mircalla, Manfred ed il sottoscritto, Christian Dex, incontrano ed intervistano Massimiliano e Rino rispettivamente voce e basso del gruppo ...

Cominciamo col parlare della recente uscita di Luigi dalla vostra formazione. Massimiliano: Luigi se ne è andato perché voleva fare delle cose più leggere in stile new wave. Ha deciso di uscire anche per i disaccordi con Rino sui nuovi pezzi, ritenuti da lui troppo complicati. Lo stile del nuovo chitarrista, Stefano, è più aggressivo e io lo preferisco visto che vengo dal punk. Ci tengo a precisare che i rapporti personali con Luigi sono buonissimi, a parte le parolacce che ogni tanto scappano dato che secondo me poteva pure rimanere nel gruppo. Anzi, con due chitarristi sarebbe stato il massimo, soprattutto dal vivo. Ora stiamo provando e stanno uscendo cose buone: le nuove canzoni si avvicinano allo stile degli END-Ghost a cui vorremmo aggiungere qualcosa di elettronico sempre se riusciremo a far coesistere le due cose. Cercate un tastierista quindi? M: No, no! Facciamo tutto noi. Mantenendo comunque la drum machine? M: Forse ci sarà un cambiamento con la possibilità di avere un batterista. Il problema sono i suoni visto che noi preferiamo quelli della batteria elettronica. Trovare un batterista, bravo, che faccia cose simili è difficile. Comunque ora proviamo questo ragazzo e vediamo come va. ... Io spero che vada male, così ci teniamo la drum machine. Perché lo provate allora? M: Per curiosità, visto che è l’unico che riesce a tenere certi tempi. Poi Stefano vuole provarlo a tutti i costi perché come Luigi (di cui è il cugino) ha il “viziaccio” del batterista umano. Qual’è l’origine del vostro nome? M: Deriva da un sogno fatto da un’amica che mi vedeva protagonista: ero in una stanza esagonale, il mio corpo in una bara avvolto in un drappo viola. Poi una porta si apriva e lasciava intravedere un viso maschile. Nei vostri due demo ci sono molti riferimenti all’immaginario delle streghe, sia nelle canzoni (Witching Hour ad es.) che negli scritti inclusi: perché? M: A me ha sempre interessato il medioevo, il passato con le sue oscure vicissitudini: l’inquisizione, la stregoneria, ecc.. La figura della strega, della donna satanica, mi affascina ... forse perché mi sento un po’ stregone! Rino: Per quanto riguarda gli scritti la nostra intenzione è di creare una storia che si sviluppi nel corso dei vari demo: nel primo c’è una specie di introduzione, nel secondo la continuazione e nel terzo la narrazione andrà avanti. Parlando di ispirazioni, cosa influenza le vostre composizioni? M: Per i testi Poe, Lovecraft e Baudelaire, più suggestioni dai sogni o da esperienze personali. Musicalmente io sono partito dal punk, e anche Rino, anzi lui proprio dal grindcore! E come siete finiti a suonare gothic? M: Ci siamo incontrati ed è uscito quel suono. Non è che in origine abbiamo deciso a tavolino di fare gothic anche se evidentemente c’era in noi una certa predisposizione più o meno latente. R: In principio avevamo come riferimento i Paradise Lost, poi con l’apporto della chitarra di Luigi, con la voce di Massimiliano e con la batteria elettronica è uscito fuori il nostro suono che si può riallacciare alle sonorità dark degli anni ‘80. Come giudicate i vostri due demo? Il secondo ci sembra più irruento. M: E’ uscita fuori la nostra vera natura! 36


R: All’inizio non eravamo ancora bravi ad esprimere un’idea musicalmente. In più ora siamo anche migliorati tecnicamente e riusciamo a realizzare ciò che sentiamo dentro con un risultato accettabile. Il secondo demo è molto nervoso, quasi sofferto. M: Il primo ha anche coinciso con il nostro esordio in studio: non potete immaginare cos’è successo per registrare quel demo! R : Per il secondo poi sapevamo già che ci saremmo sciolti, che sarebbe finito tutto e con questa sensazione lo abbiamo registrato. Abbiamo deciso di fare tutte le canzoni composte fino a quel momento. M: I due demo ricoprono quindi tutto il primo anno e mezzo di esistenza del gruppo. Il suono del basso identifica univocamente i Simon Dreams in Violet, con le sue bellissime linee, elaborate e complesse. Come nasce questo stile? M: E’ Rino che è un pazzo! R: Io suono da parecchio tempo: ho cominciato coi gruppi punk, poi hard-core e grind. In più ascolto di tutto: ora sono in fissa per la techno. In tutti i gruppi in cui sono stato, visto che non riuscivamo a trovare i musicisti, tendevo sempre ad aggiungere qualcosa per supplire alla mancanza degli altri. Così all’inizio il suono dei SDIV era composto solo dal basso distorto, dalla voce e dalla batteria acustica. Ora con l’approccio del nuovo chitarrista sono ancora più costretto a fare il batterista puro, limitandomi cioè a creare ritmi. M: Ma se ascolti “Lust” ti accorgi che la linea di basso potrebbe farla una chitarra. Nei demo alcune canzoni hanno due bassi, anche tre. Come giudicate la scena gotica romana per quanto riguarda pubblico e locali? R: Non è che io esca poi molto e frequenti tanta gente. Però ultimamente mi è sembrata che ci sia più gente fissata solo per la discoteca. A Roma avete un pubblico fedele ai vostri concerti? M: Diciamo che su cento persone che vengono a vederci dieci ci seguono e gli altri magari apprezzano pure ma sono lì solo per la discoteca. Secondo me manca proprio la mentalità per i concerti anche perché ce ne sono pochissimi. Suonare fuori è più divertente e stimolante, anche perché a Roma la gente è più o meno sempre la stessa. Fra i concerti che avete visto quest’anno qual’è quello che vi è più piaciuto e di contro quello che vi ha più deluso? R: I Ghosting a Modena mi hanno deluso: c’era un qualcosa di pesante in quel concerto, di piatto. Forse è anche colpa della cattiva amplificazione. Gli Eternal Afflict invece mi sono piaciuti parecchio. M: A me invece per niente, soprattutto per il loro approccio dal vivo: uno che canta e dietro un fantoccio che muove un tasto. I concerti più belli sono stati quelli dei gruppi italiani come i Modena City Ramblers, che fanno folk irlandese cantato in italiano, e i C.S.I.. Mi piacciono poi i concerti metal dove c’è molta carica. Rino tu sei l’autore delle storie che accompagnano i vostri demo. Cosa scrivi, perché scrivi? M: Ecco questo è il punto! Perché scrivi!? R: E’ una cosa che ho sempre fatto. I racconti sui demo sono cose vecchie. Se provo un certo tipo di sensazioni scrivere mi aiuta a capire meglio quello che sento. 37


E cos’è che ti piace leggere? R: Ultimamente Bradbury, i suoi racconti fantapolitici tipo Fahrenheit 451. E poi Asimov, Lovecraft, Poe, Pirandello, Grazia Deledda. Al cinema cosa andate a vedere? M: Io odio il cinema; non ci vado mai a parte quando c’è qualcosa di molto interessante come i film di Herzog. Però ultimamente escono poche cose veramente belle. R: Beh, dovrebbe uscire il film ispirato da Le montagne della follia di Lovecraft. Vediamo com’è. A me piacciono i film di fantascienza, horror, drammatici, erotici, di qualsiasi genere purché siano fatti bene. Mi è piaciuto molto il “decalogo” di Kieswlowski, schifosamente realistico ma bellissimo, il Dracula di Coppola, in cui ho riconosciuto tutte le citazioni dagli altri film di vampiri. E poi i film di John Waters e Russ Meyer, che sono divertenti. Odio le telenovelas! Vi piacerebbe fare la colonna sonora di un film? M: Sì, perché no? Sarebbe molto interessante. Come lavorereste visto che nel comporre siete molto liberi mentre con un tema e delle immagini da seguire sareste più vincolati? M: Le stesse immagini ci stimolerebbero. R: Certo il film ti deve piacere e dare qualcosa, altrimenti ... Potrebbe essere un nostro film! A me piacerebbe farne uno e curarne la colonna sonora. Ho scritto una storia e delle musiche apposite ma finora mi sono mancati i mezzi per realizzare questa operazione. Prossimi progetti? M: Forse uscirà un CD per Energeia. R: Però vorremmo aspettare che i tempi col nuovo chitarrista siano un po’ più maturi per non ripetere l’errore fatto col primo demo, che a livello di interpretazione è quasi nullo rispetto a ciò che potremmo fare adesso. Se avessimo aspettato sarebbe venuto fuori più dinamico e potente con qualche spunto in più per ogni canzone. M: Recentemente siamo comparsi su diverse compilation anche se poi l’unica che abbiamo visto è Intimations of Immortality dell’Energeia. Abbiamo partecipato ad una della Beton Tapes (n.d.r.: tapelabel tedesca) e ad una americana su CD dedicata a Poe chiamata A dream within a dream con le canzoni “Paranoia” e “The lake II”. Anche Trev della Nightbreed ci ha chiesto dei pezzi ma non so che fine abbiano fatto. R: Forse registreremo un pezzo dei Death in June, “Rule again” in una versione stralunata. Perché cantate in inglese? M: Perché non riesco a scrivere in italiano. E poi preferisco l’inglese anche per la sua musicalità. Per scrivere in italiano dovrei fare maggiore attenzione alla metrica e lavorare di più ... e sono molto pigro! Però ogni tanto esce qualcosa in italiano come “Cambiamenti” che è un inedito. Rino, porti la spilla dei Crass: perché? R: Perché sono vegetariano, anarchico e approvo appieno il significato della spilla: se Gesù Cristo è vissuto egli è morto per i suoi peccati e non per quelli del mondo. Ho smesso di credere il giorno prima di fare la Cresima, che infatti poi non ho fatto. L’insegnamento di Cristo può anche essere giusto ma non lo è certo nel modo in cui è stato strumentalizzato dalla Chiesa. Contatti: S.D.I.V. c/o Rosario Rizzo, via dei Canarini 44, 00169 Roma (n.d.r.: le due foto in questo articolo mostrano i SDIV nella vecchia formazione)

Christian Dex 38


Il loro cd Balmor è bellissimo, vitale, oscuro e potente; molto belli i testi. E loro rifuggono da qualsiasi narcisismo. Questo m’è bastato per avere voglia di conoscere un poco di più questo particolarissimo gruppo svizzero. Questa intervista è la conferma dell’intelligenza e della vivacità intellettuale dei quattro musicisti. E la riprova del fatto che se uno ha qualcosa da dire la dice.

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OK Trom, da dove venite? Quali sono le vostre origini? Presentatevi. Bene... Siamo in quattro. Henry alla batteria, Olivier al basso, Thierry alla chitarra ed io, Fabrice alla voce. Solo uno di noi è un puro cittadino svizzero, mentre gli altri sono bastardi dall’Ungheria, dalla Russia e...dall’Italia. La band esiste da 3 anni, ma i musicisti sono oltre otto anni che suonano insieme. Ma Trom è uno da quattro, come concetto. E uno da tutto, come realtà. Voi definite la vostra musica “gothic core”. In effetti nei vostri testi ci sono elementi di pura cultura politica punk (“Chemical Sky”) mischiati con elementi puramente gotici (“Nigra Opera”, “Balmor”) o con atmosfere filologicamente post punk (“Praha”). Ma cos’è per voi il gotico? Effettivamente, possiamo essere considerati dei punk perché viviamo come dei punk, fregandocene di ciò che la gente può pensare. Gothik: un programma architettonico di libri di pietra, che tramanda alla posterità l’ancestrale saggezza dell’alchimia. Simboli ermetici, esoterismo come linguaggio e meravigliosa possibilità tecnica di realizzare armonie celesti in accordo con gli ideali di bellezza della fine del Medioevo. Questo è per me il gotico. Ed è un linguaggio popolare, non fatto per essere compreso solo da coloro che vivono per i soldi o per il successo sociale, o per la gentaglia di plastica. Pensate che la parola “Romantico” abbia un senso anche oggi? E se sì in quale modo ed in quale forma? Perché no? Romantik ha per me due significati, come fare l’amore. Uno riguarda le relazioni umane, ed un’altro i rapporti con Dio. Il Romanticismo può essere l’aspirazione a trovare l’amore ideale con un uomo o una donna, oppure di vivere vicinissimo a Dio, agli Dei, al Cielo, ad una Terra di Allucinazioni... Il nome non è importante. Quali sono i vostri rapporti con il mondo Goth, e cosa pensate dei “gotici”? E poi qual’è il vostro pubblico? Il nostro pubblico è un misto di gotici, di ascoltatori di rock industriale e viaggiatori mistici. Riguardo ai gotici penso che alcuni di loro hanno solo l’apparenza e non la sostanza delle vere idee gotiche. Almeno, così è in Svizzera. Ma alcuni altri sono miei buoni amici, perché condividiamo gli stessi punti di vista. Vorrei che molti gotici sorridessero, o fossero qualche volta violenti, e non chiusi così su se stessi senza riuscire a capire che gli anni ‘80 sono finiti. Il mondo

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La Ricerca degli Alchimisti Punk


gothic è qualche volta magico e davvero mistico, un grande specchio in cui ognuno guarda se stesso, la propria immagine. Ho sempre voluto rompere gli specchi e passarci attraverso. Quali sono le vostre preferenze musicali? Qualche nome: Joy Division, Sisters of Mercy, Fields of the Nephilim, Dead Can Dance, Ministry o Killing Joke, Vagtazö Halotkmek, Mordor, Mlada Fronta, Lucie Cries, i primi Young Gods, Bob Marley, Wladimir Wissotsky, Liber Mud, E. Neubauten, Hypnotix, Hendryx, Mysti in Roots, Burning Spear, Schubert, Beethoven, Rachmaninov, Terje Rypdal, This mortal Coil, Wolfgang Press, la musica tzigana, la trance africana, i canti gregoriani... Insomma può piacerci ogni esperienza che sentiamo vera. E, musica a parte, quale genere di cinema, arte o letteratura seguite? Cinema: Cronenberg, Leo Carax, Moretti (meditate gente meditate!! Manfred), i fratelli Cohen, i fratelli Taviani (Kaos!), Bunuel, Hatenin-Girard.... più tutti coloro che mi guidano in un universo strano, allucinante e folle. Letteratura: lo stesso genere ed in più libri di teoria Magica (Crowley, Levi, Papus) ed Alchemica (Fulcanelli, Flamel) o di stregoneria (Castaneda) e poi Huxley ed altri libri mistici. Il nostro bassista si arrabbierebbe se non menzionassi la filosofia ed ovviamente poeti come Baudelaire, Rimbaud, Bukowski, Lovercraft... Per gli altri generi potrei solo farti i nomi di Bosch, Bacon, Munch, Schiele fra i pittori. E’ sempre questione di possedere una non ordinaria percezione della realtà. E con la politica, come la mettiamo? La politica è un gioco di stupido potere. La politica è un’immagine, mani che uccidono gente, la democrazia è un’illusione, come il comunismo, il capitalismo o ciò che tu vuoi. La politica non ha ideali, spirito, ragione, non è affidabile, non esprime solidarietà: gli interessa solo il denaro ed il dominio sul prossimo. Non voglio rapporti con la politica, no. La nostra via è musicale e spirituale. Il vostro nome è l'inverso di Morte. Ma cos’è per voi la Morte? Ci sono due tipi di morte. Quella chiamata così comunemente è una continua trasformazione della vita, dunque non è la negazione della vita. In ogni istante qualcosa muore per rinascere dalle proprie ceneri. Alla fine della vita, ma anche ora-proprio ora- qualcosa sta morendo in te: L’oggi è la morte dell'ieri. Ciò significa che non v’è alcuna opposizione fra la vita e questo tipo di morte: è sempre un ulteriore gradino. L’altro tipo di morte si ha invece quando un essere vivente smette di muoversi, di adattarsi o trasformarsi. Questa è la morte dei vivi. Ecco perché possiamo dire che molti uomini sono morti benché sembrino vivi. Cerchiamo di farli risorgere! In “Nigra Opera” parlate di Alchimia: vi interessate ad essa? Ci interessa moltissimo l’Alchimia, perché mischia scienza e religione, razionalità ed istinto. E’ una scienza mistica, ed anche molto poetica... Gli Alchimisti hanno scoperto moltissime cose che la scienza ufficiale nemmeno immagina. Nella stessa canzone usate la cosiddetta formula “Sator” un’epigrafe romana forse di origine cristiana: da dove vi è venuta questa idea? Vedo che conosci questa formula: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS (sommariamente:” il seminatore accudisce le opere” anagrammato in vari modi. Manfred ). L’ho letta molte volte nei libri, sia di carta che di pietra, e mi ha subito irretito questo gioco spirituale. Ma ho deciso di usarla per una canzone quando sono andato ad occupare una casa precedentemente abitata da un pittore che l' aveva dipinta sul muro. Da allora mi è entrata dentro e la terrò in me per il resto della mia vita. Sator, il seminatore, è colui che lavora nei campi e simbolicamente è l’alchimista, o colui che sta cercando la Pietra Mistica. Cosa pensi della religione cristiana? Pensi, con Nietzsche, che è una Maledizione? 40


L’applicazione della religione cristiana è una sorta di maledizione, sicuramente, ma solo perché la sua interpretazione è generalmente sbagliata. Se conosci un po’ di esoterismo, o di poesia, la puoi considerare una leggenda con dei numeri chiave, contenente alcuni elementi cabalistici, molti della tradizione egizia ed altre credenze ancestrali. Io considero la bibbia come un tentativo di dare un nuovo aspetto a più antiche conoscenze. Ovviamente è piena anche di stupidità, ma ciò che è interessante è il concetto di carità, che mi pare nuovo, e l’idea di un unico dio, che mi ricorda il dio Aton della religione egizia. Il modo in cui la religione cristiana viene usata è paragonabile all’uso che si è fatto delle scoperte di Einstein: la ricerca di un nuovo sapere è usata per opprimere la gente. La Bibbia è un libro mistico e spirituale che diventa per molti un' arma di potere e sopraffazione. Ma se solo avessimo imparato come leggerlo, vi avremmo potuto trovare le stesse idee del tibetano Bardo Thodol, o che sono nella storia di Iside e Osiride, o nel Corano o.... in ogni leggenda che vive nella nostra memoria universale. Perché il doppio uso dell’inglese e del francese nelle vostre canzoni (per non parlare del latino)? Non lo so. Qualche volta le canzoni vengono in inglese, altre in francese. E’ anche una questione di pronuncia: “chemical sky” suona più violento che “ciel chimique”. E quando viaggiamo in paesi dove nessuno parla in francese, mi piace che il pubblico capisca alcune delle cose che dico: per una migliore comunicazione. Poi mi piace mischiare le lingue: offre nuove possibilità di cantare. Qual’è il significato della canzone “Là où naissent les tetes de sang”? Il titolo significa “dove sono nate le teste di sangue”. Parla dei misteri della generazione, e dei misteri preclusi dall’uso della paura e del sangue. La canzone cerca di mostrare che non bisogna temere il nero, il sangue (il sangue è vita) o i ragni. Affrontate il Viaggio Mistico! Evocate Ouroboros! Progetti futuri? Mangiare veleni, passare attraverso nuove porte, divorare ancora Funghi, correre nella foresta e volare nei sogni, scoprire ulteriori possibilità della musica e della mente, registrare un nuovo cd in maggio, concerti in Germania, Italia, Spagna, Repubblica Ceca, Francia, Belgio... più concerti possibile per conoscere nuove facce, nuove esperienze, nuovi fratelli di strada, nuovi deliri, cercare di fermare i nostri pensieri, e -per ora- ubriacarsi per fare un buon sonno.... E, per finire, qualche parola per i lettori di Ver Sacrum. Quindicesima domanda...15... questo è il numero del Diavolo nei Tarocchi. E ride, ride, ride...........

