Ver Sacrum VII

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ACRUM

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Rituali di Morte

Le Danze Macabre, i Poeti Cimiteriali, i Sepolcri di Ugo Foscolo, i Cimiteri, la Morte nel Cinema di Peter Greenaway, Leonardo Bistolfi, Andres Serrano, Paul Barber

Il cinema di Frankenstein, il Thrilling Italiano anni '70 M.E. Braddon, NeoNoir Musiche: Ordo Equitum Solis, Gitane Demone, Artica, Into the Abyss, Der Tod, Mordor Racconti inediti, poesie e rubriche varie


Indice - Editoriale

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- Speciale Rituali di Morte Antichi rituali di Morte

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Il trionfo del Macabro

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I Poeti Cimiteriali

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Il carme "Dei Sepolcri" di Ugo Foscolo

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I cimiteri: Arte e Paesaggio

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La rappresentazione della Morte 20 nel cinema di Peter Greenaway Leonardo Bistolfi, il poeta della Morte

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"The Morgue" di Andres Serrano 24 "Vampiri, sepoltura e Morte" di Paul Barber

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- Interviste: Der Tod

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Artica

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Ordo Equitum Solis

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Gitane Demone

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Into The Abyss

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Mordor

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- Il cinema di Frankenstein

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- Altri Frankenstein

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- Thrilling italiano degli anni '70

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- NeoNoir

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- Mary Elisabeth Braddon

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- Luoghi Macabri: 51 il cimitero degli Inglesi di Firenze - Recensioni dischi e CD

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- Demotapes

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- Bibliotheca Lamiarum

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- Lanterna Magica

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- Poesie

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- Racconti: "Cascelegy"

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"Viaggio alle soglie del buio"

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(gratuiti per gli abbonati, £ 2.000 per gli altri) Per chi fosse interessato sono disponibili i seguenti split singles: 1) “Heroes” (Love like Blood, The Merlons of Nehemiah) lim. edit., saw-tooth single in grey/blood-red vinyl - £ 30.000 + s.p.; 2) Zillo e.p. (Love Like Blood, Marionettes, Mephisto Walz) £ 15.000 + s.p.. Contattare Daniele Beloli, via Bisone 24, 24034 Cisano B.sco (BG), tel. 035/781314. I Christ in Shades cercano un bassista e un chitarrista zona MilanoLodi-Piacenza-Fiorenzuola d’Arda-Cremona. Massima serietà, astenersi perditempo. Contatti: Daniele Zanoni, via Trieste 19, 20076 Maleo (MI), tel. 0377/58685. La Confraternita della Morte cerca un chitarrista ed un batterista, zona Milano-Lodi-Piacenza-Fiorenzuola d’Arda-Cremona. Contatti: Disciplina della Buona Morte, Daniele Zanoni, via Trieste 19, 20076 Maleo (MI), tel. 0377/58685. Vendo moltissime rarità e non (specialmente su vinile) di gruppi genere Dark - Gothic - Wave. Continui arrivi da tutto il mondo. Richiedere la lista gratuita a: Davide Celletti, via dei Glicini 38, 00172 Roma. Esiste una dimensione omosessuale (maschile e femminile) nel mondo “Dark”? Per non sentirmi solo, scrivetemi. (P.S. Ma ci sono anche fans di Marc Almond tra i Dark?). Rinaldo Branchesi, via Tornazzano 116/a, 60024 Filottrano (AN). Cerco qualcuno disposto ad insegnarmi l’uso del basso (prezzo modico). Vorrei poi corrispondere con ragazzi gothics di tutta Italia. Loris Bailini, via Matteotti 14, 20068 Peschiera B. (MI). L’indirizzo del progetto artistico Putrefactio, presentato in Ver Sacrum VI, è il seguente: Putrefactio, c/o Paulo Maldoror, Rua conde de nova goa 5-3-d, 1000 Lisboa, Portugal. Si consiglia anche l’acquisto della loro elegantissima rivista V.I.T.R.I.O.L, di cui sono usciti due numeri con articoli su Death in June, Sixth Comm, Sleep Chamber, alchimia ed esoterismo (in portoghese). News: il prossimo lavoro su CD dei greci Flowers of Romance sarà prodotto niente di meno che da Wayne Hussey (Mission)! Per contatti: Flowers of Romance, P.O. Box 80508, 18510 Piraeus Grecia. Deviate Ladies: è prossima l’uscita di un CD del gruppo con materiale registrato dal vivo all’eremo di Sant’Egidio più inediti e remix. Per informazioni: Mauro Merelli, via Davila 112, 00179 Roma. Concerto dei tedeschi Marquee Moon e Forthcoming Fire (unica data italiana!) sabato 2 settembre ‘95 all’Imperium (ex Condor) via Palestro, Modena. Inizio ore 22.30 precise. Info: tel. 0532/770979 (Rosso e Margaux). EXU’: in estate esce su Energeia (c/o D. Morgera, via Manzoni 9, 80019 Qualiano (NA)) il 4Tks maxi-CD intitolato Incammino. Exù e Futhark hanno partecipato con brani dai rispettivi demo a Strenght through joy, tape-sampler della tedesca Abyss Records (c/o M. Thiel, P.O. Box 228, D-12662 Berlin, Germania), ed alla K7 compilation prodotta da Apathya/Neogothic/Ver Sacrum. Dopo aver partecipato a Reaping Time - A tribute to Death in June (Psychotic Release c/o E. Lago, via Meianiga 43, 35013 Cittadella (PD)) con una personale rilettura di “Little Black Angel” Futhark ha firmato per la Abyss Records. In uscita a maggio Raga, mini-lp con 5 pezzi in edizione limitata. Exù/Futhark info: Adriano Elia, via Ausa 32, 84090 Giffoni Sei Casali (SA), tel. 089/883382. Programma Settembre ‘95/Giugno ‘96 del Linus Club, via P. Da Cannobio 5 (Zona Duomo) Milano: Ven. 15/9: X-Mal Deutchland Special + Dark Party; Ven. 29/9 Dark Party; Ven. 13/10 Sleeping Dogs Wake & Love Like Blood Special + Dark Party; Mar. 31/10 Halloween-II° Raduno Dark; Ven. 10/11 Virgin Prunes Special + Dark Party; Ven. 24/11 dalla Svizzera Sweet Disease in concerto + Vidi Aquam + Dark Party; Gio. 7/12 Nosferatu e Rosetta Stone Special + Dark Party; Ven. 22/12 Dark Party; Ven. 5/1 Dark Party; Ven 19/1 concerto + Dark Party; Ven. 2/2 Sister of Mercy Special; Ven. 16/2 concerto + Dark Party; Ven. 1/3 Death in June Special;

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segue in terza di copertina


Editoriale

VER SACRUM VII

Sembra quasi scontato per una rivista gotica parlare della Morte: abbiamo però voluto prendere le distanze dal trito luogo comune secondo cui essa debba accompagnarsi ad atteggiamenti di disperazione, depressione, angoscia. Invece Redazione: si è preferito evidenziarne il lato letterario ed estetico, tanto c/o Marzia Bonato, via S. Paolo 5, 56125 Pisa in voga nel Romanticismo, oppure quello macabro e sarcastico della tradizione popolare. Non sappiamo se siamo riusciti a essere sufficientemente esaurienti e chiari nello scopo; Christian Dex (Luca De Santis) abbiamo comunque cercato di seguire il nostro gusto e senManfred (Massimo Brando) sibilità. Mircalla (Marzia Bonato) Per parlare di argomenti veramente tristi basta raccontarvi del flyer giuntoci in redazione qualche tempo fa inviato da una fanzine musicale francese di estrema destra che volutaNatalie C. (Loredana Fayer) mente lasceremo anonima. Il suo scopo è quello di parlare Raffaello Galli di “gruppi pagani e/o nazionalisti e rivoluzionari” e di “passare un messaggio pagano alla gioventù europea”. Ci intriin spirito se non in corpo... stisce come i sacri simboli della cultura Celtica e pagana Storm (Rosario Alessio) siano stati appropriati e manomessi dai gruppi neofascisti di tutta Europa. Se per caso ce ne fosse ancora bisogno cogliamo l’occasione per rivendicare le nostre salde convinzioni Hanno collaborato a questo numero: antifasciste, antirazziste e libertarie. Abdul Alhazred (Paolo Bianconi) Il prossimo numero di VER SACRUM (VIII) che Antonio Biella dovrebbe uscire intorno a gennaio, sarà dedicato al Teatro dell’Orrore con articoli sul Grand Guignol, il Teatro dei Délie (Simona Coppo) Vampiri, i Drammi gotici dell’Ottocento, il Fantasma Hadrianus (Adriano Moschioni) dell’Opera, il Rocky Horror Picture Show, ed altro ancora. Luigi Manzo Chi fosse interessato all’argomento e volesse collaborare con Lord Ruthven (Fabio Casagrande-Napolin) articoli o inviandoci del materiale sul tema è invitato caldamente a contattare la redazione al più presto. Non siate Stefano Sciacca timidi! In generale sono molto graditi interventi in ambito letterario, artistico e cinematografico; ma per favore non Revisione testi: inviateci recensioni musicali, perché ne siamo sommersi. Mircalla, Christian Dex Come potete vedere dalla quarta di copertina sono finalmente disponibili la compilation musicale “Tenebrae” e Battitura testi: l’antologia di racconti e poesie “Oscure Malie”. Non perdeMircalla, Natalie C., Kasparino & Ismaele tevele! Saltando di palo in frasca, come forse avrete sentito dire, il prezzo della carta recentemente è aumentato tantissimo con Grafica & impaginazione: gravi disagi economici per chi come noi ha delle tirature Christian Dex & Ismaele limitate. Dal prossimo numero saremo perciò costretti ad ritoccare leggermente il prezzo di copertina. Consigliamo Fotolito: perciò gli interessati ad abbonarsi al più presto, fintantoché Andrea "Ciocco" Ciocchetti @ Immagina VT la quota rimane invariata. (grazie "Ándre", sei sempre il nostro Guru!) Come anteprima vi annunciamo che da Novembre o giù di lì saremo presenti su Internet con una scadenza all’incirca trimestrale con delle pagine inedite in inglese dedicate in Questo numero esce come supplemento di particolar modo alla musica. Il motivo di questa scelta è "Stampa Alternativa", reg. Tribunale di Roma legato al gran numero di contatti che abbiamo con gruppi e case discografiche italiane e straniere: dato che il settore n° 276/83. Direttore Responsabile: musicale in VER SACRUM, per quanto grande è semMarcello Baraghini pre limitato, abbiamo pensato di creare un nuovo spazio di (un grazie a Marcello e a Gigi Marinoni: approfondimento. La musica non scomparirà da VER "ora e sempre resistenza!") SACRUM, e in più chi possiede un computer, anche se non un accesso a Internet, può richiedere direttamente in Per pubblicità su queste pagine rivolgetevi redazione la nostra rivista elettronica su dischetto in formato o Windows. Ricordiamo comunque che attualmente all'indirizzo della redazione o telefonate in ore Mac siamo presenti sulla BBS romana Cyberspace serali allo 050/21067 (tel.:06/5015861) con articoli, immagini e recensioni tratti dai numeri di VER SACRUM. Gli articoli presenti in questo numero sono copyright dei Niente necrologi nel numero dedicato alla Morte! rispettivi autori e le immagini che li corredano delle Ringraziamo invece tutti coloro che ci hanno aiutato in questi nostri due anni e mezzo di vita. rispettive agenzie o case editrici detenenti i diritti.

Settembre '95 - £ 5.000

Le immagini in 4a di copertina sono di Lord Ruthven © Apathya

La Redazione 3


Antichi rituali di morte forme, ad esempio come mosca (Francia), farfalla (Irlanda), uccello (zone slave) e che per tre giorni vaga nella casa. Bisogna perciò provvedere a delle precauzioni per la sua conservazione, come lo spegnere il fuoco perché essa non si bruci e non spazzare buttando via la polvere perché potrebbe trovarcisi dentro. Ugualmente ci si preoccupa di vuotare secchi e recipienti contenenti acqua o latte in cui potrebbe cadere. Anche velare gli specchi è una generale usanza nata forse allo scopo di impedire che l’anima errante vi sia tenuta prigioniera e poi prenda il posto del primo malcapitato che si rifletta. In altri casi il timore è quello che una volta trascorsi i tre giorni questa non riesca più ad uscire dalla casa e perciò si lasciano porte e finestre aperte, o, come in Sicilia, la si chiama dalla strada per farle lasciare l’abitazione e poi ci si chiude dentro per evitarne il ritorno. Altri doveri vanno poi resi al morto da parte della comunità dei viventi: innanzitutto bisogna informare dell’evento sia gli uomini che le bestie. In Irlanda deve essere trascorsa un’ora prima di intonare il canto funebre, in altri luoghi tre ore. Si prepara poi la veglia, che nel sistema folklorico è un aspetto fondamentale del rituale di morte. Il defunto viene tolto dal letto e deposto sulla paglia o direttamente sulla nuda terra in mezzo alla stanza, avvolto nel suo sudario. Il viso rimane scoperto, le braccia vengono distese lateralmente (solo in epoca tarda sono incrociate), accanto a lui si riuniscono i familiari, i vicini o i membri della comunità e si svolgono in suo onore salti, danze, canti, bevute rituali. Dopo la veglia funebre è l’ora della sepoltura che rappresenta il momento più importante di questo antichissimo sistema di morte. L’usanza di inumare i cadaveri non sotto la protezione della Chiesa, ma

el mondo occidentale è sussistito per lungo tempo un antichissimo sistema di morte parallelo al rituale funebre cristiano, con cui si è spesso incrociato e in parte fuso. Le poche informazioni in nostro possesso ci vengono dalle tradizioni popolari raccolte nell’800 e dallo studio dei culti di cui è ancora possibile trovare traccia nel mondo contadino. Alla base di questo insieme di usanze e credenze vi è una profonda paura da parte degli uomini non tanto della morte, quanto piuttosto dei morti. Secondo la tradizione folklorica europea il primo periodo che segue il decesso di una persona è particolarmente pericoloso, perché c’è il rischio che il trapassato voglia ritornare in vita. Vanno pertanto eseguiti alcuni “riti di passaggio” che permettano da una parte di placare il defunto e dall’altra di tranquillizzare la comunità dei vivi. Una volta deceduto, il corpo abbisogna di cure attente, in quanto non viene considerato veramente morto, o almeno non immediatamente. Innanzitutto bisogna prepararlo al lungo cammino nell’oltretomba avviluppandolo nel sudario, che è in genere il suo unico abbigliamento funebre e che viene cucito, chiuso da spille o cinto da bende in modo da assicurarne un tranquillo viaggio senza ritorno. Infatti deve essere difeso dal pericolo che i demoni, sotto forma di cani, lupi e sciacalli, se ne impossessino. Contemporaneamente bisogna badare all’anima, che fuoriesce dal cadavere sotto varie

Cimitero degli Innocenti, Parigi, stampa del XIX secolo

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mostrarsi ai suoi amici. L’ultima

nei luoghi più diversi, si è protratto a lungo, nelle regioni orientali d’Europa addirittura fino alla fine del ‘700. In Slovacchia l’antica pratica slava di interrare i morti sotto un albero, in rapporto da un lato a tutta una serie di gesti magici legati alla foresta e dall’altro al desiderio di conservarne il corpo vicino a casa, ha resistito tenacemente. Prima dell’interramento si svolge il corteo di accompagnamento alla tomba, in cui il defunto viene trasportato su una barella ricoperta da un lenzuolo, senza essere rinchiuso in una bara inchiodata. Raramente infatti negli scavi archeologici dei cimiteri medievali si trovano casse o tavole di legno in cui il corpo era deposto, perché per lo più i morti riposavano a stretto contatto con la terra o, se ricchi, in sarcofagi di pietra. Al cimitero ha poi luogo il lamento funebre, tradizione per lo più presente nei paesi mediterranei, ma conosciuta quasi dappertutto, e del resto già usuale nei rituali greci e romani. Una volta che il cadavere è stato sepolto bisogna evitare di esserne inseguiti e per questo si compie un percorso assai tortuoso, che viene detto “il tradizionale cammino dei morti”. In Bretagna, Irlanda e Svizzera tedesca per tenerlo lontano si attraversano dei corsi d’acqua in quanto si pensa che non possa superarli. In altre tradizioni invece si ricorre all’aspersione di liquidi dietro il corteo. Anche il fuoco viene considerato un mezzo purificatore, tanto che ancora alla fine del ‘600 nella zona di Hannover i cavalli del carro funebre venivano fatti passare tra la paglia in fiamme. E’ evidente pertanto la paura da parte degli uomini che il defunto ritorni e dunque il desiderio di sbarazzarsene nel modo più definitivo possibile. Ad esempio ne viene bruciato il letto, così come la biancheria, per evidenziare che non c’è più posto per lui in casa. Sempre da questo timore del resto hanno preso vita le leggende popolari che narrano di figure “mitiche” legate alla antica credenza del ritorno dei morti nel mondo dei vivi. Oltre alle varie forme di vampiri ci sono ad esempio l’ankou celtico, una figura di “revenant” che percorre le strade della Cornovaglia e della Bretagna accompagnato dallo stridore del suo carretto, la banshee scozzese che trascina con sé la propria bara annunciando sventura e il Fetch dell’Irlanda del Nord, spirito che prende l’aspetto di un morituro per

Un funerale, acquaforte di B. Picard (1673- 1734)

usanza delle esequie tradizionali consiste nel banchetto funebre, celebrazione familiare e collettiva all’ombra del morto (a cui è riservato un coperto). Il pasto si ripete in occasione delle prime date rituali che ne scandiscono l’allontanamento (terzo o settimo giorno), più di frequente al trentesimo o quarantesimo giorno, e poi all’anniversario. In realtà le date consacrate al lutto (le stesse della religione cristiana) sono legate in maniera molto forte alle tappe della decomposizione, dall’inizio della putrefazione del cadavere fino alla sua riduzione allo stato di scheletro, che segna in modo definitivo il trapasso e l’impossibilità di un ritorno nel mondo dei vivi. Nel periodo “a rischio” che intercorre tra la sepoltura e la morte vera e propria ci sono degli omaggi da rendere al defunto. Fino a tutto il Medioevo nei cimiteri era possibile notare la presenza di fosse vuote per ricevere le offerte, in contatto mediante canali e orefizi con le tombe, oppure di pozzi che venivano aperti nelle chiese tre volte l’anno per permettere alle anime di respirare. Tutto questo indica la presenza di un sistema rituale in cui coloro che sono sepolti devono essere accompagnati da cibo e bevande, oltre che da gioielli e altri oggetti di culto, esattamente come nelle culture precristiane. Nella fase di transito, d’altra parte, i morti vigilano perché siano ripagati i loro debiti e i torti subiti e si preoccupano ancora della famiglia e degli affetti. Ad esempio 5


in Germania e in Francia c’è la credenza che le madri morte di parto tornino per sei mesi ad allattare i loro bambini. E’ però evidente che l’immagine del cadavere ostile, crudele e rivendicativo è quella che più ha impressionato l’immaginario popolare. Il folklore irlandese è pieno di morti sanguinari che vengono ad afferrare i vivi e a trascinarli con sé, o che ne prendono il posto tornando a essere liberi. Un esempio letterario è la “Ballata di Leonora”, che il poeta romantico Burger ha messo in rime, in cui il fidanzato morto torna galoppando sul suo cavallo e trascina la sua promessa sposa nella tomba. Del resto i morti sono dei doppi, degli spettri che l’ora del trapasso lascia ben vivi, rivendicativi, aggressivi e onnipresenti. Sin dall’antichità si pensava che il mondo degli uomini fosse circondato da quello dei defunti, delle larve, dei fantasmi, che dovevano essere acquietati assicurandone il transito verso il regno del riposo. Gli spiriti dei morti sono ospiti di passaggio che non hanno raggiunto direttamente la loro meta, sono anime “legate”, che non possono liberarsi e che occupano il posto riservato ai viventi. Si incontrano innanzitutto al cimitero, ma anche in altri luoghi scelti, come ai crocicchi, considerati terra di nessuno, lungo i bordi delle strade e dentro

le siepi, oppure in posti isolati e inaccessibili. Ma a volte scelgono anche le case e li si può trovare sotto la soglia, nei cardini delle porte o addirittura all’angolo del focolare. La notte è la loro ora e dunque esistono regole da coprifuoco secondo cui è consigliabile non uscire dalle rispettive dimore se si vogliono evitare questi spiriti vaganti. In Bretagna è meglio non muoversi tra le dieci e le due di notte, in Irlanda dalla mezzanotte al canto del gallo. Ma nel corso dell’anno hanno luogo parecchi appuntamenti obbligati tra i vivi e i defunti. Nel giorno consacrato ai morti ne vengono preparati i letti o si riserva loro un posto d’onore davanti al focolare. A Natale sono presenti alla tavola imbandita e la notte dell’Epifania in Irlanda ce n’è uno sopra ogni tegola del tetto. Inoltre in base a un movimento cosmico che segue il ritmo lunare esiste un periodo in cui le strade del cielo si aprono per accogliere quegli spiriti liberati che, compiuta la loro attesa, possono andare al luogo del riposo. Si svolge così il periodo di purificazione del mese di febbraio durante il quale a Roma le anime erravano nei cimiteri sotto forma di fiammelle e bisognava, mediante determinati riti, placarle e rinviarle nell’aldilà. Il 22 del mese, festa di S. Pietro in Vincoli, cristianizzazione dei carestia romani, si portano cibi ai defunti sulle loro tombe. Ma la vera e propria dipartita verso il regno dei morti può avvenire solo in due date fisse, che sono la Candelora e, per i ritardatari, il giorno di Pasqua, guarda caso proprio in corrispondenza con l’ascesa del Cristo. Solo quando tutto questo percorso rituale è stato compiuto i vivi sono finalmente al sicuro: ormai la decomposizione dei cadaveri è terminata, si possono riaprire le tombe, recuperarne le ossa ed effettuare una seconda e stavolta definitiva sepoltura, sicuri che i morti non faranno più ritorno.

Mircalla

disegno di Paolo Maccio, modenese (sec. XVI-XVII)

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Bibliografia: M. Vovelle, La morte e l’Occidente, Laterza Edizioni; P. Barber, Vampiri, sepoltura e morte, Pratiche Editrice.


Il Trionfo del Macabro

(la Danza Macabra e il Trionfo della Morte) tre vivi con i tre morti”, anche a livello iconografico, è senz’altro il tema più antico dei tre ed anche il primo a scomparire, e lo si ritrova, in due differenti tradizioni, sia in Italia che in Francia. All’inizio in queste immagini i transis sono cadaveri scarnificati, ma non rinsecchiti, con il ventre aperto in decomposizione, che stanno immobili ad osservare i vivi e sono oggetto di meditazione, più che di spavento. Ma nel corso del XV secolo ecco che i morti si animano: i giacenti cominciano ad uscire dalle tombe pieni di aggressività, si alzano in piedi e si precipitano sui giovani vivi, mettendoli in fuga (cfr. l’affresco di Clusone del 1470). Il tema tende così a confondersi ed associarsi a quello della Morte assassina che ha il suo culmine nei “Trionfi della Morte”. Nel frattempo si sviluppano le prime rappresentazioni di defunti che non solo si levano dai loro sepolcri, ma hanno anche l’ardire di mettersi a ballare e di invitare i viventi ad unirsi a loro... prendono vita allora le Danze Macabre. Per quanto riguarda le sue origini il fenomeno del Macabro non è così strettamente legato come si pensava in passato allo scoppio dell’epidemia di Peste Nera del 1347-50, secondo la teoria per cui le orribili visioni di tanti morti avrebbero spinto l’immaginazione popolare a sottolineare con particolare fervore gli elementi orrorifici e terrifichi. Secondo la maggior parte degli studiosi il nuovo rapporto con l’idea della Morte è legato in parte ad una generale crisi, climatica, demografica, sociale ed economica, che colpisce l’Europa a partire dal XIV secolo e che porta ad una regressione della qualità della vita rispetto alle epoche precedenti. Inoltre sono da tenere in considerazione anche altri fattori, come ad

l “Macabro” si presenta come un fenomeno importante e ricorrente all’interno della cultura occidentale. Prende forma alla fine del Medioevo raggiungendo il suo acme nel Rinascimento, poi decade e rinasce nell’età barocca, si alimenta di nuova fiamma durante il Romanticismo e lo si può rintracciare ancora in alcuni aspetti dell’età contemporanea. Il termine, che deriva dall’arabo kabr (tomba) e makabr (cimitero), sta ad indicare un’estetica ed un gusto particolari, legati alla rappresentazione della Morte e alla raffigurazione dei cadaveri. Questo tema è da sempre presente nel mondo cristiano e in quelli ad esso precedenti o estranei, basti pensare alla tradizione greco-romana che pullula di scheletri (cfr. la Cena di Trimalcione nel “Satyricon” di Petronio), ma è nel giro di breve tempo, tra il XIV e il XVI secolo, che si verifica un forte aumento dell’interesse nei suoi confronti, culminante nella realizzazione di una enorme quantità di opere artistiche, soprattutto iconografiche. Si tratta in parte anche di una nuova sensibilità nei confronti della Morte che viene contrassegnata non più solo dallo scheletro, ma in particolar modo dal cadavere in decomposizione. Il transi, come viene chiamato, ha l’aspetto di una mummia quasi scarnificata, con gli organi interni in putrefazione, a volte parzialmente avvolto in un sudario e adagiato nella sua tomba brulicante di vermi, rospi e serpi. Le raffigurazioni in cui è presente questo inquietante personaggio sono principalmente tre: “L’Incontro dei tre vivi con i tre morti”, “La Danza Macabra” e “Il Trionfo della Morte”, tutte in stretto contatto reciproco. Nascono, si sviluppano e giungono ad esaurimento quasi contemporaneamente nell’arco di due secoli, tra il 1350 e il 1550. Esistono però degli elementi antecedenti che risalgono addirittura alla metà del ‘200. In Italia ad esempio abbiamo la presenza di testi letterari che narrano il tema de “L’Incontro dei tre vivi con i tre morti” già nel XIII secolo, mentre è del 1320 il famoso affresco “Francesco e lo scheletro” della Basilica inferiore di Assisi, raffigurante il santo mentre indica un cadavere che esce da una bara, con il teschio ornato da una corona che sta per cadere. Dal punto di vista cronologico “L’Incontro dei

xilografia di Holbein il giovane, 1547

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esempio il fatto che nel tardo Medioevo, al contrario dell’età classica, non esistono necropoli separate dalle città, perché i defunti occupano i centri abitati, soprattutto le chiese o gli spazi attorno ad esse, in una commistione di vivi e morti piuttosto inquietante. Inoltre, essendo la maggior parte delle sepolture a cielo aperto e in fosse comuni, la visione del cadavere in via di putrefazione è un fatto quotidiano e familiare per gli uomini del tempo, dunque tranquillamente rappresentabile. La situazione cambia solo a partire dal ‘600 e soprattutto con il ‘700, quando la fiducia nel progresso che vince le leggi naturali dell’esistenza umana e il miglioramento delle condizioni di vita portano ad una rimozione dell’idea di morte e ad un disagio sempre maggiore nei confronti delle sue più raccapriccianti raffigurazioni.

m i n a moltitudini di ignoti, come n e i Trionfi. Ma è comunque una sorte comune a tutti, giovani e vecchi, maschi e femmixilografia di Holbein il giovane, 1547 ne, ricchi e po-veri, a cui nessuno può sfuggire e che, La Danza Macabra eliminando ogni diversità, rende uguali di fronte all’inesorabile fine. Il motivo della “Danza macabra” o “Ballo dei Il tema della Danza Macabra non è carico di trimorti” (Totentanz, Dance of death, Danse des stezza, piuttosto di una forte ironia, di una presa Morts) è l’incontro di ciascun uomo con la pro- di coscienza disincantata da parte dei vivi nei pria morte sotto l’allegorica forma di un ballo. confronti della Morte che li chiama a sé: nelle Si tratta della raffigurazione per lo più iconogra- raffigurazioni essi sembrano essere colti alla fica di danze o di sfilate in cui ogni personaggio sprovvista e spesso accennano con la mano o è invitato a partecipare dal proprio doppio, che con la testa a rifiutare, ma non vanno oltre un appare sotto forma di cadavere scarnificato o in gesto di sorpresa e non lasciano trasparire né via di putrefazione. Si tratta in realtà di una angoscia, né rivolta, ma piuttosto una sottomissorta di visione premonitoria, di un agente di sione al loro destino. A volte addirittura la danza morte, indicatore del destino e collegato alla si tramuta in un gioco cinico e crudele da parte divinazione dell’avvenire. Potrebbe trattarsi di dei cadaveri saltellanti nei confronti dei loro un fantasma, di una apparizione o di un demo- doppi viventi. Questo comportamento sarcastine sotto forma di cadavere, quello che importa è co e aggressivo dei morti, che è lontano che assume le fattezze del vivo a cui si accoppia, dall’austero monito alla penitenza e all’umiltà il suo sesso, i suoi vestiti, il suo status sociale. cristiana, corrisponde dall’altra parte ad un Si tratta cioè della rappresentazione di una atteggiamento dei vivi quasi di indifferenza morte individuale e non collettiva, di un mes- dinanzi agli sberleffi cui sono soggetti. saggio personale, diretto al singolo individuo, E’ presente nella Danza Macabra anche un non della legge di una Morte sovrana che ster- aspetto pedagogico, di richiamo al “memento mori”, in accordo con i predicatori del tempo (da Bernardino da Siena a Savonarola) che al fine della redenzione e della conversione delle masse incutevano paura con temi quali il terrore della morte e la corruzione della carne. Si è così spesso "La Danse des morts" di Lucerna, litografia dei fratelli Eglin, (1838-1839) 8


interpretata la Danza Macabra come una grande ballano con movimenti scomposti e sfrenati, ammonizione ascetica, anche perché per il suo mentre i vivi sono per lo più assenti o stanno a carattere scenico può venire accostata alle pro- guardare. Quest’ultima ha origini più antiche ed cessioni di penitenti e flagellanti e alle sacre rap- è diffusa in varie culture e parti del mondo. presentazioni. In realtà però l’avvertimento non Probabilmente fa riferimento ad un tipo di è grave e perentorio come nei temi vicini de danza estatica, di cui si hanno notizie a partire ”L’Incontro dei tre vivi con i tre morti” e del dall’XI e XII secolo, che si svolgeva nei cimiteri “Trionfo della Morte”. Qui l’incontro con la e nei luoghi sacri, nel corso della quale veniva Morte è equilibrato e sereno, anche se inesorabi- ricercato un legame con i morti. Del resto è tipile e c’è consapevolezza da parte dell’uomo della co delle civiltà la cui religione si basa sul culto degli antenati che il contatto tra vivi e defunti si propria finitezza. Si tratta del resto di un prodotto più laico che stabilisca attraverso un ballo caratterizzato da religioso e i cadaveri scarnificati e scheletriti che movimenti convulsi, estenuanti e con un sotinvitano a ballare i loro partners non sono certo tofondo di suoni fragorosi e di strepiti. E’ quinfacilmente inquadrabili nella teologia ufficiale di necessario rivalutare la possibilità che la della Chiesa. Non è nemmeno un motivo dotto Danza Macabra si richiami fortemente alle cree intellettualistico, ma piuttosto il frutto denze folkloriche sui “revenants”, che sono piene dell’immaginario e della sensibilità popolare del d’incontri notturni e balli nei cimiteri in cui i tempo, di una cultura già rinascimentale e non viventi che hanno invaso lo spazio dei cadaveri più medievale. Infatti se in precedenza era stata preponderante la considerazione sul destino dell’anima e sul verdetto che sarebbe arrivato nel giorno del Giudizio Un i v e r s a l e , con l’Umanesimo sono l’uomo e la sua esistenza "La grande Danse Macabre des Hommes et des Femmes" di Parigi, ristampa (post 1862) ad essere al centro dell’universo. Così nella Danza Macabra sono costretti a contendere con essi. predomina l’amore per la vita e per i suoi godi- La Danza Macabra fu particolarmente in voga in menti: una volta che ciascuno è giunto alla fine Europa nel ‘400 e nel primo ‘500, dunque in del suo cammino rimpiange ciò che deve lascia- pieno Rinascimento, con la presenza di un granre, certo, ma nel dolore e nello sbigottimento de numero di affreschi e di edizioni illustrate. Le non cerca la fuga, anzi accetta di danzare con la prime fonti letterarie che testimoniano questo morte, o comunque di farsi da lei guidare verso tema sono della fine del Trecento, mentre la più antica versione iconografica risale al famoso l’ultimo e definitivo passo. Per quanto riguarda il lato scenografico esistono affresco del Cimitero degli Innocenti di Parigi due tipologie all’interno della iconografia della del 1424. Le raffigurazioni non si trovavano in Danza Macabra: la prima e più frequente è quel- sedi poco accessibili o elitarie, ma erano alla porla in cui vivi e morti si danno la mano costi- tata di tutti, visibili sulle mura delle chiese, dei tuendo un cerchio o una catena che li compren- cimiteri e di qualche edificio pubblico e non si de tutti, come nelle “carole”, danze popolari trattava di decorazioni secondarie o poco visibili, dell’epoca. La seconda è quella in cui prevale ma di intere porzioni di muro affrescate, di solil’aspetto macabro e terrificante, dove i cadaveri to secondo uno schema seriale in cui il motivo si 9


sussegue in più fasce. La Danza Macabra rag- romani, alle descrizioni di demoni dei testi neogiunse inoltre una diffusione molto ampia, con testamentari e soprattutto all’Apocalisse, in cui però una spiccata concentrazione nell’area fran- viene rappresentata come un cavaliere armato di co-germanica, a ridosso delle Alpi (Svizzera e spada. Italia del Nord) e più tardi anche in Inghilterra Si tratta di un tema molto più ammonitorio e fino alla Scozia e nei Paesi Bassi fino alla retorico rispetto alle Danze Macabre, meno laico Danimarca e alla Scandinavia. Al contrario risul- e più cristiano, in cui la Chiesa approfitta della ta praticamente assente nei Paesi mediterranei paura della Morte incombente per richiamare i (Sud della Spagna e Portogallo, Grecia, Italia fedeli a prescindere dai desideri materiali e centromeridionale). E’ interessante perciò notare impegnarsi a procurarsi la vita eterna. Da lei come la sua presenza corrisponda esattamente non si può fuggire, per cui ci si può solo rivolgealle aree in cui presero vita nella seconda metà re a Dio, l’unico in grado di combatterla. del XVI secolo la scissione protestante e la rifor- Mentre la “Danza Macabra” è fondamentalmenma luterana. te franco-germanica, il “Trionfo della Morte” è Ed è proprio a pardi origine italiana e tire da questo nasce nella prima momento che metà del XIV secolo cominciò a prevaleper poi diffondersi re un nuovo tipo di nel corso del XV sensibilità artistica anche in Francia, che vide il rifiuto e Spagna e Germania, la conseguente abosostituendo spesso o lizione della macacomunque influenbra sfilata. Si tratta zando le raffiguradi un processo di zioni della Danza rimozione che portò Macabra. Le prime spesso alla cancellarappresentazioni che zione degli affreschi cominciano a comdai muri delle chiese parire in Italia, seme soprattutto alla pre in forma di perdita di memoria grandi affreschi di questa forma di nelle chiese e nei raffigurazione. Delle cimiteri, vedono “Totentanz” non una immagine della sarebbe addirittura Morte ancora come più rimasta traccia drago o demone, se, per fortuna, non villoso e con artigli, xilografia, secolo XVII, Paesi Bassi ne fossero state fatte munito di ali di varie copie più o meno fedeli, edite a stampa, fra Pipistrello. Nelle opere successive invece essa cui sono da segnalare soprattutto le xilografie assume l’aspetto del transi scarnificato, di sesso cinquecentesche di Holbein il Giovane che femminile, che poi evolve progressivamente riprendono le scene della Danza Macabra di verso la figura definitiva dello scheletro a cavallo. Basilea. (1) In generale i Trionfi della Morte sono presenti con tre differenti temi iconografici: il primo e più diffuso è quello degli affreschi di Subiaco, I Trionfi della Morte Pisa e Palermo, di ispirazione apocalittica, in cui Molto più che nelle Danze macabre è nei Trionfi la Morte appare come uno scheletrico e che la Morte appare quale regina di tutte le cose mostruoso cavaliere che incombe dal cielo e vincitrice di ogni manifestazione della vita. all’improvviso con i suoi dardi e frecce e con la Non si tratta più della raffigurazione di una sua violenza guerriera e distruttrice colpisce i schiera di morti, presenze concrete e realistiche, viventi e calpesta i morti ammucchiati al suolo. ma di un nuovo personaggio astratto e allegori- Il secondo è quello degli affreschi di Clusone in co. Nasce l’immagine della Morte armata e inco- cui la Morte prende il posto della figura del ronata, che si rifà a quella dei geni funerari Cristo Giudice in posizione regale al centro del 10


tutte le ossature di morto nelle braccia, petto, rene e gambe... E questi morti al suono di certe trombe sorde, e con suon roco e morto, uscivano pezzi di que’ sepolcri, e sedendovi sopra cantavano in musica piena di malinconia: Dolor, pianto e penitenza/ ci tormenta tuttavia;/ questa morta compagnia/ va gridando penitenza”. Si tratta del “Canto della Morte” di Antonio Alamanni che con toni minacciosi ribadiva l’ammonimento: “ Fummo già come vo’ sete,/ vò sarete come noi; morti siam come vedete:/ così morti vedren voi,/ e di là non giova poi,/ dopo il mal, far penitenza.

pannello con a fianco due scheletri servitori che provvedono a eseguire le sentenze. Spesso ai suoi piedi c’è un grande sepolcro in cui giacciono i cadaveri delle due più importanti autorità, il papa e l’imperatore, a fianco stanno principi, re e dogi che offrono le loro ricchezze, più lontani gli altri attendono rassegnati il loro destino. Infatti la Morte sovrana annuncia la fine di tutti i viventi, ma differenti sono gli atteggiamenti dei personaggi al suo cospetto, a seconda del loro status sociale. Il terzo tema è quello dei Trionfi del Petrarca (scritti tra il 1352 e il 1374), in cui la Morte prende forma di “donna involta in veste nera” con in mano gli emblemi propri del Tempo (Chronos), cioé le ali, la falce e la clessidra, diventando il monarca assoluto che miete le sue vittime secondo una legge comune e impersonale. Quest’ultimo è il motivo più tardo in quanto si sviluppa solo a metà del ‘400, quando i Trionfi del Petrarca vengono divulgati a stampa, e poi attraverso miniature, arazzi e ceramiche continua a essere rappresentato anche nel XVI e agli inizi del XVII secolo. Come qualsiasi altro Trionfo, anche quello della Morte confluisce in uno spettacolo, il Carnevale. Ed ecco allora la macabra descrizione c he il Vasari fà del Carro della Morte costruito da Piero di Cosimo per il Carnevale del 1511 a Firenze: “...Era il trionfo di un carro grandissimo...tutto nero e dipinto di ossa di morti, e di croci bianche, e sopra il carro era una morte grandissima in cima con la falce in mano, et aveva in giro al carro molti sepolcri col coperchio, ed in tutti que’ luoghi che il trionfo si fermava a cantare s’aprivano et uscivano alcuni vestiti di tela nera, sopra le quali erano dipinte

Mircalla

(1) NOTA: La tradizione della Danza Macabra venne poi riscoperta in Inghilterra e in Francia nell’800, sottoforma di opera satirica e moraleggiante o a scopo politico e sociale. Abbiamo così la “English Dance of Death” (1816) dell’acquerellista T. Rowlandson e del poeta satirico W. Combe, in cui, con il pretesto dell’intervento della Morte, viene illustrata una serie di personaggi tipici dell’Inghilterra previttoriana, o le xilografie francesi dal discutibile titolo “Le Socialisme, nouvelle Danse des Morts”. sui moti del 1848, di stampo chiaramente conservatore e controrivoluzionario. Dei primi del ‘900 è invece “Une danse macabre” di E. Bille sulle atrocità del primo conflitto mondiale e infine degli anni ‘30 “La Gran Danza Maca-bra” dello spagnolo E. Estrany che riprende il tema della guerra per mostrare nei suoi capricci satirici come sia solo la Morte a poter ridere di fronte a vincitori e vinti. Anche nella musica è possibile trovare un riutilizzo delle Danze Macabre: è del 1598 la “Matasin oder Toten Tanz” nell’opera per organo “Tabulaturbuch” di Norminger. C’è poi la poco nota “La Dance macabre. Grand ronde avec accompagnament d’orchestre” del 1852 di G. Kastner su testo di E. Thierry. F. Liszt per la sua “TotenTanz” del 1849, variazioni per pianoforte e orchestra sul tema del “Dies Irae”, si è ispirato a Holbein e da qui traggono spunto anche i versi di P. Claudel per la “Danse des Mortes” di A. Honegger del 1940. La più famosa è invece la Danza Macabra di Saint-Saens del 1874. Infine è da segnalare lo splendido cartone animato della Walt Disney “The Skeleton Dance” del 1929 musicato da C.W. Stalling. Bibliografia: AA.VV. Immagini della Danza macabra nella cultura occidentale dal Medioevo al Novecento, Nodolibri; P. Ariès, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Laterza Editore; M. Vovelle, La morte e l’occidente, Laterza Editore.

