Una normalissima storia
Stefano Guglielmo Una normalissima storia
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PRESENTAZIONE Non so bene da dove cominciare. Insomma non è che io sia così speciale da rimanere dentro queste pagine, ma dato che oramai sono in ballo e che state leggendo, fatemi finire e solo dopo potrete farvi un'idea generale. Sono alquanto indeciso se acquistare un armadio da quattro soldi o una cabina – montaggio escluso - in finto tessuto. A dire il vero anche l'armadio da quattro soldi è da montare. Dubbio amletico che si risolve presto in favore dell'armadio. Andrà a fare un po' di ordine nel mio nuovo appartamento, in camera da letto. O meglio: andrà a nascondere un po' di indumenti sparsi in una stanza nella quale sono abbastanza sicuro sia stato montato un letto. Non sono il classico single disordinato; piuttosto sono un tipico single al quale la normale concezione di ordine è sfuggita. D'altronde Einstein stesso disse che l'ordine è la virtù dei mediocri. Se lo ha detto un tale genio penso lo farò incidere sulla mia lapide. No, penso lo faranno incidere sulla mia lapide. Prendo accordi con la ditta che mi recapiterà l' armadio. Dovrò aspettare qualche giorno, il che potrebbe darmi l'opportunità per creare uno spazio nella stanza scelta per il nuovo mobile. Oggi mi trovo costretto a svolgere delle commissioni che
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sono andate accumulatesi in questo mese, vale a dire cambi di indirizzo, volture e via discorrendo. Mi tiene compagnia un amico che si è proposto di farmi da spalla questa mattina, anche se ogni cinque minuti controlla il cellulare, digita qualcosa e sorride: il classico sorriso idiota dell'innamorato. Tra qualche mese quel sorriso si trasformerà in una maschera impenetrabile di fronte agli stessi messaggi, se non in una smorfia insofferente. Una situazione che mi ricorda cosa lessi tempo fa sul muro di una piccola stazione piemontese. Scritto con un pennarello la poetessa si pronunciò: “Maria e Puffy 4 ever!” Qualche buontempone aveva aggiunto con un pennarello simile: “Tanto vi lasciate...” Quel giorno avevo riso come un matto. Come sono cinico e disilluso! Ho quasi 30 anni, sono sicuro che era una delle domande che vi stavate facendo al mio riguardo, sono single e vivo da solo, ma non vi dirò subito che lavoro faccio: lo fanno solo i falliti. Ad ogni modo per ora penso possa bastare. Le domande che avete verranno tutte assecondate col tempo. Ve lo prometto, ma non abbiate fretta o ne rimarrete delusi. Non c'è qualcuno più importante di me da osservare? Sudo apt-get install libnotify. Inserire password. Password inserita
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installazione-post installazione in corso... aggiornamento del database... installazione completata. È incredibile quanto una semplice libreria possa impedire l'avvio di un software, tra l'altro elementare. Comprendo che per una importante fetta tra coloro i quali stanno leggendo queste parole sembri un linguaggio privo di senso. Traduco in minimi termini: devo usare un programma informatico sul mio calcolatore, ma per poter funzionare a dovere, questi necessita di un piccolo ed insignificante componente. Componente che ho appena installato. Vi prego di perdonare i miei modi così poco ortodossi: mi chiamo Luigi De Bernardinis, capo progetto della sezione “sviluppo e innovazione” della InfoSolution ltd. nonché ex-docente di letteratura presso un istituto di istruzione superiore torinese. Ho 58 anni, sono sposato e sono padre di una ragazza ormai adulta. In questo momento mi trovate impegnato di fronte al monitor di uno dei vari computer del mio ufficio. Questo disguido mi ha fatto sprecare più di 8 minuti. Fortunatamente metto sempre in preventivo ad ogni progetto un range di errore variabile a seconda del lavoro e delle macchine che dovrò utilizzare. Perché un così meticoloso e preciso informatico sia stato anche docente di una materia umanistica è per molti un mistero. E talvolta lo è anche per me. Ero fermamente convinto, molti anni fa, del fatto che un esperto di
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informatica non fosse correttamente apprezzato nella società. Vale a dire, se mi fossi presentato semplicemente come un impiegato dedito a problemi informatici, inconsciamente mi avreste catalogato in un dato stereotipo. Proviamo a vedere quale: camicia azzurra, immagino per prima cosa, con polsini e ultimo bottone rigorosamente abbottonati. Uno sguardo da sprovveduto? Probabile, come il fatto che mi immaginate inforcante un paio di spesse lenti da vista. Vi rassicuro, non è così. A dispetto del comune detto “l'abito non fa il monaco” non viene presa in considerazione l'altra faccia della medaglia, ossia che, se v'è stato il bisogno di scrivere una massima del genere, è a motivo dell'insindacabile fatto che noi osserviamo (chi più chi meno) e giudichiamo in primis dall'abbigliamento. Prendete a comune esempio il modo di vestire dei teenagers in questi anni: colori vivaci tendenti al violetto, rosa e via di questo passo, giacche nere nonché medesima acconciatura. Il giudizio che traiamo è il seguente: mancanza di indole personale (o personificativa, scusate il neologismo), mancanza di ideali, potremmo in tutta onestà aggiungere anche che i soggetti presi in questione facciano un regolare e sistematico uso di oppiacei o affini. Questo esercizio mentale lo si può svolgere in continuazione verso tutti i soggetti con i quali abbiamo un primo contatto. Il mio orologio digitale emette un bip. Non perdo tempo a
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consultarne il quadrante: sono le 12 e 12 minuti. È dunque l' orario per me più indicato per pranzare. La stragrande maggioranza delle persone ignora di avere ben due cervelli. Il primo, meraviglioso strumento del quale mai discerneremo i vasti segreti, contenuto nella nostra scatola cranica. Il secondo, meno conosciuto, ignorato sennonché bistrattato è il nostro stomaco. È opinione diffusa nel mondo accademico, che delle regolari attività ( sia alimentari che fisiche) siano il miglior elisir di lunga vita. Indi per cui mi sforzo di mangiare allo stesso orario percorrendo lo stesso tragitto. Circa cinque minuti a passo spedito. Segue un rapido defatigamento il quale precede il pasto vero e proprio. Questi accorgimenti mi portano ad espletare le normali funzioni del mio organismo sempre alla stessa ora. Impressionante, non ne convenite? Provare per credere: ogni giorno alla stessa ora dopo aver pranzato, chiudetevi in bagno. Anche se non dovesse succedere nulla per i primi giorni, continuate imperterriti in questa attività. Già nella prima settimana dovreste notare dei miglioramenti. Ma come sono rozzo: parlarvi di regolarità intestinale al primo appuntamento! Chiedo venia, sarò più attento in futuro. “No, grazie ma non posso proprio domenica “Sì dormo fuori per lavoro comunque grazie lo stesso “Ok ciao-ciao-ciao-ciao” riattacco. Pericolo scampato. Sono riuscito a scampare ad una
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cena che ha tanto il gusto di una riunione di famiglia. Nessuna facile ironia, non odio queste occasioni, semplicemente non sono in the mood ossia dell'umore adatto per riunirmi in un luogo dove si dovrà ridere, sorridere ed annuire educatamente ai vari zii e parenti assortiti che invaderanno la casa dei miei genitori. Ultimamente non sono poi così allegro come tento di far trasparire dal mio viso. Faccio volare il mio sguardo su tutto il mio appartamento. Penso seriamente che Hiroshima non fosse così disastrata dopo il passaggio di Enola Gay: scatole, scatoloni e scatolette alcune semiaperte ed altre ancora ben sigillate. Sono più che giustificato: ho traslocato solo un mese fa. Spicca su un mobile a treppiede una vasca sferica colma d'acqua nella quale vive Poldo, un pesciolino rosso. Si è salvato dal disastro del Grande Trasloco per il solo fatto che non è stata trovata una scatola per imballare anche lui. Non è di grande compagnia, mangia e gira, gira e mangia senza chiedersi da dove venga il cibo del quale dispone a sazietà. Assomiglia tantissimo alla razza umana. Lo sguardo mi cade sullo specchio installato sulla porta d'ingresso. Vedo un uomo vestito da ferroviere. Non mi guardo mai negli occhi. Mi vergogno forse. Infilo la giacca a vento e vado al lavoro, i treni. Lavoro sui treni. So cosa state per chiedere: “Ah guidi i treni?” No. “Dunque fai il controllore?” No anche se i biglietti li controllo. “Che lavoro fai allora?” il capotreno.
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Cioè? Cioè sono quello che fischia, chiude le porte, dà la partenza al treno etc etc... Sono anche recettore di insulti, talvolta più che giustificabili da parte dei viaggiatori, forse meno comprensibili da parte mia. Il dover spiegare in che consiste il mio lavoro è un punto cruciale nelle mie relazioni, prima o poi qualcuno salta fuori e ti fa le suddette domande. Non ho ancora trovato una risposta esaustiva, e soprattutto ermetica a questa domanda esistenzialista e odio dovermi ripetere ogni volta. Lavorare su un treno implica alcune mansioni abbastanza semplici: arrivare venti minuti prima della partenza sul treno da accompagnare (si può dire anche scortare, fa fine e non impegna), controllarne le eventuali anomalie, vedi porte guaste piuttosto che estintori scarichi se non pulizia non eseguita a dovere. Ad ogni treno vengono consegnati dei moduli con avvisi di vario genere (rallentamenti, fermate programmate e via discorrendo): questi vanno divisi tra il macchinista ed il favoloso capotreno in maniera tale che tutti gli interessati siano propriamente informati riguardo al viaggio che devono compiere. Prima di partire bisogna anche sincerarsi, attraverso una prova ufficiale, che il treno sia in grado di frenare e sfrenare a dovere. Nulla deve essere lasciato al caso. Se tutto è pronto, il magnifico capotreno dà un nullaosta a chi dirige la stazione dalla quale il treno deve partire.
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Vi prego di non farvi domande riguardo ai miei turni: non basterebbe un libro a spiegarli a dovere. Semplicemente vi basti che non ho turni normali, né un turno uguale a quello del giorno successivo, mai. E il mio giorno di riposo non è quasi mai la domenica, per cui ho un giorno libero quasi sempre in settimana. Ad ogni modo, prima di iniziare la mia “giornata” lavorativa, devo segnalare la mia presenza presso un ufficio a questo preposto. Dovrei farlo di persona ma non ne ho molta voglia, per cui contatto questo ufficio tramite cellulare. Risponde un uomo con marcato accento partenopeo: “Ufficio viaggiante” - la nostra categoria è denominata 'personale viaggiante', molto esotico non è vero? “Ciao sono Ferri” - rispondo - “vado a Cuneo con il treno 4445, sono già in stazione” “Ah, ciao Marco” - è lievemente imbarazzato - “va bene... grazie, buon lavoro” Dal suo tono di voce avevo l' impressione volesse aggiungere qualcos'altro, un tono che si è intristito come ha compreso chi stava dall'altra parte della cornetta. È un effetto che ultimamente faccio a molti. Vado a controllare in che stato si trova il materiale che comporrà il treno per Cuneo. Il mio primo treno della giornata. Sembra tutto in ordine, per quanto possa essere definito in ordine un treno risalente alla prima repubblica: i sedili sono consunti ormai e avrebbe bisogno di una pulita veramente approfondita, preferibilmente con un lanciafiamme, ma ho visto di
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peggio. Molto peggio. Se ci penso potrei anche mettermi a piangere. Riusciamo a partire nonostante tutto, e dopo una ventina di minuti decido di andare a controllare viaggiatori e biglietti. Mi alzo, prendo la magica pinza che tutti almeno una volta nella vita sognano di avere in mano, e a voce alta chiedo melodicamente alle persone che ho immediatamente davanti: “Biglietti siori e siore!” Senza dubbio esiste una legge scientifica, meglio matematica che preveda che il cellulare trillante la “toccata e fuga” si nasconda nella tasca meno accessibile, sicuramente meno a portata di mano. Corro verso la stazione, per quanto possa correre con la mia The Bridge in una mano ed il soprabito abbarbicato nell'altra. È naturale che l'operazione di rispondere al cellulare sia piuttosto difficoltosa. Riesco comunque nell'impresa di salire in treno e afferrare il telefonino in tempo utile. Come premo il pulsante Dial le porte della carrozza mi sibilano alle spalle e si chiudono con un tonfo. “Pronto?” Sento tossire all'altro capo, segno distintivo di chi sta per mentire o semplicemente cerca le parole per dire qualcosa che intuisce non essere di gradimento all' interlocutore. “Ciao papà” - è Sophia, mia figlia. “Dimmi pure.”
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“Eh eh..” - mi dirà qualcosa che potrebbe contrariarmi. “Stasera non potrò esserci.” “Mi sembrava dovessimo passare la serata insieme.” “Lo so, ma... sai che Stefania è tornata da New York, rimarrà solo pochi giorni e...” “Facite vobis - fai tu.” “In che senso fai tu?” “Quale parte della frase non ti è chiara?” Il “Fai Tu” è una subdola tecnica psicologica per piegare chi riceve tale colpo alla tua volontà: il senso di colpa distrugge emotivamente il tuo avversario spingendolo ad agire secondo il tuo desiderio. Probabilmente tale vigliaccheria non segnerà un punto a mio favore nel poter essere considerato post mortem come un grande uomo, ma il fine giustifica i mezzi: non vedo da giorni la mia unica figlia pur abitando sotto lo stesso tetto. “Ok un bacio. A domani” Devo altresì ammettere che con il sangue del mio sangue non ha mai funzionato. Sono spossato. Erano state programmate tre riunioni per la giornata di oggi. A mio avviso tali briefing sono di minima utilità: parole, suggerimenti che lasciano il tempo che trovano e solo rare idee realmente utili. Idee che vengono percepite dai partecipanti come attacchi alla professionalità di ognuno. L'ultima delle tre in programma è stata condotta da me. Naturalmente nessuno aveva degnato di uno sguardo la mail che avevo spedito loro la settimana scorsa, riguardante i punti chiave della seduta.
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Avevo messo in conto questo fattore. Pochi percepiscono l'utilità di analizzare il programma di una riunione, facendo così perdere tempo prezioso a tutti. Tre riunioni logoranti. A causa della stanchezza mi bruciano gli occhi ed il treno concilia sicuramente il sonno. Aggiungete il fatto che la carrozza nella quale sono seduto è inoltre semibuia (particolare del quale mi dovrei lamentare se non fossi così stanco), chiudo gli occhi. Non passa molto, però che vengo svegliato da una voce squillante che chiede in maniera secca e meccanica i biglietti. Il controllore. È un uomo sui 45 anni, barba ben curata, accento tipicamente meridionale. Non vi preoccupate non vi propinerò nuovamente lo stesso esercizio mentale per dedurre il background di una tale persona. Sicuramente scarsa istruzione... “Buongiorno dottò, biglietto grazie!” Numero uno: sono le 18.58, dunque è sera. Numero due: viaggio su una carrozza a malapena accettabile, tiepida e come già detto, semibuia, quindi non è indubbiamente una buona serata. Numero tre: non vi è alcun motivo di urlare per espletare le proprie funzioni di controlleria: il treno è colmo di persone la cui vita lavorativa è stressante, ed oggi non fa certo eccezione. Fisso il controllore. Si avvicina, sento odore di dopobarba da pochi spiccioli.
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“Sono abbonato” - annuncio. Nessuna reazione. Ricambia il mio sguardo come se avesse appena subito una lobotomia. Immagino il suo cervello come un piccolo calcolatore che emette insistentemente il messaggio 'FATAL ERROR'. Ripeto a beneficio dei più tardi di mente. “Sono abbonato, da decine di anni oramai”. “Può gentilmente mostrarmi il suo titolo di viaggio?” Sbuffo sonoramente, mi alzo e prendo in mano la borsa che avevo riposto sulla rastrelliera sopra la mia testa. Estraggo il tanto sospirato abbonamento per esporlo al meticoloso ferroviere, il quale degna di uno sguardo veloce ciò che mostro in mano e poi sparisce altrettanto rapidamente. Voleva solo vedere il mio biglietto e non era interessato a quello altrui? Sono troppo esausto per dare una risposta. Alice, mia moglie da 29 anni. Carattere forte, molto forte direbbe lei, per poter tenere testa ad un eccentrico uomo quale sono io. Sono convinto sia una delle poche persone che riesca a farmi 'volare basso': la mia indole mi porta talvolta a partire per la tangente, come si suol dire, ecco, mia moglie mi riporta sul pianeta. È appena tornata dal suo impiego in ospedale. Corre con passo leggero da una stanza all'altra rincorrendo il concetto di ordine che appartiene solo a lei. Se si prestasse attenzione alla stanza da un punto di vista puramente maschile, nulla salterebbe all'occhio. Da
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un punto di vista femminile nel salotto è appena nato il Caos, da ciò nascono il 38% dei contrasti tra uomo e donna. La saluto. Mi risponde con un'occhiata che dopo 29 anni di matrimonio so interpretare come: 'sono di corsa devo fare TUTTO io e tu non mi aiuti MAI, in più sono altamente alterata ed indisposta per un motivo del quale non sei a conoscenza ma che ti costerà le fatidiche sette camicie per scoprirlo'. Purtroppo debbo dire che sono alcune settimane che il suo umore è tetro in questa maniera. In principio attribuivo questa situazione allo stress sul lavoro, ma temo di sbagliarmi. “Tutto bene?” - chiedo timoroso. Risponde con un mugugno. “Vuoi che prepari io la cena?” “Adesso cucino.” “Posso aiutarti se lo vuoi.” “Fai tu” - logico che usi la mia arma contro di me: le donne sono in maniera eclatante su qualche livello superiore rispetto al nostro. “Siamo d'accordo allora, cucineremo insieme. Così riusciremo a scoprire...” - le accarezzo il collo tentando di darle un bacio su una guancia - “...perché in questi giorni sei un po'.. così...” - dannazione! Sono stato docente di letteratura per anni e non riesco a trovare le parole giuste, perlomeno un sinonimo. Ma sono su un terreno che scotta letteralmente e mi sento come su una graticola: una parola errata, un termine improprio, un semplice passo falso e il cobra si sveglierà. Annaspo.
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“...sei così... nervosa” Passo falso.
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Colin Hay - Overkill Viaggiare ogni giorno su treni diversi mi permette di incontrare persone di ogni genere e natura. Incontri innanzitutto i Pendolari. Questa specie di viaggiatore composta da persone di tutte le razze e sesso, si divide in due tipi: pendolare attivo e pendolare passivo. Il pendolare passivo è solitamente rassegnato, ha messo in conto di perdere gran parte della sua vita in viaggio e, vuoi per il fatto che si consola dicendosi che i problemi non si risolveranno affatto con un altro mezzo di trasporto, vuoi perchÊ considera quasi accettabile il disguido che gli viene provocato, si lamenta poco. Questi diviene pericoloso solamente quando viene a contatto con il pendolare attivo. Il pendolare di quest'ultimo genere invece, scrive manifesti, crea comitati, si lamenta sonoramente col capotreno (il quale molte volte si unirebbe di buon grado alle proteste se non fosse per un etichetta professionale), organizza scioperi del biglietto e si agita come un leone in gabbia. Purtroppo il piÚ delle volte futilmente: il leone non esce e la gabbia continua a viaggiare. Di tutt'altra specie è il Viaggiatore Occasionale. Famiglie in gita, anziani e giovani di entrambi i sessi in giro per commissioni, tossicodipendenti, extracomunitari in attesa di espulsione. Ognuno ha la sua storia che passa dal treno e attraversa la stazione.