Manfred

Nuovo CD dei Lucie Cries: "Semper ad Alta" Proprio mentre stavamo completando questo numero di Ver Sacrum abbiamo ricevuto il nuovo CD del gruppo francese e non ce la siamo sentiti di rimandarne la recensione. Semper ad Alta è davvero straordinario: ad ogni uscita i Lucie Cries mostrano una lucidità maggiore nel proporre quel melange di potenza e melodia che da sempre contraddistingue il loro suono. Molto curato è l'aspetto di produzione di quest'album (non si direbbe mai che è stato registrato in soli 9 giorni!), con arrangiamenti di tastiere che donano senza strafare le giuste sfumature alle canzoni. Ho ritrovato con piacere alcuni pezzi presentati in anteprima durante il tour italiano della primavera '94: ma la vera eccitante sorpresa l'ho avuta con le canzoni "Ver le Mines du Golgotha" (il cui titolo di lavorazione era "Ministry" e che questo vi dica tutto) e "La sagrada familia", con il suo tempo velocissimo ed incalzante. Post-punk romantico, gotico al fulmicotone ... qualsiasi etichetta va stretta alla musica dei Lucie Cries (soprattutto quella di "cold wave" perché vivaddio sono tutt'altro che freddi!). Ma date retta a me, se badate più alla "sostanza" che all'"apparenza", se siete dei romantici ribelli, questo CD vi farà impazzire. Quoi dire encore ... nous amons Lucie! (Christian Dex)

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Il Gotico nel cinema fantastico italiano: gli anni ‘90, eppur (qualcosa) si muove Benché il decennio degli anni ‘90 non sia ancora giunto alla sua metà, tuttavia alcune produ-

zioni di spicco autorizzano a farne una seppur parziale panoramica . Questo decennio si apre alla grande con il film “Due occhi diabolici” (1990) omaggio a quattro mani ad E. A. Poe firmato da Dario Argento e George A. Romero. Il film è composto da due episodi, e se il lavoro di Romero tratto dal racconto “La verità sulla vicenda del signor Valdemar” risulta stanco ed in qualche modo demotivato, invece il “Gatto nero” di Argento (ispirato al racconto omonimo, ma contenente numerosissime citazioni da altri racconti del maestro americano) è un esempio di rigorosissima tecnica cinematografica nonché un crogiolo di fascinose quanto spiazzanti sperimentazioni che preludono alla “svolta” del film successivo. L’anno seguente vede ancora all’opera il team di Argento il quale scrive e produce “La Setta” (1991) diretto da un talentoso Michele Soavi. Il film pur tentando di rinnovare il tradizionale tema delle sette stregonesche e sataniche attraverso un’ambientazione inusuale (le comunità hippy della fine degli anni ‘60) ed alcune notevoli invenzioni visive, risulta appesantito da alcune incertezze di troppo. Soavi si conferma comunque come la più solida realtà del panorama cinematografico fantastico italiano. Atmosfere di cupo goticismo si respirano poi in “Magnificat” (1993) di Pupi Avati film composto da vari episodi che hanno come minimo comun denominatore l’alto medioevo. Nonostante l’intento di fornire una testimonianza il più possibile storicamente esatta del periodo trattato (ineccepibili le ricostruzioni ambientali e di costume, magnificamente fotografate da Cesare Bastelli), Avati non rifugge dal gusto per il racconto oscuro e misterioso dalle atmosfere goticheggianti che già in passato avevano segnato l’opera di questo singolare autore italiano (pensiamo al bellissimo “La casa dalle finestre che ridono”(1976), allo strano “Zeder” (1982), ma anche ai poco conosciuti e pur interessanti “Balsamus, l’uomo di Satana” (1968) e “Le strelle nel fosso” (1978)). Sempre del 1993 è il singolarissimo “Trauma” di Argento. Dal punto di vista stilistico il nuovo lavoro del Maestro sviluppa gli spunti lanciati dal suo episodio di “Due occhi diabolici” (sperimentazioni visive che si distaccano dall’immagine cui ci aveva abituati il grande regista, diverso utilizzo della colonna sonora etc.), ma è dal punto di vista tematico che il film riserva le maggiori sorprese. “Trauma” è un atto d’amore verso il proprio cinema (continue e quasi struttura portante del film sono le autocitazioni), cinema che rimane quasi a far da fondale alla vicenda che realmente interessa al regista; la storia di Aura Petrescu, tormentata adolescente anoressica, significativamente interpretata da una toccante Asia Argento. Il personaggio, a cui Asia presta la giusta fisicità, pare preso di peso dalla tradizione del romanticismo decadente, con tutto il suo carico di problemi, di sguardi languidi e palpitanti, di pallori stralunati (come non pensare ad un sorta di Renée Vivien?). Dunque un film difficile questo “Trauma” dove autobiografismo, fantasia sfrenata ed effeHarvey Keitel in Due Occhi Diabolici, D. Argento, 1990 42


ratezza convivono in un’opera davvero originale e di svolta che rimarrà come una pietra miliare nella produzione di Argento: per questo a mio avviso ha spiazzato molti spettatori e critici (uno per tutti Maurizio Colombo, cfr. bibliografia). Il film di maggior richiamo del 1994 è senza dubbio il celebratissimo “Dellamorte Dellamore” ancora di Michele Soavi questa volta fuori dall’ala protettiva di Argento, tratto come è noto da un Asia Argento sul set di De Generazione romanzo di Tiziano Sclavi pre-Dylan Dog. Il film se dal punto di vista stilistico e registico conferma Soavi come una ormai consolidata e validissima realtà (con la macchia da presa compie veri e propri virtuosismi) dal punto di vista tematico e di “feeling” può fare gridare al miracolo solo coloro che non sono usi alla frequentazione ormai quasi decennale col fenomeno degli albi a fumetti di Dylan Dog (sia scritti da Sclavi che no). A mio avviso invece il vero fenomeno degli anni ‘90 (almeno per adesso!) è il bellissimo “De Generazione” (1994), vincitore del premio del pubblico al Mystfest XV di Cattolica. Si tratta di un film di ambito fantastico di produzione indipendente in dieci episodi, realizzati da altrettanti giovani autori al loro debutto in 35mm. La particolarità principale del film è senz’altro quella di essere costato praticamente solo il costo della pellicola, in quanto tecnici ed attori (fra cui Haber, Guzzanti e Loche) hanno lavorato gratuitamente. Il problema del film, che oltre a Cattolica s’è visto in pratica solo a Roma ed in qualche altra città portato letteralmente a mano dagli autori, è quello della distribuzione, ma questa è un’altra (dolorosa) storia.... Il risultato dunque è un prodotto di elevata qualità tecnica ed ha il merito di proporre linguaggi cinematografici del tutto -o quasi- inediti nel nostro paese: si spazia dal racconto fantacyber, ad episodi da commedia dell’assurdo, ad incubi barkeriani fino -appunto- al racconto gotico (e di questo dobbiamo parlare per mantenerci nei limiti dell’argomento propostoci, ma prossimamente in queste pagine apparirà un’intervista agli autori del film). Gli episodi da citare allora sono innanzitutto lo splendido “Just another vampire story” di Andrea Maulà (un debuttante assoluto) in cui il tema classicissimo del vampirismo è risolto e sviluppato con un’originalità ed una verve (neogotica?) che da molto tempo non era concesso vedere E poi -per finire- come non condividere, da amanti della cultura gotico-romantica quali dovremmo essere, lo sberleffo antipsicologistico ed antirazionalistico del divertentissimo sogno "Just Another Vampire Story" di A. Maulà da De Generazione “Prospettive” di Asia Argento? Ce ne vorrebbero davvero di più... E’ tutto per adesso, ma mi pare che se questi sono i semi lanciati in neanche metà decennio, il futuro sia carico di promesse e prospettive più che incoraggianti.

Il gotico nel cinema fantastico underground italiano Per concludere questa panoramica sugli aspetti gotici del cinema fantastico italiano è d’obbligo parlare dell’ambito underground. La cinematografia underground del nostro paese si sviluppa, in mezzo alle solite mille difficoltà, soprattutto a partire dalla metà degli anni ‘80 e sotto l’impulso di certe proposte indipendenti per lo più americane. Le produzioni di questo tipo nascono dunque sotto il segno di un modo di fare cinema che tende generalmente a privilegiare alcuni particolari stilemi facilmente ricono43


scibili: immagine “tecnologica” nonostante il basso o bassissimo costo, montaggio iperveloce, prevalenza dell’immagine sulla storia, effetti splatter di scuola “raimiana”. C’è anche chi ha acutamente osservato (Dellavalle in “Cineforum” n°299, cfr. bibliografia) come due siano le tendenze prevalenti tra i giovani filmaker italiani: una che vuole imitare in tutto il prodotto cosiddetto “professionale” e che sopperisce con l’ingegno e l’inventiva alla mancanza di mezzi, un’altra che invece fa della mancanza di mezzi una cifra stilistica e gioca con Vampiri di Fabio Salerno, 1986 l’ironia e l’esagerazione. Ma i giovani autori nostrani non possono non essere influenzati anche dai maestri italiani del genere, cosa che li distingue dai colleghi stranieri. Il mezzo espressivo privilegiato -per la maggior accessibilità ed i minori costi- resta comunque la video camera (rarissimi sono infatti i casi di uso della pellicola), e se uno dei problemi endemici del cinema fantastico italiano -diciamo così- ufficiale è quello dei finanziamenti, è facile immaginare la situazione in ambito underground. Sarebbe auspicabile che esperienze come De Generazione potessero essere guardate se non come la norma, almeno non come dei formidabili freak. Il personaggio forse più di spicco del nostro cinema fantastico underground è stato Fabio Salerno, nato nel 1965 e purtroppo suicidatosi nel 1993. Salerno ha realizzato quattordici fra medi e cortometraggi, ma noi -per rimanere nei limiti che ci siamo proposti- dobbiamo citare soltanto Vampiri (1985) variazione splatter sul tema dei succhiasangue, in cui l’autore sincretizza le due creature principali del bestiario gotico, il gatto ed il vampiro, e l’ultimo suo lavoro Notte Profonda (1990), disponibile in cassetta per la Eagle, ma originariamente girato in 16 mm con l’astronomico budget di 11.000.000... di lire. Il film, un notturno incubo lontanamente ispirato alla saga di Hellraiser, ma derivante da un sogno fatto dall’autore (gli oggetti della casa si animano ed assalgono il proprietario), è caratterizzato da un montaggio serrato nello stile di Raimi e da buoni effetti speciali e presenta forti influenze dei maestri italiani, primi fra tutti Mario Bava e l’Argento di Suspiria, ma anche l’Antonio Margheriti di Danza Macabra/ Nella stretta morsa del ragno . Altro regista da menzionare è il veneto Flavio Moretti, nato nel 1962 ed autore anche lui di numerosi corto/medio metraggi in video, fra i quali quello che può più interessare a noi è il cupo “La Fuga” (1989), 4 minuti in bianco e nero sull’agonia e la morte di un uomo. Moretti è stato definito -considerando anche gli altri suoi lavori meno gotici, ma comunque del tutto fantastici- un “novello Mario Bava” per la sua grande capacità di sfruttare al massimo la minima disponibilità economica. Grande espressività onirica e visionaria ha poi Stefano Milla di cui può interessarci il mediometraggio Armagheddon (1990), una storia d’amore e morte che ha come protagonisti due immortali sulla falsariga di Highlander e caratterizzata da uno stile epico/fantasy con venature goticheggianti. Un altro personaggio attivissimo non solo nell’underground cinematografico ma anche in quello letterario (cfr. la recensione del suo libro in questo numero) è il ferrarese (romano d’adozione) Nicola Lombardi, autore fino ad ora di 4 cortometraggi. Il suo primo lavoro è Alla luce delle candele (1989), violenta storia spiritistica tratta da un suo racconto, e che risente ancora di 44


troppe incertezze che la rendono a tratti eccessivamente lenta. Il secondo lavoro è il bel Malefica (1990), storia di un malocchio elegantemente girata e con numerose citazioni di Argento, i cui limiti sono dati esclusivamente dalla relativa ristrettezza dei mezzi. Ma il capolavoro di Lombardi è sicuramente il bellissimo Tregenda (1991), una ammaliante e tesa storia di stregoneria e patto col diavolo che si snoda -realizzata finalmente con adeguati mezzi- fra citazioni e parafrasi di Suspiria, Inferno e Polansky con un ritmo ed un gusto formale pressoché impeccabili. Molto carini sono infine i tre minuti de La linea Armagheddon di Stefano Milla,1989 spezzata (1992), che potrebbe essere un efficacissimo spot antidroga oltre che un affettuoso (ed intelligente) omaggio a Dario Argento. Maurizio Massaroni è poi l’autore di uno splendido video-corto (9’) dal titolo Over, presentato a Pisa nel corso della rassegna VideoPresenze 1994: un gioiello fantasmatico che è assieme un raffinatissimo omaggio all’espressionismo ed un monumento all’estetica gotica. Massaroni è sicuramente da tenere d’occhio! Da citare infine alcuni altri giovanissimi autori, più per le buone intenzioni che per gli effettivi risultati, dato che il loro cinema è ancora troppo viziato da un approccio -diciamo così-”adolescenziale” e amatoriale: sono Max Chicco con La Vampira, Giovanni Del Ponte con La mummia, Paolo Gerbaldo e Andrea Novarino con Lovecraft, tutti della seconda metà degli anni ‘80. Il problema di queste produzioni rimane comunque la loro difficilissima reperibilità, e la possibilità di vederle resta legata sia alla rete di frequentazione dei luoghi underground (fanzine, gruppi di ricerca e di lavoro....) sia a fortunate relazioni personali: dunque, gente, datevi da fare e -con un po’ di sudore- tessete la tela....

Manfred con la preziosa collaborazione di Martin Bibliografia essenziale: Poiché i film trattati sono molto recenti pochi sono i testi decenti che ne parlano, sparsi per lo più in quotidiani, periodici o fanzine, soprattutto per quanto riguarda la parte underground. Ne diamo qui un nota orientativa senza pretesa di completezza, anzi saremo ben lieti di ricevere segnalazioni di testi che non conosciamo. Per “Due occhi diabolici”, “Trauma” e “La Setta”: COZZI, “Dario Argento: il suo cinema, i suoi personaggi, i suoi miti”, Fanucci 1991; GIOVANNINI, “Dario Argento ovvero la donna-cinepresa killer” in “Serial killer: guida ai grandi assassini della storia del cinema.”, Datanews 1994; MARTIN “Dario Argento: a Deep Red Opera”, “Fantasy Film Memory presents: directed by”, 1991; Cammarota, "Storia del cinema dell'orrore 3", Fanucci 1994; COLOMBO “Paura Film” in Dylan Dog/Almanacco della Paura 1994, pp. 17-18; COSTA, “Umori maligni: il cinema di Dario Argento”, Biblioteca di cinema di “Nosferatu” allegato al n° 1, 1990; “Nosferatu” n° 1 agosto 1990, n° 3 settembre 1990, n°7 febbraio 1991,”Fangoria Italia” n° 2 febbraio 1991, “Gorezone” n° 14 july 1990, “Speciale orrore n°1: il cinema di Dario Argento dalla A alla Z”, 1991. Per “Magnificat”: SARNO, “Pupi Avati”, Il Castoro Cinema 1993. Per “De Generazione”: “Catalogo del Mystfest XV”, Ed. Centro Culturale Polivalente Cattolica 1994, “VivilCinema: la rivista del grande schermo” n° 60 settembre/ottobre 1994,”Ciak” n°10 ottobre 1994. Per l’Underground: CURCI e LAVAGNINI “35 millimetri di terrore”, Solfanelli 1992, DELLA CASA (a cura di) “Il fantastico italiano” in “Cineforum” n° 299 novembre 1990, LOMBARDI “L’ultima notte: un ricordo di Fabio Salerno” nella fanzine “Neogothic” n°2, “Nosferatu” n° 9 aprile 1991, e le fanzine “Gore Scanners” nn° 5, 6, 7, “Mouldy Brain” n° 5. 45


Un “De profundis” per il cinema: a colloquio con Luigi Cozzi. Ho incontrato Luigi Cozzi durante uno dei miei ormai frequenti viaggi cinematografici a Roma. L’incontro si è svolto nel negozio “Profondo Rosso” ideato da Argento e da Cozzi e che Cozzi stesso gestisce. Il negozio sta chiudendo, ed è avvolto in una gradevole penombra, e noi stiamo lì a parlare con un panino come pranzo. Forse siamo all’inizio di un bel rapporto (amicizia?) con lui e con tutto il clan argentiano di Profondo Rosso.

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ignor Cozzi, io la considero una sorta di testimone privilegiato di una certa dimensione culturale italiana uccisa negli ultimi anni, ma forse non tutti i nostri lettori la conoscono: vuole presentarsi ? Beh...praticamente mi hai dato del fossile vivente... Mah, forse effettivamente è così; d’altra parte Fulci si considera uno zombi in quanto unico regista riscoperto da vivo. Ha ragione... Comunque, sono nato nel 1947. Ho cominciato ad occuparmi di fantascienza nel 1963 fondando Futuria Fantasia, la prima fanzine italiana in assoluto. Dopo pochi mesi sono passato a riviste professionali quali Galassia, Urania, Cosmo e ho curato anche vari volumi. Siccome mi occupavo di cinema, nel 1964 sono diventato corrispondente italiano di Famous Monster Filmakers , la rivista di Hackerman e per lui venivo a Roma da Milano per cercare le foto dei film. E ne trovai davvero una valanga visto che film come “I tre volti della paura” o “I lunghi capelli della morte” erano stati appena girati ed io comprai centinaia di foto dai fotografi di scena e le mandai tutte in America. Devo dire che Hackerman su 300-400 foto ha pubblicato sempre e solo le solite 5! Sempre in questo periodo ho conosciuto Bava, Freda, Margheriti. Trasferitomi a Roma nel ‘69, andai a lavorare come redattore a Ciao 2001 e contemporaneamente Dario Argento mi ha proposto di lavorare con lui a scrivere “Quattro mosche di velluto grigio”. Il soggetto? Sì, il soggetto ed il trattamento, che era di 70 pagine: praticamente già il film. Un paio d’anni prima -a Milano- avevo girato il mio primo film di fantascienza: “Il tunnel sotto il mondo”. Era un progetto underground-sperimentale, nato fra ragazzi (prodotto e scritto da Alfredo Castelli, il creatore di Martin Mystére), ma che girò parecchi festival, fu presentato a Film Studio e circolò abbastanza all’estero. Nel 1972 Argento mi offrì la regia de “I vicini di casa”, episodio della sua serie tv “La porta sul buio”. Nel 1973 ho girato il thrilling “L’assassino è costretto a uccidere ancora”. Da questo momento ho fatto numerose altre cose, ma forse uno dei miei film migliori è “Dedicato a una stella”, un film d’amore. Poi ho realizzato una specie di trilogia fantascientifica (io ho sempre preferito il cinema di fantascienza): “Star Crash”, “Contamination” ed “Ercole” che è un science fantasy. Nel frattempo ho fatto altre cose: scritto e tradotto libri, curato antologie, prodotto dischi ed avuto una distribuzione cinematografica (fra gli altri ho distribuito “Il Signore delle Mosche”). Ah, ho anche inventato il Fantafestival.... Condivide il pensiero del Ghidetti (riferito alla letteratura, ma estendibile anche al cinema) secondo cui nella cultura italiana il fantastico si fa faticosamente spazio passando attraverso gli spiragli lasciati liberi dalla vocazione preminentemente realistico naturalistica contaminando i generi principe del melodramma e della farsa? Sostanzialmente sì. Comunque per tanti anni il fantastico è stato presente in maniera forte nel nostro cinema, anche se non ufficiale: pensa ai film di Totò, metà dei quali sono pieni di cose paradossali, surrealistiche, fantastiche. Quando c’era contatto col pubblico, era lui che decideva e le storie fantastiche venivano prodotte. Ma negli ultimi 20 anni il cinema italiano è entrato come minimo in stato comatoso perché si è staccato dal pubblico ed è diventato beceramente L'assassino è costretto ad uccidere “politico”, nel senso di gestito da gruppi legati a questa o quell’altra ancora, di L. Cozzi, 1973 46


bandiera; così si pensa quasi esclusivamente in termini di “impegno” e “messaggi sociali”. E poiché questo cinema -in un modo o nell’altro- serve alle varie congreghe è quello che si pratica esclusivamente; l’altro è stato cancellato. Quindi altro che non attitudine al fantastico, è vera e propria controcultura! Infatti mi sembra che uno dei paradossi italiani è che esiste una forte cultura di pubblico, ma non una cultura produttiva. Ma allora il produttore italiano è anche un cattivo mercante? No, no! Il produttore italiano ha cessato di esistere molti anni fa ormai... La figura del produttore classico... Sì, il produttore: uno che decideva di fare un certo film ed era attratto dalla proposta di un certo regista. Oggi, e ormai da molti anni, esistono praticamente solo le televisioni: queste devono programmare uno spazio di fiction di 2 ore in cui inserire la pubblicità dei pannolini o della mortadella per un totale -mettiamo- di 7 miliardi, allora parlano con l’agenzia che vende la mortadella e gli chiedono : “Secondo voi cosa fa audience per 7 miliardi?” E questi: “Il comico tale, le scoregge del tal altro...” e così via. Allora lo chiamano e gli dicono: “Ci serve un film con 7 scoregge ogni tot minuti...”. poi la distribuzione nomina uno pseudo produttore uomo di sua fiducia che amministri il budget. Sicché c’è la fuga all’estero per chi può. L’estero, che poi sono gli USA. Certo, chi vuol fare un cinema libero ed indipendente da pannolini e mortadella, in Italia non può farlo. Allora in realtà il modello di efficientismo americano che ci viene continuamente proposto è uno pseudomodello: mi pare sia totalmente un’altra cosa rispetto a quello che ci vogliono far credere... In America c’è il libero mercato, ci sono le multinazionali, ma c’è: in Italia il libero mercato è finto perché poi si scopre che in realtà è gestito un gran parte, ad esempio, da Agnelli che sotto vari nomi controlla un’infinità di cose, compreso il parlamento: le leggi se le fanno come servono a loro, non come servono alla gente. Vecchie storie... Già, e allora è chiaro che a questi signori non gliene può fregare di meno dei film di Freda... Ma siccome questi sono i padroni dell’Italia... E’ vero anche che il produrre un certo tipo di film all’estero pone altri generi di problemi: il piazzarlo sul mercato, il dargli il giusto risalto etc.. Grosso modo, fino ad adesso, il suo cinema è stato un cinema trasversale, che ha attraversato cioè il fantastico tout-court dalla fantascienza al thrilling. Dunque lei non fa differenza fra le varie sfaccettature del genere, per privilegiare l’attitudine? Direi di sì, anche se io ho sempre cercato di fare film molto più verso la fantascienza od il sciencefantasy. Anche “Paganini Horror “se fossi stato libero sarebbe stato un film di fantascienza. Mi sarebbe piaciuto fare un film sui mondi risonanti, sulla musica come matematica, ma questo il produttore non me l’ha consentito perché voleva un horror e stop. Però il film ha una componente fondamentale che è verso la fantascienza. Che è appunto la componente meno capita. Le critiche al film sono tutte rivolte agli elementi “troppo fantastici”. Sì, ma io vado in quella direzione: la favola ed il fantastico puro. E questo non viene mai digerito. Ad esempio sono 25 anni che Argento gira film e la critica continua a stigmatizzare- senza averli ancora capiti- elementi che invece fanno parte della sua poetica: la non attenzione al plot, l’irruzione dell’irrazionale e del fantastico... Certo. Ma qui dobbiamo morire perché cambino le critiche e magari ci dedichino una bella e colta retrospettiva alla tv, copiando i necrologi esteri. Paganini Horror, di L. Cozzi, 1989 47