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I Poeti Cimiteriali nuovi mostri. Contemporaneamente, l’allontanamento dei viventi dai defunti portò alla valorizzazione del ruolo della memoria. Nacquero allora i grandi epitaffi funebri: sulle lapidi non ’età dell’Illuminismo tramite l’uti- venivano più incisi solo i dati anagrafici e i lizzo della ragione e la fiducia nel meriti del sepolto, ma soprattutto versi di forte progresso scientifico si proponeva commozione in cui egli veniva rimpianto con di eliminare pregiudizi e supersti- affetto dai familiari e da chi l’aveva caro. Si zioni antiche e soprattutto di domare la paura poteva così sopravvivere anche alla morte nel della Morte. Il secolo dei Lumi voleva relegare ricordo delle persone che più si aveva amato. l’immagine dei defunti nell’esilio dei cimiteri: Sulla tomba, accanto al volto dell’angelo, che è venuto meno il cerimoniale funebre delle andato a sostituire la vecchia immagine del pompe barocche, desacralizzato il rito, l’attacco teschio, comparve il ritratto del defunto, testisi spostava al luogo in cui dovevano essere effet- monianza estrema della sua memoria. tuate le sepolture. L’accusa di mancanza di igie- Ecco perciò che alla fine del Settecento anche a ne e di malsanità creata dai vapori mefitici spri- livello culturale si ebbe la nascita contemporagionantisi dai cadaveri, con il rischio dell’esplo- nea di due tendenze: da una parte il compiacisione di epidemie, portò alla proibizione degli mento della morte, con tutto il suo contorno di interramenti intra muros (cioè dentro le città, idee nere e dall’altra un’istanza di spiritualizzaper lo più vicino alle chiese) e alla distruzione zione e di idealizzazione tramite gli affetti e il dei grandi chaniers (ossari) come quello degli rimpianto di chi se n’era andato per sempre. Innocenti di Parigi. In tutta Europa tra il 1780 Portavoci artistici di questa nuova sensibilità e il 1790 vennero emanate leggi che obbligava- collettiva furono una serie di poeti che in no a trasportare le salme al di fuori delle città, Inghilterra, Francia e Germania dettero vita a quel movimento che nella storia della letteratunei grandi cimiteri extraurbani. Ma questo fatto contribuì a far rinascere la ra viene comunemente chiamato paura dei morti e a moltiplicare nell’immagina- Preromanticismo. La sua nascita si fissa solitario collettivo le storie di persone che venivano mente intorno all’ultimo trentennio del ‘700, inghiottite dalle tombe o fulminate dai gas quando furono effettuate in Europa le prime deleteri che ne fuoriuscivano. Nonostante i ten- traduzioni di testi dei poeti che posero la base tativi di razionalizzazione la pulsione orrorifica di questo nuovo sentimento della morte. Si e il gusto macabro fecero la loro ricomparsa e il tratta dei cosiddetti poeti cimiteriali inglesi, sonno della ragione generò operanti già a partire dagli anni ‘40 del secolo: Edward Young fece uscire i suoi “Night Thoughts” tra il 1742 e il 1745, Robert Blair “The Grave” nel 1743, James Harvey le “Meditations among the Tombs” tra il 1745 e il 1747, Thomas Warton “On the Pleasures of Melancholy” nel 1747, Thomas Gray la famosa “Elegy written in a country churchyard” nel 1752. In queste opere la notte, il cimitero, la presenza silenziosa delle tombe, divennero oggetto di oscure fantasticherie e di malinconiche riflessioni. Venuto meno ogni desiderio di razionalismo, sono i sentimenti a dominare, portati spesso all’eccesso e alla disperazione: la sofferenza, il dolore e il desiderio di morire vincono sopra ogni altra "Chanier" del Cimitero degli Innocenti, xilografia di F. Honbach, sec. XIX 12


cosa. verdi colline e dei limpidi laghi inglesi induce I “Night Thoughts” (Pensieri Notturni) di alla rappacificazione dello spirito tormentato, Young sono per lo più meditazioni sul senso mentre la visione delle tombe, simbolo della dell’esistenza, sulla possibilità che ci sia qualco- finitezza dell’esistenza contribuisce a quello sa al di là di questo mondo sensibile. Sono già stato di sognante tristezza d’animo necessario presenti gli elementi tipici della nuova poesia per la composizione. Dominano così le immadei sepolcri, ma ancora in modo abbastanza gini della luna, della notte, il sentimento ormai astratto e con un certo afflato religioso. Il poeta romantico di una natura selvaggia e virginea, di si muove in una prospettiva cosmica: la sua una vita primitiva e naturale agognata in quananima, non più trattenuta da catene terrestri, si to più giusta e felice di quella contemporanea. prepara ad intraprendere un viaggio visionario Gray per primo sentì il fascino delle remote età che abbraccia la barbare e le letteterra, le stelle e rature primitive, l’universo intero. gallese e scandiMa accanto c’è nava, gli ispiraroanche una più no le poesie concreta e osses“The Bard”, siva ricerca di “The Fatal elementi notturSister”, “The ni: le tenebre Descent of sono un luogo Odino”. La dolce, delizioso, moda letteraria in cui rifugiarsi e del tempo divenin cui i pensieri ne dunque la fioriscono per riscoperta delle poi marcire tradizioni antiall’aridità del che, del mondo giorno. L’oscurità celtico sommere la morte sono so, delle ballate estremamente dei bardi medieattraenti in vali, ed ebbe il quanto misteriosuo capolavoro se, perché lascianei “Poems” no intravedere (1773), in prosa ma non mostrae versi di J. no veramente, Macpherson, da perché sono lui attribuito, per sfuggenti e dargli un’aura inquietanti. C’è "La Morte seduta su una tomba...", bulino, 1592, attribuito a J. Saenredam antica, ad un inoltre una mitico cantore intensa dipendenza da immagini di colpa: per del passato, di nome Ossian . Young ogni errore umano è causato dalla Nacque nello stesso periodo anche quel gusto dimenticanza della brevità della vita, così egli si del pittoresco e del sublime che tanta fortuna concentra sull’idea della fine in modo eccessivo ebbe nei decenni successivi: le intense emozioni e tormentato, non allo scopo di ottenere pace suscitate da immagini di rovine di antiche ma di provare, in una sorta di autopunizione, abbazie, oggetto di ammirazione e nello stesso un’angoscia estrema e morbosa. tempo fonte di mistero e orrore, con i loro La poetica dei sepolcri viene illustrata più chia- ricordi di un passato fosco e sanguinario, venramente nelle opere di Gray e Harvey in cui nero riprese più tardi nel romanzo gotico e prevale l’esaltazione del cimitero di campagna, saranno poi sfruttate a lungo. luogo ideale per la meditazione e per i ricordi. I poeti cimiteriali possono dunque essere consiIn esse assume notevole importanza la descri- derati come gli anticipatori di un’estetica zione del paesaggio circostante che accompagna nuova, di una visione oscura della vita, di un i pensieri e le riflessioni. Infatti la visione delle mal di vivere sofferto ma anche voluto, in cui 13


amavano cullarsi, di una sensibilità accentuata per l’immaginifico e l’inquietante, propria di un’età stanca di razionalismo e di ottimismo. Trent’anni dopo le traduzioni delle loro opere ebbero un’importanza quasi pari a quella degli originali: Ebert in Germania, Letourneur in Francia (1789) ne hanno proposto degli adattamenti molto liberi. Così alla fine del Settecento dalla Germania alla Francia, alla Spagna, alla Scandinavia e alla Russia, nel romanzo e a teatro, si videro giovani eroi ed eroine compiacersi della lettura di Young. Poi sulla scia di Gray i cimiteri e i sepolcri divennero il luogo ideale per meditazioni e fantasticherie. In Francia emersero tutta una serie di poeti cantori delle sepolture e dei funerali, spesso di mediocre livello, tra cui ricordiamo Fontanes (“Le jour des morts dans une campagne”) e Baour Lormian (“La sépolture”). In Italia vi furono “I cimiteri” di Ippolito Pindemonte decisamente ispirati ai modelli inglesi e poi il grande poema di Ugo Foscolo “Dei Sepolcri” che fece della tomba il supporto necessario alla poesia per l’esaltazione delle virtù civiche e per il recupero di un passato eroico che incitasse alla lotta risorgimentale nazionale. Spesso però i poeti si distaccarono dall’immagine originaria della meditazione all’ombra dei cimiteri e passarono ad una visione più oscura, vertiginosa, in cui la morte era fine a se stessa. Ad esempio in Francia Feutry evocò nel suo “Temple de la Mort” gli Inferi e i supplizi “post mortem”, in uno spettacolo che ricordava i fasti barocchi. Nacque allora un’altra corrente che non vedeva più la fine dell’esistenza come una dolce fantasticheria, ma come orrore e distruzione, sulla scia del resto dell’opera di Blair

“The Grave”, in cui già predominava un’atmosfera cupa e oppressiva. Questo poema, tra l’altro illustrato da una terribile danza macabra del grande poeta e pittore William Blake, non decantava certo la dolce brezza del cimitero di campagna, ma descriveva solo l’odore nauseante e malsano della cripta, il buio inquietante, il senso di soffocamento e di putrefazione proprio della decomposizione dei cadaveri. Così in Francia Restif de la Bretonne nel decennio 1780-90 con le sue “Nuits de Paris” fece una cronaca in cui la morte strisciava, s’insinuava e talvolta si presentava a volto scoperto per catturare i vivi. Egli si divertiva a passare dalle immagini dell’agonizzante nel proprio letto, a quelle delle esecuzioni pubbliche, dalle scene di genere (come quando una carrozza scaglia un onesto padre di famiglia contro la pietra miliare spaccandogli il cranio) fino al resoconto delle visite notturne ai cimiteri da parte degli studenti di medicina che cercavano carogne da disseppellire per le loro dissezioni. La fascinazione della morte finì col regnare sovrana sugli spiriti di fine Settecento culminando in due differenti approcci: da una parte nella ricerca del godimento attraverso la violenza e l’assassinio come in Sade e seguaci (cfr. anche il “The Monk” di Lewis), per cui Eros e Thanatos si fondevano in un unico terribile orrore, dall’altra parte nella ricerca ossessiva del suicidio, visto come una liberazione, uno sbocco da quel mal di vivere che assillava la gioventù del tempo. Quest’ultima fu la scelta della generazione tedesca che si riconobbe nel capolavoro di Goethe “I dolori del giovane Werter” e che dette vita alla corrente dello “Sturm und Drang” (lett. Tempesta e Assalto) da cui prese il via tutta la stagione romantica europea.

Mircalla Bibliografia: D. Punter, Storia della letteratura del terrore, Editori Riuniti; M. Praz, Storia della letteratura inglese, Sansoni Editore; M.Praz, Antologia delle letterature straniere, Sansoni Editore; M. Vovelle, La morte e l’occidente, Editori Laterza. a lato: Cimitero di Staglieno - Foto di Mircalla sfondo pg. 12: xilografia del sec. XVII

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Il Carme Dei Sepolcri di Ugo Foscolo: echi e citazioni di poesia preromantica e sepolcrale inglese in un’opera del primo ottocento italiano

in realtà, fermo restando ciò che altre volte s’è detto sulla vocazione preminente della nostra letteratura (e non solo), la cultura goticistica, fantastica e preromantica extra italiana (soprattutto inglese, che è il limite di questo articolo) fosse molto ben conosciuta dalle menti più elevate del nostro Parnaso, e studiata e conosciuta a tal punto da essere utilizzata e citata (anche in contesto ed ’autore considera i sepolcri politicamen- atmosfere concettualmente radicalmente diverse da te; ed ha per iscopo di animare l’emula- quelle di origine) frequentissimamente (lo stesso zione politica degli italiani con gli discorso può valere, forse inaspettatamente, anche esempi delle nazioni che onorano la per il Manzoni: leggere in questa luce - cosa che memoria e i sepolcri degli uomini grandi: però dovea potremmo anche fare un giorno - alcuni passi dei Promessi Sposi può riserviaggiare più di Young, vare delle sorprese...). d’Hervay e di Gray, e La tematica sepolcrale predicare non la ressurrecui il Foscolo si accosta zione dei corpi ma delle non era certo una novità virtù. Foscolo stesso, (anche in ambito italiarispondendo nel 1807 no e a lui contemporaalle pesanti critiche che neo: ricordiamoci almeil reazionario Abate no i Cimiteri pindemonGuillon rivolgeva ai suoi tiani). Prima ancora 295 endecasillabi Dei della poesia fondamentaSepolcri freschi di stamli sono i risultati dell’elapa, delinea i caratteri borazione archeologicodella sua opera: politica, erudita del XVII e del laica, di impegno civile, XVIII secolo, che aveva didascalica in senso alto. portato a trattati come, Nondimeno, il risultato fra gli altri, il De finale va oltre gli intenti Sepulchris Hebraeorum di programmatici dell’autoJohann Nicolaj. Da quere e in qualche modo li ste opere, non poetiche, disattende (Foscolo esce il Foscolo trae una notedal solco da lui stesso vole messe di notizie e tracciato; ma sono il denozioni storiche che gli lirare ed il de-generare forniscono l’humus e la che fanno Poeti...), ché I base storico sociale per le Sepolcri sono opera di sue argomentazioni, altissima poesia. Non è Cimitero di Staglieno - Foto di Mircalla oltre ché - diciamolo en questo il luogo per anche solo illuminare di sfuggita l’enorme, stermi- passant- alcuni “topoi” storicamente ed archeologinata, quasi vertiginosa, cultura che funge da fonda- camente imprecisi (basti pensare agli unguentari mento al carme, né per abbozzare una anche romani, ancora considerati i preziosi vasi che accosuperficiale ricerca dei rimandi, delle citazioni, gliean le lagrime votive.). degli imprestiti e delle suggestioni che Foscolo Venendo alla poesia, e prima di vedere più da viciricava e rielabora dalla tradizione letteraria classica no quella inglese, è necessario citare almeno la progreca e latina, dalla poesia medievale (la dicotomia duzione di ambito francese, conseguente alla mediDante/Petrarca in primis), dalla elaborazione cul- tazione post-rivoluzionaria sull’importanza delle turale a lui contemporanea. Potremmo invece tombe, in cui sono sicuramente da citare opere cogliere l’occasione per sottolineare un aspetto poetiche (di non eccelso valore, invero) come forse secondario ma non meno interessante: come L’Immagination di Delille oppure La Sépulture del -a zia Luisa: ...e l’armonia vince di mille secoli il silenzio-

If fall I must in the field, raise high my grave, Vinvela. Grey stones, and heaped-up earth, shall mark me to future times. When the hunter shall sit by the mound, and produce his food at noon, “Some warrior rests here” he will say; and my fame shall live in his praise. The Poems of Ossian, Carric-thura

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bolo i delitti) sembra preso da una analoga considerazione del Gray ( Questa zolla (chi sa?) forse ricopre/ rustico Hamdeno.....: là forse giace inonorato ignoto/Miltone agreste, e Cromoel poc’oltre....(Cesarotti)). Insomma, si potrebbe andare avanti quasi all’infinito, tante sono le schegge poetiche che denunciano la profonda assimilazione culturale di modelli che poi magari sul piano più generale sono dissimulati o poco evidenti. E questo a partire dai particolari (come non vedere, ad esempio, nella famosa upupa dei vv. 82-86 sorpresa a svolazzar su per le croci/ sparse per la funerea campagna, quasi un luogo comune dell’immaginario gotico?) per arrivare al piano più generalmente tematico. Per quest’ultimo caso mi paiono emblematici i versi del Macpherson che ho usato come epigrafe di quest’articolo: sembrano scritti apposta -tanto vi calzano per intenti e toni- per introdurre e riassumere quasi il carme foscoliano.

A. Canova: tomba di Maria Cristina d'Austria, Vienna

Legouvèt che consentono al Foscolo di inserirsi in una discussione, anche politica, d’avanguardia. Ma veniamo al nostro limitato scopo, che è quello appunto di scovare citazioni della poesia sepolcrale e romantica inglese nell’opera del Foscolo. Fra le opere obbligatoriamente da citare come influenza sul nostro poeta sono senza dubbio i classici A night piece on death (1721) del Parnell, The complaint, or night thoughts on life, death and immortality (1742-1745) dello Young, la famosissima Elegy written in a country churchyard (1752) del Gray e poi i Poems (edizione definitiva 1773) dello pseudo-Ossian, geniale intuizione del Macpherson mescolante temi gotici, sepolcrali, romantici ed epici. Questi ultimi soprattutto sono conosciuti in Italia tramite la splendida e per certi versi insuperata traduzione di Melchior Cesarotti, traduttore anche di altri preromantici inglesi (Gray compreso). Allora, innanzitutto l’interrogazione retorica di apertura del carme (vv.1-15 All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne/ confortate di pianto è forse il sonno della morte/ men duro? etc.) riprende gli esordi dell’Elegy del Gray: (vv. 65-70 Ah l’animato busto/ o l’urna effigiate al primo albergo/ può richiamar lo spirito fugace? Può risvegliar la taciturna polve/ voce d’onore? o adulatrice lode/ il freddo orecchio lusingar di Morte? (Cesarotti)). Al testo del Gray può tranquillamente fare da pendant l’incipit del Parnell: Dunque a che pro l’inanimata salma/ vestir di bruno ammanto, e al non suo tetto ombra la porta di feral cipresso (Zanella). Più avanti (vv. 49-50), la bellissima immagine del sospiro/ che dal tumulo a noi manda Natura riprende gli identici versi (vv. 8992) dell’opera grayana, già assunti dal Foscolo nella traduzione in latino del Costa (Naturae clamat ab ipso vox tumulo, usati anche per aprire le Ultime lettere di Jacopo Ortis). Inoltre il passaggio dei Sepolcri riguardante la triste sorte del Parini (vv. 75-77 non pietra, non parola; e forse l’ossa/ col mozzo capo gl’insanguina il ladro/ che lasciò sul pati-

Manfred

Bibliografia essenziale: Vale veramente per tutti il volume a cura di Donatella Martinelli: Ugo Foscolo “Sepolcri, odi, sonetti” e bibliografia ivi citata, Mondadori 1987. Per avere invece un’idea della traduzione cesarottiana dei poemi ossianici: Melchior Cesarotti “Poesie di Ossian” a cura di Gustavo Balsamo-Crivelli, Paravia 1925 (ancora oggi validissima l’introduzione critica). E poi ovviamente una buona storia della letteratura non fa mai male...

Ad Ugo Foscolo, in Santa Croce Al cospetto della tomba dei Grandi, quei Sacri Sepolcreti che custodiscono Spoglie Immortali, il rispetto più profondo, l’ammirazione incondizionata, la commozione, sentimento sublime!, s’impadroniscono del mio animo afflitto. Allor lacrime spontanee mi rigano il volto, mentre a quegl’onorandi Monumenti deferente m’appresso, e nulla faccio per asconderle, per ricacciarle. Il pianto, estremo, sincero omaggio a quell’imponente Mausoleo che è il ricordo, il rimembrar d’un passato venerabile, che quelle croci, quelle iscrizioni, quelle date, quelle immagini antiche fanno sorger prepotenti dalle ceneri della Memoria. La fanciullezza ormai lontana, perduta per sempre, età della purezza, la lettura di opere immortali, quei sentimenti altissimi che seppero ispirare, indelebilmente scolpiti nel cuor, nella profondità dell’anima. E dianzi la fredda lastra di grigio marmo in Santa Croce ch’è il tuo avello, Sommo Poeta che tanto amai giovinetto, quante lacrime eruppero inarrestabili, sacrate, dai miei occhi, purificatrici, mentre una folla di volti anonimi mi circondava, dimentichi della grandezza e della riverenza che quel Sacro Tempio altissimo ispira. Gemetti commosso, allora, come se t’avessi realmente conosciuto in vita, ed ancora ripenso a te, ed al Tuo immortale Carme, quando solingo m’aggiro fra quei vialetti, fra l’ordinate fila dei muti tumuli del Cimitero ch’accoglie i miei Cari, e tant’altri ancor, sconosciuti, ai quali ogni mio pensier in quei malinconici istanti è dedicato, l’oscurità della Vita, la tranquillità eterna della Morte... Mai, mai scorderò quella Tua Opra sublime, quella maestosa Epistola ch’eccelsa onora la Memoria, ed i Sepolcri, mai quei versi immortali seppellirò nell’atre profondità abissali dell’oblio, infausto cenotafio alla rimembranza, ma sempre recherò con me, nel mio cuor afflitto, ed a Te reverente eleverò il mio umile canto...

Hadrianus

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I Cimiteri: arte e paesaggio l cimitero monumentale nasce in Francia agli inizi dell’800 e ha nel Père-Lachaise di Parigi (1801) il suo primo e più significativo esempio, che viene subito seguito anche da Montmatre e Montparnasse (1806). Queste necropoli erano state progettate per essere esterne alla cinta muraria della città, ma già a partire dal 1840 lo sviluppo urbano le reintegra all’interno. Intanto si vanno popolando di monumenti e di statue, modelli di una nuova arte funeraria, diventando così una attrazione artistica e una meta turistica sia da parte dei cittadini che dei viaggiatori di ogni paese. Il PèreLachaise fu costruito a immagine degli Champs-Elysèes, come un giardino inglese ondulato e boscoso, dove le belle lapidi si perdevano tra il verde. Poi col tempo la natura ha dovuto indietreggiare davanti all’arte e solo la parte più antica e più alta ha conservato il suo incanto romantico, mentre nelle zone basse le tombe si trovano ad essere addossate le une alle altre. Pertanto oggi questo cimitero non assomiglia tanto ad un parco, quanto piuttosto ad un museo antico. Questo modello architettonico ha avuto largo seguito nell’Europa continentale, sia in ambito cattolico che protestante, e si è fuso con il vecchio camposanto italiano che si basava su di una struttura a chiostro. Nasce così la necropoli meridionale di Monaco (Sudliche Friedhof ) in cui gli elementi antichi come la lanterna dei morti, lo charnier (ossario) e la cappella si innestano in un paesaggio di sepolcri. A Pisa, all’interno del chiostro medioevale, le figure giacenti cominciano a far posto agli angeli

della morte, alle fanciulle piangenti in stile neoclassico o addirittura a sensuali nudi femminili che si allungano senza imbarazzo sul sarcofago. A Genova nel 1840 viene progettato un nuovo cimitero che poi si amplierà nel 1868, 1907, 1922 e 1956. Si tratta di Staglieno, che si dispiega con vaste gallerie interne ed esterne gremite di statue su un’area quadrangolare alle cui spalle si ergono una serie di scalinate che conducono sui ripidi fianchi delle colline adorne di bellissimi e possenti monumenti funerari tardo-ottocenteschi e novecenteschi. Altre città italiane sviluppano “città dei morti” dall’architettura composita e grandiosa che rivaleggiano in bellezza con quella genovese: Roma (il Verano), Firenze, Palermo, Milano. In tutta l’area mediterranea si diffonde la moda delle necropoli monumentali: ne sono esempio quelle di Nizza e Marsiglia, Barcellona e Madrid, fino a Lisbona. Al loro interno sulle tombe sia degli umili che dei ricchi si diffonde l’uso, precedentemente molto raro, della croce, di pietra o di legno, che diventa l’immagine simbolica della morte. I monumenti funerari si ispirano invece allo stile neoclassico: fanno così la loro comparsa le stele con urne, le piramidi, gli obelischi, le colonne intere o spezzate e anche gli pseudosarcofagi. Inoltre diventa molto popolare la tomba-cappella, sorta di piccola chiesa, in cui sono racchiuse le spoglie di ogni famiglia. Di solito è in stile neogotico e risulta costituita da una celletta con un altare sormontato da una croce, coperto da una tovaglia, candelieri e vasi di porcellana. Davanti stanno due inginocchiatoi mentre i nomi dei defunti e gli epitaffi sono scritti sui muri interni della cella, che è chiusa da un cancello, in origine sormontato da vetrate. La tomba si trasforma così in un luogo di visita e di pellegrinaggio, organizzato per la preghiera e la meditazione. Inoltre soprattutto a partire dalla seconda metà dell’800 diventa molto comune l’uso di statue che Cimitero monumentale di Pisa: chiostro medievale 17


rendano visibile all’occhio dei vivi tutta una l’abitudine di infiorare le tombe: a partire dal folla di morti da salvare all’oblio. Queste assu- 1850 la Francia “inventa” il crisantemo, nel mono spesso la funzione di ritratto, riproducen- senso che gli conferisce una specifica funzione do le fattezze e le caratteristiche fisiche o morali di fiore del ricordo e del culto familiare. Inoltre dei defunti. Le necropoli si riempiono così di cominciano a essere presenti le corone di perle e busti maschili, di figure di madri che tengono di ceramica, le targhe personalizzate o stereotiin braccio i figlioletti, di angeli, di donne in pate di messaggi ai defunti. E’ solo a partire preghiera. A volte le statue vanno a formare dagli anni ‘20 del Novecento e soprattutto nel delle vere e proprie scene di genere: le più periodo tra le due guerre che l’importanza della numerose e particolarmente patetiche sono statuaria funebre comincia a diminuire perché quelle di bambini, che vengono scolpite con un ad essa si sostituisce il ritratto sotto forma di fotografia, testimonianrealismo carico di sugza ben più tangibile e gestione e malinconia. veritiera oltre che inalNe sono esempio alcuterabile nel tempo, il ne tombe di fine ‘800cui uso diventa via via primi del ‘900, come generalizzato fino a quella del cimitero di essere oggi dominante. Nizza in cui una fanEsiste, sempre a partire ciulla di otto anni accodall’inizio dell’800, un glie in cielo il fratellino altro modello di cimiteche è venuto a raggiunro che si pone in congerla nell’aldilà. I due trapposizione a quello bambini, a grandezza “monumentale”: si tratnaturale, si tendono le ta del rural cemetery, braccia e il ragazzetto in camicia si butta di costituito prevalenteslancio verso la sorella mente da un paesaggio che lo aspetta. Un’altra naturale in cui scarsegsi trova nel cimitero di giano elementi scultorei S. Miniato al Monte a e orpelli artistici. Firenze e mostra due L’esempio che ha fatto sorelline, Emma e scuola è quello di Mont Bianca, che si ritrovano Auburn nel Massachuin cielo: si corrono setts, costruito nel incontro, ma la più pic1831 quando ormai cola è già in parte traanche nel Nuovo sformata in una rosa, Continente cominciaCimitero di Staglieno - Foto di Mircalla essendo morta un po’ vano a preoccuparsi prima dell’altra. Un’altra scena rappresentata della situazione igienica delle sepolture, come molto spesso è anche quella del momento finale era già avvenuto in Francia a fine ‘700. I progetdell’esistenza. Ad esempio sempre a Firenze c’è ti miravano a fare del cimitero uno spettacolo una immagine funeraria del 1807 con una che associasse bellezza e natura, una istituzione ragazza mentre si leva sul letto e apre le braccia culturale per i vivi che avrebbero desiderato visiall’eternità di beatitudine promessa, vincendo tarlo e andarci a meditare. Doveva essere innancosì la Morte che con lo scheletro e la falce le zitutto un luogo filosofico, che insegnasse come sta dietro pronta a carpirla. Oltre alle statue la morte non è solo distruzione ma concorre al sono presenti nei cimiteri monumentali le steli ciclo naturale di riproduzione, in un alternarsi funebri, di solito dalla cima arrotondata, ornata di creazione e distruzione. In seconda istanza di un piccolo sbalzo su entrambi i lati, che por- bisognava che avesse anche una funzione tano al centro l’iscrizione e l’epitaffio, spesso patriottica, civica e morale, ricordando ai figli il elaborati e sormontati da una sommaria decora- valore dei padri e trasmettendogli il senso della zione a fiori stilizzati o dal teschio alato, secon- continuità storica, delle radici sociali. Nella sua do la tradizione. Nasce in questo periodo anche concezione originaria Mont Auburn non era 18


molto diverso dal Père-Lachaise, in quanto entrambi erano giardini con dei monumenti, ma in seguito il rapporto tra natura e arte muta in senso opposto rispetto al modello francese. Nella parte antica le tombe sono stele neoclassiche (headstones), spesso raggruppate in un recinto metallico, oppure monumenti scolpiti con personaggi realistici come quelli dei cimiteri francesi e italiani. Invece durante la seconda metà dell’800 e all’inizio del ‘900 il paesaggio prende il sopravvento: si eliminano i cancelli e le headstones vengono sostituite con una discreta lastra di pietra o di metallo che si limita ad indicare l’ubicazione della sepoltura. Si passa così dal rural cemetery dell’800 al lawn cemetery del ‘900, cioè al vasto prato con piccole insegne funerarie appena visibili. Mont Auburn è stato subito imitato in America e in Inghilterra (Abney Park a Londra nel 1840), fino ad estendere a tutto il mondo anglosassone il modello della tomba che sparisce nel paesaggio fino a confondersi col prato. Ne abbiamo un esempio in miniatura anche in Italia: il meraviglioso cimitero protestante di Roma, in cui si trova sepolto Shelley, un’oasi romantica nel centro della città classica e barocca. La differenza nella scelta dei modelli di necropoli tra le due aree geografiche potrebbe dipendere da un diverso atteggiamento dinanzi alla natura. In America e Inghilterra quest’ultima ha esercitato sempre una forte influenza emotiva

Certosa di Ferrara - Foto di Lord Ruthven © Apathya

ed i suoi legami con la morte sono reali e profondi. Basti pensare all’importanza assunta dall’ambientazione paesistica nelle liriche dei poeti sepolcrali e poi anche degli autori romantici inglesi, secondo cui solo i grandi spazi naturali possono assecondare quella meditazione necessaria a chi si pone dinanzi alle sepolture dei propri defunti. L’abbandono alla natura che tutto ricopre col suo manto verde è dunque per loro preferibile alle tombe marmoree dove in realtà è la vanità degli uomini che si nasconde sotto il pretesto di onorare i defunti. Nel resto d’Europa invece il senso del paesaggio è riuscito a commuovere gli animi solo per un breve periodo a cavallo tra fine ‘700 e inizi ‘800, poi è tornato a essere indifferente e il sentimento dei morti è stato totalmente assorbito dal monumento funebre. Così il cimitero, racchiuso dentro le sue mura, è diventato una grande opera d’arte, un simbolo eterno di bellezza, una rappresentazione elegante, armonica e rassicurante del mondo dei vivi.

Mircalla Bibliografia: P. Ariès, L’uomo e la morte dal medioevo a oggi, Laterza Editore; M. Vovelle, La morte e l’Occidente, Laterza Editore. a lato: Cimitero di Staglieno - Foto di Mircalla sfondo a pg. 17: Cimitero di Milano - Foto di Lord Ruthven, © Apathya

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La rappresentazione della Morte nel cinema di Peter Greenaway eter Greenaway è uno dei più interessanti e apprezzati registi inglesi contemporanei. Il suo cinema si fonda da una parte su di una affascinante e radicale ricerca visiva e pittorica, dall’altra su di una strutturazione molto complessa, a volte volutamente enigmatica, delle trame, sempre cariche di allusioni, di simbolismi e di giochi intellettuali. Dal punto di vista formale potrebbe benissimo essere definito come un cineasta neogotico, dato che nei suoi film è evidente la ripresa di suggestive immagini di rovine

The Draughtsman's Contract, 1983

alla Piranesi (cfr. soprattutto “The Belly of the architect” ma anche “The Prospero’s Book”) così come il tentativo di ricreare la ricchezza e la perfezione architettonica delle grandi costruzioni di fine ‘700. Egli stesso afferma che uno dei luoghi “mitologici” che più hanno affascinato e influenzato la sua adolescenza è stato Fonthill Abbey, il palazzo neogotico di William Beckford, l’autore del bellissimo romanzo “Vathek” (1782). Vale la pena di ricordare quest’opera perché si tratta di un vero e proprio catalogo di orrori, in cui si mescolano sadismo, masochismo, necrofilia, incesto, in un insieme sovraccarico e ridondante, ma con un effetto complessivo angoscioso e labi20

rintico. La stessa cosa può essere detta del cinema di Greenaway che proprio nell’oscuro groviglio del romanzo gotico trova lo spunto per elaborate costruzioni di immagini. I suoi film sono pertanto il frutto di una visione tragica, violenta e delirante della vita, in cui è in particolar modo presente e ossessivo il senso della morte, tanto da costituire una delle tematiche principali e ricorrenti. Greenaway, da perfetto esteta, si compiace nella messa in scena della decadenza dell’esistenza e del momento conclusivo nel processo evolutivo delle cose. In “The Draughtsman's Contract” i bei disegni senza vita di Neville, che nascondono in realtà una profonda angoscia e rimozione della morte, sono destinati a essere bruciati e il suo autore a essere sacrificato secondo un rito violento. In “A zed and two noughts” ogni forma vivente viene analizzata nella fase della decomposizione del suo cadavere; in “Drowning by number” tutti gli uomini sono vittime designate di un macabro gioco omicida; in “The Belly of the Architect” la distruzione dall’interno della mostra di Boullè accompagna il suicidio del suo ideatore. In “The cook, the Thief, his Wife and her Lover” il dramma si chiude con un rito di cannibalismo, mentre in “The Baby of Macon” culmina in una uccisione violenta in seguito a stupro. Vi è nei suoi film una persistente ricerca necrofila, un piacere masochistico nel circondarsi di immagini di disfacimento fisico, spesso abbinate a quelle di sesso, secondo il topos letterario Eros/Thanatos, ed una ossessione per la degradazione, la mutilazione, la putrefazione dei corpi. Ma il merito di Greenaway è anche quello di essere riuscito a portare veramente sullo schermo


l’immagine della morte. In particolar modo egli te complesso in cui tre personaggi femminili ha saputo rendere protagonista della rappresenta- dallo stesso nome (Cissie), ma di età diverse (cfr. zione il cadavere, che invece nella storia del cine- le tre età della donna) uccidono uno dopo l’altro ma è sempre stato oggetto di un’abile rimozione i rispettivi mariti secondo un cerimoniale costan(tranne ovviamente nei film dell’orrore dove anzi te che ne prevede l’annegamento. L’acqua rappreassume il ruolo principale, si vedano ad esempio senta infatti simbolicamente la Grande Madre, il i vari zombies, mummie, vampiri, frankestein liquido amniotico della creazione, presente nei etc.). corpi delle tre protagoniste portatrici di morte “A zed and two noughts” (tr. it. “Lo Zoo di agli uomini. Ma non sono figure crudeli e sanVenere”) del 1986, suo secondo lungometraggio guinarie, perché in realtà si tratta di un gioco dopo “The Draughtsman's Contract” (tr. it. “I fine a se stesso, in cui non c’è passione nel delitto giardini di Compton House”) del 1983, assomi- o turbamento emozionale nella successione degli glia ad un enorme teatro degli orrori: in esso vi è omicidi. Anzi questi ultimi rientrano in quello una costante presenza delle cose morte, che ven- che è il vero scopo del film, ossia divertirsi a congono poste al centro dell’inquadratura e diventa- tare e ordinare tutti i decessi più o meno naturali no oggetto di una ossessiva osservazione. I prota- che avvengono nell’ambiente circostante. Esiste gonisti sono dei gemelli zoologi che registrano infatti nascosta all’interno della messa in scena senza tregua la decomposizione degli organismi una successione progressiva di numeri da 1 a 100 viventi, partendo dai più elementari (una mela) corrispondenti ad altrettanti allestimenti di fino ai più complessi (gli animali) secondo la morte che vengono catalogati da un bambino scala evolutiva. Il processo viene ricostruito ossessionato dalla visione dei cadaveri. Egli è mediante la successione di fotografie scattate a l’unico partecipante a questo macabro passatemintervalli regolari, montate insieme e proiettate po i cui momenti particolarmente propizi sono il in accelerazione a ritmo continuo. Quando giun- venerdì e il martedì pomeriggio, guarda caso i gono a dover filmare il corpo umano i due scien- giorni tradizionalmente dedicati al lutto. I macaziati decidono addirittura di sacrificare se stessi bri riti proseguono inesorabili fino al numero 99, in modo che la cinepresa possa seguirne in diret- corrispondente alla morte stessa del piccolo che ta i gradi di putrefazione. Il film si basa dunque si suicida impiccandosi ad un albero. Con lui il sulla ripresa costante e iterata della morte che è il gioco è destinato a finire e l’ultima rappresentafine ultimo della rappresentazione e che provoca zione, la n° 100, quella che riassume in sé tutte un senso di smarrimento e di irrealtà cancellando le precedenti, è l’uccisione, ancora una volta per qualsiasi angoscia e terrore nello spettatore. I acqua, dell’amante delle tre donne, padre del cadaveri diventano l’unica vera realtà mentre bambino e suo doppio adulto, ultimo rappresenl’esistenza umana si rivela essere nient’altro che tante del mondo maschile. una concatenazione accidentale di eventi, secon- Con “The Cook, The Thief, his Wife and her do un processo continuo di trasformazione che lover” (tr. it. “Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e ha nel susseguirsi del ciclo vita/morte, l’amante”) del 1990 Greenaway riprende a piene nascita/disfacimento il suo unico scopo. mani la tradizione della tragedia elisabettiana seiAl fascino centesca nei della decomsuoi aspetti più posizione si barbari e viosostituisce lenti fondenquello del dola con il lutto nel sucgusto delirante c e s s i v o e profanatore “Drowning del teatro delle by numbers” crudeltà di it. (tr. Artaud. La “Giochi messa in scena, nell’acqua”) anche in quedel 1988. Si sto caso estretratta di un mamente elaracconto borata, si svolDrowning by numbers, 1988 - sfondo: The baby of Macon, 1993 estremamenge quasi esclu21


sivamente all’interno di un ristorante in cui, non solo metaforicamente, più che mangiare si viene mangiati. Il ladro, figura perfida e maligna, che ricorda quella del “villain” nel romanzo gotico, costringe il suo seguito e in particolar modo la moglie al rituale giornaliero del pranzo che diventa occasione per le più orribili torture. Accanto domina il regno della cucina, simile ad un girone infernale, in cui la preparazione delle pietanze si trasforma in una serie di immagini di morte con cadaveri di animali che si susseguono sulla pellicola senza tregua. Ma il gioco sadico del ladro sfocia nella violenza eccessiva con l’uccisione dell’amante della moglie. E qui il gusto macabro del regista prende il sopravvento. Il tabù del cannibalismo, del resto presente fin dall’inizio del film come una vera e propria costante, viene finalmente infranto. La moglie dopo l’omicidio dell’amante ne fa cuocere il corpo e obbliga il marito a mangiarlo. In questo modo egli viola quella legge sacra che proibisce di cibarsi di esseri umani e il rituale si conclude con la sua stessa messa a morte. Si tratta davvero di una rappresentazione degna del GrandGuignol, il teatro dell’orrore, in cui la carne e il sangue diventano i protagonisti incontrastati della scena. Dopo “The Prospero’s Book” (tr. it. “L'Ultima Tempesta”) del 1992 tratto da Shakespeare, con “The Baby of Macon” del 1993 Greenaway torna ad allestire tutta una serie di marchingegni macabri privilegiando la rappresentazione della violenza e della morte. Si tratta di un film blasfemo, crudele e provocatorio che comincia là dove finisce “The Cook, The Thief, his Wife and her lover”, perché ne riprende il tema del cannibalismo ma proponendolo a un livello più generale. Infatti la scena del fanciullo (simbolo del Gesù bambino) il cui corpo, una volta deceduto, viene

sezionato e riciclato in una miriade di sante reliquie diventa un chiaro attacco alla Chiesa della Controriforma che si cibava senza scrupolo del potere temporale e anche alla società moderna che con i suoi mezzi di comunicazione di massa porta allo sfruttamento e all’abuso soprattutto dell’infanzia. Il regista si diverte inoltre a ricostruisce la messa in scena di un “masque”, forma teatrale barocca che cercava di dare l’illusione della realtà e in cui il pubblico diventava protagonista influenzando a suo piacimento le sorti dell’azione. Solo che egli si spinge addirittura oltre il superamento della finzione del dramma per arrivare sino all’estrema teorizzazione della rappresentazione della morte reale, proprio come negli odierni snuff-movies. Così l’attrice che interpreta la parte della donna condannata a essere stuprata duecentootto volte viene realmente sottoposta a violenza fino a morire sulla scena di fronte agli spettatori increduli. Vorrei infine citare due opere minori di Greenaway, il cortometraggio dell’83 “The sea in their blood”, in cui viene anticipata l’ossessione della morte per annegamento sviluppata poi in “Drowning by numbers” e soprattutto il mediometraggio “Les Morts de la Seine”, girato per la televisione francese nel 1989. Il film consiste nel seguire l’azione di due becchini, che però sono vestiti da clowns, impegnati nel loro lavoro di elencare e verbalizzare tutti i morti annegati nel fiume. La cinepresa non fa altro che seguire ordinatamente le salme, esponendole una per una, con immagini frontali, in un catalogo mortuario che si succede senza tregua. Ma il gusto macabro della scena è volutamente messo in ridicolo dal fatto che i cadaveri sono interpretati da attori vivi che respirano visibilmente e che a volte anche strizzano l’occhio verso lo spettatore, facendo intendere che tutto sommato si tratta solo di una finzione e che forse anche la Morte non va sempre presa sul troppo serio.

