Prime Pagine, 11 Maggio 2013

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Oggi a Brescia il Caimano mobilita lapiazza contro i giudici. Dal Pd avvertono furibondi: “Chi è al governo non vada”. Per salvare la faccia ci vuole altro

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Sabato 11 maggio 2013 – Anno 5 – n° 128

€ 1,20 – Arretrati: € 2,00

Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230

Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009

CAOS PD: SI AFFIDA A EPIFANI E RISCHIA DI PERDERE A ROMA Tregua armata tra le correnti: segretario reggente l’ex leader Cgil che non fa ombra a nessuno. Civati: “Vince il vecchio, cerchiamo un altro candidato”. Intanto, nella Capitale, i sondaggi danno il sindaco Alemanno in rimonta su Ignazio Marino De Carolis, Fierro, Marra e Meletti » pag. 2 - 3 - 4

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UN PARTITO SENZA di Antonello

Caporale

a malattia del Partito democratico si L chiama autismo. L’ambizione di offrire un orizzonte unico a chi vi milita o soltanto

simpatizza pare destinata a perire sotto il peso dell’irresponsabilità della sua classe dirigente. Si ha l’impressione che la testa del partito non conosca il proprio corpo, non ne capisca più le necessità, le speranze, le domande, le urgenze. È come se avesse paura di ascoltare perché se lo facesse troverebbe avanti a sé un’altra idea e un altro Paese e altri bisogni e altri doveri e altri diritti. Questo partito, che oggi chiama Guglielmo Epifani a farsi largo tra le macerie e tenere in vita una casa senza più fondamenta, resta però ancora l’unica formazione che ha luoghi in cui dibattere, ritrovarsi. È l’unica sigla politica che in ogni capoluogo abbia un indirizzo, un portone, un campanello dove bussare e qualcuno che apra. Ha ragazzi preparati, capaci, vogliosi di contribuire alla fatica, desiderosi soltanto di essere ascoltati. È l’ascolto, l’integrazione tra vertice e base che non sembra possibile. Due mondi non comunicanti, realtà prossime ma differenti, visioni distinte, passioni lontane. Basta solo mettere piede in un circolo per annotare il patimento di questa nuova classe di afflitti, chiamati a difendere una bandiera che non riconoscono più, che non è più loro. Il grido di dolore che si leva in queste settimane arriva a Roma come suono lontano e forse persino ostile. Rubricato, al meglio, come un guaio passeggero di un partito che alla fine inghiotte ogni schifezza, qualunque atto immorale in ragione della realpolitik. Se le proteste saranno destinate alla irrilevanza – guarnizione colorata di un piatto già preparato in cucina – il Pd scolorirà piano piano, e ai suoi fianchi nasceranno movimenti che ne succhieranno ogni capacità attrattiva. Gli resterà in mano la foto di gruppo con Berlusconi e poco altro. C’è al fondo una questione seria di lealtà dei comportamenti e di limite alla democrazia delegata: un voto chiesto per il cambiamento quanto può essere reinterpretato e infine deviato verso un esecutivo della restaurazione? Questo dovrebbe essere il tema dell’assemblea di oggi. Ma la domanda – immolata sull’altare della necessità – resterà senza risposta.

Beppe Grillo Ansa

5 STELLE (E SPINE)

Grillo a Letta “È un golpe” E la grana dei soldi spacca M5S Liuzzi e Zanca » pag. 5

» I PROCESSI DI B. »

» IL GENERALE »

Gasparri: “Il governo? Tutto dipende dai giudici”

P2, Maletti: “Mi arrestano ora che il Divo non c’è più”

Il falco del Pdl oggi a Brescia e lunedì nuovamente a Milano: “Per solidarietà al nostro capo, con questa persecuzione addio Letta” d’Esposito » pag. 6

IL RACCONTO DI BUSI

Settimana di prova

Parla lo storico “nemico” di Andreotti nei Servizi: “Se mi fossi consegnato, al confine mi avrebbero mandato via a calci” Barbacetto e Sceresini » pag. 11

» COSE LORO

La strana telefonata tra lo studio Schifani e Riina Jr. Lillo » pag. 10

di Aldo Busi

LA CATTIVERIA

Morto Andreotti, Emilio Colombo è l’ultimo sopravvissuto tra i partecipanti all’Assemblea costituente. Costituzione compresa » www.spinoza.it