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Poi, naturalmente, ci sono i malati di mente. La ferrovia è una calamita per persone con problemi psichici (o forse bisogna definirli 'diversamente pensanti'?). Quest'oggi sono semplicemente un viaggiatore anch'io. Mi sto spostando in città per la mia settimanale attività di baby-sitter, attività che cade sempre nel mio giorno di riposo. Vado a trovare mia nipote, non si pensi che sia un mio secondo impiego. È un'idea di mia sorella, la madre di Desirèe, che considera tale attività propedeutica al mio animo dopo un... casino che è successo. A dire il vero mi è stato regalato anche un gatto per avere la testa impegnata su faccende diverse dal concentrarmi solo su me stesso. Mi vergogno un po' ma sarò onesto: di quel gatto non so assolutamente cosa ne sia stato. È entrato in casa, di questo sono sicuro, ma o per un motivo o per il fatto che non sono abituato ad avere animali più impegnativi di Poldo, non l'ho visto per il primo giorno e dopo me ne sono proprio scordato. Oggi il giorno di riposo mi cade di sabato per cui a mia nipote è stata data una speciale deroga da quella madre bacchettona e ficcanaso, che è poi mia sorella, per poter saltare il giorno di scuola. Attraverso a passo svelto la stazione, che sta subendo un processo di modernizzazione, cercando di evitare con cura i vari mendicanti, operai al lavoro sulla contro soffittatura, negozi luccicanti colmi di mercanzia varia in vetrina ma desolati e vacui in magazzino: lo specchio della nostra società.
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Un anziano signore passeggia contando a lunghi passi la larghezza dell'atrio principale di questa trasformista stazione ferroviaria, emettendo ad intervalli regolari dei ghigni divertiti.. Sono segretamente convinto che la sua missione sia quella di controllare che le dimensioni della struttura non cambino da un giorno all'altro. Mi reco alla fermata dei tram, salgo appena ne ho l'occasione sul primo che mi porterà nelle immediate vicinanze dell'abitazione di mia sorella. A proposito si chiama Femi. Non il tram, mia sorella. Non chiedetemi per quale strano motivo lei abbia un nome così particolare mentre io sia stato 'battezzato' con il nome più comune nella nostra penisola. Lo stabile nel quale Femi e suo marito vivono da quando fecero l'incauto passo di sposarsi, si trova in un bel quartiere di Torino (come avrete notato, a mano a mano che mi conoscete si aggiungono tasselli al puzzle della vostra curiosità), un edificio signorile. In passato, a giudicare dal gabbiotto posto all'ingresso, era presente anche un portiere. L'appartamento è molto arioso, modernamente arredato. Il salotto comprende due divani bianchi (bianchi?) che troneggiano davanti ad un tavolino in vetro, preludio ad un mobile accessoriato di televisore al plasma da qualche migliaio di pollici ed uno stereo ad alta fedeltà. Ah le giovani coppie! Ho sempre pensato fosse impossibile pretendere un arredamento del genere e al contempo avere un figlio, ma mia sorella è un mostro di
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disciplina, come possono ben dimostrare le pelli assolutamente candide dei divani. Saluto lo spazio davanti a me: Femi è in cucina che armeggia con la macchina dell'espresso. Sto per sedermi fragorosamente su uno dei divani quando una forza nemica mi leva di dosso il giubbotto in pelle e le sue pericolosissime cerniere. “Non mi sembra sia la prima volta che ti chiedo di sederti in salotto in modo da non deturpare ciò con cui vieni a contatto” - Femi, vestita come raramente le capita, di una tuta sportiva, tiene con un braccio alzato il mio giubbotto come un trofeo per il pubblico ludibrio. Con molta delicatezza mi accomodo sul tanto sospirato, intonso, candido e prezioso divano, guardandola come a dire 'Adesso va bene?' Soddisfatta si allontana per appendere su una gruccia il cencio detrattomi, chiudendolo meticolosamente in una cabina armadio nel corridoio. “Sto preparando il caffè, quanto zucchero vuoi?” “Amaro, grazie” “Che orrore!”- per Femi è un classico, ma io detesto quando i miei gusti vengono commentati ad alta voce. Mentre dispone le tazzine chiama a gran voce Desirèe, in questo è identica a nostra madre, anche se un paragone del genere la farebbe inorridire. Il caffè obbligatoriamente è da bersi in cucina per non attentare alla perfezione del salotto. Durante questo rito tipicamente italiano è doveroso rivolgere le varie domande ai propri ospiti, e mia sorella non disattende al
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bon ton: “Come stai?”, “e il lavoro come va?” “ti vedi con qualcuna” etc etc. Finiti questi convenevoli, Femi decide di andarsi a preparare per le sue commissioni giornaliere ed io ne approfitto per spulciare il tesoro più prezioso della casa: la raccolta di CD di mio cognato. In particolare si stava vantando di aver scovato un album inedito di Simon e Garfunkel, probabilmente un live. Preciso e calcolatore il quale in effetti egli è, ha disposto i vari dischi in ordine alfabetico e per anno di pubblicazione. Sam and Dave... Satriani Joe... Savage Garden (questo deve averlo comprato mia sorella a sua insaputa)...Staind... no sono andato troppo avanti. Finalmente trovo Paul Simon nonché il tanto decantato CD... indubbiamente bisogna ascoltarlo con tutta la calma necessaria, per questo con modi circospetti mi intasco l'album per poterlo poi... un colpo dietro il ginocchio mi fa piegare all'improvviso. Mi volto un po' sorpreso. È stata mia nipote a darmi a tradimento un pugno. “Ahi! Piccola strega!” Desirèe mi saluta con un'alzata di spalle. È molto graziosa, capelli neri molto mossi, occhi molto scuri ed un lieve strabismo appena percettibile. Farsi però abbindolare da un viso del genere può essere uno dei peggiori errori nella vita di una persona. “Ringrazia che siamo in salotto e non posso sporcare i divani col tuo sangue perché sennò ti avrei...” Da una stanza proviene un rimprovero severo da parte di
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mia sorella: “Non insegnarle ulteriori idiozie!” Desy mi tira per una manica e con fare cospiratore mi intima di seguirla in camera sua. Prende un quaderno a quadretti e lo apre sull'ultima pagina: un omino della Michelin con una spada in mano sta probabilmente affettando un sorcio. “Che cos'è?” - chiedo. “Leonardo, la tartaruga ninja, no?” “Capisco. E Mamma lo sa che hai disegnato sul quaderno di matematica un tartaruga assetata di sangue?” “No, ma papà lo sa che hai rubato un suo CD?” “Ehi è solo in prestito.” Sono così costretto a firmare un patto di non belligeranza con una bambina che non arriva a dieci anni di età. “Mettiti il cappotto, usciamo” - Femi è apparsa sulla porta e ci mette in riga. Non riuscirò mai a capire se mi considera adulto oppure no, ma poco importa: se vieni considerato immaturo, verrai avvolto nella bambagia. “Andiamo Splinter!” - alludo al vecchio maestro delle tartarughe ninja, un topo alto un metro e mezzo, vecchio e peloso. “Che schifo, sarai tu Splinter!” - sicuramente non ha peli sulla lingua, la bambina. Mentre Femi si inginocchia per aggiustare il colletto della giacchetta al topo, la sento sussurrare: “...e mi raccomando: questa volta non parlare di Cristina” - poi lo schiocco di un bacio.
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Come da nostra abitudine, io e Alice passiamo un fine settimana al mese impegnandoci in una gita enogastronomica presso una città italiana. Questo fine settimana ho optato per una visita alla città di Bologna. Città ricca di storia e di ottimo cibo. Ho stampato tramite un sito creato all'uopo per queste evenienze la mappa stradale con le annesse distanze chilometriche. Calcolo che per partire ed arrivare in tempo utile per pranzo, dobbiamo metterci in moto alle 8.00. Ho comunque considerato la possibilità di sostare presso due Autogrill consigliatimi da un blog di turisti. La tabella che ne ho redatto prende in considerazione ora di risveglio, colazione e partenza, nonché velocità media da rispettare per un ottimo viaggio, eventuali caffè da conteggiare nella pagina 'Preventivo/Costo Effettivo' e via discorrendo. Mia moglie ha già preparato il bagaglio ieri sera. Spero sinceramente che questa gita fuori porta possa giovarle in qualche modo. Sincronizzo l'orologio della mia automobile con il mio orologio da polso radiocontrollato da un orologio atomico in Germania, per non dover perdere di vista per troppo tempo la strada alla ricerca dell'ora esatta. Ho caricato la macchina dei modesti bagagli necessari ad un week-end e aspetto pazientemente che Alice esca da casa per poter finalmente partire alla volta della nostra meta.
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Le 7.55 Mancano pochi minuti e non vorrei dover ricalcolare tutta la durata del percorso né la velocità media... Mia moglie è sempre puntuale: considera la puntualità come una forma di rispetto nei confronti del prossimo. Allora qual è il motivo di questo ritardo? Decido di salire per indagare. In salotto non si scorge anima viva. Salgo al piano superiore, alle camere da letto. Alice è seduta sulla panca che utilizziamo per agevolarci nell'operazione quando infiliamo le scarpe. Rimane a capo chino. Si accorge della mia presenza e ad alta voce avverte: “Sto arrivando! Non vorrei rovinare i tuoi piani!” La sua ironia ha sovente l'effetto di abbattere la mia maniera di vivere, sicuramente più impostata di molte altre persone. Mi siedo accanto a lei, la panca scricchiola. “Qualcosa non va?” “Sto bene.” - si alza, prende la borsa e scende le scale. Sarebbe indubbiamente inutile tentare di estorcerle una qualsivoglia spiegazione a tale comportamento, ma abbiamo diverse ore a nostra totale disposizione durante il viaggio: scoprirò sicuramente cosa le tormenta l'animo. Partiamo infine, sono lieto della mia previdenza nell'aver sincronizzato l'orologio digitale sul cruscotto: in tal modo posso non dare nell'occhio quando imbocchiamo l'autostrada e di conseguenza calcolare l'entità del ritardo. “Di quanto TI ho sbarellato i piani?” - c'è una punta di
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ironia nella sua voce: in realtà il messaggio vero e proprio è 'provati ancora ad avvicinare il tuo sguardo ad un orologio qualsiasi e scateno un inferno in questa macchina che in confronto quando hai detto che la tua segretaria è piacente nonostante l'età ti sembrerà una conferenza sulle graminacee'. Talvolta le conversazioni tra marito e moglie possono paragonarsi ad una guerra diplomatica nella quale ogni frase può rappresentare una mossa sulla scacchiera. Le donne in genere sono un avversario formidabile per cui la tattica è 'colpisci e nasconditi' proprio come la filosofia di vita della guerriglia. “Hai creato un neologismo?” - utilizzo una piccola malizia deviando il discorso da quello principale - ”sbarellato? Quando l'hai coniato?” Funziona. Si distende sul sedile, per quanto possibile, stiracchia le braccia dietro la testa, si toglie i mocassini ed allunga le gambe. “Non lo so, forse in ospedale. Un ragazzino rivolgendosi ad un suo amico aveva utilizzato questo termine. È simpatico, dà l'idea di un incidente in corsia tra due lettini. 'Ops! Ho sbarellato!'” Ride di gusto e guarda il paesaggio scorrere dal finestrino. Ne approfitto per accelerare leggermente di circa 10 chilometri orari. In circa un'ora, a questa velocità, avremo recuperato il ritardo maturato, in più Alice non dovrebbe accorgersene. “Ti dispiace rallentare Tesoro?” - mi guarda beffarda. Secondo il punteggio del tennis sarebbe un trenta a zero.
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Sospiro e obbedisco. Il clima nella vettura si è rasserenato e non voglio interferire con i complicati equilibri che regolano questa pace. Mi godo il viaggio. Alphonse Karr disse una volta che non si viaggia per viaggiare, ma per aver viaggiato. Non ne condivido in toto il pensiero: anche se conosco il finale de 'Il nome della rosa' nulla mi vieta di apprezzarne lo stile di scrittura. Sto apprezzando questa lettura, la vita è un libro e chi non viaggia ne legge una pagina sola. Altro aforisma e questa volta mi trova d'accordo. Una delle raccomandazioni di natura materna ricevuta da Femi era quella di tenere sempre e in ogni caso per mano il nostro compagno di passeggiata. Non ho ben compreso a chi fosse riferito il comando ma significa una sola cosa: devo dare la mano a Desy. Non mi conoscete, certo, per questo vi informo che detesto ogni contatto fisico, ogni inutile sdolcinatezza, ogni falsa carezza che viene scambiata tra due amanti. Con Cristina, una ragazza con la quale sono uscito per qualche mese, in realtà più di un anno, le nostre manifestazioni di affetto non oltrepassavano le espressioni facciali: se lei sorrideva era sicuramente più importante di un 'Ti amo' detto dalla concitazione del momento ed aveva quindi un significato più concreto. Mi asciugo una mano sui jeans, mia nipote ricambia il
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mio sguardo incerto con la stessa identica espressione. Nostro malgrado ci allontaniamo mano nella mano. Non dovrei farlo senza il consenso della SS, mia sorella, ma ho fame e non mi importa se Desirèe ha già fatto colazione. Ci fermiamo in una panetteria attirati dal profumo che spande sotto i portici. Stranamente è deserta per cui mi avvicino al bancone per comprare due focacce. All'improvviso, vengo superato da un'anziana signora entrata come una furia nel negozio. Mi scosta e chiede mezzo chilo di biove, una forma di pagnotta. La commessa mi guarda quasi scusandosi per un comportamento tanto scortese ma la rassicuro: “Non si preoccupi, non ho fretta come questa donna.” Fisso la vecchia negli occhi con la stessa espressione finale di Psycho e le sospiro: “Lei ha una vecchia con la falce dietro le spalle... si affretti: il tempo è ridotto” Rimane in silenzio, paga il conto e se ne va scuotendo la testa. Mia nipote ride: ama quando faccio delle imitazioni, poi però mi chiede una volta usciti dal negozio chi è la vecchia con la falce. “La vecchia con la falce è una tizia vestita di un mantello nero, senza viso che va a prendere le persone che devono morire. Per cui se uno la vede deve chiedersi se ha già fatto tutto nella vita o se ha tralasciato qualcosa.” Desy sgrana gli occhi. “Tranquilla” - le dico in tono rassicurante - “non può venirti a prendere, io la conosco e non è il tuo turno.” Per strada, consumando le nostre focacce, ci fermiamo
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ad apprezzare diverse vetrine colme di promesse per i bambini di tutte le età. Prima o poi mi comprerò un telescopio, potrei piazzarlo vicino alla tastiera. La dolce nipotina guarda con occhi ingordi i vari gingilli elettronici, ogni tanto mi lancia uno sguardo quasi supplichevole ma non si abbasserebbe mai a chiedere ad alta voce ciò che vuole. “Io non sono lo zio che vizia le piccole nipoti” - la avverto per evitarle delusioni. “Tu sai solo dire queste cose stupide!” - tutto ad un tratto si è trasformata in una macchina da guerra. Come posso rimediare ora? “Se vuoi posso però portarti al cinema questo pomeriggio, vuoi un Menu Speciale al fast food per pranzo?” Ha un musone patetico, ma forse la mia tentazione la sta addolcendo. Non volevo essere così sgarbato. Ultimamente in testa ho delle frasi giuste, esatte ed educate. Il problema è che escono di bocca in una maniera scorretta, molto più cattive di quanto vorrei. È un po' come una donna con il ciclo mestruale. Ecco, ho 'le mie cose' in questo periodo. La fila al fast food è lunga ma procede spedita, perlomeno fino al corpulento genio subito prima di me. È indeciso tra pollo e pesce, ketchup e mayonese e probabilmente tra essere o non essere. Mimo il gesto di impiccarmi. La commessa che lo sta servendo (tra l'altro è uno schianto) se ne accorge e sorride: forse ho fatto
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colpo. Mentre Amleto paga mi rivolgo a Desy: “Guai a te se mi chiami 'papà' come l'altra volta!” La peste ride e mi canzona: ”Ah ti piace quella ragazza!” Sto per intimarle silenzio in cambio della sua vita quando scatta il mio turno per ordinare. “Sei hamburger, un rotolo di cipolle, una patatina e una birra, e un Menu Speciale per un bimbo.” La cassiera mi guarda con un punto interrogativo stampato in fronte. È ancora più bella, se possibile, così le spiego che Desy ama di più le automobili che le Barbie tant'è che ha sottoposto le sue bambole a torture delle quali è meglio non dica nulla se non voglio farmi passare l'appetito. Ride di gusto e si allontana a prenderci le cibarie ordinate. Mentre preparo il contante, valuto l'idea di lasciarle il mio numero di cellulare. 'Hanno da poco inaugurato un pub con musica dal vivo: potremmo andarci insieme' – dovrebbe funzionare “Ecco a voi, buon appetito!” “Grazie, sei molto gentile” - mi sporgo verso di lei - “Sai, hanno appena...” “Papino... ho fame” - la malvagia nipotina ha un ghigno malvagio. “...appena scoperto una bambina in fin di vita in un fast food.” Cerco di aggiustare la situazione ma la commessa chiama il cliente successivo. Desirèe ride di gusto. Troviamo un tavolo libero e ci sediamo.
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“Sai che hai firmato la tua condanna a morte? Sei un'infame” “Cos'è un infame?” “Un'infame è una cattiva persona che ti tradisce.” Con le mani già unte di sale mi da una pacca sul braccio come avrà visto fare in un cartone animato: “Scuuusa.” Non mi ha nemmeno guardato in faccia, non credo siano scuse sincere. La scelta di trascorrere a Bologna il fine settimana è motivato non esclusivamente dalla storia di questa bellissima città, né dalla sua architettura o dalla sua arte culinaria che definirei endemica, ma anche dall'aver acquistato due biglietti per assistere al concerto di un'orchestra filarmonica la quale eseguirà diverse gold songs americane. Mia moglie ed io adoriamo il Jazz per cui siamo molto curiosi di apprezzare stasera gli arrangiamenti del complesso. Il viaggio è proseguito sereno nonché puntuale, siamo già entrati in hotel per ricevere la stanza a noi riservata. La camera è luminosa e accogliente. Appendo la giacca nel piccolo armadio a nostra disposizione e mi siedo sul letto avvertendo per la prima volta la stanchezza dovuta al tragitto in automobile. Alice si siede accanto a me. È già scalza: un suo vezzo che porta dall'adolescenza. Distende lo spolverino beige
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che indossava un attimo fa a fianco a lei. Appoggia la testa sulla mia spalla, prende fra le sue la mia mano e la bacia. È un segnale. È costume tipico di una coppia che, nei panni di turista, alloggi in una stanza di hotel, d'essere preda di una sorta di eccitazione adrenalinica che trova sfogo spesso in versi striduli da parte delle donne più giovani; più sovente viene espressa a livello fisico. Le coppie di mezz'età come la nostra non fanno eccezione. Segnale ricevuto. L'auditorium mi colpisce in maniera positiva sin dal primo impatto per la sua acustica quasi perfetta. Il concerto, ovvio è sublime. In alcuni passaggi nei quali vengono interpretati due brani di Glen Miller sento il cuore accelerare i battiti, ammetto di avere la pelle d'oca. Fiati, ottoni e legni raggiungono il climax per poi abbandonarti e riprenderti più volte. Terminata l'esibizione, ci intratteniamo in un bar adiacente l'auditorium in compagnia di una coppia si direbbe a noi coetanea. Lei è un clarinetto professionista, lui il preside di un centro di alto perfezionamento musicale. Abbiamo relazionato con questi esperti di musica durante alcune pause tra i brani del concerto. Lei sembra essere ancora in trance. Ordino un caffè per me onde evitare problemi nel caso dovesse la Polizia municipale fermarmi per un controllo, ed un succo di frutta per mia moglie. La coppia invece chiede del vino bianco frizzante.
