Gli uomini in bianco

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GLI UOMINI IN BIANCO Antologia * L’immagine in copertina è liberamente ispirata alle pellicole di 007, agente speciale dei servizi segreti inglesi, in qualità di omaggio a Ian Fleming, suo creatore. * Goldrake è una proprietà intellettuale della Toei Animation e della Dynamic Inc. (quest’ultima di proprietà di Go Nagai). Il Codice da Vinci è il titolo di un romanzo scritto da Dan Brown e pubblicato in Italia da Mondadori. Harry Potter è una proprietà intellettuale di J. K. Rowling, autrice della famosa saga narrativa dedicata al mondo della magia. * Nel romanzo sono citati con ironia alcuni personaggi di fama nazionale e internazionale. Tali citazioni non devono essere intese come forme offensive nei confronti del loro lavoro artistico bensì in qualità di omaggio goliardico senza alcuno scopo di critica né personale, né lavorativa. La mia massima stima va a tutti coloro che si occupano d’arte in qualunque forma essa possa esprimersi, andando oltre ai gusti personali e alle eventuali critiche che maliziosamente qualcuno potrebbe leggere tra le righe di quest’opera. Questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a cose o persone realmente esistenti è puramente casuale. *

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GLAUCO SILVESTRI Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione», Non commerciale», Non opere derivate 3.0 Unported. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-ncnd/3.0/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA. Opera di Glauco Silvestri http://www.glaucosilvestri.it http://blog.glaucosilvestri.it

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PROLOGO

Quanto leggerete qui di seguito è coperto da Segreto Militare, e di conseguenza, se proseguirete con la lettura dopo questo prologo, non sorprendetevi troppo se un paio di agenti compariranno al vostro domicilio per dissuadervi dal diffondere le informazioni di cui verrete a conoscenza. Nel caso non vorrete collaborare, gli agenti saranno autorizzati all’eliminazione di tutte le prove e di tutti i testimoni. In casi estremi, saranno costretti a eliminarvi e a bruciare completamente i vostri resti. Non servirà a nulla tentare di nascondervi. Sappiate, in ogni caso, che la ricerca si avvierà solo quanto avrete letto anche l’ultimo capitolo di questa storia. Per questo motivo, in questo momento, non posso fare altro di augurarvi buona lettura e... Buona fortuna! Agente G

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L’AGENTE G e Gli Otto Passi.

I due agenti reclutanti apparvero per la prima volta un venerdì pomeriggio. Stavo correndo nel parco sotto casa, come al solito, e avevo appena avvicinato una ragazza splendida, dai capelli biondi, intenta a incendiare una montagna di piumini di Pioppo con il suo Zippo dei Marines color oro. Il suo nome era Fiamma, e fu la prima piromane a cadere tra le mie braccia. Facemmo conoscenza l’uno sopra l’altra. Le ero saltato addosso per evitare che desse fuoco a quella montagna di polline, e la prima cosa che feci per farla rinsavire, fu starnutirle in piena faccia. Rise, anche lei era allergica ai Pioppi ed era per questo motivo che stava tentando d’incendiare quella raccolta di allergeni naturali. Tra noi scoppiò una calorosa amicizia, facemmo una lunga chiacchierata senza nemmeno accorgerci che eravamo ancora sdraiati a terra, nel bel mezzo di una montagna di piumini, io sopra e lei sotto. Ci alzammo quando gli occhi cominciarono a lacrimare. Eravamo commossi, ma ancora di più, eravamo sotto una forte crisi allergica. La accompagnai verso casa con la scusa che una doccia ci avrebbe aiutato a superare il problema. Fu in quel momento che, tra le lacrime, notai per la prima volta una Ford Taurus completamente bianca, con due uomini a bordo, due bianchi vestiti di bianco. Fu un grande errore da parte mia non fare troppo caso a quei due individui sospetti. Fiamma e io salimmo in casa. Lei esplorò il mio nido con occhio indagatore. Volle sapere dov’era il contatore del gas, dove il rubinetto generale, e dove corressero i tubi che 5


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andavano alla caldaia. Osservava ogni particolare con occhi languidi, e io m’innamorai di lei all’istante. Cenare assieme era d’obbligo. Fu lei a proporre cena e dopocena. Una vera notte di fuoco, almeno per i primi trenta secondi, poi caddi addormentato al suo fianco. A svegliarmi fu la canna brunita di una Beretta semiautomatica puntata alla mia testa. La voce dell’uomo era metallica «Alzati, svelto!». Era uno dei due bianchi vestiti di bianco che avevo scorto nella Ford bianca parcheggiata sotto casa. Al suo fianco c’era anche l’altro uomo. Osservava con cupidigia il sedere di Fiamma. Era scoperto, così come la schiena e il suo collo lungo e sensuale. La ragazza dormiva profondamente, e ogni tanto, grugniva dolcemente qualche parola in una lingua che ancora non conoscevo. «Alzati!», disse nuovamente l’uomo bianco. Mi alzai pensando che, se andavo via con loro, probabilmente, Fiamma mi avrebbe bruciato la casa. Un vero peccato, ma non avevo facoltà di scelta. * Fui trascinato fuori di casa in piena notte e completamente nudo. Non potei portare con me nulla della mia vecchia vita. Nemmeno il braccialetto d’oro che i miei genitori avevano fatto fare con l’oro delle collanine che da bambino non avevo mai voluto indossare. Mi buttarono dentro la Ford bruscamente. Era bianca persino all’interno. M’incappucciarono e avviarono il motore. Sentii l’auto proseguire diritto per due o trecento metri, poi una svolta a destra, poi di nuovo dritto per trecento metri e 6


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svolta a destra. Pochi metri e poi sinistra. Dritto, sinistra, dritto e poi di nuovo fermi. Dopo qualche minuto di attesa dove non accadde nulla, l’auto riprese la sua marcia svoltando a destra. Da quel momento, l’auto proseguì diritto, seguendo la strada principale che, credo, fosse la Via Emilia. Per tutto il tragitto gli uomini a bordo rimasero in silenzio, forse perché non volevano tradire l’ubicazione del loro covo. Tenni tutti i sensi all’erta, e in un paio di occasioni, avvisai l’uomo che guidava di stare attento agli scooter che stavano per sorpassare l’auto da destra, e da sinistra. Passò circa una mezz’ora quando l’auto fece una svolta a destra. Probabilmente eravamo arrivati a Castelfranco. La strada era diventata dissestata. Ci fermammo davanti a uno stabile. Lo capii dalla frenata brusca. Mi fecero scendere e mi condussero all’interno di questa costruzione. Doveva essere una costruzione antica, precedente alla guerra, perché all’interno faceva fresco nonostante fosse già giugno avanzato. Mi condussero verso una specie di gabbia metallica. I miei piedi sentivano al tatto col suolo che le mattonelle avevano lasciato il posto a una specie di rete metallica piuttosto vecchia. Qualcuno azionò una leva. Fui proiettato nel sottosuolo. Non so quanto in basso, ma la discesa proseguì vertiginosamente per una decina di minuti prima di fermarsi senza preavviso. A quel punto mi tolsero il cappuccio, e finalmente vidi dov’ero. Di fronte avevo un lungo corridoio bianco, illuminato a giorno da neon fluorescenti. Non c’era nessuna porta. In compenso, ad aspettarmi, c’era una ragazza piuttosto carina. Teneva in mano una specie di tuta bianca. Non accennava a dire nulla, né a passarmi l’indumento. 7


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I due uomini mi diedero una spinta per farmi uscire dal montacarichi. Poi risalirono in superficie. «Il mio nome in codice è Lapis», disse la ragazza senza staccare mai gli occhi da me «Indossa questi abiti e seguimi». Lasciò cadere la tuta a terra, si girò, e si avviò lungo il corridoio senza attendere un istante. * Raccolsi la tuta, e senza indossarla, corsi lungo il corridoio per raggiungere Lapis. Quando le fui vicino, lei mi osservò da capo a piedi e scosse la testa «Entra in quella porta», disse. La porta si chiuse alle mie spalle non appena oltrepassai la soglia. La ragazza era rimasta all’esterno. Mi guardai attorno. Una stanza completamente spoglia, a eccezione di una sedia, bianca come le pareti. Per un attimo pensai ai poveretti che dovevano tenere pulito quel posto, con tutto quel bianco immacolato. Finalmente indossai l’abito che mi era stato consegnato. Il tessuto era fine, delicato, molto confortevole. Però mancava totalmente di stile. Se solo mi avessero concesso di prendere un paio di pantaloni decenti... All’improvviso si aprì una botola dal pavimento, poco lontano dalla sedia. Dall’apertura ascese una scrivania in mogano e una poltrona. Di fianco alla poltrona stava in piedi un uomo di altezza media, piuttosto vecchio, vestito da contadino, con una sigaretta tutta spiegazzata e spenta, in bocca. «Si sieda, prego», disse con voce roca, mentre tossicchiava per colpa del fumo che non c’era. Mi sedetti. «Lei è stato osservato per lungo tempo. Abbiamo studiato le sue abitudini, le sue attività, il suo tempo libero. Sappiamo 8


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tutto di lei e del suo gatto Gastone». «Io non ho alcun gatto». «Come?», chiese l’uomo con curiosità «In fondo sono solo dettagli!», aggiunse sorvolando sulla mia osservazione «Noi la teniamo d’occhio da molto tempo ormai», ripeté «e siamo sicuri che lei è l’uomo che ci serve». «Servirei a cosa...». «Lei è stato reclutato da un’agenzia governativa fantasma per diventare un agente operativo». «Una spia? Mi sta prendendo in giro?». «Crediamo che lei sia all’altezza per svolgere l’incarico di agente operativo», ripeté. «Perché ripete le cose sempre due volte?». «Come?», chiese nuovamente l’uomo con curiosità «Bà! In fondo sono solo dettagli!», aggiunse sorvolando sulla mia osservazione «Noi la teniamo d’occhio da molto tempo, ormai, e siamo sicuri che lei è l’uomo che ci serve». «Devo aver già assistito a questa scena». «Ora deve seguire la mia assistente. Ha già conosciuto Lapis? L’abbiamo reclutata con la scusa di un Master universitario. Pensi che ha partecipato a un concorso in piena regola. All’inizio credeva pure di dover andare a lezione, la poverina. Avevamo lavorato veramente bene, quella volta. Avevamo lavorato veramente bene, quella volta». Non potei fare a meno di annuire. La porta alle mie spalle si aprì nuovamente. Lapis entrò silenziosamente. La botola si aprì di nuovo e la scrivania scomparve nel pavimento senza il minimo rumore. * Fummo nuovamente nel corridoio. La ragazza camminava 9


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svelta. Non parlava, non si guardava attorno, camminava e basta. Doveva essere abituata a quel genere di cose e vedere una nuova recluta, per lei doveva essere una normale routine. Arrivammo davanti a un’altra porta. «Le posso chiedere una cosa?», disse la ragazza fermandosi all’improvviso. «Dica pure». «Lei è il primo che arriva completamente nudo... Dove l’hanno trovata?». «Bé! Ero a letto con una ragazza e...». «Sì, capisco. Fanno sempre così perché vogliono vedere le donne degl’altri... È una sorta di ‘malattia’, direi. Però, normalmente, fanno vestire la recluta prima di condurla qui da noi». «Io, non lo so. Mi hanno fatto uscire dalla stanza subito...». «Subito? Strano. Di solito fanno delle domande al soggetto... Proprio per lasciargli il tempo di vestirsi. Non le hanno fatto delle domande?». «No. Mi hanno puntato un’arma addosso e mi hanno ordinato di alzarmi...». «Che strano...», ripeté. «Spero di non averla imbarazzata». «No, tutt’altro. È stato un diversivo piacevole!», disse ridendo poi indicò la porta che aveva di fronte «Ecco, deve entrare qui». «Buonasera, Un raggio di sole s’intravede solamente nel sorriso dei giovani che volgono lo sguardo alle madri». Mi trovai di fronte a un uomo abbastanza alto, un po’ in carne, con la faccia simpatica e lo sguardo generoso. Parlava in codice e io non riuscivo a capire cosa volesse dirmi. «Mi hanno detto che lei deve darmi i dettagli della missione...», iniziai. 10


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«Otto sono i passaggi che bisogna seguire per raggiungere la serenità e l’amore. L’arte del cercatore sta nel individuare quegli indizi lungo il proprio cammino». «Non capisco». «Nelle giornate buie è la mente di un uomo che illumina la via». «Devo scoprire questi ‘Otto Passi’? Ma per quale motivo?». «La salvezza della nostra anima dipende dalla capacità di reprimere il male e giudicare le persone con onestà e purezza». «È in pericolo qualcuno?». «Nessuno deve temere nulla se il proprio cammino è stato lesto e ben indirizzato. Seguendo gli ‘Otto Passi’ nessuno può smarrire la via». «Ok. Mettiamo che io trovi questi ‘Otto Passi’, poi cosa devo fare?». «Lo spirito di un uomo guida la sua anima verso il raggiungimento della perfezione. Il sentimento è la giusta strada da percorrere per incontrare la coscienza e ascoltare le sue parole». L’uomo scomparve in una nuvola di fumo e la porta alle mie spalle si riaprì nel medesimo istante. Il dubbio di essere finito in una gabbia di matti mi persuase quasi istantaneamente. * La ragazza con gli occhi azzurri mi guidò nuovamente attraverso il lungo corridoio verso la mia successiva destinazione. «Dove stiamo andando?». «Non sono tenuta a risponderle». «Lo faccia per cortesia, almeno». «Il luogo dove stiamo andando, non è molto distante. Lo 11