S

iccome mi piacevano le foto del giardino con fontana e statue a zonzo con libro aperto tra le mani.... ”: inizia così il racconto “omaggio” che Aldo Busi ha scritto per Il Fatto. » pag. 18 - 19

» ORCO DI CLEVELAND

Il vicino di casa nuovo incubo americano Cornwell » pag. 16

Fate schifo di Marco Travaglio

iccome non c’è limite alla vergogna, ieri il Coniglio Superiore della Magistratura, già S organo di autogoverno della medesima e ora manganello politico per mettere in riga i “divisivi” che disturbano l’inciucio, ha condannato alla “censura” il pm minorile di Milano Anna Maria Fiorillo. Ha insabbiato un’indagine? È andata a cena con un inquisito? È stata beccata al telefono con un politico che le chiedeva un favore? No, altrimenti l’avrebbero promossa: ha raccontato la verità sulla notte del 27 maggio 2010 alla Questura di Milano, quando Karima el Marough in arte Ruby, minorenne marocchina senza documenti né fissa dimora fu fermata per furto e trattenuta per accertamenti. Quella notte, per sua somma sfortuna, era di turno la Fiorillo che, per sua somma sfortuna, è un pm rigoroso che osserva la Costituzione, dunque non è malleabile né manovrabile. Al telefono con l’agente che ha fermato la ragazza, dice di identificarla e poi affidarla a una comunità di accoglienza, come prevede la legge. Mentre l’agente la identifica e cerca una comunità (ce n’erano parecchie con molti posti liberi), viene chiamato dal commissario capo Giorgia Iafrate, a sua volta chiamata dal capo di gabinetto Pietro Ostuni, a sua volta chiamato dal premier Berlusconi direttamente da Parigi. L’ordine è di “lasciar andare” subito la ragazza perché è “nipote di Mubarak” e si rischia l’incidente diplomatico con l’Egitto. Così la Questura informa la pm che Ruby è stata affidata a tale Nicole Minetti, “di professione Consigliere Ministeriale Regionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (supercazzola testuale). “Ciò – annoterà la Fiorillo nella sua relazione – suscitò in me notevoli perplessità che esternai con chiarezza, sottolineando in modo assertivo l’inopportunità di un affidamento a persona estranea alla famiglia senza l’intervento dei servizi sociali. Non ricordo di aver autorizzato l’affidamento della minore alla Minetti”. Cioè, spiegherà la pm, “ricordo di non averlo autorizzato”. Appena la cosa finisce sui giornali, il procuratore Bruti Liberati si precipita a difendere gli agenti con una nota molto curiale, anzi quirinalesca: “La fase conclusiva della procedura d’identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata correttamente”. Cioè anticipa l’esito di un’indagine in corso. Il Pdl esulta: visto? Il caso Ruby non esiste. Il ministro dell’Interno Maroni si presenta in Parlamento e mente spudoratamente: che Ruby fu affidata alla Minetti “sulla base delle indicazioni del magistrato”. La Fiorillo, sbugiardata dal bugiardo su tutti i giornali e tv senza che nessun superiore la intervenga, si difende da sola e dichiara: “Le parole del ministro che sembrano in accordo con quelle del procuratore non corrispondono alla mia diretta e personale conoscenza del caso. Non ho mai dato alcuna autorizzazione all’affido della minore“. Poi chiede al Csm di aprire una “pratica a tutela” non solo sua, ma della magistratura tutta, contro le menzogne del governo. Ma il Csm archivia la pratica in tutta fretta senza neppure ascoltarla: non sia mai che, con le sue verità “divisive”, turbi il clima di pacificazione nazionale. Al processo Ruby, forse per non smentire il procuratore, né l’accusa né la difesa chiedono di sentirla come teste. Provvede il Tribunale. Ma intanto il Pg della Cassazione Gianfranco Ciani, lo stesso che convocò il procuratore nazionale Grasso su richiesta di Napolitano e Mancino per far avocare l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, avvia contro di lei l’azione disciplinare per aver “violato il dovere di riserbo”. Cioè per aver osato dire la verità. Ieri infatti il Pg Betta Cesqui che sosteneva l’accusa e ha chiesto la sua condanna non ha potuto esimersi dal dire che “la verità sulla condotta del magistrato è stata stabilita ed è stata data piena ragione alla sua ricostruzione dei fatti”. Dunque il plotone di esecuzione del Csm l’ha punita con la censura. Guai a chi dice la verità, in questo paese di merda.


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