Mi piace considerare i suoi film più fantastici come “Star Crash” o “Ercole”, anche per l’utilizzo di un certo gusto visivo o di certe tecniche tipo la stop motion che danno una sensazione un po’ retrò, come una sorta di neo-peplum. Sì, è vero, sono un neo-peplum, un evidentissimo omaggio al cinema peplum. Cosa ancora una volta non capita, perché mentre all’estero “Star Crash” è un cult, in Italia... Non sanno nemmeno cos’è. E pensare che quel film è unico nel nostro cinema, avulso da qualunque altra cosa si faccia normalmente. E poi ha le sue radici nel surrealismo di Totò, è colmo di citazioni. Ma, vedi, io sono un critico però penso che i critici non siano critici e non arrivino a capirle, certe cose... Infatti non esistono tranne poche eccezioni (non so Pugliese, Giovannini, Tentori..) scritti critici decenti... No, perché c’è un sacco di ignoranza. Per “Star Crash” tutti hanno gridato all’imitazione di Guerre Stellari, ma se c’è un film lontanissimo da Guerre Stellari, che ricerca volutamente il realismo estremo, è proprio “Star Crash” che è volutamente fantastico : c’è Cenerentola, c’è Biancaneve... Un altro luogo comune della critica è dire che un film italiano che segue uno americano è un’imitazione. Mentre nessuno si sognerebbe mai di dire che Scott per “Alien” ha copiato “Terrore nello Spazio” di Bava! Hai ragione. Comunque per me la critica italiana semplicemente non esiste. Quando è uscito “Contamination” di nuovo con la storia dell’ennesima copia di Alien, senza capire che se prendeva vagamente spunto da Alien per ragioni di mercato, il film era in realtà una sorta di remake de “I Vampiri dello Spazio”, del quale ripete persino delle inquadrature. Ma questi non sanno nemmeno cos’è “I Vampiri dello Spazio”, è un discorso fra sordi. Inoltre le nuove generazioni di critici specializzati mi pare si esaltino un po’ troppo per lo splatter senza vedere il valore di un film al di là dello splatter. C’è chi si esalta per “Attack of killing tomatoes” e taccia di incongruità la sceneggiatura di “Inferno”! GRANDE RISATA: Verissimo, che coraggio!! Lei si sente più regista o più scrittore? Scrittore. Le regie le ho fatte, mi sono divertito, alcune sono interessanti, ma soprattutto volevo fare cose che in Italia non erano mai state fatte, per dimostrare che era possibile ed illudendomi di aprire una strada, invece... Per esempio “Ercole 2” -che aveva una storia inesistente e bruttissima- era una sfida perché conteneva una quantità di tecniche di effetti speciali superiore a quella di tutti i film italiani fino ad oggi prodotti (stop motion, computer animation, cartoons, trasferimento su videocamera) e tutto fatto in Italia nel 1983: e nessuno se n’è accorto, al massimo parlavano del “seguito di una cazzata”! Penso a “Phenomena”: tutti a sottolineare l’aspetto di glaciale clip high-tech, senza rendersi conto che due degli effetti che più hanno colpito pubblico e critica - cioè le mosche che volano sulla scuola e Jennifer e la lucciola- nulla hanno a che fare coll’high-tech! Vero, quegli effetti li ho fatti io: le mosche con acqua e polvere di caffè e la lucciola è un classico cartone animato. Vedi, anche in questo caso si parla con gente che non capisce: vengono da me certi ragazzotti di riviste o sedicenti critici che citano Baker o Savini senza poi però sapere come questi hanno realizzato una certa cosa. Non se ne intendono e prendono strafalcioni giganteschi. E per rimediare, cosa ci vuole: studio? N. Lombardi, L. Cozzi e un losco figuro ...

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No. Io penso che ci voglia prima di tutto meno presunzione. Oggi non c’è più nessuno che voglia imparare, fare una trafila di apprendistato. Sono tutti “autori” e la maggior parte delle cose che fanno sono schifezze da vergognarsi: devono imparare i rudimenti del cinema prima di fare qualsiasi cosa. E devono vedersi tanti film. E pensare che rispetto ai miei tempi questi hanno a disposizione una marea di cose (libri, videocassette etc.); io se volevo vedere Citizane Kane dovevo sperare di beccarlo per miracolo d’estate nella salettina di periferia! Manca l’umiltà e la voglia di imparare, c’è troppa faciloneria. Ora c’è questo De Generazione.... Non l’ho ancora visto. Ma, sai -e non entro assolutamente nel merito del film- oggi la tecnologia è così avanzata e le pellicole così sensibili che anche un operatore coglione può confezionarti un film perfetto. Ciò che manca sono le idee, soprattutto nella scrittura, perché il cinema italiano è sempre stato povero ma una volta aveva grandissimi ed indimenticabili scrittori e quindi grandi storie e grandi personaggi. Nel cinema si parte quasi sempre da una domanda di mercato, ma poi se non si cerca di svilupparla in modo forte e personale... Io ho sempre cercato di fare cose che fossero una personale rielaborazione dei grandi classici che ho amato. Eppure anche a livello tecnico ho visto cose da far rabbrividire, come certi film tv americani con microfoni e cavi in campo. No, senti, quello è un fatto di mascherini sbagliati, non è colpa dell’operatore. Perché i coglioni sono una categoria trasversale e ci sono anche in altri stadi. Una volta vado al cinema Adriano dove proiettano “Ercole” (lo avevamo girato stando molto attenti che l’inquadratura andasse bene sia per lo schermo panoramico che per quello tv) e vedo che il personaggio parla con la testa che arriva fino al soffitto e la bocca tagliata, perché lo stronzo di proiezionista aveva posizionato il mascherino a caso e poi se n’era fregato. Allora un altro problema è quello di riuscire a veder i film decentemente... Sicuro. Guarda, lo sai che su Odeon tv sono riusciti a dare il mio “Dedicato una stella” con le parti invertite ed alle mie proteste insistevano che ero io che mi sbagliavo perché nessuno aveva protestato!?! E al cinema Gloria di Milano, alla proiezione del mio remix in 8 piste di “Godzilla”, ci siamo accorti che 4 delle loro 8 piste non funzionavano perché... non avevano inserito i jack!! Il bello è che avevano in queste condizioni programmato per 3 mesi “Hair” e “Jesus Christ Superstar”, due musical!!!! Progetti futuri? Sto finendo di montare il video “Il mondo di Dario Argento 3” che conterrà un sacco di cose interessanti per gli amanti di Dario, compresi i videoclip da “Phenomena” . A proposito, se vi interessa chiamatemi al negozio. E poi c’è il negozio, appunto. E tante altre cose, ma per il cinema nulla. Incazzato? No, rassegnato... E’ assurdo che i ragazzi di “De Generazione” debbano rischiare di passare la vita a pagare i debiti... Non c’è distribuzione, e alla gente si dà Schwarzenegger e la gente va a vedere lui e non “De Generazione”, perché dovrebbe andarci !?..Secondo me il cinema in Italia è morto. E’ sparito.

Manfred

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“La Camera di Sangue” di Angela Carter A

ngela Carter (recentemente scomparsa) è una delle più valide scrittrici contemporanee inglesi, le cui opere sfuggono ai canoni tradizionali per oscurità, sensualità e gusto barocco. Tra queste spicca “La camera di Sangue” (The Bloody Chamber) del ‘79, libro recentemente riedito in Italia, in cui vengono riscritte dieci fiabe celebri stravolgendone la trama e soprattutto il significato. Apre la raccolta il racconto omonimo che altro non è se non una rielaborazione del famoso “Barbablù”, in cui passato e presente si mescolano in un’atmosfera sognante ma allo stesso tempo carica di orrore e di erotismo. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta comporta per la protagonista dei traumi fortissimi, legati all’accettazione di sé, dei propri istinti carnali e soprattutto del proprio desiderio sessuale, e l’azione si svolge in un clima sadico e morboso, in cui la tensione cresce fino all’esasperazione. Ancora più sconvolgente è la versione della fiaba di “Cappuccetto Rosso” nel racconto “In compagnia dei lupi”, (di cui è stata tratta una bella versione cinematografica diretta da Neil Jordan), perché la morale tradizionale è completamente rovesciata: così può succedere che i lupi non siano per forza cattivi, ed anzi si trasformino nel principe azzurro, mentre forse sono proprio gli uomini “buoni” ad essere pericolosi... E lo stesso accade per altre fiabe famose come “La bella e la bestia”, carica di inquieto erotismo, in cui la mostruosità acquista un suo fascino e il confine tra uomo e animale si confonde sempre più. Particolarmente intenso è il racconto “La signora della casa dell’amore”, rivisitazione di “La bella addormentata”, in cui l’atmosfera si fa via via sempre più ansiosa, opprimente e sfocia nell’orrore. Protagonista è una Contessa, Regina dei Vampiri, figlia di Nosferatu, che si aggira solitaria nel suo castello in Carpazia, e trascorre le sue giornate giacendo nella bara con addosso un négligé di pizzo bianco macchiato di sangue, aspettando la prossima preda come un ragno dentro la sua ragnatela. Ma ci altre storie terribili e angoscianti che fanno ricorso alle leggende nordiche e alle oscure fantasie popolari, nelle quali orrende figure si muovono in un mondo trasfigurato e onirico, mentre sempre aperte rimangono le porte verso la follia e il delirio. Le vicende si caricano di potenza e di violenza latente, mentre la dissacrazione si tinge spesso di una punta di ironia e di cupo sarcasmo, fino a sfociare nel grottesco. “La Camera di Sangue” mette in luce un universo inquietante, perturbante, che esiste dall’altra parte dello specchio e nel quale è facile cadere, una realtà parallela in cui bene e male si confondono tra loro, cosicché non esiste più una morale certa. Qui trovano sfogo soprattutto quell’orrore e quella paura per il sesso che le fiabe classiche hanno sempre represso e i personaggi finalmente rivelano la parte più nascosta e impensabile di loro stessi.

Mircalla Bibliografia: Angela Carter, “La camera di Sangue”, Feltrinelli, 84, ristampato nel ‘94. 50


Dino Battaglia ovvero le sfumature dell’Incubo Con le sue affascinanti storie a fumetti Dino Battaglia ci ha

donato momenti di intensa poesia e di profonda inquietudine. Egli riesce a dare corpo a paurosi fantasmi e ad affascinati creature evanescenti. I disegni si coniugano a sceneggiature minimali ed efficaci che riescono a trasferire nel media del fumetto le atmosfere di terrore, la sospensione del tempo, la sublime poesia delle pagine di grandi autori del passato quali Poe, Hoffmann, Lovecraft e Maupassant. Del suo stile salta immediatamente all’occhio l’uso potente del nero, che riempie le pagine di ombre, le stesse che affollano le visioni del cinema tedesco degli anni ‘20. Con sfumature insistenti ed insolite, che talvolta nascondono una figura come pioggia battente sui vetri di una finestra, Battaglia dona profondità emozionale e psicologica ai suoi personaggi. Senz’altro la scuola di Fritz Lang o Murnau, coniugata alla passione speciale per la letteratura dell’orrore, hanno formato il suo stile. L’ammirazione per artisti come Klimt o Beardsley rivela un animo fortemente romantico, un gusto estetico elegante e vagamente decadente. Battaglia amava poi il grottesco, e ritraeva come caricature i suoi personaggi più sgradevoli o comici: la riduzione a fumetti di quel folle delirio che è il Gargantua e Pantagruel di Rabelais ha dato l’occasione all’autore di sfogare questo suo ironico gusto. Senz’altro va poi reso omaggio al lavoro della moglie Laura che ha colorato alcune sue storie trovando nell’uso di tonalità cromatiche uniformi un modo squisito per completare le tavole senza stravolgerne lo stile o la loro portata emozionale. Battaglia non era solo un autore gotico e probabilmente molti appassionati ricordano della sua opera soprattutto il bellissimo Moby Dick o gli adattamenti ai racconti di Maupassant sulla guerra francoprussiana. In questa sede voglio consigliarvi quei volumi che contengono le sue storie più inquietanti. Con un po’ di fortuna è possibile trovare nelle librerie specializzate lo stupendoTotentanz (Milano Libri - 1972) composto di undici opere grafiche molte delle quali riprese dai racconti di Poe e Hoffmann. Di più facile reperibilità è la raccolta degli Editori del Grifo Dottor Jekill & Mister Lovecraft (1983 ma costantemente ristampata): in essa, oltre all’adattamento del celebre racconto di Stevenson e ad un ironico omaggio a Lovecraft, è presente una bellissima storia sceneggiata e dipinta con speciale maestria che riprende una leggenda popolare toscana di un patto col Diavolo. Infine per le edizioni L’Isola Trovata sono uscite due storie dell’ispettore Coke (1983 e ‘84), un personaggio ideato in esplicito omaggio alla più celebre creazione di Conan Doyle, Sherlock Holmes. Battaglia è morto nel 1983 lasciandoci nell’amaro rimpianto di tutte le stupende storie che avrebbe ancora potuto raccontare e illustrare.

Christian Dex 51


Putrefactio Putrefactio rappresenta l’anima oscura e maledetta di Lisbona, la “Ville Blanche”. E’ una L aporta spalancata nel passato remoto, in pieno Rinascimento quando, accanto al celebrato

splendore delle corti e alla formalizzazione dei concetti di Armonia nel campo delle arti, si compievano oscurissimi studi di Alchimia, Magia Nera, Astronomia; quando l’Inquisizione celebrava con ferocia sanguinaria i suoi tristi riti all’insegna della Croce. Le produzioni della Putrefactio rimandano alla mente queste suggestioni: sono una celebrazione pagana della Luna e del passato, dell’oscurità e del mistero. Propongono con estremo rigore e passione per il macabro una celebrazione della morte, eterna vincitrice sulle cose vive destinate inevitabilmente alla putrefazione e alla polvere. E la morte crudele, che miete migliaia di vittime con le guerre e le pestilenze, viene celebrata in opere squisite, in trionfi barocchi fatti suono e immagini da questi folli portoghesi. Paulo Maldoror e Lucrecia Bosch, veri factotum della Putrefactio, amano considerare ogni loro singola produzione - sia essa musica, poesia, fotografia - un oggetto d’arte, realizzato con attenzione e cura artigiana. Nigredo è il loro progetto musicale, il cui nome si riferisce alla materia che nel processo alchemico diventa “nigra”, nera. I cori ecclesiastici e gli strumenti acustici antichi, uniti al recupero di sonorità medievali e rinascimentali, rimandano direttamente al passato, ad un mondo splendido e barbaro da guardare con nostalgia. L’amore per l’oscurità, per ciò che è morto o per gli inquietanti rituali negromantici e alchemici si esprime in composizioni sperimentali, cori ossessivi, loop di voci o rumori, tastiere dissonanti, frammenti di preghiere (canti pagani?). Come Nigredo la Putrefactio ha in catalogo al momento le due cassette Cantiones Profanae e Carmina Defunctorum (quest’ultima è anche edita in un diverso package dalla Slaughter Productions di Marco “Rotula” Corbelli). Veramente originale è la loro confezione, una busta di carta pergamena su cui sono riprodotte antiche miniature. Ars Obscura è invece una compilation di gruppi o progetti dell’area industriale e sperimentale, tra cui Ataraxia, Alio Die, TAC, Rosengracht e, ovviamente, Nigredo. Presto per la Putrefactio uscirà anche Cogita Mori, con la partecipazione, tra gli altri, dei Kirlian Camera, Ataraxia, Raison d’Être, Brighter Death Now, Tombstone e Nigredo. Completa il panorama delle produzioni musicali Sub Ignissimae Lunae, una compilation di brani degli Ataraxia tratti dai loro tre demotape più due inediti. Il package è ancora una volta di raro fascino e pur nella sua semplicità rappresenta alla perfezione le maestose atmosfere del grande gruppo modenese. Ma si diceva che la Putrefactio non è solo una tape-label: Vanitas vanitatum et omnia vanitas è un booklet di prossima uscita di fotografie in bianco e nero virate al seppia rappresentanti dipinti sulla vanità del XVI secolo. In più Paulo e Lucrecia parteciperanno alla creazione di una rivista chiamata V.I.T.R.I.O.L.. Di essa saranno editi solo dodici numeri, ognuno in edizione limitata, per tante quante sono le “Chiavi Alchemiche”; la prima uscita è prevista per questo inverno. La Putrefactio è la testimonianza di un’autentica sensibilità oscura vissuta nel profondo con passione e semplicità, al di là di volgari clownerie. Come mesti monaci cistercensi questi folli sacerdoti di Mercurio incrinano le nostre certezze con un immortale messaggio: “Memento Mori ...”

Christian Dex 52


Scrittrici gotiche: Vernon Lee una delle più affascinanti scrittrici di lingua inglese di età vittoriana è Vernon S icuramente Lee, pseudonimo di Violet Paget, nata da padre polacco e madre gallese nel 1856. Votata

ad un’esistenza errabonda e cosmopolita, fin da giovane fu ammaliata dal fascino dell’Italia, terra di colori ed emozioni forti, in cui tornò più volte nel corso degli anni. La romantica passione per il passato, in particolar modo per il tardo Rinascimento e per il Settecento, si riversa nei suoi racconti spesso ambientati in un’Italia popolata da artisti, da duchi e monaci, da musicisti e cortigiani. La sua fama di scrittrice è legata ad una antologia, “Hauntings. Fantastic Stories” (1890) in cui sono racchiuse delle stupende e inquietanti storie di fantasmi, considerate da Montague Summer (uno dei più importanti critici di letteratura del terrore) come dei capolavori, addirittura superiori alle opere di Le Fanu e M.R. James. “Amour Dure” descrive una Urbino cinquecentesca dall’atmosfera fiabesca, dipinta con mano meravigliosa, “The wicked voice” una Venezia settecentesca alla Ruskin, aristocratica e decadente, “Oke di Okerhurst” un antico castello inglese isolato ed in degrado. Ma tutti i racconti sono in realtà delle indagini su di un misterioso e oscuro passato al cui fascino i vari protagonisti soccombono, fino a venire intrappolati in una ragnatela di rimandi e suggestioni che li allontana dalla realtà e li fa lentamente scivolare in un mondo fantastico e visionario. La vista di un ritratto, la lettura di un manoscritto, l’ascolto di una musica, sono i mezzi attraverso i quali i fantasmi di un tempo antico tornano a vivere e a popolare il presente, diventando oggetto di desiderio, e dunque di ossessione e di perdizione. Si tratta di una forma di seduzione perversa, erotica, necrofila, descritta con morbosa grazia e con un ricercato gusto estetizzante. Solitamente a materializzarsi è l’immagine di una donna (o, se uomo, d’aspetto fortemente femmineo) crudele e diabolica, capace di attirare a sé il protagonista in un vortice di passione impossibile e fatale. La fascinazione esercitata dalla bellezza seducente dei morti, la forza che la sensualità di una voce o di un volto antico possono ancora esercitare sui vivi, è uno dei temi fondamentali di ispirazione di tutta la produzione artistica di Vernon Lee, in questo senso molto vicina alle istanze decadenti della sua epoca. Ma in lei particolarmente accentuato è il rifiuto di una “ghost story” ambientata nel mondo contemporaneo, così tristemente vuoto e familiare, in favore di una più o meno remota antichità, dove “una legione di fantasmi, molto vaghi e mutevoli, è perpetuamente affaccendata a portarci e trasportarci tra passato e presente.” (1). Questa ricerca del resto va interpretata anche come un tentativo di rifugio dai disagi e dalle costrizioni che la sua epoca imponeva a quelle donne che, come lei, desideravano l’emancipazione sessuale e preferivano agli uomini l’amore saffico. Fu così che trascorse gran parte della sua vita occupandosi del problema della condizione femminile e che divenne pacifista durante la prima guerra mondiale. Morì nel 1935 dopo aver pubblicato altre due antologie di racconti, “Pope Jacynth” (1904) e “For Maurice” (1927), rimaste per lo più misconosciute, mentre sul suo nome calava l’ingiusto velo oscuro della dimenticanza.