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scoprirà da solo». «Chi era quell’uomo in quella stanza?». «Il Veggente?». Non potei fare altro che annuire. «Lui ci fornisce gli incarichi operativi». «Ma, io non ho capito nulla di quello che mi ha detto!». «La colpa non è sua. Non ha ricevuto il corretto addestramento. Le parole del Veggente sono chiare e limpide come lo spirito che ci protegge. Se seguirà le sue istruzioni, vedrà che tutto andrà comunque per il meglio». «Ma, io... Io non ho capito...». «Ecco, siamo arrivati». Lapis mi fece entrare in un’altra stanza. Un luogo surreale dove la musica era diffusa a un volume assordante. «Finalmente! Un cliente...». «Cliente?». «Dica, dica... Di cos’ha bisogno?». «Forse dovrebbe dirmelo lei...». «Io?». «Guardi che non ho tempo da perdere, io. Devo tenere dietro alla radio, e poi ho le piscine... La spiaggia... Allora, mi spiega cosa vuole?». «Devo raggiungere gli ‘Otto Passi’...», tentai. «Gli ‘Otto Passi’? Ma poteva dirlo subito che lei è il prescelto», mi porse la mano «Io sono Jed», aggiunse «mi occupo di questi affari solo a tempo perso. La musica è la mia vera passione. Venga, venga... Che le mostro l’armamentario». Mi lasciai tirare da quello strano elemento fino a un tavolo in linoleum... Sopra erano appoggiati un’infinità di oggetti particolarmente banali. «Ecco qui. Questa è la sua attrezzatura. Dunque, cosa abbiamo... Ah, sì. Questa è una forchetta che fa anche da 12


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lettore MP3. Ha 512 terabyte di memoria, e se proprio è necessario, la può svuotare per metterci altre informazioni, oltre alla musica. Per ora contiene la mia ‘Summer Compilation’. Roba buona. Se vuole, può pure vedere i video perché i denti della forchetta sono un proiettore VGA». Jed parlava a raffica e continuava a darmi gli oggetti più strani... Tutti quanti capaci di suonare o di far ascoltare della musica, tutti quanti con funzioni secondarie come raggi laser, scanner miniaturizzati, radio, microscopi elettronici, microspie, microfoni e altri micro-qualcosa. «Poi, c’è questo. Un vero gioiello. Uno stereo da paura, oltre duemila watt RMS di potenza, effetto Dolby Digital, Surround reale, eccetera eccetera». «Ma questa è un auto...». «Sì, una Aston Martin Vanquish. Un motore V8 da 600 cavalli. Oltre quattrocentottanta chilometri orari... Ovviamente perché abbiamo bypassato il limitatore di giri. Lanciamissili, radar di prossimità, possibilità di navigazione sottomarina e di superficie, fax, telefono, computer e navigatore satellitare. Poi... Ha questo stereo stupendo che, se solo potessi... Me lo porterei a casa!». * All’improvviso, una sirena cominciò a ululare da ogni angolo della stanza. Jed parve subito allarmato. Aprì lo sportello dell’auto e mi ci buttò letteralmente dentro. «Presto, ci hanno scoperto. Deve andarsene finché è in tempo». «Ma...». «Qualcuno si metterà in contatto con lei quando sarà al sicuro. Io le ho dato tutto quello che avevo. Anzi, tenga anche questi». 13


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«Ma sono diecimila lire». «Lo so, lo so. Sono poche ma le potranno essere utili». «Ma sono fuori corso...». «Ah, già! Allora è meglio se me le ridà indietro. Sa, faccio la collezione! Adesso vada, però!». Misi in moto l’auto. Il rombo del motore era come il ruggito di un leone. Pigiai sull’acceleratore, e l’auto svanì in un tunnel buio molto simile a un’uscita segreta. L’auto seguì un percorso per il quale doveva essere preprogrammata, visto che eseguiva curve perfette anche senza che io tenessi stretto il volante. Il percorso segreto era tortuoso e quasi completamente sotto terra. Sulle pareti scorreva ogni centinaio di metri, il numero sette. Presi il volante con forza e provai a muoverlo. Impossibile. Nel frattempo il tunnel era diventato trasparente e attraversava una specie di lago sotterraneo. Accesi lo stereo. La musica tranquilla di Frank Sinatra cominciò a uscire dai diffusori, almeno fino a quando il paesaggio non mutò nuovamente per diventare lava e vampate di fuoco. Frank Sinatra svanì improvvisamente e fu sostituito dagli Iron Maiden. Poi vidi la luce del Sole e dai diffusori uscì la voce di Elisa. L’auto rallentò fino a una velocità di crociera di sessanta chilometri orari e i comandi tornarono manuali. Sul display posto tra gli strumenti di bordo apparve il volto di un vecchietto con una sigaretta in bocca. «Sono il vecchio Virgy», disse con una voce roca «io ti guiderò in questa missione meglio di chiunque altro. Nel frattempo, potrai controllare la tua posta elettronica, e volendo potrai chattare su Facebook o curare il tuo blog direttamente dal sedile di quest’auto».

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* Ci fu l’esplosione. Dallo specchietto retrovisore vidi saltare in aria l’intera palazzina. Vidi un enorme fungo sollevarsi in cielo e di seguito, tutti gli alberi cadere sradicati dall’onda d’urto. Inchiodai l’auto e chiesi «Cosa sta succedendo?». «Qualcuno deve aver fatto saltare il quartier generale, agente G. Ora è rimasto solo lei». «Sì, ma chi è stato?». «Questo deve scoprirlo lei... È lei l’agente segreto». «Già!». «A proposito...». «Cosa?». «In seguito a un guasto non previsto sul server del quartier generale il blog a lei intestato ha perso tutti i commenti precedenti alla data di oggi!». «Merda! Quasi quasi mollo tutto». * L’auto mi condusse nei pressi di un vecchio cinema fuori città. Un’insegna traballante sopra l’ingresso recava la scritta ‘CINEMAX’. Doveva essere il nome del locale. La faccia buffa di Virgy apparve sullo schermo del navigatore. «Questa è la tua prima sosta. All’interno del cinema troverai una donna. Lei ha molto da dire e tu potresti ricavare molte informazioni, sempre che tu faccia le domande giuste». «Ok, come si chiama?». «Nessuno sa come si chiama. La gente del luogo è conosciuto come La Regina Pigra». «Va bene». Scesi dall’auto e mi avvicinai all’ingresso. Quella sera davano 15


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Viale del Tramonto. Un film d’epoca, con attori provenienti dalla vecchia scuola, dal teatro, da un mondo privo di effetti speciali. Pagai il biglietto ed entrai nella sala. Il cinema era in perfette condizioni, nonostante l’aspetto esteriore. Una donna era seduta su una poltrona di raso rosso, posta in alto, al centro della sala. Vestiva con un abito lungo, di vecchia foggia ma molto elegante. Indossava una piccola corona di brillanti e osservava lo schermo con molta attenzione. Non sapevo come rivolgermi a una regina, anche se pigra, così mi avvicinai e tentai un approccio da corte parigina «Mia signora, posso abusare del suo tempo per porgerle qualche domanda?». Mi chinai al suo cospetto e attesi la risposta, che non tardò ad arrivare. «E tu da dove te ne esci? Non sarai mica venuto fin qui per sfottermi come quei ragazzetti del paese qui dietro, eh?». «Bé, no!», esitai «Io, vede, dovrei, sul serio, farle delle domande?». «E chi saresti tu, uno delle assicurazioni?». «Sì, cioè, no!». «Allora che vuoi? Sbrigati che inizia il secondo tempo...». «Avrei bisogno di sapere come...», cosa dovevo chiederle? In fondo nessuno mi aveva istruito sulla missione. Mi concentrai sulle frasi dettemi dal Veggente ma non ottenni nulla. Così chiesi «Non sa mica nulla degli ‘Otto Passi’?». «‘Otto Passi’? E tu cosa vorresti sapere?». Azzardai «Come si raggiunge la meta?». «Deve averti mandato quel burlone enigmatico del Veggente. Lui predica bene, sai? È un bravo ragazzo. Ma questa volta ti ha proprio condotto fuori strada». «Cosa...». 16


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«Ascolta. Io sono il primo di questi passi. Sapevo che un giorno sarebbe arrivato uno come te, e quel giorno, avrei dovuto fargli vedere una cosa e porgergli una domanda». «Cosa? Quale domanda?». «Scegli una di queste?», La Regina Pigra mi porse la mano aperta, sul palmo aveva due pillole, una rossa e una blu. Guardai in faccia la Regina, poi le pillole, poi la Regina, di nuovo. «C’è un trucco?». «Nessun trucco», sorrise «La pillola rossa ti farà conoscere la verità. Potrebbe non piacerti, ma con lei non vivrai più nell’inganno. La pillola blu ti farà dimenticare tutto quanto, e così, potrai riprendere la tua vita come l’hai sempre vissuta, senza doverti preoccupare di quello che, in realtà, accade al di fuori». «Al di fuori? Di cosa?». «Non hai una domanda che ti ronza nella testa? Non hai la sensazione che qualcosa ti manchi? Che la vita che vivi non sia completa?». «Non capisco?». «Non capisci? Eppure dovresti sapere qual è la domanda». Ci pensai un po’ su, poi chiesi «Cos’è... Un indovinello?». La Regina si sollevò in piedi lanciando le pillole in aria dalla rabbia «Cos’è Matrix1 , idiota!». * Fui congedato in malo modo dalla Regina e non potei prendere la pillola di colore rosso perché si era persa tra i sedili Che cos'è Matrix? È controllo. Matrix è un mondo virtuale elaborato al computer, creato per tenerci sotto controllo, al fine di convertire l'essere umano in questa (cit. Morpheus - fonte: wikiquote) 1

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del cinema. Non me ne andai comunque a mani vuote. Uscendo la Regina mi aveva urlato dietro, assieme a una serie di insulti impronunciabili, che le pillole erano fatte di zucchero e che quindi non dovevo preoccuparmi troppo. Mi disse di andare in paese e di attendere che venisse la mezzanotte. Avrei incontrato un’agente noto come La Gatta sul tetto del municipio. Lei, mi avrebbe condotto al ‘Secondo Passo’. Quando arrivai in paese era già sera tardi. Lasciai l’auto non lontano dal palazzo comunale e mi avviai a piedi. La cittadina era del tutto ordinaria. Strade rettilinee affiancate da piccole palazzine tutte color cemento con gli infissi o verdi, o marroni. All’altezza del marciapiede c’erano i soliti negozi di abbigliamento, cellulari, banche e di prodotti alimentari. Tutti chiusi, a quell’ora, tranne uno. Era un negozio di verdure, all’interno sembrava che stesse succedendo il finimondo. Urla in una lingua sconosciuta, altre in un italiano piuttosto scurrile, rumori di mobili fracassati a terra e... Spari. Non appena udii lo sparo mi misi in allarme. Sfilai la mia Colt 1911 d’ordinanza dalla cintura e corsi con circospezione verso l’entrata del locale. Guardai all’interno, sporgendomi il meno possibile all’interno della soglia, e vidi un arabo che imbracciava una carabina e la puntava direttamente al ventre di una ragazza completamente vestita di pelle nera e con una maschera da gatto. Subito mi venne in mente il suggerimento della Regina. Quella ragazza doveva essere il mio contatto. Ma cosa ci faceva in quel negozio, e soprattutto, perché quell’uomo le stava puntando un fucile contro? Entrai tuffandomi a terra e scaricando l’intero caricatore contro l’uomo armato. Vidi cadere a terra un orologio da parete, una credenza che conteneva vari ortaggi, un lume, due o tre simboli arabi e un paio di bottiglie di tè alla pesca da un 18


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litro e mezzo. Quando mi rialzai, sostituendo il caricatore della pistola, sia l’uomo, sia La Gatta mi guardavano con sguardo stupefatto. «Cristo, amico!», disse l’arabo «Per fortuna che hai una pessima mira. Potevi fare una strage qui dentro». Mi guardai attorno. Venti proiettili, venti fori nel muro, numerosi danni al negozio, nessun ferito. «Adesso che ci siamo calmati, me lo dài quel fucile?». «No, dammi ancora del tempo. La pago la rata, lo giuro. È stato un disguido». «Ma», chiesi «cosa sta succedendo qui?». La donna mi guardò sorridendo «Sono un ufficiale giudiziario. Devo sequestrare quel fucile perché quest’uomo non ha pagato l’ultima rata dell’arredamento di questa attività commerciale». «Glielo dica anche lei, la prego», disse il commesso rivolgendosi a me «È stato solo un disguido con la banca. Domani risolvo tutto quanto». «Ne sono convinta!», esclamò sarcastica La Gatta «Dammi quel fucile e la finiamo qui». «Ma, ma è il fucile del mio bisnonno...». «E vale più di quattrocento euro. Esattamente la cifra che devi alla finanziaria...». «Tu sei un esattore?», chiesi non capendo in quale tipo di situazione mi ero immischiato «Con quel costume?». «Dopo devo andare a un ballo in maschera con i miei amici bloggers. Poiché il mio nickname è Cat, ho pensato di vestirmi da Cat Woman». All’improvviso il negozio fu illuminato a giorno da dei proiettori posti all’esterno del negozio «Polizia!», gridò un megafono «Siete circondati. Uscite tutti con le mani alzate...». «Grandioso», disse Cat guardando il soffitto «guarda cos’hai combinato con quella tua sparatoria. Spero almeno che tu 19