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Passiamo quasi due ore in piacevole compagnia parlando di jazzisti nonché di alcuni bluesmen entrati oramai nella leggenda. Alice mi fa notare che l'ora delle streghe è già scoccata da un po', mi guarda in viso e si mette a ridere: “Hai un aspetto tremendo, sembri uno zombie!” In uno degli specchi decorati appesi alle pareti del locale fisso la mia immagine riflessa: sono circa diciotto ore consecutive che sottopongo il mio corpo ad uno stress fisico al quale non è certamente abituato, è giunta l'ora di andare a riposare. I nostri compagni insistono per offrirci ciò che abbiamo consumato e ci salutano ben sapendo che difficilmente ci rivedremo. L'unico inconveniente della serata appena trascorsa avviene mentre vengo abbracciato dalla clarinettista, la quale, evidentemente già brilla, non controlla propriamente gli arti tanto da versare inavvertitamente quel poco di vino rimasto nel suo calice sulla mia giacca. Poco male, a parte l'odore non lascerà di certo segni permanenti o non lavabili. Evito di far trasparire la mia preoccupazione per la giacca per non dare alla signora motivo di imbarazzo. Serve a poco perché è già paonazza dalla vergogna. Faccio una battuta di spirito per sollevarla e pare funzionare. Bologna è, come si suol dire, piena di vita durante l'intero arco della giornata e della nottata. Specie in questo momento, il sabato sera, la viabilità viene pesantemente intralciata dall'esagerato numero di vetture circolanti.
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Guidare in queste condizioni è sempre stato per me uno stress. Squilla il mio telefonino. Indubbiamente è Sophia ad augurarci la buona notte: è al corrente che avremmo fatto le ore piccole. Accenno un gesto per afferrare il cellulare ma vengo prontamente redarguito da mia moglie che sostiene debba prestare esclusiva attenzione alla guida. Il trillo proviene dalla tasca anteriore sinistra dei miei pantaloni, per cui Alice deve sporgersi sopra di me per poterlo afferrare. La sua mano si sofferma sul mio fianco. “Professore, lei si sta imbolsendo!” mi canzona pizzicandomi. Sbando leggermente e rischio seriamente di tamponare l'automobile che ci precede, ferma al semaforo. Il caso vuole che all'altezza della nostra vettura sia fermo un vigile tarchiato, in piedi sullo spartitraffico. Ci fissa con uno sguardo dapprima interrogativo, poi spalancando la bocca e prendendo fiato ci intima ad alta voce di accostare e scendere dalla macchina. “Ma che indecenza! Due persone della vostra età in atteggiamenti promiscui!” - è rosso in viso e particelle di saliva schizzano pericolosamente in lungo e in largo. Vorrei spiegargli che promiscuo non è affatto il termine giusto ma vedo sopraggiungere un suo collega allarmato dallo schiamazzo. “Che succede?” - chiede il neo arrivato. “Guarda tu stesso. Atti osceni durante la guida. Guarda che occhi pesti che si ritrova questo signore!” - si rivolge a me iroso - “Di cosa ti sei fatto oggi?” Sono ancora seduto sul sedile. “Come dice, prego?”
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Il tarchiato sta parlando in modo concitato con il suo collega, riesco a captare qualcosa “...e la signora gli era addosso, ma ti ripeto guarda che faccia! Ha sniffato questo qui!” Sniffato? Provo ad uscire dall'abitacolo, il vigile senza che nessuno glielo abbia chiesto mi sorregge. Sento che mi sta annusando. Oh no! “A quanto pare abbiamo alzato anche il gomito vero? Fattone! Si vergogni, poteva provocare una strage per questa bravata! Ma io gliela farò pagare cara e amara!” Sento Alice ridere come una pazza. È al telefono con mia figlia e ad un tratto capisco il misunderstanding. “Sono desolato ma si tratta semplicemente di un terribile equivoco. Vi assicuro che non ho assunto alcuna sostanza stupefacente, sono semplicemente molto stanco. La signora non stava affatto svolgendo chissà quale attività a vostro dire 'promiscua', le avevo chiesto di prendere il mio cellulare dalla tasca dei pantaloni. Per quanto riguarda l'odore...” - sento le mie parole uscire in modo patetico dalle labbra. Non mi crederanno. Stanno comunicando i miei dati alla centrale. Alice sta spiegando la scena, tra un singulto e l'altro, a Sophia. La sento sghignazzare una frase del tipo 'ora lo arrestano te lo immagini?' Mi arrestano? Penso proprio che se i vigili sono convinti che stava accadendo un 'fattaccio' , questo lo stavamo commettendo insieme, indi per cui tecnicamente anche lei è in torto. Mi infastidisce il tono che sta usando per cui forse a voce troppo alta mi ritrovo a dirle: “Tesoro caro, non per essere pignolo ma eravamo
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entrambi impegnati in atteggiamenti ambigui, per cui sono seriamente convinto che fermeranno anche te.” Il secondo vigile deve aver sentito infatti mi accusa prendendomi per un braccio: “Allora lo ammetti!” Numerosi veicoli ci sfrecciano a fianco rapidi e leggermente curiosi. Quale orrenda impressione devo far loro! Prendo fiato e cerco di spiegare la reale situazione in maniera calma ai due ufficiali. Percepisco la loro diffidenza alle mie parole. Mi tamponano la fronte con un oggetto mai visto prima e mi fanno soffiare dentro un altro attrezzo che credo di aver visto in un servizio al telegiornale. Dopo qualche istante i loro visi si rasserenano. “Faccia più attenzione alle persone con le quali va a ballare” - mi rimbrottano. Provo a precisare onde evitare ulteriori equivoci: “In realtà eravamo seduti in un bar a parlare...” “Certo!” - mi interrompe il tarchiato - “parlavano di Beethoven e Chopin!” Tra le labbra mormoro che gli artisti della nostra disquisizione erano Elmore James e Gershwin. Uno dei due ufficiali forse lo ha capito e mi mette una mano sulla spalla: “Ciccio, non sfidare la fortuna. Adesso andatevene” - mi tiene la portiera aperta - “e d'ora in avanti certe cose fatele a casa!” Provo a protestare, devo salvare la faccia di fronte a questi due rappresentanti dello Stato ma sento mia
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moglie dire loro 'd'accordo!' Vorrei morire. Ci allontaniamo dal viale e dal luogo nel quale giace senza vita la mia dignitĂ .
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Jimmy Nail – Big River La piccola Desirèe sta dormendo. Vorrei non crescesse e che i suoi problemi potessero rimanere solo quelli scolastici. Invece crescerà. Amerà, verra tradita da chi le vuole bene, perderà la fiducia in chi stimava. Verserà lacrime amare. È questo vivere? Una canzone di Paul Simon, 'I am a rock' rispecchia fedelmente il mio motto: io sono una roccia, io sono un isola e una roccia non sente dolore e un isola non piange mai. Femi mi ha invitato a a cenare in loro compagnia. Dato che avrei dovuto mangiare un kebab da 'Tony detto il lurido' ho optato per del cibo appena cucinato. E sicuramente non trattato da mani nere d'olio. Mio cognato Riccardo è un uomo che da l'impressione di essere perennemente soddisfatto dal suo status: una bella casa perfetta, una moglie carina ed una figlia a suo dire molto dolce. Esattamente il genere di cose che mi da fastidio in una persona: l'essere realizzato. Ha solo 38 anni. Cosa farà per il resto della sua vita? Eppure tutti corriamo verso la realizzazione di un nostro progetto, forse perché correre è il segreto per non lasciarsi morire. Sono quasi le 23, per questo motivo sono così riflessivo. Mi viene offerto un whiskey in salotto. A parte la luce
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soffusa di una lampada nascosta, la stanza è illuminata soltanto dal TV color. Riccardo sta apprezzando una ballerina saltellante in un format scadente. Femi è tentata dal criticarne lo stile di danza ma si rende conto che non è stato certamente il suo talento come ballerina a farla assumere in televisione. Si siede vicino a me. È una tale ficcanaso! Tra poco sono sicuro mi farà una domanda personale. “Sei andato a trovarla?” - mi fissa preoccupata. Studio il bicchiere luccicante tra le mie dita. Faccio cenno di no con la testa. Mi incalza: “Forse ti farebbe bene.” “Non ne vedo il motivo” - comincio ad essere nervoso mio malgrado. “Forse per voltare...” - è indecisa se dirlo, sa che non voglio sentire ciò sta per uscire dalla sua bocca “...pagina.” “Andare in un cimitero non cambierà nulla, e poi mi avete detto che ci vuole tempo. Aspetto.” Femi abbassa la testa, sa cosa vuole dire ma è un argomento che mi ferisce, quindi cammina su dei gusci d'uova. “Sei cambiato Marco. Non sei più gioviale e sereno. Lo posso capire il perché. Ma non ti fa bene continuare su questa strada e non fare nulla per rimediare” Mi alzo con calma dal divano e poso il bicchiere sul tavolinetto che ho davanti. “Grazie che ti preoccupi. Stai tranquilla” - decido che è ora di tornare a casa.
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Come mi volto verso la porta d'ingresso vedo Desy in pigiama correre verso sua madre terrorizzata. “Cosa c'è tesoro?” - le chiede Riccardo. “Ho paura!” - risponde nascondendo il viso nel petto di Femi. “Amore stai tranquilla, di cosa puoi aver paura?” “Della vecchia con le facce!” “Quale vecchia?” Con passo furtivo cerco di guadagnare l'uscita. “La vecchia che ha detto zio Marco!” All'unisono i genitori si voltano verso di me incenerendomi. “Ehi” - provo a difendermi - ”innanzitutto non ha le facce ma una falce!” Non sortisco altro effetto che il pianto di mia nipote. Il resto è scontato: devo spiegare la storia della vecchia, vedere mio cognato con un'espressione che dice chiaramente 'non solo è un fallito ma non sa neanche trattare con i bambini' e mia sorella obbligarmi a rimanere in compagnia di Desirèe per rassicurarla che nessuna dolce vecchina verrà a prenderla. Dovrò restare finché la piccola non si riaddormenterà. Rimango a lungo seduto sul duro e freddo pavimento ai piedi del letto di mia nipote tenendole una mano. Senza volerlo ripenso a ciò che mi ha detto Femi. Forse ha ragione: sono cambiato e me ne rendo conto a volte da solo. Forse spero di vivere sempre sotto una campana di vetro senza fare mai nulla, senza sporgermi e rischiare per evitare di soffrire. La piccola si è addormentata. Con cautela divincolo la
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mia mano dalla sua presa per evitare di svegliarla. Mi alzo. In salotto è rimasto solo Riccardo. In realtà è addormentato davanti al televisore. Non lo sveglio. Non ha nulla da dirmi che non sia qualcosa nella media, un luogo comune. In modo del tutto silenzioso esco dal loro appartamento e scendo in strada. Torino, a dispetto della sua nomea, sembra morire di notte. È ovvio trovare diverse automobili nei viali e nei corsi, ma è dovuto alla legge dei grandi numeri. Per il resto, desolazione. Mi incammino verso la fermata del tram. Sono ancora in tempo per l'ultimo treno della notte. Mi infilo gli auricolari ed ascolto un po' di musica. La prima canzone è troppo allegra per me, cambio. Ascolto l'arpeggio di 'Amico fragile' di De Andrè. È una canzone che non ho mai compreso. Fino ad oggi. Questa notte le sue parole si adagiano come una pellicola sul mio stato d'animo. Cammino. Supero la fermata del tram, non so se lo faccio apposta. Devo camminare. [pensavo è bello che dove finiscano le mia dita, possa in qualche modo cominciare una chitarra] Arrivo comunque in tempo in stazione. La musica è finita. Il suo potere mi ha lasciato. A parte alcune persone con occhi simili ai miei, sono solo.
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Non metto in discussione il fatto che, a posteriori, la vicenda accadutaci questo sabato mi sembrerà simpatica se non addirittura ilare. Per il momento ne sono ancora turbato. Ho rimediato una figura pessima di fronte alle forze dell'ordine, e quel che più mi lascia basito è la reazione inspiegabile da parte di mia moglie. Pur essendo stata di umore tetro per l'intera settimana - a dire il vero è uno stato d'animo che si perpetua da tempo oramai – in questo week end il suo carattere è stato quasi bipolare: da una sorta di depressione ad una vivacità quasi isterica. Ad ogni modo ho già contattato uno specialista per poter indagare sull'origine di questi sbalzi di umore. Quest'oggi si è verificato un acceso dibattito tra due coordinatori del progetto 'Re.Jet.' (una società appena sbarcata sul mercato al quale stiamo creando un sistema gestionale informatico). Non ricordo il motivo per il quale è scaturito tale discussione, ma sembrava non voler arrivare ad una conclusione. Fortunatamente il mio ufficio è in una sezione abbastanza distante dal luogo nel quale si è scatenato il putiferio. Per il resto potrei dire che è andato tutto secondo i programmi stabiliti. Mi reco alla stazione ferroviaria di Torino Porta Nuova. Sono sgomento. La regola viene puntualmente confermata: al termine di una giornata lavorativa alquanto snervante, la società ferroviaria ci propina un carro merci nel quale i pendolari dovranno ammassarsi per poter tornare a casa.
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Il controllore naturalmente fa spallucce dinanzi questa situazione. Noto con soddisfazione che si tratta di un giovane che spesso incontro su questa tratta. Un capotreno arrogante e menefreghista. Mi ci avvicino: “Non credo sia necessario possedere un quoziente intellettivo molto sviluppato per provvedere due carrozze in più.” Il ferroviere sogghigna: “Guardo se me ne avanza una in borsa.” “Eviti le spiritosaggini, sono del tutto fuori luogo!” “E lei eviti di rompere le scatole, ché è già difficile lavorare in queste condizioni senza il suo aiuto” Sono furioso: “Questa è una legittima protesta. Le pare ch'io debba viaggiare come un animale?” Il ragazzo alza le braccia: “E io cosa ne posso?” “Lei è un menefreghista! Non è in grado di fare il suo lavoro.” “Può darsi. Intanto lei è e resterà un ignorante.” - si allontana. Sbaglio o mi ha apostrofato come ignorante? A giudicare dal portamento, questo ragazzo manca di indole: spettinato, una barba non rasata. Le sue evidenti occhiaie denunciano una probabile vita notturna. In qualche modo riesco a trovare un posto a sedere nella calca. Il dottor Mengoli starnutisce, qualcuno gli risponde con un classico 'Salute' ignorando sicuramente le origini di tale abitudine.
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Le stazioni si susseguono, svuotando lentamente le carrozze. Questa sera il ritardo del treno è di solo 8 minuti. Perfetto. Mi preparo a scendere alla prossima fermata. Inspiegabilmente il convoglio si ferma in mezzo al nulla. Attendiamo. Nessuno viene ad avvisarci o a esplicarci il motivo di tale sosta non programmata. Passano tredici minuti e vedo il trafelato capotreno passare rapido tra i sedili lasciando qualche dettaglio generico: “Non si è chiuso un passaggio a livello per questo siamo fermi.” “Quando ripartiremo?” - chiede una dottoressa. “Non le so dire. Tra un minuto come tra dieci.” Passa in un'altra vettura a ripetere la solfa. È scandaloso un servizio del genere. Penso che invierò una protesta tramite un editoriale su un quotidiano. Mancanza di informazioni, ritardi oramai 'puntuali': un'azienda seria si comporterebbe in una maniera più ortodossa. Si arriva al fine a destinazione. Il ritardo maturato è di ben quaranta minuti. Attendo per qualche istante sul marciapiede del binario per fare le mie rimostranze al capotreno. Naturalmente questi non si presenta. Squilla il mio telefonino. Mi stavo quasi dimenticando che quest'oggi mia figlia mi accompagnerà a casa. “Dimmi Sophia.” “Ciao, sono appena fuori la stazione, dove sei?”
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“Arrivo.” - il pusillanime ferroviere è stato graziato per quest'oggi. Come mi raggiunge, Sophia mi schiocca un bacio e mi prende di mano le chiavi della macchina. “Guido io, nonno!” “I miei capelli bianchi non sono segno di vecchiaia. Piuttosto di maturità, le persone di una certa età non ne hanno proprio.” La vedo sorridere. Ad un padre poche cose hanno il potere di rallegrare il cuore nonostante le disavventure ed il nervosismo dovuto a disservizi. Mi rilasso finalmente durante il tragitto fino a casa. “Allora...” - mia figlia non riesce a parlare per quanto tenta di trattenere le risate - “...hai finito di chiedere alla mamma di fare cose zozze in auto, fattone?” Preferirei litigare furiosamente con quel capotreno che vedere mia figlia asciugarsi le lacrime dal ridere. Il lunedì è un giorno penoso per la stragrande maggioranza delle persone. Uno dei vantaggi dell'avere dei turni tanto anormali è il non avere mai un lunedì. Dato che di domenica si lavora, come fa a darti fastidio lavorare il lunedì? Questa domenica avevo chiesto un giorno di ferie. L'ho passato a letto. Non avevo voglia di nulla per cui ne ho ricavato solo un gran mal di testa. Pazienza, ormai è passato.
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Il treno che devo scortare questa sera sarà sicuramente pieno di pendolari di ritorno alle proprie abitazioni, è un treno programmato appositamente per questo servizio. È anche il treno sul quale viaggia solitamente un rompiscatole di proporzioni gigantesche. Un pomposo signore, pignolo all'inverosimile il quale probabilmente rientra ogni sera a casa dalla sua inutile famiglia a vantarsi del fatto che ne ha cantate al 'bigliettaio', come a volte vengo soprannominato. Spero vivamente di non incrociarlo. Dal canto mio l'ho soprannominato l'Idiota Saccente. Sono sotto shock. Il convoglio che viene fornito per effettuare il treno dei pendolari è uno dei meno capienti. Non basta certamente per tutti i viaggiatori che non vedono l'ora di rincasare. Già leggo il trafiletto in quindicesima pagina: 'Capotreno linciato dai pendolari.' Cammino velocemente fino alla testa del treno e già scoccano le varie frecciatine: “Ma è uno scherzo? E chi dovrebbe entrare lì dentro? Grandi Ferrovie, sempre meglio!” Scuoto visibilmente la testa per far capire agli astanti quanto sia contrariato da questa situazione. Mi rivolgo ad uno di loro: “Mi dispiace, ma siamo sulla stessa barca” Sarà un lungo, lungo viaggio e la situazione non migliora affatto quando vedo il Pomposo avvicinarsi sarcastico. “Bisogna essere tanto intelligenti per mettere due vagoni in più?” Che ignoranza!
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Come se fossi io il responsabile. SarĂ un lungo, lungo viaggio.
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Dire Straits – Planet of New Orleans In questa regione umida e fredda, i mattini si affacciano alla vista come un monitor appena acceso. Scendo in strada e tutto ha una tonalità grigia. La nebbia rimarrà ancora per qualche ora. Aspetto il treno. Questa è la vita del pendolare: uscire di casa mentre è ancora buio e rientrare quando è già buio. Intanto speri che il treno arrivi in orario, così da non dover fermarti in ufficio ulteriormente. Vedo avvicinarsi due individui di circa trent'anni, si chiamano Christian e Andrea. Il primo inforca un paio di spesse lenti per coprire un viso altrimenti vuoto, il secondo ostenta una fine barba. “Ho stampato i manifesti” - esordisce Christian senza salutarmi - “li distribuiamo già oggi?” Mi porge uno dei foglietti che tiene in mano. È un volantino di critica contro l'azienda ferroviaria rivolto agli utenti. Vogliono indire uno sciopero del biglietto: ognuno acquisterà regolarmente un abbonamento, ma eviterà di esibirlo a chi di dovere. Andrea dal canto suo attende di essere seduto in carrozza prima di accendere il suo netbook e mostrarmi la mail che ha inviato la sera prima. Lamenta carenza di puntualità, pulizia e cortesia da parte della società che gestisce il trasporto ferroviario regionale.