Mircalla (1): dall’introduzione della stessa scrittrice a “The Hauntings”. Bibliografia: sono reperibili in Italiano: l’antologia “Possessioni”, Ed. Sellerio ‘82, che raccoglie “Amour Dure”, “The Wicked voice” da “Haunting” più “The Doll” da “For Maurice”; il racconto “Oke di Okerhurst” nell’antologia “Occulta. L’omnibus del soprannaturale” a cura di Montague Summers. E’ stato inoltre edito un racconto “Il signore delle mosche” (The Lord of the flies) nella raccolta “Fantasmi inglesi”, Ed. Newton Compton, ‘94, senza però specificarne la provenienza e con note biografiche errate.

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Luoghi Macabri Evora, Portogallo - “Casa dos Ossos”

La descrizione della “Cripta dei Cappuccini” di Roma nel numero scorso mi richiama alla memoria la “Casa dos Ossos”, un impressionante ossario sito all’interno della “Igreja Real de Sao Francisco”, in Evora, città medievale del Portogallo meridionale, terra carica di storia e di memorie del passato, a me tanto care, che ho avuto modo di visitare durante un recente viaggio. La cappella si trova nel transetto destro della chiesa, che fu costruita nella seconda metà del ‘400 ed è uno dei maggiori monumenti manuelini del Portogallo. All’ingresso della casa l’insegna “Nos ossos que aqui estamos pelos vossos esperamos” (“Le nostre ossa, qui riposte, attendono le vostre) accoglie il visitatore. E’ un monumento alla caducità della vita, che ricorda a tutti che la nostra esistenza non è altro che un breve, intensissimo lampo di luce, che squarcia il buio eterno. Cos’è la vita? E’ l’attesa della morte... Le pareti della “Casa” sono costituite da ossa umane, mentre le volte sono ornate da teschi. Uno scheletro è appeso alla parete. Di fronte a questo macabro spettacolo, ognuno viene soggiogato, costretto alla riflessione, a cercare dentro di sé uno scopo che giustifichi l’esistenza, le azioni quotidiane, e fa comprendere quanto prezioso sia un solo istante della vita terrena. Una volta terminata questa, non resteranno che le nostre ossa, oltre la memoria dei sopravvissuti, a ricordare il nostro passaggio su questa terra; e lo stesso destino è riservato a tutti noi, indistintamente, come ammoniscono le ossa della “Casa dos Ossos”. Nota: Una “Capela dos Ossos”, dalle pareti ricoperte da ossa umane si trova, sempre in Portogallo, a Faro, nel Cimitero annesso alla “Igreja do Carmo”, una chiesa barocca caratterizzata da due torri, sita nel centro della città. Hadrianus (foto © Putrefactio)

Napoli - “La Cappella dei Principi di Sansevero”

Per quanti vogliano soddisfare, in un viaggio a Napoli, tanto l’interesse per l’arte che quello per l’esoterismo e l’occulto, è d’obbligo una visita alla Cappella del Principi di Sansevero. Voluta da Raimondo di Sangro - esponente dell’alta nobiltà borbonica, ma più conosciuto come massone ed alchimista - fu edificata verso la fine del ‘700 nel palazzo di famiglia in via Sanseverino, ed è ornata da statue che già di per sé valgono la visita, in quanto costituiscono uno dei più alti esempi del virtuosismo del barocco napoletano. A prescindere da ciò va notato come le statue stesse e tutta le decorazione della cappella altro non siano che un’allegoria della simbologia massonica e rosacruciana dell’epoca, e come su di esse la fantasia del popolo abbia corso parecchio sostenendo che - ad esempio - la rete che avvolge la figura del “Disinganno” fosse vera rete resa marmo mediante un processo alchemico. Forse ancora più interessante per gli amanti dell’occulto sarà poter dare un’occhiata all’armadio dove sono custodite le due macabre “macchine anatomiche” di un uomo e una donna, realizzate per mettere in mostra l’intero sistema circolatorio umano. Anche su di esse vi sono, come è ovvio, due versioni: quella, come dire, positivista asserisce che si tratti di una rete metallica e di corde montate su due scheletri disseppelliti; l’altra parla di due servitori del principe fatti da questo morire ed appunto imbalsamati ricorrendo ancora una volta alle arti alchemiche. La scelta delle due varianti è lasciata al giudizio dei visitatori.

Alberto Rizzi

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L’approfondimento satirico: “Guccini è un dark?” dopo “Chi siamo? Dove andiamo? Da dove veniamo?”, “Qual è il sesso degli angeli?”, “E’ E nato prima l’uovo o la gallina?” , “E’ più forte Mazzola o Rivera ?” o, come domanda lo stes-

so Guccini, “Perché i dj delle radio private sembrano tutti deficienti?”; dopo tutte queste questioni che hanno impegnato a fondo il più alto pensiero occidentale per secoli, ecco che un altro inquietante interrogativo viene a porsi all’attenzione di noi europei (e non solo) di fine millennio: Guccini è un dark? Non è una domanda facile: qui si scuotono i fondamenti della nostra cultura, che sembra dimostrarsi inadeguata e incapace ad affrontare questo interrogativo che turba le nostre coscienze di uomini moderni. Ma nonostante il dilemma sia di quelli da far tremare i polsi al più venerabile “maître a penser”, i nostri intellettuali hanno capito l’importanza della questione e seppur occasionalmente, e senza una vera trattazione globale e organica del problema (anche perché ci vuole del tempo per valutarne appieno tutti gli aspetti e le sfaccettature), qualche voce si è alzata per tentare una prima risposta, un primo approccio al problema: il filosofo Gianni Vattimo, ad esempio, si è espresso dicendo: “Se Guccini è un dark? E chi cazzo se ne frega!”, mentre il francese Jacques Derrida è di un altro avviso: “ma non fate proprio una mazza tutto il giorno se avete tempo di preoccuparvi di queste stronzate”. Qualcun’altro, di cui non diremo il nome (Antonello Venditti) ha detto: “Se è un dark non lo so, so solo che a me mi fa due palle così. A proposito che vuol dire dark?”, ma forse questo commento è un po’ interessato. I più alti luminari del pensiero occidentale si stanno dando da fare; si può quindi guardare al futuro con ottimismo, certi che una (o LA) soluzione, anche parziale, che comunque ci toglierà da questo preoccupante vuoto, non tarderà ad arrivare. In questo senso il nostro saggio vuole essere uno spunto, un modesto contributo alla discussione in corso. Allora: Guccini è un dark? Come studiosi seri dobbiamo innanzitutto chiederci da dove nasce questo interrogativo. “Facile” direte voi, “dalla pesantissima tristezza delle sue canzoni”. Vabbè, ma se è per questo lo vedo altrettanto vicino a Springsteen”. “Chi?” diranno alcuni, “Che cazzo c’entra” diranno altri. Beh, ad esempio hanno una grande intesa con i gruppi che li accompagnano, cementata da anni di concerti insieme. E poi, se si parla di testi tristi, è vero che Guccini ci ha raccontato, tra l’altro, dell’amica che si schianta in macchina a vent’anni, dei bambini morti nei forni dei nazisti, della ragazza che muore di parto e di almeno tre vecchi soli coi loro ricordi; ma anche il boss ci ha regalato qualche simile distillato di dolore, con storie tipo quella dell’uomo licenziato che per disperazione si ubriaca, spara ad un poliziotto e si becca 99 anni di carcere, quella sulle anime dei morti in Vietnam (ognuno ha i suoi), e almeno un paio su dei disperati cui non è rimasto altro da fare che vagare in macchina nella notte; una bella lotta tra i due, a chi ispira più sconforto nell’ascoltatore. Se quindi il criterio di appartenenza al Dark sono i testi tristi, mi sembra che

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entrambi possono esservi inseriti a pieno titolo. Ma se più o meno siamo riusciti a conciliare il possente rocker a stelle e strisce col paffuto e pacioccone signore modenese (impresa non facile a prima vista), rimane difficile conciliare quest’ultimo con l’esile, decadente, austero tipico cantante dark. Per capirci, non riesco ad immaginarmi Guccini che canta “Spellbound” o “She’s lost control”, tantomeno Andrew Eldritch o Peter Murphy che si cimentano con “La locomotiva” o, peggio, con “La fiera di San Lazzaro”. E’ quindi impossibile la conciliazione? Così sembrerebbe se non arrivasse a soccorrerci il metodo storico cavalcato da Bob Dylan; il quale è una delle muse principali del buon Guccini (anche di Springsteen, ma non incasiniamo ulteriormente il tutto); ma chi non ricorda, nella videocassetta del concerto d’addio dei Sisters of Mercy (che poi addio non fu) quella bellissima versione di “Knockin’ on heaven’s door” con cui chiudono lo show? Ecco un punto di contatto: Bob Dylan. Geniale, eh? Come? No? Vabbè, il metodo storico può anche portare più lontano (in effetti questo argomento porterebbe semmai a dire che i Sisters of Mercy sono folk, più che Guccini è dark). E più lontano c’è il biennio ‘76-’77. Cosa succede in quegli anni? Il punk; che attacca violentemente la generazione del ‘68 ed il suo fallimento politico, artistico ed umano. E il Dark nasce da lì, dal grande rivolgimento musicale che il punk provoca. Guccini appartiene alla generazione contestata dai punk, ma già nel ‘76 aveva inciso la canzone “Eskimo” nella quale, con grande lucidità e disincanto, parla della fine che hanno fatto i sessantottini, con un tono senz’altro più indulgente rispetto ai punk (il che è anche comprensibile) ma comunque con una stupefacente, per uno che ne ha fatto parte, capacità di distaccarsi e guardare a fondo questo fallimento. Dunque, tutto risolto? E’ nella contrapposizione ai fricchettoni che si uniscono idealmente i Dark e Guccini? Oddio, ... insomma mica tanto. Più che altro è un argomento a favore dell’intelligenza di Guccini, ma non molto di più. Intelligenza riconosciuta anche dal ministro dei Beni Culturali Fisichella “anche se” dice, “è uno di quei comunisti che hanno rovinato l’Italia in quarant’anni di governo”. E poi ha aggiunto: “Comunque meglio le sue canzoni del rumore che fanno quei froci drogati dei dark, sostenuti dalle lobbies demo-masso-pluto-giudaiche”. Dopo di che è stato portato via in camicia di forza. Ma ciò non ci aiuta (lo sapevamo che era un idiota). Insomma: Guccini è un Dark? Probabilmente no; e non è colpa della barba. E’ che Guccini tutto sommato ama la vita con tutti i suoi problemi, e la sua amarezza e tristezza derivano proprio dallo scontrarsi con essi, senza per questo amarla di meno; Guccini è sanguigno, popolano, grasso e terrigno come l’Emilia, la sua terra. Certo, non per questo saremo d’accordo con l’eminente dott. Sylvester Stallone quando dice: “e poi almeno è un vero maschio italiano, altro che quelle femminucce impotenti dei gotici”, né con Brian Wilson (dei Beach Boys) quando dice: “i dark non hanno capito un cazzo”. Quindi secondo noi la risposta è no. E adesso non venitemi a dire che tra “Venezia” e “Why can’t I be you “ avreste visto meglio la prima su un disco dei Cure, che Guccini è comunista e i Sisters of Mercy hanno scritto “Mother Russia”, che “Object” (Cure) è solo “Vedi cara” più cattiva, o che Guccini ha scritto “Le piogge di Aprile” e i Jesus and Mary Chain “April skies” perché non mi convincete. Oddio, però ripensandoci ...

Giulio Pasquali

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Voci dal Sottosuolo a cura di Mircalla

Il rogo dell’innocenza

Ultima Thule

Una scintilla di stupore la tua unica colpa, donna, vecchia bambina calore di un frutto senza polpa. Domande strane e pericolose si sono annidate e poi dissolte nei profumi delle rose.

Sentieri gelati ove solo temerari monaci osano avventurarsi sorgenti di acqua bollente come sangue che sgorga, a getti, dalla terra ferita poi vennero i biondi uomini del sud con i loro Dei della giustizia e dell’ira con Galdr e Seidr

E ora bruci su fasci d’ignoranza, su braci di speranza, solo altre menzogne, il fuoco già sale...

Un tetro castello nella foresta nera suoni d’organo una tavola rotonda con 13 posti infine rossi vessilli vicino all’antica aquila imperiale un antico segreto riportato alla luce oppure una devastante pazzia. (Abdul Alhazred)

La spia ti ha punito: hai osato troppo, hai sbirciato l’inconoscibile, l’inafferrabile. Il richiamo era un’eco dolce, i tuoi occhi ti hanno tradito, la tua immaginazione, ammaliatrice, ti ha ingoiato. E ora bruci su fasci d’ignoranza, su braci di speranza, solo altre menzogne, il fuoco già sale... Rovente la tua punizione, il tuo sguardo cerca i colpevoli, osanna Santa Inquisizione! I tuoi capelli come coriandoli per la nuova Sacra Crocifissione! Sotto la tua croce non c’è nessuno, non c è preghiera, superstizione e fumo scherzano nella brace. E ora bruci su fasci d’ignoranza, su braci di speranza, solo altre menzogne, il fuoco già sale... (Trebor*)

I disegni di queste pagine sono di Antonio Biella 57


Neon

Non fu salvato, per paura ora cavalca orgoglioso di non essere più umano ricorda solo un leggero dolore come il morso di una serpe. (Abdul Alhazred)

Sono io, neon... sono la luce tenue di una speranza perduta definitivamente. Sono la malinconia, la fine dei sogni, sono il vortice che ti inghiotte improvvisamente, sono la solitudine più nera. Sono troppo diverso, diverso anche da me stesso per poter amare veramente. Me ne sto lì... aspettando apaticamente che la mia luce, ormai intermittente si spenga ...finalmente. (Gianluca Maiello)

Tremendo Lacrime alla luce di questa stanza, elementi contrastanti rannicchiati nell’ombra del mio letto. Quanto vorrei liberare il mio corpo da queste spine che mi trattengono a te, ombra. (Ivan Leoni**)

Non c’è posto per lei Un giorno si spegne nella notte una vita si spegne nella morte ma la pioggia continua a cadere senza che nessuno sappia dare un significato a questo perseverare. Mi affaccio alla finestra e l’unica cosa che riesco a vedere è una ragazza che, cadendo, si distrugge. (Ivan Leoni**)

Il più dolce dei miei veleni Strappa le mie vene e brucia la mia pelle niente mi farà soffrire benché io soffra ai tuoi baci ed alle tue parole... Dolce è la tua tortura lente, oscure le mie lacrime, il fiume scorre e sotto di esso inverni e primavere distratti scrutano cigni neri in nera bellezza di infiniti giorni; unica luce di candela viva unico amore, ti abbracciai... Amore mio... Tuoi gli occhi immensi sopra il cielo in tempesta, io piansi sangue, diafano volto e livide mani io amo e muoio mia impaziente anima... io muoio ed amo mia unica fine. (Bathory Erzsebet)

*Di Trebor è disponibile l’antologia di poesie Polvere di note su un grigio spartito, L’autore Libri Firenze, £12000. Per informazioni: Trebor, Stradasalga 3/7, 10072 Caselle (TO). **Le poesie di Ivan Leoni fanno parte dell’antologia Raccoglimi, Ed. Pedrazzini, Locarno. Per informazioni: Ivan Leoni, 6594 Contone, Svizzera

La vera storia di Tam Lin Dalle perdute valli dalle colline nascoste, tornano coloro che furono scacciati marciando al suono di nere cornamuse distinguo gli abiti del loro principe di seta, rosso scarlatto, intatti nei secoli. 58