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abbia il porto d’armi...». «Porto d’armi?». * Gli agenti di polizia non accettarono le nostre spiegazioni e ci condussero tutti quanti in commissariato. Alla fine il negoziante fu rilasciato ma io e Cat Woman fummo trattenuti a causa delle nostre stesse testimonianze. Nessuno avrebbe mai creduto che una donna vestita di pelle nera, in piena notte, con una maschera, poteva essere un esattore finanziario, e men che meno, nessuno poteva credere che un uomo vestito con un pigiama bianco che aveva appena scaricato il caricatore di una Colt contro un innocente, potesse essere un agente segreto! Quando fummo in gabbia io e Cat, La Gatta, potemmo rilassarci un attimo e metterci a parlare. «Mi manda Virgy», dissi «Avevamo un appuntamento sul tetto del municipio». «Quel coglione è sempre il solito rimbambito! L’appuntamento doveva essere a mezzogiorno al bar ‘La Terrazza’ di fronte al municipio». «Bé! L’importante è che l’incontro sia avvenuto, no?». La ragazza annuì «Certo, ma non ho ancora capito che cosa vuoi?». «Il ‘Secondo Passo’...». Rise «Tu vuoi raggiungere il ‘Secondo Passo’? Ti rendi conto che è già tardi?». «Cosa intendi dire?». «Che il ‘Secondo Passo’ non è un oggetto ma una frazione di tempo. L’appuntamento era a mezzogiorno proprio per quel motivo. Dovevi essere presente in un posto particolare in un momento particolare, ma ormai sono passate dodici ore da 20


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quel momento». «Non possiamo riprovarci domani?». «A parte che domani c’è l’udienza... No, non puoi. Il ‘Secondo Passo’ dev’essere colto in quel preciso istante e succede solamente una volta ogni dieci milioni di anni». «Quindi, ora, cosa posso fare?». «Puoi proseguire per il ‘Terzo Passo’...». «Già. Dov’è?». «Nepal». «Nepal? Non è un po’ lontano?». «Se sei un agente segreto come dici, non avrai problemi per andarci». «Ok, ma il Nepal è piuttosto grande. Non hai delle coordinate più precise?». «Ti troverà lei». «Lei chi?». Cat aprì la porta della cella e uscì silenziosamente «Io, ora, devo andare. Altrimenti faccio tardi alla festa. Tu, è meglio che rimani», disse richiudendo la porta alle sue spalle. La guardai allontanarsi con la bocca aperta. Mi aveva chiuso dentro di nuovo. Dovevo partire per il Nepal, era urgente ma come potevo fare per uscire? * Quando arrivai in Nepal era mattina presto. Parcheggiai la mia Vanquish di fronte a un benzinaio e scesi per chiedere informazioni. Il benzinaio sembrava conoscermi. Mi guardò con volto stupefatto e mi chiese «Come hai fatto a uscire dalla prigione?». «Sono segreti che un agente segreto non può svelare...». «Ma, c’erano dei poliziotti in quel commissariato. Come hai...». 21


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«Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti!». «Ok, vuoi il pieno?». «Perché no! Però senza piombo e... Non fare il furbo». «Sì, signore». Osservai il benzinaio mettere la pompa all’interno del serbatoio, poi mi voltai verso la strada per gustarmi il paesaggio desolato. In quell’istante, due mani morbide e profumate mi coprirono gli occhi «Indovina chi sono?». La voce era facile da ricordare e anche quel tocco delicato... «Fiamma, sei tu? Cosa ci fai...». Troppo tardi. Il distributore saltò in aria assieme al benzinaio e alla mia fenomenale Aston Martin. Se non fui investito dall’onda d’urto fu solamente grazie alla deliziosa ragazza che tanto mi aveva allietato quella notte ormai lontana. Con un gesto energico mi aveva spinto proprio in mezzo alla strada nel momento dell’esplosione. Grazie alla mia poderosa agilità, potei scavalcare il cofano motore di un TIR che si stava avvicinando a tutta velocità, ma non potei salvare Fiamma, che finì inesorabilmente sotto le ruote del mostro della strada. Corsi subito a soccorrerla. C’era poco da fare in realtà. Il suo delicato corpicino era stato spezzato senza speranze e ora sussultava dolorosamente mentre la sua bocca tentava di dire le sue ultime parole. Avvicinai il volto alle sue labbra e l’abbracciai «Mi hai salvato da morte certa, amore, non lo dimenticherò mai...». «Bastardo!», disse lei in un ultimo gesto di rabbia «Mi hai lasciata sola in quella tua casetta di merda. Ma non temere, te l’ho bruciata e ti ho seguito fin qui! Dovevo assolutamente fartela pagare...». Spirò tra le mie braccia, senza che io potessi fare nulla per salvarla. «Serve una mano?», aveva parlato una ragazzina sorridente con 22


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i capelli scuri che le cadevano sulle spalle. Era vestita di bianco e ammiccava visibilmente «Forse è meglio allontanarsi da qui... E in fretta. Se arriva la milizia non te la caverai di certo come hai fatto con la polizia italiana», aprì una portiera del TIR «Una mossa intelligente quella di corrompere i poliziotti», aggiunse «però centomila euro mi sono sembrati un po’ eccessivi...». «Bé! Volevo essere sicuro di uscire subito». «Sì, certo. Ora andiamocene da qui!». «E lei?». «Ha appena tentato di ucciderti e tu ti preoccupi?». «Sono troppo buono, vero?». La ragazza annuì «Andiamo, va'!». * Entrammo in un bazar dove già ci attendeva un uomo dalle fattezze arabe ma vestito in puro stile europeo «Posso esservi utile?». La ragazza sorrise all’uomo e disse «La Mamma vuole degl’abiti nuovi per il mio amico». L’uomo annuì «Seguitemi», disse scomparendo dietro una tenda color senape. La ragazza e io c’infilammo in quel piccolo stanzino protetto dalla tenda, e a mia sorpresa, trovammo un manichino della mia taglia con sopra un abito bianco esattamente uguale a quello dei due uomini che mi avevano trascinato in quest’avventura. La ragazza si girò verso di me e disse «È meglio che io rimanga fuori. Tu intanto cambiati. Dobbiamo fare in fretta. Dobbiamo raggiungere subito il ‘Quarto Passo’». «Il ‘Quarto Passo’. E il ‘Terzo’?». 23


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«Temo sia troppo tardi. Il ‘Terzo Passo’ era custodito dal benzinaio che la tua Fiamma ha fatto saltare». «L’ho perso...». «Già!», disse lei uscendo «Non dev’essere il tuo giorno fortunato, questo. A quanto ne so, non ne hai completato neppure uno». Rimasi in silenzio e cominciai a vestirmi. Gli abiti erano di ottima fattura, bianchi come il latte, freschi come la primavera, leggeri come l’aria. Lessi l’etichetta. ‘Emporio ErMani’. «Ma», dissi attraverso la tenda «quest’abito è taroccato...». «Cosa ti aspettavi? Con quello che si fanno pagare gli stilisti italiani. L’abito è stato fatto in Cina, con gli stessi tessuti e seguendo il disegno originale». «Come avete fatto a... Ah, già! Siete spie!». «Preferirei che dicessi agente segreto. Se proprio devi definire in qualche modo il mio mestiere». «Io mi chiamo...». «Lo so! Il tuo nome in codice è agente G», disse la ragazza attraverso la tenda che li separava «Sei piuttosto famoso per via... Di come sei stato reclutato! Lapis mi ha raccontato tutto quanto su di te». «Ma da voi la privacy...». «Siamo agenti segreti, non ricordi? Per noi non esiste privacy. Comunque, io sono Ottantasette». «Ottantasette?». «Sì, esattamente». M’infilai le scarpe «Qual è la nostra prossima mossa?».

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«Ovvio, no? La base di Guantanamo 2, a Cuba». «E come ci andiamo?». «Con il mio aereo». «Hai un aereo? Lo sai pilotare?». «È il mezzo che mi ha assegnato l’agenzia». «Incredibile!». * Una mezz’ora più tardi ci trovavamo in un piccolo aeroporto privato. Sulla pista era parcheggiato un F15 Eagle 3 completamente bianco. Al suo fianco era parcheggiato un camion cisterna che, probabilmente si stava occupando del pieno. «Dobbiamo andare a Cuba con quello?». Ottantasette annuì vistosamente e disse «Non è probabilmente La base navale di Guantanamo è una installazione militare di 45 chilometri quadrati della marina militare degli Stati Uniti e del Corpo dei Marines ubicata presso la omonima baia, nell'estremo sud-est di Cuba. Dal 2002 la base ospita una prigione militare, fino a poco tempo fa segreta, ove vengono imprigionati, e sottoposti su autorizzazione dell'allora presidente George W. Bush a un trattamento non conforme alle norme del diritto internazionale, in special modo quelle della Convenzione di Ginevra pur di estorcere qualsiasi tipo di informazione utile, i prigionieri di guerra catturati nelle campagne militari in Afghanistan e Iraq considerati collegati con la rete del terrorismo internazionale. Il 22 gennaio 2009, il presidente Barack Obama ha firmato gli ordini esecutivi per chiudere ciò che resta della sua rete di prigioni segrete tra cui il campo di detenzione di Guantanamo entro un anno. Tuttavia Obama ha rinviato di almeno sei mesi le delicate decisioni sui dettagli (fonte: wikipedia). 2

Il McDonnel Douglas F-15 Eagle è un caccia per superiorità aerea statunitense. Portato in volo per la prima volta nel 1972 ed entrato in servizio nel 1976, è tuttora utilizzato dall'USAF, da quella israeliana, da quella giapponese e da quella saudita. Sono in corso trattative da parte della Corea del Sud e di Singapore. Una famosa variante dell'F-15 è la Strike Eagle, un cacciabombardiere entrato in servizio nel 1988 (fonte: wikipedia). 3

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molto comodo ma è veloce». «Ma, ha l’autonomia per attraversare l’oceano?». «No, figurati. Dovremo fare un rifornimento in volo...». «In volo?». «Non avrai paura, vero?». «No, no. Ma...», aggiunsi «Tu dove hai imparato a pilotare quel coso?». «Ho fatto qualche lezione di volo in un club privato, prima di essere reclutata». «Hai solo un brevetto civile?». «No, non ce l’ho mica. Dopo un paio di lezioni hanno scoperto che ho qualche problemino e... Ho dovuto rinunciare». «Ma, allora...». «Non ti preoccupare. Lo piloto da mesi e non mi è mai successo niente». «Ah, bé! Allora...». Dopo un decollo pieno di scossoni, finalmente l’aereo prese quota e si diresse verso l’arcipelago cubano. La ragazza inserì il pilota automatico, e attraverso l’interfono del casco, mi avvisò che avremmo avuto cinque ore di autonomia. L’aereo avrebbe volato in automatico fino al momento dell’appuntamento con l’aereo cisterna. Io, se volevo, potevo pure dormire. Lei si sarebbe occupata del calcolo della rotta. Ringraziai e chiusi gli occhi. Se proprio dovevo morire in un incidente aereo, era meglio che accadesse durante il sonno. Sognai di essere in volo, su un caccia militare, un F4 Phantom

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II4 , diretto verso una collina chiamata in codice Honolulu, nel Vietnam del Nord. La strumentazione era completamente saltata in aria quando una mitragliatrice nascosta nella foresta mi aveva preso di mira e aveva scaricato almeno due caricatori su di me. Volavo a vista. La collina era quella davanti a me, o almeno, pensavo che così fosse. Armai il mio carico di bombe al Napalm, dovevo friggere un’intera armata di Charlie che impediva l’avanzata della Terza Compagnia. Prima sorvolai la zona, per controllare che l’obiettivo fosse quello giusto, e poi virai per sganciare il mio carico di morte. Uno strano bip bip mi era entrato in cuffia. Non riuscivo a capire. La strumentazione era fuori uso. Cosa poteva essere a fare bip bip? Continuai il mio volo, abbassandomi di quota. Sganciai e diedi potenza ai due motori McDonnel Douglas che equipaggiavano il mio velivolo. All’improvviso, quel bip bip divenne una certezza di pericolo. Avevo finito il carburante e non me n’ero accorto a causa del guasto. Il motore uno si spense facendo sbilanciare l’aereo e costringendolo a ruotare su sé stesso. Tirai la cloche verso di me per cercare di raddrizzare l’F4, ma all’improvviso, anche il secondo motore si spense. Chiusi gli occhi per un istante, pregai. Quando gli occhi furono di nuovo aperti lo spettacolo non era cambiato di molto. Al comando c’era Ottantasette che cercava Il McDonnell Douglas F-4 Phantom II è stato un cacciabombardiere supersonico biposto a lungo raggio prodotto dalla McDonnell Douglas nei primi anni sessanta. Divenuto nel corso della sua lunga vita operativa una delle icone della superiorità aerea americana durante la Guerra del Vietnam e nel periodo della Guerra Fredda, è ancora in servizio presso molte forze aeree. L'elevata flessibilità del progetto ha permesso l'evoluzione del Phantom fino a includere versioni specifiche per la ricognizione aerea e l'attacco al suolo con munizionamento convenzionale e nucleare (fonte: wikipedia). 4

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di stabilizzare il caccia. Un motore era spento. Il bip bip continuava a suonare nella mia testa. «Cosa succede?», gridai per sovrastare il frastuono. «Ci hanno lanciato un altro missile addosso...». «Come? Un missile?». * Ricevemmo una spinta in avanti. Poi udimmo un boato. L’aereo cominciò a ruotare su sé stesso e a cadere verso il suolo. L’isola non era molto lontana. La si poteva vedere chiaramente dalla goccia trasparente che proteggeva l’abitacolo. «Attento alla testa! Espulsione!», gridò Ottantasette. Istintivamente chinai la testa in avanti... Il sedile ‘Tipo Zero’ ci spinse verso l’esterno con una forza inverosimile. Fummo lanciati nel vuoto, e per un istante ebbi la sensazione di poter volare, almeno fino a quando il peso del sedile non cominciò a farmi cadere con una velocità considerevole. Rilasciai il paracadute. «Ti pareva!», esclamai guardando verso l’alto «Non poteva che essere un paracadute rosa a forma di cuore». Atterrammo sulla spiaggia dell’isola a un centinaio di metri da una lunga recinzione metallica. Vicino a una piccola porticina, anch’essa di metallo, brillava una targa in ottone con su scritto: Benvenuti a Guantanamo! Ottantasette e io ci sganciammo dai sedili e ci avviammo verso la porta che, a mia sorpresa, era aperta. «Ci aspettano», mi spiegò lei.