Mircalla

The Cook, the Thief, his Wife and her lover, 1990

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Bibliografia: Cineforum n° 259 pg. 45-50, n° 281 pg. 75-80; n° 285 pg. 70; n° 291 pg. 73-78; n° 330 pg. 58-62.


Leonardo Bistolfi, il poeta della Morte fortunato momento artistico e critico gli valsero la partecipazione alla VI Esposizione Internazionale di Venezia (1905) e soprattutto la committenza nel 1909 del “Monumento Carducci”, un insperato e lungamente atteso riconoscimento alla sua attività - spesso oltraggiata - di scultore. Nella mostra veneziana Bistolfi ebbe la possibilità di esporre il modello del gruppo della “Croce” (1905, Monumento funebre ad Orsini), un’opera atipica in cui predominano le figure maschili con un inaspettato interesse per la tensione dei muscoli e per i drappeggi classicheggianti, per un vigoroso ed eroico realismo che lo allontana per un momento dalla scultura eterea e dalle fanciulle flessuose del suo classico repertorio. Un cambiamento di percorso precocemente abbandonato di cui non rimase altra traccia se non una sottile sensualità che diede alla luce, nell’ultima produzione bistolfiana, - di tono generalmente minore opere notevoli come “La vita e la Morte” (1912) e “Il Scuro Destrier della Canzone” (1911/12). Ne “La Vita e la Morte”, predomina la Morte, Venere oscura dai fluenti capelli e dalla lunga veste trasparente che soggioga con la sua forza e il suo magnetismo la Vita, una fanciulla impaurita ed esitante, (simbolo della fragilità della condizione umana), impotente dinanzi a tutta quella forza magnetica che, prepotentemente, l’attira verso un mondo pericoloso ed ignoto. Lo spirito cupo e malinconico dell'autore prevalse nel Monumento a Carducci (concepito nel 1909, ma terminato nel 1928), inorganico e artificioso gruppo scultoreo che chiuse definitivamente la sua carriera ormai rovinata da un’ispirazione vacillante e da una critica spietata e velenosa. Leonardo Bistolfi ebbe il merito di creare una nuova concezione della Morte: non più una tiranna crudele o uno scheletro grottesco ma un angelo (o una fanciulla) che ama e soffre per i suoi eletti; una scultura poetica e incontaminata che amoreggia con la Bellezza e il Sogno per donarci l’ultima illusione - necessaria a noi “superstiti”- di una fine indolore, di un oblio in cui è dolce naufragare e, perché no, sognare di entrare in un Paradiso luminoso e splendente tra teorie di angeli, corridoi di luce e preghiere di pace.

eonardo Bistolfi, ingiustamente caduto nell’oblio più completo, fu il dominatore incontrastato della scultura funeraria italiana dell’800; scolpì statue, bassorilievi e gruppi scultorei floreali e neorinascimentali con valenze simboliste e impianti fortemente teatrali, che gli valsero spesso la critica di essere troppo “pittorico” ed artificioso. Affascinato dal mistero della morte e dal suo ambiguo rapporto con la vita esordì nel 1881/82 con “L’angelo della morte” (Tomba Braida, Torino), un’opera che, pur essendo legata ai classici dettami della scultura funeraria dell’epoca, anticipa, seppur timidamente, “il modellato pittorico e la vena patetica” (1) della sua maturità artistica. Questa scultura un angelo dalle grandi ali piegato su una culla vuota - non ottenne il successo sperato e costrinse lo scultore a dedicarsi, per un certo periodo, ad una serie di sculture di impronta realista: piccole scene di vita quotidiana e popolaresca scolpite con un affettuosa ironia e una romantica ingenuità tipiche della cultura naturalistica dei suoi contemporanei. Una svolta presto abbandonata per seguire l’inclinazione, ben più congeniale alla sua sensibilità, della ricerca della Bellezza e dell’Ideale. Una ricerca che venne inaugurata con la “Sfinge” (1892, Monumento funebre della Famiglia Pansa), raffigurazione simbolica della Morte e dell’enigma della rinascita della vita. Una sfinge incarnata in una giovane donna dai rigidi e pesanti abiti, dallo sguardo freddo e fisso verso un mondo senza ritorno; una regina maga assisa su un imponente trono e circondata da crisantemi e gigli, simboli di una vita che, impensabilmente, si rigenera da quel mondo di solitudine e di ombra che è l’oltretomba. Una scultura a cui seguiranno numerosi tentativi, culminanti ne “Le spose della Morte” (1895, Tomba Vochieri, Frascarolo Lomelina), lapide in cui sboccia e si definisce l’archetipo bistolfiano della Donna: creatura fatata dal corpo leggiadro e le vesti avvolgenti, bellezza estenuata e scintillante lontanissima dal fascino silenzioso e distante della fanciulla della Sfinge. Scultore di chiara ispirazione preraffaellita, Bistolfi suscitò l’ammirazione di D’Annunzio ed ebbe una profonda amicizia con Giovanni Segantini, pittore divisionista, a cui dedicò “L’Alpe”, grande statua di una giovane simboleggiante una “bellezza luminosa, pura ed incontaminata”. Un omaggio alla memoria nato dall’ammirazione per i suoi quadri e dal condiviso amore per la Bellezza e per una visione positiva e magica dell’Arte. Una filosofia affascinante e un

Délie (1): Sandra Beresford, “Leonardo Bistolfi”, 1981. Bibliografia orientativa: Rossana Bossaglia “Leonardo Bistolfi”, 1981, Roma, Editalia. Sandra Beresford, “Leonardo Bistolfi”, in “Scultura italiana del ‘900”, AAVV. 1991, Milano, Banco Ambrosiano Veneto - Electa.

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Un nuovo Memento Mori: “The Morgue” di Andres Serrano ormai tutti tristemente abituati a vedere immagini di corpi martoriati alla televisione, al cinema, ma qui non si tratta di cronaca o della registrazione di un evento. La scelta di immortalare la morte fine a se stessa e di restituircela come opera d’arte è molto più radicale: non c’è morale o giudizio, non c’è paura o esaltazione, non c’è compassione o denuncia. Lo stesso autore afferma che la giusta lettura dell’opera è “quella di una identità violentata da una realtà quotidiana che ti incalza, che ti assedia. Non c’è nessun tipo di compiacimento in quelle immagini da parte mia, nessuna pretesa di provocazione”. C’è chi ha paragonato questa ricerca artistica ad un nuovo monumento funebre per anonimi defunti, ma in realtà anche il senso della memoria, del ricordo, dell’affetto è andato ormai perduto. Sono rimasti solo dei corpi, ripresi nella loro atroce e macabra bellezza mortuaria, a formare una galleria di orrori senza scopo, che però attraggono lo sguardo e dai quali si viene inconsapevolmente sedotti. Del resto il fascino della morte è una presenza costante nella storia dell’umanità, e la sua rappresentazione è forse da considerare un modo “diverso” di mostrare la vita, colta nel suo aspetto più oscuro. Così sembra essere per Serrano che dichiara: “la morte è un incontro a cui tutti arriviamo, un non-luogo privo di identità che ci penetra indiscriminatamente. Rappresenta una frontiera irrisolta della vita, una <zona morta> che per il suo mistero mi inquieta e mi affascina”.

ndres Serrano è un fotografo di origine ispano-americana molto conosciuto per l’eccentricità e la blasfemia dei suoi soggetti, spesso a carattere religioso. Particolare scalpore hanno suscitato alcune sue immagini come “Piss Christ”, in cui un crocefisso sta immerso nell’urina, o la serie “black” con statuette di Gesù, Madonne e apostoli dipinte di nero e messe in acqua, o ancora l’omaggio a Mondrian fatto usando urina, sangue mestruale e latte. Ultimamente l’interesse di Serrano si è però spostato verso il corpo umano: nascono così le serie di fotografie dei membri mascherati del Ku Klux Klan o i ritratti di homeless (“Nomads”). Attualmente l’artista sta portando in giro per il mondo la sua ultima antologia dall’inquietante titolo “The Morgue”, in parte esposta anche in una galleria d’arte di Roma. Si tratta di immagini di cadaveri scattate all’obitorio, un catalogo di morti distesi sui bianchi lettini di ospedale, dei quali non resta né il nome né la vita passata, ma soltanto un cartellino con scritte le cause del decesso. Sono per lo più vittime di morti violente, dal suicidio all’accoltellamento, ma non mancano i casi accidentali, come l’annegamento, o naturali, ad esempio l’arresto cardiaco, l’AIDS e, nei bambini, la meningite. Raramente i corpi sono ripresi nella loro interezza, l’artista preferisce soffermarsi sui singoli particolari anatomici: volti, braccia, gambe. Possono essere immagini di forte tenerezza, come quelle nei confronti dell’infanzia: particolarmente struggenti risultano i piedi di un neonato con ancora i segni dei calzini sulla pelle, o due candide manine intrecciate come se stessero giocando, o le labbra livide appena aperte in un dolce accenno di sorriso. Ma sono soprattutto visioni estremamente forti e raccapriccianti di corpi bruciati, martoriati dalle ferite, la pelle squarciata o aperta per l’autopsia. I colori con cui vengono ripresi i cadaveri sono altrettanto duri, violenti, carichi e il gioco di chiaroscuro non può non ricordare certi quadri di Caravaggio. L’emozione che si prova di fronte a queste fotografie è veramente intensa: siamo

Mircalla Bibliografia: Andres Serrano, The Morgue, catalogo della mostra; T. Macrì, Serrano, La morte negli occhi, il manifesto, Sabato 6 maggio ‘95; A. Di Genova, La livida bellezza di corpi anonimi, il manifesto, Sabato 6 maggio ‘95.

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Osservare la morte, studiare il vampiro: “Vampiri, sepoltura e morte” di Paul Barber un particolare microclima) sono alcuni dei segni d’appartenenza al gruppo dei vampiri. Così fenomeni rientranti in una casistica oggi perfettamente conosciuta da qualsiasi medico legale, divengono in quelle società segni distintivi dell’appartenenza di un cadavere alla categoria dei revenants (e cioè dei ritornanti, di coloro che ritornano in questa vita non riuscendo a passare nell’altra). In quanto elemento disturbante, il vampiro deve essere distrutto per il quieto vivere della compagine sociale, e siccome una società non autoespellerà mai (neanche dopo morti) i suoi elementi “normali”, validi e integrati, esso verrà associato di volta in volta a categorie sgradite o deboli: donne, eretici, alcolizzati, diseredati in genere sono i più probabili candidati al ruolo di vampiro. Il saggio procede suddiviso in diciannove capitoli (più una introduzione ed una conclusione), i primi quattro dei quali sono dedicati all’interessantissima analisi di documenti originali riguardanti casi di vampirismo e il loro relativo epilogo: il Caso di Peter Plogojowitz nella Serbia del 1725, il Visum et Repertum, un rapporto investigativo delle autorità governative serbe sul caso dell’ex soldato Arnod Paole del primo quarto del XVIII sec., il Caso del Vrykolakas dell’isola di Mykonos in Grecia esposto dal botanico francese Pitton de Tourenfort (inizi del ‘700), ed infine il caso più antico (1591) quello del Calzolaio della Slesia. I testi originali servono al Barber, forte anche di una grande conoscenza delle lingue che gli permette di scorgere le sfumature più particolari dell’espressione, come fondamenta per spiegare i meccanismi della nascita di un vampiro, le sue principali attività (scopriremo ad esempio che quella di succhiare il sangue è del tutto secondaria e minoritaria: il vampiro, nostalgico della vita vuole bere, mangiare e fare l’amore, bacia, ruba il respiro e... fa tanti dispetti) e gli efferati modi di eliminazione del cadavere ribelle. In chiusura ci sono alcuni capitoli di vera e propria dimostrazione delle tesi barberiane ed uno bellissimo sulla credenza dell’esistenza nell’uomo di due anime distinte che regolano le due diverse vite pre e post mortem. Un interessantissimo libro dunque, di avvincente anche se complessa lettura, che dimostra come su ogni argomento si può costantemente gettare nuova luce e scoprire inedite prospettive. L’unica osservazione che si può fare al Barber, in questa sua curiosa mistura di osservazioni medico legali, fisiche, storiche, sociali e letterarie, è che a volte pecca di eccessivo positivismo e scientismo tendendo sempre e comunque a trovare le spiegazioni di fenomeni culturali e sociali in elementi logici e conseguenti, quasi matematici. Credo invece che nelle cose dell’uomo sempre si debba tenere conto dell’insondabile e dell’irrazionale; alla fine il Barber - come osserva Vito Teti nel suo altrettanto bel libro sul vampirismo "La melanconia del vampiro" - ci spiega quasi tutto dei come, ma tralascia molti perché.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare.... Francesco d’Assisi “Cantico di Frate Sole”

a Pratiche Editrice ha pubblicato in italiano, dopo sei anni dall’edizione in lingua inglese, il libro di Paul Barber Vampiri, sepoltura e morte (Vampires, burial, and death, Yale University Press, London) (324 pp. £ 38.000). Barber è docente di Storia del folclore e di Letteratura Tedesca all’Università americana di Princeton e ci offre un testo fondamentale per comprendere la genesi, lo sviluppo e le caratteristiche della figura del Vampiro. Diciamo subito che egli non si interessa al tipo del vampiro come noi lo conosciamo dalla tradizione letteraria e cinematografica, ma del revenant folclorico, presente nella cultura popolare e del quale il vampiro romantico assume solo alcuni tratti e a volte anche secondari. “Se un tipico vampiro dovesse presentarsi a casa vostra, è probabile che vi trovereste sulla porta uno slavo grassoccio con le unghie lunghe e la barba ispida, gli occhi e la bocca spalancati, la faccia gonfia e rubizza. Abbigliato in maniera informale - per la precisione indossa un sudario di lino - apparirebbe agli occhi di tutti come un contadino lacero.” Con queste significative parole l’autore, nell’introduzione, sottolinea le evidenti differenze fra l’oggetto del suo studio e la tenebrosa creatura della notte cui siamo avvezzi. L’interessantissima tesi di fondo del Barber, ciò che lo ha fatto introdurre in questo numero di Ver Sacrum dedicato alla Morte, è che la creazione dell’essere soprannaturale "vampiro" è conseguente alla precisa osservazione e coscienza da parte dei componenti delle società sostanzialmente preindustriali di ciò che accade al corpo dopo il Decesso, e ai tentativi di dare una spiegazione ed una giustificazione a fenomeni ritenuti anomali. Infatti poiché nelle società antiche e rurali-tradizionali si tende in linea di massima a ritenere la Morte non come una scomparsa totale ma come un cambiamento, un passaggio di stato a uno stadio dell’esistenza diverso da quello dei “vivi” anche se equivalente, si ritiene “regolare” un processo di decomposizione del corpo che attraverso vari stadi porti, senza problemi, al disfacimento ed alla scheletrizzazione. Solo a processo fisico completato si ritiene avvenuto il passaggio da una vita all’altra, e il defunto resta definitivamente nella sua nuova dimensione e più non interferisce con questo mondo. Siccome però di fatto il processo di decomposizione prende strade e dinamiche diverse a seconda dei fattori biologici ed ambientali (presenza o meno di batteri, grado di umidità, diversa temperatura ecc.) viene percepito come un segnale di allarme ogni tipo di decomposizione che non rientra nel ciclo, o per meglio dire, dentro la regola. Rigonfiamento del corpo, crescita di unghie e capelli, contrazioni, emorragie, scopertura delle gengive e dei denti (cose che oggi sono all’ordine del giorno soprattutto con la pratica della sepoltura nei loculi in bare zincate dentro le quali si crea

Manfred 25


d o T r e D

Raccontami la genesi dei Der Tod I Der Tod sono Fausto (chitarre, piano e programming) e chi vi risponde, cioè Simone (voce): abbiamo suonato per quasi un lustro in un quartetto che si chiamava Jesus Went to Jerusalem, giravamo nel circuito alternativo/autogestito e proponevamo un incazzatissimo metal-core con aperture new-wave e funky. Quando nel 1991 l’esperienza terminò erano già nati i DT; oggi difficilmente accetteremmo altri musicisti nel progetto, essere in due semplifica le cose, sia musicalmente che a livello di rapporti umani... La vostra estetica coniuga in maniera originalissima le più varie influenze musicali; a quali musicisti dovete di più? Come definireste la vostra musica (non ditemi crossover!)? Personalmente sono cresciuto ascoltando i generi più disparati e ancor oggi ho serie difficoltà a dirti quale stile preferisco. Diciamo che il sottoscritto ha sempre avuto una predilezione verso certi artisti dei ‘70’s (Motown, hard rock, Bowie, Roxy, Lou Reed etc.) e per la classica (Stravinsky, Gershwin) mentre Fausto sballa per la musica cosmica tedesca, certo jazz ed il progressive (niente Yes, Jethro Tull et similia però!). Comunque entrambi non abbiamo dubbi nel ritenere che la scena rock attuale sia mortificante ed assolutamente inutile nel 99% dei casi!!! Al di là della musica, quali sono i vostri riferimenti estetici e culturali? Io vi vedi molto un certo mondo tecnologico-decadente celebrato da autori cinematografici come Stanley ("Hardware", "Demoniaca"): sbaglio? Ho letto qualcosa sul regista che citi ma purtroppo non ho mai visto nulla al cinema che lo riguarda. Penso che la lettura de “I fiori del male” a 13 anni sia stata decisiva: la potenza visionaria di alcune poesie di quella raccolta è ineguagliabile. Con gli anni, oltre al decadentismo francese ed italiano, ho approfondito il discorso su certa letteratura “apocalittica” (Orwell, Huxley etc.) e su autori misconosciuti di fantascienza (tipo Shiel del quale consiglio vivamente “La nube purpurea”). Il mio romanzo preferito è comunque “Viaggio al termine della notte” di Celine. Sono questi i miei riferimenti culturali assieme alle visioni suggestive delle opere di artisti come Bosch, Bacon, Munch, Goya e Giger. Parlando dei DT al sottoscritto come immagine del nostro suono viene in mente un cut-up di fotogrammi dai due capolavori kubruckiani “2001 Odissea nello spazio” ed “Arancia meccanica”, intervallato dalle cascate di sangue di “Shining” e dai monologhi disperatamente cinici del “Monsieur Verdoux” di Chaplin: vi basta come allucinazione ? Il vostro volto decadente è a mio avviso espresso anche dalle liriche: mi sembra di cogliere costantemente l’espressione di un disagio, di un male di vivere, di un non risolto conflitto tra l’individuo e il mondo che lo circonda. Contemporaneamente voi suonate spesso in CSAO, che sono una realtà politica ben precisa. Come secondo voi può coniugarsi la dimensione personale ed intimista con l’impegno e le istanze sociali? Cos’è per voi la “politica”? Io ho un’opinione molto ben precisa della nostra esistenza: l’uomo è qui sulla terra per finirla, noi siamo come le cellule cancerogene che si impadroniscono della vita altrui mandando in metastasi il corpo e poi muoiono... Per quanto riguarda i CSA, le nostre esibizioni negli squat sono sempre più rare: mancano infatti le strutture tecniche per la strumentazione ed inoltre per noi molto è cambiato in questi luoghi dagli inizi dei novanta; penso che l’esplosione delle posse e del rap abbia volgarizzato e svuotato di contenuti questa forma di aggregazione. Vi chiamate Der Tod. Cos’è per voi la Morte? Il momento finale della vita di ognuno di noi nonché l’unico momento veramente democratico della nostra esistenza... Sono rimasto letteralmente folgorato dalla vostra dimensione live: la vocalità e la fisicità di Simone sono realmente impressionanti e sconvolgenti. Molto forte nello show è il contrasto fra il sudore e la carne e l’aspetto tecnologico. Quanto vi è di preparato -dunque di teatrale- nella performance di Simone e quanto di veramente spontaneo? 26


Di preparato c’è solamente l’abitudine a cantare sotto sforzo, la mia esibizione potrebbe essere definita una “improvvisazione controllata” perché ogni volta cambiano il palco ed il contesto nel quale ci esprimiamo, ma è logico che certi movimenti hanno senso solo in un momento particolare di una song perché sono collegati alle liriche e alle sensazioni di quel brano. Simone, quanto ti prepari per gli arrangiamenti vocali che sono veramente complessi dato il continuo cambio di registri? Perché poi canti in inglese? Rispetto al disco sono ancora cresciuto, penso però di poter migliorare, tutto ciò comunque comporta dei sacrifici maggiori come per esempio 15/20 minuti di riscaldamento vocale prima dell’esibizione o delle prove, ed è ormai indispensabile cantare qualche ora 4 o 5 volte alla settimana. Canto in inglese perché è una lingua molto duttile, musicale ed adatta alla “demolizione” delle parole; inoltre scrivo i testi direttamente (ed abbastanza velocemente) in inglese mentre con l’italiano ho un autentico blocco mentale. E’ esclusivamente Fausto a curare gli arrangiamenti musicali? Fausto ha talento, è un infaticabile propositore di riff e nuovi suoni ed è lui a costruire melodicamente le canzoni, il sottoscritto però influenza più o meno pesantemente certi passaggi: possono trascorrere anche tre o quattro mesi prima che si completi definitivamente un brano, è un procedimento lungo ed un po’ laborioso ma che ci soddisfa pienamente. Domanda frivola: cosa significa l’ideogramma che compare sul CD? Significa MORTE. E’ un ideogramma molto rispettato dagli orientali! Perché tutte quelle cosacce alla povera Barbie? La Barbie è il primo anello di una catena che costruisce bambine (e poi donne) a proprio agio nello stereotipo femminile occidentale: dalle bambole alle top model e alla chirurgia plastica il passo non è poi così grande, tutto serve a creare perfette consumatrici senza cervello. La cosa più triste è che anche i ragazzi (poi uomini) vengono addestrati ad interessarsi unicamente dell’aspetto fisico della donna. Ed ora un messaggio urbi et orbi. I Der Tod offrono fino a 10 milioni di lire in contanti all’individuo che, durante la registrazione della trasmissione TV “Forum”, maciullerà più volte gli arti di quel simpatico mucchietto d’ossa a nome RITA DALLA CHIESA. La menomazione dovrà ridurre la consorte (?) di Frizzi in una versione femminile di Joe, lo sfortunato protagonista di “Johnny got his gun”. Naturalmente il sottoscritto si incaricherà dell’evasione del benemerito che diverrà eroe nazionale. Per partecipare all’impresa (o per ordinare il nostro CD) scrivete a BALBO FAUSTO, cp aperta 12075, Garessio (CN) oppure LAST SCREAM RECORDS, via Mincio 16, 27029 Vigevano (PV). Per il CD includere £. 25000 (spi).

Manfred Der Tod: Omonimo (CD - Last Scream Records). Altro importante evento dal meglio della scena musicale italiana: il primo lavoro su CD dei grandi Der Tod. La Morte cuneese ci regala la colonna sonora ideale per la Fine del Mondo Prossima Ventura: sferzate di metallo rovente, poderose ritmiche tecnologiche, languide e decadenti ballate, l’incredibile istrionismo vocale di Simone, il tutto illuminato da un luce nera di rara perfidia. Ascoltate la magia di pezzi come “Everything” o “Indecisions”, o percepite il buio epico di “Tragic Feelings”, o l’aura mortuaria di “Lifetime”, o il pugno speed di “The meaning of Life”: e poi ditemi se non convenite con me nel vomitare sull’esterofilia che tanto impera negli ambienti cosiddetti alternativi o underground. (Manfred)

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In occasione della pubblicazione del loro primo CD “Ombra e luce”, anche noi di Ver Sacrum intervistiamo gli Artica, gruppo che si è formato nel 1989 e che ha già all’attivo due demos: “Marea” e “Dahlia”. Il loro nome, come hanno già dichiarato in precedenti interviste, è stato scelto perché rispecchia le atmosfere della loro musica: un qualcosa di opaco, freddo ed etereo, che nasce nell’inconscio e viene poi alla luce. Prima di iniziare con le domande, vorrei aprire una parentesi personale: dedico questa intervista a Monica, una mia amica che era letteralmente innamorata degli Artica e che, purtroppo, ha deciso di lasciarci per sempre lo scorso dicembre. Vorrei anche ringraziare pubblicamente, a nome di tutti quanti hanno voluto bene a Monica, gli Artica, che quando hanno saputo la sua storia sono venuti a Torino per fare un concerto in sua memoria malgrado gli siano state rimborsate solo in parte le spese di viaggio.

Finalmente siete arrivati a pubblicare un CD, parlatecene!! Beh, tutto è iniziato per caso, come si suol dire: a seguito di vari contatti siamo entrati in corrispondenza con Jörg Kleudgen dei The House Of Usher che interessato alla nostra musica ci ha proposto di partecipare ad una CD compilation allegata al numero 21 della rivista tedesca Gothic. Joelen Mingi, manager della Nyctalopia, etichetta scelta per masterizzare i brani su CD, è rimasto colpito dalla nostra traccia ("Indomita") ed ha deciso, dopo aver ascoltato altro materiale, di produrre un CD tutto nostro. ‘Ombra e Luce’ dura 65 minuti e contiene 12 pezzi di cui sette tratti dai precedenti demo, una nuova versione di “Preghiera” più quattro inediti. Che speranze riponete in 'Ombra e luce'? E’ sicuramente di per sé un traguardo importante visto che siamo comunque un gruppo relativamente giovane. I nostri precedenti demo, ‘Marea’ e ‘Dahlia’ ci avevano già dato grandi soddisfazioni, essendo stati oggetto di recensioni un po’ in tutta Europa, in Australia e qualcosa anche negli Stati Uniti. La Nyctalopia ci consente di diffondere molto bene questo nuovo “prodotto” e con un supporto di gran lunga migliore. Non ci aspettiamo il Grande Successo, anzi neppure ci interessa. L’unica vera speranza che riponiamo in questo lavoro è che vada sufficientemente bene da consentirci di continuare a dedicarci alla nostra musica, magari a tempo pieno!! Qual’è il vostro pezzo preferito? Nessuno in particolare, anche se ultimamente preferiamo suonare i pezzi nuovi (Massimo adora "Saian"!!) e quelli a cui stiamo ancora lavorando. Uno di questi ultimi, "Cenere", è stato già proposto nei nostri concerti a Torino e a Modena. Avete già qualche notizia di come sta andando? No, non ancora. É appena stato messo in commercio, bisognerà quindi aspettare per aver notizie sufficientemente indicative a riguardo. Avete già altri progetti in cantiere? Sì, come abbiamo appena detto stiamo componendo nuovo materiale e riarrangiando vecchi pezzi in modo che rispondano maggiormente al nostro stile attuale. Se tutto andrà bene con questo CD, tempo un anno e ne uscirà un altro. Nel frattempo, chissà, forse un MiniCD e, speriamo, tanti concerti!!! Cosa ne pensate del fatto che la maggior parte dei gruppi italiani siano praticamente costretti a rivolgersi ad etichette straniere? In Italia la scena underground è penalizzata dal fatto che le etichette interessate a questo genere sono poche ed ancora piccole. La stessa Nyctalopia che in Germania è una casa discografica di medie proporzioni, qui in Italia sarebbe ai livelli della BMG (l’unica per altro ad interessarsi di musica “alternativa”). L’interesse stesso per il Gothic-Rock, qui in Italia è inferiore a scene come quella inglese, francese e ancor di più tedesca, dove il pubblico sebbene più freddo, è sicuramente maggiore. Per questo siamo contenti che il disco sia stato prodotto in Germania e che abbia quindi modo di entrare nel giro di una più ampia distribuzione anche qui in Italia, dove senza dubbio riceviamo i consensi più gratificanti. 28


Pensate che la situazione cambierà in futuro? Speriamo di sì e speriamo soprattutto che qualcuno capisca che è meglio tenersi stretti i gruppi italiani piuttosto che costringerli a cercare produzioni all’estero. Non che ci sia niente di male, per carità, ma se ce ne fossero le possibilità qui in Italia si potrebbe sviluppare una cultura musicale più autoctona anche nell’ambito Gotico, rivalutando ad esempio anche la musicalità e la bellezza delle liriche in italiano. Non sono di minore importanza poi i vantaggi che deriverebbero da un feeling con un’etichetta italiana piuttosto che con una estera. E’ anche un discorso di comodità. Fortunatamente con la Nyctalopia abbiamo avuto sinora tutta la libertà che un gruppo possa desiderare (se si eccettua un LIEVE ritardo sulla data di uscita!!!). Avete all’attivo un discreto numero di concerti: parlateci delle emozioni che vi dà il live. Suonare dal vivo è probabilmente la cosa più appagante per un gruppo perché è sul palco che si concretizza l’essenza della musica, ossia lo scambio di emozioni tra musicista ed ascoltatore. E’ dal vivo che senti di aver dato modo ai tuoi sentimenti di essere condivisi. L’emozione che si prova è bellissima e difficilmente descrivibile; è un’insieme di euforia, concentrazione, adrenalina, gioia, ecc, qualcosa che nasce dalla condivisione con chi ti ascolta. Ci direste quali sono state la più grande soddisfazione e la più grande delusione che avete avuto finora? La più grande soddisfazione è sicuramente ‘Ombra e Luce’, la più grande delusione è invece l’ormai mitico non-concerto di Morciano di Romagna (thank you Jerry!!). Cinquecento chilometri con gli strumenti in treno, sound-check sotto il sole delle quattro di un pomeriggio di Luglio e rimborso spese dimezzato non sono forse sufficienti a farci considerare quest’esperienza come la peggiore della nostra carriera? Cosa volete esprimere con la musica? Per noi è più un fatto emozionale, non si può dire esattamente cosa vogliamo esprimere. Come uno scultore libera l’immagine dal blocco di marmo noi cerchiamo di liberare le note dal “disordine” della casualità. Quello che abbiamo sempre cercato di rappresentare è una realtà vista dall’uomo nel corso dell’esistenza; mostri, vampiri, streghe, il culto della morte, crudamente fini a se stessi sono temi che non ci hanno mai interessato e che giudichiamo in qualche modo grotteschi; dietro ogni immagine per noi deve sempre apparire quella dell’uomo, nello spazio e nel tempo. Ogni persona recepisce a modo suo un’opera d’arte, e quindi anche una canzone, ma se poteste scegliere preferireste che il pubblico comprendesse i vostri sentimenti o che facesse 29


“proprie” le vostre canzoni, dandogli però un’interpretazione diversa dall'originale? Proprio come in un quadro anche nella musica l’interpretazione è libera a seconda della prospettiva che si assume, ma sta anche all’artista riuscire a proporre le sue sensazioni in modo che possano essere colte il più vicino possibile alla sua sensibilità. Sarebbe quindi meglio che il pubblico riuscisse ad interiorizzare ciò che esprimiamo con la nostra musica. Capisci che se qualcuno ascoltando "Sarajevo" ne interpretasse il testo come un inno alla guerra, sarebbe per noi una grande delusione, e ciò non significa che l’ascoltatore ha semplicemente scelto un punto di vista tra tanti possibili, ma che noi non siamo stati in grado di stendere un filo d’Arianna tra le parole, di proporre quindi una efficace chiave di lettura che permettesse al testo di non essere frainteso. Alberto, i tuoi testi sono molto belli, a cosa ti ispiri per scriverli? Innanzi tutto voglio precisare che non esattamente tutti i brani degli ARTICA sono stati scritti da me: testi contenuti in ‘Ombra e Luce’ e a mio avviso molto belli, come "Indomita" e "Lorelei", sono stati rispettivamente scritti da Gabriele e Stefano. Lo stesso vale per i precedenti demo, i cui testi sono spesso stati anche frutto di collaborazioni. Comunque credo che nella maggior parte dei casi per me sia come assorbire una grande quantità di emozioni più o meno intense che trovano nelle parole come nella musica quella concretezza e quel senso che diversamente non potrebbero avere. Nessun testo parla di fatti o persone immediatamente riconducibili al reale o meglio ne parla ma in una più ricca complessità di significato. "Leila (nell’Ade)" ad esempio è stata scritta più di un anno e mezzo fa, ma non si riferisce a nessuna ragazza morta in particolare. É una specie di Ofelia immaginaria che non ha nessuna attinenza immediatamente evidente con la mia vita. Precedentemente a quel periodo, avevo avuto dei lutti in famiglia, ma è solo col senno di poi che posso ipotizzarne un collegamento. Più che immaginare credo sia una sorta di avvertire quasi onirico: si avverte uno stato emozionale e lo si trasmette prima di tutto a se stessi. E’ un bisogno. Oggettivamente posso essere ispirato da tutto e da niente, dipende dal mio stato d’animo. C’é qualcosa che vorreste aggiungere? Un particolare ringraziamento alla redazione della bellissima ‘Ver Sacrum’ ed un saluto a tutti i nostri ascoltatori. Ciao! Per contatti: Artica c/o Alberto Casti, via Merulana 183, 00185 Roma, tel. 06/77204893. A questo indirizzo è disponibile il CD del gruppo a £ 30.000 s.p.i..

Natalie C. (foto pag. 30 di Margaux - © Mit Liebe und Tod - e Manfred: live Condor Club, Modena foto pag 31 in alto "ArticAddams"; in basso, copertina di Ombra e Luce © Artica)

Artica: Ombra e luce (CD - Nyctalopia Records). Finalmente ecco il primo CD per il gruppo romano. Che dire?...... (suspence): bellissimo. Aggressività, oscurità, melodia e potenza al massimo grado per 12 brani (alcuni inediti altri già presenti nei due demo del gruppo) ed oltre 65 minuti di musica. Gli Artica, più volte paragonati a questa o quella realtà nostrana o straniera, sono ora uno dei gruppi più originali e riconoscibili della scena gotica italiana (e anche non italiana visto ciò che ci è dato ascoltare ultimamente...): la splendida voce di Alberto con il suo cantato in italiano (ben venga dato che i testi sono belli) e soprattutto la capacità di inventare il riff super-accattivante e di avvolgerlo in abilissimi arrangiamenti sono, diciamo così, il marchio di fabbrica dei cinque romani. Venendo ai pezzi, si può che dire che sono uno meglio dell'altro (anche grazie all'intuizione di non inserire nel CD quelli più lenti e forse scontati dei lavori precedenti, ad eccezione della bella "In Me"), ma lasciatemi esprimere le mie preferenze: "Indomita" con la sua trascinante apertura e poi "Preghiera MCMXCV", che mi piaceva prima (e gli Artica lo sanno), figuriamoci ora con la voce femminile ed il nuovo arrangiamento!! (Manfred)

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Musicalmente Hecate si presenta come un lavoro abbastanza differente rispetto ai precedenti. Qual’è la sua genesi a livello artistico? Hecate è il frutto di diversi anni di lavoro ed esperienze in studio e “live”. Il progetto di dedicare un CD a Hecate nacque diversi anni fa, nei quali abbiamo “scavato” e approfondito la storia e la natura di questa divinità, per poter trasmettere queste sensazioni in musica. Sicuramente vi sono diverse differenze dagli album precedenti, questa è una meta che ci prefiggiamo quando componiamo nuovi lavori. Odiamo stagnare nelle stesse tematiche, odiamo gli “schemi” nella musica, tentiamo di rinnovarci. Ovviamente questo rinnovamento è una via che non cancella le esperienze precedenti, anzi, tenta di ottimizzarle. Le canzoni di Hecate sembrano più ariose e leggiadre: è presente in misura minore quell’aura cupa che caratterizzava Solstitii o Animi Aegritudo. Siete d’accordo? Non ci siamo mai posti il dilemma di fare un brano oscuro o meno. Normalmente i nostri brani nascono molto spontaneamente e riflettono i nostri stati d’animo di quel momento. Sono svariate le cose che ci condizionano nel fare musica, l’alba, un campo, il soffio del vento, un’eruzione, una guerra ... Questi sono condizionamenti, o meglio, fatti che direttamente e indirettamente ci hanno aiutato e ispirato; momenti più oscuri e momenti più solari, in definitiva, la vita quotidiana: banale e misteriosa! Probabilmente Hecate rispecchia un periodo più solare, più gioioso e siamo felici che ciò sia notato da chi ci ascolta. Non crediamo che non vi siano lati negativi nella società attuale, ma pensiamo che la musica sia un sogno etereo, una porta verso nuove sensazioni. Ci ha colpito molto la canzone “Canto alla vita” per gli evidenti riferimenti alla tradizione del canto popolare italiano. Avete intenzione di sperimentare in futuro altre contaminazioni con la musica folk? “Canto alla vita” è stato concepito come danza popolare con riferimenti all’antichità sia nella musica sia nel testo. Registrando in studio questo brano abbiamo solo utilizzato strumenti acustici ed inserito sonorità mediterranee. E’ stato divertente registrare il ritmo del battito delle mani, come se si fosse attorno ad un fuoco, con un gruppo di amici, a festeggiare la gioia della vita. E’ stato bello suonare e cantare liberamente, senza schemi. E’ stato bello interpretarlo in italiano. Al momento non sappiamo se rifaremo brani in questo stile; 31

Ordo Equitum Solis

Gli Ordo Equitum Solis, gruppo italo-francese, formato da Leithana e Deraclamo, hanno da poco pubblicato il loro ultimo lavoro Hecate, sempre per la Musica Maxima Magnetica, la casa discografica di Luciano Dari che si sta distinguendo in campo nazionale (e non solo) per la qualità e l’intensa ricerca delle sue proposte. Dopo due CD, Solstitii Temporis Sensus nel ‘90 e Animi Aegritudo nel ‘91, un mini, O.E.S. nel ‘93 e un live acustico Paraskenia nel ‘94, reduci inoltre da un tour che li ha portati ad attraversare addirittura gli Stati Uniti e la Russia, gli Ordo Equitum Solis si ripropongono a noi oramai forti di una fama e di un consenso internazionali che sicuramente la nuova opera non potrà che confermare ed allargare. D’altra parte la loro musica è un insieme affascinante e misterioso che sfugge a qualsiasi definizione di genere o categoria, ma che poggia su di una forte e sentita “scelta” di vita, quella di cercare di essere il più possibile in contatto e in sintonia con la natura e con i suoi elementi. E’ un viaggio al di fuori del tempo alla ricerca di un mondo di assoluta bellezza ed armonia...