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Il ragazzo mi guarda in probabile ricerca di approvazione. “Sai cosa ne penso di queste battaglie?” - pulisco i miei occhiali appannati dallo sbalzo di temperatura “l'impiegato che riceve queste mail cliccherà su 'Messaggi', quindi su ' Seleziona tutti'” - mimo con la mano il tipico movimento del puntatore di un mouse - “...e quindi su 'Elimina'. Fidati, non importa a nessuno di quella mail.” Non ho edulcorato le mie parole, non sono ipocrita a tal punto. Una mail non cambierà nulla, un articolo di giornale invece smuove indubbiamente più coscienze. Come me, molti viaggiatori sono chini sui loro portatili. Qualcuno legge un libro. Io invece, sul mio portatile seleziono delle righe di codice di un programma da sottoporre al debug. Temo siano righe rindondanti. Ne posso fare a meno? I test lo riveleranno molto presto. Penso di aver utilizzato un vocabolario troppo specifico, mi spiego meglio: ogni programma informatico, è in realtà una sequenza di righe scritte in codice, le quali danno istruzioni al computer riguardo al 'comportamento' o ai calcoli da eseguire. Alcune di queste istruzioni potrebbero essere pleonastiche, ossia ovvie ed inutili. Un punto a favore del mio pendolarismo lo attribuisco per il semplice fatto che ho la possibilità di lavorare sui miei progetti ben prima di entrare in ufficio. Mi volto verso gli altri pendolari. Occhi prevalentemente insoddisfatti. Pochi sembrano mostrare qualcosa di
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diverso dalla tristezza. Forse apatia? Molti occhi vorrebbero potersi posare su lidi meravigliosi ma tutto ciò non è possibile naturalmente. I viaggiatori non si parlano spesso. Il più delle volte cala un silenzio rispettoso sul vagone, se qualcuno parlasse a voce più alta della media verrebbe subito colpito da feroci sguardi. Ad ogni fermata, il treno ingloba sempre più persone. Oramai moltissimi rimangono in piedi. Sono convinto del fatto che tale problema si potrebbe risolvere semplicemente con delle carrozze in aggiunta al convoglio o con l'inserimento in orario di ulteriori treni per i pendolari. Al mio fianco, in piedi ed ancorato al mio poggiatesta, un signore che giudicherei a me coetaneo, tamburella con un quotidiano arrotolato su una gamba. Sinceramente ne sono infastidito e provo quindi a farglielo capire senza dover, in maniera antipatica, chiedergli ad alta voce di smetterla. Gli lancio qualche occhiataccia. Niente. Riprovo. Contraccambia lo sguardo. Troppo a lungo, oh no! Questo è il preludio ad una conversazione... “Siamo quasi arrivati” - mi confida accompagnando le parole con un gesto eloquente della mano. Controllo l'ora. “A dire il vero mancano ancora circa ventiquattro minuti.” Scuote visibilmente la testa - “La nostra società è quasi arrivata. Ci autodistruggeremo senza alcuna possibilità di cambiare le cose.” Cerco di capire dove desidera arrivare.
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“Lei riesce ad immaginare un'altra generazione oltre a questa?” Tossisco: “Credo che la tecnologia ci porterà a livelli ancora inimmaginabili per...” Mi interrompe quasi deluso dalla mia risposta. “La tecnologia: è lei la chiave di volta. Si immagina in un futuro di vedere un bambino trovare su internet i video dei genitori che da adolescenti ne combinavano di tutti i colori, o semplicemente suonavano nei locali? Come cresceranno?” Non riesco a concepire di quale argomento stiamo disquisendo, ma ho caldo all'improvviso. Sento gli occhi degli altri viaggiatori su di me. È probabile che si stiano facendo l'idea ch'io sia un personaggio dalle idee altrettanto strambe. Devo comunque rispondere al mio interlocutore per quanto questi possa sembrare avere le traveggole: è un essere umano e merita rispetto per questo motivo. “Mi viene difficile da pensare, ha ragione.” - cerco di sbolognarlo. Annuisce enfaticamente, poi incredibilmente si fa largo tra la folla silenziosa e raggiunge la porta esterna del treno per scendere. La fine della società? Mi distolgo da questi pensieri, fanno perdere solo del tempo che posso sfruttare a vantaggio del mio lavoro. “Stupenda visione”
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“Come scusi?” - la bellissima ragazza che mi si è avvicinata per avvisarmi che una obliteratrice in stazione è guasta mi guarda incredula. “Ho detto che in un mattino piovoso come questo, vederla è una stupenda visione.” La Stupenda Visione accusa il colpo e sorride apprezzando la mia sfacciataggine. Abbassa leggermente il capo e distoglie lo sguardo per un attimo. “Tranquilla non ci sto provando. A meno che tu stasera non sia libera. In quel caso allora ci sto provando alla grande.” “Non sono libera stasera: esco col mio fidanzato, grazie comunque.” Se ne va. Dietro di lei un armadio a due ante con un piercing sul labbro inferiore ed una sciarpa bianconera se la ride. “Un commento e ti multo perché sei tifoso della Juventus.” Sorride di rimando. In fondo non era così bella, ragiono. Si notava una leggera peluria sotto il naso. Baffi. Meglio così. Il turno di quest'oggi prevede la scorta ad uno dei treni più affollati della regione. Regionale per Milano. Palpitazioni. Partenza da Torino alle 5.50. Pupille dilatate. Solo otto vetture con una capacità di ottantadue persone sedute, più un numero imprecisato di persone in piedi
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cadauna. Manie di persecuzione. Mi ero riservato uno spazio per le mie incombenze, ma siamo solo a metà strada e molti pendolari sono in piedi, per cui prima di ritrovare il mio trolley incendiato come sacrificio propiziatorio, decido di liberare i sedili. A una donna di circa cinquant'anni si illuminano gli occhi quando vede il sedile ora vuoto. “Posso sedermici?” “Pagando il giusto” - provo a fare il simpatico per evitare lamentele troppo accese. Evidentemente qualcuno non apprezza il mio umorismo, infatti una signora dietro di me mi guarda disgustata: “Hanno anche il coraggio di chiederti di pagare! Pensino prima a mettere qualche carrozza in più! Siete vergognosi!” Guardo l'orologio. Non sono ancora le sette del mattino. Mi sono alzato tre ore fa. Non ho avuto modo di prendere un caffè e mi scappa pipì: sono molto suscettibile agli attacchi che mi arrivano prima delle sette. Prendo fiato. “Suvvia, è mattino presto: già nervosa?” “Se lei non è capace di fare il suo lavoro stia a casa!” Conta fino a dieci: non ce l'ha con te personalmente, è solo agitata perché è in piedi e... “Se lei alle sette del mattino è già mestruata, dovrebbero far santo suo marito. Stia calma le allunga la vita...” Senti chi parla. Non sono 'sotto ciclo' anch'io? Mantenere la calma a volte è più difficile del solito. Io non
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sono nello stato psicofisico migliore per lasciar correre. In questi casi bisogna ripetersi che tu non ne puoi niente, che sei un viaggiatore come loro in fin dei conti, che fai quello che puoi con i mezzi che hai e che i viaggiatori incanalano le loro frustrazioni, talvolta anche quelle personali, sull'unico rappresentante della ferrovia che hanno davanti: te. Non funziona spesso, ci vuole un retroscena personale sereno e positivo. Il mio... no, non lo è. La conversazione avuta con il singolare personaggio in treno mi ha fatto riflettere per diversi giorni su qualcosa di molto diverso. Il pensiero delle persone di sesso maschile segue dei tragitti del tutto inaspettati: potete provarlo da voi stessi. Ad un uomo al quale viene chiesto su cosa si sta soffermando mentalmente, risponderà, nel novanta percento dei casi, 'nulla'. In realtà su questa affermazione si posano dei tabù, la vergogna forse, nonché la sicurezza di non essere creduto. Era abitudine di mia moglie, nei primi tempi della nostra relazione sentimentale di domandarmi senza alcun preavviso: ”A cosa pensi?” In quel momento il mio computer celebrale sembrava spegnersi di colpo. Ma se non rispondevo come scritto
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sopra mi ritrovavo a dare spiegazioni inverosimili su come da una frase in una canzone riuscissi a riflettere sulle caratteristiche inconfondibili di uno scotch piuttosto che di un brandy. Nessuno vi crederà immediatamente nel caso decideste di provarci. In questo caso da una potenziale autodistruzione di massa sono riuscito a passare ad una domanda in particolare: che ricordo sussisterà dopo la mia scomparsa da questo tetro suolo? Non temete: un modo arcaico per esorcizzare il terrore che prova l'essere umano nei confronti della morte consiste proprio nel parlarne. Viene talvolta definita come 'crisi di mezz'età'. Non penso sia il mio caso. Non sono in crisi. Ieri sera, di ritorno dall'ufficio, cercavo di rilassarmi nel vano tentativo di assopimento. Tutto ciò per non dover pensare ai disagi ferroviari che stavo subendo. Accanto a me era seduto un uomo con berretto da baseball a visiera piatta, come da tempo non se ne vedono, barba da fare, lenti spesse a creare occhi da gufo, camicia a quadretti e marsupio da boy-scout appoggiato sul davanti. Un mammone poco cresciuto deduco. Dava le spalle al senso di marcia, puntandosi al sedile e tenendo le mani a stringersi le ginocchia. Due uomini di circa trentacinque anni, vestiti come si acconcerebbero degli affaristi per una gita di piacere, ossia con una camicia a righe di dubbio gusto (si può denotare come una camicia a righe sia indice di
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sicurezza, mentre i quadri denunciano dei problemi mentali) e un paio di jeans molto scuri, dialogavano senza tener conto del fatto che gli astanti non erano certamente interessati ai fatti loro. Uno dei due sfoggiante dei fini baffi ben curati, raccontava con grande compiacimento dei suoi studi a Cambridge, della sua moglie russa oramai stella nazionale nella danza. Non terminava con le sue vanterie: la suocera era dirigente di una centrale nucleare, suo marito invece aveva progettato ai suoi tempi un missile terra-aria. D'altronde la sua famiglia non poteva essere di altra levatura: non era lui stesso un... già aveva affermato che la sua professione non era traducibile in italiano, aveva un termine inglese praticamente unico nel suo genere. Proprio per questo aveva deciso, di comune accordo con la moglie, di non avere figli: la carriera li avrebbe ripagati abbastanza. Mi soffermo su questa vicenda perché in quel momento riflettei che se avessi assistito a tale conversazione quando ero un semplice studente universitario avrei riso sonoramente di quell'uomo. Ma quella risata avrebbe semplicemente nascosto la mia invidia. La mia scala di valori con l'età si è drasticamente evoluta. La mia carriera è sì importante, ma i miei affetti che mi assisteranno al mio, speriamo lontanissimo capezzale, sono ciò su cui ho costruito la mia vita da quando è nata Sophia. Il resto non potrà eguagliare questi miei punti fermi. Non avrò una lapide celebrativa delle mie gesta e forse il
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ricordo di me non sopravvivrà a chi mi ha conosciuto ma da defunto non potrò ad ogni modo gloriarmi di tali onorificenze. Sono abbastanza sicuro che siete persuasi della mia infermità mentale.
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Lene Marlin – Maybe I'll go Viaggio in macchina. Quando il cervello lavora troppo mi è molto utile. Non vado da nessuna parte. La radio suona una canzone dei Goo Goo Dolls che piacevano molto alla mia ex. Fa un po' male questo. D'accordo. Togliamoci il dente. Come avrete senz'altro intuito, la mia ex, Cristina non mi ha lasciato, né io ho rotto con lei. Non esiste un modo meno rozzo di dirlo. È venuta a mancare, è morta. Si è trattato di un incidente stradale. La nebbia, la notte e penso anche la stanchezza. Un duro colpo. Avete presente quella sensazione che si ha subito dopo un pessimo avvenimento? Magari avete tamponato. Magari per una cretinata, che viene però a costarvi molti soldi. Oppure avete fatto cadere un souvenir di un viaggio in una località in cui non ritornerete. In quel caso il primo pensiero è: 'se potessi tornare indietro solo di pochissimi minuti!' Il dramma è appena accaduto, qualche secondo fa stavate guidando tranquillamente. Il souvenir era intatto. Ora siete a piedi e l'automobile è distrutta. Ora quel ricordo è in mille pezzi.
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Solo pochi minuti indietro. Il fattaccio è lì davanti a voi ed il momento in cui stavate bene si perde indietro nel tempo. Sempre di più. Sempre più lontano. Ho avuto quella sensazione per molte settimane. Avevo litigato con lei ventiquattro ore prima dell'incidente. Da allora non l'ho più sentita. Ti ripeti migliaia di volte che non avresti potuto fare nulla di diverso, ma il tarlo è lì. Lo psicanalista presso il quale sono andato per qualche seduta, ha cercato di impartirmi esercizi mentali, di aprire il mio dolore per aiutarmi a razionalizzarlo. Dicono che non ho mai pianto. Non lo so. C'era una tale confusione in quei giorni. Di quel periodo ricordo solo del rumore. Ora sapete molto, forse troppo. L'automobile continua il viaggio. Ed io? Il tramonto autunnale mi ha accompagnato fino a casa. Ora è buio fuori. Appena entrato nell'appartamento accendo lo stereo per sentirmi meno solo. Ceno con una pietanza surgelata acquistata per momenti del genere nei quali non ho assolutamente un umore adatto per cucinare. Quando penso a Cristina, praticamente in ogni momento, il senso di vuoto è ancora grande. È anche un senso di incompiutezza. In questi casi una buona dormita mi evita di pensare. Vado a letto.
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Rumori. In casa. Come è possibile? Sono entrati dei ladri? Resto in silenzio. Il rumori smettono poi ripartono: stanno rovistando nei scatoloni. C'è qualcuno in casa! Rifletto sul da farsi. Suggeriscono in questi casi di fare del rumore per evitare di affrontare gli intrusi che potrebbero essere armati. Mi alzo silenziosamente dal letto. Vicino al nuovo armadio c'è un'asta che utilizzo per appendere gli abiti in alto. D'accordo: utilizzerò appena mi andrà di sistemare casa. Mi avvicino al salotto dal quale i rumori continuano. La luce lunare che filtra da una finestra illumina parzialmente il treppiede dove è sistemata la vaschetta di Poldo. Un momento! La vaschetta è vuota! Maledette carogne, pure il pesce si vogliono portare via! Ho deciso: questo è troppo. In un attimo accendo la luce del salotto e brandendo l'asta con entrambe le mani urlo: “Altolà” Da uno scatolone balza in contemporanea col mio urlo disumano una gatto ringhiante col pelo rizzato. La sorpresa mi fa urlare ancora più forte e senza rendermene conto indietreggio istintivamente, inciampo su qualcosa di imprecisato e mi ritrovo gambe all'aria sdraiato su uno scatolone ancora da svuotare. Rido istericamente. Sono un idiota fatto e finito. Questa vicenda non uscirà da questa casa.
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In un momento ho ritrovato il gatto di mia sorella e ho perso Poldo. Nonché quel briciolo di lucidità mentale che avevo. Uno dei treni dei quali mi devo occupare questo pomeriggio, è in teoria, un regionale tranquillo per Cuneo. Non è una tratta che mi faccia piacere frequentare, ma di solito non si ingolfa di pendolari. Mancano dieci minuti alla partenza. Sono deciso a mettere in atto una tecnica suggeritami da un collega, Stefano, per la quale se dovessi incappare in un viaggiatore particolarmente fastidioso, la mia unica reazione dovrà essere uno sbrigativo: 'ha ragione, arrivederci'. Nello stato 'mestruale' nel quale mi trovo potrebbe essere un ottimo metodo per evitare discussioni animate come con la signora particolarmente nervosa sul treno per Milano, o come con l'Idiota Saccente la scorsa settimana. Alla prima opportunità testerò questo... L'Idiota Saccente. Non è possibile. Cosa ci fa su questo treno? Quello che prende per tornare a casa non è che tra cinque ore. Che sia uscito prima? È stato licenziato? Mi cullo in questa idea. Mi riconosce senza dubbio. Mantiene come al solito la solita espressione di superiorità e, come di consueto, mi studia da capo a piedi mentre mi passa accanto. Mi infastidisce.
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“Vuole scattarmi una foto?” “No grazie: non amo il trash.” - ghigna - “ Pensa di riuscire a far arrivare questo treno a destinazione entro la giornata di oggi o, come l'altra volta, rimarremo in aperta campagna?” “In caso di ritardo alleggerirò il carico scaraventando giù qualche pallone gonfiato.” - è indubbiamente una bella battuta ma la devo smettere! Alla prossima risposta gli darò ragione e mi allontanerò. Il Saccente insiste: “Penso che semplicemente potrebbe essere sufficiente provvedere un treno adeguato, e venire al lavoro in condizioni psichiche migliori.” Questo è troppo. Gli farò rimpiangere di essere così stupido. “Ha assolutamente ragione” - da qualche parte è sbucato Stefano, il mio collega, che mi prende a braccetto per portarmi a distanza di sicurezza. Sento una risposta dell'Idiota Saccente perdersi sul marciapiede. Il collega mi porta verso la coda del treno raccomandandomi di fare più attenzione alle mie battute sarcastiche, ma a me pare un allenatore che porti verso il suo angolo del ring il proprio pugile. Il pubblico urla incitamenti, Stefano mi spruzza la spugna sulla fronte e mi porge un secchio nel quale sputare. All'altro angolo il feroce pendolare non ha nemmeno il fiatone. Il coach mi dice di stargli alla larga o mi farà a pezzi. “Promettimi che non getterai la spugna, Steo!” - mi
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sembra di poter dire. Il collega se ne va ripetendomi la solita raccomandazione: 'assecondare'. Faccio partire il treno. Sono quasi ansioso del secondo round. Il cuore comincia a battere più velocemente. Din din! La campanella segna l'inizio della ripresa. È facile che stia ammattendo, sono una furia. Penso farò molto male all'Idiota Saccente. Non devo certamente essere io colui che deve consigliare il modo di presentarsi al mio prossimo, tanto meno a questo capotreno. Di sicuro un aspetto tanto trasandato non giova assolutamente all'immagine del ragazzo, né di riflesso alla sua azienda. Come appariamo è la chiave del relazionarsi in maniera vincente. Il mio abbigliamento composto, la barba ben curata ed il mio sguardo devono trasmettere sicurezza nei miei strumenti nonché determinazione. Come già detto, tutti comunichiamo molto di noi stessi senza dire una parola. Con il suddetto capotreno ho avuto una serie di frecciate, una schermaglia di poco conto che ho risolto a mio favore con poche frasi. Non credevo che uscendo dal lavoro così presto, lo avrei incontrato. È la seconda volta in poco tempo. In
teoria,
quest'oggi
non
sarei
nemmeno
dovuto
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presentarmi in ufficio, ma stanotte un server si è messo fuori gioco senza spiegazioni plausibili. Ho deciso di risolvere la situazione in poche ore. Il giovane ferroviere ha fischiato la partenza. Non abbiamo ancora preso velocità che lo vedo avvicinarsi. Dimostra una trentina d'anni d'età, ma il suo atteggiamento insicuro in alcune movenze, forse titubante lo potrebbe far giudicare più giovane. Mi guarda con un'aria che si potrebbe definire di sfida, si avvicina controllando i biglietti di chi siede davanti a me. È il mio turno. Simulo indifferenza. Mi chiede di esibire il mio titolo di viaggio. “Io sono il signor Luigi, ma lei chi è?” “Oltre che fastidioso ed ignorante, soffre anche del morbo di Alzheimer?” - la sua è forse un'espressione d'odio. “Come si permette di di darmi dell'ignorante?” “Se non lo fosse, non mi chiederebbe di aggiungere delle vetture, perché sarebbe al corrente che non sono io il responsabile delle composizioni. Ad ogni modo, posso vedere il biglietto?” Ho deciso che gli darò una lezione come si deve. “Dov'è il suo cartellino identificativo?” “Si è rotto ed è caduto. Fa fede della mia qualifica la divisa.” “Non ne sono persuaso. Si identifichi ed io le presenterò il mio abbonamento.” Penso mi abbia calorosamente invitato ad espletare bisogni fisici al più presto. Lo ringrazio: la stoccata vincente l'ho rifilata io.