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Dall’altra parte era fermo un Humvee 5 completamente bianco. «Avete il vizio del bianco o sbaglio?». La ragazza non mi risposte. Saltò alla guida e condusse l’auto verso un percorso sterrato piuttosto arduo. «Questo è un percorso di addestramento. È accidentato ma ci metteremo meno tempo che seguendo la strada principale». Non risposi. Ero emozionato. Stavo per completare un ‘Passo’ della missione assegnatami. Questa volta nulla sarebbe potuto accadere per... Una forte esplosione. Una mina. Una gomma a terra «Cristo!», l’auto s’intraversò a causa della velocità. Prese una cunetta, s’impennò e si ribaltò su sé stessa lanciandoci in aria tutti e due. Atterrammo in malo modo uno sopra l’altra. Per la prima volta, la ragazza aveva uno sguardo irritato «Non ci voleva», disse facendomi ruzzolare a terra per togliermi da dosso a lei «Non arriveremo mai in tempo». «Potevate dirmelo che questi ‘Passi’ erano delle tappe a cronometro». «Non capisci? Tra poco inizia l’ora di tortura ed è in quel momento che Aziz Bomb aTutt svelerà il ‘Quarto Passo’». «Quanto siamo lontani dalla base? Magari possiamo farcela...». «Ventidue chilometri». «Ok, è impossibile!». Ci avviammo mestamente a piedi e arrivammo alla base che l’interrogatorio era iniziato da un bel pezzo. Nella sala c’era un Il M998 High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicle (HMMWV o Humvee; letteralmente: "Veicolo multifunzione su ruote ad alta mobilità") è il veicolo militare da ricognizione dell'esercito americano. Si tratta di un mezzo di grosse dimensioni, dotato di trazione integrale e prodotto dalla AM General. Ha sostituito la più piccola jeep, nella fattispecie la Ford M151 "Mutt", tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli anni ottanta (fonte: wikipedia). 5

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uomo vestito di bianco, in piedi di fronte al leggio, che leggeva dei brani presi da un romanzo che teneva appoggiato al leggio stesso. Attorno a lui, una ventina di arabi con la schiuma alla bocca. «Ciao Tres», disse la ragazza «cosa stai leggendo, oggi?». «Ho appena iniziato Harry Potter e il prigioniero di Azcaban. Quei poveretti sono svenuti quand’ero ancora a pagina dieci». «Incredibile». «Direi quasi magico...». Mi feci avanti. Quell’uomo di mezz’età mi sembrava uno della famiglia e volevo presentarmi... «Benvenuto agente G», disse lui interrompendo i miei pensieri «Io sono Tres. Sono esperto nella estorsione di informazioni e... Marketing». «Marketing?». «Bé! Oggigiorno bisogna arrangiarsi per tirare avanti. C’è la crisi». «Già!». «Che ne è stato di Aziz?», chiese Ottantasette. «Coma!», risposte Tres scuotendo la testa «Non ha retto all’ora di musica». «Ora di musica?». «Questa volta, invece che la Aguilera6 , hanno messo su Marco Masini». «Poveretto!». * Salutai Ottantasette davanti alla porta di rete sulla spiaggia. La mia missione doveva continuare e lei doveva tornare in Nepal, Nella base di Guantanamo i terroristi islamici venivano realmente torturati facendo ascoltare loro musica occidentale, tra cui brani di Eminem e di Cristina Aguilera (fonte: XL di La Repubblica). 6

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per proseguire la sua missione. Al di là della recinzione c’era la mia splendida Vanquish. Recuperata e ricostruita da una équipe di specialisti addestrata negli stabilimenti segreti della Lego. Saltai a bordo e misi in moto. Dovevo raggiungere San Pietroburgo entro la mezzanotte. Impossibile? Non per un agente segreto. Spensi il motore solamente quando mi trovai di fronte alla cattedrale del Dio Kazan. All’esterno di questo meraviglioso monumento pagano dovevo incontrare il nuovo contatto. L’appuntamento era vicino alla fontana di fronte alla cattedrale. Doveva essere una ragazza, stavolta, vestita di rosso. Probabilmente La sezione sovietica dell’agenzia era dovuta scendere a qualche compromesso. Raggiunsi la fontana e la ragazza era già lì che aspettava. «Sei tu l’agente Babock?». «Gfgd dsfgdf fdsg dffg dasd gggfd aaaa!». «Cosa?». «Gfgd dsfgdf fdsg dffg dasd gggfd aaaa!». «Non ti capisco proprio...». «Gfgd dsfgdf fdsg dffg dasd gggfd aaaa!». «Aspetta», le dissi sorridendo e tirando fuori il mio block notes dalla tasca della giacca «ho un’idea». Ci sedemmo l’uno di fianco all’altra. Presi la penna e disegnai una casa «Casa», dissi indicando col dito. «Cssssa». «Quasi... Riprova!». «Casssssa». «Brava! Ancora!». «Casa!». «Grande! Sei bravissima. Ora, vediamo un po’...», disegnai un albero». Tre giorni più tardi, lei era in grado di comunicare con me in 31


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modo perfetto. «Mi dispiace», mi disse «dovevo darti l’informazione entro mezzanotte di tre giorni fa...». «Lo so, ma non riuscivamo a capirci. Adesso, però, puoi dirmela, no?». «A che scopo?». «Diciamo che, sono curioso...». «Va bene. Il ‘Quinto Passo’ era: Gfgd dsfgdf fdsg dffg dasd gggfd aaaa!». «Ma... Ma... È quello che mi avevi detto...». «Sì!», disse lei annuendo mestamente. «Ma cosa significa?». «Non lo so. Non è in russo». * Preso dallo sconforto, tornai alla macchina senza nemmeno chiedere istruzioni per il prossimo ‘Passo’. Non sarei mai riuscito a raggiungere la meta a quel modo. Avevo perso cinque degli ‘Otto Passi’. Come potevo riuscire nell’impresa? Lo schermo davanti al cruscotto si accese. Non c’era la solita faccia di Virgy ad accogliermi, ma quella del Veggente «Il Sole risplende per illuminare il cammino dei forti di spirito». «Ho perso tempo anche stavolta. Non credo che riuscirò...». «Nel cuore di ogni uomo batte lo spirito di un leone impavido che ruggisce alla foresta». «Ti ringrazio tantissimo. Stai cercando di tirarmi su di morale, ma come posso fare ora?». «Il destino di un uomo è sempre imprevedibile. Nessuno può sapere dove la buona sorte sbucherà la prossima volta». «Ma quale buona sorte?». «Solo credendo veramente in ciò che si persegue si può 32


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raggiungere la propria meta». Il volto rotondo del Veggente scomparve per lasciare spazio al viso rugoso di Virgy «Da questo momento i commenti precedenti all’esplosione sono stati recuperati. Ci scusiamo per il disagio e avvisiamo che, per tenere informati tutti i nostri utenti, da questo momento si potrà consultare l’apposito blog di assistenza». Misi in moto scuotendo la testa. Diedi gas. Dieci metri e presi in pieno una donna vestita completamente di bianco. Mi spaventai a morte. Scesi. Girai attorno alla macchina. Mi chinai su di lei per vedere se stava bene. Appoggiai un orecchio sul suo petto per sentire il battito cardiaco. «Leva quell’orecchio dalle mie tette! Stronzo!». Mi allontanai all’istante. «Ma chi cazzo ti ha dato la patente? Guarda qui, mi hai sporcato...». «Mi dispiace...». «Mi dispiace ‘sto cazzo. Tra poco mi ammazzavi. Ehi... Ma quella macchina... Non sarai mica... Hai notizie di Virgy?». Rimasi a bocca aperta. «Oh... Oh...», lei mi passò una mano davanti agl’occhi «Sei connesso?». «Sì, sì», dissi imbarazzato «L’ho visto saltare in aria...». «Virgy?». «No, cioè sì. Cioè no». «Deciditi». «Voglio dire che è saltata in aria tutta la palazzina!». «Ommadonnamia! E tu chi saresti? Aspetta... Sì, lo so. Sei il coglione degli ‘Otto Passi’. Sei famoso!». «Ah, bene!». «Hai già raggiunto il ‘Sesto Passo’?». «No». 33


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«Cosa aspetti, allora?». «Non so nemmeno...». «Allora è vero che sei... Un po’ timido di testa». «Cosa... dov’è il ‘Passo’?». «Lo so io!». * La ragazza che avevo investito si chiamava Cleopa e l’avevo presa in pieno in uno dei suoi momenti di sclero cosmici. La sua aura stava già raggiungendo i confini dell’universo quando tentai di sollevarla da terra, e così, timidamente, la lasciai inveire contro di me, senza tentare di difendermi. Lei sapeva come raggiungere il ‘Sesto Passo’ e non potevo rischiare di perderlo. «Allora, mi spieghi come cazzo hai fatto a prendermi in pieno... Che c’è, non sai guidare?». «Stavo parlando con...». «Ah! Bene. Neanche guardavi dove stavi andando. Ma chi reclutano adesso, i rimbecilliti?». «Bé! Ti chiedo scusa...». «Scusa lo andrai poi a dire a tua madre. Oggi ho passato una giornata di merda e adesso che ho te di fronte e che posso sfogarmi, non ti lascerò certo la possibilità di cavartela con un ‘scusa non volevo’». «Ma, io, non volevo...», mi venne spontaneo ripetere le sue parole. «Eccolo lì. Pure scemo! Cosa ti avevo detto?». «Bé! Mi basterebbe sapere dove devo andare per il ‘Sesto Passo’, e poi...». «Poi? Cosa? Sparisci così come sei arrivato? Mai e poi mai!». «Allora, cosa devo fare?». 34


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«Prima di tutto, puoi scordarti il ‘Sesto Passo’». «No, ma perché...». «Perché? Perché mi sento stronza in questo momento e ho voglia di stronzeggiare con te. Per di più, come al solito, sei arrivato all’ultimo momento e hai perso il tram. Il ‘Sesto Passo’ è volato via con l’incidente e non ci puoi fare più nulla». «Non ci posso credere...». «Non ci credi? Cazzi tuoi. È così e basta». «Allora, adesso, cosa posso fare...». «L’unica cosa che puoi fare è...». «Cosa?». «Ti piacerebbe che te lo dicessi, eh?, ma perché dovrei? Guarda come mi hai ridotto. Guarda il vestito nuovo...». «Non c’è problema, dài. Te lo ripago. Andiamo in una lavanderia e...». «Figurati! Così mi vedi nuda. Bravo marpione. È così che ti procuri le ragazze? Con questi trucchetti del menga?». «No, ma...». «Ma cosa? Sai cosa ti dico?». «Cosa?». «Cosa, dice il pappagallo, cosa? Ti dico che per raggiungere il ‘Settimo Passo’ devi andare a scuola, capito? Ma tu che ne sai... Non hai mai passato nemmeno l’esame delle elementari...». «Non è vero!». «Non è vero, dice lui. Non è vero.». «Ma... Ma...». «Mavvàmmorireammazzatova’!». * Ormai avevo capito il linguaggio in codice degli agenti in bianco. Dovevo tornare alle elementari. Lì avrei trovato il 35