dipenderà dall’ispirazione. Il lavoro è dedicato all'immagine della luna (di cui Ecate è la rappresentazione divina) ed i testi vi fanno spesso richiamo. Si tratta di un vero e proprio “concept album”? Sì, Hecate è un vero e proprio “concept album”. Ogni brano ha riferimenti a molteplici aspetti di questa divinità. I brani di questo lavoro sono una ricerca, un percorso per scoprire i suoi misteri, passando dalle viscere della materia per giungere alla Fiamma Perduta da lei custodita. Hecate è la luna, ma nell’aspetto più vasto è generatrice e distruttrice dei cicli. Vigila gli incroci dei “sentieri del sapere”. Accompagnatrice nell’ultimo viaggio. Hecate spietata e giusta. Anche nei precedenti lavori avete sempre dato molto spazio nei testi ad immagini legate agli elementi naturali. Si tratta di una vera e propria filosofia di vita per voi? Siamo molto legati alla natura e agli Elementi di cui è frutto. Nei nostri lavori compaiono spesso riferimenti a questi temi perché crediamo fermamente che si debba vivere il più possibile in simbiosi con essi. Per noi gli elementi sono pilastri dell’universo e fondamento della materia. Nelle vostre canzoni traspaiono spesso riferimenti alla musica antica, anche per l’uso di strumenti tradizionali. Come riuscite a coniugare sonorità del passato e del presente? Non crediamo esistano strumenti o sonorità che appartengono soltanto al passato. Qualsiasi strumento è fonte di suono, la bellezza di questo suono prescinde dall’epoca in cui questo strumento è stato creato. Quando scegliamo un suono ci preoccupiamo che riproduca nella maniera più fedele il nostro pensiero musicale. non ci siamo mai posti il problema dell’età di uno strumento, ma abbiamo sempre cercato di sfruttarlo per le nostre esigenze. Crediamo infine che sia bello ed interessante non limitarsi esclusivamente a strumenti odierni quando c’è una scelta così ampia fra quelli di passato, presente e futuro. Non usarli sarebbe come dimenticare suoni di culture diverse dalla nostra. Può secondo voi esistere un sistema di vita alternativo a quello razionalistico-tecnicistico odierno, che sia più basato sulla spiritualità? Siamo convinti che ognuno sia libero di scegliere il proprio stile di vita, crediamo che l’uso ponderato della tecnica e della tecnologia possano giovare all’uomo. Non ci sentiamo tecnicisti o razionalisti, preferiamo farci guidare dalle sensazioni e dal nostro istinto. Siamo però consapevoli che per sfruttare nel miglior modo le apparecchiature con cui creare la musica, bisogna avere un pizzico di dimestichezza con la conoscenza della tecnica. Siamo altresì convinti che nel mondo odierno vi sia spazio per la spiritualità. Basti pensare che i più grandi matematici erano e sono anche dei filosofi, che poggiano le loro ricerche su dei misteri (si dice che i Curie cercassero la pietra filosofale). Qual’è la vostra impressione della società occidentale alla fine del secondo millennio? Non è facile analizzare l’epoca in cui si vive. Vi sono lati della nostra società sicuramente positivi, mentre altri da abbattere. Riteniamo che finché le forze lo permettano, sia doveroso rispettare il nostro pianeta e gli altri. L’occidente in questi ultimi decenni ha avuto delle trasformazioni sociali e culturali che hanno superato le capacità di apprendimento da parte dell’uomo, tutto è troppo veloce. Probabilmente il rapidissimo sviluppo della tecnologia ha creato scompensi che forse solo tra qualche generazione verranno superati. I punti dolenti, a parer nostro, della società occidentale odierna sono l’ignoranza, l’egoismo e la violenza. Sappiamo che la vostra esistenza è molto errabonda, che non avete una dimora fissa ed è difficile raggiungervi. E’ un’esi32


genza di isolamento, una ricerca del luogo “ideale” o semplicemente amore per la vita nomade? Un po’ di tutto ciò! E’ vero che amiamo la solitudine. Ci permette di meditare e di assaporare con maggiore intensità i momenti in cui stiamo con gli altri. Il nomadismo è per noi fonte di ispirazione e di crescita, mentre il contatto con luoghi, tradizioni e culture differenti, costruisce un percorso verso la conoscenza. Il luogo ideale? Tanti e nessuno! Un’opera d’arte è spesso influenzata dal luogo in cui viene creata: se è così anche per voi potete tracciarci una mappa dei luoghi che hanno visto nascere i vostri lavori? In che modo l’ambiente circostante ha inciso sulle composizioni? Sicuramente l’ambiente circostante ha inciso fortemente sulle nostre anime, riflettendosi nella musica. Abbiamo già detto che il vagabondare ha regalato sensazioni al nostro “fare musica”. Stranamente o forse ovviamente, i nostri brani più cupi sono nati in luoghi solari, anche se questa non è una regola. I luoghi immersi nel verde sono stati i più proficui per concretizzare i nostri progetti. Per sintetizzare il nostro iter errabondo, possiamo dire di avere creato le nostre musiche dal nord dell’Inghilterra, passando per la Francia, sostando nelle prealpi piemontesi, immergendoci nel sud insulare della “Magna Grecia” protetti dall’influenza del “Dio Vulcano”. Ci auguriamo che il futuro ci riservi la possibilità di nuove conoscenze “vaganti”. Cosa ne pensate di questa nuova ondata di paganesimo, di interesse per riti e culti antichi precristiani, soprattutto quelli celtici o classici? Crediamo sia un’ondata dettata dalla necessità di una ricerca spirituale, che le religioni attuali non soddisfano più dal momento che le religioni “moderne” sono stagnate in luoghi comuni e in concetti bigotti e antiquati. Oltre a ciò, i cicli delle cose fanno sì che vengano riscoperti comportamenti e stili “dimenticati” per certi periodi. Sicuramente queste scelte sono dettate dalla ricerca di una libertà spirituale che le dottrine e i dogmi monoteistici non permettono. Qual’è il vostro concetto di “sacro”? Come precisa la famosa frase ermetica “tutto ciò che vi è in alto è come ciò che è in basso” pensiamo che il “sacro” possa riflettersi in tante piccole cose della vita. “Un uomo inizia ad essere un po’ saggio quando si accorge che non scoprirà nulla dei misteri” (sintesi di frase attribuita a Buddha). Parlateci del live Paraskenia e della sua realizzazione. Paraskenia è nato come un progetto di suonare all’aperto. Fuori dalle “mura” di un classico studio di registrazione, senza palco, con un minimo di amplificazione e soprattutto immerso nella natura. L’idea di registrare sotto agli alberi, con il rumore del vento, ci ha sempre affascinato. Per realizzare tutto ciò abbiamo fatto impazzire il nostro tecnico del suono vista l’atipicità della registrazione. Abbiamo lavorato mesi per attuare questo progetto, dal momento che si presentavano diverse problematiche per render il suono il più reale possibile. Musicalmente parlando, abbiamo scelto dodici brani del nostro repertorio, riscrivendo le parti ai musicisti che hanno partecipato a questo progetto. Crediamo di essere riusciti a trasmettere all’ascoltatore quel senso di libertà e di spazio che c’eravamo prefissi. Concludendo, Paraskenia era il vestibolo accanto al palco dei teatri greci, dov’era raffigurata, spesso, l’immagine del dio Pan, protettore degli artisti e testimone delle rappresentazioni. Oltre all’Europa avete fatto delle tournée negli Stati Uniti e in Russia. Come ricordate queste esperienze? Alla fine del ‘93 abbiamo fatto un tour in USA e Canada che ci ha portato a suonare in una ventina di capitali. E’ stato interessante suonare in quel paese, dal momento che abbiamo potuto constatare come la realtà sia differente da quella riportata in Europa. La differenza dei locali in cui abbiamo suonato ci ha aperto gli occhi, dai campus universitari ai locali underground “poco consigliati dalle guide turistiche”. La risposta del pubblico è stata al di sopra delle nostre aspettative ed abbiamo scoperto che le nostre tematiche musicali sono ben recepite anche in quei paesi. L’esperienza russa è stata come un commovente sogno irrealizzabile. E’ difficile descrivere le sensazioni che questo popolo ci ha regalato. E’ stato un viaggio fuori dal tempo ... In Russia abbiamo registrato, a Mosca, un “live” per la TV, che in questi giorni è disponibile anche in Italia su VHS. Ma la cosa più toccante è stato suonare a Kaliningrad, innanzi ad un migliaio di spettatori, donne, giovani, anziani e bambini che per ben tre volte ci hanno chiesto il bis. E’ stato bello e commovente vedere dei sorrisi in volti segnati da “temperature polari”. E’ stato bello accettare le loro povere e sublimi pietanze e poterle dividere insieme. I russi sono un popolo schietto e sincero, sicuramente da conoscere! 33


Quali pensate che siano gli elementi che accomunano il vostro pubblico nelle varie parti del mondo? Non sappiamo rispondere a questa domanda. Il pubblico che abbiamo conosciuto è molto vario. Forse potremmo dire l’amore per la natura, o la

ricerca spirituale, sicuramente la non violenza. Ma è un’analisi troppo riduttiva. In generale che rapporto avete con le persone che vi seguono? Dall’uscita di Solstitii Temporis Sensus abbiamo aperto un BM, casella postale, per avere un contatto diretto con il nostro pubblico. Grazie a questo contatto abbiamo conosciuto centinaia di persone di tutto il mondo. Con loro ci siamo scambiati pensieri, rabbie, pareri, pianti e gioie. E’ stata un’esperienza bella e sofferta. Purtroppo pochi mesi fa, visto che la corrispondenza era troppa, abbiamo preferito chiudere questo contatto piuttosto che continuarlo sbadatamente e superficialmente per mancanza di tempo. Comunque, grazie a questi contatti epistolari, sono nate delle bellissime amicizie. Avete mai pensato di scrivere musica per il cinema o per il teatro o comunque di partecipare ad altre forme di progetti artistici? Sì. Cinema, teatro immagine e musica si fondono fantasticamente, fanno quasi un tutt’uno. E’ da tempo che progettiamo di musicare delle immagini, soprattutto nel campo cinematografico, al quale crediamo che il nostro tipo di musica sia ben associabile. Siamo in legame di stretta amicizia con Andrea Maulà, regista con il quale stiamo lavorando a diversi progetti. Il lato dolente per realizzare queste idee è la mancanza di mezzi economici, ma siamo sicuri che, viste le capacità di Andrea e la nostra testardaggine, presto porteremo a compimento questo progetto comune. Si dice che Stendhal giunto a Firenze provò un profondo senso di vertigine e di smarrimento contemplando le splendidi opere d’arte della città. Vi è mai capitato di sentirvi “persi” di fronte alla maestosità della creazione? Senza peccare di presunzione, anche a noi è capitato di emozionarci innanzi ad opere artistiche e naturali. I templi di Segesta, Selinunte, Pompei, Pantalica, Siracusa antica, i vicoli di Napoli, Mosca sono alcuni luoghi che ci hanno emozionato e provocato quel senso di pace e bellezza inspiegabile. Per contatti: O.E.S. c/o Musica Maxima Magnetica, C.P. 2280, 50100 Firenze.

Mircalla e Christian Dex Ordo Equitum Solis: Hecate (CD - Musica Maxima Magnetica). E' uscita finalmente la nuova opera del noto duo Leithana - Deraclamo: lasciatemi dire che si tratta davvero di un capolavoro. Sono dodici bellissime canzoni di omaggio a nostra Signora Luna, Madre di tutte le creature, generatrice della vita stessa. Ma è soprattutto un unico elegante e meraviglioso inno alla natura, alla sua bellezza, alla sua grandiosità. E i suoni sono puri, argentei, lunari appunto, anche se non mancano gli squarci di luce, per lo più malinconici e a volte sofferti, ma mai cupi. Molti sono i richiami ad un antico e affascinante passato nell'uso di strumenti tradizionali (la zampogna e la ciaramella in "La flamme perdue") o nel ritorno al canto popolare ("Canto alla vita" il cui testo ha un sapore squisitamente pagano). Altre volte la musica si fa più astratta, rarefatta e quasi minimale in una ricerca inesausta di nuove e più intense sonorità ("The Mercury Mirror"). Per il resto dominano le dolci e suadenti ballate alle quali gli O.E.S. ci hanno abituato da anni, ma ancora più armoniche e perfette, se possibile, segno di una ormai raggiunta grandezza. (Mircalla)

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D e m o n e

Dopo che hai lasciato i Christian Death non abbiamo sentito parlare molto di te. Ci racconti cosa hai fatto in questo periodo? Mi sono dedicata alla musica e mi sono presa del tempo per trovare una dimensione come solista. Nell’89 ho fatto degli spettacoli sperimentali, fra questi un concerto per sola voce e contrabbasso, più la prima performance fetish. Ho provato vari musicisti ... c’è voluto un bel po’ per trovare quelli giusti con cui lavorare. E’ uno sviluppo musicale che continua ad evolversi. Una scoperta senza fine. Perché hai scelto di vivere proprio ad Amsterdam? Per Amore! E come ulteriore attrattiva è possibile vivere in pace qui. Quali sono i tuoi riferimenti musicali attuali? Essendo una cantante cerco di ascoltare le grandi voci ... Maria Callas, Yma Sumac, Billie Holliday tra gli anni ‘30 e i ‘40, Sarah Vaughan, Scott Walker, P.J. Harvey, Aphex Twins, Dead Can Dance, Diamanda Galas, Phallus Dei, musica orientale (thai, indiana, giapponese, cinese), Coil ... molti nomi ancora. Ecco chi, nelle varie aree musicali, mi è vicino per suono o ispirazione. Nei tuoi dischi solisti hai mostrato una notevole capacità espressiva ed un’ampia estensione vocale. Hai fatto degli studi sulla voce o sull’espressione? Solo tanto esercizio, tanto ascolto e molto lavoro. E’ senza fine l’esercizio ... e spero di potermi spingere ancora più avanti. Comunque non ho fatto degli studi formali. Com’è nato il progetto Demonix? Ho incontrato Marc Ickx dopo aver lasciato i Christian Death. Per divertimento siamo andati in uno studio ad improvvisare e abbiamo apprezzato molto il risultato. Nel ‘93 ho deciso di fare un CD dedicato alla mia passione per il feticismo (letteralmente “fetish for fetish”: ndr) e ho chiesto a Marc di accompagnarmi. Quali impressioni hai avuto del tuo tour con Rozz Williams? E’ stato davvero meraviglioso essere di nuovo vicina a Rozz! Mi sono divertita a suonare in Francia ed è stato triste dover annullare due degli show in Italia ... colpa della bronchite che mi ha costretta anche a suonare con la voce dimezzata in Svizzera. Imparo sempre molto suonando dal vivo ... e così è stato in questo tour. Come ti sembra di essere stata accolta dal vecchio pubblico dei Christian Death? Quale pensi che sia il tuo pubblico ora? Il mio pubblico è composto da chi ama la mia voce. Talvolta però mi sento una “curiosità” visto che non seguo il mio stile del passato. Il bondage, il fetish sono per te scelte puramente estetiche o anche di vita? Sono aspetti della mia vita. Ci sembra che ci sia comunque molto senso dell’umorismo nell’uso che fai di questi elementi: è vero? Questo è il motivo per cui non includerò mai più nei concerti la mia performance fetish. Sento di essere fraintesa. Ad essere realistici comunque mi rendo conto che il grosso del pubblico è composto da persone molto giovani, probabilmente non molto familiari con il sesso sperimentale, che tendono a prendere il mio spettacolo per un “evento sensazionalistico”; ciò in realtà crea delle confusioni. Ho intenzione di mantenere le performance fetish solo per i party di questo tipo.

G i t a n e

C’è bisogno di presentazioni per questa eccezionale artista? Probabilmente no: sono sicuramente pochi coloro che non conoscono il suo straordinario trascorso nei Christian Death. Gitane è da pochi anni rientrata prepotentemente nelle scene internazionali: la sua musica è virata decisamente verso sonorità dance con risultati spesso eccelsi ma in alcuni casi anche un po’ discutibili. Va a lei riconosciuto il merito di essere una persona vera, sensibile, che segue la sua ispirazione al di là delle mode e di facili condizionamenti. Gitane si propone come un personaggio sensuale e trasgressivo: vestita di pelle e plastica nera si può ammirare la sua stupenda figura nelle copertine dei dischi e dal vivo in performance fetish. Di tutto questo abbiamo parlato con lei nell’intervista che segue. Per il vostro e nostro piacere ...


Dacci una tua definizione di sesso. La brama e il compimento della passione con qualcuno che si desidera. Hai mai pensato ad una tua collaborazione con altre “ragazzacce” (es. Lydia Lunch, Diamanda Galas)? E’ una grande idea! Ma come realizzarla? E al cinema hai mai pensato? Adoro i film e per un po’ ho accarezzato l’idea di recitare; ho anche scritto delle scene per una sceneggiatura dal titolo “Leather heart”! Piuttosto oscena ma tragica! Ma in realtà credo che per essere veramente bravi in qualcosa è necessario dedicarvisi completamente. Cantare è per me ancora la cosa più importante, lo sarà sempre, a tra comporre e registrare non c’è tempo per studiare recitazione. Parlaci dei tuoi progetti futuri. Insieme al mio caro amico Rozz Williams ho appena finito di registrare un CD (Dream Home Heartache) ed ho fatto un piccolo tour. In programma ho alcuni spettacoli al festival organizzato da Indie Tours in Germania (con una performance fetish separata!) e possibilmente un tour negli Stati Uniti. In più lavoro al mio nuovo CD: sto impiegando molto tempo perché voglio che sia meraviglioso. Recentemente è stato ristampato l’album dei Pompei 99 (gruppo californiano in cui militavano oltre a Gitane anche Valor e David Glass prima di unirsi ai Christian Death: ndr). Cosa ricordi di quell’esperienza? L’album dei Pompei 99 Look at yourself non è stato ristampato in realtà. Queste sono le copie originali che giacevano da anni nella soffitta dei miei genitori. Ce n'è rimasta ancora qualcuna. Realizzammo l’LP un mese dopo che la band si era formata, spendendo circa 1.000 $. Il gruppo era composto da comunisti ed anarchici che avevano un lato sentimentale. Il disco è un riflesso di quegli anni - 1981 -, un miscuglio di influenze new wave. Poiché stavamo insieme soltanto da un mese il nostro suono era molto immaturo. Nei due anni successivi sviluppammo sonorità più oscure. Poi Rozz ci chiese di unirci a lui. E non potemmo dire di no. Infine un messaggio per i lettori di Ver Sacrum... Fate in modo che l’Amore si manifesti universalmente!

Christian Dex e Mircalla (traduzione: Christian Dex)

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Presentatevi ai lettori di Ver Sacrum ... Janis: Gli ItA si sono formati nell’aprile dell’87 con una formazione diversa da quella corrente. Da tre anni a questa parte il gruppo consiste di due greci, ovvero io (voce e chitarra) e Kostas (al basso), più Jens (batteria) che è tedesco. Il violino, l’oboe e le parti di sax soprano sono eseguite da un musicista ospite (Helmut Eckstein) che talvolta si unisce a noi anche sul palco. All’inizio la nostra musica era completamente differente: cominciammo come gruppo post-punk/batcave ma il nostro suono si è sviluppato poi in uno stile personale. E’ da tre anni che lavoriamo seguendo degli obiettivi concreti: all’inizio suonavamo solo per divertimento. Ci divertiamo sempre - forse più di prima - ma ora c’è anche un lato professionale. Kostas: Dopo aver registrato due demo cambiammo radicalmente il repertorio puntando di più verso il gotico. Dall’uscita del nostro CD di debutto abbiamo fatto più di 50 concerti in Germania, Belgio e Inghilterra. Tra aprile e giugno scorso abbiamo fatto un tour lungo tutta la Germania insieme ai Vendemmian per promuovere il nuovo CD. Cos’è l’Abisso in cui dite di stare? Janis: Il nome Into the Abyss, dentro l’Abisso, descrive l’immersione nel mare labirintico della psiche, in un modo simile a quello rappresentato da artisti come Coleridge, Shelley, William Blake, Albert Camus, Franz Kafka, Dostoevskij o Vladimir Majakovsi. L’Abisso è raffigurato in modo simile in differenti mitologie, soprattutto sumere, greche e atzeche. La parola “abisso” deriva dal greco “αβυσσος” e indica le profondità del mare, l’inizio della creazione e il limite più estremo. Tutto prende forma nell’Abisso. E infine noi veniamo da un Abisso e finiamo in un Abisso. La vita è un viaggio faticoso ma anche bello, un cammino alla ricerca della nostra identità: per realizzarla appieno dobbiamo discendere in un percorso a spirale fino all’essenza dell’anima, e risalire poi portando la preziosa ostrica contentente le nostre vere personalità. Perché avete intitolato il vostro CD d’esordio Martyrium ? Jens: Il “Martirio” ha a che fare con il lungo tragitto da percorrere per trovare la propria identità. Dal momento in cui scegli un cammino al di fuori del conformismo devi affrontare problemi di ogni tipo. Kostas: La vita, sfortunatamente, non è sempre una festa. Janis: Penso che il titolo si adatti perfettamente ai testi dell’album, che descrivono le speranze e le paure degli esseri umani nella società moderna, costretti a vivere in agonia e a riadattare le proprie esistenze. Questo è il Martirio della vita, le cui forme più estreme sono la guerra, l’educazione scolastica, il suicidio, la rassegnazione, l’apatia e infine la pazzia. Martyrium rappresenta un capitolo chiuso per noi, e col secondo album The Feathered Snake abbiamo intrapreso un altro cammino. Martyrium risale al ‘93. Come si è evoluto il vostro suono da quel momento? Jens: Penso che la nostra musica evolva continuamente. E’ sempre più facile lavorare insieme visto che ci conosciamo meglio. Il nuovo CD presenta molte più influenze di Martyrium; in esso abbiamo sperimentato differenti stili musicali. Secondo me la cosa più importante per un gruppo è la crescita da una registrazione alla successiva. Se non c’è alcuno sviluppo o se non sei aperto mentalmente ad altri stili musicali sei finito. Non c’è niente di peggio che fare due volte la stessa cosa! Kostas: E il nostro suono è diventato più diretto e vario in termini di dinamica. Parti calme si alternano a quelle più dure in modo molto armonioso. Janis: Martyrium fu pubblicato nel novembre del ‘93. Penso che siamo riusciti a creare un suono più potente da allora, siamo diventati più maturi e come ha detto Jens siamo stati in grado di espandere i nostri orizzonti musicali e le nostre influenze. Martyrium era un buon lavoro ma anche molto deprimente. Il nuovo materiale è più diversificato e affianca elemeni gotici e psichedelici a influenze medievali e bizantine. Parlateci allora del nuovo CD e della sua registrazione in studio. Janis: Il nuovo CD esprime, in una potente visione poetica, la ricerca di una più profonda percezione della Vita. Il titolo è ispirato dalla divinità atzeca Quetzalcoatl, il “serpente piumato”. E’ l’unione del Serpente, che appartiene all’Acqua e alla Terra, e dell’Uccello, che è una creatura della Luce e dell’Aria: rappresenta la riconciliazione degli Opposti. E’ un emblema della Vita, il guardiano della Terra. Il Serpente è esistito dall’inizio della creazione ed è più saggio dell’umanità. Comunicare col Serpente offre antica Saggezza, Verità e Fede. Kostas: La registrazione in studio è stata molto divertente. Abbiamo sperimentato suoni diversi e riempito le tracce con chitarre “bottleneck”, piano e parti di sassofono. E infine, abbiamo avuto la fortuna di lavorare con ingegneri del suono e produttori che amavano veramente le nostre canzoni! La musica degli ItA è a cavallo di molti suoni, dal gothic, al post-punk al doom. Avete 37


di conseguenza un pubblico eterogeneo? Jens: Sì, c’è gente di ogni tipo ai nostri concerti. Molti di loro sono goths o gente vestita di nero, ma ci sono anche metallari e persone “normali”. Janis: Siamo soprattutto un gruppo gotico ma anche la gente che segue altri generi sembra interessata alla nostra musica: ciò dimostra che possiamo raggiungere molte persone pur mantenendo le nostre radici. Kostas: Comunque non siamo una band di crossover! Avete registrato tempo fa “Waiting for the Sun” dei Doors. Perché questa scelta? Janis: E’ uno dei nostri brani preferiti e ci ha dato la possibilità di realizzare una vera “cover version”: abbiamo cambiato il riff di chitarra in un punto, abbiamo aggiunto il violino e l’oboe. E’ diventata così una vera canzone degli ItA. Ho sempre amato molto i Doors e il testo di “Waiting for the Sun” è molto vicino a quello dei nostri nuovi pezzi. Jens: Secondo me sarebbe stata la stessa cosa se avessimo scelto un’altra canzone che ci piaceva. Kostas: Sì, però “Waiting for the Sun” per me esprime il desiderio che accada qualcosa di molto bello, qualcosa per cui valga la pena aspettare. C’è una canzone di qualcun’altro che avreste voluto comporre voi con gli ItA? Jens: Cos’è questo? Un altro modo di chiedere qual’è la mia canzone preferita? Non so, ci sono molte canzoni di cui sarei orgoglioso se le avessimo scritte noi. Forse “Killing Time” dei Rubicon, o “Promised Land” dei Queensryche o ... proprio non lo so! Janis: Penso ogni canzone degli Amon Dull II, dei primi Pink Floyd o degli Area. Forse “Mauritia Meyer” dei Sex Gang Children perché il cambio di tempo nel mezzo della canzone è veramente grande! Potete parlarci di “Swingin’ Scythe”, una della canzoni più belle di Martyrium ? Janis: E’ la canzone che chiude l’album e rappresenta una visione molto deprimente dell’amore. Parla del vuoto che senti nel vedere la persona che ami cambiare in un modo che non riesci a comprendere. Kostas: ... e che non ti aspettavi nemmeno. Fra i vostri concerti qual'è quello che ricordate con più affetto? Kostas: Quello con i Vendemmian a Manchester, il concerto al Marquee di Londra e quello a Friedrichshafen, in Germania, che includeva una jam session con i Venus Fly Trap. Janis: Quello dove abbiamo venduto più CD, qualunque sia stato, haha! I concerti con i Vendemmian, Grass Harp e Sweet William sono sempre motivo di divertimento: non si tratta mai di “semplici” concerti perché siamo molto amici con loro. Quello al Marquee è stato piuttosto buono. In Germania, dipende. Ci piacerebbe davvero molto vedere com’è l’Italia dato che tutti dicono che il pubblico da voi è grande. Jens: Senza dubbio la prima volta che abbiamo suonato al Marquee. Voglio dire, ogni concerto rappresenta per me un’esperienza memorabile, ma è stato davvero speciale suonare per la prima volta fuori dalla Germania. In più amo molto l’Inghilterra e così suonare lì è stato un grosso piacere per me. Janis, come mai hai deciso di realizzare Fight Amnesia! ? Janis: Perché ho tendenze masochiste, haha! Ci impiego un sacco di lavoro e di tempo ... Beh, Fight Amnesia! è il bollettino degli ItA. Include piccole biografie, articoli e recensioni di realtà che si muovono nell’underground. L’idea principale della fanzine è quella di far conoscere le varie attività in modo da far espandere il circuito underground che è comunque più grande di quello che ci saremmo mai immaginati. La ‘zine è già diventata molto famosa, ed è una specie di guida per chi cerca di contattare gruppi, fanzine, etichette, radio, all’interno del giro alternativo. Quali sono secondo voi le differenze fra la scena gotica “storica” degli anni ‘80 e quella di ora? Janis: Penso che la gente in passato fosse più interessata a questa musica. I gruppi erano più creativi ed originali, mentre oggi molti vogliono solo suonare come i Sisters o i Nephilim. Non si preoccupano di avere una propria identità. I Merry Thoughts, ad esempio, sono responsabili dell’idea che molta gente ha del gotico ovvero che “tutti i gruppi sembrano i Sisters”. E a parte ciò oggi tutto è concentrato soprattutto sulla moda, sulla roba fetish, S/M e su altre stranezze che non riesco a proprio a capire. Per me il 38


Dark è sempre stato qualcosa di più dei semplici vestiti neri. E’ Letteratura, Arte e Musica, oscure sensazioni ed emozioni. Tanta gente che oggi si veste “gothic” non ha proprio idea di cosa sia realmente il Dark: va a feste techno, non si interessa alla musica. Molti di loro sono davvero superficiali, come in generale è la gente degli anni ‘90! Jens: Io non ho mai fatto parte della scena gotica degli anni ‘80, forse perché sono troppo giovane ... Janis: Allora vacci a preparere il caffè, ragazzino, haha! Jens: Molto divertente ... Beh, non posso quindi parlare delle differenze. Ma oggi la scena è divisa in troppi settori, il gothic tradizionale, la scena dark-wave, la roba pagana e vampirica, ecc.. Spero che sia possibile riunirle in un unico grande movimento underground, in cui la musica giochi il ruolo principale. Janis: Il difetto dell’ambiente gotico, in Inghilterra soprattutto ma anche in Germania, è che molta gente non è assolutamente interessata alla musica ma solo agli eventi pagani o fetish che in realtà non hanno niente a che fare con la musica dark. Secondo me c’è della gente che cerca di far soldi presentando queste feste come la “scena gotica degli anni ‘90”, cosa che non è affatto onesta! A cosa pensate sia dovuta la moda “gotica”, che al di là del mondo gothic, pare stia imperversando un pò dovunque, dal cinema, alla letteratura ai fumetti? Janis: Il Gotico nasce in Letteratura come risposta al bisogno dell’uomo per il mistero, come ricerca dei lati oscuri della Vita e della Morte e come esplorazione dei recessi più profondi della natura umana. Oggigiorno c’è probabilmente un revival di questi particolari aspetti perché la gente sente una sorta di vuoto e di isolamento nel meccanico e razionale modo di vivere moderno. Cerca il romanticismo, qualcosa che possa trasportare via dalla piattezza del quotidiano. Ma naturalmente molti di questi tentativi falliscono, vedi ad esempio film come Mary Shelley’s Frankenstein, che non riesce a comunicare il significato del libro, o Interview with the Vampire. ... La gente non va al di là della superficie! “E ora per qualcosa di completamente diverso...” diteci qual’è il disco, il film e il libro più bello da voi ascoltato, visto e letto di recente. Janis: Il miglior album è stato decisamente The sky moves sideways dei Porcupine Tree, uno dei dischi più belli dai tempi di Elizium dei Nephilim e What starts, ends dei Rubicon. Non ci sono stati molti nuovi film che mi abbiano veramente impressionato. Ho visto Il tempo dei Gitani di Emir Kustirica in TV recentemente ed è stato veramente grande, per non parlare della fantastica colonna sonora! Come miglior libro scelgo The dispossessed di Ursula Le Guin, un vero classico, più altri volumi sulle mitologie atzeche e greche. Jens: Che domanda difficile! ... Penso che il miglior libro sia The great and secret show di Clive Barker, miglior film o La Macchina del Tempo di H.G. Wells o L’attimo fuggente o ancora Angel Heart. Ma il miglior album ... non sono proprio in grado di dirlo. Ce ne sono così tanti... Kostas: Miglior film Ti ricordi Dolly Bell di Emir Kusturica, miglior libro Small world history of Philosophy, miglior disco Pandemonium dei Killing Joke. Per contatti: Into the Abyss/Fight Amnesia!, Alicenstr. 27, D-64293 Darmstadt, Germania. A questo indirizzo è possibile ordinare i dischi del gruppo (Martyrium - 25 DM, The Feathered Snake - 27DM, più il 7” La Soeur d’Icare - 6DM) inviando un vaglia internazionale intestato a Janis Kalifatidis e sommando al totale 8DM per le spese postali. Per ricevere una copia di Fight Amnesia! inviare 2 IRC; abbonamento per un anno con K7 compilation in regalo: 7 IRC.

Christian Dex e Manfred (traduzione: Christian Dex) Into the Abyss: The Feathered Snake (CD - Glasnost). Sulla coda del serpente piumato ci giunge graditissimo il nuovo CD degli ItA. L’impronta del gruppo è riconoscibilissima ma rispetto al precedente album va segnalata con piacere un’ulteriore crescita e maturazione. In The Feathered Snake si mescolano con naturalezza influenze gotiche a sfumature di stampo gothic-doom (ascoltate ad esempio “Resignation to the Void” o “Captivity”): le chitarre piene di eco si unisono ad una sezione ritmica potente mentre i maestrali interventi di Helmut con il violino e il sax conferiscono, purtroppo solo ad una manciata di pezzi, un ulteriore prezioso tocco. Questo è un gruppo capace di creare eleganti melodie -ascoltate ad esempio l'assolo centrale di chitarra in "Dragon Snake"-, sognanti atmosfere, ma che sa anche tirare fuori le unghie al momento giusto per investire l'ascoltatore con un'onda di irresistibile energia. Agli inguaribili fan dei Mission consiglio caldamente poi l'ascolto della ballata che chiude l'album, "Carousel". Sulla genesi di The Feathered Snake avrete letto tutto nell'intervista di cui sopra: non mi resta che sperare di vedere presto dal vivo qui in Italia gli ItA! (Christian Dex)

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I Mordor (gran bel nome! Ricordate il mitico libro di Tolkien Il signore degli Anelli?: Mordor era il regno di Sauron, l’oscuro signore contro cui combatterono e vinsero Bilbo, Frodo e gli altri Hobbits) sono un gruppo svizzero autore di una musica veramente originale, oscura, un insieme ben amalgamato di black, gothic, dark e doom. Autori di un paio di cassette, credo esaurite, tra cui “Csejtheooes”, dedicata alla famosa Erzébet Bathory. Atmosfere catacombali, tenebrose, quasi colonne sonore di film dell’orrore. Poi è arrivato lo stupendo picture 45” per l’olandese Shiukdarsana: due canzoni da non perdere, una dedicata a Nostradamus, “Dark is the future”, e l’altra a Tolkien dall’emblematico titolo di “Les armée de Sauron”. I Mordor sono seri occultisti, molto schivi e li ringrazio ancora per la pazienza concessami per quest’intervista postale. Buone notizie infine per chi ha perso i primi due demos (purtroppo uno anch’io): l’americana Wild Rags li ristamperà su CD entro fine anno. P.S.: Non confondete questi Mordor con l’omonimo gruppo polacco autore di un comunissimo death metal senza infamia e senza lode.

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Per contatti: Mordor c/o GORA, B.P. 360, 1020 Renens VDI, Svizzera. (...una domanda noiosa) Quando si sono formati i MORDOR? Nel 1990, dopo lo scioglimento del nostro primo gruppo Arög. Cosa significa GORA? Vedo quindi che c’era anche un gruppo chiamato Arög. Il significato di GORA è “Gore Occultism Rot Annihilation” (all’incirca “Sangue Occultismo Marciume Annientamento” n.d.t.), in una parola nichilismo. E’ un progetto influenzato dalla musica noise, grind e industrial che rende omaggio alla dissoluzione dell’universo, alla decadenza della civiltà moderna e alla distruzione finale. Alcune “canzoni” vennero usate nelle compilation Arög/Mordor/Gora e The way of Nihilism. Arög è effettivamente il nostro gruppo precedente, fondato nell’87. I Bathory, gli Hellhammer/Celtic Frost e i Venom ci dettero l’idea di usare la musica per esprimere i nostri pensieri ed interessi. Ma a causa di continui problemi con i batteristi era impossibile registrare qualcosa seriamente. Così il gruppo si sciolse ... Vi piace Tolkien? Mi piace la sua trilogia del Signore degli Anelli e non riesco a vederla come semplice “heroicfantasy”. Puoi ritrovarci anche antiche storie di paganesimo e simbologie. Abbiamo preso il nome Mordor visti i suoi riferimenti all’oscurità e alla terra. Sarebbe una cosa eccellente creare una nazione con una società equa basata su antichi princìpi. E cosa mi dite di H.P. Lovecraft e Elisabeth Bathory? Lovecraft è stato uno dei miei scrittori preferiti. Nonostante il suo razionalismo ho sempre trovato nel suo lavoro una profondità cosmica e una grande intuizione del potere dei sogni. Erzébet Bathory è un simbolo meraviglioso per descrivere il potere della vera femminilità (non come le donne moderne) e del sangue. La vera femminilità non è legata alla figura della “Madre” ma al potere trascendente della distruzione e dell’energia. Gruppi preferiti e/o quelli che vi hanno più influenzato. Laibach, Whitehouse, Godflesh, Foetus, Head on David, Bathory, Emperor, Dark Throne, Burzum, Unholy, Necromantia, Master’s Hammer, Esoteric, Dead Can Dance, Fields of the Nephilim, Throbbing Gristle, Coil, Saint Vitus, Candelmass, Mercyful Fate, Sodom, Arturus, Gore, Tangerine Dream, Das Ich e tanti altri. L’occultismo è il vostro interesse principale al di fuori della musica? In realtà potremmo dire che lo studio di antiche tradizioni e filosofie è il nostro interesse principale; la musica è infatti un mezzo per esprimere “miti” e simboli, l’adorazione di forme/persone che giudichiamo utili al nostro personale equilibrio e alla nostra ricerca per l’impersonale. E le antiche dottrine ci suggeriscono opinioni su diversi argomenti come l’arte, la politica, il sistema, ecc.. Avete mai suonato in un castello in rovina nel mezzo di una foresta? Penso che sia un posto molto adatto alla vostra musica. E’ un’idea eccellente ma non facile da realizzare. Ma abbiamo fatto un concerto speciale in Francia all’interno di un’antica cripta alla luce delle candele e l’ambiente era eccellente. In generale non siamo interessati ai concerti perché non ci piace l’atmosfera che si crea normalmente: poi la nostra musica non è veramente fatta per essere suonata dal vivo. Cosa pensate dei gruppi vostri connazionali? Personalmente trovo che ci siano delle band svizzere molto interessanti come i Sadness e gli Xerxes. Ci sono effettivamente dei gruppi interessanti, ad esempio i Samael, gli Alastis, i Misery o i Sadness (non conosco però gli Xerxes). Per un genere diverso anche i Trom, i Bloodstar, i Vomitose e gli Young Gods sono molto buoni.