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Finalmente dopo diversi giorni, ho la possibilità di stare in compagnia di mia figlia. La sua continua ricerca di un posto di lavoro le assorbe gran parte del tempo, dobbiamo quindi sfruttare le occasioni che abbiamo per stare insieme. Molti genitori sottovalutano stoltamente quanto sia importante la quantità di tempo che trascorrono con i propri figli. Durante l'infanzia di Sophia, ho messo al primo posto le sue necessità, soprattutto affettive e adesso posso dire che abbiamo un legame invidiabile. Questo pomeriggio ho acconsentito ad accompagnarla per negozi. È una bella donna ormai ed ha appena troncato una relazione con un ragazzo con il quale era uscita per diverso tempo. Penso che ne abbia sofferto molto, ma è stata lei a decidere il non-futuro della loro storia. Quando ci ha annunciato di questa triste novità ha precisato che 'due persone non possono fare molta strada se non remano nella stessa direzione'. “Allora, a cosa punti in questo periodo?” - quand'era bambina avevamo un dialogo molto aperto, inevitabilmente col passare del tempo le cose cambiano. “Penso a trovare un lavoro che mi piaccia così da non gravare sulle vostre spalle.” “Quindi solo alla carriera? Non diventerai come quelle donne manager, squali della finanza?” Ride di gusto. “Mi sono sempre occupata nello studio della psicologia...” “Dire 'studio della psicologia' è pleonastico perché la parola psico...” Mi interrompe a sua volta:
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“Lo so, lo so, era solo per farti innervosire! Non so cosa succederà, aspetto e spero. Non ho fretta.” “Spero troverai quello che cerchi” - la attiro a me. “Da una parte lo spero anch'io, sono stufa di questi bamboccioni vuoti” “Io intendevo dire che spero tu riesca a trovare un buon lavoro così da non rimanermi sulle spalle...” Finge uno shock. I suoi occhi verdi scintillano. Appoggia le mani sul mio petto aggiustandomi la cravatta. “Beh, nel frattempo dovrò ancora dipendere da te per riuscire ad acquistare quella borsa di Prada!” L'occhio mi cade sulla vetrina davanti alla quale ci siamo fermati. Scuoto la testa, ma lei lo sa che ha vinto: un padre per la propria figlia fa questo e altro.
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Aqualung – Easier to lie Quest'anno pare che l'inverno sia arrivato con un po' di anticipo e tutte le persone sono fasciate e imbottite da cappotti che non vedevano l'ora di tirar fuori dall'armadio. Qualche giubbotto in pelle resiste ancora. È un pomeriggio falso: c'è un pallido sole ma la temperatura è molto bassa. Ora capisco perché viene definito 'freddo pungente'. È comunque un pomeriggio bello, seppur ipocrita, come un funerale sotto il solleone. Sono venuto in città resistendo a tutti cartelloni pubblicitari che hanno già rapito numerosi veicoli pieni di famiglie attirate da promesse allettanti quali: 'Cinema multisala', 'il palazzo dello shopping'... Di Sabato le vittime sono tantissime, e questo fine settimana non è differente dagli altri.In stazione, chi viaggia oggi è carico di almeno una valigia. Annuncio telefonicamente a chi di dovere che sono già sul treno che devo scortare. Le carrozze sono già state assaltate dai viaggiatori occasionali, tipici del week end: più pretenziosi dei pendolari e, a volte, più irascibili. Compio diversi dribbling tra vecchietti disperati nel tentativo di comprendere se la carrozza nella quale hanno già riversato i loro bagagli va oppure meno a Milano e se le otto persone a cui hanno fatto questa domanda non hanno mentito. Più si invecchia, meno certezze si hanno. Paradossale.
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Qualche anno fa un signore di circa settant'anni mi urlava che non l'avrei fregato mentre tentavo di spiegargli che la sua fermata era la prossima. A volte sono infastidito dalla loro prevedibilità,a volte li compatisco e spero in un futuro, quando sarò vecchio, di non essere in balia di un giovane come me. Salgo nella carrozza in testa al treno (e qui devo precisare che la testa del treno è la prima vettura nel senso di marcia) sono in tempo per vedere una squadretta di Pulitori fare una retata-lampo tra i sedili. Il tempo a loro disposizione non è molto e a mio avviso il miglior sistema di pulizia di un treno è utilizzando un lanciafiamme. Non so perché mi viene in mente Cristina. Mi ricordo che era veramente meticolosa nel tenere in ordine le cose di sua proprietà. Forse per questo sotto questo aspetto mi sentivo in soggezione e non la feci entrare nel mio appartamento di allora per molto tempo. La cosa durò finché non si auto-invitò con degli amici: rimase senza parole. D'altronde nemmeno lo zerbino era al suo posto, ma su questo avevo un'ottima spiegazione plausibile, alla quale però non credette. Sul marciapiede un ragazzino bacia la sua ragazza in attesa di partire. Una scena che si ripete molte volte in quasi ogni viaggio. Il treno è il modo migliore per dire addio: parte subito e non torna indietro. E questa è una cosa che il nostro cuore non è sempre in grado di fare. Prendere una decisione e rimanere su quel binario. Partiamo finalmente. Mi siedo nel posto che mi sono
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riservato. La faccenda del gatto, l'altra notte mi ha fatto finalmente recepire la qualità del mio disordine. Dovrò porre rimedio. Intanto, quanto sono stato stupido! Avrei dovuto riprendermi con una telecamera nel mio volo carpiato, avvitato sullo scatolone. Esilarante. Mentre sono appoggiato al finestrino guardando le luci dei paesi che attraversiamo scappare rincorrendosi, mi scopro di star sorridendo. “Deve essere davvero divertente.” - una voce mi riscuote. Chi mi ha rivolto la parola è una bella ragazza. Un viso molto dolce. Di certo non le spiegherò mai il motivo del mio sorriso. Decido di improvvisare. Racconto di star ripensando ad un aneddoto successo però realmente: dovevo convincere mia nipote a far visita ad una sua zia malata in ospedale. La piccola aveva paura di rimanere impressionata dai vecchi ( li aveva definiti malati e piscioni). La dovetti così tranquillizzare che non avrebbe visto nulla di sconvolgente. Il problema sorse nel momento nel quale si aprirono le porte scorrevoli all'ingresso della struttura, quando passò un infermiere che stava spingendo una barella. Sulla barella c'era un corpo coperto totalmente da un lenzuolo bianco. Desirèe rimase muta e con gli occhi sgranati fino al ritorno a casa. La viaggiatrice ride. Una risata piacevole. “Mi chiamo Marco. Tu?”
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“Anna” “Luigi, puoi venire un attimo?” Il signore che richiede la mia presenza, è un ingegnere appena entrato negli 'anta' al quale hanno presumibilmente promesso un posto nei piani alti della società, a giudicare dalla sua instancabile attività. Non è raro che salti la pausa pranzo per essere operativo ala 101 percento. A dire il vero, un atteggiamento del genere è, a mio avviso, in maniera troppo evidente ruffiano. Il suo comportamento vuole palesemente dire: 'io sono un capo, merito di essere il capo, fai attenzione a non deludere il capo'. Sono più anziano di lui, ho più esperienza: non mi tange assolutamente un simile messaggio. Entro nell'ufficio dell'ingegnere. “Dimmi Michele”. “Due giorni fa è deceduto il signor Terlizzi. Il funerale è oggi pomeriggio.” Il signor Terlizzi è stato uno storico cliente della nostra azienda e la sua ditta continua a servirsi dei nostri progetti. Comprendo dove vuole arrivare: “Va da sé che un buon gesto di cortesia da parte nostra sia che un nostro dipendente ci rappresenti in un momento tanto...” Non ho avuto molti contatti con questo cliente, mi pare
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ipocrita da parte nostra mandare un dipendente come me. “Immagino che la tua presenza in questo ufficio sia talmente indispensabile da non mettere assolutamente in discussione il fatto che ad andare al funerale debba essere io.” - sono un po' sarcastico, ne sono consapevole. Essere considerato un semplice dipendente da un ingegnere che di sé stesso ha una considerazione indubbiamente eccessiva, mi fa ribollire il sangue nelle vene. È inoltre da precisare che non è nemmeno un mio superiore. “Oggi pomeriggio devo presenziare all'incontro con un potenziale cliente. Ah, a proposito, mi servi sabato mattina per discutere alcune linee...” Lo interrompo subito: “Se sabato mattina ti servo mi troverai in un bar di Cuneo, con mia moglie, a sorseggiare un cappuccino. Se vuoi ordiniamo anche per te.” - mi fa piacere vedere la smorfia di sorriso spegnersi lentamente sul suo viso - “Mandami via mail le coordinate del funerale.” Lo saluto e torno alla mia postazione di lavoro. Vicino alla mia scrivania un ragazzo assunto solo due anni fa, Davide, ride sotto i baffi: ha sentito la mia risposta. “Luigi, tu mi fai scassare!” “Cosa vuol dire che ti faccio scassare?” “Mi piace il tuo politically correct...”
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“Dimmi, cosa ti serve?” “Sono anni ormai che non scrivo in C++” - spiego per chi non lo sapesse: il linguaggio di scrittura C++ è un modo per creare dei programmi informatici - “mi serve una mano.” “Il C++ è ormai obsoleto.” “Mi aiuterai o no?” “Arrivo tra otto minuti.” Ho calcolato che per acquietarmi dopo un carico di nervosismo mi occorrono circa cinque minuti. Dopo la pausa pranzo, mi arrivano due mail. La prima mi informa dell'orario e del luogo del funerale, la seconda me la manda Davide. Intitolata 'il galateo del funerale', è un decalogo di gesti da evitare durante tale cerimonia. Alcune sono divertenti. Ad esempio compare la regola che dice: 'Non portare la macchina fotografica...ed insistere per fare la foto a tutti vicino la bara; non andare dalla vedova e chiederle se vi ha già stirato i pantaloni.' Quali idiozie! Non ho tempo per queste cose, ho una funzione alla quale assistere e nessuno è stato tanto cortese da avvisarmi in tempo: avrei potuto vestire in maniera senz'altro più consona. Poco importa ormai, ho comunque dei pantaloni scuri ed il mio soprabito è nero, vorrà dire che rimarrò in disparte per non dare nell'occhio.
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Un re ebreo, il celeberrimo Salomone, noto per la sua saggezza, fece compilare una raccolta di suoi proverbi e di alcune espressioni tipiche del suo tempo in un libro che è conosciuto dai biblisti come, ovviamente, 'Proverbi'. Non tutti però sono al corrente che Salomone scrisse altri due libri, uno dei quali viene chiamato, a seconda delle scuole di pensiero, 'Qoelet' o Ecclesiaste. Ho avuto modo di studiare quest'opera biblica ai tempi dell'università e ne sono rimasto affascinato: riflessioni fatte da una saggezza indubbiamente superiore che precorreva i tempi. Una di queste espressioni dice: 'È meglio andare alla casa del lutto che andare alla casa del banchetto, perché quella è la fine di tutto il genere umano; e chi è in vita lo dovrebbe prendere a cuore'. In effetti, vedendo le persone riunite per l'ultimo saluto al signor Terlizzi, si comprende pienamente come non esista luogo migliore per poter riflettere sulla propria vita. La vedova è composta nel suo dolore. Avevo sentito dire che suo marito era malato da tempo e le frasi fatte ed i luoghi comuni che odo dagli amici del defunto me lo confermano. Sono nella camera ardente. Ho già fatto le condoglianze da parte della Infosolutions ai familiari più stretti, tralasciando volutamente il fatto che con il signor Terlizzi non ho avuto contatti significativi. Ora ho un problema: sto osservando il cadavere in attesa che venga coperto e mi è venuta in mente una delle regole del decalogo inviatomi via mail dal giovane
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collega: 'Non dare la mano al morto facendo finta di non poterla più togliere perché incastrati'. Comincia tutto quando visualizzo mentalmente una scena del genere. Mi viene da ridere. E più cerco di riflettere su altro, più mi vengono in mente regole di quello stupido galateo. Mi sposto verso il fondo della stanza. Mi sto coprendo gran parte del viso con una mano come quando si è preoccupati. Solo gli occhi sono scoperti. 'Non indicare la bara e urlare che il cadavere si sta muovendo'. Respiro a fondo per trattenere questa ilarità poco opportuna, mi mordo la lingua tanto da avere le lacrime agli occhi. Il tizio accanto a me, un uomo di una stazza formidabile, se ne è probabilmente accorto. Ha sentito i miei sospiri e ha notato i miei occhi lucidi. Mi abbraccia con uno dei suoi arti di incredibile lunghezza sussurrandomi: “Meglio così, adesso non soffre più.” Non so come andrà a finire questa storia, di certo c'è solo che se arrivo vivo e vegeto in ufficio, Davide morrà in strazianti sofferenze. Che strano. Mi sono svegliato stamattina con la voglia di suonare il tema di 'Tequila e Bonetti'. Era diverso tempo che non venivo preso da un desiderio del genere. A dirla tutta è dal giorno dell'incidente che non suono regolarmente.
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Ho sempre avuto una particolarità comune a molte persone: al mio risveglio una canzone cominciava a suonare nella mia testa. Che strano. Da quel giorno non era più successo. Mi metto alla tastiera. Le mie dita cercano di riprendere confidenza con i tasti bianchi e neri ma l'inattività si fa sentire subito. Non mi arrendo. Suonerò fino a che non riprenderò la mano. Lentamente la melodia prende forma. Certo è che il brano che ho intenzione di eseguire non è uno dei più facili. Mentre suono mi perdo in un altro mondo. Mi sento rilassato dopo molto tempo. Avevo dimenticato questa sensazione. Respiro anche meglio. Non c'è cura migliore di una buona melodia. Il cellulare emette un bip. SMS in arrivo. È Anna. Ci siamo scambiati i numeri di telefono quella sera sul treno. È una ragazza molto intelligente, ironica anche. Ed è stata lei a chiedermi il numero. Sono giorni che ci spediamo messaggi e anche in questo caso è stata lei per prima a spedirne uno. Ero in un pub. Da solo perché l'amico con il quale avevo l'appuntamento mi aveva dato buca all'ultimo. Al bancone non c'era nessuno di particolarmente loquace. Una band suonava un blues molto triste.
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Quando sei alla seconda birra media, un gruppo suona qualcosa di triste e sei da solo, la paranoia può vincerti. All'improvviso mi era arrivato il primo SMS. Il display del cellulare si era illuminato a festa riflettendosi sul boccale mezzo vuoto. Era un invito per l'indomani sera. Controllai mentalmente i miei turni: l'indomani avrei terminato alle 19.15. Avrei dovuto cambiarmi un po' di corsa ma non era impossibile. Io non penso avrei avuto il coraggio di inviare per primo un SMS. Che avrei dovuto scrivere? Così da quel giorno abbiamo cominciato ad uscire regolarmente insieme. Il messaggio appena arrivatomi recita: 'Mmm sento che non mi stai pensando.' Rido per un po'. Essendo il mio giorno di riposo, questo pomeriggio vado da Desy. È uscito nelle sale cinematografiche l'ultimo cartone animato in 3D ed ho promesso alla perfida nipote che l'avrei portata allo spettacolo pomeridiano. Come entro nell'appartamento di mia sorella, Desirèe è già pronta davanti alla porta con il cappottino tra le braccia. Corre verso di me e mi bacia. Sono forse morto? Da quando è così affettuosa? Questi sono i miracoli che fanno le promesse ai bambini. Femi compare camminando velocemente come suo solito. Mi saluta rapidamente e fa le solite raccomandazioni alla bambina. Da una carezza anche a me:
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“Mi raccomando non lasciarla nemmeno un attimo al cinema.” “Quanto sei noiosa, vecchia!” Desy ride e insieme scappiamo. Lo spettacolo inizia tra meno di un'ora. Non ero mai andato al cinema al pomeriggio. È una sensazione strana. La biglietteria è colma di nonni con i nipotini, mamme esaurite dalle richieste sempre fatalmente soddisfatte dei propri pargoli, forse c'è anche un signore di una sessantina d'anni con il nipotino che lo sta comandando a bacchetta. Ho una voglia tremenda di mettere in riga il bambino ma decido di pensare ai fatti miei. I biglietti sono numerati quindi il posto è assegnato per forza di cose. Al mio fianco c'è una donna anziana con la nipote di circa sette anni. Il cartone animato è noioso, la trama non regge. Inoltre se il protagonista è imprigionato, come fa la principessa a scoprirlo senza che nessuno glielo dica? Ho inoltre fatto l'errore, ieri, di andare su un sito internet nel quale svelano i finali di ogni film compreso questo. La vecchia al mio fianco sta spiegando per filo e per segno ogni nuovo avvenimento nel film alla piccola in sua compagnia. “Ecco, ora il drago si scopre che è buono.” Mi fa venire i nervi! Desirèe, dal canto suo, segue la trama con occhi sgranati e la bocca socchiusa. Dovrei andare in bagno, ma non posso perderla di vista.
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Finalmente, l'intervallo. Ho deciso di mettere la parola fine alla telecronaca che sta conducendo l'anziana donna per cui le racconto che il cartone l'abbiamo già visto: la principessa muore e il protagonista sembra cattivo ma in realtà non lo è. Lo fa solo perché è deluso dalla sua vita. La vecchia mi guarda per un attimo e dice: “Baggianate! Nessuna storia può essere così triste.” Approfitto della premura per la nipote che contraddistingue questa signora per affidarle momentaneamente Desirèe. Io devo correre in bagno. Ne avevo proprio bisogno. Al mio ritorno la vecchia mi chiede: “Lei è uno scriteriato! Cosa insegna a sua nipote?” Desy sta fissando in modo curioso la donna, non ho idea del motivo che la spinga a farlo. “Cosa hai combinato?” “Zio, lei non ci crede alla vecchia con la falce!” - è scandalizzata - “diglielo tu che tra poco la viene a prendere!” Mi rivolgo all'anziana donna: “La perdoni, guarda troppi cartoni animati...” Ricomincia lo spettacolo: il cartone animato va avanti secondo le mie previsioni e vedo distintamente il tarlo del dubbio nella donna che non sa più cosa raccontare alla propria nipote. In realtà la principessa è solo svenuta ma si scoprirà solo alla fine. L'amore trionferà. Come sempre. Nessuna storia può essere triste.