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‘Settimo Passo’, e forse, per la prima volta, sarei arrivato in tempo. Saltai in macchina e misi nuovamente in moto. Feci per dare gas quando, dallo specchietto retrovisore, lessi l’insegna di un palazzo proprio alle mie spalle e risi di gusto. Il cartello diceva "Scuola Elementare per agenti segreti". Entrai nella palazzina di corsa. Una bidella fece per venirmi incontro ma la fermai con un gesto «Sto cercando la maestra. Mi lasci passare». «Ma le lezioni sono già cominciate...». «Non è importante». Passai in rassegna tutte le aule. Aprivo la porta, guardavo all’interno, chiudevo la porta e proseguivo per la successiva. Trentacinque aule, sette sezioni per cinque anni ciascuna. Trovai la mia aula solo alla fine. Era l’ultima aula, la ‘Quinta G’. Spalancai la porta, e finalmente, vidi che l’insegnante era vestita di bianco. «Ma le sembra questo il modo...». «Sto cercando il ‘Settimo Passo’». «Il ‘Settimo Passo’? Cosa intende dire...». «Ma, come? Lei non è un...». «Un cosa? Matej, la vuoi smettere di fare casino? Altrimenti ti rimando a casa, capito!». «Un agente, voglio dire... Lei è vestita di bianco...». «Matej! Ti avevo avvisato!», la maestra scese dalla cattedra e sfoderò dalla sua piccola borsa un’enorme spada di energia. Osservai la scena a bocca aperta. Lo studente continuava a chiedere scusa ma la maestra sembrava risoluta e si avvicinava allo studente. Quando le fu vicino, con un gesto rapido e preciso, disegnò un cerchio perfetto nell’aria. Il cerchio divenne solido e di un colore giallo brillante. 36


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«Ora entra, se non vuoi che ti tagli la testa». «No, la prego, la testa no. È già la terza volta questo mese». «Allora entra». Il ragazzo annuì mestamente e attraversò il cerchio. Nel frattempo, l’insegnante si era girata verso di me «Mi chiamo Gea. Le sembrerà strano, ma sono un Baluardo 7 e l’agenzia mi ha incaricato di tenere a bada questi elementi che provengono da universi paralleli». «Ma... Ma quel... Ragazzo...». «Oh, non si preoccupi per lui. Sta solo tornando a casa... Questo cerchio è... Una scorciatoia». «Capisco!», dissi senza capire veramente. La maestra, però non aveva ancora finito la propria spiegazione «Lei dev’essere l’agente G. Sfortunatamente, per poterla condurre al ‘Settimo Passo’, dovrei aprire un passaggio verso il Limbo». «Il Limbo?». «Io lo chiamo così. È un luogo dove certe entità trovano una dimora, una sorta di universo sospeso tra tutte le realtà attive». «Bé, allora, cosa aspettiamo?». «Mi piacerebbe aiutarla, ma non sono autorizzata ad aprire il cerchio più di una sola volta al giorno. Di solito utilizzo questo accesso solo nei casi di emergenza». «Allora, io come faccio?». «Mi dispiace. Sul serio». «Ho perso anche il ‘Settimo Passo’?». «Sì», rispose lei «però ho una buona notizia... ‘L’Ottavo Passo’ è alla sua portata. Basta che attraversi questo accesso... La Il baluardo è una figura immaginaria presente nel fumetto Gea creato da Luca Enoch e edito dalla Sergio Bonelli Editore. I baluardi sono i membri di una casta di guerrieri che si oppongono alle intrusioni di esseri alieni provenienti da altri piani di esistenza (fonte: wikipedia). 7

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porterà nell’universo di Matej, ma allo stesso tempo, la porterà da un grande saggio chiamato Tres». «Ma, io l’ho già incontrato». «Davvero? Dove?». «A Cuba». «Ah, già. Ci va sempre quando ha voglia di leggere qualcosa... Comunque, lui potrà darti tutto l’aiuto di cui hai bisogno». «Sul serio?». «Sì, però fa presto. Il cerchio sta per chiudersi». * Mi tuffai nel cerchio di fuoco come un Leone al circo. Ruzzolai su un terreno sabbioso e assolato. In lontananza potevo sentire il canto degl’uccelli, e delle grida lontane, il tutto mischiato a una musica molto famosa, la colonna sonora di Rocky. Sulla sabbia c’erano delle impronte ben visibili. Conducevano verso un vecchio chiosco di legno che sembrava stare in piedi per miracolo. All’esterno c’erano alcuni uomini e donne che facevano degli esercizi. In lontananza potevo scorgere sulla spiaggia due persone che correvano, uno che sollevava dei pesi a un bilanciere antidiluviano mentre, un vecchietto fumava e controllava un cronometro sportivo. Raggiunsi il primo gruppetto di atleti, tutti con pantaloncini bianchi, e chiesi di Tres. Loro sorrisero e annuirono «All’interno». Entrai dalla porta con l’iscrizione ‘Virgy Boxing Social Club’, e subito, vidi il ragazzo che era stato punito a scuola. Discuteva con un uomo di mezz’età che stava ai fornelli. «Ti sei fatto cacciare un’altra volta, Matej». La voce dell’uomo era profonda e rimbombava nel piccolo ambiente buio. Potevo sentire chiaramente quello che diceva 38


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anche se non potevo percepire la voce del ragazzo. «Lo so che a te non interessa la storia degl’uomini, ma Gea lo sta facendo per il tuo futuro. Se vuoi vivere sulla Terra devi conoscere il mondo che ti accoglierà». Oltrepassai un ring rappezzato e un paio di sacchi di sabbia appesi alle pareti. Uno di questi perdeva sabbia, un filo leggero che cadeva a terra come fosse all’interno di una clessidra. «No, non posso insegnartela io. Devi andare a scuola. Lo sai». «No, no. Niente però. Non adesso, poi che abbiamo ospiti». Matej si girò di scatto. L’uomo, invece, finì di mescolare la zuppa di verdure che stava preparando, e solo dopo essersi pulito le mani in un canovaccio, si girò verso di me. «Ben arrivato!», disse «Tu devi essere l’agente G». Salutai annuendo. «Cosa ti porta in queste lande?». «Sto cercando ‘l’Ottavo Passo’». «‘L’Ottavo Passo’? Sei arrivato fin qui e non l’hai trovato?». «Cosa intendi dire? Fuori c’è solo una spiaggia...». L’uomo scosse la testa. «Dove sto sbagliando?». «Se non lo hai visto da solo, significa che non riuscirai mai a raggiungerlo». «Cosa stai dicendo?». «Sto dicendo che non puoi diventare un agente segreto. Hai fallito nell’incarico che ti è stato affidato perché non sei stato in grado di vedere attraverso le cose, attraverso la materia». «Ma, ma... Non è vero. Sono stato sfortunato. Non mi hanno istruito a dovere, sono dovuto andare a tentoni... Non è giusto!». «Se quello che dici è vero, allora, devi essere veramente in gamba... Ma ti manca quel quid per diventare un agente. È come questa zuppa. Ne senti l’odore? Ottimo, vero? però 39


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manca ancora di qualcosa. Un pizzico di sale. L’odore non ti può rivelare questa mancanza, ma se l’assaggi, te ne accorgi subito. Solo che, quando l’assaggi è ormai troppo tardi per mettere quel pizzico di sale». * Matej uscì dalla palestra per preparare la tavolata e radunare tutti gli atleti. All’interno della palestra eravamo rimasti solo io e Tres. «In cosa ho sbagliato?». Tres aveva spento il fuoco «In nulla. Tu hai raggiunto tutti i luoghi in cui dovevi andare. Hai incontrato le persone che dovevi incontrare», rispose «Hai fatto esattamente quello che ti era stato chiesto di fare», aggiunse sollevando il grosso pentolone e indicando una pila di stoviglie appoggiate su una panca «Prendi quella roba, per favore». Raccolsi i piatti e lo raggiunsi all’esterno. Matej aveva già apparecchiato con tovaglia, posate e bicchieri. Mancavano solo i piatti che stavo portando io. Gli atleti si stavano dando una lavata alle docce sulla spiaggia. «Vedi», continuò Tres riempiendo i piatti con un grosso mestolo di legno «la tua mancanza è stata nel vedere attraverso le cose. Tutti gli agenti che hai incontrato ti dovevano offrire uno specchietto per le allodole, per ingannarti, capisci?». «Ingannarmi?». «Sì, era una prova a cui dovevi essere sottoposto. Ma non te la devi prendere... Sono in tanti che non riescono a superare questa prova. Solo pochi eletti riescono a vedere attraverso quello che...». «Vuoi dire che il mio scopo non era trovare qualcosa, ma raggiungere un determinato luogo?». 40


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«Esatto». «Bé! Però ci sono riuscito, no?». «Sì ma non te ne sei reso conto...». «Capisco», ormai ero affranto. Avevo fallito, non ero diventato un agente segreto, non avevo più una casa dove tornare, non avevo più una vita da vivere «Gli altri... Voglio dire... Le altre reclute... Dove hanno fallito le altre?». «Se ti può essere di consolazione, tu sei l’unico che ha raggiunto tutte le mete... Specie questa palestra». «Sul serio?». «Sì». «Ma, allora, sono riuscito a superare la prova...». «Sì, no. Voglio dire... Sei arrivato fin qui ma... Non cercavi... A proposito, che diavolo cercavi?». «Non lo so!». «Cosa?». «Non lo so! Quando sono stato reclutato è saltato tutto in aria e non mi hanno spiegato bene cosa dovevo fare...». «Sul serio?». «Sì». «Ma, allora, le cose cambiano». «Vuoi dire che ho superato la prova?». «Non lo so... Devo consultarmi con...». Dal fumo uscente dal pentolone apparve l’immagine eterea del Veggente che sorrideva e annuiva vistosamente «Raggiunta è la prova quando gli occhi vedono, le orecchie sentono e la pancia digerisce». «Quindi sono riuscito nella prova?». «Sorridenti sono le stelle che osservano la spiaggia quando non ci sono nuvole nel cielo». «Siediti e mangia con noi», disse Tres «il Veggente ha deciso che da questo momento farai parte della nostra comunità». 41


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Mi guardai attorno. Lapis sedeva a capotavola. La Regina Pigra sedeva alla sua destra e chiacchierava con Cat, ancora vestita da Cat Woman, l’unica in nero a quella tavolata. Anche Jed era già seduto al tavolo e parlava animatamente di musica con Cleopa che, nel frattempo, mi sorrideva dall’altro capo della tavolata, allegra come non l’avevo mai vista. Dalle docce stava arrivando anche Ottantasette. Si stava ancora asciugando i capelli con un asciugamano bianco candido. Gea, invece, era appena apparsa da un cerchio di energia. Si avvicinava con lunghi passi, e con lei, c’era tutta la classe di alunni. Tranne Matej, ovviamente, perché era già seduto a tavola e amoreggiava con Babock. Anche Virgy era seduto al tavolo, e sempre tossendo a causa della sigaretta in bocca, mi indicava il posto libero al suo fianco. Mi sedetti accanto a lui, che sorrise. Tres finì di servire la zuppa, e poi prese posto al mio fianco. Ottantasette stappò la bottiglia del vino. Tutti brindarono alla salute di Virgy, e la cena cominciò con i migliori auspici.

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L’AGENTE G e l’Alieno Terrorista

L’elicottero bianco dell’agenzia mi aveva appena scaricato sulla pista di atterraggio della base segreta americana sita nell’Area 51. Mi sentivo a disagio per colpa della nuova divisa da agente segreto che Virgy aveva scelto per il periodo Autunno-Inverno di quell’anno. L’avevo indossata comunque, visto che stavo per intraprendere il mio primo incarico operativo. L’abito, al contrario del completo che avevo sfoggiato fino alla settimana prima, consisteva in un top attillato, che mostrava la mia pancetta assieme a un ombelico straripante, un paio di jeans stracciati, tagliati a metà coscia e sfrangiati per benino su entrambe le gambe, un paio di anfibi militari con punta antinfortunistica e una tracolla porta pistole, in grado di tenere quattro armi calibro 44, due all’altezza delle scapole, dietro la schiena, due sui fianchi, ad altezza maniglie dell’amore. La cintura, tipo cartucciera del far-west, completava il tutto assieme a un paio di Ray-Ban taroccati cinesi completamente bianchi come gli abiti, del resto. Il motivo di questa nuova divisa era dovuta a un dvd che Virgy, assieme al Veggente, avevano visto una sera d’estate durante uno dei temporali che aveva caratterizzato l’agosto di quell’anno. Innamoratisi di Lara Croft8 , i due capi supremi dell’agenzia più segreta del pianeta avevano deciso di adeguare gli indumenti di tutti gli agenti (maschi e femmine) al look della divina attrice. Fortunatamente, il cambio di look si era limitato agl’indumenti e non aveva preso d’esempio il taglio di capelli Lara Croft è un personaggio immaginario, protagonista della serie di videogame Tomb Raider, da cui sono stati tratti film e fumetti (fonte: wikipedia). 8