Abdul Alhazred

(traduzione: Christian Dex) 40


Il cinema di Frankenstein (dalla Universal alla Hammer) La figura di Frankenstein, nata dalla fantasia di Mary

Shelley in una lontana estate ginevrina del 1816, è diventata uno dei principali miti della cultura contemporanea. Il merito non è tanto del romanzo, seppur bellissimo, quanto piuttosto delle riduzioni cinematografiche che ne sono state tratte. La storia ben si prestava del resto a essere portata sulla scena e pertanto già a partire dal 1820 ne furono ricavate numerose versioni teatrali. Gli inizi del ‘900 segnarono invece il suo approdo sul grande schermo: il primo film, dal semplice titolo “Frankenstein” , risale al 1910 ed è di produzione americana, per la regia di Thomas Edison. La parte del mostro fu interpretata da Charles Ogle, che, basandosi sulla esatta descrizione della Shelley, ne riprodusse la grande faccia bianca, gli occhi sbiechi, i capelli arruffati, le lunghe e scheletriche dita, la schiena gobba. Dopo altre due versioni, una sempre americana ("Life without soul" ) del 1915 e l’altra addirittura itaCharles Ogles in Frankenstein, 1910 liana ("Il mostro di Frankenstein" ) di Eugenio Testa del 1920, fu girato nel 1931 quel "Frankenstein" di James Whale che avrebbe segnato una tappa fondamentale nella storia della cinematografia horror. A produrre il film fu la casa americana Universal, che dopo il successo ottenuto con il Dracula di Browning voleva cimentarsi in un altro capolavoro della letteratura gotica. In un primo tempo fu chiamato a dirigere il film il francese Robert Florey e fu offerta la parte del protagonista a Bela Lugosi, che però rifiutò a causa della completa mancanza di dialogo e del trucco troppo pesante. Poco dopo Florey venne cacciato e al suo posto fu messo un regista inglese, Whale appunto. Costui era un profondo conoscitore del cinema espressionistico tedesco e pertanto nella sua opera si possono riscontrare molti richiami sia a “Il Gabinetto del Dr. Caligari” che a “Il Golem”. Il regista, dandy raffinatissimo, ha saputo creare una favola cupa e disperata, dalla scenografia stilizzata, con il laboratorio dello scienziato che sembra una voragine di infernali orrori. La parte della creatura di Frankenstein fu invece affidata al gigantesco Boris Karloff il quale per interpretare il ruolo doveva sottoporsi ogni giorno a quattro ore di trucco (opera del geniale Jack Pierce), con scarpe rialzate, pesi di 20 kg attaccati ai piedi, supporti di acciaio per irrigidire la colonna verticale e le gambe. Ne venne fuori un orrendo mostro, impacciato e dondolante, coperto da corti stracci, con il collo sostenuto da elettrodi e il volto tagliato da un’ampia cicatrice. Karloff seppe dar vita ad un’interpretazione molto toccante, mettendo in risalto soprattutto la natura sensibile e patetica della creatura, come nella famosa scena dell’incontro con la bambina (che all’epoca fu tagliata dalla censura). Il copione non segue fedelmente il romanzo: infatti senza saperlo il barone Frankenstein (Colin Clive) trapianta nella testa del Mostro il cervello di un criminale. Accortosi dell’errore cerca di distruggere la sua creatura, ma questa scappa e comincia ad uccidere seminando il panico nel paese, fintantoché non viene bruciata viva in un mulino a cui la folla scatenata ha appiccato il fuoco. Inoltre Whale ha voluto disseminare all’interno della storia dei tocchi ironici, quasi allo scopo di lenirne il carattere angoscioso. Altrettanto ispirato e geniale è il seguito, 41


“The Bride of Frankenstein”, del 1935, sempre per la regia di Whale e con lo stesso cast d’attori. E’ un film inquietante, un capolavoro del macabro, carico di sarcasmo, di trovate stravaganti e bizzarre, di simbolismi poetici e religiosi. Non si tratta poi nemmeno di un semplice sequel: la storia torna addirittura alla famosa notte del 1816 quando Mary Shelley, Percy Shelley e Lord Byron decidono di cimentarsi per gioco con storie d’orrore e di fantasmi. L’attrice che interpreta la giovane scrittrice inglese (Elsa Lanchester) nel resto del film diventa ironicamente proprio la creatura ideata dal barone Frankenstein per dare una compagna (idea già presente nel romanzo) al suo mostro miracolosamente sopravvissuto al rogo. Ma, una volta aperti gli occhi, la donna prova solo orrore per il suo sposo promesso: allora costui, in preda alla disperazione, decide di uccidere entrambi e fa esplodere il laboratorio. Ancor più che nel precedente film Karloff dà un’interpretazione molto intensa del suo personaggio che, nonostante usi la violenza, non è cattivo, ma piuttosto solo e infelice, un povero ritardato mentale rifiutato da tutti e che alla fine sceglie la via del suicidio, suscitando così un senso di pietà. Le sue due interpretazioni rimangono memorabili nella storia e tutti i successivi Frankestein (per un’ironia del destino il mostro ha finito col prendere il nome del suo creatore!) dovranno cimentarsi con lui, per lo più copiandolo, come avvenne nelle numerose imitazioni degli anni ‘40. Infatti il successo ottenuto dai film di Whale spinse la Universal a continuare sulla stessa strada: “The son of Frankenstein” di Rowland Lee del ‘39, sempre con Karloff, è ancora un buon film, che si avvale anche della presenza di Bela Lugosi nel ruolo di Ygor, l’aiutante deforme che ha conservato nel tempo le spoglie del mostro e che convince il Barone Wolf, figlio di Frankenstein, a rimettere in vita la creatura del padre. La parte di Karloff in questo film venne però abbastanza ridimensionata cosicché egli decise di mettere fine alla sua interpretazione nel timore che il personaggio, ormai svuotato di spessore, diventasse solo una parodia di se stesso. In effetti i film che seguirono, ben cinque tra il 1942 e il 1948, sono tutti lavori alquanto raffazzonati e di scarso interesse artistico. In “The Ghost of Frankeinstein” di Earl Kenton c’è ancora Bela Lugosi nella parte di Ygor e Lon Chaney jr. in quella della creatura. Sua continuazione diretta è “Frankenstein meets the Wolfman” del 1943 per la regia di Roy W. Neill che vede l’introduzione di un nuovo personaggio spalla, l’uomo-lupo, interpretato proprio da Chaney, accanto al mostro, stavolta incarnato dallo stesso Bela Lugosi, che in origine doveva recitare addirittura entrambi i ruoli. Nel 1944 è la volta invece di “House of Frankenstein” nuovamente di Kenton, che segna il ritorno di Karloff nella serie, ma non più nella parte della creatura, bensì in quella di un folle scienziato, il Dr. Niemann, che riesce a riportare in vita addirittura tre mostri: Dracula (John Carradine), Frankenstein (Glenn Strange) e l’uomo lupo (Lon Chaney jr.) con una trama che scivola inevitabilmente nel ridicolo. Segue nel ‘45 l’ancor più puerile “House of Dracula” dello stesso regista e con gli stessi attori, ma senza Karloff che viene sostituito da Onslow Stevens. L’ultimo film della serie dell’Universal vede infine l’introduzione di due nuovi personaggi: Abbott e Costello (Gianni e Pinotto). Nasce così “Abbott and Costello meet Frankenstein” del 1948, in cui ritorna Bela Lugosi nel ruolo di Dracula, mentre Chaney interpreta sempre l’uomo-lupo e Glenn Strange il mostro. Il film, nonostante le critiche dei puristi, ebbe un enorme successo di pubblico negli Stati Uniti, ma segnò anche la fine del genere, che ormai evidentemente non aveva proprio più nulla da dire. Quando alla fine degli anni ‘50 la casa cinematografica inglese Hammer decise di proporre una nuova versione del romanzo di Mary Shelley, il problema maggiore fu quello di diversificarsi il più possibile dalle versioni precedenti, soprattutto per quanto riguardava il make-up della creatura, dato che la Universal ne deteneva ancora i diritti. Grazie all’originale sceneggiatura di Jimmy Sangster, alla bella regia di Terence Fisher e al nuovo trucco di Phil Leakey nacque così nel 1957 “The curse of Frankenstein”, che divenne il primo di una lunga serie di sette film su Frankenstein, di cui ben cinque dello stesso Fisher. A recitare i ruoli del mostro e del suo creatore furono chiamati rispettivamente Christopher Lee (sua unica interpretazione) e Peter Cushing, che invece rimarrà fedele al personaggio in quasi tutti i sequel. Rispetto alle caratteristiche precedenti del mostro il truccatore della Hammer decise di metterne in risalto la carne dilaniata e il disfacimento del corpo, grazie anche all’uso del colore che consentiva di rendere i dettagli molto più precisi, mentre Christopher Lee gli dette una violenza più naturale e una maggior dose di orrore. Il regista invece impresse la sua morale manichea e vittoriana al film facendolo risultare completamente differente da quelli di Whale. Il barone Frankenstein assume qui primaria importanza e diventa un dandy crudele e freddo, uno spietato genio malefico, profondamente antimorale, ma allo stesso tempo alquanto seduttivo. Egli è consapevole del limite che sta oltrepassando e non ha paura a sfidare le regole della natura pur di ottenere la riuscita del suo esperimento. Al contrario la sua creatura non è più una vittima che suscita pietà, ma un killer, un assassino, un folle, intrinsecamente cattivo e dunque da abbattere. Fisher costruisce una vera e propria saga, minacciosa, inquieta e sempre più rarefatta intorno allo scienziato e alle sue imprese. Dopo il primo film il mostro cambia e diventa ogni volta una nuova composizione, 42


un nuovo assembramento di pezzi di cadaveri, in cui l’anima e i ricordi del passato contrastano con il nuovo corpo. Così in “The revenge of Frankenstein” del 1959 la creatura è un poveraccio deforme (Michael Gwynn), mentre in “Frankenstein created woman” del ‘67 diventa una magnifica ragazza (Susan Demberg), in “Frankenstein must be destroyed” del ‘69 è un pazzo con il cervello di un chirurgo (Freddie Jones), in “Frankenstein and the monster from hell” del ‘73 è un umanoide peloso che però sa ancora suonare il violino (David Prowse). Ed ogni volta, sfuggito alla ghigliottina o al linciaggio, il Barone Frankenstein ritorna, sempre più indomabile, per continuare la sua opera dannata e la sua battaglia per il Male contro il Bene. Peter Cushing (assente solo nel penultimo film) porta sullo schermo il fascino dello scienziato romantico e maledetto, completamente immerso nelle sue demoniache creazioni, dandone un’interpretazione straordinaria. Fisher con la sua elegante ricerca formale, il suo amore per le atmosfere decadenti ottocentesche e il suo interesse per la psicologia freudiana si allontana totalmente dalle horror stories consumistiche americane e recupera in pieno quel razioFrankenstein created woman di T. Fisher nalismo frammisto di goticismo proprio del romanzo stesso. A lui interessa l’uomo, nella sua grandezza e nella sua follia, non il mostro. La figura del barone si delinea così di film in film diventando sempre più precisa e profonda: il suo scopo non è tanto resuscitare i morti quanto piuttosto arrivare a combinare il cervello perfetto con il corpo migliore e per ottenere questo non si fa certo scrupolo ad ammazzare. Addirittura in “The revenge of Frankenstein”, che forse è il migliore della serie, lo scienziato decide di trapiantare il suo stesso cervello nel corpo del mostro, arrivando così a essere al tempo stesso sia creatore che creatura. Tutti e cinque i film girati da Fisher sono comunque molto interessanti e il loro livello artistico è decisamente superiore rispetto ai sequel della Universal, mentre più scadenti sono gli altri due prodotti della Hammer, “The Evil of Frankenstein” del ‘64 di Freddie Francis e “Horror of Frankenstein” del ‘70 di Jimmy Sangster. Il primo risente del fatto che la casa inglese aveva da poco ottenuto i diritti dell’Universal: ne deriva così un’opera che ha perso le migliori qualità della scuola inglese per acquistare molti dei cliché tipici dei film americani e che sembra tanto un sequel di “The son of Frankenstein”. Il secondo invece è un remake di “Curse of Frankenstein”, da cui riparte la storia, ma rivista in chiave satirica. Lo scopo era quello di far ridere, però l’idea non ebbe alcun successo, nemmeno tra i fans dell’horror, tanto che i puristi sono incerti se considerarlo parte o meno della serie Hammer. Nel frattempo al di fuori dell’Inghilterra altre pellicole si sono succedute, in seguito alla rivalutazione del genere, a partire dalla fine degli anni ‘50, come ad esempio “I was a Teenage Frankeinstein” del ‘57 di Lee-Stock e “Frankenstein ‘70” del ‘58 di Koch, fino alle misconosciute serie messicane e giapponesi degli anni ‘60. Ma alla fine solo due modelli di Frankenstein sono destinati a rimanere nella storia della cinematografia, quello di Whale e quello di Fisher, i migliori e insuperabili, i quali, anche grazie a dei grandi interpreti, hanno saputo dare vita a storie davvero immortali conservando inalterato, nonostante il trascorrere degli anni, il loro singolare fascino.

Mircalla

(sfondo di pg. 42: Boris Karloff nel Frankenstein di J. Whale)

Altri Frankenstein D

opo l’epopea Universal e la produzione della Hammer, il mostro di Frankenstein, ormai - secondo una indovinata espressione del Giovannini - “dilatato nell’immaginario” continua a vivere, se non nel suo reale significato, almeno come forma o maschera universalmente conosciuta, in una miriade di prodotti realmente trasversalmente multimediali: cinema (anche porno), letteratura, fumetti sono invasi dal nostro mostro, nebulizzato ma onnipresente. E’ veramente complicato, volendolo fare della pignoleria, districarsi 43


fra una cosi copiosa produzione; quindi cercheremo di darne solo un’infarinatura, per rendere l’idea della davvero eccezionale divulgazione di questo personaggio e dei temi ad esso legati. CINEMA... Contemporaneo alle opere Hammer della prima metà degli anni ‘70 è Andy Warhol’s Flesh for Frankenstein (1973), che è poi il titolo inglese de Il mostro è in tavola... barone Frankenstein il film demenzial-splatter di Antonio Margheriti e Paul Morrissey prodotto dal divo della pop art, di cui abbiamo già parlato nel numero V di Ver Sacrum. Nel 1974 Mel Brooks gira il suo capolavoro Young Frankenstein (da noi Frankenstein Junior), geniale ed esilarante omaggio ai classici della Universal. Si va sempre sul filone parodistico con il famosissimo The Rocky Horror Picture Show (1975) di Jim Sharman, dove la “frankesteinetà” (perdonatemi il terrificante neologismo) è il tema portante. Se vogliamo rimanere nel filone demenzialità (o demenza?) citiamo almeno Frankenstein all’italiana sempre del 1975, cult trash di Armando Crispino con un incredibile Aldo Maccione nella parte della creatura! Bisogna arrivare al 1984, dopo una miriade di operette da tutto il mondo (filone mostri giapponesi incluso) per imbattersi in un tentativo più serio di accostarsi a Frankenstein: è di quell’anno infatti il buon La sposa promessa (The bride) di Franc Roddam con Sting nella parte dello scienziato. Il film rimane comunque un tentativo, a volte oscuro e freddamente tecnico, in parte abortito. Nel 1989 Frank Henenlotter (autore dello splendido splatter Brain Damage) dà un deciso colpo allo stomaco dello spettatore con il super-gore Frankenhooker, variazione sul tema al femminile. Sempre nello stesso anno il leggendario Roger Corman torna, dopo anni, alla regia con il suo Frankenstein Unbound, film che seppur girato in Italia (a Bergamo per la precisione) vergognosamente da noi non è stato mai distribuito, se non in home video. Chi l’ha visto, ha giudicato questa contaminazione fanta-horror di Corman un film riuscito solo in parte. Un altro film violento al limite del sostenibile, italiano, cult presso il pubblico splatter anglosassone e in Italia mai visto è Frankenstein2000/ Ritorno dalla morte del mitico Aristide Massacesi che ci regala (o meglio, regalerebbe se lo potessimo vedere...) i suoi consueti ettolitri di sangue e tonnellate di budella. Arriviamo così al 1994 con il film che pretenderebbe - seguendo peraltro l’onda lunga del revival goticheggiante cinematografico - di restituire filologicamente tutti i significati al romanzo della Shelley, e di ridare alla vicenda la sua naturale atmosfera ed ambientazione tardo settecentesca - e cioè Mary Shelley’s Frankenstein Unbound di R. Corman Frankenstein di Kennet Branagh. Intendiamoci il film è girato benissimo, anzi fin troppo bene, anzi direi che il film è Troppo: troppa luce, troppo buio, troppa musica, troppo silenzio, troppi dolly, troppi campilunghi, troppi dettagli, troppo movimento, troppa stasi, troppo.... Insomma pare che Branagh abbia scelto di fare (con il placet del draculesco Coppola) più un omaggio a se stesso come regista, che alla Shelley come scrittrice. Branagh ha lo stesso atteggiamento verso il cinema che un uomo che è stato solo dieci anni su di un’isola deserta ha verso il sesso: dare, dare, esagerare incontenibilmente. Poi l’ambientazione è bella, le scenografie - soprattutto quando omaggiano il dracula coppoliano - notevolissime, a tratti la regia è davvero visionaria, fra gli attori bravo fino all’asetticità De Niro (con un look davvero aderente al romanzo), ancora una volta troppo Branagh e scontata (seppur coreograficamente più che gradevole) la "ivoriana" - questo forse è il limite 44


suo - Bonham Carter. Per finire, l’epilogo-citazione di The Bride of Frankestein, m’è parso ridondante e fuori economia. Ricordiamo anche i due film che hanno trattato la famosa notte sul lago di Ginevra in cui il romanzo della Shelley ha visto la luce e cioè il visionario (e cos’altro se no?) Gothic (1986) di Ken Russel e il floscio The Haunted Summer (1988) di Ivan Passer. Potremmo anche citare fra i film che vedono il tema del tentativo di dare la vita eterna ad un corpo morto, almeno l’efferatissimo Buio Omega (1979) vertice necrofilo di Aristide Massaccesi ed il suo quasi Robert de Niro in Mary Shelley's Frankenstein remake (ma decisamente meno incisivo) Dovevi essere morta ( 1988) di un Wes Craven sottotono. LETTERATURA.... Tantissimi sono i libri, di differente caratura che usano il personaggio creato dalla Shelley. Il “frankestanologo” più prolifico è senza dubbio lo statunitense Don Blut, autore oltre che di una serie di romanzi che modificano e aggiornano continuamente la vicenda originale, anche di un’opera enciclopedica sul mostro shelleyano. Ma il romanzo più valido (e anche, diciamolo il più originale) che utilizza come protagonista il mostro di Frankenstein è senz’altro quel Frankenstein Unbound (edito in Italia da Fanucci, con la traduzione di Gianfranco Manfredi) di Brian Aldiss da cui Corman ha tratto il film di cui abbiamo parlato sopra. La storia è una vicenda con base fantascientifica che vede il viaggio nel tempo di un nostro contemporaneo sbalzato nel bel mezzo della vicenda di Frankestein in corso nell’ottocento. Infine, oltre ad una serie di antologie di racconti, degni di nota sono i Frankenstein Diaries, ancora inediti in Italia, pubblicati nel 1980 e che vorrebbero essere una raccolta di documenti originali sul Dottor Frankenstein. Naturalmente sono un falso, ma risultano un godibilissimo gioco che cerca di dare una parvenza di realtà a vicende romanzesche (comunque non è una novità: guardate il TG 4...). FUMETTI.... L’ultimo arrivo in campo fumettistico è l’immancabile e mediocre versione del film di Branagh edita dalla Topps Comics, ma il mostro appare in una serie di comics fin dal 1940 ad opera di Dick Briefer, che per quattordici anni offrirà una sua libera - liberissima direi - versione del personaggio creato dalla Shelley. Nel 1963 viene edito un adattamento a fumetti del film Universal con Karloff, mentre dieci anni dopo la Marvel tenta, sulla fasariga del bellissimo Tomb of Dracula, di dare il via ad una serie regolare: le vicende si discostano, episodio dopo episodio, sempre di più dalle originali fin a far assumere al mostro caratteri quasi supereroistici. Nel 1972 ricordiamo un albo della casa editrice belga Arédit intitolato Frankestein de A. M. Shelley e più di recente -1989- Frankestein di Power/Olliffe pubblicato dalla Eternity Comics. Ma forse l’opera più geniale sul tema della creazione di un mostro è il caustico, allucinato, e delirante Necron, pubblicato da Magnus agli inizi degli anni ottanta e di recente ristampato per una casa editrice affatto minore. Il grandissimo disegnatore italiano mette il suo inconfondibile tratto al servizio di una vicenda - apertamente, ma intelligentemente, porno - che vede le azioni di una scienziata necrofila che si crea il proprio uomo oggetto, ovviamente da vari cadaveri, per poterne sfruttare l’enorme potenza sessuale. Solo che il mostro si innamorerà della sua creatrice: destino dei mostri. MUSICA..... Boh !?...Lasciatemi ricordare almeno Michael Jackson!

Manfred

(sfondo: Mary Shelley's Frankenstein di K. Branagh) Bibliografia: Fabio Giovannini e Marco Zatterini, Frankenstein il mito, Edizioni Polistampa, ‘94; Hammer & dintorni, Bergamo film meeting ‘90, a cura di Emanuela Martini; Frankenstein, in Gorezone Special n°27, ‘94; Emanuela Martini, I due volti di Frankenstein, in Cineforum n°340, ‘94; Frankenstein, in Lanterna magica, a cura di Luigi Cozzi, ‘75-76.

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Vivere di morte, vivere con la morte: umori mortuari e necrofili nel cinema “di genere” italiano degli anni ‘70. ...oggi ho ritratto quella svergognata mentre crepava... , di Pupi Avati

Introduzione: cinema “di genere” e cinema “d’autore”.

Può sembrare superfluo tornare una volta ancora a criticare quell’atteggiamento preminentemente, anche se - stiamone certi - non esclusivamente, italiano che vede il culto assoluto dell’Autore (mi si conceda la A maiuscola...), invece guardandomi intorno vedo che questa deformazione insiste pervicace su torme di italici critici e/o intellettuali da scuole dell’obbligo: da una parte ci sarebbe Lui, il Demiurgo assoluto, l’Artista, il Poeta, dall’altra un marasma di mestieranti (addirittura velleitari, qualche volta) che sfregiano la Nobile Arte producendo film di genere da dare in pasto ad una massa stolta ed affamata di stupidaggini. E allora, ricordiamo almeno che il concetto di genere è stato alla base per millenni (fino alle porte del nostro secolo) della cultura letteraria, musicale e figurativa dell’Occidente (per non andare oltre) e che la scelta di determinati registri, tematiche o categorie estetiche non pare sia stata d’impaccio all’alta creazione poetica. Qualche nome, così, a mò d’esempio? Omero, Virgilio, Dante, Petrarca, Tasso, Monteverdi, Mozart, Dostojevsky...... Possiamo anche ricordare come tutta la poesia antica fino ai primi decenni di questo secolo, ed anche una parte di quella contemporanea sia una poesia che segue precisi e preordinati schemi metrici (grosso modo, uno per ogni registro o genere) e che nessun autore s’è mai sentito per questo castrato della sua sensibilità artistica (e nessun critico s’è mai sognato di prospettare una tale eventualità...). Ma tornando a noi, il problema non è dunque tanto quello di scegliere di assoggettarsi alle regole di un genere (che prevedono il rispetto di esclusivi canoni estetici, tematici, ritmici), quanto l’approccio stesso al concetto di genere. In questo caso le vie possibili sono due: aderire alla griglia di un genere, all’interno della quale prendersi tutte le libertà possibili, o aderire di volta in volta ad un genere diverso importandovi la propria grammatica espressiva. Schematizzando al massimo, nel primo caso possono rientrare giganti del cinema come Leone od Argento (i quali all’interno di un genere western o thrilling, de-generano fino a raggiungere alte vette di creatività), nel secondo caso emblematico può essere Kubrick, che con la propria personalità sposa di volta in volta generi diversi accettandone -attenzione- le regole. Tralasciando le alte vette, poi, il fatto che esistano una miriade di autori attenti alle richieste del pubblico e che vedono il cinema come un vero e proprio mestiere, prima che come un’arte, non è altro che un segno di buona salute della macchina produttiva, salute necessaria anche per creare poesia. Gli anni ‘60 e ‘70, anni di massima popolarità del cinema in Italia, anni della fioritura del mito di Cinecittà, anni di centinaia di film all’anno, sono anche gli anni, che so io, di Fellini o di Antonioni, di Pasolini o Bertolucci. Oggi che l’industria cinematografica è quasi morta sono tutti autori, ma di film se ne fanno pochissimi. Ma mentre l’opera d’arte è testimonianza soprattutto di chi l’ha prodotta (e non è detto vi traspaia un’influenza della realtà contingente), il cinema di produzione industriale, attento com’è alle istanze del pubblico, è una vera e propria cartina tornasole della società in cui e prodotto. Attenzione però a non considerarlo, con sufficienza, un mero fenomeno sociologico; all’interno di questo cinema emergono - a volte - personalità di tutto rispetto. Gli anni ‘70 E’ stranoto che gli anni ‘70 sono vissuti in Italia nel segno di un forte disagio sociale, dopo il cosiddetto boom economico, le contestazioni e gli antagonismi politici conseguenti al maggio francese, da una parte, ed il consolidarsi del monopartitismo democristiano dall’altra, con tutto il suo strascico di moralismo, corruzione, stragi, alleanze nere. E poi, soprattutto a partire dalla metà del decennio, la recrudescenza del fenomeno terroristico, sia di destra che di sinistra, e l’aria di guerriglia e di violenza che si respirava nel paese. Tutto questo insieme anche a notevoli progressi sociali (divorzio e conquiste salariali, ad esempio). Gli anni precedenti ai famigerati ‘80, sono dunque anni socialmente tesi e violenti, segnati da una convivenza quasi quotidiana con il senso della morte, ma durante i quali è anche presente, da parte del potere costituito, un continuo tentativo di normalizzare, di distrarre o di criminalizzare le istanze antagoniste (il tentativo del cosiddetto compromesso storico non è altro che la ricerca di un improbabile equilibrio). Questa sorta di schizofrenia fra il senso del pericolo e della morte ed il desiderio di una vita tranquilla, borghese, anche di buoni sentimenti, traspare a mio avviso piuttosto bene da due filoni del cinema di genere italiano (considerabili come le due facce di una stessa medaglia): il cinema thrilling ed un piccolo 46


gruppo di film della metà del decennio che potrei definire (a quanto mi risulta sono il primo a farlo) melodramma strappalacrime sui bambini. In questo numero ci occuperemo del cinema thrilling.

1. Il cinema thrilling

Nell’arco di tempo che comprende gli inizi e la fine degli anni ‘70 gli schermi italiani vengono invasi, come mai era successo prima e mai succederà dopo, da una inaudita ondata di Morte. Rasoi, asce, coltelli, lacci e armi le più svariate portano la morte in migliaia di modi terrificanti e a volte inediti, e tutti per mano di un assassino inafferrabile, nerovestito, insospettabile. Il crogiolo che raccoglie tutte queste efferatezze è il cinema thrilling. Genere particolarissimo, il thrilling prevede una storia basata su di un pretesto giallo, un assassino da scoprire, per poi sfociare invece in un delirio trasudante violenza. A differenza dell’horror, nel thrilling vengono evitate (quasi sempre) spiegazioni fantastiche o soprannaturali, l’assassino è uno di noi, vive con noi ed agisce per motivazioni il più delle volte nascoste nel profondo (Rosso?) della sua coscienza. Questo genere di film, popolarissimo, annovera, credo, qualche centinaio di opere (di sola produzione italiana): perché una tale ondata di morte, violenza e sadismo è riuscita ad attirare una messe così grande di spettatori? Cosa porta il cittadino comune ad assistere ad una serie impressionante di omicidi, in film dove quasi sempre è assente il classico lieto fine? Evidentemente il clima di violenza sociale (prima che politica) di quegli anni trova un riflesso in questo genere di produzioni; la schizofrenia di una società divisa fra la critica alle istituzioni ed una ricerca indotta di stabilità politica e di quieto vivere ben si rispecchia nella figura di un criminale efferato che vive nel profondo di un essere insospettabile. Le sfrenatezze sanguinose dei thrilling italiani (le argentiane grandi vele di irrazionale e delirio) permettono inoltre la libertaria fuga da una realtà mal vissuta. Fuga però, stranamente, ricca anche di spunti di critica all’establishment: gli assassini di questi film, sia ciò programmaticamente voluto oppure rispondente automaticamente alle richieste del pubblico, sono insospettabili in quanto quasi sempre fanno parte di quelle categorie che sono alla base del sistema politico e morale instaurato in Italia: la Madre, il Bambino, il Prete, l’Autorità etc. Nulla e nessuno di queste categorie, nel cinema thrilling italiano, è rassicurante od immune da corruzione. Al contrario, poiché l’appartenenza alla categoria degli insospettabili diventa “topos”, si va al cinema con una richiesta ben precisa: quella di vedere, ad esempio, una Madre che uccide. Ciò è così vero che si può tentare una panoramica di questi film - scremando al massimo e tenendo fuori ove possibile poeti come Argento, che pure è uno dei maggiori responsabili dell’estetica di cui stiamo parlando - dividendoli per categorie di assassini o di tipi intorno a cui ruota la vicenda. Sia chiaro, senza pretesa di completezza e dando solo una prima indicazione.... PRETI Significativamente per un paese di cultura cattolica la figura del sacerdote omicida è tra le più ricorrenti nel cinema thrilling italiano. Si comincia nel 1972 con il bel Sette orchidee macchiate di rosso di Umberto Lenzi, dove un sacerdote folle uccide per vendicare (dimentico della dottrina cristiana) la morte accidentale del fratello. Sempre nel 1972 Aldo Lado dirige Chi l’ha vista morire? dove il prete assassino si nasconde addirittura sotto le spoglie di una vecchia. Un prete che uccide per nascondere la sua attività di donnaiolo è quello de L’arma, l’ora, il movente (1973) curiosa opera crepuscolare di Francesco Mazzei, fra l’altro con un Renzo Montagnani in un pressoché inedito ruolo drammatico. Obbligatoriamente da ricordare sono poi il prete folle (doppiamente disturbante e trasgressivo perché in realtà è una donna) dello straordinario La casa dalle finestre che ridono (1976) capolavoro thrilling di Pupi Avati, e quello dell’ormai (almeno da noi) pluricitato Non si sevizia un paperino (1972) gioiello di Fulci. Altro prete, omicida per trauma infantile, c'è poi nel notevole Solamente Nero (1978) del bravissimo Antonio Bido, personalissimo autore ingiustamente sottovalutato e dimenticato. Bido era fra l’altro stato autore l’anno prima del bellissimo Il gatto dagli occhi di giada, in cui appare un insuperabile assassino antifascista (uccide i responsabili della deportazione nei campi di sterminio dei suoi familiari) !! ISTITUZIONI Vasto è anche il catalogo dei rappresentanti delle istituzioni o delle fasce rispettabili della società. Si parte con il losco intrigo fra industriali dello sperimentale e kitsch La morte ha fatto l’uovo (1969) di Giulio Questi. Il titolo, forse involontariamente comico, si spiega con il fatto che il protagonista della vicenda è un ricco pollicoltore!! Il rispettabile direttore di un giornale di provincia uccide poi in Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale (1972) di Giuseppe Vari, mediocre cosa ispirata nientemeno che a Blow up di Antonioni (1966). Un medico legale è invece il mostro di Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo 47


della squadra mobile (1972) di Roberto Bianchi Montero, che nasconde dietro ad un chilometrico titolo alla Petri, un dignitoso thrilling argentiano. Altro medico folle d’amore lo troviamo nell’interessante Il fiore dai petali d’acciaio (1973) di Gianfranco Piccioli, a fare il paio con il suo collega de La morte cammina coi tacchi alti (1971) di Luciano Ercoli, tranne che qui a spingere all’omicidio sono banali interessi economici. Sergio Martino inventa nel 1973 un - manco a dirlo - insospettabile docente universitario in I corpi presentano tracce di violenza carnale. Infine un ex-commissario di polizia quantomeno eccessivamente moralista macella le sue vittime nel discreto E tanta paura (1976) di Paolo Cavara. LA FAMIGLIA Altro covo di perversità è la famiglia, che qualcuno vorrebbe insieme a Dio e Patria alla base del nostro vivere. E permettetemi qui di rendere doveroso omaggio, prima di tutto, a Clara Calamai grandissima M A D R E assassina, archetipo di tutte le Madri (il titolo del film non ve lo dico, se non lo sapete.... meritate la morte...). Il bestiario familiare è vastissimo, quasi nessun grado di parentela si salva: si va dalla nipote-amante di Così dolce così perversa (1969), prodotto tipo di Umberto Lenzi, alle intricate relazioni amorose di Una sull’altra di Fulci, sempre del 1969, e ai Padri vendicatori di Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer (1972) di Giulio Carmineo, a quelli del bellissimo L’etrusco uccide ancora (1972) del bravo Armando Crispino o ancora a quelli dello spietato Cosa avete fatto a Solange? (1972) diretto con mano felice da Massimo Dallamano. Non mancano le cugine (Il coltello di ghiaccio (1972) di Lenzi, peraltro remake de notissimo La scala a chiocciola di Siodmak (1946)), o le sorelle come in Tutti i colori del buio (1972) bel prodotto di Sergio Martino. C’è poi chi risolve il problema delle gerarchie familiari con l’invenzione di sane tare ereditarie, come ad esempio Lenzi nel suo capolavoro Spasmo (1974) o Sergio Sollima nell’unico bellissimo thrilling da lui diretto, Il diavolo nel cervello (1972). I DEBOLI, I DIVERSI In questo caso l’omicidio scaturisce quasi sempre dalla non accettazione della propria diversità, o comunque da un rapporto malato con essa. Pensiamo all’omosessuale geloso di Giornata nera per l’ariete (1971), bel lavoro di Luigi Bazzoni, ma anche alle vittime (tutte in qualche modo, secondo il senso comune, deviate) del finto cieco de La tarantola dal ventre nero diretto da Paolo Cavara nel 1971. Vi si possono aggiungere le lesbiche Florinda Bolkan (che sia una autocitazione?) e Jean Sorel nell’estremo Una lucertola con la pelle di donna (1971) di Fulci, le quali uccidono per nascondere la propria relazione. Per concludere citiamo la vergogna della propria omosessualità come movente degli omicidi in L’iguana dalla lingua di fuoco (1972), ulteriore animalistico titolo di Willy Pareto. INFANZIA Può essere considerato il tema guida, perché quasi sempre traumi infantili sono all’origine della catena dei delitti ed è la violenza vista o subita da bambini a scatenare la violenza oggi. Il bambino è onnipresente, e quasi un marchio di fabbrica nei grandi autori (pensare ad Argento e a Fulci, almeno); si esorcizza la paura del futuro dando per certo un passato terribile. Qui sono da citare almeno il bellissimo film di Tonino Valerii (guarda caso della scuola di Leone, come Argento e ...Bertolucci) Mio caro assassino (1972) che ci presenta un indimenticabile caso di infanzia violata, o la bambina vendicatrice nel complesso e a volte iperviolento Enigma Rosso (1978) diretto da Alberto Negrin. In quest’ultimo film, dalla trama piuttosto complicata, la bambina-nemesi non è che uno dei due assassini che agiscono; l’altro è un alto magistrato (avremmo potuto citarlo anche fra le Istituzioni) che uccide per nascondere i suoi misfatti, mentre la piccola agisce per vendicare la morte di sua sorella: pare si voglia dire che anche nel male l’infanzia mantiene la sua innocenza e la sua purezza. REDATTORI DI VER SACRUM (...) ? !

Manfred

Bibliografia più essenziale di così si muore. L’unico testo che tratta propriamente e molto bene del thrilling italiano è BRUSCHINI-TENTORI, Profonde tenebre, il cinema thrilling italiano 1962-1982, Granata Press 1992. Ampio spazio all’argomento viene poi riservato anche in COLOMBO-TENTORI, Lo schermo insanguinato, il cinema italiano del terrore 1957-1982, Solfanelli 1990.

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NeoNoir Nell’asfittico panorama della letteratura “giovane e alternativa” italiana è comparsa all’improvviso

un’oscura presenza: il suo nome è Neonoir. Si tratta di un progetto, o, se preferite, di una tendenza culturale che si propone di rivisitare un genere, il “noir” appunto, che pur appartenendo al passato, anche nella realtà odierna può trovare una propria collocazione e attualità. Le classiche storie di intrighi, misteri e sanguinari delitti vengono così rivitalizzate tramite l’utilizzo di nuove formule narrative, che attingono ad esempio al linguaggio di stampo cinematografico, fumettistico, multimediale, con un’ambientazione strettamente legata alla vita quotidiana e ad uno scenario urbano postindustriale fatto di degradazione e violenza. L’idea di partenza nasce nel 1993 nel corso di una serie di incontri svoltisi a Roma tra un gruppo di scrittori, registi e nuovi autori coordinati da Fabio Giovannini, noto studioso di letteratura gotica e fantastica. Sono così emerse alcune idee e linee di tendenza attorno alle quali i partecipanti hanno cominciato a lavorare. Ed i frutti non si sono certo fatti attendere: nel giro di poco tempo sono già state pubblicate due antologie di racconti, la prima lo scorso anno dal nome “NeoNoir, 16 storie e un sogno” per Il Minotauro (£. 22000), la seconda in primavera con il titolo “Giorni violenti” (sottotitolo “Racconti e visioni neo-noir”) per la Data News (£. 12000). Si tratta di storie brevi ma estremamente forti, violente, crudeli in cui spesso all’interno di una situazione di base relativamente tranquilla e “normale” scatta la scintilla che conduce all’orrore più efferato. E allora nulla viene più risparmiato, nemmeno la descrizione dettagliata e morbosa di corpi squartati e macellati, secondo la migliore tradizione splatter. Del resto il narratore e protagonista di questi racconti è quasi sempre l’assassino in persona, il mostro, il serial-killer, che ci racconta con brutale realismo la sua vita, i suoi ossessionanti deliri, i suoi atroci delitti. Non per questo rappresenta il “cattivo” contro cui le vittime, cioè i “buoni” devono combattere, anzi in queste storie non esiste mai una morale codificata e il limite tra giustizia e colpa è assai labile, spesso non esiste nemmeno. Sono lo squallore quotidiano, i rapporti umani sempre più fatiscenti, la mancanza di veri ideali, le molle che fanno scattare l’attimo bestiale, la ribellione efferata, l’istinto di morte. D’altra parte la cronaca nera dei giornali è piena di vicende di violenza e crudeltà nate dalla disperazione e dalla desolazione di ogni giorno. Così i racconti di Neonoir si collocano ai confini tra realtà e fantasia, attingendo alla prima per poi lasciare libero sfogo alla seconda. Il “noir” classico, quello poliziesco, tanto per intenderci, non esiste proprio più: sono rimasti solo alcuni riferimenti al genere, come l’ambientazione metropolitana, le vicende di thrilling e spionaggio, ma per il resto i personaggi si muovono in un mondo al limite del surreale, tanto la quotidianità viene stravolta e forzata fino alle estreme conseguenze. I racconti sono molto eterogenei fra loro e le mie preferenze vanno inevitabilmente a quelli più oscuri, morbosi e orrorifici tra cui segnalo dalla prima antologia “La moglie del mostro (Altea)” di Riccardo Bernardini, “Follia quotidiana” di Alda Teodorani e “Il tesoro” di Nicola Lombardi; dalla seconda “Espiazione” di Antonio Tentori e “Virago” di Alessandra Santini. Ma tutti sono da leggere perché forniscono un ampio ed esauriente panorama di quelle che sono le nuove tendenze letterarie entro cui gli amanti del “nero” cercano di trovare un loro spazio.

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Illustrazione di Il mistero di Marie Rogêt di E.A. Poe


Scrittrici Gotiche: Mary Elisabeth Braddon Mary Elisabeth Braddon (1835-1915) potrebbe sembrare una delle tanti scrittrici dell’Inghilterra

vittoriana, di buona famiglia borghese, dedita al marito e ai figli, che nei momenti liberi si dilettava nell’arte dello scrivere. In realtà la sua vita fu ben diversa: non solo non si sposò ma convisse per anni con l’editore John Maxwell, i cui insuccessi professionali la costrinsero a sobbarcarsi tutto l’onere economico della famiglia. Grazie ai proventi della pubblicazione di più di ottanta tra romanzi e racconti riuscì a mantenere sia i figli che la moglie del suo compagno, ricoverata in una casa di cura. Inoltre ebbe la capacità di diventare lei stessa editrice e di fondare ben due famose riviste letterarie del tempo, Belgravia (1866) e Temple Bar. Prima di scrivere si era inoltre guadagnata da vivere facendo l’attrice per tre anni. Poi la colse un improvviso successo con la pubblicazione del libro “Lady Audley’s Secret” (1862), un grosso scandalo per la critica del tempo. Il romanzo rientra in quel genere cosiddetto “sensazionalistico” che in quegli anni andò a prendere il posto del “gotico” alla Radcliffe e di cui viene considerato indiscusso maestro Wilkie Collins, l’autore di “The Woman in white”. In realtà l’affermazione del romanzo sensazionalistico, come già di quello gotico, fu soprattutto merito di scrittrici femminili e della Braddon in particolare. Nella sua opera ella smitizza alcuni degli stereotipi culturali della società vittoriana, in primis quello della donna “angelo del focolare”, tanto in voga al tempo. L’eroina, Helen, è naturalmente bionda, bella, delicata e suscita un senso di protezione negli uomini. Ma nel momento in cui deve difendere la propria posizione sociale duramente conquistata non esita a servirsi del delitto per liberarsi del marito che l’aveva ingiustamente abbandonata. Alla fine sarà crudelmente punita e l’ordine ristabilito, ma ormai la rottura della consuetudine sociale è avvenuta. La novità della Braddon è di aver saputo dare voce a quelli che sono i veri desideri, le frustrazioni, le paure delle donne, sempre costrette a celare le proprie emozioni dietro ad una facciata di purezza imposta dall’immaginario patriarcale. Le sue protagoniste sono esseri passionali, forti, che hanno il coraggio di vendicarsi degli uomini falsi e deboli che le hanno sfruttate, e ciò nella cultura anglosassone ottocentesca non poteva non suscitare scalpore. Da ricordare sono anche i suoi racconti, che rientrano quasi tutti nel filone delle ghost-stories, molto frequentato dalle scrittrici dell’epoca. Si tratta di vicende che si svolgono in un’atmosfera inquietante e soprannaturale, che “trasudano di brume non del tutto materiali, di ombre e di oscuri destini” (cit. da Montague Summers). “Cold Embrace” e “Evelin’s Visitant” (facenti parte della sua prima raccolta “Ralph the Bailiff”) vengono considerati gli esempi migliori. In entrambi viene sviluppato il tema della vendetta dei morti nei confronti dei vivi e i protagonisti sono dunque degli spettri che non hanno ancora sciolto i legami con il passato e che ritornano tra gli uomini per saldare debiti e promesse. Sono larvae in cerca della preda, che alla fine riescono a portare con loro nella tomba in un abbraccio mortale o a cui succhiano la linfa vitale grazie ad un seducente fascino ultraterreno. La Braddon è abilissima nel creare intorno alle vicende un’atmosfera di mistero e si diverte ad andare alla ricerca dell’effetto forte caricando i personaggi con gusto spudoratamente teatrale. L’utilizzo del genere fantastico diventa così per lei un abile mezzo per allontanarsi dalle convenzioni sociali, per essere libera di inventare e accedere ad una verità più profonda in cui i sogni di rivincita femminile possono finalmente trovare soddisfazione.

Mircalla Bibliografia: Mary Elisabeth Braddon, Storie del Soprannaturale, a cura di Chiara Vatteroni, Tranchida Editori, ‘95; Victorian Ghost Stories, edited by Richard Dalby, Virago Press, ‘92; Occulta, l’omnibus del Soprannaturale, a cura di Montague Summers, Oscar Mondadori, ‘88.

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Luoghi macabri: il Cimitero degli Inglesi di Firenze Il cimitero protestante di Firenze, detto anche “degli Inglesi”, che si trova presso Porta a’ Pinti, è una piccola oasi di verde che sbuca in mezzo all’asfalto, un’isola ovale difesa da solide mura all’interno della quale si ergono maestosi monumenti funebri, ultima testimonianza dell’Ottocento romantico di questa città. Fu costruito nel 1827, per opera dello svizzero valdese J. P. Gonin, in un luogo ai tempi completamente isolato e fuori dalla cerchia fortificata. La sua vita fu estremamente breve: già nel 1877 dovette chiudere ufficialmente in seguito alla risistemazione urbanistica progettata per Firenze capitale d’Italia, quando ormai la nuova città si stava allargando sommergendo quella antica. Così i cancelli della piccola necropoli furono sprangati per sempre a custodire le memorie di quel gruppo di persone che per prime avevano portato a Firenze un’aria di cosmopolitismo e di anticonformismo. Infatti la comunità protestante che vi è seppellita si distinse dal punto di vista politico, per il suo incondizionato appoggio alla causa italiana nel travagliato periodo del risorgimento e per l’attività artistica e letteraria di cui si fece portavoce. Nelle sue 1409 tombe il cimitero ospita le salme di personaggi appartenenti a ben 16 nazioni differenti, dal nucleo inglese, il più folto, agli svizzeri, nordamericani, russi e anche italiani. Esiste inoltre nella sua breve storia una specie di stratificazione: all’inizio furono inumati soprattutto aristocratici britannici e piccoli commercianti svizzeri; poi cominciò a popolarsi di uomini di tutte le nazionalità e, a partire dal 1859, anche di protestanti italiani. Questi ultimi verso la metà del secolo avevano fondato nella clandestinità il primo nucleo fiorentino ma non ebbero vita facile, tanto che dovettero spesso subire la galera e a volte anche l’esilio. Ad essi si aggiunsero presto anche un gruppo di piemontesi valdesi, trasferitisi allo scopo di evangelizzazione. Ma i nomi più interessanti restano comunque quelli degli artisti romantici le cui spoglie ancora giacciono in questo luogo di eterno riposo. Tra gli inglesi va rammentato innanzitutto J. P. Vieusseux, grande organizzatore della cultura del tempo che con le sue riviste, iniziative editoriali, gabinetti di cultura, contribuì a fare di Firenze il maggior centro intellettuale del tempo. Poi vi sono una serie interessanti di personalità femminili, tra cui Elisabeth Browning, moglie del famoso poeta, al quale fu legata da profonde affinità elettive, Isabella Blagden, poetessa e narratrice amante del misticismo esotico, la scrittrice e traduttrice Theodosia Trollope. Tra gli altri personaggi singolari va segnalato almeno Theodor Parker, teologo e primo diffusore delle teorie spiritiste anglosassoni. Gli svizzeri invece sono da ricordare per due ottimi pittori, Mueller, paesaggista, e Counis, ritrattista e disegnatore. Ma particolare tenerezza suscita soprattutto la tomba della piccola Maria Anna Boecklin, creatura morta a sette mesi, figlia del grande pittore basilese Arnold Boecklin il quale scelse Firenze come sua dimora ed abitò per qualche tempo proprio nelle vicinanze di questo cimitero. Non a caso il suo più famoso dipinto “L’isola dei Morti” nonostante sia stato ispirato all’isola di Ponza, per il suo stesso nome e per il carattere della composizione ha fatto ricordare a molti proprio il cimitero di Firenze. Vi consiglio pertanto di dedicare una breve visita a questo magico luogo di meditazione e di riposo: una volta varcata la soglia vi troverete dinanzi ad una dolce collina coronata di cipressi; potrete allora percorrere lentamente il vialetto centrale che si erge verso la sommità, con ai vostri lati i tumuli nel loro affascinante splendore, lontani dai fastidiosi rumori della città e immersi in un’oasi romantica di suggestivo incanto.