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Detesto correre ma devo farlo. Corro per non perdere il treno. Ho impiegato più tempo del previsto nel discutere con dei colleghi su alcune linee guida di un progetto per cui mi sono dileguato dall'ufficio troppo tardi. Procedo spedito verso la stazione di Porta Nuova, tra due minuti parte il treno. Posso farcela! Ho il fiatone ma sono quasi arrivato al binario dal quale partirà il convoglio per Cuneo. Eccomi! Vedo il capotreno all'altezza della prima carrozza: sta portando il fischietto alle labbra. Salgo. La vettura è piena all'inverosimile. Il ferroviere di questo treno, ovvio, è il Menefreghista Inetto. Al mio passaggio lo vedo sogghignare. Agisce con una strana chiave su una scatoletta ai piedi della porta vicino alla quale sono appoggiato per riprendere fiato. Sento i tipici suoni di avvertimento che precedono la chiusura delle porte esterne di tutto il convoglio. Lo vedo prestare un'occhiata verso la testa del treno e bisbigliare fra sé: “Sembrano tutte chiuse, andiamo.” Con una torcia fa un ampio gesto con il braccio emettendo una luce verde, sale sulla carrozza e cerca di chiuderne l'ultima porta ma un ragazzo urlante ci si appende per evitare di perdere il treno. Il ferroviere urla al nuovo arrivato:
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“Togliti da lì, cretino!” Finalmente la porta si chiude, il ragazzo urlante è rimasto sul marciapiede ed il ferroviere sospira di sollievo. Che persona maleducata! “Non solo siamo costretti a viaggiare stretti come sardine, ma veniamo pure apostrofati da lei come dei cretini!” Il capotreno inetto ed arrogante mi guarda e chiede in modo odioso: “Se quel Cretino fosse rimasto appeso alla porta a treno in movimento e fosse caduto, il minimo danno che avrebbe subito sarebbe stata l'amputazione di almeno una gamba. Detto questo: lei come definirebbe una persona che preferisce perdere una gamba piuttosto che perdere il treno? Per me è un cretino.” “Su questa base potrei darle ragione, ma lei deve tenere in mente che il momento e la situazione rendono la nostra scala di valori relativa. Quindi in questo momento il poter salire sul convoglio è, per quel ragazzo, la priorità suprema...” Il ferroviere mi interrompe: “Scusi un attimo!” Dopo di che finge di addormentarsi e di essere sonnambulo. Quindi si dilegua nella calca dei pendolari. Quanto è indisponente!
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Imogen Heap – Hide and Seek Era diverso tempo che non entravo in una pista di pattinaggio su ghiaccio. Sembra sia un must per le coppie che cominciano a frequentarsi. Sono venuto con Anna e una decina di suoi amici. La serata è già fredda, strizza l'occhio all'inverno. Il cielo buio è disturbato dai riflettori puntati sul pavimento ghiacciato. Abbiamo dovuto consegnare i nostri documenti d'identità alla cassiera come cauzione dei preziosissimi pattini datici in consegna. Naturalmente, i miei primi passi sono molto incerti, se non addirittura goffi. Anna ne ride divertita mentre vola leggiadra in larghi cerchi sulla pista che ormai conta una trentina di pattinatori. Decide di darmi una mano, il mio orgoglio maschile ne è un po' ferito, ma le sue istruzioni mi permettono in poco tempo di riprendere confidenza con i movimenti cadenzati. Cerco di dare a vedere che non mi sto divertendo granché, anche se non è del tutto vero. Al mio fianco passa una coppietta che danza abbracciata e si lancia sguardi carichi di romanticismo. Alzo un sopracciglio e scuoto la testa: come sono banali! “Cerchi sempre di dare a vedere che non sei d'accordo con la gente che ti circonda” – Anna mi sorprende “perché?” “Il loro comportamento è così ovvio! Non c'è originalità. Insomma, in quanti film al cinema sono rappresentate delle scene d'amore sullo scenario di una pista di
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pattinaggio?” “Quindi sono uno stereotipo?” “Un che cosa?” Ride. Scivoliamo leggeri fino alla ringhiera a bordo pista. In realtà è lei che guida ed è molto brava. Mi appoggio coi gomiti ad una delle sbarre. Anna mantiene le sue mani inguantate sui miei fianchi. “Quindi se noi adesso...” - si morde il labbro inferiore “...ci baciassimo...” Se ci baciassimo sarebbe perfetto, penso. “Naaa, non sarebbe credibile” - sorrido e mi dileguo a lunghe falcate. Continuiamo a pattinare per quasi un'ora prima di riconsegnare, sfiancati, i pattini. Mentre, chini, ci cambiamo calzature, Anna a bassa voce mi confida: “Credo che il tuo atteggiamento menta. I tuoi occhi parlano più di te.” “A chi non capita?” - chiedo sarcastico. “Anche adesso lo stai facendo” - mi fissa intensamente. “E cosa dicono i miei occhi?” “Che hai paura di ammettere che ti sei divertito, e forse che hai paura di ammettere che muori dalla voglia di baciarmi.” “Studi psicologia?” “A dire il vero è pleonastico dire...” Cinzia, una delle amiche di Anna, torna con i nostri documenti e comincia a distribuirli. “Marco Ferri, questo è tuo” - apre il documento per
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guardarne la foto e ride. “Questo è il mio, ma non vi faccio vedere la foto” - ne apre un altro e lo consegna ad Anna: “Anna Sophia De Bernardinis. Che nome altisonante!” Non sapevo avesse un secondo nome: “Ti chiami Sofia?” “Sì con la ph, vuol dire conoscenza, ma solo mio padre mi chiama così ormai.” Mi piace il nome Sophia. Cinzia si lamenta che ha fame e per questo viene canzonata da tutti. Ci mettiamo comunque alla ricerca di una pizzeria. Più cose imparo riguardo Anna, più ne rimango affascinato. Forse per questo commetto un grave errore. Ci stavamo salutando, la serata era ormai conclusa. Lei stava già entrando nell'automobile di una sua amica. In realtà non ero sicuro di come avrei dovuto salutarla: una stretta di mano? Due bacini? Forse era troppo formale. “Beh, allora ci si vede domani sera.” “Ok, mi vieni a prendere a casa?” “Certo, dimmi solo dove abiti.” Silenzio imbarazzante. “Ascolta, prima avevi ragione. Forse solo i miei occhi non mentono. E forse prima avevo davvero voglia di baciarti.” Lei aveva sorriso. Ecco l'errore: ci siamo baciati.
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È oltremodo suggestivo leggere un libro seduti in poltrona davanti ad una finestra che affaccia sull'oscurità invernale, godendosi il calore del camino scoppiettante. Alice è al lavoro in ospedale, quindi sono solo nella casa semibuia. Ho tra le mani un classico della letteratura straniera, 'Il rosso e il nero' e, per completare il quadretto in maniera tipica, sorseggio un cognac. È incredibilmente rilassante. Se rifletto che la maggior parte degli italiani in questo momento, sta fagocitando tutto ciò che la televisione rigurgita mi viene il voltastomaco. Durante i miei studi umanistici, lessi '1984' di George Orwell. Immediatamente non paragonai gli spettacoli televisivi ad uno specchietto per le allodole, in quegli anni non vi erano abbastanza strumenti, a mio avviso. Col passare del tempo però, la nostra situazione è drammaticamente cambiata: da innocui spazi pubblicitari sul ragù bolognese siamo arrivati a produrre spot insistenti a incitare il gioco d'azzardo, i reality show nonché videogiochi di una violenza impressionante. Veniamo distratti? Il nostro tempo viene rubato e quel che è peggio è che questo furto si ripercuote sui nostri figli. Ecco dunque il perché di notizie agghiaccianti di azioni deplorevoli ed immorali compiute da minorenni. Quel particolare signore incontrato sul treno asseriva che a suo avviso la nostra società è destinata a scomparire. Dovrebbe aggiungere un'altra argomentazione alla sua tesi: gli adolescenti di oggi sono vuoti. Non è una loro
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colpa: è nostra. Non viene loro dedicato sufficiente tempo giustificandoci, in maniera pessima, che la nostra attività lavorativa occupa la maggior parte della nostra vita e, per compensare, assecondiamo ogni loro capriccio per poter andare a dormire con una coscienza quieta. Diamo in pasto a questi potenziali geni e luminari della fisica e di ogni scienza ore e ore di pellicole violente, sessualmente promiscue, di personaggi scorretti e, per questo, vincenti. Non facciamo sentire loro la conseguenza delle loro azioni. Diveniamo iperprotettivi. Scottarsi a volte lascia un segno ma insegna. Non mi si fraintenda: non odio i giovani, ma il modo nel quale li stiamo educando. Quando le redini del mondo le avranno loro, e non avranno mai perso nulla, cosa accadrà? In tempi nei quali si cerca di attenuare la xenofobia va fatta una considerazione un po' generalista: prendiamo a confronto con un tipico giovane italiano un ragazzo immigrato o figlio di immigrati. Noteremo un' eccezionale differenza nella risoluzione di problemi di varia natura. Si tratta di una sobrietà mentale non indifferente . Un metro di misura è il senso dell'umorismo. Secondo Freud, il motto di spirito è una forma di intelligenza. Nelle nuove generazioni è raramente presente purtroppo, poiché richiede una mente sveglia nonché molto svelta. Non si tratta di ilarità, ma di ironia. Un episodio al quale ho assistito lo sottolinea meglio: sul treno che utilizzo per recarmi a Torino, una ragazza di
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nazionalità senegalese, non avvezza ai viaggi su rotaia, chiese al capotreno dove fossero ubicati i sevizi igienici. La risposta fu: “Vada sempre dritto, giri a sinistra, scenda le scale e dopo il bar chieda informazioni.” La ragazza rise della battuta mentre un viaggiatore vicino a me, oserei dire diciassettenne, chiese al ferroviere se era realmente presente un bar sul treno. Non mi vanto assolutamente di aver risposto al posto del capotreno che, se il ragazzo avesse avuto fede, avrebbe trovato l'esercizio ancora aperto. Ecco appena dimostrato come il pensiero maschile corra troppo: da un libro davanti al camino siamo arrivati a considerare l'educazione malsana a cui sottoponiamo i nostri figli. Sento aprirsi la porta di casa, è Sophia che rientra dalla serata con gli amici. Ha un sorriso etereo e uno sguardo trasognante. Non l'avevo mai vista con un'espressione del genere. “Avete pattinato?” Annuisce, appoggia il cappotto sul divano – sa benissimo che preferisco lo appenda immediatamente – e si lascia cadere sui cuscini. Il sorriso non la lascia, sembra un'adolescente di ritorno dal suo primo appuntamento. Abbasso gli occhiali sul naso. “Va tutto bene?” Annuisce nuovamente. Guarda un punto fisso lontano. “Mi ha baciata.” Sento uno schiaffo sulla nuca e subito dopo il sangue mi
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ribolle nelle vene. “Chi, di grazia ti ha baciata?” “Marco, lui oh...” Perché si comporta in questo modo? E soprattutto chi è Marco? A priori lo considero un'idiota. Mia figlia chiude gli occhi come a volersi gustare il ricordo della serata appena trascorsa. Compare all'ingresso Alice. Ci sorride mentre appende la mantellina. “Ciao Tesoro, come è andata con Marco?” - chiede in tono cospiratorio. Alla domanda, Sophia scatta in piedi e le corre incontro. “Oh mamma ti devo raccontare tutto!”
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Goo Goo Dolls – Here is gone Una delle idee più stupide che abbia mai avuto, consiste nel creare una finta copertina ad un libro. Il libro in questione è in questo caso l'autobiografia di Jim Morrison, ma può fare al caso vostro qualsiasi altra opera. Il titolo di questa biografia è 'Nessuno uscirà vivo di qui', tema che mi ha dato l'input per la malsana idea. Nuova copertina. Nuovo titolo. Dopo ore di riflessione attenta ho partorito: 'Il ferroviere che uccideva i pendolari – tratto da una storia vera'. Ieri sul treno non vedevo l'ora di provarlo, ed ha suscitato diverse reazioni. Una donna, ad esempio, che non smetteva un attimo di parlare, si è ammutolita di botto e con occhi spalancati, cercava di attirare l'attenzione della sua passiva interlocutrice senza farsi notare da me. Un ragazzo di ventisette anni circa, alla vista della posticcia copertina, ha cominciato a ridere ed ha addirittura scattato una foto con il cellulare. Ho deciso che userò questo libro come arma psicologica. L'occasione più propizia l'ho in un treno colmo di pendolari sul quale viaggio fuori servizio (cioè non sto lavorando, semplicemente torno a casa) e dove, come ben so, viaggia l'Idiota Saccente, alias Braveheart. Lo so che non l'ho mai chiamato così, questo soprannome mi è venuto adesso.
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Braveheart: il solido difensore dei diritti del popolo pendolare. Penso che abbiate capito da voi stessi che non ho nulla contro i pendolari, facendone parte anch'io, anche se a mio avviso si lamentano troppo; il mio astio è rivolto verso il signor Luigi ed i suoi modi da fuorilegge ribelle in conflitto contro lo spadroneggiare della ferrovia. Proprio come nel vecchio West. Il vecchio West? Ossia lui sarebbe uno dei fratelli James ed io un misero sgherro dei ricchi padroni della ferrovia? Mi ricordo che nelle mie infantili aspirazioni dovevo essere io il cowboy buono, possibile ch'io sia cambiato così tanto? E poi lo sgherro non muore alla fine del film? Non è giusto! Devo cambiare paragone. C'è una leggenda che narra di un eroe che combatte contro i propri clienti, ci si scontra quotidianamente ed alla fine vince? È un – come direbbe Anna? - un non-sense: non si può vincere contro i clienti. Chi ti darà da mangiare in seguito? Mi riscuoto dai miei pensieri, Jesse James (non più Braveheart) mi ha sicuramente riconosciuto. Mi ci sono seduto di fronte appositamente per questo scherzo. Il vento spazza il suolo nel silenzio generale, un arbusto secco viene portato via. Dal Saloon alla mia destra escono alcuni clienti incuriositi da quello che potrebbe succedere in strada.
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Estraggo dalla fondina il libro dalla copertina fasulla, non nascondo un ghigno. A dire il vero non riesco a nasconderlo. Il malefico pendolare distoglie lo sguardo dalla sua rivista e fissa la mia copertina per alcuni istanti. Vedo nel suo sguardo passare dapprima perplessità, poi incredulità, infine qualcosa di indefinito. Ci fissiamo negli occhi. Abbassa la sua rivista, si leva gli occhiali e tuona: “Lei è un idiota, ne è consapevole?” Sorrido di rimando. “Perché non lavora invece di esibire la sua instabilità mentale?” Anche Jesse James ha un ghigno ora. Probabilmente non ha capito che sono fuori servizio. Ne approfitto. “Ha assolutamente ragione: biglietto prego!” Devo ammettere che esibisce l'abbonamento senza fiatare, mentre io stavo solo scherzando. Pessimo senso dell'umorismo. Noto che non ha ancora scritto sul suo abbonamento il numero di tessera che lo deve accompagnare. Godo. “Non ha inserito il numero di abbonamento. Sono cinquanta Euro.” Non ha parole. Io sì. “Forse è meglio che io continui a fare l'idiota. Ora stia muto.” E non so come ma la parola 'muto' la pronuncio con due
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emme, mentre accompagno il tutto con l'indice davanti alle labbra ad enfatizzare il concetto. In effetti rimane in silenzio per il resto del viaggio. Uno a uno, palla al centro. A metà del percorso del treno, scendo alla mia fermata. Sono al settimo cielo e oltretutto tra meno di due ore ho un appuntamento con Anna. Nulla può rovinarmi l'umore, nemmeno lo sguardo torvo di Braveheart che sta architettando qualcosa. Non so cosa ma non è nulla di promettente. Attenderò sulla riva del fiume che passi il tuo cadavere portato dalla corrente. Cadavere che non escludo io possa commissionare. Le mie esternazioni al capotreno meno professionale che abbia mai incontrato nella mia lunga vita di pendolare, mi sono costate una mera figura da sprovveduto. Il mio stress viene sicuramente denunciato da una mancanza come quella di non aver segnato il numero di tessera sull'abbonamento. Mi rifarò, presto o tardi. Per il resto del viaggio sono stato eccessivamente nervoso per continuare la lettura dell'opuscolo che avevo in mano. Ho programmato per questa sera una sorpresa per mia moglie. Si dice che la panacea dei mali invisibili sia una buona cena. Inoltre il vino contribuisce a rallegrare il cuore. Non
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lo dico io, è descritto nel Vecchio Testamento. Da tutto ciò è scaturita la prenotazione presso la trattoria 'Da Circe', il cui nome mitologico dovrebbe preannunciare un baccanale di buon cibo. La mia intenzione è quella di rinfrancare lo spirito di Alice e di scoprire da dove nasce questa sua indisposizione. Sarebbe un'utopia pensare di risolvere tutto in una sera, ma tentar non nuoce a nessuno, quindi proviamo a tagliare questo nodo gordiano. È giusto che la serata abbia il suo corso. Per questo motivo mi sono appuntato uno schema filologico su quali argomenti affrontare e in quale successione. Lo faccio per sicurezza. La prenotazione è stata fissata per le 21.00 circa; calcolando circa diciotto minuti di tragitto, salvo ingorghi occasionali, sarà utile partire con una mezz'ora scarsa di anticipo. Questione primaria: come mi devo vestire per un'occasione del genere? Un look casual non è nel mio stile, ma troppo elegante potrebbe non creare la giusta atmosfera per parlare apertamente. Indosserò la giacca di velluto, quella con le toppe ai gomiti. Non riscuote sicuramente consenso tra i più giovani ma dovrebbe trasmettere un messaggio di maturità e confidenza al tempo stesso. Alice è molto allegra, non si aspettava questa serata per cui si sente probabilmente come una scolaretta al suo primo appuntamento. In salotto, Sophia è in tuta da ginnastica e sta seguendo
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un documentario sui canidi della Savana. “Tesoro, io e la mamma usciamo.” - la avverto. “Posso fidarmi di voi o avete bisogno di una candela?” “Molto spiritosa.” “Dati i precedenti...” Ho paura che mi rinfaccerà quel triste episodio vita natural durante. Mi siedo accanto a lei sul divano, i documentari sono da sempre i nostri programmi preferiti. Ad un tratto mia figlia esplode in un urlo: “Sono in ritardissimo! Devo uscire tra poco e guarda in che stato sono!” Come un tornado, salta dal divano facendo volare la coperta che teneva sulle gambe e sale di corsa al piano di sopra. Scuoto la testa divertito. La mia meticolosità mi permette di non avere mai di questi problemi. Raccatto da terra la coperta di Sophia e la piego accuratamente sullo schienale del divano. In televisione, le iene dimostrano un grandissimo senso della famiglia. Non viene facile da credere. Spengo la TV e accendo lo stereo. Ho inserito un CD. Il meglio di Armstrong. Partono le note. Oh, quanto amo lo stile di Satchmo! Avrei dovuto imparare a suonare un fiato almeno ma non ne ho avuto mai il tempo. Gli studi prima, la ricerca di un posto di lavoro in seguito non hanno dato respiro a questa passione sopita. Suonano alla porta.