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dell’attrice, nel suddetto film. Quando scesi dall’elicottero, come avevo già accennato, ero in pieno imbarazzo. I flash delle macchine fotografiche scattavano come raffiche di mitragliatrici, e tutti i fanatici di U.F.O. presenti, sventolavano enormi cartelloni con su scritto ‘Welcome on Earth!’, ‘Elvis torna tra noi’ e ‘Abbasso le sonde Anali!’. Una coppia di militari mi fece entrare in un hangar completamente grigio. Lì trovai altri due soldati che mi scortarono lungo un corridoio grigio, intervallato da porte grigie senza iscrizioni e maniglie. Ci fermammo davanti a una di esse, e uno dei due soldati, quello alto, biondo e muscoloso, con due baffoni alla Village People, mi disse «Enter here, dear!». La porta si aprì dall’interno e mi apparve un ulteriore corridoio grigio. A differenza del precedente, però, non c’erano militari di guardia, e a qualche metro da me, nel bel mezzo di quel pavimento grigio, c’era un buco per terra. Mi avvicinai all’apertura e vidi sbucare il viso sorridente di Ottantasette «Hai per caso visto un simbolo fallico di età precolombiana completamente d’avorio?», chiese. «Eh?». «Sto cercando un pene d’avorio!». «No...», risposi con imbarazzo «Sono appena arrivato, non so dove possa essere». «Grazie lo stesso». Vidi l’agente scomparire completamente, assieme al buco nel pavimento. Rimasi per un istante a rimuginare sulla domanda che mi era stata posta credendo che potesse essere un messaggio segreto proveniente dalla Mamma, poi non capendoci nulla, rinunciai e continuai a percorrere il corridoio. Raggiunsi una porta grigia. Priva di iscrizioni, con una maniglia 44


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grigia appena visibile. Entrai nella stanza. * All’interno della stanza, completamente grigia, c’era un tavolo grigio con due sedie, anch’esse rigorosamente grigie. Su una sedia era seduto un uomo con una tuta rosso nera piuttosto avveniristica. Sul tavolo era appoggiato un casco giallo con la visiera azzurra, molto simile a quelli che erano disegnati nei cartoni animati giapponesi degl’anni settanta. Quell’uomo era legato alla sedia, con una corda grigia, e era osservato di nascosto tramite uno specchio finto, anche quello grigio, appeso a una delle pareti completamente grigie. Allontanai la sedia rimasta libera dal tavolo, facendola appositamente stridere sul pavimento, per dare fastidio all’uomo da interrogare. Questo sorrise e attese la mia prima domanda. «Chi sei?». «Mi chiamo Goldrake9 », disse «ma quando mi vesto normalmente tutti mi chiamano Actarus, per gli amici Actarus». Non presi appunti. Sapevo bene che al di là dello specchio finto c’era una telecamera che stava registrando tutto per filo e UFO Robot Goldrake, è un anime televisivo di 74 episodi, prodotto dalla Toei Animation dal 1975 al 1977, e basato su un soggetto di Go Nagai, già autore dell'omonimo manga nel 1973. È stata la prima serie mecha giapponese importata in Italia, dove venne originariamente trasmessa con il nome di Atlas UFO Robot nell'ambito del programma Buonasera con... Su Rete 2, dal 1978 al 1980. Per dare un'idea del successo avuto all'epoca basti pensare che il 45 giri prodotto dalla Fonit Cetra con le sigle della prima serie, Ufo Robot/Shooting star (firmate con lo pseudonimo Actarus), ottenne addirittura il disco d’oro, superando il milione di copie vendute. La serie ebbe successo anche in Francia, e nel mondo arabo, soprattutto in Egitto e in Arabia Saudita (fonte : Wikipedia). 9

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per segno. «Da dove vieni?». «Il mio pianeta d’origine è nel sistema solare Fleed... A molti milioni di anni luce dalla Terra». «Sei venuto per invaderci?». «No». «Allora, cosa sei venuto a fare qui?». «Venusia mi ha mandato per posta un tanga leopardato, e ho pensato che i tempi fossero maturi per un mio ritorno». «Venusia?». «Una ragazza giapponese?». «Giapponese?». L’uomo annuì. «Come l’hai conosciuta?». «Molto tempo fa, quando sono precipitato qui per la prima volta. Era cotta di me, ma non me l’ha mai... Capisci?». Feci cenno di sì con la testa e chiesi «Quanto tempo fa?». «Era l’inizio degl’anni sessanta, credo. Forse un po’ prima». «Cosa ti aveva portato qui, a quell’epoca?». «Una guerra sul mio pianeta. Io ero il figlio del Re e l’Impero di Vega ci aveva invasi. Mio padre mi ha costretto ad abbandonare tutto e tutti per fuggire qui». «Non è stato un gesto molto coraggioso da parte tua...». «Non potevo disobbedire a mio padre». «Cosa successe a quell’epoca?». «Dove?». «Sulla Terra!». «Conobbi Venusia». «Lei veniva da Vega?». «No, te l’ho già detto, era giapponese». «Allora era una collaboratrice con i venusiani?». «No, era la figlia di un vecchio bacucco di nome Rigel. Un 46


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mezzo scemo che credeva che gli ufo fossero tutti amichevoli». «E tu?». «Io cosa?». «Perché sei venuto sulla Terra?». «Avevo finito il carburante ed ero ferito... Il dottor Procton del Centro di Ricerche Spaziali mi ha aiutato e mi ha spacciato per suo figlio». «Quindi, sei venuto qui, ti hanno curato, e sei tornato a casa tua a combattere la guerra...». «No. I venusiani mi hanno seguito». «Ti hanno seguito?». «Sì. Ho dovuto combattere per difendere il vostro pianeta». «Ma sui libri di storia...». «Stranamente, i venusiani erano interessati solo al Giappone. Credo che nessuno si sia mai accorto di nulla... In occidente». «Capisco...». «Ti dico che è così!». «Va bene», dissi rimuginandoci un po’ sù «Torniamo a oggi!». «Cosa vuoi sapere?». * «Perché sei tornato?». «Te l’ho detto. Venusia mi ha mandato un Tanga per posta!». «Quindi sei venuto sulla Terra per...». «Turismo sessuale? Sì!». «Cos’è successo?». «Una tempesta magnetica mi ha costretto a entrare nell’atmosfera terrestre sopra l’America. Un pirloccio di pilota americano si è inserito nella mia rotta con quella navetta bianca...». «Lo Shuttle?». 47


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«Proprio quello. È stato un bel botto. Il mio disco volante è precipitato come un piombo. La vostra navetta è andata in mille pezzi... Mi dispiace». «C’erano sette persone a bordo». «Lo so. Mi dispiace». «Non sembri dispiaciuto...». «Senti, quell’imbecille mi ha tagliato la strada, non ha dato la precedenza, mi è venuto addosso quando andavo a mach 10. Lo sai quanto tempo ci vuole per frenare a quella velocità? Non è stato piacevole nemmeno per me, lo sai? Non ho nemmeno le cinture di sicurezza su quel cavolo di disco volante!». «Ok, ok. Va bene!». «Va bene ‘sta ceppa! Quando ho toccato terra sono svenuto. Mi avete caricato con tutto il disco e portato qui nel deserto. Io, a quest’ora, dovrei essere in Giappone. Si può sapere quando mi liberate? Voglio parlare con il mio consolato e voglio pure un avvocato!». «Noi crediamo che tu sia un terrorista talebano». «Cosa?». «Hai distrutto una nostra nave spaziale. Abbiamo ricevuto una videocassetta da Osama Bin Laden che rivendica l’incidente come un attentato». «Bin Laden? Ma voi siete scemi!». «Questo non è un buon modo per collaborare...». «Si può sapere cosa volete da me?». «Una confessione». «Una confessione? E di cosa? Di una cosa che non ho fatto? Io vi ho detto tutta la verità!». «Vuoi per caso farci credere che sei un alieno?». «Cosa...». «Scegli tu. Io sono qui solo per chiarire la faccenda. Gli 48


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americani non vedono l’ora di metterti sulla sedia elettrica. Dopo l’undici settembre sono tutti un po’ nervosetti qui». «Ma io sono innocente!». «Hai dei testimoni?». «Cosa? Testimoni?». «Sì, Testimoni». «Venusia?». «Chi? La giapponese? Ma ti rendi conto che oggi avrà sessant’anni?». «Cosa?». «Se la tua storia è vera, dagl’anni sessanta/settanta a oggi sono passati una quarantina d’anni... Ne aggiungiamo una ventina giusto per non farti fare pure la figura del pedofilo e... Il risultato è sessanta». «Ma io... Ma io... Io ho salvato la Terra dalle forze di Vega». Scoppiai a ridere «Puoi provarlo davanti a un giudice?». «No!». «Allora è meglio che firmi questa confessione...». L’uomo mi guardò affranto. Prese il foglio che avevo appoggiato sul tavolo, e con le lacrime agl’occhi, mise la sua firma in fondo al documento.

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L’AGENTE G e il Codice Segreto

Era una mattina buia e tempestosa. Stavo andando al lavoro con la mia Aston Martin Vanquish nuova di zecca, regalo delLa Mamma, mentre osservavo sul piccolo monitor nel piantone centrale le incombenze che mi spettavano per la giornata. • Pagare il canone RAI. • Pagare la bolletta della ADSL. • Passare dal droghiere e comprare un etto di prosciutto, due di salame piccante, uno e mezzo di coppa. • Andare dal panettiere e prendere due baguette appena sfornate. • Passare dal lavasecco a ritirare il cambio degli agenti appena lavati e stirati. • Tornare alla base per ulteriori aggiornamenti. Una giornata tranquilla, quindi. Senza missioni pericolose e quant’altro. In effetti, erano già un paio di mesi che l’agenzia non mi dava più compiti speciali. Dopo quel piccolo errore di valutazione fatto interrogando il marziano... O il fleediano o come diavolo si chiamava, che era tornato sulla Terra per incontrare una sua vecchia fiamma. Poveretto, a causa del mio rapporto, ora, si trovava nella base di Guantanamo, a Cuba, costretto a sentire canzoni della Aguilera e a farsi leggere i romanzi della Rowling. Per fortuna che in quella base era di stanza anche Tres, uno dei nostri migliori agenti, che faceva di tutto per allietargli la permanenza mentre una stola di avvocati stava cercando di far valere i suoi diritti di visitatore proveniente dalla stella Fleed. Ad ogni modo, non era male passare le giornate svolgendo 50


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piccoli compiti di routine. Molto meglio che rischiare la vita come Cat, costretta ogni giorno a lottare contro i criminali mascherati della città, o come Ottantasette, sempre in giro per il mondo alla ricerca di un fallo d’avorio molto prezioso. Parcheggiai l’auto non appena vidi l’ufficio postale. Il bollettino del canone RAI era nel cassetto, proprio di fianco alla Beretta calibro 44, tutta nichelata, e appena comprata. Scesi dall’auto, e subito, un’immagine tridimensionale del Veggente mi apparve davanti agl’occhi. Era l’oloproiettore della mia Vanquish che, grazie a un laser multifrequenza, poteva proiettare sulla naturale umidità dell’aria l’immagine del messaggero dell’agenzia. «Solo nel codice dei grandi sistemi si nasconde il potere dell’universo», disse. «Mi stai affidando una vera missione?». «Il possessore del codice ha perso il numero e ora non può riscuotere il premio». Feci due più due, ‘Vincitore’ … ‘Vinci’ … ‘Codice’… chiesi «Devo trovare il possessore del Codice da Vinci?». «Quand’egli tornerà in possesso del numero, la felicità tornerà nei suoi occhi». «Ho capito. Devo fargli avere il codice». Il Veggente annuì e scomparve nella bruma mattutina. * Tornai in macchina, e dalla stampante nascosta sotto il bracciolo al fianco della guida era uscito un piccolo biglietto della lotteria. Rimasi subito stupito per la genialità. Il numero di serie doveva essere il Codice da Vinci. Misi in moto l’auto, e subito, la brutta faccia di Virgy, il mio navigatore personale, apparve sul display «Hai ricevuto 51


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istruzioni?». «Sì, dobbiamo trovare il proprietario del Codice da Vinci». «Il Codice da Vinci?». «Sì». «Da dove cominciamo?», chiese il navigatore. «Da Vinci». «Come?». «Non lo sai? Vinci è una città. È dove viveva Leonardo di Caprio». «Forse intendi dire Leonardo da Vinci...». «Sì proprio lui, quello del Titanic». «Forse stai facendo un pochino di confusione». «No, no. Niente confusione. Dobbiamo andare a Vinci». «Ti do le coordinate?». «No. Portami tu. Io mi faccio un pisolino che, ieri sera ho dormito poco». «Hai trovato da far bene?». «Eh... Eh...». «Guarda che non ti conviene raccontarmi balle. Sono collegato col database dell’agenzia. Qui risulta che hai pulito i pavimenti dell’agenzia numero quattro». «A te non sfugge nulla!». «Bé!», disse lui con un ghigno stampato sulla sua faccia incartapecorita «In realtà qualcosa mi sfugge ancora». «Cosa?». «Il perché ti abbiano reclutato!». «Sei simpatico, tu. Quasi quasi ti schianto contro un muro». «E io non faccio scattare l’airbag...». «Uffa! L’hai sempre vinta tu!». «Allora prendo l’autostrada a Casalecchio...». «Casalecchio?». «Dobbiamo andare in Toscana, sì o no?». 52