Mircalla

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Recensioni Aa Vv.: And even wolves hid their teeth (CD - Cold Meat Industry). La Cold Meat Industry ha selezionato i brani presentati su questa compilation secondo un criterio di omogeneità tale che, se non fosse per le voci e gli stili diversi delle quattordici band presenti, il lavoro potrebbe sembrare l’opera di un solo gruppo. Questa scelta mi sembra molto positiva rispetto a compilation eccessivamente eterogenee, in cui, di norma, ogni singolo ascolatore trova al massimo una metà dei pezzi di suo gradimento. Tutti i brani, sia quelli più melodiosi sia quelli più vicini ad ambientazioni industriali sono infatti accomunati da un senso di claustrofobia, di oscurità, che pare esprimere un comune malessere, un disagio profondo. Un’opera che sicuramente soddisferà tutti gli amanti di questo tipo di sonorità. (Natalie C.) Aa Vv: Death by Dawn II (CD - Apollyon). Nuova compilation dalla Apollyon, che ci permette di fare conoscenza con 13 gruppi dell’attuale scena gothic mondiale. Vi appaiono ormai consolidate certezze come Madre del Vizio, Corpus Delicti, Artica (con “Sarajevo”) e Midnight Configuration, insieme ad altre bands senza infamia e senza lode fra i quali potrebbero meritare maggiore attenzione gruppi come i francesi Brotherhood of Pagans o gli australiani Ikon e Subterfuge con il loro gothic rock di ascendenza Sisters/Nephilim, convenzionale ma gradevole e ben suonato, oppure gli americani Sunshine Blind con il loro gotico leggero e la bella voce femminile, o ancora gli inglesi nosferatiani 13 Candles (che però sarebbe meglio programmassero la drum machine in maniera decente). Un cenno a parte meritano inoltre i Les Fleurs du Mal, formazione ormai sciolta in cui figuravano Lilith, Janusz e GODkrist di Madre del Vizio/Engelsstaub, che propongono però un american gothic piuttosto convenzionale (ed innocuo?). Per il resto una conferma dell’uniformità e del conformismo imperante in gran parte del mondo goth. (Manfred) Aa Vv: Dreams in the Witch House (CD - Grave News Ltd). Primo CD prodotto da una nuova etichetta londinese, la Grave News. “Dreams in the Witch House” ci offre dieci canzoni inedite di alcune delle più promettenti bands del gothic inglese. Sono presenti gli ormai noti Children On Stun con “Celebration” e i Marionettes con “Savage Garden”. Tra le altre bands incluse sono da tenere particolarmente in considerazione i Cries of Tammuz, i Die Laughing e gli irlandesi This Burning Effigy. Di questi ultimi presto uscirà il primo album in CD sempre per la stessa Grave News. La compilation costa 11,50 sterline s.p.i. e potete ordinarla presso: Grave News Limited, 49 Cranfield Road, Brockley, London, SE4 1TN, England. (Stefano Sciacca) Aa. Vv.: Gothic (CD - Gothic Magazine). I fortunati che conoscono il tedesco e che amano il gotico dei giorni nostri non devono farsi scappare la rivista Gothic, il cui n° 21 è composto da 68 pagine piene di interviste e recensioni con una piccola parte dedicata alla letteratura. La grafica è assolutamente stupenda, di quelle che in Italia solo i giornali di moda possono permettersi: dulcis in fundo insieme alla rivista viene allegato un CD di 74’! Si tratta di una compilation in cui figurano band ormai affermate (Tors of Dartmoor, Still Patient?, Angina Pectoris) accanto a gruppi emergenti (Artica, Empyrian, The House of Usher) e ad altri meno noti (e fra questi vanno assolutamente menzionati i Babylon Will Fall). Chiaramente non mancano quelle che dalle mie parti vengono dette “sole”, come d’altra parte accade per il 90% delle compilation gotiche, ma almeno questa non è la solita carrellata di nomi ultranoti targata Cleopatra/Talitha. Chi volesse saperne di più contatti Jörg Kleudgen (che tra le altre cose è il cantante dei The House of Usher), In den Mittelweiden 16, 56070 Koblenz, Germania. (Christian Dex) Aa. Vv.: Jekura - Deep the Eternal Forest (CD - Apocalyptic Vision). Premesso che i profitti di questo lavoro andranno all’organizzazione ecologista “Oro Verde” con sede in Germania, in due fitte pagine del booklet si vuole spiegare la situazione della foresta amazzonica e le terribili conseguenze della sua distruzione sull’intero pianeta. Anche la copertina è in tema, con due immagini di questo affascinante habitat in pericolo. Non solo va apprezzato questo tentativo di sensibilizzazione al dibattito ecologico per la cornice, ma anche per il contenuto, cioè la musica, tanto che Jekura risulta davvero una memorabile compilation sicuramente da acquistare. Ed ecco dall’Italia i mitici Ordo Equitum Solis, dal Giappone i Jack or Jive, dagli Stati Uniti i Requiem in White, e ancora i Sixth Comm, gli oscuri Sopor Aeternus che propongono due personalissime interpretazioni di pezzi dei Black Sabbath (“Paranoid” e “A National Acrobat”), e tra gli altri, da notare i White Onix Elephants che mi hanno fatto veramente una buona impressione. (Raffaello) Aa. Vv.: What sweet music they make (CD, K7 - Vampire Guild). In Inghilterra la scena gotica di questi anni è legata strettamente al culto dei Vampiri. Molte sono le riviste o le associazioni dedicate esclusivamente ai seguaci di Dracula: Thee Vampire Guild è una di queste pubblicazioni. I redattori hanno curato la loro prima compilation di musica goth di tema vampirico reccogliendo i contributi di gruppi famosi, dai Corpus Delicti agli Incubus Succubus, passando, tra gli altri, per Sopor Aeternus, Dream Disciples, Two Witches (poteva mancare la loro “Mircalla”?) e Depeche Mode (!?!). Sono circa 80 minuti di musica piacevole dall’elevatissimo tasso gotico e che, cosa da non sottovalutare, fanno nascere la curiosità di leggere Thee Vampire Guild. (Christian Dex) Another Tale: Chords in Blue (CD - Hyperium). “Accordi in blu” o se preferite “Accordi tristi” è il titolo di questo nuovo CD degli Another Tale. Non a caso sono molti i brani lenti dai toni soffusi e acustici, appesantiti però da una costruzione un po' pomposa e ridondante, in stile soft-rock per intenderci. “People” e “Mountains burning” pagano invece un evidente omaggio ai Marionettes con dei ritmi mozzafiato, allegre e leggere melodie e l’ottimo uso della chitarra acustica che affianca il suono distorto di quella elettrica. A mio avviso è qui che gli Another Tale eccellono, dove riescono a contagiare con un’irresistibile allegria, una voglia di lanciarsi in un pogo mozzafiato. “Ikarus” è invece un’ottima ballata, molto dolce, da segnalare fra le cose migliori di questo Chords in Blue che, in conclusione, è un album di qualità oscillante. (Christian Dex) Astral body: Auroral belt side (CD - Disturbance). Ambient-elettronico per questo gruppo torinese affascinato dalle teorie di Gurdjeff, la cui influenza spirituale si avverte tanto nei pezzi d’atmosfera quanto in quelli più movimentati. La caratteristica principale di questo CD è a mio avviso proprio il senso di serenità che riesce ad infondere nell’ascoltatore. (Natalie C.)

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Ataraxia: La malediction d’ondine (CD - Energeia). Dopo la provvidenziale raccolta Ad perpetuam rei memoriam gli Ataraxia ritornano con la pubblicazione di La malédiction d’Ondine, un affascinante lavoro in cui la stupenda voce di Francesca Nicoli, accompagnata dai fraseggi musicali medievali e malinconici di Vittorio e Giovanni, ci trasporta nel mondo delle Lamie, creature femminili a cui il fato ha riservato una comune fine tragica. In quest’opera il magico fascino degli Ataraxia è ancora più evidente che nei precedenti lavori, forse per via dell’argomento trattato che mette in risalto la particolare sensibilità di Francesca. Peccato solo che i racconti delle storie di queste ondine non siano stati inclusi nel booklet. (Natalie C.) Chandeen: Jutland (CD - Hyperium). Al loro secondo lavoro dopo il buon esordio di Shaded by the leaves, i Chandeen non solo confermano le loro qualità artistiche, ma compiono decisamente un balzo in avanti quanto ad armonia e bellezza delle composizioni. Alla già collaudata vena malinconica e romantica, che li avvicina ai migliori prodotti della Projekt, si aggiunge ora una maggiore sperimentazione e ricerca nella scelta dei suoni, che spesso si fanno minimali, oppure acustici ed evocativi. La dolcezza del canto delle due stupende voci femminili (Antje Schulz e Catrin Mallon), odierne sirene incantatrici, sottolineata da ammalianti melodie di flauto, pianoforte e chitarra, dà così vita ad un insieme di raro fascino e di avvolgente tristezza. (Mircalla) Chateau royale: In mourning (CD - Christus Release). I titoli delle tre canzoni che compongono In Mourning , “Post Mortem”, “Voodoo” e “She’s dying”, mi avevano fatto accostare a questo CD con qualche pregiudizio, ma devo dire che ascoltandolo mi sono completamente ricreduta. I brani, come anche la copertina, sono pregni di una leggiadra eleganza, che fonde armonie sinfoniche con sonorità medievali sulle quali si libra la voce di Ady, la cantante, accompagnata da un recitato di Baron in latino in “Post Mortem”. (Natalie C.) Cherche-Lune: Dun Emrys (CD - Prikosnovenie). Una nuova grande rivelazione dell’ethereal francese: questi Cherchelune possono presentarsi a pieno diritto come i nuovi Collection d’Arnell Andrea. La dolcissima voce di Claire volteggia con grazia sulle dolci melodie eseguite dal gruppo, che non disdegna di inserire a fianco di una strumentazione rock degli stumenti classici e struggenti come flauti, violini e violoncelli. Il risultato è una manciata di canzoni che evoca malinconiche immagini di paesaggi autunnali che sfumano nelle brume dei ricordi e dei sogni. Una musica che incanterà tutti gli animi sensibili. (Natalie C.) Das Ich: Staub (Cd - Danse Macabre). Dopo un lungo silenzio rotto recentemente dal mini Stigma, con Staub i Das Ich ci propongono il secondo capitolo full-time della loro elettronica apocalittica che nessuno è ancora stato capace di eguagliare. Staub significa “polvere”, un nome per ricordare che siamo alla soglia della fine di un millennio, la profezia “mille e non più mille” che preannunciava la fine del mondo e che può paragonore i nostri giorni ad un un nuovo medio evo. La title-track è infatti un lento incubo sonoro. Tra gli altri pezzi, tutti molto più tirati e ballabili, segnalerei la stupenda “Von der Armut”, già presente in tre differenti versioni, che comunque riuscivano a non annoiare, su Stigma ed ancora “Dein Leben” ed “Im Ich”. (Natalie C.) Der Liederkranz: Stereo (CD - Dion Fortune). Elettronica di scuola Kraftwerk (come pure si nota dalla grafica di copertina del CD) che non è plagio ma espansione nella moderna Cyber di esperimenti electro-pop, in una innovazione tipica di quest’ultimo decennio che fortunatamente non cade nella trapola dello scontato e del commerciale. Troviamo qualche pezzo ballabile, altri che in definitiva non si sprecano nello stuzzicare l’intelletto, altri che sfruttano patterns elettronici un po’ più fantasiosi e gradevoli. Questa distesa di suoni robotico-digitali viene interrotta nella sua metà da “Hummer Muss Koche”, pezzo accompagnato da sprezzi di dissonanza di un ottimo sax di ispirazione vagamente Tuxedomoon, che in un crescendo si rivela davvero niente male. Un lavoro ben fatto, dignitoso e quanto meno da ascoltare. (Raffaello) Derriere le Miroir: Deep (CD - Derrière Rec.). I Derriere le Miroir sono una creatura di Ralf Jesek, chitarrista e cantante degli In My Rosary. Non potevano quindi non essere il romanticismo e la delicatezza gli ingredienti chiave di questo ottimo disco a cui si aggiunge anche una sensibilità accentuata verso ritmi ballabili. Siamo in pieno territorio new wave, ai confini delle foreste oscure dei Cure di Faith e Disintegration e delle eleganti costruzioni dei Chandeen. Oltre a Jesek alla voce c’è Nicole Rellum un’altra dolcissima fanciulla che va aggiungersi alle ormai numerose file delle “heavenly voices”. Le atmosfere sono normalmente piuttosto calme, con tempi rilassati, ma non mancano canzoni ottime per ballare. Fra le cose migliori segnalo “Fancy garden II” cantata da Martin dei Printed at Bismark’s death, un brano sintetico, delicatamente techno, con ottimi intermezzi di sassofono e chitarra acustica. Con eleganza e un occhio al ritmo i Derriere le Miroir hanno prodotto un bel CD, facile ma non scontato. Da avere assolutamente. (Christian Dex) Die Form: Silent Order ~ Re-versions (mini-CD - Hyperium). Se siete fan dei Die Form, se amate i remix, se adorate andare in trance seguendo pattern ripetitivi, beh, allora questo “mini” fa proprio per voi. Di contro, se tendete facilmente alla paranoia statene alla larga. Il motivo? Perché questo CD è composto da sette versioni dello stesso pezzo, remixato e manomesso dalle abili mani di Martin Bowes degli Attrition, dal grande Adi Newton (Clock Dva e Antigroup) e dai Die Form stessi. I singoli remix sono veramente ottimi: il migliore risultato è ottenuto, guarda caso, da Adi Newton che imprime al pezzo una forte impronta minimale e “cold” in stile Clock Dva. Ma sentirsi la stessa canzone sette volte di fila è un po’ palloso, diciamocelo. (Christian Dex) Die Maschine: Genetic Escalation (CD - Dion Fortune). In questo CD si possono apprezzare i pregi e scovare i difetti della musica elettronica: questi Die Maschine passano da interessanti sperimentalismi e vigorose ritmiche cyber a ovvie sequele di campionamenti e tastiere non eccessivamente stimolanti (vedi “Tanzen!”, “Tekknonaut”, “Informer”). Il cantato non pare avere parte fondamentale nei singoli pezzi, sembra piuttosto un accessorio: a volte duro stile Ministry, a volte più soft stile Depeche Mode. Il lavoro nel suo insieme risulta però sufficientemente concreto senza palesi cadute di stile, riuscendo a dire qualcosa di nuovo nello scenario Cyber-Wave. Da segnalare “No Name”, “Face Behind The Beast”, “Hot Man’s Paradise”, “One or Two” (di ispirazione Kraftwerk). (Raffaello) Dracul: Die Hand Gottes (CD - Spirit Production): Nulla ci è dato conoscere di questo Dracul tranne la nazionalità tedesca e l’immagine alquanto pacchiana al limite del ridicolo. Dal punto di vista musicale esso ci offre invece un approccio che ricorda molto da vicino quello dell’ultimo Valor: un medley sperimentale di tecno goth, metal, industrial, suoni etni-

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ci, sperimentazione vocale. I risultati sono alquanto discontinui; si va da pezzi particolarissimi come “Queen of the night” (base techno-goth. riff metal, voce gregoriana e arpeggio chitarristico spagnoleggiante !!), potenti come “Dracul” o riecheggianti i Christian Death di Valor come “No Church” (che potrebbe essere, anche per il modo di cantare, una ideale continuazione di “This is Eresy”), a composizioni davvero brutte come le insostenibili “Land of Sun” o “Hand of God” (con le loro sonorità pseudo etniche..) ad insulse ballatine tipo “Seelen Sex”. Imperdibile per gli amanti del trash-kitsch, tranquillamente trascurabile per gli altri. (Manfred) Elend: Leçons de Ténèbres (CD, K7 - Holy Rec.). Un trionfo di sonorità oscure, sinfoniche, grandiose, profondamente emozionanti e totalmente gotiche. Ma qui si parla di VERO gotico, non dell’ennesima imitazione di qualche band del passato. Gli Elend ci regalano con questo loro esordio un capolavoro, un’opera di raffinata cultura artistica e stupenda musicalità. Il gruppo è composto da tre musicisti di estrazione classica con la passione per il metal più oscuro: il loro disco è una vera opera sinfonica, una teoria di archi, pianoforte, violini e organo. La stupenda voce della bellissima Eve Gabrielle si erge cristallina su questa cittadella incantata di suoni, accompagnata dalle modulazioni profonde di Renaud e dalle agghiaccianti grida di Alexandre. Con Leçons de Ténèbres gli Elend rendono omaggio al Paradiso perduto di John Milton, dando voce alle schiere di angeli che osarono opporsi a Dio e vennero così cacciati dal Paradiso. Ma se questi sono gli Inferi, io scelgo la Dannazione Eterna! (Christian Dex) Endless: Beyond the abyss (CD - Spirit Production). Per la serie, la Germania colpisce ancora. Eh sì, perchè teutonici sono questi incredibili cloni dei Christian Death di Rozz Williams: Cristo, la voce e totalmente id-en-ti-ca a quella di Rozz nel 90% dei pezzi, così come la musica, tanto che in un primo momento ho creduto di avere a che fare con l’ennesimo progetto del musicista di S. Francisco. E invece no, questi Endless vorrebbero essere un’altra cosa: E l’altro 10% dei pezzi? Direte voi. Un pò di Sisters, un pò di Bauhaus e un pizzico di qualcosa d’altro e il gioco è fatto. Io non sono uno che pretende l’originalità a tutti i costi, ma qui - dove per altro non manca la capacità tecnica - si supera il limite della decenza. Comunque, secondo me, piace....(Manfred) Epsilon Indi: The Stolen Silence (CD - autoprodotto). Terzo lavoro per questo gruppo formato da numerosi musicisti che operano sotto il nome di Epsilon Indi. Che vi abbiano partecipato in molti lo si percepisce dalla dinamicità e dalla varietà di suoni e di idee che questo “The Stolen Silence” contiene; difatti ogni CD che incidono è solo una parte di un progetto artistico ben più ampio comprendente anche arti visive e teatro-danza, cosicché per una totale immersione nelle loro atmosfere sarebbe necessario gustarseli dal vivo. Prendono spunto dalla musica cosiddetta “colta” in generale, ma anche dalla World Music, dalla musica elettronica e dalla musica classica con uno sguardo all’avanguardia. Un superficiale accostamento che può essere fatto è con lo stile 4AD, anche per la grafica che accompagna il compact, tuttavia la struttura con la quale è stata concepita quest’opera ed i dichiarati intenti, più ampi del solo “produrre musica”, fanno degli Epsilon Indi un soggetto a parte, del tutto unico nella scena musicale italiana. (Raffaello) Exit Refugium Peccatorium: Zonefeld, Edad Mental, Cancer (7”-autoprodotti). Chi ricorda i tempi in cui il gotico, prima di essere chiamato così, veniva semplicemente definito “post-punk”, ed ogni gruppo si distingueva per il proprio stile? Senza dubbio li ricordano questi Exit Refugium Peccatorium, che ci hanno inviato i tre dischi che hanno prodotto dal 1991 al 1994. Sono delle opere molto personali, che ignorano i canoni musicali della nuova ondata goth, per proporre uno stile che sa essere ossessivo come quello dei Bauhaus, violento come quello dei primi Killing Joke, ritmico come quello dei Red Lorry Yellow Lorry. Ma, come per ogni buon gruppo post-punk, questi paragoni possono dare un’indicazione, ma non descrivere totalmente la musica degli Exit R. P. Per contatti: John e Salvador Vallejo, viale S. Nilo B7, 00046 Grottaferrata (Roma), tel. 06/9413049. (Natalie C.) Fading Colours: Lie (MCD - Dion Fortune). Questo gruppo polacco esce dall’oblio delle formazioni sconosciute, incidendo per la Dion Fortune un mini-CD composto da quattro pezzi di un gothic-rock di facile ascolto, con diretti richiami alla new wave di fine anni 80 e ad atmosfere che furono già proprie di album come “Floodland” dei Sisters (in “Lie”) e “Peepshow” di Siouxsie & the Banshees (in “Love”). La voce della cantante riesce ad essere sia dolce che potente; senza pecche anche gli strumentisti, che sembrano però attenersi a freddi cliché ormai non più così entusiasmanti come potevano sembrare fino a un po’ di tempo fa. Sarei curioso di sentire altro materiale di questa band in un futuro prossimo, così da vedere in che direzione va la loro vena creativa (spero non precipitino nella nullità autolesionista di lavori come The Rapture!). (Raffaello) Fading Colours: Black Horse (CD - Dion Fortune). Il quartetto dei Fading Colours proviene dalla Polonia e ci propone una musica leggerina e frizzante, molto pop-eggiante e che risente più che del gothic di certe atmosfere post-punk (Siouxsie in testa, mi pare, forse per il gradevole cantato femminile). Nel complesso dodici brani piacevolissimi che scivolano via come un vinello ghiacciato, tutti di buona caratura con alcune punte sopra la media (come “Sister of the Night”, la trascinante potenziale hit-dance “Lie”, l’avvolgente “Love” o la accattivante “Colours”). (Manfred) Faith & Disease: Fortune his sleep (CD - Ivy Rec.). Uno dei più bei CD che ho ascoltato in questi ultimi mesi. La loro musica potrebbe essere definita come una sorta di ethereal corposo e malinconco, venato di spunti lisergici. Un insieme estremamente suggestivo ed originale, ma che, soprattutto, viene direttamente dal cuore. La voce di Dara Rosenwasser è calda come quella di Lisa Gerard e dolce come quella di Cloè St.Lippard. Non voglio citare nessun titolo di queste opere che non mi sento neppure di chiamare canzoni: per me sono delle gemme preziose giunte a noi dal mondo dei sogni per regalarci delle struggenti emozioni. (Natalie C.) Flowers of Romance: Pleasure and the Pain (CD - Nyctalopia). Sono il più importante gruppo dark greco ed ora hanno finalmente la possibilità di farsi conoscere ad un pubblico più vasto grazie al contratto con l’etichetta tedesca Nyctalopia. In questo CD si alternano in modo evidente due tipi di atmosfere: quelle maggiormente legate al dark inglese degli anni ‘80 (un nome su tutti, Southern Death Cult, vista anche la somiglianza tra la voce di Mike e quella di Ian Astbury) ed altre, seppur oscure, virate verso sonorità più rock, con arrangiamenti maggiormente complessi. Preferisco senza dubbio le composizioni del primo tipo, sebbene l’originalità proprio non abbondi (ad esempio “Pleasure and the pain” è costruita sugli stessi accordi di “A forest”). Molto belle sono quindi “Amaradina”, “Love means death” e “Kashmir” ma anche il

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resto si ascolta tutto sommato con piacere. Questo giudizio positivo non si estende però alle due ballate, “Winter walz” e “Island in the moon”, tant’è che inviterei i Flowers of Romance a desistere dal provare soluzioni simili. Un gruppo simpatico ed un CD piacevole: ci possiamo accontentare. (Christian Dex) Glod: Gnosis (CD - Musica Maxima Magnetica). Che Shelley Soma e compagni mi perdonino, ma questo Gnosis non è riuscito per niente a catturarmi... A parte le prime due canzoni, che rientrano nei canoni del loro primo lavoro, peraltro di un buon livello, il resto mi è parso scarsamente ispirato: troppe lungaggini di una cupezza alienante prive di qualsiasi stimolo. Si osservi che su sei pezzi, quattro superono gli undici minuti(!), dei quali uno supera addirittura i venti(!!); ciò porta alla paranoia qualsiasi ascoltatore anche allenato alle suite più minimali. Spero solo che il 1995 rappresenti una parentesi meditativa all’interno della loro produzione. (Raffaello) Götterdämmerung: A body and birthmark (CD - Dion Fortune). Ascoltando A body... nasce inevitabile il confronto con i gruppi della scena post-punk degli anni ‘80. Tra Play Dead e primi Sisters, quindi, si muovono le composizioni dei Götterdämmerung, caratterizzate da un suono potente di chitarre acide e distorte su ritmi sostenuti, spesso ballabili. I pezzi sono di media molto lunghi (sui 6’) e fra essi figura “Hall of Fame" - già inserita insieme a “Longshot” nel precedente ep del gruppo - che pare un inedito dei Mephisto Walz. Non mancano comunque momenti più atipici come “Triangulation”, oscura orchestrazione di dissonanze e distorsioni, o “Amphitryon Satir”, composta da campionamenti di voci su un’ossessiva base ritmica al limite dell’industrial. C’è infine “Vision of wane” con i suoi oltre 10’ di sonorità postpunk/dark, vocalizzi arabeggianti e chitarre impegnate a tessere accattivanti frasi melodiche. I Götterdämmerung sanno coniugare energia e freschezza ma manca loro quel pizzico in più di estro ed originalità per essere annoverati tra i migliori. Vale comunque la pena di ascoltarli. (Christian Dex) Grass Harp: Cosmodrome e.p. (mini-CD - Moonbean). Sonorità dark-wave possono essere captate a tratti nei 20’ che compongono questo ep. Essenzialmente i Grass Harp sono però un gruppo garage-psichedelico che tesse un affresco sonoro di improbabili colori lisergici. Il nero e il viola cupo abbondano comunque sulla loro tavolozza e con essi il gruppo dona alla musica profondità e una vaga aura oscura. Il risultato non è malaccio ma non proprio consono ai miei gusti. Ma se siete in fondo un po’ fricchettoni ... (Christian Dex) Ikon: In The Shadow Of The Angel (CD - Apollyon). L’Apollyon si sta sempre più confermando come una delle migliori etichette: le sue uscite non sono numerose, ma sempre accuratamente selezionate. Gli ultimi acquisti sono questi tre australiani, che dopo un primo CD distribuito in Europa dalla Nightbreed hanno pubblicato il loro secondo lavoro per l’etichetta tedesca. “In the shadow of the angel” è impregnato di sonorità di pieno stampo post-punk, collocabili a metà strada tra Red Lorry e Joy Division; questi ultimi, oltre che dalla musica, sono rievocati anche dalla voce di Michael Carrodus, che si avvicina piacevolmente a quella di Ian Curtis. Tra i pezzi di questo CD, che non può assolutamente mancare nelle discografie dei nostalgici dei primi anni ‘80 segnalerei in particolare “Love is colder than death”, “Black roses” e “Lord of Darkness”, in cui malinconia ed inquietudine sono scandite dai ritmi elettrici delle chitarre. (Natalie C.) In My Rosary: Strange ep (maxi-CD - Derrière Rec.). Questo nuovo ep degli IMR, sembra scontato dirlo, è bellissimo. In ogni lavoro il duo tedesco mette in discussione se stesso per sperimentare nuove contaminazioni e cercare altre vie sonore, pur mantenendo la sua inconfondibile identità. E’ impossibile perciò trovare due dischi del gruppo uguali tra loro. Strange è una summa di varie influenze: la wave, il folk (più o meno apocalittico), un pizzico di techno, a cui va ad aggiungersi l’uso di strumenti e costruzioni della musica da camera. I suoni vengono trasfigurati dallo spirito romantico e malinconico degli IMR e il risultato non può non arrivare dritto al cuore. Fra i cinque pezzi di questo ep vi segnalo quello più atipico, “Violation”, sulla cui sintetica e monotona ritmica si deposita lieve un malato violino. Che la musa possa ispirare sempre questi suoi devotissimi figli. (Christian Dex) Katatonia: For Funeral to come... (mini-CD). Questo terzo lavoro del gruppo svedese è sicuramente il più bello. Non è rimasto praticamente nulla degli inizi black del mitico “Jehova Elohim Meth” (che poi, a dire il vero, era molto atmosferico e sognante). Tranne i due minuti della evocativa (nel vero senso) “Epistel” le altre tre canzoni sono un riuscito insieme di doom, gothic e dark, intervallati da stupendi fraseggi acustici per creare atmosfere notturne come negli otto minuti dell’iniziale “Funeral Wedding”. Sicuramente un buon gruppo ed un ottimo CD che non fa che confermare (per me) come le migliori atmosfere oscure e lunari (non esagerate) vengano da gruppi metal (anche se nel caso dei Katatonia il termine metal è veramente improprio e riduttivo) piuttosto che dai gruppi gothic ormai quasi tutti cloni dei Sisters e/o dei Fields of The Nephilim (questo ultimo gruppo però inarrivabile). (Abdul Alhazred) Kirlian Camera: Erinnerung (CD - Discordia). Erinnerung, ieratico, austero e raffinato, è uscito lo scorso Natale, a dispetto dell’opulente atmosfera festosa del periodo. E’ un disco di una profondità quasi imbarazzante: palpabili sono gli spettri che lo hanno ispirato. Allo stesso tempo è un opera di rara eleganza, con i suoi colti riferimenti alla cultura tedesca (“Schließe mir die augen beide” e “Veronika Voss”, commovente, almeno per me, omaggio al Grande R.W. Fassbinder). Ma è anche un’opera eclettica che affianca, senza alcuna contraddizione brani in stile techno-dark, ambient-industriale, pezzi acustici e un “traditional” africano eseguito da Nancy Appiah, un nuovo membro della famiglia KC. Nell’immediato futuro sono previste numerose uscite del gruppo, tra cui il nuovo album, Solaris, un live, più il risultato di vari progetti paralleli (vedi Ordo Ecclesiae Mortis, recensito sempre in questo spazio). Se Erinnerung era solo l’antipasto non vedo l’ora di arrivare al dolce! (Christian Dex) Lonsai Maikov: Our lady of the bones (CD - Cauda Draconis). A distanza di un anno dal mini-CD From the fountain esce un’altra opera di Lonsai Maikov. E’ inevitabile notare la maturazione artistica di Thierry Jolif, creatore e mente di questo progetto musicale, attento alla creazione di ballate minimali, malinconiche, di profonda intensità emotiva. Più articolati rispetto al passato sono gli arrangiamenti che aumentano lo spessore del suono, riempiono i vuoti con sfumature mai troppo invadenti. Our lady ... è un’opera meno austera e fredda della precedente ed è pervasa da una tangibile malinconia. Anche il canto di Jolif si adatta alle atmosfere e assume intonazioni più enfatiche, un po’ più da chanteur, cosicché in alcune occasioni sembra quasi di ascoltare David Sylvian. Se amate i gruppi del giro World Serpent/Kenaz questo CD non deve sfuggirvi. (Christian Dex)

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Love Spirals Downwards: Ardor (CD - Projekt). Secondo CD per i L.S.D., una grande conferma dopo “Idylls”: musica ancora dolcissima, affascinante, l’apoteosi del loro bellissimo modo di esprimere sensazioni celesti in note. Questi suoni sono per l’orecchio ciò che la solitaria luce della fiammella di una candela in una grande stanza spoglia è per la vista, una piacevolissima e rilassante ipnosi alla quale nessun animo dotato di una minima sensibilità osa resistere. Ogni canzone è una timida goccia di cera tiepida che tende a raffreddarsi per poi essere affiancata ad un’altra, diversa, ma non meno densa di poesia; in quest’ambiente dominato dagli elementi dell’aria e del fuoco levitiamo tra echi resi come leggera brezza sul volto e fiammelle tramutate in armonia quasi palpabile. Certo, si potrebbero fare i soliti aridi paragoni, ma nominare altri gruppi sarebbe come sminuire il magistrale lavoro compiuto da Suzanne Perry e Ryan Lum, due incantatori che riescono ad evocare le mistiche atmosfere di cui sicuramente molti di noi non potranno fare a meno. (Raffaello) Lucie Cries: Prima Verba (1990 - 1993) (CD - Alea Jacta Est). Come il titolo lascia intendere questo CD è un’antologia che ripropone, purtroppo con un paio di assenze, i brani presenti nei primi quattro mini-CD dei Lucie Cries, più altri due pescati da altrettante compilation. Oltre ad essere un’interessante testimonianza della storia del gruppo Prima Verba raccoglie delle canzoni bellissime, un vero must per chi dei Lucie Cries conosce solo gli album e per chi non è riuscito a procurarsi i mini-CD originali, ormai definitivamente esauriti. Canzoni come “La Chrysalide de l’Ange”, “L’Ame de Perperthus” o “Sœur de Sang” sono ormai scolpite nel profondo del mio cuore, insieme al ricordo di tre stupendi concerti del quartetto tra Pisa e Livorno e, non meno importante, della loro splendida umanità e simpatia. Alla leggiadria di Lucie ho già da tempo arreso il mio cuore e spero che anche i vostri siano prossimi alla capitolazione. (Christian Dex) Massimo Volume: Lungo i bordi (CD - WEA). Per produrre il secondo lavoro di questo gruppo bolognese capitanato da Emidio Clementi si è mosso niente meno che FaustO’, uno dei primi musicisti d’avanguardia italiani. Questa è un’opera che esula dalle “ambientazioni” gotiche ma che merita attenzione ed ascolto, almeno da parte del pubblico più “aperto”, in quanto è un CD denso di tonalità e messaggi oscuri e, soprattutto, sinceri. Vorrei soffermarmi in particolar modo sugli stupendi, intensi testi di Emidio, che lui non canta ma declama con un pathos che viene direttamente dal cuore. Le sue parole mettono a nudo le speranze ed i fallimenti, l’emarginazione e l’angoscia di chi non si lascia irretire dai fuochi fatui della superficialità dilagante, ma cerca qualcosa di più profondo, di più umano, e proprio per questo spesso si trova faccia a faccia con i propri pensieri, con l’amara e fredda consapevolezza dello squallore che spesso fa da sfondo alla nostra esistenza. Una base ritmica dura ed essenziale ed un tappeto di chitarre distorte tessono la colonna sonora minimale ma estremamente diretta ed efficace dei frammenti di vita descritti dai testi. Vivamente consigliato a tutti coloro che si sono stufati di ascoltare gruppi i cui testi sembrano tratti da libri di fantasy di infima qualità. (Natalie C.) Mellonta Tauta: Sun Fell (CD - Hyperium). Ancora una bella sorpresa dalla Hyperium, senz’altro una delle nostre etichette preferite. In Sun Fell è fortissima l’influenza dei Cocteau Twins e di certo pop britannico degli ultimi anni, definizione un po’ generica che in questo caso include gruppi che vanno dai New Order ai Jesus & Mary Chain, dai Cranberries ai Curve. Chitarre distorte, un magnifico basso e, naturalmente, una deliziosa ed eterea voce femminile creano magnifici quadri sonori, leggeri ma mai banali. Un CD assolutamente piacevole, frizzante e fresco, un vero sollievo alla calura infernale di quest'estate. (Christian Dex) Memorium: same (mini-CD) Avevo già seguito questo ennesimo gruppo svedese sin dagli esordi con due ottimi demos in stile doom death. Ora della durezza di un tempo non è rimasta che la voce roca dell’iniziale “Blackroses”, ballata doom. Ma già la successiva “Gods of frozen water” vira su temi dark-gothic con atmosfere suggestive che richiamano gli immensi spazi delle foreste scandinave (fonte inesauribile d’ispirazione per un’infinità di bands) con i loro interminabili silenzi; “Dance with death” è poi molto curiana. Nel complesso quattro canzoni di ottima fattura. (Abdul Alhazred) Mephisto Waltz Thalia (Cd Cleopatra). Ma dove sono finiti i Mephisto Waltz di Terra Regina, di Eternal Deep, di Crocosmia ? Bari-Bari ha perso completamente la testa, ha dimenticato, rinnegato il suo passato di musicista o forse ha solo momentaneamente riposto la chitarra nella cantina di casa per darsi alla sperimentazione di un sound più soft? I Mephisto Waltz si ritengono sempre più alfieri di uno stile molto vicino al quello della 4AD ma che invece con la 4AD non ha niente a che fare, cosicchè Thalia, ultimo lavoro della band californiana, è contraddistinto da ritmi blandi, annoianti e ripetitivi. Gli unici momenti di slancio emotivo li ho avuti nell’ascoltare “No way out” e soprattutto “T-200” (Kokoro), veramente bella. Tutto sommato mi aspettavo qualcosina di più...convincente!! (Stefano Sciacca) NCS: The musical Works of the NCS - vol. 1 (CD - Sacrum Torch). Dopo lo stupendo album dei Requiem in White, recensito più avanti su queste pagine, Lisa e Eric Hammer ci regalano un altro capolavoro. Stavolta siamo nei territori della musica di ricerca, dei suoni inconsueti, in cui le tastiere e la splendida voce femminile spiccano sulle chitarre, piene di eco, sulle magnifiche linee di basso e sulle percussioni, sugli effetti e sui rumori. Atmosfere delicate, talvolta leggermente tetre ed inquietanti, sono dipinte da questi artisti, tracciando percorsi che vanno dalla musica medievale al gotico, seguendo le suggestioni di echi tribali, melodie orientali, musica antica. NCS è un progetto affine per spirito di ricerca non tanto per musicalità - ai dischi di Eliajah’s Mantle pur essendo più immediato e meno freddo del gruppo di Brendan Perry. Da questi musicisti è lecito aspettarsi ancora grandi cose: intanto ci hanno regalato due dischi, questo e quello dei Requiem in White, da inserire a caratteri d’oro nel libro nero della storia del Dark. (Christian Dex) Nosferatu: The Prophecy (CD - Possession Rec.). Senza peli sulla lingua, ma con molta tristezza, affermo che questo album è una vera schifezza. I Nosferatu si sono trasformati in un’insulsa parodia di loro stessi, appesantendo la musica di cambi di tempo, cori e inconcludenti assoli di chitarra. In certi momenti sembra di ascoltare i Queen più pacchiani e a peggiorare il tutto c’è il nuovo cantante, non stonato per carità, ma assolutamente inadatto al genere dei Nosferatu (invero non ho ancora chiaro a quale musica la sua voce sia adatta ...). Quando urla poi si sfiora il ridicolo e alzi la mano chi non ha pensato: “Sembra Wayne Hussey castrato”. Se possibile da dimenticare. (Christian Dex) Ordo Ecclesiae Mortis: Zentral Friedhof I (CD - Discordia). Grazie all’operato dell’etichetta Discordia, ma soprattutto grazie alla stima acquisita dai Kirlian Camera, è ora possibile ascoltare i progetti sonori di Angelo Bergamini composti negli scorsi anni. Per Ordo Ecclesiae Mortis ne sono dovuti passare addirittura dieci, ma in esso non compare affatto la ruggine del tempo. In questo CD mi sembra di cogliere lo spirito degli indimenticabili Suicide, dei quali compare anche