Recensioni Dischi Aa. Vv.: A Dream within a Dream. Music inspired by E.A. Poe (CD - Dead Eyes Magazine). Eterogenea davvero questa compilation curata dalla fanzine americana Dead Eyes Magazine. Il minimo comun denominatore è rappresentato dalle opere di E. A. Poe, ma molto diversi sono fra loro i gruppi che vi danno il contributo. Certo, i meno pertinenti sono gli americani Thresholes che propongono un grunge peraltro suonato proprio male, ma anche nell’ambito della cosiddetta musica oscura la varietà non manca: si va dagli eterei (e francamente noiosetti) Neither/ Neither World, alla cold wave dei Garden of Dreams, ai christiandeathiani Angelhood, ai potenti messicani La Funcion de Repulsa, al techngoth degli Angry Red Planet, al noise sperimentale dei Brume (dalla Francia), dei Veil of Thorns di Erich Allen Zann, alle asperità elettro acide stile Alien Sex Fiend dei Thine Eyes, agli accenti celtizzanti di Soul Parish. Ma il fiore all’occhiello di questo CD sono i nostri Simon Dreams in Violet e Wasteland, che firmano tre dei brani migliori (grande “Paranoia”!!). Curioso. Poiché il cd non ha praticamente distribuzione italiana, chi lo volesse (a £ 18000 spi) può contattare Rosario Rizzo (SDIV), via dei Canarini 44, 00169 Roma. (Manfred) Aa. Vv.: Art of Gothic: dark wave & gothic compilation (CD - Cleopatra). La Cleopatra insiste nel propinarci insipide compilation di gruppi della sua scuderia senza alcunché di inedito. Roba conosciuta anche da chi ascolta gothic da due giorni. Bastaaaaaaaaaaaaaaa !!!!! (Manfred) Aa. Vv.: Im Blutfeuer (CD - Cthulu Records). La Cthulu Records ci propone questa mini compilation che vorrebbe forse imporsi come una sorta di “From torture to conscience” del metal/folk apocalittico. Il CD è aperto dai Blood Axis che propongono un’interessante cover di “Walked in line” ed un inedito, seguono gli Ernte con “Sonnenvende”, di pura scuola D.I.J., Sol Invictus con la stupenda ballata “Hedda Gabbler”, che varrebbe da sola l’acquisto del CD, gli Allerseelen, con “Santa Sangre”, pezzo rituale ispirato al film di Jodorowsky ed i Death in June con “My Black Diaries” pezzo di impronta molto più esoterica degli abituali lavori di Douglas P. (Nathalie C.) Aa. Vv.: Intimations of Immortality (CD - Energeia). Si dice spesso anche su queste pagine che la scena gothic italiana ha ormai raggiunto un livello qualitativo notevole. Questo CD, pur mancando di alcune fra le più significative band italiche (Kirlian Camera, Frozen Autumn, Black Rose o Deviate Ladies ad esempio), è un utile strumento per tastare il polso della situazione. Il risultato è abbastanza incoraggiante; dico solo abbastanza perché alcune scelte (Grimace, Mind Drop o The Other Voices) abbassano, mi spiace dirlo, la qualità complessiva della proposta. Ma ci sono ovviamente anche le gemme, come i brani degli Ataraxia, dei Fear of the Storm, degli Exù, dei Simon, degli Artica e di altri. Per concludere segnalo che questo progetto è il frutto dello sforzo economico-organizzativo dei gruppi partecipanti e di Energeia. A quando il secondo volume? (Christian Dex) Aa. Vv.: Of these remainders (K7, CD - Projekt). Dal giardino delle delizie della Projekt ecco un altro squisito frutto: una compilation di brani dei Black tape for a blue girl eseguiti da gruppi del circuito gotico-etereo-sperimentale. I partecipanti trasfigurano secondo il proprio estro le stupende composizioni della band di Sam Rosenthal rendendo quest’album una magnifica esperienza di ascolto. I Sunwheel (un progetto parallelo dei grandi Eden), i Lycia, gli stupendi Love Spyrals Downwards, Alio Die, gli Stoa, tanto per citare alcuni dei quindici gruppi di Of these remainders, donano brillanti cristalli che leniscono i mali dello spirito. Se vi par poco ... (Christian Dex) Aa. Vv.: Spanish Gothic Bands vol.3 (CD - Grabaciones Gothicas). L’etichetta di Barcellona ci regala quasi cinquantacinque minuti di oscuro piacere, durante i quali nove gruppi gotici spagnoli ci traghettano con la barca di Caronte su di un’isola dominata dalle tenebre e percorsa da gelidi aliti di macabra perversione. Una discesa agli Inferi alla quale ci guidano gli Ancient Tales, Paraliticos, Gothic Sex, Santo Oficio, Los Humillados, Usher, La Guillotina, Messiahs of pain, Access code. Imperdibile. (Lord Ruthven) Abysses: Abysses (miniCD). Con questo mini CD d’esordio il quartetto svizzero ci propone un rock venato di sfumature a tratti gotiche, a tratti metal. I cinque pezzi sono ben suonati e di piacevole ascolto, però non riescono ad andare al di là della superficie. Per contatti: Abysses C.P. 649-1630 Bulle Svizzera. (Nathalie C.) Alembic Virtual: Musicaal (CD - Pick Up Rec.). Gli Alembic Virtual provengono da Siracusa e il loro lavoro Musicaal mi ha letteralmente stregato. Complice la bellissima voce di Ega, autrice di tutti i testi... Trame oscure, riff sabbatiani si alternano ad atmosfere più meditate, in certi frangenti iperdarkeggianti (a proposito, alcuni passaggi mi ricordano i grandissimi Sad Lovers and Giants!, altri invece gli All About Eve, chissà, forse si tratta di suggestione!!!). Ascoltate “Winter”, magnifico affresco dark-progressivo, e lasciatevi trasportare dai vocalizzi di Ega, vestale chiamata a celebrare questa saga... La conclusiva “We are, into the shadow”, poi, mi ha fatto letteralmente “gridare” al miracolo. Musicaal è un’opera senz’altro validissima, inprendibile per tutti gli amanti delle sensazioni “vere”... Non lasciatevi sfuggire questo autentico gioiellino, sarebbe imperdonabile... Per contatti: Pick Up Records, Via Schiavonetti 16, 36061 Bassano Del Grappa (VI). (Hadrianus) Altered States: Is anyone out there? (CD - Primary). Giunge provvidenziale la ristampa su CD (con ben tre bonus tracks!) di questa opera seminale del tardo gothic sound inglese. Il debito pagato agli Altered States da gruppi come Restoration o Rosetta Stone è innegabile ma questo album va ascoltato al di là della curiosità filologica. Lasciatevi trascinare dal turbine di chitarre e di suoni aspri e capirete perché questo disco all’epoca misconosciuto è poi passato alla storia del dark. (Christian Dex) Anchorage: Tranquilly the maelstom stars (CD - Hyperium). Primo interessante lavoro per questo gruppo tedesco, accomunabile per molti aspetti a quello dei connazionali Stoà. Dominano infatti le stesse atmosfere neoclassiche e sinfoniche, dal suono limpido ed elegante, a volte quasi minimale, che sa però innalzarsi a vette di oscura drammaticità. L’album del resto è strutturato come un “concept” sul tema della tempesta e riesce a ricostruirne a livello di emotività musicale tutte le fasi, dalla stasi preparatoria allo scoppio terrificante della tragedia. Un canto femminile accompagna tastiere, basso e chi-

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tarra, con melodie celestiali ed angeliche che non possono non ricordare quelle delle divine Lisa Gerard e Elisabeth Frazer. In due casi (“Elements of storm” e “Toward stealth”) un’altrettanto calda e profonda voce maschile prende corpo. Come le sirene del divino Odisseo, gli Anchorage incantano e ammaliano con suadenti e dolci note chi li ascolta, non siate sordi al loro sublime messaggio! (Mircalla) Andromeda Complex: Be kind with your executioner (CD - Discordia). Tecnica, ironia, un’iconografia blasfema e provocatoria (basta dare un’occhiata alla copertina): Bergamini, Pes e Mattioli partoriscono un lavoro di studio carico di spunti interessanti. Si passa dalla barrettiana “Where has it gone the kitten”, alle techno-danzerecce “Life of despair” e “Paris Noir”, ai Beatles di “Rain”, alla paranoica “Polymeric woman”, all’acustica “La Chevelure”, fino a “Mea Domina” un canto gregoriano che si trasforma in una sorta di preghiera cyberfolk. Quindi l’insieme dei pezzi risulta eterogeneo ed intrigante, pane per gli sperimentalisti incalliti amanti dell’elettronica. (Raffaello) A Sacris: omonimo (CD - autoprodotto). Proveniente direttamente dalla dimensione astrale, questo gruppo ci offre un capolavoro di tecnica, fantasia e gusto musicali. Stupendo! Non è possibile notare alcuna pecca artistica, sembra veramente di trovarsi di fronte ad un gruppo destinato al ruolo di protagonista nella scena musicale etereo-sperimentale-mistica nella branca che si avvicina ai This Mortal Coil, ai Black Rose, ai Lycia, agli Eden. Il cantato in lingua francese è perfetto, e si fonde agli altri effetti sonori in maniera celestiale, mentre le sporadiche percussioni regalano sprazzi di vivacità che non disturbano. Un booklet misterioso (come la musica del resto) cela ogni altra informazione superflua: solo le note sono importanti. Ed in questo caso è vero. (Raffaello) Ataraxia: Ad Perpetuam Rei Memoriam (CD - Apollyon). Dall’etichetta degli Engelsstaub esce un regalo davvero gradito: una selezione in CD dei primi tre stupendi demo degli Ataraxia. Per una recensione degli stessi vi rimando all’articolo di Mircalla sul gruppo modenese pubblicato su Ver Sacrum III. Non mi resta che segnalarvi l’elegante copertina e l’essenziale booklet con le liriche delle canzoni incluse. E’ scontato poi che l’acquisto è obbligatorio! (Christian Dex) Bel Am: Fresh deadly roses (CD - Discordia). Il nuovo lavoro dei Bel Am è stato prodotto dalla casa discografica “Heaven’s Gate” di A. Bergamini (Kirlian Camera) in esclusiva per la tedesca “Discordia”. Bellissimo l’impatto visivo della copertina in cui compaiono freschi boccioli di rosa, un richiamo alla bellezza e insieme alla caducità dell’esistenza. La musica si leva dolce e suadente al magico canto di Maria Cristina, ma ben presto acquista forza: basso, chitarre e batteria prendono il sopravvento, la voce si fa più potente e intensa. Morbide tastiere accompagnano i pezzi in un alternarsi di momenti lirici ed aggressivi, pause e improvvise accelerazioni che non rischiano mai la monotonia. Forza e melodia allo stesso tempo sono i punti cardine della musica dei Bel Am, che segna una certa evoluzione rispetto al passato, proprio perché il suono si fa più corposo e compatto, a tratti duro e con qualche influenza metal. Il tutto fuoriesce da qualsiasi limitante tentativo di definizione e di confronto, il che non può che essere positivo. In assoluto uno dei migliori gruppi italiani! (Mircalla) Big electric cat: Dreams of a mad king (CD - Cleopatra). Sono arrivati presto al successo ... e forse nessuno se l’aspettava una escalation così fulminea. Dopo aver prodotto un demotape, Suspiria, le loro musiche sono entrate in casa Cleopatra e da Los Angeles è arrivato per loro un contratto che prevede la realizzazione di tre CD. Fortuna? ... direi proprio di no! Dreams of a mad King, il loro primo album, è la conferma di una certa professionalità musicale e soprattutto della presenza di una nuova realtà goth anche in Australia. “Orchid Dreaming”, “Rebecca”, “Paris Skyes”, “Twisting Man, sono le canzoni che preferisco, senza escludere la loro favorita “Christabel” ... pezzo che per iniziare l’ascolto non poteva essere più indicato. (Stefano Sciacca) Burzum: Hvis Lyset Tar Oss (CD). Veramente tremendo questo CD dei Burzum (conte Greifi Grishnackh, nome di battaglia di Vare Vikernes), quattro canzoni, di cui una strumentale, cantate in norvegese, quindi incomprensibili, ma i testi sono tradotti in tedesco. Il titolo significa “quando ci coglie la luce” e non è tanto la voce (urli taglienti nella notte nordica) quanto l’incedere della musica specie nella prima canzone “det som er gang war” (ciò che era una volta) a colpirci. I primi due minuti sono tra i più cupi mai ascoltati, una vera colonna sonora dell’oscurità precristiana (o post cristiana?) nel nome di Odino e di ispirazioni tolkeniane. (Abdul Alhazred) Calva y Nada: Die Katze in Sack (maxiCD - Hyperium). I Calva y Nada sono uno dei gruppi più folli del panorama techno-goth europeo. Cantano in spagnolo e in tedesco ma sfido chiunque a riconoscere la differenza tanto è ruvida e profonda la voce. Questo maxiCD è la riproposta di uno stesso andamento melodico, stravolto e violentato in sei brani che in comune hanno solo il nome (Die Katze in Sack 1, 2, ... , 6 appunto, due dei quali erano già editi con altro nome). I Calva y Nada amano proporre ritmi potenti e veloci con un occhio alle discoteche, alternative e non. L’impatto di questo CD è devastante e assolutamente necessaria è la quinta canzone che concede tregua alle orecchie coi suoi toni da ballata anche se un po’ insipida rispetto agli altri piccanti episodi. Ascoltate questo CD se amate i suoni ballabili e se siete anche alla ricerca di atmosfere sperimentali la discografia intera dei Calva y Nada fa per voi. (Christian Dex) Camerata Mediolanense: Musica Reservata (CD - My Castle). Ispirandosi all’antica “Camerata Florentina” dove nacque la musica lirica, Elena Previdi ha riunito attorno a sé altri musicisti per dare vita all’artwork Camerata Mediolanense. Elena ha composto le musiche di questo CD che narra antiche vicende e leggende che risalgono al Medioevo. Chi ama le etichette potrebbe descrivere questo lavoro come “ethereal/medievale”, ma il realtà è un’opera di impronta molto personale, a cui va stretta una classificazione. Le atmosfere variano dalla cupezza di brani come “Il lupo”, “L’esecuzione”, “Il ricordo dei giochi delle spose del vento”, a momenti più malinconici e classicheggianti come “L’eco”, “Notturno”, o “La madre cattiva”, per passare a sonorità decisamente medioevali come in “Bardo Messaggero” e “La grande corsa”. Musica Reservata mi ha donato degli attimi di intensa emozione, che spero possiate provare anche voi ascoltandolo. Per contatti: Camerata Mediolanense, via Bari 20, 20143 Milano. (Nathalie C.) Canticum Funebris: Endless (CD - Talitha). Il primo ascolto di questo CD mi ha assolutamente spiazzato e non riuscivo a capire se i Canticum Funebris fossero degli autentici geni o degli abili mistificatori. Molto evidenti sono infatti nella loro musica gli echi dei Sol Invictus, dei Current 93 o degli Engelsstaub. Ma bisogna prestare maggiore attenzione per

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scoprire di che pasta sono fatti i Canticum Funebris: il gruppo è capace di creare splendide canzoni acustiche, magnifiche melodie accompagnate da “heavenly voices” maschili e femminili. Poi improvvisi quanto inattesi pezzi in puro stile gothic-doom, molto lenti e malinconici con chitarre lancinanti e con ipnotiche ritmiche, sorprendono piacevolmente. In conclusione nel valutare Endless non limitatevi a giudizi sommari: potreste perdervi una delle rivelazioni musicali del ‘94 ... almeno per il sottoscritto. (Christian Dex) Children on stun: Torniquets of Loves Desire (CD - Cleopatra). I C.O.S. sono una delle poche, buone, realtà dell’odierna scena gothic inglese e questo CD ne è la conferma. Dopo un primo demotape, “Elegance”, (l’unico in cui era presente un vero batterista) ed un secondo demo “Choises”, in cui lasciavano trasparire una sorta di pop-goth abbastanza gradevole, erano venuti meno con le successive realizzazioni, ovvero le demos “Monochrome” 1 e 2. Perfino il loro 12’’ d’esordio “Hollow” risultava un insieme di trame musicali troppo ripetitive e noiose. Forse, in un certo senso, avrà influito la produzione di Porl Young ex Rosetta Stone, ma quest’ennesimo CD “made in Cleopatra” segna definitivamente il riscatto della band di Hastings. Le nuove canzoni, “Sidelined”, “Beginning of the end”, “By the wayside”, sono più riflessive, melanconiche delle precedenti quali “Hollow”, “Cats or devils eyes”, “Downfall” qui riproposte magistralmente. Un lavoro da non perdere!! (Stefano Sciacca) Christian Death (Valor): Sexy Death God (CD - Bullet Proof Rec.). Dopo lunghi anni di attesa ecco tornare il folle Valor Kand. Se nel giudicare questo album dovessimo limitarci all’orribile copertina sarebbero dolori; fortunatamente una volta aperto il booklet lo stile cambia nettamente e ci troviamo di fronte alle pagine raffinate e decadenti a cui ci hanno sempre abituato i Christian Death (di ogni “tipo”!). La musica vira fortemente verso sonorità ruvide che ad un primo approccio possono lasciare perplessi. Ma Sexy Death God è un album da apprezzare ascolto dopo ascolto, quando sensuali sfumature vengono lentamente alla luce. Bellissime sono la nuova durissima versione di “This is Heresy”, la suadente “Temples of Desire”, “Eternal Love”, quasi una outtake da Atrocities, o “The Serpent’s Tail” col suo magico violino, ma anche il resto non è affatto male. Da ascoltare senza pregiudizi ... capito “ultrà” di Rozz??? (Christian Dex) Christian Death (Rozz): The Rage of Angels (CD - Cleopatra). Che noia!!!! Rozz Williams continua a proporre sé stesso e le sue soluzioni stilistiche e musicali con un narcisismo che ha qualcosa di preoccupante. Veramente, o ha il coraggio di fare qualcosa di nuovo o è meglio continuare a sentire le sue cose vecchie, che dieci anni fa erano nuove. (Manfred) Daucus Karota: Shrine (CD - Triple X). La passione per il rock ‘n’ roll stradaiolo di Rozz Williams, già chiara sin dai tempi di Only theatre of pain, si realizza appieno in questo suo ennesimo progetto. Chitarre sporche ed affilate, una sezione ritmica incisiva come non mai, la voce da navigato marpione: ecco i Daucus Karota, uno degli esperimenti più riusciti e senz’altro il più divertente dell’eclettico Rozz. Bellissime le cinque canzoni qui contenute, in vero stile hard rock dai forti accenti glam e suonate da musicisti straordinari. La cover di “Raw power” è poi assolutamente stupenda e ci fa chiedere come sarebbe un duetto tra il vecchio iguana Iggy Pop e Rozz Williams. Con questo CD riuscirete a redimere il più sfegatato fan dei Guns ‘n’ Roses, ci scommetto. (Christian Dex) Demonix (Gitane Demone & Marc Ickx): Never felt so alive (CD - Hypnobeat). Allora, siete schierati dalla parte di Valor o di Rozz Williams? Io mi astengo e scelgo invece Gitane Demone, a mio avviso la migliore nella litigiosissima famiglia degli ex-Christian Death. Never felt so alive è un concept album sul sesso più fantasioso o perverso, che dir si voglia; i testi raccontano così storie di sadismo, sottomissione e varie amenità. Comunque Gitane e il suo compare affrontano il tema con il sense of humor necessario per non cadere nel ridicolo. I suoni sono quelli di un’elettronica raffinata e fosca, con forti accenti dance, che creano atmosfere sensuali, notturne e ipnotiche (“Cool Domina”, “Perv” o la sperimentale “Voyeur”). Meno belli sono i due o tre episodi più smaccatamente ballabili (“Little Death” ad esempio) forse un po’ troppo ruffiani per i miei oscuri gusti. In definitiva Never felt so alive segna un grandissimo ritorno per una delle artiste più amate della scena. Bentornata Gitane! (Christian Dex) Diamanda Galas & John Paul Jones: The sporting life (CD - Mute). Questo lavoro é bellissimo. La Galas ed il bassista della Leggenda Led Zeppelin si uniscono in un geniale omaggio alle radici del Rock’n’Roll, inventando un suono contemporaneamente tradizionale e futuristico, post moderno, fatto di sudore carne e sangue. Questa é l’avanguardia: alla faccia di tutti i conservatori pseudo alternativi. (Manfred) Dreadful shadows: Estrangement (CD - Sounds of Delight). Vengono dalla Germania questi Dreadful Shadows: musicalmente siamo dalle parti del gothic rock potente e metallico di derivazione nephilimiana, con sfumature che ricordano gruppi come Secret Discovery. Nulla di nuovo, dunque, anche se molto ben suonato e notevole nelle parti lente ed acustiche. La cosa interessante di questo lavoro é che é un concept, fatto di 11 pezzi (più una sorpresa) concatenati a raccontare la storia di un vampiro. E’ come vedere un film della Hammer, il tutto corredato da un booklet curatissimo e davvero d’effetto. (Manfred) Drown for Resurrection: Sublunar vacuity (CD - Glasnost). Secondo CD per il gruppo tedesco, assai più a fuoco rispetto al predecessore Another Faliled Legend. I DfR creano un suono elettronico intriso di profondo romanticismo, con ritmi che pur invitando a danzare non risultano mai eccessivi e pesanti. I passaggi più malinconici e tranquilli evidenziano poi inequivocabilmente la passione del gruppo per i Clan of Xymox; nei testi si legge inquietudine e “mal de vivre”, non appartenenza agli schemi rigidi della società. Fra i momenti più belli segnalo la canzone “Charge”; l’ascolto di questo CD rivela però un’eccessiva uniformità dei pezzi, esasperata anche dalla voce monotona, seppur bella, di Andreas Fricke. Non realizzando ancora un centro pieno i DfR dimostrano comunque di avere molto talento: alla prossima! (Christian Dex) Dunwich: Sul Monte é il Tuono (CD - Black Widow). La musica di questo gruppo romano è un crossover di gothic, progressive e folk, decorato da finimenti di fine metallo. I testi in italiano, e la cantante che in qualche modo rimanda echi di Francesca degli Ataraxia sono le cose notevoli di questo CD di pregevole fattura. Per chi ama gnomi, fate, folletti, re, maghi e l’epica in generale, dato che il gruppo utilizza leggende provenienti non solo dal mondo anglosassone ma anche dalla Cina, dalla Russia, o dal popolo Eschimese. (Manfred)