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Sia Alice che mia figlia non possono aprire: sono in fase preparatoria ed è altamente rischioso inserirsi nelle loro attività in questi casi. Dal piano di sopra sento Sophia urlare che dev'essere Marco. Andrò io a fare da anfitrione, potrò conoscerlo da vicino. Apro la porta. La casa nella quale abita Anna è una delle villette a schiera in una graziosa zona residenziale. Immagino piena di persone soddisfatte della propria vita, gente che dal suo programma ha già spuntato le voci 'coniuge', 'casa di proprietà' e 'figli'. Arrivo all'ingresso di casa De Bernardinis. Suono al citofono. Con uno scatto si apre il cancelletto. Mi avvicino alla porta d'ingresso. Si apre. Ho uno shock. Forse ho urlato “No!”, forse è solo risuonato nella mia testa. La porta si richiude di botto. “Che succede?” - Sophia si è allarmata dopo aver sentito sbattere la porta. Non ho ancora compreso la portata di quello che è appena accaduto, ho reagito d'istinto. Penso di aver urlato “No!”, sono furente ed ho ancora la mano appoggiata sulla porta come a voler impedire a qualcuno
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che la stia forzando, di entrare. Mi volgo verso mia figlia: “Il tuo Marco è per caso un capotreno?” “Sì, non è divertente? Ci siamo conosciuti mentre andavo a Milano.” “Al mondo vi sono circa tre miliardi di uomini di varia età, nazionalità e religione: perché esci con un'idiota menefreghista ed incapace?” Devo rimanere calmo. Calma, Marco, calma. Facciamo il punto della situazione: frequento la figlia del Saccente Idiota, l'ho addirittura baciata e mi presento a casa di suo padre poche ore dopo avergli fatto fare una figura da pollo davanti a tutti i pendolari. In effetti il ricordo di poco fa mi fa sorridere, ma non deconcentriamoci. Dunque: se un extracomunitario, dichiaratamente omosessuale e con indosso una maglia raffigurante Che Guevara si imbucasse al party di un manipolo di estremisti xenofobi, avrebbe più chance di me di sopravvivere alla serata. Opzione A: rimani davanti la porta come un cretino aspettando la prevedibile discussione tra Anna e suo padre. Finale: lei lo convincerà, tu entrerai a passare la serata più imbarazzante della tua vita. Opzione B: di soppiatto scappi prima del finale dell'opzione A e ti dilegui giustificandoti che una tua zia si
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è sentita poco bene. Finale: Anna capirà come sei realmente e non vorrà più vederti. Posso accettarlo. Opzione C: vengo colto da infarto e posso evitare la serata. Maledizione! Il cancelletto è chiuso! Me lo ero chiuso io alle spalle. La porta d'ingresso si apre. Anna sull'uscio mi invita ad entrare. Voglio un infarto, voglio un infarto, voglio un infarto, voglio un infarto, voglio un infarto, voglio un infarto, voglio un infarto. “Voglio un inf..., volevo dire 'Permesso?'” Una donna non molto alta con un viso gentile mi si avvicina. Indossa una maglia blu scuro senza maniche e si sta sventagliando, deve aver caldo nonostante la temperatura poco mite. Dev'essere la madre. “Piacere, sono Alice, la mamma.” “Piacere, Marco” Con una rapida occhiata cerco il pericoloso padre di Anna. I miei sensi di ragno stanno impazzendo. “Immagino tu conosca già mio marito Luigi.” Compare il Saccente Idiota piuttosto rosso in viso. “Da cosa l'hai compreso Alice?” - è sarcastico nel suo tono. “Intuizione femminile, non sbatti la porta in faccia a tutti.” “Hai ragione su questo. “Il signore qui presente non è solo un esponente delle ferrovie ma ne è il peggior operatore.”
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Intervengo per evitare spiacevoli conseguenze: “Suo marito mi ha dato dell'idiota oggi” - forse dovevo stare zitto - “diciamo che abbiamo avuto delle divergenze di opinioni.” La tensione è palpabile. Anna decide di alleviarla dicendo che siamo in ritardo per la festa e prende il cappotto. Anche un appuntamento dal dentista sarebbe allettante pur di andarmene da quella casa.
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Paul McCartney – Momma Miss America Una serata perduta in maniera irrimediabile. Era stata programmata per poter parlare in maniera aperta dei problemi che sta attraversando mia moglie e, collateralmente il sottoscritto, ma l'inaspettata visita del ferroviere insulso ha provocato un'ilarità in Alice. Siamo alla seconda portata e lei è ancora scossa dalle risate. “La tua faccia, Luigi, avrei dovuto filmarti!” “Sono felice di averti rallegrato. Ora possiamo mangiare senza dare spettacolo?” Si copre la bocca con un tovagliolo ma le lacrimano gli occhi. Una serata perduta in maniera irrimediabile. Al termine della serata, decidiamo di tornare a casa e sederci davanti al camino. Decido di affrontare l'Argomento. Non sono a mio agio. Tento un approccio indolore. “Alice, volevo parlarti di qualcosa che mi preme da qualche tempo a questa parte.” Si siede composta sulla mia poltrona, appoggiandosi ad un bracciolo in attesa. “Avrai sicuramente notato che le nostre conversazioni, nell'ultimo periodo si trasformano spesse volte, in accese discussioni.” “Quindi?” Non promette nulla di buono, ma ormai il dado è tratto.
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“Amore. Tesoro. Gioia...” “Hai altri eufemismi?” - mi sorride sarcastica mentre si sventaglia con una rivista. “Alice, è evidente che abbiamo un problema. Non riusciamo a conversare senza avere una tensione pericolosa che si insinua tra di noi. Per non parlare dei tuoi sbalzi di umore e del fatto che...” “Come sei tonto!” La sua esclamazione mi sorprende. “Sei tanto colto e non ti accorgi di cosa mi accade?” “Di cosa ti accade?” - comincio a preoccuparmi. “Secondo te perché ogni tanto mi colgono delle vampate di calore?” Rimango in attesa. “Sono in menopausa professore.” Posso essere stato così inetto da non capire cosa stava accadendo a mia moglie? Questa domanda è un tarlo che mi porto dietro dalla sua rivelazione e anche sul treno non riesco a lavorare sui miei progetti adeguatamente. Non mi fa quasi effetto vedere il capotreno che esce con mia figlia passare tra i sedili chiedendo i biglietti. Se non fosse che, giunto all'altezza del mio posto, passa oltre salutandomi con un 'Ciao papino'. Un problema alla volta, il suo omicidio può attendere. Come la risolvo questa? Non credevo di reagire in questa maniera, pensavo non
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potesse succedermi ed ora mi sento un verme. Devo troncare con Anna prima che questa diventi troppo seria. Ci siamo baciati e questo è stato un primo errore. Dovevo spiegarle che è stato tutto uno sbaglio ma il giorno dopo ho incontrato i suoi genitori e potete immaginare come non me la sia sentita di affrontare un argomento del genere in quello stato d'animo. Poi è sorto un altro problema: qualche giorno fa, di ritorno da un pub con il solito gruppo di amici di Anna, abbiamo incontrato una sua cugina. Non la vedeva da tempo. Quando sono stato presentato, Anna mi ha annunciato come 'il suo ragazzo'. Ho sentito un tuffo al cuore. Non credo per la bellezza della situazione, mi sono sentito un vile. Forse credevo fosse un gioco, che nessuno considerasse questo nostro frequentarsi una cosa seria. Ho rovinato tutto con quel maledetto bacio. Non sono del tutto certo che non fosse anche del rimorso nei confronti di Cristina, come se la stessi... è difficile da definire, tradire non rende l'idea. Dicono che è meglio amare e perdere che non aver mai amato, so solo che perdere fa un male indescrivibile, forse è questa la mia paura. A tutto posso porre rimedio. Sono nuovamente davanti alla casa dei De Bernardinis, la signora Alice mi sta facendo accomodare. La prima volta che l'avevo vista non avevo fatto caso al suo sguardo. Uno sguardo a volte di una tristezza
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profonda, a volte di una serietà eccezionale. Deve essere una forma di depressione, a giudicare dall'età potrebbe essere benissimo la menopausa. Quando Cristina è mancata mi è stato regalato un gatto per avere la mente impegnata su altre urgenze. Quel povero gatto penso sia ancora vivo. Buona idea Marco! Le regalerò un gatto. Il mio. Forse non è oggi il giorno adatto per parlare con Anna. Questa sera usciremo con qualche amico della mia compagnia, spero che, conoscendo il mio giro di amicizie, possa ridimensionare la sua valutazione sul tipo di persona con la quale esce. Molti uomini sperano sempre che sia la donna a fare il primo passo. Manco di coraggio ma come faccio a dirle ciò che penso?
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Qualche tempo fa il Belpaese era considerato il luogo nel quale le persone lavoravano per vivere e non il contrario. Purtroppo questo è ormai diventato uno dei molti luoghi comuni che circondano l'Italia. Gli aspiranti dirigenti della nostra azienda sono il fulgido esempio di come la nostra concezione di lavoro è cambiata: il loro cellulare è sempre acceso e urlante di telefonate in entrata, la loro famiglia non è che un contorno della loro vita. Vivono per lavorare e si aspettano che chi li attornia abbia la stessa filosofia di vita. Da parte mia, decisi anni addietro che non avrei lasciato alla mia professione di invadere la mia sfera privata tant'è che le telefonate da parte della Infosolutions verso il mio numero privato sono rare e da me deprecate. Per dimostrare in maniera civile la mia estraneità ad un comportamento stakanovista esco dall'ufficio in perfetto orario mentre molti colleghi rimangono ancora fermi ai loro posti. I disagi con i treni non si sono placati. Il treno per Cuneo delle 18.25 è segnato sul tabellone delle partenze con un ritardo preventivo di dieci minuti. Ecco un annoso dilemma: dieci minuti dopo parte un altro convoglio per Cuneo ma effettua molte più fermate durante il tragitto, per cui tutti i pendolari si chiedono quale dei due treni partirà prima. L'unica persona competente al quale è possibile chiedere informazioni è il controllore del treno delle 18.35 ma, naturalmente, asserisce di non saperne nulla. A mio avviso questi non ha voglia di informarsi. La
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mia esperienza mi fa propendere per il treno delle 18.25 perché essendo il convoglio dal tragitto più breve viene solitamente fatto procedere in precedenza ad altri treni. Nel frattempo il popolo pendolare corre da un binario all'altro nella speranza di carpire qualche ulteriore informazione. Di ritorno a casa ho un altra sorpresa: il ragazzo con il quale mia figlia Sophia si frequenta è comodamente seduto sul divano del salotto. Ride e scherza con Alice che tiene in grembo un gatto bianco e spaurito. Come vengo notato dai presenti, questi si alzano in contemporanea per salutarmi. Sophia sembra essere molto attratta da questo giovanotto, il che mi da motivo di riflessione. Mia moglie mi lancia uno sguardo che immagino voglia significare 'prova ad essere indisponente con questo ragazzo e passerai un tremendo quarto d'ora'. Vengo persuaso facilmente. “Tesoro, Marco è stato molto premuroso: mi ha comprato questo gattino stupendo!” Mi adagio con calma sulla mia poltrona. Fisso il ragazzo: “Grazie a voi anche questa sera sono arrivato in ritardo a casa.” Noto un fremito di nervosismo nel mio interlocutore. “Ah sì? Cos'è successo?” - chiede senza nemmeno guardarmi negli occhi. “Al solito, il treno è stato annunciato con dieci minuti di ritardo, nessuno ne conosce il motivo.” Alice si alza dal divano continuando a cullare il felino e,
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lanciandomi un'altra occhiata, entra in soggiorno. “A quell'ora partono due convogli per Cuneo. Immagino che tutti i pendolari abbiano fatto avanti e indietro tra i due treni per cercare di scoprire quale sarebbe partito prima.” “Indovinato. Esiste un metodo per andare a colpo sicuro?” “Nessun metodo purtroppo. È una situazione che noi ferrovieri odiamo: nemmeno noi sappiamo chi partirà prima e nessuno ce lo dirà in tempo utile.” Scuoto la testa, sono sicuro che negli altri paesi europei ogni azienda ferroviaria sia più efficiente della nostra. “Non funzionate a dovere, Marco. I treni sono sempre in ritardo, sempre stracolmi. Ci vuole molta fantasia ad aggiungere qualche treno nell'orario ufficiale?” Il ragazzo sospira: “Se partisse un treno da Cuneo venti minuti prima di quello su cui viaggiate solitamente, lo prendereste? “Non credo e, come lei, molti altri viaggiatori eviteranno di alzarsi dal letto venti minuti prima.” In questo frangente posso dargli ragione. Penso che il ferroviere sia infastidito da questo discorso, probabilmente ha la cosiddetta coda di paglia. “Ti disturba questo discorso?” “Signor Luigi, posso darle del tu?” “No grazie.” “Caro Gigi, le lamentele dei pendolari preferisco limitarle al mio orario di lavoro.” “Le mie non sono inutili lamentele limitabili ad un viaggio, ma una realtà che vivo ogni santo giorno! Riesci ad
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immaginare cosa può voler dire arrivare a casa, accendere il riscaldamento ma continuare ad avere freddo perché la società del gas ti fornisce il servizio ogni giorno in ritardo?” “Lo comprendo perfettamente, ma io non sono un alto dirigente. Nel caso non te ne sia accorto sono l'ultima ruota del carro. Del treno. E anche se capisco le vostre ragioni, ed arrivo in ritardo anch'io a casa, non posso assolutamente farci nulla. Penso che i pendolari debbano essere più comprensivi nei confronti del personale in servizio.” “Questo te lo concedo, ma anche il vostro comportamento deve essere meno menefreghista.” “Non è menefreghismo. C'è il rischio, dopo anni e anni di servizio sui treni, che i disservizi divengano una routine per il capotreno, per cui le nostre reazioni non sempre possono essere all'altezza dell'aspettativa dei clienti.” La nostra discussione viene interrotta da Alice che compare in salotto con delle scodelle in mano. Pare raggiante. “Tesoro, il gatto è un amore ma dobbiamo trovargli un nome. Ah Marco, ovviamente ti fermi a cena.” “Cambiando discorso, perché hai regalato un gatto a mia moglie?” “Ho pensato fosse depressa a causa della menopausa e accudire un animale domestico può distrarla.” “Quando ti ha detto che è in menopausa?” “Non me l'ha detto? L'ho visto dai suoi occhi.”
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Rimanere a cena è l'ultima delle cose che devo fare. Anna mi cinge le spalle e mi stampa un bacio. Devo dire di no ma non ho scuse plausibili. Decido di mandare di nascosto un SMS a mia sorella con una richiesta di aiuto, così quando mi chiamerà potrò fingere un'emergenza e dileguarmi. Non posso sorbirmi un'altra discussione sui disservizi ferroviari. Squilla il telefono. Mia sorella sarà pure una petulante rompiscatole ma capisce al volo quello che voglio. Mi scuso e mi apparto. “Pronto?” Risponde Anna. Anna? “Perché mi telefoni se siamo nella stessa stanza?” “Mi hai appena mandato un messaggio con una richiesta di aiuto.” Come ho fatto a mandarle un SMS? Non mi sarò mica sbagliato? “Sei sicura di quello che dici?” “Mi hai scritto: 'Chiamami, salvami, poi ti spiego'” Non c'è dubbio ho sbagliato a selezionare il destinatario. La vedo avvicinarsi con il cellulare in mano. “Mi devi dire qualcosa?” Annuisco, non riesco a guardarla in viso. “Capisco, usciamo. Ne parleremo da soli.” La serata è fredda, le stelle si vedono nitide. Non so da dove cominciare e con lei non posso girarci attorno, è troppo intelligente.
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“Anna, non posso trovare le parole adatte per un discorso del genere...” “Sii semplicemente schietto con me.” “D'accordo. Ascolta, non possiamo continuare a vederci. Io mi sono già spinto oltre il consentito e non vorrei illuderti ancora di più. Non è per colpa tua. Sei fantastica ma non me la sento di continuare.” “C'entra qualcosa la morte della tua ex?” Mi sorprende. “Come fai a saperlo?” “Me l'hanno riferito i tuoi amici. Marco, io penso di capire quello che ti sta succedendo ma non devi aver paura di me, di noi.” Si sta sbagliando, sento il mio orgoglio farsi strada. “Io non ho paura...” “Va bene. Se vuoi fermarti per prendere una boccata d'ossigeno e fare ordine nella tua vita sono favorevole a quello che mi dici. Lasciamoci. Trova la tua strada...” Si ferma mi prende le mani tra le sue: “...e poi passami a prendere. Voglio viaggiare con te.” Adesso è lei a baciarmi, per l'ultima volta. “Fai presto però.” Sono libero. È fatta. Strano però: non mi sento come credevo, ossia con un peso in meno sul cuore. Ad ogni modo posso preoccuparmi solo di me stesso ora. Ho indubbiamente fatto bene.
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Eric Clapton – Layla Che sia stramaledetto Marco e il suo gatto! Non posso perdere d'occhio un momento quel felino diabolico se non voglio scoprire dei preziosi libri utilizzati come lettiera, delle tende adoperate come attrezzo affilante per artigli e altre amenità varie. Sono determinato a fargliela pagare cara e amara. Chi può essere così poco lungimirante da donare un essere vivente ad un altro essere umano? Alice naturalmente ne è entusiasta, non tiene conto dei danni materiali e morali che questo essere insulso provoca ogni giorno nella nostra vita. Appena mi sarà a portata di mano, lo disciplinerò a dovere. No! Non è possibile che sia riuscito a rovinare anche il 'Mes pensées'! Il 'Mes pensées' è una raccolta di mie riflessioni e poesie avute nell'arco di tutta la mia vita. Come ogni uomo è legato alla propria creatura, io sono geloso di quest'opera che presto o tardi pubblicherò. Ora è rovinata in maniera irrimediabile. Sono frustrato. Cerbero, così ho chiamato il gatto, sta dormendo sulla mia poltrona. So benissimo che Cerbero era un cane degli inferi mitologici e non un gatto, ma aveva tre fauci proprio come questo maledetto felino pare sia fornito. Lo afferro per la collottola urlandogli tutto il mio odio e
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facendogli rizzare il pelo. “Luigi! Cosa stai facendo?” - mia moglie è corsa in difesa del suo prezioso animale. “Questo stupido gatto ha rovinato il mio libro!” “Non puoi prendertela con un povero gattino, vergognati! Tu lo hai sempre odiato.” “Non è assolutamente come pensi! Mi innervosisce la sua mancanza di disciplina!” Esco a sbollire la mia rabbia. Ne approfitto per fare compere in città per cui devo rientrare per cercare le chiavi della mia automobile. Per fortuna Cerbero non ha deturpato ancora le chiavi. Sophia sta rientrando dal suo impiego interinale e, mentre faccio retromarcia mi saluta con una mano. A dire il vero sta agitando troppo quelle braccia. Come mai mi saluta con tanto entusiasmo? Corre verso di me. Freno. Raccatta qualcosa da terra. È il gatto. Non si muove. Mi sorge un sospetto feroce. Che non l'abbia ucciso? “Che succede?” - chiedo allarmato. “Hai investito Giuffredo.” “Chi è Giuffredo?” “Il gatto. Tranquillo non l'hai ucciso, gli hai preso solo una zampina.” Mi guardo circospetto intorno e invito Sophia a salire in macchina celermente: “Svelta prima che la mamma se ne accorga!” Dal veterinario, siedo con mia figlia in attesa del
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responso del dottore. “Perché detesti così tanto quell'animale?” - mi chiede ad un tratto Sophia. “Non lo detesto, è stato uno spiacevole incidente. Non sono neanche stato capace di ammazzarlo.” “Papà, tu non lo sopporti.” “Non è vero.” “Ma se il veterinario ha detto che si sarebbe ripreso subito e tu come risposta hai consigliato di sopprimerlo!” “Odio vederlo soffrire.” “Sai cosa penso del tuo astio nei confronti di Giuffredo?” - si appoggia con la testa alla mia spalla. “Psicanalizzami.” “Il gatto rappresenta il fatto che un'altra persona ha compreso subito ciò che accadeva alla mamma e per te questo è inammissibile.” La grandezza di un uomo fiorisce nella sua umiltà e nel suo riconoscere i propri limiti. È una frase della mia raccolta di aforismi. Devo ammettere che mia figlia ha centrato in pieno le mie corde, ma per un uomo ammetterlo sembra deleterio. “Hai ragione. Mi chiedo come ho fatto a trascurare così tanto tua madre e quel che mi da più fastidio è che Marco, che considero una persona senza morale e spina dorsale, come la stragrande maggioranza dei giovani che ci circonda, sia riuscito a capirlo solo dal suo sguardo.” Anna Sophia mi abbraccia: “Ti voglio bene papà. Di solito però ti soffermi sull'etichetta del vino piuttosto che assaggiarne un po'.”