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«No. Dobbiamo andare a Vinci, non in Toscana». «Ok, ok. Lascia perdere. Mi affido al navigatore satellitare». * Vinci era una simpatica cittadina dove gli abitanti erano tutti felici e contenti. In quel luogo, chiunque partecipava a un concorso, facesse una lotteria, compilasse una schedina o scommettesse su un cavallo, vinceva sempre e comunque qualcosa. La maggior parte delle persone, infatti, non lavorava. Passava le giornate col Gratta e Vinci, un tipico gioco del luogo e tornava a casa sempre con il sorriso stampato sulla faccia. Gli unici a lavorare erano i commessi dei negozi e dei locali pubblici. Forse c’era anche qualche dipendente comunale e qualche poliziotto. Tutti quanti, però, non percepivano stipendio. Bastavano le vincite a farli felici, e comunque, erano contenti di dare un servizio alla comunità e alle persone di passaggio. Parcheggiai l’auto di fronte a una cartolibreria. Grattai un parchimetro da due euro e lo esposi sotto il tergicristallo. All’interno del negozio c’erano alcuni clienti intenti a grattare e vincere mentre, soddisfatto, il commesso sistemava alcuni biglietti della lotteria in bella vista. Mi avvicinai a lui sorridendo e gli mostrai il biglietto. «Salve, mi sa dire dove posso trovare il proprietario di questo biglietto?». L’uomo, incuriosito, guardò prima il biglietto e poi me medesimo, quindi disse «Non sono mica il Veggente. Qui tutti quanti comprano biglietti della lotteria come quello. Non lasciano mica nome e cognome». «Ok,, ma pensavo, essendo un paese piccolo...». 53


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«Lasci perdere... Immagino che lei abbia trovato il biglietto per strada e ha pensato di restituirlo al legittimo proprietario...». «Proprio così!», dissi mentendo spudoratamente «L’ho trovato proprio qui di fronte, e pensavo...». «Non si preoccupi. Se lo può tenere. Nessuno si lamenterà. Qui vincono tutti. Chi ha perso quel biglietto, probabilmente, ne avrà comprato un altro in un altro negozio». «Dice?». «Certamente». «Mi sa dire in quale negozio?». «Eh? Le ho detto che non sono un indovino». «Provi lo stesso a indovinare...». «Guardi... È meglio che esca da qui». «Ma, perché?». «Mi sta solo facendo perdere del tempo e… non mi piace perdere!». Non potei fare altro che uscire dal negozio. Quel commesso non sapeva nulla. Forse non era il negozio giusto, ma l’insegna sembrava quella giusta: Cartoleria da Vinci. * Non me ne andai comunque a mani vuote. Uscendo, infatti, mi cadde l’occhio su di un romanzo che subito conquistò la mia attenzione. Il titolo era Il Codice da Vinci, e l’autore era un certo Dan Brown. Probabilmente un parente di Dan Peterson. Entrai in macchina tutto eccitato. «Hai ottenuto delle informazioni?», chiese Virgy «Il negoziante non si è sbottonato ma», sogghignai per la mia arguzia «ho comunque trovato una traccia». «Una traccia?». «Un libro intitolato ‘Il Codice Da Vinci’». 54


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«Sul serio?». «Siamo a cavallo. Dobbiamo solo trovare l’autore». «Chi è?». «Dev’essere il fratello di Dan Peterson...». «Sei sicuro?». «Sicurissimo!». «Come fai a dirlo?». «Il suo nome è Dan... Qualcosa». «Dan... qualcosa? In che senso Dan qualcosa?». «Sì, Dan Marrone... Dan Brown... Ecco, Dan Brown». «Allora basta raggiungere sto tizio e metterlo sotto torchio...». «Non credo che sia così facile...». «Perché?». «Non è che posso trovare il suo indirizzo sull’elenco...». «Sull’elenco no... Ma Gea ci può essere d’aiuto». «Gea?». «L’insegnante... Ti ricordi?». «Insomma...». «Il portale extra-dimensionale, te lo ricordi?». «Insomma...». «La mangiata di pesce da Tres?». «Ah sì... Ottimo pesce e una bellissima compagnia. Quel vinello, poi... Indimenticabile». «Ecco, ti ricordi come hai fatto ad arrivare su quella spiaggia?». «Spiaggia?». «Va bé, lasciamo perdere. Ti ci porto io». * Arrivammo alla scuola nel primo pomeriggio. Virgy mi lasciò proprio di fronte alla porta d’ingresso, e una volta fattomi scendere, andò tranquillamente a cercarsi un parcheggio. 55


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Entrai nell’atrio della scuola e vidi subito un personaggio sospetto. Era una donna, una strana donna, sui cinquant’anni, abbastanza rotondetta, capelli grigi, vestita con un grembiulone modello burka di colore azzurro pallido. Aveva in mano un grosso scopettone ed era impegnatissima a lustrare il pavimento. Non appena varcai la soglia, lei alzò lo sguardo allarmato. Fu in quel momento che capii che era una spia. Quei due baffoni neri come la pece non ci stavano a dire nulla con il corpo... Diciamo femminile della bidella. Senza il minimo preavviso le saltai addosso. La bloccai con una chiave articolare, ma lei, probabilmente ben addestrata dai servizi segreti islamici, mi disarcionò con un colpo di reni e si mise a sedere sopra di me. A causa del suo peso, non potei fare nulla per liberarmi e dovetti ricorrere alle armi sporche. Sfilai dal calzino sinistro uno spray alla cicoria ammuffita e ne spruzzai una buona dose sugl’occhi dell’agente nemico. Questo starnutì due volte, colpendomi in faccia con, probabilmente, un’arma batteriologica di nuova concezione. Comunque si tolse da sopra di me e mi permise di rialzarmi. Con attenzione mi pulii il viso da quel liquido spugnoso verde che mi aveva imbrattato le guance, quindi immobilizzai la finta bidella con la ‘Stretta Vulcaniana’. Lei crollò all’istante, mentre dal fondo del corridoio una voce maschile gridò «Che diavolo sta facendo alla povera Camilla?». Quell’uomo sembrava un vero armadio. Alto almeno due metri, senza turbante, due metri e mezzo con il turbante in testa. Corse in aiuto della sua ‘collega’ e io dovetti immobilizzarlo spruzzandogli lo spray alla cicoria nelle pupille. Questo cadde a terra rotolandosi per il dolore e gridando aiuto. La situazione stava diventando critica, dovevo allontanarmi al più presto, ma Gea apparve da una delle aule più prossime al 56


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luogo della colluttazione «agente G, ma cosa stai combinando...», disse lei guardando i due agenti che avevo immobilizzato «Signor Preside... Camilla... Oh mio Dio...». A quel punto mi resi conto che dovevo aver preso un madornale abbaglio, ma ormai, il dado era tratto. * Dopo una mezz’oretta passata a chiedere scusa e a sorbirmi le lamentele e le minacce di querela, finalmente, rimasi solo con Gea e potei spiegarle il mio problema. Gea fu di poche parole, ancora incavolata per quello che avevo combinato nel corridoio della sua scuola, ma a ogni modo collaborò e mi aprì un portale magico proprio davanti alla cattedra della sua aula. Attraversai il portale di luce e mi ritrovai in piena Oxford Street. Un autobus ‘Double Decker’ mi schivò di un soffio e andò a schiantarsi contro una Rover blu scuro che stava arrivando dalla corsia opposta a quella dell’autobus. Io mi dileguai in fretta e furia, prima che un Bobby potesse vedermi e costringermi ad andare a Scotland Yard, per spiegare al commissario Bloch la mia improvvisa scomparsa. Sul marciapiede trovai subito quello che cercavo. Un cartellone pubblicitario annunciava una conferenza all’Albert Hall dedicata al Codice Da Vinci. Ospite prestigioso dell’avvenimento, ovviamente, sarebbe stato Dan Brown in persona. Felice della mia scoperta fortuita, mi diressi subito all’Albert Hall, sperando di poter contattare Dan Brown lontano da occhi indiscreti. L’unico problema era che non avevo la più pallida idea di quale fosse il suo aspetto fisico. 57


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Per risolvere questo problema, dovevo per forza recarmi in una libreria e comprare una copia del suo libro. Quando arrivai all’Albert Hall mancava ancora un’oretta all’inizio della conferenza. Ne approfittai per fare un giro nel parco lì vicino. Mi sedetti a una panchina e cominciai a sfogliare svogliatamente il romanzo. Davanti a me passavano orde di giapponesi carichi di macchine fotografiche, di vietnamiti armati fino ai denti, di italiani con lo smartphone in mano atto a inquadrare un piccione a pochi metri da loro, cantanti famosi, signore dall’aria d’altri tempi, manager, ragazzi dall’aspetto arabeggiante con zaini carichi come bisacce da mulo, e tante, tante altre persone. A Un certo punto, passò proprio davanti a me un uomo dal volto conosciuto. Lo seguii con lo sguardo fino a che non mi venne in mente dove avevo già visto quella faccia, ovvero sul retro di copertina del libro che stavo maneggiando. Gli corsi incontro, e questo, una volta notatomi, si mise a correre pure lui. * Per fermare il fuggitivo dovetti ricorrere alle mie segrete tecniche ninja. In piena corsa, prelevai il mio manganello estensibile al gusto di taleggio incartapecorito e lo lanciai verso Dan Brown con una mossa segreta chiamata ‘Lancio alla T.J Hooker’, probabilmente inventata proprio da questo misterioso guerriero ninja chiamato T.J. Hooker. Il manganello fluttuò nell’aria come fosse un colibrì in amore e colpì il bersaglio al tallone d’Achille. Il suo punto debole. Vidi Dan Brown caracollare, cadere, rotolare nella sabbia, bestemmiare, gridare e mugugnare. Lo raggiunsi, mi misi a cavalcioni su di lui, per evitare che 58


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fuggisse nuovamente, e dissi «Lei è Dan Brown?». «Chi cazzo sei?». «Può rispondere gentilmente alla domanda?». «Sì, merda! Sono io. Si vuole levare dalle mie costole?». «No». «Si può sapere cosa vuole da me?». Da lontano sentii fischiare con un fischietto... Forse un gruppetto di ragazzini che giocavano allegramente nei prati. Continuai a interrogare il mio sospettato. «Cosa sa del Codice Da Vinci?». «Cosa? Mi prende in giro?». «Cosa sa del Codice Da Vinci?». «È il mio romanzo!». «Risposta sbagliata», lo colpii sulla fronte con un cricco, poi ripetei la domanda «Cosa sa del Codice Da Vinci?». «Cosa vuole sapere?». Finalmente Dan Brown dava un cenno di collaborazione. Peccato solo per quel fischietto. Un suono fastidioso sempre più forte e ripetuto in continuazione. «Sa cos’è questo biglietto?». L’uomo osservò il biglietto che tenevo in mano... «Sembra... Sembra una lista della spesa!». Gli diedi un altro cricco, non collaborava. Poi mi accorsi che aveva ragione. Avevo tirato fuori dalla tasca il biglietto sbagliato. * Mostrai il biglietto della lotteria «Sai cos’è questo?». «Un biglietto della lotteria... Direi». «Esatto. Sai di quale lotteria?». L’uomo rifletté. Sembrava guardare oltre le mie spalle, forse 59


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era attratto anche lui dal suono insistente di quel fischietto. «La lotteria da Vinci». «Bene. Ora, parlami del codice...». «Quale codice?». «Il codice di questo biglietto. Il Codice Da Vinci». «Ma... Cosa sta dicendo...», sorrideva il bastardo! Feci per dargli un nuovo cricco, ma all’improvviso sentii un forte colpo alla nuca. Poi il buio e il nulla più totale. Ripresi coscienza un paio di minuti più tardi. Ero ancora nel parco. Dan Brown era in piedi e discuteva con un Bobby10. Altri due mi tenevano sott’occhio. Avevo le mani legate da delle manette ed ero ancora sdraiato a terra. Dan Brown aveva il biglietto della lotteria. Rideva con il poliziotto. Bastardi! Erano anche loro implicati nella faccenda del codice. Come potevo immaginarlo? Che ne sarebbe stato di me, adesso? Dovevo trovare il modo di chiedere aiuto. Vidi il poliziotto avvicinarsi a me e ai suoi due colleghi «Potete lasciarlo andare...». «Cosa?», dissero in coro i due agenti. «Non è pericoloso. È solo imbecille...». Mi sollevarono di peso e mi liberarono le mani. «Abbiamo parlato con La Mamma», disse l’agente mostrandomi il gesto segreto di riconoscimento «Deve aver frainteso la sua missione. Doveva semplicemente consegnare il biglietto a quell’uomo». «Lo so», risposi «volevo solo essere certo che non si trattasse di un errore di persona. È per questo che lo stavo interrogando». «Un interrogatorio un po’ ortodosso... Non crede?». «Forse ci sono andato un po’ pesante ma... Aveva tentato di Nomignolo affibbiato ai poliziotti inglesi per via della loro divisa, o meglio del loro particolare elmetto, che li faceva somigliare a delle bottiglie blu (BLUE BOTTLE = BOBBY). 10

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scappare». «Quando l’ha vista corrergli dietro si è spaventato... Pensava a un tentativo di rapina». «Capisco...». «L’importante è che tutto si sia risolto...», disse Dan Brown in persona. Si era avvicinato e sorrideva allegramente «La devo ringraziare per avermi restituito il biglietto. Sa, è ancora valido e... Devo andare a ritirare il premio». «Sul serio?». «Sì, proprio così. Per di più, vede qui dietro? C’è il numero di telefono di una ragazza molto procace che ho conosciuto a Vinci... Devo ringraziarla doppiamente. Non so come avrei fatto senza quel numero di telefono». «Bé! Se la mettiamo in questo modo, sono contento di averla aiutata». Dan Brown sorrise e si allontanò saltellando come un ragazzino. Io, mi feci condurre dagli agenti alla Central Station. Il viaggio di ritorno per l’Italia sarebbe stato molto lungo.