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The House of Usher: Stars Fall Down (CD - Celtic Circle). Esce finalmente dopo qualche peripezia il CD d’esordio di questo gruppo tedesco oramai molto noto nell’ambiente gotico italiano. Si tratta di un gran bel lavoro prodotto e arrangiato con cura certosina (teutonica se volete). Lo stile di THoU è radicato profondamente in questi anni ‘90 pur traendo linfa dall’energia del dark classico: si propone come un alternativa credibile al gothic di maniera di tante, anche celebrate, band. E i risultati confermano che l’obiettivo del gruppo è senz’altro riuscito. Magari nei pezzi più lenti e ambientali la loro musica perde un po’ di mordente ma basta ascoltare “Wrecked in Faith” o la stupenda (davvero!) “Witchcult” per far rialzare la temperatura alla giusta gradazione. (Christian Dex) Into the Abyss: Martyrium (CD - Spectre). Ancora un quartetto dalla Germania (ma nel gruppo ci sono anche due greci), che ci propone un ibrido composto da una miscela di gothic rock di ascendenza Nephilim/Love Like Blood, unito a suoni progressive, metal, ma anche punkeggianti. Il tutto è condito da una bella voce calda e melodica con il pregio di essere piuttosto lontana dai cliché del genere, e soprattutto da eleganti partiture di violino, con un suono molto vicino a quello usato dalle band di Death Gotico Sinfonico stile My Dying Bride, il che ce lo rende ancora più gradito. Belli i testi molto politicizzati. (Manfred) Isengard: Vinterskugge (CD). Il CD contiene 16 pezzi di Fenriz dei Darkthrone. Sia vedendo le foto incluse nel booklet (immagini di oscure foreste del Nord), sia leggendo alcuni titoli tipo “Storm of evil”, “Our Lord will come”, o “Dark Lord of Gorgoroth” si comprende subito come la pensi Fenriz, ed infatti la musica è quasi sempre “black”, lamenti nella notte norvegese e riferimenti alla parte più oscura dei racconti di Tolkien. (Abdul Alhazred) Jack or Jive Lights: A picture of a dancer (CD - Elves). Cold wave minimalista e gradevolmente poppeggiante con venature alla Dead Can Dance in questo delizioso miniCD che ci giunge dal lontano Giappone. Ovviamente non mancano influenze dalla musica tradizionale del paese d’origine e ciò che maggiormente caratterizza questo duo (un ragazzo ed una ragazza) é il dolcissimo cantato femminile, in inglese ma che mantiene le modulazioni tipiche della tradizione estremoorientale. Da avere. (Manfred) Kirlian Camera: Eclipse - Das schwarze Denkmal (CD - Discordia). Con fare provvidenziale l’etichetta tedesca Discordia ha ristampato questo album dei Kirlian Camera risalente al 1988. Eclipse è una celebrazione di romantiche e decadenti atmosfere, malinconicamente eleganti. Molto forte è il gusto per gli arrangiamenti sinfonici, resi ancora più solenni dalla voce di Bianca Hoffmann-Santos (si ascoltino ad esempio “Epitaph” - pezzo dei King Crimson rifatto recentemente anche dai Love Like Blood -, o “Tor zwei” che anticipa con tristi note i fantasmi dolorosi di Todesengel). Il suono è forse un po’ datato e risente, soprattutto nei pezzi ballabili, del modo di fare elettronica tipico del decennio scorso. Presto il gruppo farà uscire un nuovo lavoro e questo Eclipse, per me e tutti coloro che lo avevano perso al tempo della sua uscita, renderà più dolce l’attesa. (Christian Dex) Lycia: Live (K7, CD - Projekt). Per chi scrive i Lycia sono uno dei gruppi più interessanti del panorama mondiale e mai ringrazierò abbastanza la nostra Natalie C. per avermeli fatti conoscere. I Lycia trasformano il rumore in poesia, le dissonanze in delicati sussurri, le distorsioni in brezze cariche di profumi d’oriente. La loro musica parla di/agli spazi aperti, è l’ultima frontiera dove il cielo e la terra si incontrano; è pura come il cristallo e viva come il fuoco. Mike van Portfleet ricava dalla sua chitarra una galassia di suoni che vengono accompagnati dalle minimali tastiere di Davis Galas. La voce roca e flebile, la drum machine lenta e ipnotica sono gli altri tasselli di quell’inconfondibile mosaico che è la loro musica. In quest’opera i Lycia ripropongono con estrema emozione le canzoni dei loro vecchi album più una manciata di straordinari inediti. Se non li conoscete questo live vi accompagnerà con garbo nel loro incantevole mondo. (Christian Dex) Midian: Soulinside (CD - Pick Up Rec.). Il primo lavoro, debutto dei Midian, quintetto di S. Giovanni Valdarno, è caratterizzato dalla presenza qualificante del violino, magnifico strumento che gioca un ruolo fondamentale nel contesto del suono del gruppo, contribuendo a creare un’atmosfera particolare, romantica, sofferta, a tratti decisamente oscura. Trattasi di musicisti competenti e preparatissimi, anche dal punto di vista compositivo (i testi sono davvero belli - i Midian cantano in inglese). Magnifico “Inside”, terzo brano del lavoro, breve strumentale violino/ chitarra acustica, ma tutti gli otto che compongono Soulinside sono meritevoli di citazione. Bellissime parti di pura atmosfera (sempre il violino...) che si aprono ad improvvisi squarci chitarristici, come il cielo durante un temporale di fine estate, con delle tastiere sempre presenti, ma mai invadenti. “In my winter, where the fog embrace the light of the night...”. Per contatti: Pick Up Records (vedi Alembic Virtual). (Hadrianus) Paralysed Age: Nocturne (CD - Glasnost). Che l’ambiente gothic tedesco (e non solo...) sia affollato di poseur è cosa nota. Eccovi quindi un gruppetto, leggero leggero, che ripropone più con infamia che con lode canzoni ispirate ai Cure dei tempi di Disintegration con qualche momento più elettronico (leggi danzereccio) o rarefatto. I riferimenti vampireschi nei testi sembrano (sarò maligno) più un atto di fredda erudizione che di sentita oscura ispirazione. Che vi devo dire? A parte qualche canzone più riuscita Nocturne è un album piuttosto scarso. (Christian Dex) Raksha Mancham: Ghazels (CD - Musica Maxima Magnetica). L’attenzione dell’underground belga nei confronti della “World Music” ci è nota sin dai tempi dei Minimal Compact e dell’etichetta Crammed Discs. Forse a torto mi sento di ricollegare la paternità spirituale dei Raksha Mancham ai loro storici connazionali; l’impegno del gruppo è fortemente rivolto all’utilizzo di strumenti e melodie etniche, nell’omaggio appassionato e rispettoso della cultura delle popolazioni nomadi sahariane. Forti comunque sono gli accenti new wave (notate ad esempio il suono del basso) che interagiscono in magica armonia con mille inconsueti suoni e con strepitose percussioni. Concludo dicendo che tutte le royalties ricavate dalla vendita di questo CD saranno devolute dal gruppo al Tibetan Youth Congress, un’associazione che lotta per l’indipendenza politica e culturale del Tibet. (Christian Dex) Rise and fall of a decade: You or Sidney (CD - Hyperium). Un altro bel colpo messo a segno dall’incredibile casa discografica tedesca Hyperium. I Rise and fall of a decade, giunti ormai al terzo album, incantano con le loro atmosfere sognanti e struggenti. Chitarre acustiche e sintetizzatori sono in primo piano, e su di essi si distende una voce maschile morbida e carezzevole, che ricorda a tratti quella di David Sylvian, e a cui in alcuni pezzi (“Mistake”, “Hold me”,

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“Escape”) si sostituisce un altrettanto melodioso canto femminile. Il ricordo non può che andare ai primi anni ‘80, alle sonorità 4AD e a certa new wave inglese di quel periodo. Ma tutto è ripreso e rimescolato con la consapevolezza del presente, in un insieme organico e armonioso. I Rise and fall of a decade dipingono così acquerelli di paesaggi autunnali, eterei e romantici, dai colori pastello, pieni di tenerezza e di dolce e soffusa malinconia. (Mircalla) Silencio Para 4: Silencio Para 4 (CD). Il folk apocalittico ha fatto i suoi primi proseliti anche in Portogallo. Le undici lente ballate chitarristiche di questo CD d’esordio sono in puro stile Death in June, la loro caratteristica più peculiare è data dal cantato in portoghese, lingua che non siamo abituati ad ascoltare in questo tipo di musica. Il risultato è piacevole, la saudade evocata dalla voce si amalgama alle atmosfere malinconiche della musica. Per contatti: Arvore Régia, Apartado 21964, 1141 Lisboa Codex, Portogallo. (Nathalie C.) TAC: Hypnotischer Eden (CD - Discordia). La vicissitudini che hanno portato alla creazione di questo album sono assai travagliate, tant’è che dalla sua composizione iniziale al completamento sono passati ben quattro anni. Hypnotischer Eden è un’opera tetra, minimale, crudele, spettrale. Sono gli strumenti acustici ad essere maggiormente presenti, usati però con valenze espressive totalmente inusitate per creare melodie e dissonanze, pieni orchestrali e rarefatti momenti. Assolutamente stupendi sono poi i testi che Celestino Pes, ora con gli Andromeda Complex, ha scritto per questo lavoro. Vere opere di orrorifica poesia, evocano con lucidità visioni estreme, apocalittiche e talvolta disgustose (“Ingoiare chiodi”, ispirata al Salò di Pasolini, “Cedono le vertebre”), ma sanno anche dipingere in altri momenti minimali quadri di gusto ermetico (“Le città sono occhi”, “Il riflesso dell’alba”). Dedicato a chi non teme di guardare la sua parte oscura. (Christian Dex) Vendemmian: Trough the depths of innocence (miniCD - Resurrection Rec.). E’ rimasto sicuramente deluso chi si aspettava qualcosa di innovativo dall’ennesima prova di questa band londinese. Dopo la dipartita del tanto criticato vocalist Dominic, la parte vocale ha cambiato aspetto... da una certa vena Nephiliana i Vendemmian ne hanno scelta una, non troppo entusiasmante, che sembra trarre spunto da bands come Momento Mori e Dream Disciple. Delle sei canzoni contenute in questo mini album si salvano appena “Treasured”, “Masquerade” e l’iniziale “Solitude”. Le altre sono la testimonianza più lampante di una non evoluzione, specialmente sul piano musicale. Chissà se almeno i loro cugini-nemici Restoration II riusciranno a deliziarci di un lavoro più degno di rispetto. Se volete acquistare materiale dei Vendemmian il loro indirizzo è: S7 Sandpit Road, Downham, Bromley, Kent, Br1 4PF, England. (Stefano Sciacca) White Legion: La transfiguration de l’ange (miniCD - Discordia). Confesso di sentirmi assolutamente inadeguato a recensire quest’opera: il gruppo infatti ha creato una vera suite di musica classica ma riferimenti e ispirazioni, visto la mia ignoranza in materia, mi sfuggono. Tanto per rimanere in campo wave, i White Legion mi ricordano, più come attitudine che come sonorità, gli Autopsia. Anche loro mirano infatti a creare maestose sinfonie ricorrendo all’uso di synth per sopperire alla mancanza di una vera orchestra. La transfiguration de l’ange si compone di quattro momenti ed è consigliato caldamente a chi ama avventurarsi nel variegato mondo delle sperimentazioni. (Christian Dex)

Demotapes Book of Wisdom: Mors Nigra e Catacombs. Due splendidi lavori per questo a me sconosciuto gruppo tedesco, di cui “Catacombs” è uscito anche in CD. Ma i due tapes sono contenuti in una bellissima confezione con ognuno un suo piccolo booklet di immagini in bianco e nero. Musica industriale e musica medievale insieme per ricreare l’atmosfera di secoli creduti bui. Così rumorismo industriale a volte forse eccessivo e che mette a dura prova le nostre orecchie si alterna a soavi ballate di stampo medievale/rinascimentale come “Estampie”. In Mors Nigra sembra veramente di udire i lamenti che in quel tempo erano ricorrenti in tutta Europa, mentre in Catacombs l’atmosfera è addirittura più tetra, più soffocante. (Abdul Alhazred) Ermeneuma: Presagio (Psychothic Release). Ecco il nuovo lavoro degli alfieri dell’American Gothic italiano. Gli Ermeneuma non avranno la genialità dei Madre del Vizio ma sono capaci di comporre belle canzoni, divertenti e soprattutto personali, rielaborando con estro e senso dell’umorismo i classici d’oltreoceano. Presagio è un piacevolissimo lavoro: gli Ermeneuma mi ricordano con la loro musica le atmosfere, sì ultra-gotiche, ma anche sensuali e un tantino kitsch dei film della Hammer, magari quelli più porcelloni di Roy Ward Baker. C’è anche qualche momento oscuro, legato agli episodi sperimentali del loro batterista, Crisantemo Nero (alias Maldoror, Il Monaco, ecc.); sapiente e ben riuscito è poi l’alternarsi delle liriche in italiano e in inglese. Magari la voce di Carlo certe volte è un po’ troppo monotona ma complessivamente Presagio è senza dubbio un acquisto consigliato. Per contatti: Psychotic Release, c/o E. Lago, via Meianiga 43, 35013 Cittadella (PD). (Christian Dex) Fear of the Storm: ... so sad to die in oblivion ... (Energeia). Il n° quattro di Ver Sacrum si era chiuso con l’annuncio di un imminente concerto dei Fear of the Storm. Mesi e mesi dopo in occasione della nostra seconda “Notte Gothica di Halloween” siamo riusciti finalmente a mantenere la promessa. E questa recensione non può non cominciare così, parlando delle meravigliose emozioni create dal gruppo di Enna dal vivo, della loro stupenda energia e dell’irresistibile simpatia. E il demo? Niente meno che una testimonianza fedele e perfetta della musica dei Fear of the Storm. I prodi quattro tingono i loro strumenti con le più oscure melodie della dark-wave inglese degli anni ‘80 (Siouxsie, Cure, primi Tears for Fears) e dimostrano una squisita fantasia ed ispirazione - in una parola, talento - nel creare un impasto eccitante ed originale. E le canzoni? Bisognerebbe citarle tutte; menziono così solo la splendida “Ghostown”, l’arabeggiante “The dark river of oblivion” o la maestosa, malinconica “Sadness”. Il loro, indispensabile, contatto è: Energeia, c/o Davide Morgera, via Manzoni 9, 80019 Qualiano (NA). (Christian Dex) Futhark: Thiudinassus . Il cantante degli splendidi EXU’ si cimenta da solo in un lavoro totalmente ispirato all’apocaliptic folk di filiazione Death in June/ Current 93, con tanto di rune e simboli magici. Sei ballate acustiche impeccabilmente suonate e registrate, dove l’anima degli EXU’ si sente in alcuni arrangiamenti e soluzioni sonore, e soprattutto nei soliti

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bei testi in italiano (anche se solo due canzoni sono cantate nella nostra lingua), ma dove comunque il tutto suona in qualche modo più tradizionale, già sentito. Continuo a preferire la coraggiosa ricerca degli EXU’. Per informazioni e per ricevere il demo: Adriano Elia, via Ausa 32, 84090 Giffoni Sei Casali (SA). (Manfred) The Humanoid Army: Stories of war loneliness and death (Psychothic Release). Vi ricordate della new wave dei primissimi anni ‘80? OK, è una scema domanda retorica. Comunque ai più nostalgici, a chi si commuove al sentire le melodie elettroniche dei gruppi inglesi del periodo o le scoppiettanti chitarre di Robert Smith in stile “Plastic Passion”, consiglio gli Humanoid Army. Per quanto talvolta difettino un tantino dal punto di vista tecnico le loro canzoni sono divertenti e piacevoli, con qualche momento un po’ più oscuro (la bella “The starcrash bureau”) che mantiene viva l’attenzione. Assai carine sono le voci delle due coriste femminili che si amalgamano a quella di Alex Human per creare duetti. Che siano i nuovi Human League??? Per contatti: Psychotic Release (vedi Ermeneuma). (Christian Dex) Ker Krise/Sado Terror Autosimbolistik: split tape (Slaughter Productions). 1) Ker Krise: File.dth. Un’educativa passeggiata tra musiche sperimentali cupissime ed inquietanti: un organo lontano si alterna ad improvvisi sprazzi di rumorismo, caos di echi e latrati malefici, in un incubo ad occhi aperti dal quale è difficile svegliarsi. Sonorità affascinanti si prestano ad accompagnare stati di allucinazione, la musica si associa a sequenze di immagini, a ricordi lontanissimi, millenari. E’ quindi anche musica di atmosfera, ma nel senso più deviato del termine; un consiglio: provate ad ascoltare questo demo prima di addormentarvi. 2) S.T.A. S.T.A. live performance n° 1. Cacofonia in distorsione permanente, più che mai violenta, aritmica e paranoica, caratterizza questo live del 1992 che sicuramente avrà danneggiato decine e decine di innocenti neuroni. Non c’è trama, né schema che regga; forse i titoli dei pezzi possono dare un suggerimento sugli stati d’animo di questi sadici esploratori del suono in azione: “Pain”, “Pleasure”, “Suffering”, “Ecstasy”, “Torment”, “Beauty”; ovviamente da interpretare in modo molto soggettivo. Allucinante (nel bene e nel male) e per molti inascoltabile. Per contatti: Slaughter Prod. c/o Marco Corbelli, via Tartini 8, 41049 Sassuolo (MO). (Raffaello) Musa: Inni Funerei (Psychothic Release). In questo demo si tentano di fondere sonorità classiche dissonanti con l’elettronica, ma i risultati non sempre sono soddisfacenti; infatti, nonostante una buonissima base di tastiere, alcuni pezzi risultano inorganici e alla lunga un po’ piatti. Il genere di atmosfera che queste tre musiciste vogliono (o vorrebbero) creare richiama alcune composizioni dei Love is colder than Death, dei più cupi Black Rose e dei Coil ma risalta anche una certa somiglianza con i Sopor Aeternus (in “Laid to Rest”). Anche se non mi sento di dare un buon giudizio sull’ascolto sono sicuro che con il tempo non sarà difficile per questo gruppo guadagnare la concretezza di cui ha bisogno. Per contatti: Psychotic Release (vedi Ermeneuma). (Raffaello) Le Noir Ensemble: Dietro il mio sorriso . Verso questo gruppo nutro un affetto particolare, poiché il loro cantante Andrea Cannella è stato l’unico D.J. che faceva delle serate Dark che hanno contribuito a mantenere in vita la scena torinese in anni in cui nessuno sembrava più credere in questa musica. Il suono dei Le Noir Ensemble è un amalgama tra il gotico e sonorità più acustiche e lente alla Death in June, da cui scaturiscono ballate dalla cadenza rockeggiante, che vorrebbero parlare più al cuore che alle gambe di chi ascolta. Da bravi adepti delle sonorità oscure i nostri trattano nei loro testi le tematiche esistenzialiste che erano care ai gruppi di dieci anni fa; il testo di “Song of the ghost” è di W. B. Yeats, autore che ha già ispirato altri musicisti come gli In my rosary. Un demo che consiglio a tutti coloro che si sono stufati di ascoltare malriusciti cloni dei gruppi storici. Per acquisto spedire £10.000 s.p.i. a: Andrea Cannella via Bardonecchia 168, 10100, Torino. (Nathalie C.) Le Streghe dell’Onirico: Dura via.. Demo d’esordio per questa band capitanata da Tuono seguace di Andrew Eldritch. Su “Dura via” non c’è nulla di innovativo, ma quanti gruppi che seguono un genere predefinito riescono ad essere originali? Il loro gothic-rock cantato in italiano rispetta tutti i canoni di questa musica, ed è eseguito con piglio professionale, quindi Le Streghe dell’Onirico possono inserirsi a testa alta nella scena gotica italiana. Per acquisto (£ 8.000): Molinar Franco, via Fatebenefratelli 110, 10077 San Maurizio Canavese (TO). (Nathalie C.) Sun Thing: omonimo. Ci sono sentori di cupo rock tendente al punk-new wave dei primi anni ‘80 in questo demo dei Sun Thing, composto di cinque pezzi nei quali è possibile ritrovare inoltre qualche sonorità vagamente affine ai primi Cult e ai Play Dead, con reminiscenze psichedelico-gotiche e del post-punk inglese in generale. Possono apparire inesperti, tuttavia si percepisce un’anima di creatività che rende piacevole l’ascolto. I pezzi “Firechains”, “Something” e “Father” (molto interessante) risultano i più gradevoli, negli altri due domina la vena più nera della band volta ad un “pessimismo sonoro” da notti insonni. Voglio incoraggiare il gruppo a lavorare su nuovi cupissimi pezzi, magari con l’aiuto di un po’ di tecnica. Per contatti: Andrea Mosca c/o Bavila, via Pungilupo 5, 56100 Pisa (Raffaello) Tombstone: Silva Obscura (Psychotic Release). Il primo lato di questo demo è degna colonna sonora di solitarie passeggiate in lugubri foreste nebbiose, nelle quali ci sentiamo osservati da spiritelli che si beano nel prendersi gioco delle nostre paure; tra humus, sterpi, calpestii di fogliame, l’ascolto di queste note in perfetta tranquillità è un’avventura per la mente. La solitudine è lo stato d’animo che più si presta alla descrizione delle lunghe divagazioni sonore sperimentali che potrei azzardatamente definire gothic-ambient, trovo infatti somiglianze con alcuni lavori del genere suddetto, mischiate a sonorità tremendamente oscure sì da essere degne dei Popol Vuh. Il secondo lato parte in modo molto sommesso, come piccole gocce d’acqua calcarea dentro grandi gole alpine che nutrono piccoli rivoli, i quali si muovono tra roccia e muschio fino ad alimentare corsi sempre più grandi. L’acqua per finire prende forza e guadagna massa; qui sopraggiungono percussioni tribali che possono ricordare qualche vena pinkfloydiana di Ummagumma ed è un movimentato finale degno di questo lavoro, a mio avviso veramente affascinate. Per contatti: Psychotic Release (vedi Ermeneuma). (Raffaello) Un ringraziamento a Stefano Sciacca della fanzine Under the Black Rose per la sua collaborazione a queste pagine. Ricordiamo che il nuovo numero di UtBR conterrà interviste a Mephisto Walz, Sunshine Blind, Angina Pectoris, Venus Fly trap, Still Patient?, Funhouse e Chateau Royale. Per acquisto (£ 5.000 s.p.i.) e info: Stefano Sciacca, viale Marconi 10/a, 04100 Latina Gli sfondi sono di Antonio Biella (pag. 59, 62, 63), PunkDark (pag. 60, 61) e di anonimo (pag. 64)