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“Questa può essere l'ultima volta che ci abbracciamo.” “Perché?” “Aspetta che tua madre scopra cosa ho combinato al gatto...” “Ti ho voluto bene papà.” Sinceramente credevo che la lontananza da Anna mi avrebbe fatto bene, ma non sta producendo gli effetti desiderati. La mia maniera di rispondere ai viaggiatori, alle persone che mi circondano e ai miei parenti è peggiorato, nonostante non sia realmente arrabbiato con nessuno. È il consueto giorno da trascorrere con Desirèe, la mia nipotina. Non ne ho assolutamente voglia. Ho bisogno di stare da solo. Telefono a mia sorella, risponde Desy. Come si fa a dare buca a una bambina? “Ciao scimmietta.” “Ciao zio.” “Ascolta, so che dovevamo uscire ma non...” - inventa Marco, inventa qualcosa - “...non sto bene. Devo stare a letto.” Dall'altro capo del telefono nessuna risposta. È più doloroso che se si mettesse a urlare come solitamente reagirebbe un adulto. “Ti chiedo scusa, ti prometto che la prossima settimana...” Sento un rumore alla cornetta, quindi la voce di mia sorella:
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“Dimmi Marco.” “Non posso venire a prendere Desirèe, non sono molto in forma.” “Va bene, se stai male riposati. Ci sentiamo.” Mi sento un vigliacco, la mia autostima precipita ogni giorno di più in un baratro. Esco a schiarirmi un po' le idee. Mentre mi reco in automobile ad un parco nel quale da bambini io e Femi venivamo portati a giocare, accendo l'autoradio. Stanno suonando gli Aerosmith con una canzone che ho sempre amato: Hole in my soul – un buco nella mia anima. Queste note mi smuovono un po' l'animo. Tell me how it feels to be The one who turns The knife inside of me Cosa mi succede? Il parco mi da un senso di pace, come se fossi a casa. Forse i tanti ricordi che mi ci legano hanno un potere rinfrancante sul mio umore. Mi sento meglio difatti anche se la prima neve ha parzialmente coperto gran parte del paesaggio. Lascio vagare la mia mente ma non penso a nulla di preciso e comunque non ci riuscirei anche se lo volessi. Una voce familiare mi chiama destandomi. È mia sorella con Desirèe. Cosa ci fanno qui?
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“Ciao ammalato.” - Femi è sarcastica ma lo sguardo deluso di mia nipote è anche peggio - “Non dovevi riposare?” “Hai ragione, ho mentito ma avevo bisogno di stare da solo.” “Non è vero. Sei stato da solo abbastanza. Isolarsi non è la cura, e ti farà stare solo peggio. Non buttare via il tuo tempo cercando di tagliare i ponti da tutti.” “Vi chiedo scusa, ma non potete capire...” Femi scuote la testa: “Chi ti può capire Marco? Tu non vuoi essere compreso. “Sei apatico. Vuoi isolarti? Fai pure, ma almeno abbi il coraggio di non mentire.” Guardo mia nipote, fissa per terra. “Scusa scimmietta.” Scuote le spalle. Le vedo allontanarsi. L'ho combinata grossa. La triste vicissitudine del gatto ha provocato una prevedibile sfuriata da parte di Alice. Non è andata tanto male. Dormire sul divano non è molto scomodo in fondo. Sul treno di ritorno a casa, ascolto le conversazioni degli altri pendolari. Il treno, manco a dirlo è in forte ritardo, si levano molte proteste anche ingiuriose nei confronti dell'azienda ferroviaria. Lo sfortunato capotreno addetto al nostro convoglio, guarda caso, è Marco e, non appena mette piede nel nostro vagone, viene investito da un'orda di persone che
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a piè sospinto lo ricoprono di insulti. “Signori, avete assolutamente ragione a lamentarvi.” prova a difendersi in qualche modo. Un distinto signore con il quale ho di tanto in tanto scambiato qualche battuta nei viaggi passati si alza in piedi per pararsi davanti al giovane ferroviere: “Fate schifo! E lei è un inetto, un buono a nulla!” Trovo insopportabile un'ingiustizia del genere: cosa ne può Marco di questo ritardo? Mi alzo in piedi a mia volta: “Signori, anch'io sono tremendamente nauseato da questi continui disservizi, ma stiamo sbagliando bersaglio: non è certo il capotreno il responsabile né il risolutore dei nostri problemi.” Sulla carrozza cade un silenzio glaciale. Le bocche di tutti i presenti, compresa quella di Marco, sono spalancate. Corruccio la fronte. Tutti mi fissano. Mi esce forse qualcosa dal naso? “Che succede?” - mi decido a domandare. Christian, un ragazzo unito a me nella lotta contro le Ferrovie, mi indica e successivamente accenna a Marco: “Tu... tu l'hai difeso.” Sono sgomento. “Dunque?” “Siete diventati amici? La Ferrovia ti ha messo sul proprio libro paga?” “Anche se fosse che siamo diventati amici?” Molti scuotono la testa.
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“Ingegnere, il nostro unico divertimento era assistere alle vostre diatribe e discussioni sanguinarie.” Sono basito e, a giudicare dal suo sguardo, Marco è rimasto stordito. Giungiamo a Cuneo. Il giovane capotreno mi avvicina per ringraziarmi: “Ti va una birra Luigi?” “Una birra? No grazie ho già abbastanza freddo.” “Come sta Anna?” “Non vi sentite tutti i giorni?” “A dire il vero non ci sentiamo più tanto spesso.” “Capisco, sta bene grazie. Non è più tanto gioiosa come qualche settimana fa, ma sta bene.” Annuisce. “Grazie ancora per prima, saluta le ragazze. Ah e il gatto, come si comporta?” Celo il mio nervosismo: “Bene, ottimamente, bene, è in ottima forma, bene davvero.” “Ottimo, buona serata.” Mentre torno a casa, ripenso alla conversazione avuta con Marco. Era tanto grato del mio comportamento da volermi offrire una birra! È un bravo ragazzo nonostante tutto. Questo è ciò che dico a Sophia come la vedo seduta sul divano intenta a compilare un ennesimo curriculum vitae. Al nome del ragazzo il suo indice di attenzione sale vertiginosamente: “Che ti ha detto?”
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Le racconto della vicenda. “Pensa che voleva offrirmi una birra per ringraziarmi!” Mia figlia rimane meditabonda un attimo. “Non voleva ringraziarti a mio avviso.” “Perché no?” “Voleva solo parlare con qualcuno.” Perlomeno sono un grande intenditore di etichette. Debbo prestare più attenzione alle persone. Ch'io sia maledetto!
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Simon & Garfunkel – April come she will “Sei apatico.” Questa frase rivoltami da Femi mi ha come smosso e messo in subbuglio le budella. È tutto il pomeriggio che vivo un senso imprecisato di angoscia interiore che non so definire. Secondo il dizionario, la persona apatica è quella che non sa mostrare nè provare emozioni. Non sono così, altrimenti durante la scorsa finale di Champions League non avrei esultato in mutande sul balcone. Chi voglio ingannare? Ho sempre pensato che un uomo non debba mai mostrare emozioni o sdolcinatezze varie. Mio padre ne era l'esempio massimo: se qualcosa non volgeva al meglio, o se subivo una delusione, sbuffava imbarazzato e mi regalava una pacca sulle spalle. Riprendo l'eterna attività di disfacimento degli scatoloni in salotto per tenere la mente impegnata ed evitare di star male. Accendo lo stereo, il CD è il famoso album di Simon e Garfunkel preso in prestito a mio cognato. Per qualche oscura ragione mi capita di trovare all'interno della stessa scatola oggetti di natura diversa, i quali non hanno alcun punto in comune tra loro: una scatola di corn-flakes ed un alimentatore, dei libri di musica e due
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maglioni invernali. Interessante: una sacca di telo rosso contenente dei jack per amplificatori nascosta da una giacca di renna. Sono stato io a fare questi abbinamenti? Volevo dire qualcosa? È un messaggio lasciato dal passato? Forse ho capito: una buona colazione ti alimenterà a dovere; tieni calda la tua passione Jack! Il mondo finirà nel 2011 in barba ai Maya! Devi tornare dallo psicanalista Jack. Presto la mia attenzione alla giacca di renna, è più di un anno che non la indosso ed è una delle mie preferite. Mi calza ancora a pennello. Mi rimiro allo specchio. Come sono bello! Infilo le mani nelle tasche per darmi un certo stile. Le tasche di ogni mio indumento sono perennemente colme di scontrini, fazzoletti di carta usati e non, e materiale vario e generico. Tra i fazzoletti non usati trovo due biglietti di ingresso ad un cinema di Torino risalenti all'ultima volta che indossai questa giacca. Pochi giorni dopo, beh successe il casino. Mi fa effetto vedere un cimelio così vicino a quel periodo. Continuo l'esplorazione nelle tasche. Un oggetto desta la mia perplessità: è una piccola busta da lettere bianca. Non ricordo di averla mai vista prima. Non vi sono indicazioni di sorta, ma ho un brutto presentimento. Strappo lungo un lato la busta per aprirla, devo stare attento perché dalla foga rischio di rovinarne il contenuto.
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È una breve lettera. Il cuore comincia a pompare più forte e a martellarmi in gola. Rischio di andare in iperventilazione. Riconosco la grafia: è quella di Cristina. Oddio. Deve avermi infilato la busta in tasca di nascosto mentre eravamo al cinema ed io l'ho trovata solo ora. Il mio disordine ha colpito di nuovo. Dietro la lettera è stata stampata una foto che non avevo mai visto. Cristina appoggiata a me mentre siamo in posa seduti su un basso muretto di fronte ad una spiaggia. Io ho i capelli scompigliati dal vento, lei è l'immagine dell'allegria. Un sorriso bellissimo le illumina il volto incorniciato da una massa di riccioli biondi. Quei capelli avevano una vita propria. Gli occhi le scintillano. Mi ricordo quella giornata. Doveva essere una gita per le colline piemontesi colorate dall'autunno, ma durante il viaggio lei si era addormentata. Decisi così di farle una sorpresa. Si svegliò al casello autostradale di Savona. Sorrise come realizzò il fatto e mi diede dello stupido. Il CD diffonde le note di 'I am a rock', il mio motto. Le mani mi tremano mentre leggo la lettera del passato. Marco so che non ami leggere e che non ami le frasi melense (A winter's day In a deep and dark December: I am alone) Capisco che il mio modo di fare cominci a sembrati sviolinato
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(I've built walls - A fortress deep and mighty - That none may penetrate) ma io sono diversa da te. Ho bisogno di sentirmi dire un 'ti voglio bene' ogni tanto, (I am a rock - I am an island) ne sarei oltremodo felice. Hai bisogno di aprirti, non farai la figura del fesso. (Don't talk of love - Well I've heard the word before - It's sleeping in my memory) Da parte mia, sento che sei molto, molto importante per me. (And a rock feels no pain - And an island never cries) Ti amo, e non fare quella faccia. Un bacio, a domani. A domani? L'indomani mi ricordo che litigammo quasi furiosamente ed ora capisco anche per quale motivo: mi aveva chiesto cosa avessi da dire. In quel frangente non comprendevo riguardo a cosa dovessi dire alcunchĂŠ. Per cui risposi che non avevo nulla da dire. Lei era convinta avessi letto la lettera! Litigammo per un equivoco. Non voleva altro che le esprimessi i miei sentimenti come aveva appena fatto lei. Non è possibile! Ăˆ morta senza sapere cosa significava per me. E questa come la aggiusto? Ho il fiato corto, mi gira la testa. Spengo lo stereo. La stanza sta divenendo piccola tutto ad un tratto.
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Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi per fermare questo carosello impazzito. Ci siamo visti per l'ultima volta litigando... Non è... Sono in macchina ma sono fermo in mezzo al traffico, c'è stato un incidente. Scendo dalla vettura per capire cosa sia successo. Cristina è in piedi in mezzo a un nugolo di persone. Mi volto e siamo soli all'improvviso. Cristina mi accarezza il viso. “Lo so che è un sogno, non mi inganni. “Perdonami, è colpa mia.” Il sogno scuote la testa: “Mi ami?” Mi sveglio di soprassalto, devo vomitare. Piegato sulla tazza del water riesco unicamente a soffrire. Dalla finestra scorgo solo il buio della notte. Nera come me. Mi odio con una furia quasi omicida tanto da tremare come una foglia. E poi, un lamento. Tendo l'orecchio. Di nuovo. Sono io. Come me ne accorgo esplodo. Piango. Piango come non ho mai fatto in vita mia. A dirotto, come un fiume in piena, come una diga gonfia che si crepi e crolli riversando una cascata impetuosa e irrefrenabile. Rannicchiato pateticamente sul pavimento del bagno una voce nella testa mi accusa: 'ora sei veramente solo'.
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Vengo svegliato dal rumore di una chiave che gira nella serratura della porta d'ingresso. Mia sorella ha una copia delle chiavi del mio appartamento. È una donna molto premurosa e si preoccupa per me. Oggi mi porta della biancheria lavata e stirata. Mi vede sdraiato sul divano e intuisce che è successo qualcosa fuori dell'ordinario. Mi metto a sedere, stringo la testa tra le mani. Si siede al mio fianco. Nota la lettera di Cristina sul pavimento. Non dice nulla, la raccoglie e comincia a leggerla. Lei fissa me ed io fisso per terra. “Ho pianto.” Mi abbraccia e sento le sue lacrime bagnarmi le guance. “Non le ho mai detto niente.” - ammetto con un filo di voce. La sento respirare profondamente. Mi accarezza la nuca. “L'ho fatto io per te.” La guardo per la prima volta in viso. “Il giorno prima che avesse l'incidente mi chiamò al telefono.” Sapevo che Cristina era molto affezionata a Femi, erano amiche di lunga data, ma non ero al corrente del fatto che si fossero sentite quel giorno. “Esordì con un: 'Tuo fratello è un cretino!' “Parlammo per un po'. Le spiegai che per te era un record uscire con la stessa ragazza per più di otto settimane. Un'esperienza più unica che rara. Le dissi: 'So
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che è cotto di te'.” Sono troppe informazioni. “Avevate ragione tutte e due: sono un cretino e l'amavo. È un errore che mai mi perdonerò e mai potrò riparare.” Femi mi prende per mano: “Lo psicanalista non ti aveva consigliato di scriverle una lettera? Fallo.” Mi vergogno di me stesso ma almeno in parte potrò redimermi. “Lo farò.” Femi mi raddrizza la schiena: “Dagli errori possiamo imparare, e da che ho capito ne hai la possibilità. Non mi riferisco alla lettera: hai ripreso a cantare quella canzone dei Bon Jovi.” Mi sorprende. Alzo lo sguardo con aria interrogativa: “Quale canzone?” “Quella che fa 'co-co-co'. Come si chiama?” Nonostante tutto sorrido. “Hearts breaking evens.” “Non la canzone, scemo: lei.” Impiego qualche istante a capire. “Si chiama Anna.” “Lo sa cosa provi?” “Lo saprà.” “Cominci a imparare...” - mi punzecchia. Annuisco. “Già, ma prima devo una visita a Cristina.” Le lacrime ricominciano ad affiorare, mi copro gli occhi
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con un braccio. “Ma cosa mi succede?” “Stai guarendo, non ti fermare.” L'orologio della cucina ticchetta senza sosta. “Non te l'ho mai detto Femi, ma ti voglio bene: sei una sorella fantastica.” Rimane in silenzio per un po'. Mi volto verso di lei. Sta cercando un fazzoletto nella borsa. Ha gli occhi lucidi e tira su col naso. “Ma dico: proprio con me dovevi cambiare registro?” Mi da uno schiaffo sul braccio e so cosa vuol dire:' te ne voglio anch'io'. “Ora vestiti, devi salutare la tua più grande fan.” “Quando a far parte della categoria dei giovani ero io, la musica che si poteva apprezzare non era solo una raccolta di cover cantate in italiano. De Andrè aveva pubblicato diversi album, alcuni prettamente concept, di uno spessore tale che oggigiorno nessun artista, e sottolineo nessuno, può permettersi. “Ho ancora nelle orecchie i Jethro Tull e i Deep Purple, per cui ti prego di rifletterci sopra prima di ripropormi la domanda di poco fa.” Sophia mi fissa con un sopracciglio alzato: “Si tratta di un concerto rock in vecchio stile, non essere così pesante prof!” “Al massimo posso essere pedante, il mio peso non c'entra assolutamente.”
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Alice entra in salotto con un piglio sbrigativo rimbrottandomi: “Non essere fastidioso Luigi.” Si volta verso nostra figlia con un sorriso pieno di vita: “Sai che quando si comporta così ha già deciso di venire.” Sebbene il mio orgoglio mi spinga a negare, sono felice di uscire, soprattutto per il fatto che Alice sta meglio, il suo umore sembra essere migliorato. Alzo gli occhi al cielo. “Chi suonerà al concerto?” “Se ho capito bene si tratta di un collega di Marco, si chiamano 'Iced Scream'.” “I gelati?” “No” - sbuffa - “Non 'ice cream' ma... lascia perdere.” Da rimanerne agghiacciati. “Diamo loro una chance.” - accetto l'invito. Sorride a trentadue denti e mima quel gesto stupido che vedo fare ogni tanto al suo ragazzo, il gesto di una pistola mentre tra i denti bisbiglia qualcosa tipo 'checked'. Vedere la propria figlia così raggiante mi riempie il cuore. Quando appoggi il tuo cuore su qualcosa o qualcuno, perdi immediatamente il raziocinio. Muoversi in tale situazione può essere doloroso, ma la vita è fatta di dolore, amore, gioie e quant'altro ed è importante viverle tutte. Questa la devo scrivere nella mia raccolta di opere... Ora passiamo ad una questione più importante: come mi vesto per un concerto rock?
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Abba – SOS Epilogo Mi chiamo Anna Sophia, sì sono proprio io. Marco non crede di essere molto bravo a concludere un racconto, pensa di non aver risposto ad alcune domande e, ne sono convinta, secondo me si vergogna un po' di aver esternato i suoi sentimenti in pubblico. Per cui intervengo io. Dopo aver scritto un'ultima lettera a Cristina e aver portato alle giostre la piccola Desirèe, che trovo adorabile, Marco mi ha mandato un SMS che diceva: 'Ho trovato la mia strada e si snoda fin sotto casa tua. Scendi?' In quel momento mi trovavo in cucina intenta ad intingere dei grissini in un barattolo di... potete immaginare di cosa si cibi una ragazza innamorata. Dopo un moderato strillo di gioia, sono corsa a rotta di collo fino alla porta d'ingresso. Una volta aperta, ha fatto la sua comparsa Marco. “Ti chiedo scusa se ti ho fatta aspettare, non succederà più. Sei molto importante per me e sei una ragazza straordinaria. Anche ora che hai il muso sporco di Nutella sei bellissima. Tra l'altro, bel pigiama.” Ammetto che in quel frangente non ero al massimo del mio splendore, ma il bacio è stato bellissimo.
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In ogni storia può esserci un lieto fine, ma è bello vivere anche le pene del racconto senza passare subito alla conclusione. Un capotreno ed un pendolare. Ed io li amo entrambi per il loro essere tanto diversi. Sono come due rotaie che non si incrociano mai ma che si allungano nella stessa direzione. Ammetto che questa similitudine non è farina del mio sacco. Per me è stata una soddisfazione non da poco assistere alla rinascita di Marco. È bastato da parte sua ammettere che isolarsi non era la soluzione migliore e, a quanto riferisce, i suoi rapporti con i pendolari sono migliorati: riesce a contare fino a dodici prima di insultarli. È una vittoria. Ah Giuffredo il gatto sta meglio, ma papà ha dovuto sorbirsi qualche nottata sul divano e le cure specifiche del povero infortunato. Ora devo proprio lasciarvi: Marco ha detto che questa sera sarà molto speciale per noi due. Cosa avrà in mente? Lo scoprirò tra poco, non ho fretta. Ho solo un cruccio: come mi vesto per un'eventuale proposta di matrimonio?