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una cover, “Frankie Teardrop”: in generale sono in primo piano i suoni sintetici e minimali dei synth, i ritmi sono ossessivi e piuttosto tirati, la voce è nervosa, elettrica, talvolta stridula. “Stammheim” invece, con Bianca Santos al canto, è più affine alle atmosfere austere di Todesengel; sarò impazzito poi, ma a me “The last Chants” ricorda moltissimo “Day of the Lords” di joydivisioniana memoria. Un lavoro bello e interessante: decisamente non solo per fan dei Kirlian Camera. (Christian Dex) Parts: Tools of Sound (maxi-CD - Heaven’s Gate). I Parts sono per me una piacevole sorpresa, mostrano uno stile che non ha niente a che vedere con la massa di gruppetti grunge-pseudo-punkettari che ingorga la scena musicale underground. I loro suoni sono ispirati da un”rumorismo illuminato” di nobile anima sperimentale, con venature quali freejazz tra i Jethro Tulle e John Zorn (in “Unisono”), risultato di una rabbiosa psichedelia-apocalittica che non disdegna talvota di alcuni effetti già cari al gothic-industrial tedesco di questi ultimi cinque anni. I pezzi sono di una concretezza e di una tecnica che raramente gruppi ben più famosi (in quel di Seattle, ma non solo) sono riusciti a raggiungere; bisognerebbe tuttavia vedere un’esibizione live per verificare quanto detto. Gregorio Bardini (voce) è accompagnato da chitarra, basso, batteria ed in più da strumenti a fiato, violini, ed altri “utensili” più comuni a gruppi rumoristi-industriali. Poco più di venti minuti di ascolto vitale, frenetico,sincopato, surreale, sorprendente. (Raffaello) Psychopomps: Six Six Six nights in hell (CD - Zoth Ommog). Dalla Germania, ancora, brutale ed oscuro industrial metal orrorifico satanista dove l'ispirazione da Ministry et similia la fa da padrona, ma dove langue qualsiasi seria capacità creativa. Il tutto condito da abbondanti dosi di satanismo da baraccone. Già visto, già sentito, già digerito, già dimenticato. Comunque, c'è a chi piace...(Manfred) Quasar Lux Symphoniae: Abraham - One act rock opera (CD - WMMS). L’ascolto di questo doppio CD, opera prima, forse unica, che questo incredibile quartetto di Codroipo (UD) ci dona, mi ha letteralmente sbalordito. Un’opera rock, la biblica vicenda del Patriarca Abramo, il “Padre di tutti i credenti”, che costituisce una impressionante dimostrazione di genio assoluto, un’opera coraggiosissima, destinata purtroppo a rimanere patrimonio di pochi o, addirittura, a venir dimenticata, condannata ed esser sepolta nell’oblio... I brani sono venti, strutturati in forma di dialogo. E’ d’obbligo citare l’Ouverture, suddivisa in tre movimenti (“The Creation”, “The Pleasure”, “The Original Sin”), otto minuti di sublime armonia tra new age impegnata e musica classica, che costituisce il naturale preludio all’intera opera, “The Oaks Of Mamre”, bellissimo pezzo per chitarra acustica, “Ishmael” e “Silver Bridge Of Memories”con l’eccelso Paroni in bell’evidenza, “Sarai’s Fear” e “If a Woman is like Weat”, brani che esaltano le incredibili qualità vocali di Annalisa, capace d’incantarci e di donarci brividi di profonda emozione, l’imponente “Hospitality”, ma l’elenco dovrebbe comprenderli davvero tutti. Opera di musicisti seri e preparati, “Abraham” è un’inno alla melodia, alla purezza, al sentimento, che trascende gusti personali e mode. (Hadrianus) The Radiance: Blind: everything about Paul (maxi-CD - Derrière Rec.). L’esordio su CD di questo nuovo gruppo tedesco arriva per la Derrière Rec. (ovvero, mi ero dimenticato di dire finora, l’etichetta personale degli In My Rosary che si avvale della major SPV per la distribuzione). Qui troviamo sei canzoni registrate dal vivo con un suono così buono da risultare indistinguibile da una normale incisione in studio. Il gruppo ama infatti suonare di fronte ad un pubblico, per proporre le sue delicate composizioni in stile wave. La formazione comprende chitarra, basso, tastiere e batteria: al canto si alternano eteree voci maschili e femminili. Solo l’iniziale “Blind” ha un ritmo leggermente più sostenuto, con la sua ritmica marziale: le altre canzoni sono quadri sonori dipinti con la consistenza di acquarelli, che si susseguono sfumando le une con le altre. Un gruppo molto promettente da cui si spera in futuro di avere altri ottimi dischi. (Christian Dex) Requiem in White: Of the want infinite (CD - First Communion). Dopo tanti CD carini, dopo tante copie più o meno riuscite delle opere dei Sisters e dei Nephilim, ecco un vero capolavoro. Of the want infinite ha pieno diritto di figurare fra i migliori album della storia del Dark: in un crescendo di sonorità gotiche e atmosfere barocche, la musica affonda nel profondo dell’anima per poi rapire l’ascoltatore in repentine estasi. E’ un trionfo di stupende melodie, tormentate chitarre, linee di basso dal vago sapore orientale, ritmiche tribali e danzabili: sul tutto si erge la maestosa ed elegante voce di Lisa Hammer, modulata in cristallini ed eterei gorgheggi o in virtuosismi operistici. I Requiem in White possono piacere naturalmente a tutti, sia chi adora ballare nelle gothic-disco, sia chi ama il dark-sound più classico o chi preferisce invece le atmosfere sognanti dei gruppi Project e 4AD: la loro musica è un punto d’incontro ideale di questi suoni, un prezioso gioiello il cui fulgore fa scomparire un numero enorme di gruppi finti, di dischi finti e di gotici finti. Che sia l’inizio di una nuova era? (Christian Dex) Rosetta Stone: Tiranny of inaction (CD - Minority One). Dopo tre anni di lungo silenzio è finalmente uscito l’attesissimo album della band di Liverpool. Preannunciato dall’uscita di una promotape “The Good’s gone” in cui davano un primo assaggio del loro nuovo sound, industrializzato ed un tantino più aggressivo del precedente (nella tape peraltro figurava una cover di “Venus in Furs” dei Velvet Underground), i Rosetta Stone lo avevano proposto per la prima volta dal vivo durante il tour americano intrapreso lo scorso anno assieme a bands come Corpus Delicti e Das Ich riscuotendo abbastanza successo. Con Tiranny of inaction hanno puntato ad allargare la propria schiera di fans rinnegando in un certo modo il precedente sound ispirato da bands come March Violets, Altered States e Skeletal Family. “Nothing”, “Friends and executioner”, “Goods gone” sono canzoni che vi faranno riflettere sull’evoluzione della band capitanata da Porl King. “Never”, anch’essa bellissima, sembra invece essere l’unico punto di contatto con il loro vecchio stile. Per contatti: Rosetta Stone 31 Ivanhoe Road, Aigburth, Liverpool, L17 8XF, England (Stefano Sciacca) Satyricon: The Shadowthrone (CD - Moonfog). Già il primo lavoro di questo "darkthroner" intitolato Dark Medieval Times mi era piaciuto per la capacità di unire il black alla musica di ispirazione medievale. Anche questa seconda opera prosegue sulla falsariga della precedente, manca solo l’effetto sorpresa, ma è bella lo stesso per i suoi passaggi acustici, per l’epicità di canzoni come “Vikingland” e per l’atmosfera oscura di “The kink of the Shadowthrone” (che poi, come spiegava in un intervista Satyr, il leader dei Satyricon, è la morte stessa!) il tutto concluso dalla strumentale evocativa “I en svarte kiste”, medievale e tenebrosa. (Abdul Alhazred)

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Shinjuku Thief: The Witch Hammer (CD - Dorobo). Opera imperdibile per tutti gli amanti delle sonorità cupe, oscure, assolutamente gotiche, questo The Witch Hammer, secondo lavoro (il predecessore, sempre su etichetta Dorobo, recava il titolo di The Scribbller) per gli australiani Shinjuku Thief. Ideale colonna sonora per notturne esplorazioni di mondi arcaici, per lente, lentissime discese in altri abissi ctonii, fra impalpabili presenze aliene che vi sfiorano, fra suoni catacombali, ora claustrofobici, ora avvolgenti, atmosferici, vocalizzi eterei, ora lamentosi; organi ultraterreni, gracchiar di corvi, un vero compendio di gothic-industrial... In alcuni frangenti, sono sensazioni personali, mi rammentano gli alfieri della Cold Meat Industry, i blasonati finnici In Slaughter Natives (“Wolfzahn”), ma è un’impressione che presto svanisce, incalzata dal maestoso incedere delle cupe atmosfere che si susseguono. Ascoltate “A midnight mass”, blasfema funzione celebrata fra le rovine di una chiesa sconsacrata, nell’ora delle streghe fra frammenti di canto gregoriano, cupi rintocchi di campane, in lontananza, l’odore pungente di incensi proibiti che ammanta l’aria e l’inquietante “Flight of the screech owls”, tra abominevoli stridii di immondi volatili che vi accompagneranno nella mesta discesa nelle profondità dell’ade... Osate, scoprirete il buio più profondo... Contatti: P.O. BOX 22 Glen Waverley - Victoria - 3150 Australia (Hadrianus) Stoa: Porta VIII (CD- Hyperium). Ispirati da un racconto di Maurice Maeterlinck, gli Stoa ci regalano il loro secondo capolavoro, generosissima fonte di emozioni per i più voraci esploratori dell’etereo. Nella loro musica, come sempre misteriosa e grandiosa nelle melodie e nella scelta dei suoni, noto una variazione di stile rispetto a Urthona, un cambio di impostazione nelle composizioni che risulta essere una logica evoluzione ed una interiore maturazione verso orizzonti più classici. Dietro a queste note, nel racconto, si cela il mistero delle 8 porte nere (da cui il titolo “Porta VIII”), esse contengono i misteri della conoscenza delle profondità dell’animo umano: emozioni, corpo, razionalità ed infine Madame La Mort, colei che riesce a sconfiggere ogni cosa. Nel booklet è possibile trovare i testi (in latino con traduzione in tedesco) con bellissime immagini di quadri ottocenteschi. Un CD da acquistare obbligatoriamente e da ascoltare tutto d’un fiato e, per chi ne avesse la possibilità, in perfetta tranquillità. (Raffaello) Storm: Nordavind (CD - Moonfog). L’attesissimo progetto che unisce membri di Satyricon - Darkthrone e The Third and the Mortal finalmente prende forma: Nordavind (vento del Nord), orgoglio di essere norvegesi (per me una delle nazioni più belle, superata solo dall’Islanda), vento del nord che già spira nell’introduzione di “Innferd”, sono canzoni tradizionali rifatte con lo stile black ma non esagerato, vicino molto più ai Satyricon che ai Darkthrone. Posso solo rimproverare loro un pochino di monotonia in alcuni brani, ma ci sono l'ottima “Langt bortilia”, la quasi recitata “Nagellstev” e poi c’è la voce di Karl Rueslatten, che già aveva estasiato con i due CD dei The Third and the Mortal, che qui si esibisce senza accompagnamento in “Lokk”. Chiudono l’epica “Noregsgard” e la triste strumentale “Utferd”. (Abdul Alhazred). Substance of Dreams: The Fall of Laura (mini-CD - Nyctalopia). Ho sentito per la prima volta i Substance of Dreams su un 7” allegato alla rivista Gothic e mi ero fatto l’idea che fossero un gruppo di dark-wave eterea. Immaginatevi la mia sorpresa all’ascolto di questo mini-CD che si apre con due potenti brani gothic-rock in stile “tardo-Sisters”/Fields of the Nephilim. Negli altri tre pezzi il ritmo viene rallentato per dar vita ad atmosfere oscure ed affascinanti. E proprio qui i Substance of Dreams ottengono i migliori risultati: “Psycho” e “The fall of Laura”, pur pagando un debito evidente ai Nephilim (ancora!) o ai Garden of Delight (ovvero gli epigoni più credibili del gruppo di Carl Mc Coy), rimangono immediatamente impresse nella mente di chi ascolta. “Dance of the children” è poi un degno strumentale posto a chiusura di questo piacevole, ma in fondo un po’ insipido disco. Alla prossima? (Christian Dex) Syria: Ozymandias of Egypt (CD - Derrière Rec.). Manco a dirlo, questo progetto Syria - one man band di Christian Dörge aperta a varie collaborazioni - proviene dalla Germania. Ma questa volta il lavoro è davvero bello: il punto di partenza è il gothic dei Sisters of Mercy (appare anche una cover di "Giving Ground" dei Sisterhood) ma mischiato in modo gradevolissimo ed originale a influenze di varie realtà storiche del mondo goth e soprattutto a sonorità etniche medio orientali (dall’altra parte il nome del gruppo prometteva bene in questo senso). Ne risulta un album che se da una parte gioca sul sicuro e sarà apprezzato dagli amanti del gothic sisteriano, dall’altra a volte riesce a stupire con soluzioni sonore più che piacevoli. Intediamoci, non un capolavoro ma un insieme di pezzi dignitosamente sopra la media. (Manfred) Thelema: The Vision and the Voice (CD - Musica Maxima Magnetica). E chi si aspettava dopo tutto questo tempo un nuovo disco dei Thelema? E il loro ritorno è veramente una gradita sorpresa. In The Vision and the Voice il gruppo si cimenta in un eclettico assemblaggio di stili, dalla wave, al punk, dal post-punk al crossover, dal rock alla techno con risultati spesso eccelsi. L’inizio del disco è grandioso: in fila i Thelema ci presentano due vere chicche, “The vision and the voice”, al cui ritmo è impossibile resistere, e “Dance of the witches”, suadente e sensuale con quel magico fraseggio di violino. I due momenti peggiori dell’album sono invece “Paradise unclean”, col suo basso dal vago sapore funk, e il brano techno, “My shout”, entrambi decisamente al di sotto della media dell’album. E’ doveroso citare invece “The glory of the hawk”, la gemma di The Vision ..., una ballata in stile folk-apocalittico accompagnata da un testo accattivante e dalla squisita musicalità. Cosa dire infine? Speriamo di non dover aspettare altri otto anni per ascoltare il seguito. (Christian Dex) Trom: Evil (CD - Shivadarshana). Un sentito ringraziamento va a quest'oscura etichetta olandese che ci ha dato modo con Evil (cioè Live al contrario, hehe!) di gustare, chiaramente solo in parte, la stupenda e potente atmosfera che il gruppo svizzero sa creare dal vivo. Chi ha assistito al loro tour recente con i Lucie Cries sa di cosa parlo: i Trom vi spingono in un vortice di suoni oscuri, eccitanti, mistici, taglienti. E' un caos controllato quello che creano sul palco, da cui traspare la loro padronanza tecnica unita ad un affiatamento invidiabile. Nel CD troverete tre pezzi dal primo demo, altri tre editi nel mini-CD Balmor e ancora tre gustosissimi inediti. I Trom si muovono a cavallo tra dark, punk, psychedelia e chissà cos’altro - per una volta possiamo usare la parola crossover senza storcere il naso -. Imperdibili per chi si identifica nelle categorie appena menzionate e per chi, come direbbero loro stessi, si sente un viaggiatore mistico. (Christian Dex) Venus Fly Trap: Luna Tide (CD - Spectre Rec.). Venus Fly Trap è uno dei tanti progetti del vulcanico Alex Novak (tra le altre cose ex-membro degli Attrition e attuale redattore della fanzine Bizarre). Luna Tide è un album inflenzato soprattutto da sonorità garage e psichedeliche, pregno di suoni potenti che fanno sfoggio di chitarrone distorte. Presi singolarmente i brani si lasciano ascoltare, seppur senza grandi emozioni, ma accostati tra loro nell’intero album lasciano trasparire un’eccessiva uniformità. Dalla media si elevano l’iniziale e divertente “19th incident” e “Urban sprawl pt. 1”, che

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comincia come una ballata per poi infiammarsi nel finale. Non male anche “Heretic”, un pezzo lento per sola voce e chitarra. Sinceramente però mi aspettavo di più. (Christian Dex) Wasteland: Days of the Apocalypse (CD - autoprodotto). L’ultima volta che ho visto i Wasteland è stato in occasione del loro concerto a Pisa come spalla ai The House of Usher. In quell’occasione questi cinque ragazzi di Torino, in tutta modestia e semplicità, hanno offerto un convincente ed eccitante concerto che ha riscosso apprezzamenti assai più calorosi di quello del gruppo principale della serata. Spero che con questo CD riescano a guadagnare i consensi che meritano anche fuori dei confini nazionali. In esso ci sono otto canzoni in puro stile Wasteland, di cui la metà inediti: si potrebbe obiettare che il suono è un po’ troppo legato agli schemi del dark classico ma va detto che il gruppo è capace di filtrare questi riferimenti con la propria visione, il proprio talento. E il risultato è decisamente positivo. E poi come resistere alla bellezza di “Apocalypse” o di “The deceit”? Questo CD è da avere assolutamente: non ve ne pentirete. Per acquisto (ad un prezzo veramente basso!!!) e contatti: Stefano Pistone, via Clemente 1, 10143 Torino, tel. 011/4375536. (Christian Dex)

Demotapes Aa Vv: Reaping Time - A tribute to Death in June (Psychotic release). Vi assicuro che non esagero dicendo che questa è una delle migliori compilation uscite da tanto tempo a questa parte. Un vero must per chi ama i Death in June - chiaramente - e la musica sperimentale. I progetti che si muovono ai confini del circuito industriale sono infatti qui la maggioranza, e fra questi ricordo Gerstein, Runes Order, Futhark, Tombstone, Nobody (stupenda la loro versione di “The Wall of Sacrifice”) e Teatro Satanico. Non manca comunque qualche gruppo della scena dark più “tradizionale”, come i Dawn Fades, che ripropongono “Fields of Rape” in una magnifica e potente versione post-punk, o gli Ermeneuma. L’unico cruccio è che questa compilation non sia stata pubblicata su CD: chissà se in futuro ... Per acquisto (£10.000 s.p.i.): Psychotic Release, c/o E. Lago, via Meianiga 43, 35013 Cittadella (PD). (Christian Dex) Arkham Asylum: Scarred Pearls (Energeia). La prima parola che esce dalla bocca del cantante Mark è “darkness”, una parola chiave per le sei canzoni contenute in questo demo: gli italiani Arkham Asylum ci propongono un gothic-rock che ripercorre stilisticamente e semanticamente tutta la sua evoluzione dai primi anni 80 ad oggi. Si sentono, infatti, le non poco rilevanti influenze di famosi gruppi nero-vestiti come Christian Death, i primi Cure, Virgin Prunes, And Also the Trees, etc... I testi esprimono angoscia, agonia, disperazione, delusione; i pezzi sono ben suonati e, per fortuna, tendono a non imitare del tutto gli stili dei gruppi appena citati, tentando di proporre qualcosa di nuovo che a tratti sembra emergere, specialmente nel secondo lato, più aggressivo e più favorevolmente ispirato. Per acquisto demo: Energeia, c/o Davide Morgera, via Manzoni 9, 80019 Qualiano (NA). (Raffaello) Congrès de Vienne: Le Menuet des Ombres. Ancora un gioiello dalla terra d’oltralpe. I Congrès de Vienne riprendono il gusto tutto francese per la creazione di eleganti e malinconiche atmosfere cold. E’ un demo costruito per sottrazione di suoni: solo un sintetizzatore e un basso restano ad accompagnare la voce che recita anziché cantare. Con pochi semplici ingredienti, ma tanto gusto e talento il gruppo ha composto queste undici canzoni, undici frammenti di uno specchio oscuro e profondo. Romantico, austero, decadente oppure cold, post-punk: come possono queste etichette descrivere compiutamente un’opera da ascoltare ad ogni costo? Imperdibile. Per contatti: S. Dusson, 99 rue de la Richelandière, 44100 Saint-Etienne, Francia. (Christian Dex) Desire: Miss Crypt (Psychotic Release). Non so se l’Immalee responsabile di questo progetto sia sempre Emanuele Lago in uno dei suoi ineffabili travestimenti: se è così consiglierei al buon Emanuele di dare un freno alla sua iperproduttività. Questo demo è infatti un passo falso, un lavoro che dà l’impressione di essere stato registrato senza un obiettivo in mente. C’è troppa carne al fuoco in queste canzoni: molteplici sono i cambi di stile, di tempo, di rumori sullo sfondo ed è forte l’impressione di ascoltare un assemblaggio casuale di suoni. Miss Crypt è un minestrone di atmosfere ambientindustriali, ossessivi ritmi techno, “cut-up” sonoro, ma il risultato è alquanto insipido. Fortunatamente dalla Psychotic Release esce anche materiale di tutt’altro livello. Provaci ancora Immalee! Per contatti: Psychotic Release, c/o E. Lago, via Meianiga 43, 35013 Cittadella (PD). (Christian Dex) Diathriba: Controvoglia. Primo “vero” lavoro per questa band emiliana, dopo un demotape realizzato amatorialmente con il nome Lidia (vedi VS 5). Immaginate di mescolare gli U2 di War, i Litfiba di 3, qualche canzone degli Alarm, l’epicità degli Heroes del Silencio (per carità non scappate: ben altro è il livello dei Diathriba!) con un’energia ed un entusiasmo assolutamente contagiosi. Controvoglia è un lavoro realizzato in modo estremamente professionale: ben suonato, ottimamente registrato e prodotto, e non ultimo presentato con un’elegante copertina stampata. Veramente bella è la voce di Andrea a cui facciamo un plauso per la sua scelta di cantare in italiano, scelta che, visto il genere dei Diathriba, si rivela particolarmente azzeccata - quasi obbligata, invero ...-. Qualche brano l’avrei preferito un po’ più corto (“Estemporanea” e “Zed” il cui coro finale è però stupendo): “Rex Mundi” è poi forse un po’ troppo lagnosa. Ma evito di essere troppo pignolo e promuovo con lode e abbraccio accademico i Diathriba. Con la speranza di poterli sottoporre presto all’”esame” del concerto dal vivo. Per contatti: Davide Borghi, c.so Martiri 97, 41013 Castelfranco E. (MO). (Christian Dex) Drama of the Spheres: A Dead End. Dicesi Drama of the Spheres: “gruppo francese il cui demo A Dead End risulta influenzato fortemente dai primi Christian Death e dalla scena britannica degli anni ‘80 (Bauhaus, Sex Gang Children e Virgin Prunes in primis)”. Fatta eccezione per un paio di canzoni maggiormente ispirate il resto non si erge da un’anonima media. Senza infamia e senza lode. Per contatti: c/o Jérome Schneider, 33 reu des Allemands, 57000 Metz, Francia. (Christian Dex) Eclisse Liliputh. Che Fulvio dei Madre del Vizio abbia segretamente contattato dei membri di gothic bands storiche come (ad esempio) i Carillon del Dolore per formare una band chiamata Eclisse? Perché mi è sorto questo dubbio? Dopo che avrete ascoltato Liliputh, capirete... I pezzi che compongono questo demo hanno una strana particolarità: si avvertono in loro le palesi influenze (tecnicamente ottime) del gruppo, che, per una strana malia, riesce ad amalgamarle in modo tale da far risultare a loro modo originali e di piacevole ascolto “L’Elfo”, “Mari di fuoco”, “Jana”, “Castello di Ghiaccio”,

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“Metamorfosi I-II-III” cioè i pezzi che compongono questo demo. Per contatti: Michele Fiori, Via Petrarca 22, 00185 Roma (Natalie C.) Endaymynion: Sonnets of Inquietude. Si tratta del demo di debutto per questa valida band veneta, contenente quattro ottimi brani di symphonic-death-doom ben suonato e non privo di spunti interessanti che, nonostante una registrazione non impeccabile, ma è particolare trascurabile, ben evidenziano le doti dei componenti il gruppo (il che fa ben presagire per il futuro di questi ragazzi). Gli Endaymynion (“Foresta di luce”, nella lingua dei nostri padri Celti) rappresentano senz’altro una piacevole sorpresa, anche perché capaci di creare armonie senz’altro originali, non esenti inoltre da interessanti influenze spesso estranee al metal (non a caso citano anche, fra le fonti d’ispirazione, i sublimi Dead Can Dance e gli Ordo Equitum Solis). Davvero brava la cantante, Valentina, e citarla è d’obbligo, visto che i di lei celestiali vocalizzi ci donano attimi di pace nel mare magno di oscurità e di dolore nel quale gli Endaymynion con le loro cupe sonorità ci precipitano... Non il “solito” gruppo doom, quindi, bensì un insieme capace di evolversi, e di ciò ne è chiaro indizio il brano “Dicathedral Shimmering”, che verrà alla luce nell’ambito di una compilation di gruppi death-doom italici di prossima pubblicazione. Per contatti e acquisto demo £. 6.000 (s.p.i.) a Marzona Giuliano Via Altinia 123/G, 33030 Favaro Veneto (VE). (Hadrianus) Ermeneuma/Tombstone: split-tape (Psychotic Release). Si tratta di una raccolta di brani dei due progetti più interessanti della tape label Psychotic Release. Ermeneuma e Tombstone sono qui impegnati in cinque canzoni ciascuno, la maggior parte delle quali era già stata pubblicata in precedenti demo. Lo spirito della letteratura gotica con tutti i suoi più famosi “topoi” (castelli, cripte, fantasmi, ...) è l’ispirazione principale di questo lavoro nei testi, titoli dei brani e chiaramente nella musica. Gli Ermeneuma propongono il loro ormai noto suono ultra-gotico, un po’ di maniera forse ma divertente ed efficace. Tombstone evoca inquietanti atmosfere di gusto ambient accanto a sperimentazioni con ritmi ossessivi e frammenti di registrazioni rubate da qualche film. Qualche pecca tecnica rivela le origini casalinghe delle registrazioni: a quando un lavoro prodotto e registrato professionalmente? Discografici fatevi avanti! Per contatti: Psychotic Release, vedi Desire. (Christian Dex) Evidence: From the Heart’s Grave.. Questo demo di 12 pezzi, inciso nel 1992, è servito da sfondo sonoro ad un progetto artistico denominato “Heart’s Grave Opera”; qui gli Evidence hanno fatto molto uso di tastiere per creare un’atmosfera irreale, una allucinazione che, dall’inizio alla fine, è accompagnata da sonorità soft-eteree e da sprazzi post-punk. Infatti i loro suoni prendono spunto da fonti diverse, in particolare dalla new wave più tenebrosa e da una musica eterea che può avvicinarsi allo stile di “Blood” dei This Mortal Coil, mentre il cantato, che inizialmente è pacato, si evolve fino ad apparire sofferente e pieno di pathos, in modo tale che a volte ricorda il modo di cantare di Roger Waters ai tempi di “The Wall”. Per contatti: D. Clavreul, 15 rue Auguste Brizeux, 44000 Nantes, Francia. (Raffaello) The Humanoid Army: Flies (Psychotic Release). Dopo il demo d’esordio recensito sullo scorso numero eccoci di nuovo a parlare dell’Armata degli Umanoidi. I riferimenti musicali sono ancora da trovare nel primo pop inglese, in particolare, se dal nome non si era ancora capito, negli Human League. Un plauso va al gruppo per la capacità di creare leggere canzoni dalle melodie piacevoli, ma invero un po’ monotone e ripetitive. La voce maschile si alterna in modo accattivante al canto delle tre coriste anche se qualche volta queste parti vocali andrebbero curate meglio (soprattutto in “Flies”). Fra le canzoni migliori segnalo “Passing strangers”, “Jump up”, e soprattutto “The Humanoid Rap”, divertente ripresa/stravolgimento di “Ant rap” degli Adam and the Ants. Un lavoro piacevole ma una cura maggiore in fase compositiva e di arrangiamento non avrebbe fatto male. Per contatti: Psychotic Release, vedi Desire.(Christian Dex) Lacrima Necromanzia: Cells . Se Rozz Williams ricevesse 100.000 lire da ogni gruppo che imita i primi Christian Death a quest’ora sarebbe ricchissimo! I Lacrima Necromanzia sono certamente tra i gruppi che dovrebbero versare l’obolo. A parte il sarcasmo, Cells non è un brutto lavoro; tecnicamente questo gruppo francese è valido, l’unica vera pecca è l’assoluta mancanza di originalità. Speriamo in un secondo lavoro più maturo e personale. Contatti: Renaud Verger, 10 rue Chataigniers, 91210 Draveil, Francia (Natalie C.) Mental Oppression: omonimo. Tostissimo gruppo francese che segue le metalliche orme di gruppi come Ministry e Die Krupps: rispetto a questi più famosi nomi i Mental Oppression usano in misura minora l’elettronica pur avvalendosi di synth e della drum machine. La voce è talvolta filtrata da apparecchi che la trasformano in un rauco e disumano rantolo. I ritmi sono secchi e implacabili, le atmosfere oscure ed inquietanti. Si definiscono un melange di trash, gothic e industrial: dal vivo propongono uno spettacolo estremamente violento di sapore cyberpunk in cui affollano il palco di televisioni, impalcature e vecchi motori. Ma nel brano “Mooh’” si dimostrano anche capaci di creare canzoni dal sapore ambient-industriale e rituale. Un gruppo estremo ma veramente interessante: come loro stessi avvertono, statene lontani se siete persone nervose! Per contatti: Frequence Underground, B.P. 227 80002 Amiens Cedex, Francia. (Christian Dex) Mikror: Tales of mystery (Psychotic Release). Ancora una produzione Psychotic Release di stampo elettronico-sperimentale. Brani ambient si alternano a violente ed ossessive composizioni sintetiche. Tales of mystery potrebbe essere la colonna sonora di un video di ricerca: sicuramente preso così da solo è un lavoro piuttosto soporifero. Per registi d’arte e insonni. Per contatti: Psychotic Release, vedi Desire.(Christian Dex) Siderea Spleen: Influssi Lunari. L’anima creativa e carismatica di questo gruppo è Fabrizio Vastola, polistrumentista di lunga esperienza compositiva. Già bassista dei Cheeta Chrome Motherfuckers (gruppo di una decina di anni fa), è fondatore del progetto Siderea Spleen per il quale, nell’arco degli anni, ha collaborato con diversi altri musicisti; adesso pare abbia trovato una formazione più stabile che si è già esibita in alcuni concerti nella provincia di Livorno. Ha inciso in proprio questo master di quattro pezzi nel 1993, dei quali uno (“Dracula”) è del 1983 e pare sia per poco sfuggito al plagio di Nina Hagen. I suoni appartengono ad una new wave di vecchio stampo con sonorità che ricordano Minimal Compact, Clock DVA e Dali's Car, mentre il cantato in italiano permette anche qualche accostamento con le atmosfere che i primissimi Diaframma erano capaci di creare. La ritmica e le scelte sonore del primo pezzo (“Il Gufo”) fanno subito capire che siamo di fronte ad un lavoro per palati fini, in “Noia” ed in “Fatale Errore” domina più l’anima electro-wave, mentre in “Dracula” si riconosce una certa vena ispiratrice più orientata verso la dark-wave. Prossimamente usciranno altri loro pezzi in due raccolte; per contatti Fabrizio Vastola, Via S.Giovanni 14/A, 57100 Livorno. (Raffaello)

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Simon Dreams in Violet: Follia. ... ovvero una cassetta imperdibile per chi ama questo straordinario gruppo romano (e spero che siate in tanti ...). In essa troverete tre nuove canzoni: la stupenda “Lestat”, inclusa anche nella compilation coprodotta da Apathya, Neogothic e noi, più “Alive” e l’antiberlusconiana (concordiamo in pieno!) “Rise”, entrambi in versione live. Ci sono poi due remix di brani già editi e, udite udite, la “mitica” “Cambiamenti”, l’unico brano del gruppo cantato in italiano e suonato con un batterista vero. Non si tratta quindi propriamente del nuovo demo dei Simon: tuttavia Follia è senza dubbio un boccone succulento da gustare in attesa di un lavoro più sostanzioso (su CD?). Bon appetit! Per contatti: SDIV, c/o Rosario Rizzo, via dei Canarini 44, 00169 Roma (Christian Dex) Trees: Trees. Per non cadere nella banalità non dovrei parlare dei Cure come punto di riferimento per questi sei ragazzi partenopei, anche se ciò, in effetti, non mi risulta troppo facile a causa delle evidentissime affinità sia vocali che musicali con il gruppo di Robert Smith. I loro testi, ispirati alle poesie degli Indiani d’America, cercano di descrivere sensazioni di sogno e di allucinazione, legate a piccoli momenti o a particolari stati d’animo di riflessione, di analisi, di attesa, di malinconia. Sono ansiosi di esibirsi dal vivo anche a Nord della capitale, per cui chi fosse interessato contatti Paolo D’Addio, Via Metastasio 63, 80125 Napoli ; Tel. 081/ 621471 (Raffaello) Tumulus: Hymnes and Dirges. Veramente ispirato questo demo dei tedeschi Tumulus dedicato agli dei vichinghi. Un doom-gothic epico con influenze folk e dei Bathory di “Twilight of the Gods” con cori femminili, assoli, parti più acustiche. Canzoni come “A vikings last journey”, “Wodansjagd” (la famosa leggenda della caccia selvaggia) non si scordano facilmente. Meritano subito di registrare un CD. Pagan sound at its best. (Abdul Alhazred) U-Boot XX Secolo (Soubrettes e macellai). Questi musici di Frossombrone hanno fatto un lavoro più che dignitoso con pezzi originali e ben suonati. Ciò che li contraddistingue è uno stile diverso dal solito, che richiama atmosfere da musica popolare, tra Officine Schzartz ed alcune canzoni dei CCCP di “Epica, etica, etnica e pathos”. In questi dieci pezzi la voce ricopre un ruolo determinante (anche se in alcuni può risultare un po’ monotona), tuttavia il cantato, in italiano ed in inglese, non risulta immediatamente comprensibile. La chitarra, il basso e gli altri strumenti sono una degna cornice: ad una batteria suonata in modo spesso “marziale” (citano appunto il “Tamburo di Latta”) è accostata una tastiera nostalgica che a volte diventa fisarmonica per rendere le canzoni ancora più malinconiche (come se ce ne fosse bisogno). Si crea così una musicalità del tutto particolare (interessante, secondo me) che rende difficile ogni altro paragone con gruppi più famosi. Per contatti Maurizio Giuseppucci Viale Repubblica 15, 61034 Fossombrone (PS) (Raffaello) Vidi Aquam: omonimo. Dall’area milanese nasce questo interessante progetto che fa capo a Nikita, fino ad ora più noto per la sua attività di dj. Intorno a lui si sono strette altre vecchie conoscenze dell’underground meneghino (Northgate, Stefano Saguatti) per dar vita ad un progetto che si muove nella zone di confine tra ambient oscura, new wave malata e sperimentazione. Il risultato è veramente notevole: questo demo consiste di sette minimali composizioni per synth ed effetti, evanescenti ed oniriche nella loro struttura come sogni alle prime luci dell’alba. “Stonemask” è quella dal ritmo più ossessivo e tagliente, “Stanze Vuote” ricorda alcuni momenti dei Camerata Mediolanense, “Good health” è un sinistro canto rituale. Il demo è corredato da un booklet molto bello composto da immagini e dai testi delle canzoni. Da avere. Per acquisto (£ 12.000 s.p.i.) e contatti: Nikita C. Panza, via Venezia 10, 20093 Cologno Monzese (MI). (Christian Dex) V.I.T.R.I.O.L.: # 1. Più un progetto di arte mediale che un vero e proprio demo musicale, questa cassetta si presenta confezionata in una scatola “elegante” (elegante per quanto lo possa essere una scatola, sia chiaro!) rossa e nera contenente un chiodo in omaggio (!). V.I.T.R.I.O.L. # 1 è un mini-concentrato di rumori soffusi e distorsioni elettroniche che si chiude con uno splendido ed esilarante intervento di un prete sul rock satanico (il tragico è che si tratta di una registrazione vera!). Che sia ritornato Fluxus? Per contatti: Devis G., PO Box 47, 36060 Spin (VI). (Christian Dex) Voilà l’Esprit: Dove Sei. Una manciata di ballate acustiche costituisce l’esordio dei Voilà l’Esprit: sono composizioni, volontariamente o meno, molto vicine alla tradizione della canzone leggera italiana “colta”, più affini a De André e Mango che alle apocalittiche creazioni dei Current 93. I testi, quasi tutti in italiano, riflettono una visione romantica e malinconica della vita, una “miltoniana” ribellione contro il Fato e Dio espressa con versi semplici ma efficaci. “The way to heaven” è fra le canzoni migliori di questa raccolta, con il suo delizioso sapore wave: bella è anche “Dove sei”, strutturata come una ballata popolare. Girando la cassetta ci sono diverse “bonus track” tra cui una canzone dalla forte impronta Current 93, con Rinaldo “Tibet” Branchesi alla voce, e un brano dark dai vaghi echi siouxsiani. Un esordio interessante anche se un tantino noioso. Per contatti: Cristiano Ballarini, via Leoncavallo 18, 60022 Castelfidardo (AN). (Christian Dex)

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Bibliotheca Lamiarum Aa. Vv. Guida ai più suggestivi ruderi di castelli del Friuli Venezia Giulia, Istituto Italiano dei Castelli, Sez. Friuli V.G. Edizioni della Laguna. Il Friuli V.G. è regione ricca di castelli, di vecchie ville e, soprattutto di ruderi, che testimoniano, con la loro silenziosa presenza, del glorioso e tempestoso passato della mia amata terra. Quest’opera vuole fungere da preziosa guida a tutti coloro che sono affascinati da questi “cari ammassi di pietrame” e vogliono farvi visita. Ne sono chiaramente descritti trenta, con indicazioni della loro esatta ubicazione e delle note storiche salienti. L’introduzione, curata dal Sig. Aldo Nicoletti, illustra gli scopi che questa guida si prefigge, guida che accompagna la mostra itinerante “Castelli allo stato di rudere”, ed i motivi che hanno portato alla sua pubblicazione. Come lo stesso Nicoletti ricorda, trattasi di ruderi siti in punti non facilmente raggiungibili, spesso nascosti dalla vegetazione cresciuta nel corso dei secoli, e proprio per questo “dimenticati”, anche perché restaurarli costituirebbe operazione non solo difficilissima e, spesso, impossibile, ma soprattutto onerosissima dal punto di vista finanziario. Accedervi, quindi, comporta spesso fatica, ma, ve lo assicuro, avendone visitati personalmente diversi, “espugnarli” è esperienza impagabile. Data la loro ubicazione in punti strategici e, quindi, “panoramici”, un solo sguardo al territorio circostante, magari dall’alto di una torre diroccata, come una sentinella posta a guardia del maniero, vi ripagherà senz’altro dello sforzo compiuto. La guida è completata da un breve elenco di ruderi “minori” e soprattutto, particolare questo che ho gradito moltissimo, da alcune leggende sorte nel tempo che vedono quali protagonisti proprio alcuni dei castelli citati, un tempo dimostrazione di potenza dei vari signorotti locali ed ora tranquilli, ameni luoghi ove riposa la Storia. E tocca a noi, alla nostra sensibilità, risvegliarla, abbellendola di magnifiche immagini di tornei e di fatti d’arme ... Un castello diroccato inoltre, è un luogo gotico per eccellenza. Provate a visitarne qualcuno, di notte, con la luna alta nel cielo ad indicarvi il cammino ...(Hadrianus) San Bernardo, a cura di Mario Polia: L’elogio della nuova cavalleria , Il Cerchio £.18.000. Il cavaliere di Cristo Ugo di Payen decise di chiedere aiuto all’Abate di Chiaravalle, Bernardo, quando c’era da impartire una sicurezza ai Templari, i monaci-sacerdoti. Ma quale sicurezza, se non quella di rassicurare che nei combattimenti che avessero sostenuto sarebbero morti gli infedeli per mano loro e non avrebbero ricevuto un castigo divino per aver oltraggiato uno dei comandamenti più importanti: non uccidere? Adesso è di gran moda parlare dei Templari. Qua e là si formano sette “esoteriche”, strane associazioni, improvvisi “illuminati” che anziché stare tutto il giorno in ginocchio a ringraziare Dio per il dono di spirito, sussurrano, si mostrano, convincono. No, i Templari non torneranno più. Almeno quelli armati con corazze e mantelli. I guerrieri del Tempio, la Milizia di Cristo, i custodi del Graal non combatterono solo una battaglia fisica, ma anche, e soprattutto, metafisica. Era una battaglia spirituale, piena di insidie e per certi versi molto più “semplice” da attuare. In fondo, oltre ai digiuni, alla castità, alla devozione completa prima al Figlio, poi al Padre, essi avevano di fronte un nemico fisico, in carne ed ossa, cattivo e superbo. Oggi chi vorrebbe affrontare una battaglia per una giusta causa come la loro, certo non potrebbe armarsi di mitra o di pistola e combattere contro tutti gli “infedeli” che si trovino in giro. Tuttavia questo non deve far pensare che la loro fosse una battaglia meno eroica, anzi. Quanti di noi sarebbero disposti, oggi, a digiunare solo per un giorno per un ideale? Pochi, pochissimi, o, forse, nessuno. Eppure loro, i cavalieri di Cristo, digiunavano per giorni e notti; Vivevano da poveri, anche se in fondo erano ricchissimi e lo si dimostra dalle stupende e misteriose cattedrali che ci hanno lasciato. Furono assassinati per futili motivi economici e di prestigio da Filippo il Bello, appoggiato anche dal Papa dell’epoca. Eppure le loro gesta restano eterne, come è eterno il nome di Dio, l’unico scopo per cui loro rischiavano la vita. Se morivano avevano il Regno dei Cieli; Se ne uscivano vivi, conquistavano anche il regno della Terra. E sembra proprio che così sia stato. (Luigi Manzo) M. Bunson: The Vampire Encyclopedia, Crown Trade Paperback New York $ 16. Non so se questo libro esiste in traduzione italiana, comunque per gli amanti di leggende e tradizioni vampiriche è da non perdere. Come dice il titolo è un’enciclopedia o meglio un dizionario in ordine alfabetico, partendo da “Abruzzi” (per l’autore è la più vampirica regione italiana!) fino a “zombie”. C’è tutto: dalle leggende alle credenze popolari, dai film ai libri con interessantissimi specchietti quali: “Tutti i metodi per distruggere un vampiro”, “Come impedire che un defunto possa risorgere come nonmorto”, “I segni che fanno sì che si riconosca un vampiro anche prima che possa ritornare”, ed è citato un incredibile numero di metodi più o meno conosciuti. Poi ci sono le maggiori poesie che hanno avuto come tema i non-morti ed infine una grande bibliografia e un elenco di clubs ed organizzazioni. Qualche illustrazione in più però non avrebbe guastato il libro che comunque è da leggere sicuramente. (Abdhul Alhazred) G. De Turris - S. Fusco: Il simbolismo della spada , il Cerchio £.10.000. Il saggio nasce da accuse ben precise che vennero rivolte agli autori tempi addietro: quello di utilizzare precisi spunti per stravolgere significati, o peggio, modificarli secondo le proprie volontà. Eppure molti di questi critici non riconoscono neppure i profondi insegnamenti arcaici che resistono negli anni, e vengono trasmessi prima sotto forma di Miti, poi di favole, oggi in racconti. Complicati processi alchemici si ritrovano persino nella favola di Biancaneve e i sette nani, ma non per questo significa che siamo noi che utilizziamo i punti o le virgole o i concetti per sottometterli alla nostra volontà d’interpretazione. Sono loro, i simboli, che navigano nel tempo e ci rincorrono per spiegarci, a chi veramente lo vuole e ne ha la capacità, la loro origine archetipa, primordiale, quando erano solo delle idee pure e semplici in conformità alla stessa Creazione di essi. Il tema di questo libricino è la spada. Possente e pesante può essere tenuto in mano solo da chi ha veramente la forza (la volontà) di manovrarla. Per questo Re Artù fu capace di estrarre l’Excalibur dalla pietra dove era imprigionata: egli era un re predestinato, ma questo non vuol dire che chi nasce povero sia destinato a vivere da pezzente. E’ la comparsa di Galad, giovane che viveva in un bosco e della cavalleria non ne sapeva nulla, ce lo dimostra. Galad diventerà colui; l’eletto, che riuscirà a ritrovare il Graal e a guarire Re Artù. Il mito della spada lo si trova anche in altri romanzi: nell’Orlando furioso, il paladino Orlando, prima di morire non vuole cedere la spada agli infedeli, spada che fu di Ettore, spada che rifiuta di spezzarsi seppure venga scagliata con violenza contro una roccia. La spada è anche simbolo di una discesa agli inferi, di una volontà di conquista per affrontare una volta per tutte il nemico, sia esso sotto forma di mussulmano, che sotto forma, ancora più mostruosa e temibile di Draco Magnus, l’unico governatore della Luce Astrale che non permette a nessuno, né vivo né morto, di penetrare nel Castello ai di sopra delle acque. Ci può riuscire solamente colui che si sia reso prode nelle parole e nei fatti. E che abbia una spada, naturalmente. (Luigi Manzo)