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Bibliotheca Lamiarum Prende forma definitiva a partire da questo numero la rubrica fissa di recensioni di libri che in qualche modo possono rientrare nel nostro campo di interessi. Quindi se avete libri da segnalare, vostri o che avete letto, fatelo: mandateceli o spediteci le vostre recensioni, saremo ben lieti di pubblicarle. Mi raccomando, segnalateci anche il prezzo, perché il potersi regolare anche in quest’ambito, oggi non è cosa da poco. Aa. Vv.: Racconti Gotici (2 vol.) Oscar Classici Mondadori, £ 24000. Si tratta di una bellissima raccolta di racconti scritti tra il 1764 e il 1838, dunque in piena fioritura della cosiddetta “letteratura gotica inglese”, di cui si conoscono soprattutto le opere maggiori, e cioè i romanzi di Walpole, Radcliffe, Lewis, Maturin e Mary Shelley. Il merito di questa antologia è invece quello di soffermarsi su episodi minori, ma non per questo meno interessanti e riusciti, di questi stessi autori e di altri per lo più sconosciuti al pubblico italiano. Pertanto a parte i due romanzi straconosciuti (e ipertradotti) “Il castello di Otranto” di Walpole e “Il vampiro” di Polidori, troviamo delle chicche imperdibili come il famoso frammento di Byron composto durante la “notte d’incubi” del 1816 sul lago di Ginevra, oppure due racconti inediti di Mary Shelley, uno di Maturin e il bellissimo L’anaconda di Lewis (già edito da Theoria). Si prosegue poi con autori altrettanto famosi come Scott, Ainsworth, Bulwer-Lytton, De Quincey, i cui racconti mettono in evidenza come in epoca ormai romantica ci fossero ancora seguaci e continuatori delle atmosfere e delle suggestioni gotiche, per finire con scrittori meno noti come Curtis, Maginn, Mudford e Hogg, altrettanto efficaci continuatori di un genere destinato ad evolversi e sopravvivere alla legge del tempo. (Mircalla) Aa. Vv.: Storie di Streghe Tascabili Economici Newton, £ 1000. Si tratta di una raccolta di quattro racconti di autori di lingua inglese, operanti negli anni ‘20, ‘30 e ‘40 nell’ambito della narrativa fantastica, che pubblicarono per lo più su riviste specializzate come l’ormai mitica “Weird Tales”. Tutte le storie vedono protagonista una figura di donna, che può prendere di volta in volta le fattezze di una vecchia laida dai magici e terribili poteri, oppure di una giovane fanciulla dall’ammaliante fascino, o ancora di antiche dee egizie e orientali capaci di condurre gli uomini alla perdizione. Tutti i racconti sono di buon livello, ma mentre alcuni, come La stanza della strega e L’evocazione mostrano un forte debito nei confronti dei temi e delle atmosfere alla Lovecraft, altri invece si distinguono per una maggiore originalità artistica (Progenie di strega e Sekmeth). (Mircalla) Aa. Vv.: Non solo con il rasoio. 17 racconti horror scritti da donne Mondadori, £ 14000. Interessante raccolta di racconti inediti di sole scrittrici contemporanee di lingua inglese. Non tutti i racconti sono allo stesso livello perché mi pare che denuncino un po’ troppo il fatto di essere stati commissionati, e a volte pare manchi loro la spontaneità tutti tesi come sono a volere dimostrare che anche le donne possono cimentarsi con valore in un certo tipo di letteratura (un po’ stucchevoli sono le postfazioni delle autrici ad ogni racconto, che ne spiegano la genesi). Ma comunque piccoli capolavori come Parafulmine di Melanie Tem, o Anzac Day di Cherry Wilder, o Hantu-hantu di Anne Goring valgono da sole l’acquisto del volume. (Manfred) Dario Argento: Profondo Thrilling Newton Compton, £ 6900 La Newton Compton ristampa la versione romanzata dei primi tre film di Argento, pubblicata per la prima volta nel 1976 da Sonzogno per la cura di Nanni Balestrini, aggiugendovi nientemeno che Profondo Rosso (scritto da Nicola Lombardi) e Tenebre (scritto da Luigi Cozzi). Certo, rendere in parole i deliri d’immagine di Argento è cosa difficilissima se non impossibile, ma bisogna dare atto agli autori di averlo fatto nella maniera migliore. Un libro che chi ama il Maestro non può non avere, anche per la postfazione firmata da lui même, che è poi quella presente nella prima edizione con alcune aggiunte. (Manfred) Jackie Askew: Sundown Sunrise NightShade Publications, 1993. I componenti dei Black Night Sades, band gotica in tour in Transilvania, una notte simularono per gioco un rito di evocazione dei defunti su una tomba. Così Otto Csabor torna in vita dopo più di duecento anni sotto forma di vampiro. Egli si risveglierà sulla costa inglese, dove è finito dopo un naufragio, ed inizierà a viaggiare alla ricerca di Damien Diavolo, cantante e leader dei Black Night Shades, con cui Otto sente di avere dei legami, anche se non riesce a capire di cosa si tratti. Otto trasforma in vampiri alcuni gotici, sperando che lo aiutino a trovare Damien ed a districarsi tra le novità del mondo moderno. Insieme ai suoi compagni fonda il Black Calice Club, un locale dove tutti loro potranno nutrirsi del sangue di inconsapevoli donatori. Proprio lì avverrà l’incontro con Damien, ma la sua tramutazione in vampiro segnerà l’inizio delle sventure dei nostri. Il libro scorre veloce, bilanciatamente diviso tra immaginario vampirico e descrizioni della scena gotica inglese e londinese in particolare. Oltre che nell’ambientazione insolita Sun Down Sun Rise ha il suo punto di forza nella descrizione, brevi, ma molto realistiche e crude dei compagni che via via si uniscono ad Otto, scritte con uno stile quasi bucowskiano. Chiunque sappia l’inglese può ordinare questo libro, un riuscito amalgama tra fiction e realismo, inviando 7.25 sterline direttamente all’autrice: (vaglia pagabili a Jackie Askew!). Jackie Askew c/o Night Shade Pubblications P.O. BOX 61 F Chessington Surrey KT9 1YQ. (Nathalie C.) Paolo Di Orazio: Prigioniero del buio Granata, £ 16000. L’Uomo Nero esiste, e vive nell’isola di Scogliera. E mangia i bambini. Davvero. E ne lascia i resti dilaniati sulla spiaggia, al centro di un cerchio di sabbia vetrificata. Di questo parla Di Orazio nel suo primo romanzo lungo. La sua scrittura è tutta d’effetto, psichedelica, delirante, tutta immagini flash, violenta e macabra a volte al limite del sostenibile. E forse qui sta il limite più evidente: che sotto tutto questo accumulo d’effetti è difficile trovare la vera sostanza dell’insieme. Ma se amate lo splatter punk o il Clive Barker più efferato o -per rimanere in un ambito più classico- le pagine più forti di Herbert, questo libro non può mancare nella vostra biblioteca. (Manfred) Valerio Evangelisti: Nicolas Eymerich, inquisitore Mondadori, Urania n° 1241. £ 5000 Ma come, un Urania su Ver Sacrum?!? Certo, innanzi tutto perché questo libro è un capolavoro. Poi perché il personaggio di Nicolas Eymerich, inquisitore nella Spagna del dopo peste del 1348, con il suo mondo mistico, oscuro e violento è degno di entrare nelle fila dei grandi personaggi della letteratura gotica. La vicenda, montata come un film, si dipana su tre diversi piani temporali (passato, presente, futuro) e tiene inchiodati alla lettura fino alle ultime intense pagine dove i tre piani convergono e l’ingegnoso mistero viene finalmente svelato in un delirante finale da kolossal. Sorprendente. (Manfred)

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Lucio Fulci: Le lune nere Granata, £ 16000. Uno dei grandi maestri della Paura cinematografica ci regala questa raccolta di 10 interessantissimi racconti. Tutte le tematiche care al Fulci regista tornano in queste storie veloci, tese e violente: il buio, la paura, la morte, la violenza, lo splatter. Ma forse i vertici di questo libro sono due racconti che propriamente horror o puramente fantastici non sono: l’agghiacciante e cinico Contestazione ed il bellissimo e struggente Uomo di guerra.. Bravo, caro maestro Lucio. (Manfred) E.T.A. Hoffmann: Gli elisir del diavolo Grandi Tascabili Economici Newton, £. 3900 Il problema toccato da Hoffmann negli Elisir è quello dello “status” del soggetto nel mondo moderno; i temi ripresi dalla tradizione del romanzo gotico europeo servono a Hoffmann da semplici spunti per raccontare la storia di un Io privo di un centro di gravità e abbandonato al flusso dell’esistenza. Egli per un verso è indotto a utilizzare i risultati dell’antropologia e della psicologia tardoilluministiche e romantiche, per un altro è spinto a varcare i limiti che il Romanticismo aveva cercato di dare alla propria nuova concezione di soggetto. Il romanzo appare come una autobiografia nella quale Medardus, il frate protagonista, scrive la storia della sua vita nel tentativo di rintracciare un ordine o un significato all’interno di essa. Nel fare questo egli compone una sorta di romanzo di formazione che fa da contenitore a una fitta trama di misteri che Hoffmann recupera dal romanzo gotico, sfruttando il bagaglio di immagini ed elaborando almeno tre fonti principali: Il “Monaco” di Lewis, “Il Genio” di Carl Grosse, “Il Visionario” di Schiller. Medardus è il protagonista ideale di un nuovo tipo di narrazione gotica nella quale l’orrore è concepito e percepito non solo come realtà oggettiva, ma come risultato di fatti reali e fobie soggettive. Gli Elisir sono un romanzo costituito di “materiali mitologici” e costruito dalla sovrapposizione di almeno due figure archetipe: Faust e Don Juan. Il Faust hoffmanniano, così come il Don Giovanni, è caratterizzato da una incontenibile brama di successo e di potere, e l’intero romanzo si incentra sul tentativo di Medardus di innalzarsi al di sopra del caos degli eventi e di recuperare l’integrità dell’Io attraverso il mito. Egli deve trascendere la propria natura umana per poter salvare il suo Io dalla dispersione: deve potersi identificare con un’entità mitica per poter aggregare intorno ad essa le parti in conflitto della sua anima, ma alla fine ritroverà la sua identità solo assoggettandosi alla sua sorte e accettando di adempiere al suo compito di umile servitore dell’armonia universale. (Carmilla) Richard Kieckhefer: La magia nel Medioevo Editori Laterza. R. Kieckhefer, insegnante di storia e letteratura delle religioni alla Northwestern University di Evaston, Illinois, è l’autore di questa interessante opera, edita in Italia dalla Laterza, in un edizione davvero elegante. Il tema conduttore, come si può dedurre dal titolo, è la magia, inserita in un contesto storico, il Medioevo, epoca durante la quale questa diviene tradizione, cultura comune, punto di convergenza tra letteratura e scienza. Un intero capitolo è dedicato alla magia nell’antichità, utile introduzione al tema (i seguenti trattano il periodo 5001500 circa). Vengono citati, tra gli altri, Plinio il Vecchio (e la sua “Storia Naturale”), i neoplatonici, la Bibbia (miracoli quali resurrezioni, guarigioni...), S. Agostino. I capitoli successivi trattano, di seguito, della magia nella cultura scandinava, di guaritori, indovini, divinazione, della magia nelle corti medievali, nella cultura araba, di scienze occulte, negromanzia. L’ultimo capitolo è dedicato ai procedimenti giudiziari ed a una lunga sequela di processi e condanne di stregoni e soprattutto streghe (il “Malleus Maleficarum” è un esempio di trattato di stregoneria dichiaratamente misogino), agli arresti ed esecuzioni di massa. Testo scorrevolissimo, corredato da splendide illustrazioni dalle esaurienti didascalie, da precise note e da una ricca bibliografia, è un’utile “introduzione” alla storia della magia, opera fondamentale per tutti coloro che vogliono approfondire questo interessante argomento. “...quando uno viene iniziato alla setta, dopo che egli ha giurato fedeltà e reso omaggio, il Diavolo prende un certo strumento e cava sangue dalla mano sinistra del traviato. Quindi il diavolo scrive con questo sangue un documento, che egli tiene per sé...”. (Hadrianus) Fleur Jaeggy: La paura del cielo Adelphi, £ 20000. Questa grande e misconosciuta scrittrice svizzera ci dona sette storie buie, oniriche e violente in cui la realtà è analizzata attraverso una lente di febbricitante delirio, rifratta dai cristalli di un gelido e sardonico terrore. Una prosa ostica, singhiozzante, sussultante, tutta punteggiatura e cesure. I tempi verbali intercambiabili, rifiuto della consecutio. Vite che si consumano in tre-quattro pagine, racconti non d’orrore, ma sull’orrore della vita. Leggetelo ad alta voce, ne scoprirete la grande potenza sonora. E la Musica non è naturalistica. (Manfred) Nicola Lombardi: Ombre. 17 racconti del terrore Edizioni artstudio C Ferrara, £ 10000. Nicola Lombardi ha la capacità di raccontare cose terrificanti con la levità di un danzatore classico. Questo libro copre la produzione del giovane autore dal 1983 al 1989; nume tutelare di Lombardi è la musa dei grandi autori classici di terrore e ghost stories: Bloch, Bradbury, James questi sono alcuni dei nomi intravvedibili in filigrana, e scusate se è poco. Una scrittura piana e classicheggiante dunque, di ampio respiro, ma illuminata da un personale ed attualissimo gusto per l’immagine tutto cinematografico (vorrei ancora una volta ricordare l’attività registica di Lombardi). Diciassette racconti dove a predominare è quel periodo misterioso e violento della nostra esistenza che è l’infanzia , diciassette gioielli (in qualche caso acerbi, ma non meno affascinanti) di godibilissima lettura. Un consiglio: cominciate dal terrificante L’ombra di Kate e non riuscirete più a staccarvi dal resto del libro. Per avere il libro: o recarsi presso “Profondo Rosso” in via dei Gracchi 266 a Roma o telefonare a Nicola Lombardi, sempre presso “Profondo Rosso”, tel. 06/3211395. (Manfred) Paola Masino: Monte Ignoso Il melangolo, £15000. Incuriosita da una recensione letta sulla “Talpa” del “manifesto” che lo definiva come uno dei pochi e misconosciuti romanzi gotici della letteratura italiana, sono corsa in libreria ad acquistare questo libro e ad immergermi nella lettura. Il romanzo fu scritto nel ‘33 da un’autrice nota per lo più per opere di carattere protofemmini-

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ste risalenti al periodo a cavallo della seconda guerra mondiale. Ma questa è tutt’altra cosa: è orrore, violenza, follia ed erotismo mischiati in un insieme unico e raro. I colori sono cupi, oscuri, volutamente notturni, le emozioni forti, estreme, brutali e mistiche al tempo stesso. Il linguaggio è quasi avanguardistico nella costruzione spezzata, singhiozzante, estremamente concisa, che giustamente ha fatto pensare a “spezzoni di cinema nero”. E infine c’è il soprannaturale e il gusto fantastico, sotto forma di spettri che fuoriescono dai quadri e si impossessano della vita e del destino dei protagonisti, come nella più pura tradizione del romanzo gotico; ma qui in realtà è possibile ritrovare insieme echi che vanno dalla Radcliffe a Hoffmann e Wilde, da Verga a D’Annunzio e Pirandello più altro ancora. (Mircalla) Gustav Meyrink: Racconti agghiaccianti Tascabili Economici Newton, £ 1000. Esoterismo e letteratura si intrecciano nella vita dello scrittore austriaco Gustav Meyrink (il cui vero cognome era Meyer), nato a Vienna il 19/1/1868 e morto a Stamberg, presso Monaco di Baviera, il 4/12/1932. Tutti i suoi scritti (cinque romanzi e quattro raccolte di racconti) disegnano una specie di immagine simbolica del cammino lungo la “via del risveglio”: l’itinerario, cioè, che percorre l’adepto per superare, in vita, la condizione umana, e riaccendere la scintilla divina presente in ciascuno di noi. I romanzi scritti da Meyrink sono: Il Golem (1915), Il volto verde (‘16), La notte di Valpurga (‘17), Il domenicano bianco (‘21), L’angelo della finestra d’Occidente (‘27). Nella prima fase della sua attività di narratore Meyrink preferì rivolgersi ai racconti. Sono scritti in uno stile asciutto ed essenziale, nei quali ogni parola è tesa alla rivelazione dell’orrore che fermenta al disotto di un comportamento in apparenza normale: sotto ogni anormalità palese se ne nasconde una ancora più grande, più atroce, tale da sconfinare nell’inverosimile e nell’assurdo. (Carmilla) M.R. Rilke: Danze macabre Tascabili Economici Newton, £ 1000. Questi racconti, che furono scritti dal giovane Rilke alla fine del secolo scorso, sono espressione dell’ambiente praghese di lingua tedesca e hanno un forte carattere autobiografico: essi esprimono le paure, le angosce, i disagi del loro giovane autore. In quest’opera non vanno ricercare parole di saggezza eterna, ma i turbamenti di chi cerca faticosamente la propria identità nel tentativo di affrontare i grandi temi esistenziali in termini nuovi, legati a realtà sotterranee e con immagini tratte dal mondo onirico-fantastico. Questi racconti si collocano all’interno della liberazione di Rilke dai complessi rapporti biografici, psicologici e culturali che lo legavano a Praga. Essi rappresentano una palestra in cui il giovane autore cerca di sperimentare temi e linguaggi nuovi, e l’atmosfera naturalistica del periodo viene lacerata da elementi fantastici, magici, tetri. (Carmilla) Raffaello Scatasta: Streghe a fuoco Transeuropa, £12000. Vi segnalo un bel libretto di testi e fotografie di “donne e sibille”, personaggi femminili della letteratura contemporanea, più o meno noti, vecchie e giovani, che raccontano la loro condizione di streghe, tramite poesie, pagine di diario, riflessioni. E’ un ripercorrere il filo della memoria alla ricerca di una condizione perduta, di una saggezza antica, di un mondo in cui la cultura femminile era ricca di sortilegi e magie buone. Alle parole delle protagoniste si alternano poi piccoli racconti fotografici basati su immagini di “streghe” prese dalla strada, anonime, ma proprio per questo ancor più adatte a mettere a fuoco un mondo che la “caccia” e il “fuoco” hanno certamente sconfitto ma non cancellato. (Mircalla) Gli sfondi di pag. 65 e 67 sono di Antonio Biella

Lanterna Magica Ancora una rubrica fissa di recensioni e segnalazioni cinematografiche. Anche in questo caso vale l’invito a collaborare recensendo e segnalando film che abbiano per noi un qualche interesse. Vi aspettiamo... Il Corvo (The Crow, USA 1994) di Alex Proyas con Brandon Lee, Ernie Hudson, Michael Wincott. L’aggettivo più aderente a questo film fin troppo strombazzato è forse technogoth; atmosfere gotiche e decadenti in un contesto tecnologico (stile Batman di Tim Burton, per intenderci). Il lavoro presenta anche alcuni elevati momenti di tecnica cinematografica (di stile dico, non di sfoggio di effetti), altri persino poetici e commoventi, ma il tutto immerso in un brodo di coltura troppo americano. Niente di che anche il celebrato uso delle musiche (in quanto a questo Argento ha vent’anni di anticipo, e con ben altri risultati). Tutto sommato un piacevolissimo film d’azione con velleità autorali, ma non il film dark e romantico del secolo. E poi, a pensarci bene, tutta la vicenda di Lee sostituito dalla computer graphic ha un che di raccapricciante. La Regina Margot (“La Reine Margot”, Francia 1994) di Patrice Chéreau con Isabelle Adjani, Virna Lisi, Jean-Hugues Anglade, Asia Argento. Chéreau ha tratto dal romanzo di Dumas un film bellissimo. La fotografia cupa e spettacolare, i costumi sontuosi, la ricchissima scenografia, gli straordinari volti degli attori (la stupendamente marmorea Adjani e la nosferatiana Lisi in primis) sono le fondamenta su cui poggia questo delirio mascherato da romanzo storico, questa storia fatta di buio, morte, sudore, sperma, sangue e carne. La macchina non ha mai quiete e serra particolari ravvicinati e nevrotici, raccoglie bisbiglii, mani che si toccano in continuazione, corpi che si desiderano o respingono, bocche frementi. L’Estremo è il protagonista ultimo di questa opera: un’opera romantica. Wolf, la bestia è fuori (“Wolf”, USA 1994) di Mike Nichols con Jack Nicholson, Michelle Pfeiffer. Beppino Rotunno alla fotografia, Ennio Morricone alle musiche, Rick Baker al trucco e agli effetti speciali: cotanto esercito mobilitato per un film che, se parte con l’interessante intuizione di omaggiare i film horror americani degli anni ‘40 (film di trucco, non d’effetti) e all’inizio quasi ci riesce, poi diventa un quasi insopportabile pistolotto holliwoodiano contro l’avidità , la ricchezza, l’arrivismo e chi più ne ha più ne metta. Ossimorico, vero? Tres irmaos (Portogallo 1994) di Teresa Villaverde con Maria de Medeiros, Marcello Urgeghe, Eugeni Sidihin, Laura del Sol, Mireille Perrier. Splendido secondo lungometraggio di questa giovane regista portoghese, visto ad Europa Cinema ‘94. Un noir spietato, violento, eccessivo, cinico, stralunato; cattivo ed ingiusto come solo la Vita sa esserlo. Superba prova di attrice di Maria de Medeiros (la vedremo anche in Pulp Fiction...grande Quentin!) che dà vita ad uno dei più strani ed inquietanti personaggi femminili visti sul grande schermo. La Tragedia del Quotidiano. La speranza è quella di vedere questo film al più presto doppiato e distribuito in Italia.

Manfred

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Racconti di streghe Si tratta di tre racconti (da noi tradotti in italiano) facenti parte dell’antologia “Tales of Witches & Sorcery” che raccoglie storie e leggende inglesi di stregoneria dal Medioevo fino ai tempi moderni, edita in Gran Bretagna da Chancellor Press nel 1993.

La strega di Caerwys Dopo la metà del diciottesimo secolo non era più possibile che fossero puniti nei tribunali coloro che praticavano fatture e stregonerie. Ma molto dopo il 1736, quando la giustizia veniva temperata con la razionalità, gli abitanti del rurale Galles spesso si impadronivano della legge. Crudeli rappresaglie come la lapidazione, il linciaggio, la messa al rogo non erano sconosciute. Il piccolo villaggio di Caerwys si trovava ai piedi della foresta posta ad est della Valle di Clwyd. E là, in una rudimentale capanna di legno da lungo tempo abbandonata dai boscaioli, viveva una magra donna che si era allontanata dalla società. Durante il giorno era stata spesso vista vagabondare lungo le strade della collina e le vie del villaggio. Ma cosa facesse dopo il tramonto rimaneva un mistero. Alcuni dicevano che si incontrava con il Diavolo nel cimitero presso la chiesa. Quando si avvicinava, le porte le venivano chiuse in faccia e la gente la spiava dalle finestre per vederla andare via. “Strega cenciosa! Miserabile megera!” gridavano i più sfrontati fanciulli per tormentarla. E quando lei si fermava a guardare fisso le madri chiamavano i più piccoli dentro casa e la scacciavano via con pietre. Ammaccata e amareggiata, la povera donna allora si avvolgeva nello scialle e ritornava indietro nella foresta, covando nella sua testa piani di vendetta. Di notte sedeva presso il fuoco, alimentando le sue ingiurie e brontolando alle fiamme. Non passò molto tempo che gli abitanti di Caerwys furono turbati dagli strani fenomeni che accadevano nelle loro case. Fredde correnti d’aria alimentavano le fiamme cosicché il fumo fluttuava fuori dai camini. Lampi di luce si accendevano tremolanti e poi si spegnevano lentamente, lasciando i fanciulli a piangere nel buio. Paurosi incubi li risvegliavano dal sonno. “E’ la donna che viene dalla foresta!” gridò una madre arrabbiata. “Ci ha fatto una maledizione!”. Nastrini rossi furono legati sui letti dei fanciulli. Petali di fiori di sambuco furono sparsi sulla soglia. Ma nessuno dei loro amuleti poté spezzare l’incantesimo. In tutte le ore della notte i più giovani gridavano nell’oscurità, raccontando di dita fantasma che strappavano con tutte le forze le loro lingue, e di cuscini pressati in fretta sulle bocche per soffocare i pianti. E mentre il tempo passava avevano paura di chiudere gli occhi. Sperando di vedere una fine ai loro problemi, un gruppo di abitanti del villaggio andò alla capanna di legno che si trovava nella foresta. Ma la porta della donna era chiusa con un catenaccio e dentro lei attendeva silenziosamente che se ne andassero via. Poiché la maledizione non veniva meno tornarono a cercarla molte volte nel timore che il tormento non avesse mai fine. Ma ogni volta il loro viaggio era infruttuoso. La donna si nascondeva nella foresta oppure ridacchiava della loro pena da dietro la sua porta chiusa col catenaccio. Né la loro collera né la loro supplica poté persuaderla a togliere l’incantesimo. Fu una vecchia nonna del villaggio che dette fuoco alle polveri. “La sua maledizione non potrà giammai raggiungerci fuori dalla tomba” disse. 68


Così una notte un gruppo scelto compì il suo ultimo viaggio alla capanna della donna. Dai boschi raccolsero ramoscelli e rami caduti che ammucchiarono davanti alla sua porta. Quindi vi misero sopra una torcia e guardarono le fiamme che si innalzavano. Il cielo era ardente e i boschi riecheggiarono di urla di terrore.

Il mistero del bosco di Hagley Il bosco di Hagley si trova a circa mezzo miglio dalla strada che va da Kidderminster a Birmingham. E’ un luogo tranquillo, situato nella tenuta di Hagley Hall di proprietà di Lord Cobham, e molto noto come ritrovo degli innamorati. Gli storici locali raccontano che nei tempi andati alcune congreghe di streghe e di adoratori del Diavolo vi si riunivano all’ombra delle colline di Clent. Era ormai il crepuscolo di una sera d’estate quando un giardiniere della tenuta, finito il lavoro tornava a casa lungo il percorso attraverso la foresta, pensando alla cena che lo aspettava. Non sapeva che il primo giorno di Agosto coincideva con la festa di Lammas - la vigilia del giorno delle streghe di Lugnasadh secondo il vecchio calendario celtico. Mentre stava passando attraverso il centro della foresta trasalì nel sentire un grido che proveniva da lì vicino. Il suono fece zittire gli uccelli e lo spinse a fermare il suo cammino per ascoltare e guardarsi attorno. Un momento dopo accadde di nuovo - sentì il penetrante grido di qualcuno in preda al terrore. Sebbene egli cercasse di guardare attraverso gli alberi non vide nessuno. Per molti minuti ancora aspettò lì, e poi continuò il suo viaggio camminando in modo più guardingo lungo il percorso battuto. Ma ora il bosco era di nuovo calmo. Quella stessa notte riferì l’accaduto agli amici presso la locale osteria, e più tardi condusse un gruppo di abitanti del villaggio nel posto dove aveva udito urlare, dal momento che proprio quella mattina una giovane donna di Halesowen era partita da casa e non era tornata con l’avvento della notte. Ma lì non c’era nessun indizio evidente riguardo alla giovane fanciulla, ed essi non sentirono nulla di più allarmante del grido di un barbagianni. Per tutto il giorno seguente i vicini continuarono l’indagine, ripercorrendo i passi del giardiniere, perlustrando i boschi punto per punto. Ma, sebbene la vicenda fosse stata riferita ai magistrati locali e in seguito fossero stati organizzati gruppi di ricerca, la fanciulla scomparsa non fu ritrovata. Trascorsero due estati e la sua sparizione rimase un mistero. Poi, un pomeriggio, mentre passeggiavano nei boschi, due giovani fanciulle del villaggio si fermarono per riposarsi sotto ad un olmo. In mezzo alle foglie cadute trovarono ciò che dapprima pensarono fosse l’artiglio di un’aquila. Invece, ad una più accurata ispezione, scoprirono, con profondo orrore, che si trattava delle ossa di una mano con le due dita mediane spezzate. Mentre cercavano attorno, un’altra macabra visione si rivelò loro. Nel tronco cavo di un albero trovarono uno scheletro umano incastrato dietro la corteccia e crudelmente nascosto tra un mucchio di foglie secche e di felci. Le braccia erano ritorte grottescamente sopra il cranio, e frammenti putrefatti dei vestiti rimanevano ancora attaccati alle ossa. Le ragazze fuggirono urlando dalla foresta, non sospettando di aver scoperto una vittima delle streghe e degli adoratori del Diavolo, per i quali la mano umana era un feticcio molto ambito.* Questo macabro amuleto, spesso staccato dal corpo di un assassino impiccato in decomposizione sulla forca, veniva puntato alla ricerca di un tesoro sepolto, contro nemici mortali o a volte per tenere a bada spiriti maligni. Quella notte le lampade rimasero ad ardere a lungo dopo che divenne buio, e gli abitanti si riunirono tutti insieme, chiedendosi chi mai H. Baldung Grien: Le Streghe, 1510

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potesse essere il colpevole. Tra loro, lo sapevano, c’era qualcuno le cui oscure azioni dovevano essere portate alle luce, e il cui ben nascosto segreto doveva essere rivelato. Il mattino seguente davanti alla porta di entrambe le ragazze fu trovato un cerchio fatto di ramoscelli di tasso e di schegge di pietra. Ed esse seppero bene come interpretare questo segnale di avvertimento - non parlando mai più di ciò che avevano trovato nella foresta, altrimenti le loro lingue sarebbe state fatte tacere per sempre. *Molto tempo fa, storie sulla “Mano Magica” o “La Mano della Gloria”, erano molto diffuse in Europa, Africa e nelle zone voodu delle Indie Occidentali.

Lo scavafosse C’era una volta uno scavafosse di Llansadwrn che un giorno alzò gli occhi dal suo duro lavoro ed ebbe la visione di una donna che si aggirava furtivamente tra le tombe. Dove c’erano dei fiori sulle bare lei li raccoglieva in tutta fretta e li metteva dentro il suo cesto. Per i suoi capelli arruffati e i vestiti laceri appariva simile ad una zingara vagabonda. Era probabile immaginare che prima che il giorno finisse lei sarebbe andata a bussare di porta in porta, vendendo violette e asfodeli agli abitanti del villaggio. Con un grido, lo scavafosse agitò la sua pala per farla andare via. Ma la donna lo fissò, gli mormorò un’imprecazione, e continuò il suo furto. Anche quando le si avvicinò rimase ferma con gli occhi fissi su di lui. “Non c’è nessuno qui che possa vedere il colore dei fiori o odorarne il profumo, perché sono tutti morti” disse lei aspramente. “Ed io ho dei bimbi piccoli che non hanno nemmeno una crosta da mangiare”. Ma lo scavafosse non ebbe comprensione per i suoi problemi. Non aveva bambini e il suo cuore era freddo come quello di una tomba di pietra. Le afferrò il cesto e gettò indietro i fiori che ricaddero sulle tombe. Poi la trascinò fino ai cancelli del cimitero e la cacciò. Da una certa distanza lei lo fissò al di sopra delle spalle. I suoi occhi scintillavano e le sue labbra si contorcevano con odio. “Vai, scava un profondo giaciglio per te stesso” gli gridò. “Tu non vedrai la luna d’autunno. Prima che i fiori estivi si siano seccati, un cumulo di terra ricoprirà la tua bara!”. I giorni passavano, e molte volte egli vide la zingara fuori dalle mura del cimitero. Ma mai ella si avventurò oltre il cancello. “Scavafosse”, egli ogni tanto la udiva gridare, “non ti rimane molto tempo per scavarti la fossa. L’estate sta finendo!”. Una mattina, mentre era preso dal suo lavoro in un angolo del cimitero, fece una pausa per stirarsi la schiena che gli doleva e per riposarsi all’ombra di un albero di tasso. Fu li che notò un sacchetto di tela di fattura grezza che pendeva da un ramo. Era tenuto sospeso da un pezzo di corda che lo chiudeva con forza. Quando lo slegò vi trovò nascosto all’interno il più bizzarro assortimento. C’erano chiodi di bara e schegge di marmo e qualche moneta annerita dall’età. Questi oggetti si trovavano in mezzo a ciocche di capelli ed erbe che profumavano di muschio. Lo scavafosse non si rese conto di essersi imbattuto nella borsa magica della strega, lasciata lì per imprigionarlo in uno spaventoso incantesimo. Quella notte i grilli stridirono intorno alla sua casa, e un gallo cantò nella notte - sicuro presagio del fatto che l’angelo della morte stava chiamando. E l’angelo non chiamò invano. Lo scavafosse si ammalò improvvisamente. Prima della fine dell’estate giaceva sepolto nel cimitero. Non c’era nessuna pietra a segnare la sua fossa, e mai ci furono fiori a ricordare la sua morte. traduzione di Mircalla 70


(continua dalla 2a di copertina) e tante recensioni il tutto presentato con una grafica molto curata e accattivante. Il costo è di 30 FF più s.p.. Scrivete a: Necro Spiritual, BP 46, 06240 Beausoleil, Francia. Nel n° 5 di Neogothic trovate interviste a Blooding Mask, The House of Usher, Exù, Collection d'Arnell-Andrea, Motor-Psycho, Kirlian Camera, Mlada Fronta. Recensioni di demo, cd e concerti dark (e non solo). Angoli di letteratura (D'Annunzio) e cinema (lo splatter movie "Nekromantik"). E' disponibile anche la raccolta di poesie realizzata da Neogothic "Voci nell'oscurità". Per ricevere il umero inviare £ 6.000 (con raccolta) o £ 5.000 (senza) s.p.i. al sempre più mitico Alessandro Fabianelli, via Imola 1, 40128 Bologna. Ciao Bulbo! Come fenice dalle ceneri rinasce Dusk Memories col nome di Marble Moon! Nel primo numero interviste con In Mitra Medusa Inri, Frozen Autumn, Exù, Eternal Afflict, Thelema, A Sacris, Swan Death, Into the Abyss. Retrospettive con Voices e cold wave francese. In più tantissime recensioni. Speciale sulla compilation "Intimations of Immortality". Inviare £ 7.000 s.p.i. a Davide Morgera, via Manzoni 9, 80019 Qualiano (NA). E' uscito il n° 5 di Primordia semestrale di esoterismo, cultura magica e tradizioni primeve, con articoli sulla Metafisica delle Vette in J. Evola, il Chaos Magick, il complotto del Tripode Magico, la Montagna Cosmica, rubriche e recensioni. Inviare £ 6.000 s.p.i. a CISB, CP 10944, 20124 Milano. E' in uscita anche Keltik edita sempre dal CISB e dedicata alla tradizione celtica e al folklore. Per chi ama mescolare la musica non convenzionale a suggestioni storiche, poetiche, esoteriche ... ascoltate Indigo, su Onde Furlane mercoledì ore 22, frequenze 90 e 100.8 MHz. Eccesso e atroci oscurità, fondamentalismo religioso e controcultura rivoluzionaria: è uscito Dura Crux. Il 1°numero contiene intervista ad un arcivescovo sulla pedofilia nella Chiesa, le sante verità sull'odio, il divorzio nel medioevo, introduzione all'Alchimia, recensioni musicali, orrori assortiti e ricette culinarie! Collaborano Don Alexio, A.G. Volgar (Deviate Ladies) Davide Elle (Requiem). Invitano gruppi religiosi e politici, bands e mail- artists a contattarli. Inviare £ 5.000 s.p.i. a Davide Levorato, via Carrer 55/1, 30173 Mestre (VE) Fight Amnesia è un bollettino trimestrale scritto in inglese pieno di recensioni e imperdibili contatti sulla scena underground (gothic e non solo) di tutto il mondo. L'ultimo numero è di 36 pagine fittissime di notizie. Il redattore è Janis degli Into the Abyss che distribuisce Fight Amnesia al prezzo di costo! Per abbonarsi inviate 7 coupon IRC: riceverete in omaggio una compilation su K7 di 100 minuti. Into the Abyss, Alicenstr. 27, D-64293 Darmstadt, Germania. Dalla Francia viene una nuova fanzine che tratta di musica gotica con un occhio di riguardo per i gruppi più sperimentali della scena. Si chiama Tourments Eternels e nel suo primo numero, oltre a tantissime recensioni, figurano interviste a Kirlian Camera, Lucie Cries, yelworC, Corpus Delicti, Brighter Death Now, .... Il prezzo è di 25 FF più s.p.. E' scritta in francese. Scrivete a Julien Pereira, 7 rue des raisins blancs, 57159 Bronvaux, Francia. Erebus Rising è una nuova associazione che mira allo studio del concetto di vampirismo come realtà, esaminando il problema dal punto di vista religioso, filosofico, medico, culturale, etc. Ogni anno verranno prodotti 3 numeri in formato A4 del bollettino. Le ammissioni all'associazioni saranno strettamente selettive ma tutti possono abbonarsi alla rivista ad un costo di 1O sterline (vaglia da intestare a Donna Crow). Erebus Rising, Highfield House, 27 Little Green Lane, Farnham, Surrey GU9 8TF, UK. (P.S.: Dark Kisses to our bloodsister Donna). E' uscito il n° 0 di Arkham, una fanzine alternativa di narrativa, critiche, recensioni e fumetti. In omaggio troverete un libretto di racconti di H.P. Lovecraft. Inviare £ 3.000 s.p.i. a Davide Malandrino, viale Milazzo 140, 95041 Caltagirone (CT). 19 anni, culturalmente schizofrenico così tanto da amare le vecchie fabbriche e le contorsioni melodiche di P.J. Harvey, il cinema espressionista tedesco e i Joy Division ... cerco individui con simili disfunzioni culturali nella zona di Venezia per scambio di esperienze e impressioni, epistolari e non. Tullio Padovese, via Calucci 31/A, 30174 Venezia - Mestre. La Uncharity Search Society, in Francia, sta organizzando una compilation sul tema del Vampiro. I gruppi interessati contattino al più presto Fabrice Prost, 7c rue de Ripley, 39000 Lons Le Saunier Francia (tel. ++ 84433291). E’ disponibile il video del concerto di Rozz Williams a Roma (15/11/’94) al prezzo di £ 25.000 s.p.i. (durata 90’). Rivolgersi a Massimo Moscato, cvz Gianicolense 314, 00152 Roma (tel. 06/58230484). Net Informer è la più aggiornata finestra sul mondo della Mail-Art, del situazionismo, del Networking e degli eventi culturali alternativi. Inviare per una copia £ 1.000 in francobolli o £ 5.000 per abbonamento a 5 numeri c/o Andrea Ovcinnicoff, vico di Coccagna 1/3, 16128 Genova.

Abbonamento e iniziative

E' possibile abbonarsi a VER SACRUM per un anno (3 numeri) al costo complessivo di £ 18.000 (con un risparmio di £ 3.000). Gli abbonati avranno la possibilità di acquistare a prezzi scontati le nostre future produzioni e saranno tenuti al corrente di tutte le iniziative. A Marzo uscirà finalmente l'antologia di racconti e liriche nero-gotico-fantastico-surreali dal titolo "Oscure Malie". Le pagine saranno corredate da illustrazioni originali. Sempre nello stesso periodo vedrà la luce la compilation su K7 coprodotta insiema ad Apathya e Neogothic. Fra i gruppi partecipanti figurano Ataraxia, Corpus Delicti, Cries of Tammuz, Deviate Ladies, Ermeneuma, Exù, Fear of the Storm, Futhark, The House of Usher, In My Rosary, Lucie Cries, Nigredo, Simon Dreams in Violet, Smallpeek, Tombstone, Wasteland. 71


Per tutte coloro che morirono dopo essere state denudate e rasate a zero. Per tutte coloro che invocarono invano la Grande Divinità, solo per avere le lingue

strappate alla radice. Per coloro che furono trafitte, torturate, spezzate sulla ruota per i peccati dei loro inquisitori. Per tutte coloro la cui bellezza spinse i carnefici alla violenza; e per coloro la cui bruttezza fece lo stesso. Per tutte coloro che non erano né brutte né belle, ma solo donne che non volevano sottomettersi. Per tutte quelle dita veloci spezzate nella morsa. Per tutte quelle morbide braccia strappate dalle estremità. Per tutti quei seni in sboccio straziati con pinze roventi. Per tutte quelle levatrici che furono uccise soltanto per il peccato di aver aiutato uomini a nascere in un mondo imperfetto. Per tutte quelle donne-streghe, mie sorelle, che respirarono più liberamente quando le fiamme giunsero a lambire le loro persone e la carne bruciata si disfaceva come frutta tra le fiamme, coscienti che la morte sola avrebbe potuto purificarle dalla colpa per cui morirono - quella di essere nate come donne che avevano qualcosa in più del solo corpo. Anonimo del XVI secolo. (da Witches di E. Jong, New York 1981)

traduzione di Mircalla


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