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Lucio Fulci: Miei mostri adorati; racconti e scritti di cinema, Pendragon £. 17000. Nuovo libro per uno dei grandi maestri del cinema italiano. Si tratta di sette racconti due dei quali (Gourmet e In assenza di Dio) già pubblicati nel precedente Le Lune Nere, uno (Eccesso di Fede) pubblicato su un vecchio numero dell’Eternauta e gli altri quattro inediti. Fra questi ultimi, tutti di elevata qualità, capolavori di agghiacciante cinismo sono Vocazione (in cui un criminale nazista diviene, mostruosamente e beffardamente, un simbolo di solidarietà ed umanità) e soprattutto il bellissimo Vangelo apocrifo, terribile ipotesi su Gesù. Importantissimi sono poi, oltre i racconti, gli scritti di cinema: Totò, Welles, Lee, Cushing, Malaparte, Leone, Fisher, questi sono alcuni dei nomi con cui Fulci nella sua lunga (e speriamo altrettanto lunga) carriera ha avuto a che fare. Basta per capire dove sta l’autorità in fatto di cinema? In attesa del prossimo film del Maestro (il remake della Maschera di cera, prodotto da Argento...). (Manfred) Tanith Lee: La vampira di Marte, Il fantastico economico classico, Gruppo Newton £. 1000. Autrice acclamata di fantascienza e fantasy, Tanith Lee in questo libro affronta delle tematiche più propriamente horror, cercando di amalgamarle con le precedenti, a lei più consone. Il risultato è contrastante: nella prima parte del racconto il tema vampirico non decolla, presentandosi come un mero pretesto ad uno stile narrativo prettamente di gusto fantascientifico, ma nel finale trova il ritmo giusto e la potenza evocativa adeguata a costruire una bella fiaba oscura, fatta di amore e di morte. (Mircalla) Gaston Leroux: Il mistero della camera gialla , Il giallo economico classico, Gruppo Newton £. 1500. Vi dirò subito che non sono certo un’appassionata di gialli, ma il nome dell’autore di questo racconto ha inevitabilmente attirato la mia attenzione... Si tratta infatti del celebre Leroux, autore di “Il fantasma dell’opera”, capolavoro gotico di inizio secolo di cui sono state ricavate delle magnifiche versioni cinematografiche. Nella sua carriera di scrittore egli è però conosciuto soprattutto per i brillanti romanzi polizieschi, come questo apparso nel 1908. E la mia curiosità è davvero stata premiata: infatti “Il mistero della casa gialla”, pur trattandosi di una storia più che altro di intrigo, di false tracce e di intellettualistici enigmi, non disdegna certo i momenti “neri”, fatti di inquietanti assassini e inspiegabili apparizioni soprannaturali. Solo alla fine si riesce a venire a capo di questo ingarbugliato intreccio che quanto a “suspance” non è certo da meno della Radcliffe! (Mircalla) Gaston Leroux: Storie Macabre, Tascabili Economici Newton £. 1000. Sempre dello stesso autore è stata recentemente edita una raccolta di racconti brevi di carattere nero e fantastico, ancora meno conosciuti dei suoi romanzi. Sono stati scritti intorno agli anni ‘20, nel periodo di maggiore popolarità di Leroux e sono tutti all’altezza se non addirittura superiori alle sue opere maggiori. In essi si riscontrano ancora una volta l’amore dello scrittore per il teatro del Grand Guignol, con la messa in scena di orrorifiche rappresentazioni in cui finzione e realtà spesso finiscono con il confondersi (La locanda del terrore, La donna con il collare di velluto e Il Museo delle cere) e il suo particolarissimo senso del macabro, sempre associato al gusto del mistero e dell’investigazione (Una storia terribile e Il Mistero dei quattro mariti). Assolutamente consigliati. (Mircalla) Arthur Machen: Oltre la soglia ,Tranchida Editori £. 10000. Si tratta di una raccolta di racconti del celebre autore gallese per la prima volta pubblicati in Italia da questa piccola, ma validissima, casa editrice. Il libro in realtà è stato edito già nel luglio del 1993 ma io l’ho scoperto soltanto adesso e mi è sembrato opportuno riproporlo. Racchiude infatti opere giovanili di Machen, addirittura il suo primo racconto del 1914 che lo portò ad un rapido ma fuggitivo successo, dal titolo Gli arcieri e i due successivi, Il rifugio dei soldati e Il tamburo di Drake. A questi si aggiungono altri piccoli gioielli come I turaniani, in cui già compaiono accenni al “piccolo popolo”, La cerimonia, che si rifà al rituale celtico e alla credenza che gli alberi siano incarnazioni degli spiriti di antenati morti, Il roseto, che riprende il tema dell’amor cortese e il simbolismo del Sacro Graal. Non si tratta ancora di storie che evocano la bellezza del terrore e della paura, come le sue più famose, ma piuttosto di eleganti quadretti ricchi di fascino e di inquietudine, di gusto mistico e visionario. (Mircalla) Gabriel Garcia Marquez: Dell’Amore e di altri demoni, Mondadori Editore, £. 25000. Grande successo di vendita quest’anno in tutte le librerie italiane, il nuovo romanzo di Marquez incanta per leggerezza narrativa e intensità emotiva. Lo scrittore si cala in un mondo fantastico ed oscuro per narrare la vicenda leggendaria della giovane Sierva Maria de Todos Los Angeles, marchesina dodicenne dalla lunga chioma, morta per le torture inflittele dalla Chiesa ed in seguito venerata come santa per i suoi miracoli dalle popolazioni caraibiche. E’ una storia di orrore e di folle superstizione, che porta la piccola a essere rinchiusa nelle buie segrete di un convento prima per sospetta rabbia e in seguito come posseduta dal demonio. E’ una storia di tormentata passione, che porta il suo giovane e integerrimo esorcista ad innamorarsi perdutamente di lei, dando sfogo ai sentimenti repressi fino a rinnegare il potere religioso e a firmare la sua inevitabile condanna a morte. E’ una storia bellissima e misteriosa, che oltrepassa ogni confine di spazio e di tempo e che non potrà non coinvolgervi completamente. (Mircalla)

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William Somerset Maugham: Il Mago, Biblioteca Economica Newton £. 2000. Questo libro è stato davvero una bellissima scoperta. Maugham, raffinato scrittore d’inizio secolo, trae ispirazione per il suo romanzo dall’incontro con un particolarissimo personaggio: il famoso occultista Aleister Crowley. Facendo perno su questa demoniaca figura egli costruisce una storia intricata e misteriosa, fatta di orrore e di “suspense”, condita di magia, esoterismo, ipnotismo. Gli amanti di Stoker non potranno non ritrovarvi più di una affinità con il celeberrimo “Dracula”, sia nella struttura dei personaggi che nell’attenzione ai meccanismi psicologici. Vera forza del male, il mago Oliver Haddo non è però un essere soprannaturale, un morto vivente, ma piuttosto un moderno Faust, un uomo che per sete di potenza e di conoscenza è disposto alle azioni più terribili, e che grazie alle sue arti magiche è in grado di rendere schiave le persone e anche di succhiare loro la vita... (Mircalla) Gaetano Mistretta: La notte dei morti, Il Ventaglio £. 16000. Diciamo subito che bisogna rispettare e rendere merito a chiunque cerchi di fare letteratura e cultura al di fuori dei circuiti ufficiali, però credo che chi produce cose pubbliche debba accettare di essere esposto (nel limite della correttezza) alle critiche. Dunque, che dire di questi dodici racconti? Certo le idee al Mistretta non mancano e a volte di un’efferatezza fuori dal comune, quello che mi pare difetti è il lavoro di lima, ciò che porta, una volta avuta l’idea a rielaborarla il più possibile fuori dai cliché: troppi nei racconti di Mistretta le nere bare, i cupi pensieri, le fitte e gelide piogge foriere di morte, gli amori malati, i cosmi (mi si passi il plurale) infiniti. Troppi sono anche i finali con la morale o le strizzate d’occhio al lettore. Forse è una questione di scelta, ma mi pare che il modo di scrivere del nostro autore si avvicini molto più alla letteratura pulp che non all’horror d’autore. (Manfred) Tim Powers: Il Re pescatore , Edizioni Nord £. 12.000. Anche Tim Powers affronta la saga dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma questa volta non compare né il meraviglioso Graal né Galad il perfetto. C’è invece Re Artù, reincarnato in un irlandese di nome Brian Duffy. Egli si trova a Venezia e qui fa la conoscenza con uno strano tipo di nome Aurelianus, che si rivela essere un potente pago legato ad Artù, ovvero Merlino. Brian Duffy che ancora non sa chi veramente rappresenti, viene assoldato dal mago ed impiegato come buttafuori in una locanda viennese. Il viaggio che affronta, i boschi, le peripezie, i mostri magici ed irreali che sorvegliano e lo difendono dai pericoli occulti, sembrano convincerlo che esiste un’entità, un Dio che lo sta conducendo in un dato luogo, per un motivo ben preciso. Quando Duffy arriva a Vienna conosce Werner, l’antipatico spillatore di birra. E conosce anche cosa veramente deve difendere in quella locanda: la birra. Non si tratta di birra qualsiasi, ma di Scura, miracolosa per certi versi, capace di risvegliare antichi ricordi anche nelle vite precedenti. Essa rappresenta l’anima stessa della città minacciata dall’esercito della scimitarra, della Luna, ovvero quei Turchi che guidati dal mago nero Ibrahim tentano di assediare Vienna in quel momento capitale di un impero solare, delle forze del Bene. Compare dalle acque, o meglio si solleva dalle acque la mitica Calad Bolg, la spada con cui il Re pescatore aveva combattuto le sue leggendarie battaglie. Ma se da una parte la guerra si combatte fisicamente, c’è un’altra guerra ben più pericolosa e velata: è quella spirituale. La magia bianca di mago Merlino, contro quella malefica di Ibrahim. Creature dell’inferno arrivano dai mondi astrali evocati dal turco, mentre Merlino cerca di controbattere con esseri alati capaci di uccidere in nome del Signore. Una curiosa partita a scacchi dove l’unica possibile soluzione sarebbe di far avanzare il Re oltre le pedine per dare forza agli assediati. Si tratta di una mossa pericolosa, fin troppo pericolosa. Ma la parola fine dipenderà dall’uso crudele della Sopraffacente Manovra di Didius, un’operazione magica scoperta da un mago romano all’incirca mille anni prima. Una mossa azzeccata se non fosse che per la sua evocazione è necessario il sacrificio di sangue di mille anime battezzate. Un tributo di sangue troppo alto, lo riconosce lo stesso Merlino. Eppure sembra proprio quella l’ultima soluzione, ma... Tim Powers ha saputo riportare correttamente l'ambiente tipico del Medioevo, con le sue leggende, i suoi eroi, i suoi alti valori legati alla figura della Saga dei Cavalieri di Re Artù. Tra l’altro Powers non è “nuovo” a queste imprese. Ha già pubblicato due piccoli gioielli di fantasy, Le porte di Anubis e Lamia (Fanucci editore) evocando viaggi nel tempo, epoche sinistramente oscure nelle quali tutto il disordine legato alla violenza era una curiosa bagarre in confronto a quello di cui noi siamo abituati oggi. (Luigi Manzo) Francesca Sanvitale: Tre favole dell’ansia e dell’ombra, il melangolo L. 12000. Si tratta della raccolta in volume per la prima volta di tre racconti di questa scrittrice, rispettivamente “La fanciulla e il vecchio”, “La bella principessa Rosalinda” e “La bambina” già editi tra il ‘78 e il ‘94 su riviste letterarie italiane e straniere. Sono storie belle e terrificanti, in cui l’incanto si mescola all’orrore, l’amore alla sofferenza. Come ci avverte l’autrice stessa nascono come fiabe allegre ma alla fine si trasformano inesorabilmente in favole di morti e di fantasmi. In esse il mondo reale convive con un suo doppio, fantastico e immaginifico, quasi un regno dell’oltretomba, abitato da streghe e da spettri, dove accadono le cose più strane ed è possibile che una bella fanciulla si trasformi in un gigantesco ragno, viva con un suo antenato morto da secoli o rifiuti gli uomini e si innamori di scimmie, orsi, gattopardi e avvoltoi. Che sia la risposta italiana alle fiabe oscure di Angela Carter? (Mircalla)

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Lanterna Magica Creature del Cielo (Heavenly Creatures, Nuova Zelanda 1994) di Peter Jackson con Melaine Lynskey, Kate Winslet, Sarah Peirse. Grandissimo! Peter Jackson, autore cult dello splatter estremo (Bad Taste, Splatters), ci dona uno dei film più straordinari degli ultimi anni, passando (col riconoscimento del Leone d’argento a Venezia 1994) al cinema, diciamo così, ufficiale e più nobile raccontandoci la storia d’amore fra due ragazzine (bravissime le due giovani protagoniste) che per poter vivere la loro relazione arrivano ad uccidere la madre di una di esse. Storia a parte (ispirata ad avvenimenti realmente accaduti e a pagine di diario di una delle protagoniste) lo straordinario del film sta nella inusitata grammatica espressiva che importa in una vicenda che horror non è i moduli del cinema estremo splatter, horror e gore: uso velocissimo della macchina da presa, virtuosismo dei movimenti, soggettive, effetti speciali duri e visionari, montaggio parossistico, ironia sarcastica, uso forte delle musiche, potenti effetti sonori. L’effetto è spiazzante in quanto il regista gioca proprio sul disattendere moduli e convezioni che in un cinema di genere hanno una precisa ragione d’essere, ma che fuori dal contesto del genere creano visionarietà e tensione pura (ad esempio la soggettiva che non indica la presenza di qualcuno, o i vertiginosi movimenti di macchina che non sottintendono la presenza di un qualche entità violenta e soprannaturale). Certo il risultato è talmente particolare ed estremo che ci si chiede cosa farà Jackson nel suo prossimo film, nondimeno indica in che direzione cercare una vera palestra di Cinema... (Manfred) Farinelli, voce regina (Farinelli, Italia/Belgio 1994) di Gérard Corbiau con Stefano Dionisi, Enrico Lo Verso, Omero Antonutti, Jeronen Krabbe. Avrebbe potuto essere un grande film perché gli ingredienti c’erano tutti: la vita di uno dei più grandi cantanti castrati della storia, la magia della musica barocca, una storia d’amore estremo quasi incestuoso fra fratelli, la spietata violenza dell’arte, un’epoca ed una ambientazione che avrebbero potuto dare adito a mille riflessioni... Invece, niente: Corbiau vanifica lo sforzi di costumisti, scenografi e tecnici del suono (la voce di Farinelli è stata ottenuta fondendo insieme le voci di un soprano e di un contro tenore) inciampando continuamente in banalità registiche e cali di tensione narrativa. Ed un Dionisi quasi perfetto, e qualche momento visivo abbastanza visionario sono troppo poco per due ore di film....(Manfred) Intervista con il vampiro (Interview with the Vampire, USA 1994) di Neil Jordan con Tom Cruise, Antonio Banderas, Brad Pitt, Kirsten Dust. Che cosa è riuscito a trarre Neil Jordan dal best seller di Anne Rice? Semplice: un lavoro che trova uniti tutti i pregi e i difetti del cinema di Jordan e della scrittura della Rice (che firma, purtroppo, anche la sceneggiatura). Il film risulta così visivamente sontuoso e barocco, con alcuni momenti molto alti (come tutta la sequenza del teatro, in cui il grande Dante Ferretti ha dato il suo meglio) ad alcuni scivoloni di gusto (la scena in cui Cruise beve il sangue dal topo è involontariamente comica, ed il finale è irritante tutto americano com’è). D’altra parte Jordan ci ha abituati a questi alti e bassi nel corso di uno stesso film, emblematico in questo senso è La moglie del soldato, e qui a dargli una mano c’è anche la piatta sceneggiatura della Rice. Gli attori ovviamente sono tutti bravi e tutti (sin troppo) belli, aiutati anche dagli splendidi costumi di Sandy Powell (Orlando), ma la vera sorpresa, non solo dal punto di vista attoriale, ma anche di intuizione registica, è il personaggio della piccola Claudia interpretato alla grande da Kirsten Dust, bambina dal fisique du role perfetto. (Manfred) La morte e la fanciulla (Death and the Maiden, USA 1995) di Roman Polanski con Sigourney Weaver, Stuart Wilson, Ben Kinsley. Polansky nella sua cinematografia ha sempre privilegiato la messa in scena di storie maledette. E quest’ultimo film, tratto da una pièce teatrale, non è certo da meno dei suoi predecessori in quanto a ferocia, spietatezza e perversione al limite del sadismo. Tutta la vicenda ruota intorno a tre personaggi: la vittima, il torturatore, il giudice. Due uomini e una donna chiusi in una casa isolata di campagna, in una notte di tempesta, senza luce elettrica, immersi nel buio claustrofobico delle proprie colpe, debolezze e sofferenze. Si instaura allora tra i partecipanti un gioco macabro e crudele, fatto di sfumature psicologiche, in cui la discesa nei meandri oscuri dell’animo umano è portata fino all’esasperazione, quasi alla follia. Un grande “noir”, in cui alla usuale bravura del regista si somma una incredibile intensità recitativa da parte dei protagonisti. (Mircalla) Il seme della follia (In the Mouth of Madness, USA 1994) di John Carpenter con Sam Neil, Charlton Heston, Julie Carmen. Carpenter torna alla grande in un film che può essere tranquillamente considerato uno dei suoi capolavori. Il grande horror politico cui il grande regista americano ci aveva abituati torna tutto in un lavoro insieme lovercraftiano e di critica sociale: John Trent (Sam Neil), detective privato, indaga per conto di una casa editrice sulla scomparsa di un popolarissimo scrittore horror (Stephen King?) i cui libri vendono milioni di copie. Nel corso dell’indagine Trent si imbatterà in una terrificante realtà parallela (tutta ispirata agli incubi di Lovercraft), ma soprattutto alla allucinante capacità dello scrittore di plasmare la realtà mentre ne scrive. Che la vita sia solo il riflesso della letteratura? Oppure no, nulla di tutto ciò che Trent pensa di vivere è vero? Questa l’ossatura della storia che procede con grande rigore ed eleganza e con inaudita forza espressiva - fra continue stilettate al business cinematografico e letterario americano - confermando Carpenter fra i grandissimi del cinema fantastico (e non solo). (Manfred) La signora Ammazzatutti (Serial Mom, USA, 1994) di John Waters con Katleen Turner. Dal maestro indiscusso del cinema “trash” non ci si poteva aspettare altro che un’opera estrema, blasfema e grottesca come questa. Il regista ci offre un’azzeccata parodia del tanto pompato cinema sui “serial-killer” degli ultimi anni, facendo diventare la sua protagonista, dolce e gentile casalinga di mezza età, uno spietato mostro che semina il terrore nella classica cittadina borghese del sogno americano anni ‘50. Animata da un desiderio di giustizia “politically correct” la candida mammina stermina senza pietà chiunque intralci la tranquillità della sua esistenza perfetta. E riuscirà sempre a farla franca, aiutata anche dai figli che, cresciuti a base di horror TV, non possono che riconoscere in lei la loro eroina... Nero e rosa, splatter e b-movie, cinema commerciale e underground, Waters si diverte come un matto a riciclare tutto con la sua solita caustica e sbeffeggiante ironia. (Mircalla) NOTA: Sul prossimo numero della rubrica “Lanterna Magica” ci sarà un dettagliato resoconto del XV Fantafestival romano e del Mysfest di Cattolica: chiunque volesse fare recensioni ai film sia in concorso che in informativa, o commenti generali può inviarceli. Saremo ben lieti di ospitarli. Sfondo di Antonio Biella 65


Voci dal Sottosuolo a cura di Mircalla

La sua decisione

Nero paesaggio d’un sogno/Catastrofe

Non voglio più vedere albe che annunciano ore cariche di dolore

Il sole più non sorge Su questa landa desolata D’arbusti rinsecchiti e stenti Quivi domina il gelo Quivi regna la Morte Il cupo buio eterno Non un raggio di luce Più illumina quest’esterminata distesa di nero pietrame Più non s’ode battito d’ala Né canto d’augello Non strisciar di serpe Né vagito d’infante Da millenni... Silenzio Immota disperazione Imponenti rovine Di secolari civiltà perdute Per sempre... Sarcofago dell’umanità. (Hadrianus)

Non voglio più aprire i miei occhi stanchi per versare altre lacrime Non permetterò più che i giorni crudeli rubino i miei sogni Preferisco andarmene prima di essere ancora illusa e poi tradita. (Natalie C.)

Tra le righe Hai mai pensato ai mille modi diversi con cui si può comunque dire la stessa cosa. A tutti i fiumi di parole che sono state spese per esprimere un disagio in fondo sempre uguale.

Il palazzo della memoria Il palazzo della memoria si costruisce da sé. Lo posso usare, e ogni volta che faccio qualcosa si riempie, vengono aggiunti dei particolari, vengono costruiti nuovi piani. Questo palazzo però è costruito sull’acqua e col passare del tempo lentamente affonda... I piani, sott’acqua, ci sono sempre, ma non riesco più a vederli, a usarli. Le zone inabissate sono quelle più vecchie, quelle che ho vissuto tanto tempo fa; qualcosa, nell’acqua riesco a intravedere, ma è tutto sbiadito, non colgo più i particolari. Nelle escursioni notturne, prima di addormentarmi, a volte trovo le chiavi di corridoi dimenticati, che per un attimo fanno rivivere spezzoni di vita

Hai mai ascoltato i messaggi indiretti nascosti tra le righe mascherati dal pudore di rivelare se stessi; il senso di inadeguatezza e l’estraneità che si prova verso ciò che ci circonda. (Natalie C.)

La situazione di Daniela Daniela ha un comportamento vecchio. Sarà dato dal fatto che sta così spesso con gente anziana... Tutti quei discorsi sulle malattie, le critiche e i pettegolezzi sui vicini, non la aiutano di certo. Tutti quei nervosismi scaricati in malo modo, dovrebbero invece essere convogliati in una decisione radicale. Eppure non riesce ad uscire dal suo mondo, chiuso, non da quattro mura, ma da cellule neurali che percorrono sempre le stesse vie. (Fabrizio Pucci)

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in pochi secondi. Queste cose, però, sono pura normalità. Per una volta nella vita, cerco di compiere un’impresa che molti direbbero impossibile: esco dall’ufficio della memoria. Voglio vederlo dall’esterno per cercare di capirne di più e verificare le mie supposizioni. Per questo non ebbi un gran stupore quando riuscii a leggere il nome del palazzo: anima. Tutto fu chiaro, ma la mia vita era già terminata da qualche minuto... (Fabrizio Pucci)

Gothic Due anime perdute - sole danzano al canto di un violino lacrimoso. Lei, vestita di rosso cupo volteggia, come una rosa al vento abbracciata al suo sposo. Moriranno ballando al suono di una marcia funebre moriranno amandosi nei loro eterni sorrisi macabri, di teschi distrutti dal pianto. (Erzsebet Bathory) (dedicata a Charles Baudelaire)

* Quando il cielo diede spazio alla notte la certezza lo diede al dubbio il pavido all’impavido il soffio del vento ad un suo sospiro il dolore dei vivi alla pace dei morti l’avversione verso gli altri all’odio ancestrale. Quando il giorno diede spazio alla notte la parte oscura della mia mente non diede spazio a niente. I miei incubi vissero in me ancora una notte ancora. I miei incubi si cibarono di me ancora una notte ancora. (Stefano Turchi)

* E la follia ebbe a decidere su ogni cosa anche sul mio sonno. Spronò la notte ad essere aguzzina imbrattò di sterco e fango la mia mente i miei sogni da ultimo rifugio diventaron primo tormento. (Stefano Turchi)

* La finestra spalancava braccia da Cristo crocefisso ad afferrare la luce... Io trascorsi momenti indecisi fra quell’oscurità e quel chiarore riflessi d’acqua e acqua ultime serpi in cerca di rifugio passo svelto - allontanamento dal ponte Anche tu non badare all’elemosinanda presso il portone negala fingi che sia parte del muro o qualche escrescenza da marciapiede è notte di plenilunio fuggi guida i tuoi passi oltre la ferrovia... Io resto all’attesa dell’ultimo crollo E l’alba incendiò una volta di più le strade cambiò i colori al viso della città evocando parole sospese in gioco di specchi larve d’uomini spinti a danzare ubriachi sui tetti... Gli alberghi presso la stazione piangono questa loro ultima estate in fratellanza con gli alberi scheletriti del parco dall’autostrada deserta si abbraccia il rigagnolo melmoso che un tempo fu fiume ed una parte delle rovine che rendono corona alla città Muco verde si arrampica su ogni palazzo ingloba silenzioso edera putrefatta

le colonne dei templi nella pausa dell’ultimo silenzio una campana dà il suo addio alla luce Qui la fine si chiama 67

Lo sfondo di questa pagina è di Antonio Biella


Racconti Cascelegy

Un racconto di Donna Crow estratto dal libro omonimo Ringraziamo caldamente la nostra amica Donna per averci concesso questo racconto. Cogliamo l'occasione per segnalarvi la splendida rivista di cui lei è curatrice, Erebus Rising, il cui scopo è quello di raccogliere fatti e testimonianze relativi all'esistenza dei vampiri. I suoi articoli, talvolta curati anche da studiosi dei vari campi dello scibile, mostrano prove o suggeriscono ipotesi volte a rafforzare la tesi avanzata dalla rivista; non mancano poi pagine culturali dedicate alla letteratura e alla musica (gotica, of course!). Chi volesse saperne di più scriva a Erebus Rising, 27 Little Green Lane, Farnham, Surrey, GU9 8TF, UK.

Era fredda: più fredda della pietra sotto di lei e del corpo che giaceva ancora più in basso (abbracciato almeno dal calore della madre Terra). Lacrime intrise di sangue scorrevano sulla tomba del suo amante. Tutto ciò che la abbracciava ora era il gelo dell’aria notturna e un concreto presentimento di Morte. Delicate erano le mani: lunghe, sottili ed eleganti affini alla radiante bellezza emanata da tutto il suo essere. Ma ora, le dita affusolate, le unghie delicatamente sagomate, erano lacere e sanguinanti a furia di graffiare la lapide sottostante: l’unico oggetto che sembrava separarla dal corpo esanime del suo amante. E il sangue scorreva dalle dita lese e dalla ferita aperta sul collo: il collo dove il suo perduto amato era solito eccitarla delicatamente col calore di baci appassionati: il collo su cui si era appena posato il bacio definitivo d’acciaio del coltello che ora giaceva vicino, scintillando alla luce solare della luna (il sole dell’oscurità). E mentre si sentiva venir meno cominciò a sognare; erano sogni cremisi e di un bianco accecante come il cielo che bilanciava il rosso dell’inferno. Mille milioni di angeli urlavano, piangevano e la imploravano di non gettar via così la sua vita: ma lei stava già sognando e vedeva l’amante morto, strappato dalle sue braccia senza alcuna santa pietà: il richiamo delle tenebre era Bozzetto di Edward Gorey per il dramma Dracula, 1973 tutto ciò che ora udiva. Poi sentì delle labbra accarezzarle il collo, la ferita; sognò che il suo amato fosse vicino, vivo, vibrante di passione. Pensò che questo era un dolce modo di morire (evocando i ricordi dell’amante. Essere in sua presenza). Sognò di sentire il respiro di lui sull’orecchio, ancora il bacio sulla gola; poi il suo abbraccio. Sorrideva, mentre immaginava che lui fosse veramente venuto ad incontrarla, rispondendo al suo richiamo. Contemporaneamente era conscia di stare scivolando nell’oscurità, svanendo nell’eternità. Sapeva che si sarebbe riunita presto all’amante. Nuovamente il respiro assente di lui sembrò sospirarle nell’orecchio mentre sprofondava sempre più lontana dal mondo cosciente. Quando sperava di esalare l’ultimo respiro percepì una fitta acuta e penetrante nel collo: il sogno dei baci del suo amante si trasformò in panico e cercò di sfuggire alla sofferenza. Ma stava morendo ed era troppo debole per muoversi; subito dopo il dolore si placò e tutto ciò che poté percepire era il suo battito, poi quello di due cuori, deboli in principio poi forti e fieri nel loro procedere all’unisono. C’era passione e desiderio in quest’abbraccio, in questo unisono. Sorrise pensando fra sé, per un attimo, che era arrivato, era arrivato il momento della morte e il suo amato l’aveva raggiunta ancora una volta, per guidarla in cielo, fino alle stelle. Poi, improvvisamente, la sublime bellezza del momento venne distrutta ed ella intravide la visione di milioni di angeli piangenti, piangenti per lei, per il suo amato perduto. Di nuovo si sentì spaventata e il battito dei due cuori sfumò in un unico suono, un debole mormorio, un sussulto; era il suo cuore, lei era ancora viva ed aveva paura; aveva di nuovo freddo. Ed era di nuovo sola. Troppo morta per pensare ma troppo viva per morire, ella giaceva lì; spaventata, confusa, infreddolita. Era così freddo ... Appena il vento notturno si alzò un improvviso tepore la invase; un calore che penetrò nella sua bocca, nel cuore, nell’anima. Un calore liquido, denso, ricco e pulsante, e il suo cuore ricominciò a bat68


tere; stavolta, pensò, doveva essere di certo l’amante che era giunto per accoglierla ... presto i suoi occhi si sarebbero aperti e avrebbero rivisto il suo bellissimo volto di ragazzo che le sorrideva con affetto. Sorprendentemente, in breve, le sue palpebre si mossero e i pensieri si risvegliarono, mentre il calore in bocca e nel cuore consumava il suo intero corpo, che era come una fornace, pieno di potenza, passione e vita. Aprì gli occhi; gli occhi che avrebbero rivisto il suo amante ... ma il suo amante era perduto, e ora anche lei lo era. Guardò e i suoi occhi incontrarono quelli di un uomo dall’indescrivibile bellezza e fascino; un uomo che non era il suo amato, in un posto che non era l’Elisio ma il cimitero in cui era venuta quella notte. Fissò il suo volto, così puro e candido da sembrare quello di un cherubino; ma gli occhi; gli occhi non erano innocenti; erano neri e cupi, impenetrabili. E la bocca; ...ah la bocca era soffice; e il sorriso era dolce ma appena lui dischiuse le labbra scoprì due canini di dimensioni spropositate. E lei ebbe di nuovo paura. Il cuore le batteva con forza: percepì il calore dentro a sé e il tepore dell’abbraccio della notte. Nel collo la ferita non c’era più; non era rimasto altro che una piccola increspatura di tessuto cicatrizzato. Capì di essere viva mentre fissava la figura che le stava innanzi e i sogni svanivano nella realtà; il suo amante venne dimenticato al momento; perduto di nuovo (sempre di più ...). Così guardò l’uomo, la sua bellezza, la sua grazia, i suoi denti. Cominciò a gridare. Gridò, come gli angeli avevano fatto per tentare di salvarla, ma le sue erano grida di rabbia, paura e solitudine. Improvvisamente si fermò e iniziò a piangere. Lacrime rosse le rigarono le guance, lacrime di sangue che la spaventarono. L’uomo la guardò sorridendo e cominciò a ridere gentilmente. Lei piangeva, lui rideva, ed entrambi si studiavano con curiosità. Ma presto si fermarono. Egli non disse una parola, fece solo un cenno con la mano, e lei ipnoticamente si alzò per seguirlo. Lasciandosi dietro la tomba del suo amante. Per sempre perduto.

Donna Crow (© Erebus Rising) (traduzione: Christian Dex)

Viaggio alle soglie del buio Un racconto di Mircalla Non saprei spiegare in che modo sia successo. Una debolezza sempre più profonda si è impossessata delle mie membra e la sensazione di soffocare ha preso man mano posto alla sofferenza rendendo il respiro affannoso e contratto. La fine si avvicinava lentamente ed il controllo della realtà, degli oggetti circostanti si affievoliva sempre più. Un senso di smarrimento, di perdita, è subentrato alla paura, come quando ci si trova in un luogo sconosciuto in attesa di un misterioso evento. Poi la vista si è fatta sempre più debole, i colori sempre più sfumati, finché una miriade di piccole luci ha iniziato a girare attorno, avanti e indietro, eseguendo lievi passi di danza. Infine il buio improvviso, il silenzio, il nulla. Rammento solo un attimo d’angoscia subito smorzato in una sensazione di pace, d’abbandono, di serena tranquillità. Non saprei dire quanto sia durato questo stato. Forse pochi minuti, forse un’eternità. Era come dormire un sonno senza sogni, senza pensieri, senza realtà. Era la morte, credo. Ma forse quella di ora è di nuovo vita? Immersa in un regno d’ombra, sono un’anima senza corpo e vago per la terra adempiendo al mio funesto destino di morte. Mi sono, per così dire, risvegliata in un universo al negativo, oscurato da un fitto velo; come Alice sono prigioniera di un mondo che sta dall’altra parte dello specchio. Vedo solo l’essenza delle cose, prive della 69

Carlos Schwabe, L'angelo della Morte 1909


loro materialità, fluttuanti nell’aria in un indistinto fulgore. Non ho più la capacità di percepire i colori, la mia è una realtà in bianco e nero; chiazze di luce opaca e sfumata a tratti prendono forma, suscitando nella mente ricordi ormai lontani. Mi aggiro in luoghi estranei, senza una meta precisa, attraverso giardini, case e palazzi; cammino lungo strade affollate e mi inoltro per boschi solitari senza che nessuno si accorga della mia presenza. Ma io percepisco l’esistenza del mio corpo avvolto in una lunga tunica scura, sento i capelli scompigliarsi per l’azione dei venti e la pelle a volte irrigidirsi per il freddo. Dunque in me sono rimaste delle sensazioni vitali, o forse sono solo delle illusioni, delle rievocazioni mentali di ciò che provavo un tempo? D’altra parte tutte le esigenze proprie ai comuni mortali mi sono ormai sconosciute: non ho più bisogno di bere o di mangiare, ancora meno di dormire; non sento più lo scorrere del tempo, non riesco a distinguere la notte dal giorno, i minuti dalle ore, i giorni dai mesi. Nel momento in cui faccio queste riflessioni potrebbero essere trascorsi molti anni ed io non sarei in grado di comprenderlo. Attorno a me la gente sta cambiando, i luoghi non sono più quelli della mia giovinezza, ancora presenti nel ricordo; tutto ciò che percepisco è sconosciuto, strano, ignoto come se appartenesse a una diversa realtà, eppure è forte la consapevolezza di essere molto lontana dal vero e che forse non sto facendo altro che aggirarmi lungo le strade del passato. E’ questo un dubbio che mi assilla, che mi fa stare male e di cui non riesco a liberarmi. Nel lungo girovagare in questo mondo desolato non ho ancora incontrato un’anima che mi assomigli, che stia vivendo una situazione simile alla mia. Potremmo scambiarci le nostre esperienze, le sensazioni, i dubbi e forse scoprire chi siamo e perché stiamo qui. Sono convinta di non essere l’unica in questo stato, ma alle volte la paura di una terribile solitudine mi getta nello sconforto più assoluto. Mi chiedo se questa mia esistenza sia quella definitiva, oppure solo una condizione momentanea di passaggio verso uno stadio superiore di realtà. A volte addirittura mi sembra di essere sprofondata in uno dei tanti incubi notturni vissuti un tempo, solo un po’ più lungo e profondo, dal quale non so se riuscirò mai a risvegliarmi. Spesso si fa luce la consapevolezza che questo triste destino non sia del tutto casuale, ma che si tratti di una punizione per le mie colpe e che ora io debba scontare questa pena prima di poter accedere alla mia sorte ultima e definitiva. Io che mal sopportai un tempo di essere in vita, che tanto agognai una veloce morte che mi liberasse da tutte le oscure sofferenze, ora sono costretta a vagare in un mondo che non appartiene né ai vivi né ai morti, anima senza corpo appesantita dal fardello dei ricordi, invisibile agli uomini ma non a me stessa. Porto ancora l’uggiosa solitudine degli amari giorni, quando in preda ad una depressione che non mi lasciava nemmeno la forza di respirare, preferivo allontanarmi dalla realtà quotidiana per affogare in un mare di sogni e fantasie disilluse. Ho odiato il mondo crudele che permette soltanto ai forti e agli arroganti di sopravvivere, mentre i deboli vengono inesorabilmente schiacciati senza pietà. Ed io ero la vittima designata, incapace di reagire, di mostrare le unghie, di vincere il terrore. La giovinezza è stata un tormento senza fine; nell’età in cui le fanciulle si dischiudono alla vita e scoprono i loro primi e più ardenti amori, io mi richiudevo come un riccio nel dolore, rinunciando ad ogni contatto esterno per paura che in qualche modo potesse portarmi solo sofferenza. Ho rifiutato la vita perché pensavo che fosse fonte di delusione e amarezza e ho desiderato morire per trovare quella pace che mi era sempre mancata. Non ho sentito dolore quando il veleno ha cominciato a fare effetto rendendo sempre più debole il mio corpo già smagrito da un lungo rifiuto del cibo; non ho provato nessun rimpianto per ciò che stavo lasciando, né affetto per le persone e le cose che mi erano più care. Solo tanta solitudine e il triste ricordo di lunghi inverni gelidi di sofferenza. Ma di tutto questo non resta che un vago e lontano ricordo, il patimento di quei giorni passati si è affievolito, anche se non è ancora del tutto scomparso. La malinconia non è più soffocante come prima, è diventata dolce ed aleggia attorno a me in un’aura di soffuso bagliore. Sprazzi dell’antico dolore ogni tanto si impossessano della mente e mi spingono a fuggire alla ricerca di un’impossibile salvezza. Vivo in un limbo che è il frutto di terrori antichi e dal quale non riuscirò ad uscire prima di aver cancellato completamente il ricordo di una esistenza che mi sono lasciata sfuggire tra le mani per troppa paura di non riuscire a viverla. Cimitero di Staglieno - Foto di Mircalla

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Il mio è uno sventurato destino ed io sento di essere diventata simile all’angelo della morte che, bardato a lutto, porta la cattiva novella agli uomini. Sono colei che apre le porte tra il regno dei vivi e quello dei defunti, ed accompagno il prescelto attraverso l’ultima grande prova della sua esistenza. Ululando nel buio preghiere di pianto e disperazione scorto il trapasso dei corpi che diverranno ossa e cenere; come l’antica banshee della leggenda posso diventare visibile agli occhi degli uomini solo negli ultimi giorni che precedono l’avvento della disgrazia. Io, Cassandra dei morti, annuncio la liberazione delle anime, ma vengo considerata portatrice di sventura per coloro che vivono ancora. Appaio come una giovane donna vestita di nero dai capelli scarmigliati che si aggira intorno alla futura vittima simile al falco sulla preda. In realtà sono solo un fantasma invisibile che abita una notte senza tempo, però tutti temono il mio arrivo, sinonimo di dolore e rimpianto. Sono un’anima non placata, condannata ad un terribile fato per le mie disgrazie terrene, ma nessuno conosce la verità della mia triste esistenza. Non di delitti mi sono macchiata né di ignobili azioni o pensieri, solo l’infelicità della mia condizione mi ha condotta a quel passo che più di ogni altro viola le sacre leggi dell’esistenza. Ho appagato il mio desiderio di morte ma ciò non ha portato fine alle sofferenze. Sono diventata un corvo nero, uccello psicopompo dell’antichità, e come guardiano dell’Ade vigilo in questo territorio di nessuno, al confine tra vita e morte, tra luce e buio, fintantoché il mio spirito non troverà il suo giusto e definitivo riposo.

Mircalla Annunci: segue dalla seconda di copertina

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