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L’AGENTE G contro i Dissennatori

Giunto alla Central Station sotto scorta, dopo aver svolto il mio dovere sul suolo britannico, fui lasciato con un biglietto ferroviario in mano, una valigia, una pacca sulla spalla e una risatina ironica che feci fatica a interpretare. Forse era il classico humour inglese, forse una barzelletta che si erano raccontati la sera prima in caserma, o forse... Lei. Sempre bellissima, con il suo stile inimitabile, il suo fare agile e disinvolto in ogni situazione. L’agente Ottantasette se ne stava lì, in piedi, vestita di tutto punto, all’ultima moda, come fosse Lara Croft appena uscita da una delle sue mirabolanti imprese, e sorrideva. Pensai che fosse felice di vedermi, ma quando mi avvicinai a braccia aperte per abbracciarla e baciarla, lei scoppiò a ridere, mi diede uno scappellotto e disse «Ancora una volta ne hai combinata una delle tue, eh?». «Guarda che è tutta colpa del Veggente se...», cercai di difendermi lasciando cadere le braccia. «Se... Il Veggente non sbaglia mai. Dovresti saperlo», mi prese a braccetto e mi condusse verso il binario del nostro treno «Lui si è diplomato a Hogwarts a pieni voti, non lo sapevi?». «Hogwarts?», chiesi «Cos’è? Un’università americana?». Ottantasette si fermò, mi guardò storto, poi sollevò lo sguardo e sbuffò «Lasciamo perdere, va'! Dobbiamo prendere un treno». «Mi accompagni fino in Italia? Non eri in missione?». «Sì, sono in missione. No, non andiamo in Italia». «E dove andiamo?». «Dove? A Hogwarts, naturalmente!». 62


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Ottantasette mi condusse al binario nove e a un certo punto, senza dirmi niente, mi spinse con tutte le sue forze contro una colonna. Urlai e chiusi gli occhi in attesa dell’impatto con il marmo sbrecciato della colonna, ma non sentii alcun dolore. Quando i miei occhi furono nuovamente aperti, scoprii di essere di fronte a una pensilina, circondato da una miriade di ragazzini carichi di bauli e gabbie con animali strani. C’era un gran trambusto, rumore, saluti, lo sbuffare di un treno a vapore, grida di animali di ogni genere, e gufi, gufi e civette ovunque. Ottantasette attraversò la colonna subito dopo di me e sorrise. «Dove siamo?», chiesi con meraviglia. «È il binario nove e tre quarti». «Un passaggio segreto per la scuola di agenti segreti...», commentai «dovevo aspettarmelo». Ottantasette fece per aprire bocca e correggermi ma non fece in tempo perché il mio sguardo fu catturato da qualcosa di speciale. * «Guarda là!», dissi eccitato «Quello è Renato Zero!», presi Ottantasette per mano e la trascinai di fronte al mio idolo. Lei cercava di trattenermi, protestava, cercava di dirmi qualcosa d’importante, ma nulla poteva fermarmi in quel momento. Davanti a me, per la prima volta, dal vivo, avevo il mio idolo. Renato Zero! Gli arrivai di fronte e subito lo salutai «Ciao Renato, pure tu qui? Non sapevo fossi un agente segreto. Lo sai che sono un tuo fan sin da piccolo... Il triangolo no, non l’avevo considerato. L’indirizzo ce l’ho... Viva la RAI, gli spermatozoi... Quanto mi piacciono le tue canzoni. Mi firmeresti un autografo? Ti prego! 63


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Ti prego! Ti prego!». Renato mi guardò come se venissi da un altro pianeta. tirò fuori un bastoncino strano e lo fece ondeggiare sopra di me. Pronunciò alcune parole incomprensibili, e improvvisamente, non riuscii più a emettere suono. «Io non sono Renato Zero», sbuffò l’uomo, una volta zittitomi «sono stanco di essere confuso con quel dannato cantante italiano. Solo perché vestiamo uguale e poi non ci assomigliamo per niente. Lui è grasso, io sono in forma perfetta e la mia voce è molto più bella... Senti qua, stupido!», e cominciò a intonare Perdere l’amore con una voce ancora più bella di quella di Ranieri. Rimasi a bocca aperta, almeno fino alla fine dell’incantesimo, ma lui non aveva ancora finito di rimbeccarmi «Il mio nome è Snapes», disse «insegno a Hogwarts. Ma tu mi conoscerai come Severus Piton, visto che voi italiani cambiate i nomi e i titoli di tutte le storie straniere. Mannaggia a voi! Comunque, tu, che ci fai qui! Questo non è un posto per babbani». Fu Ottantasette a rispondere «Siamo agenti segreti. Siamo qui per Harry Potter». «Potter, sempre Potter! Cosa avrà di speciale Harry Potter! Neanche fosse andato a letto con Paris Hilton, dico io!». «Ci manda Il Veggente. Lo conoscerà sicuramente...». «Il Veggente? Il Veggente della casata dei Corvo Nero? Sì, sì. Lo ricordo benissimo. Era bravissimo nelle arti divinatorie. Anche con le pozioni era imbattibile. Poteva tranquillamente tenermi testa in tutte le sfide. Un bravo studente, davvero. Ma che ci fa con voi, che siete dei semplici babbani?». «È stato lui a sceglierci. Ha detto che la sua presenza avrebbe avuto un ruolo importante. Che lui, tramite l’agente G, avrebbe sconfitto finalmente il male puro». «E chi sarebbe questo l’agente G?». 64


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«Lui!». «Questo qui?». * Il treno fischiò furiosamente. Era il momento di salire tutti in carrozza. Ci fu un trambusto indicibile. Frotte di studenti si proiettarono sul treno. Gli ultimi saluti, il pianto delle madri, le grida dei facchini. Le strida degli animali. Le urla dei professori. Snapes si guardò in giro e decise che doveva salire sul treno. Noi lo seguimmo, mentre la mia mascella cominciava a rilassarsi e i primi rumori cominciavano a fuoriuscire, incontrollati, dalla mia laringe. Una volta sul treno, Snapes guardò Ottantasette e disse «Ora sono impegnato. Se cercate Potter, lo potete trovare nella carrozza dei Griffindoro». Lei ringraziò e mi tirò lungo lo stretto corridoio della carrozza in cui eravamo saliti. Una volta soli, dissi «Secondo me quello è Zero. Hai visto come se l’è presa? Gli scoccia essere riconosciuto dai fan, lo posso capire, sai, le prime volte fa piacere ma alla lunga sono dei rompiscatole. Però poteva farmelo un autografo, no?». «Non rompere anche tu! Dobbiamo trovare Harry Potter, ho un messaggio per lui da parte del Veggente». «Harry Potter? Enrico il Pentolaio 11? Che ci abbiamo a che fare, noi, con un pentolaio?». Ottantasette sbuffò e disse «Non è un pentolaio. È uno studente di magia. È anche bravo. Ed è invischiato con una storia che ci riguarda». «Sul serio? È forse uno spacciatore? Una spia? Un killer? Un 11

Traduzione maccheronica. Quella corretta sarebbe Enrico il Vasaio. 65


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agente nemico?». «No. Niente di tutto questo». «Allora...». «Ma vuoi stare zitto? Dobbiamo trovarlo e basta». «Ok!». «Era ora». «Però Renato Zero poteva anche farmelo, l’autografo!». Mi raggiunse uno scappellotto e mi convinsi a stare zitto. Ottantasette mi tirò fino al centro del treno. Ogni tanto si fermava a chiedere a qualche ragazzo che, immediatamente, indicava sempre nella stessa direzione. Harry Potter, Enrico il Pentolaio. Io riflettevo. Il Veggente aveva studiato A ‘Hogdogs’... Una scuola di magia. Ma da quando in qua esistevano le scuole di magia? E questa ‘Hogdaws’ da dove saltava fuori? Dove si nascondeva? Era sulle mappe di Google? E quale messaggio dovevamo consegnare a questo ragazzino? Si trattava di sicurezza nazionale? Il mistero s’infittiva. Il treno fischiava. Dai finestrini si vedeva un lago. Sopra il lago... Cos’erano quelle strane ombre che volavano attorno al treno? * «Ottantasette?». «Non ora». «Ottantasette?». «Ti ho detto non ora!». «Ottantasette?». «Che c’è?». «Cosa sono quelle cose nere che volano attorno al treno?». «Non c’è niente che vola attorno al treno». «Vuoi dire che non li vedi? Hanno un aspetto... Così strano!». «Ma di che stai parlando?». 66


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Si avvicinò una donna con due occhiali fatti con i fondi di bottiglia «Siiii... Tu vedi nel profondo delle anime. Hai un grande potere. Ciò che osservi è pura essenza maligna. Sono i Dementors, i dissennatori. Si nutrono delle tue speranze. Ti fanno perdere il senno e la voglia di vivere, di lottare». «I Tremendor?». «Ho detto Dementors!». «Ah, i Dementon». «No... No... No... Dementors! Tu, invece, sei un demente». «Ehi, non c’è mica bisogno di offendere. Ho capito. I Tredenton! Ma perché si chiamano Tredenton? Hanno tre denti acuminati?». La donna con gli occhialoni sbuffò di rabbia, prese una piccola bacchetta di legno dalla sua borsetta e la agitò nell’aria pronunciando parole incomprensibili. Provai a lamentarmi, ma alla prima parola che pronunciai, sentii solo un grugnire di maiale. Riprovai e riprovai., ma niente, dalla mia bocca uscivano solo grugniti. Così decisi di rimanere in silenzio, e di non avvisare che quei Tremendos si stavano avvicinando al treno e che uno era già infilato per metà nel finestrino davanti alla donna. Una volta dentro al treno, il demone si avvolse attorno all’insegnante e la fece cadere in depressione. Cominciò a piangere, e per tranquillizzarla, Ottantasette dovette dargli un paio di Valium. Abbandonammo la donna con gli occhialoni e il demone, e proseguimmo alla ricerca di questo Enrico il Pentolaio. Ma dove stava, questo Enrico il Pentolaio? * Il viaggio durò diverse ore ma non riuscimmo a trovare Harry 67


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il Pentolaio. Da qualche parte era nascosto, sicuramente, ma nessuno di noi poteva immaginare che si trovava sotto un mantello invisibile a pomiciare con Cho. Lo scoprimmo solo quando fummo davanti all’entrata di ‘Hogdogs’, ‘Hogdaws’, ‘Howgads’... Come diavolo si chiamava quella scuola. Ci comparve davanti, all’improvviso, spettinato e con la camicia sbottonata. Poco più avanti Cho cercava di sistemarsi e di entrare nell’istituto come se non fosse accaduto niente. Ma a noi interessava Potter, e questo se ne stava impalato a chiacchierare con un mezzo gigante spettinato dallo sguardo scemo. Ottantasette si avvicinò ai due, sempre trascinandomi per la manica «Scusate, ragazzi, sapete chi è Harry Potter?», chiese lei con occhi innocenti. «Sono io», disse il pentolaio sorridente «in cosa posso esserti utile?». Provai a parlare, ma come al solito, mi uscì il solito e insopportabile grugnito. Hagrid, che poi scoprii essere un mezzo gigante, rise di gusto «Sibilla ha colpito di nuovo!». Grugnii in segno di protesta, ma poi rimasi in silenzio e lasciai l’iniziativa a Ottantasette «Ho un messaggio per te dal Veggente. Ha studiato qui ai tempi di tuo padre». «Sul serio?», gli occhi del Pentolaio s’illuminarono «E quale sarebbe il messaggio?». Ottantasette gli consegnò un bigliettino. Riconobbi la carta intestata dell’agenzia. Harry lo prese, lo rigirò tra le mani e lesse l’intestazione «Impresa di pulizie ‘Mondo Pulito’?». «Non badare alle apparenze, Harry», disse Ottantasette «l’importante è il messaggio...». Gli occhi del Pentolaio scorsero il testo... Stranamente, le parole si focalizzarono nella mia mente, e così, potei sbirciare 68


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senza guardare: Attento alle scelte che il futuro ti darà. La strada sbagliata è sempre la più luminosa. Se sceglierai la donna sbagliata, nel nemico del bene ti trasformerai, e della fine della Terra, colpevole sarai. «C... Cosa significa?». «Speravo lo sapessi tu», rispose Ottantasette. * Passarono alcuni giorni. Io e Ottantasette eravamo alloggiati in un cottage carinissimo ai bordi del campus. Da lì potevamo osservare gli studenti nelle loro attività abituali. Vedere le loro partite di Quidditch, strano gioco, dove tutti svolazzavano su delle scope, correndo dietro a una pallina con le ali mentre altre grosse palle venivano tirate da una parte all’altra nella speranza di buttare giù dalla scopa l’avversario e fare goal. Scoprimmo che la scuola era un ambiente davvero stravagante. Il laghetto era popolato da strane creature. Ogni tanto sbucava un veliero carico di ragazze che sembravano folletti, e di cui tutti s’innamoravano. C’era l’albero incazzoso. Bastava avvicinarcisi per prendersi una bella botta in testa. Quell’albero menava i rami proprio come Bud Spencer sapeva menare le mani. Terribile! E avevamo conosciuto gli amici di Potter. Una secchiona di nome Ermione, anzi no, Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’ e un tipo buffo con i capelli rossi di nome Wesley, sicuramente parente irlandese del famoso attore Wesley Snipes. Tipi simpatici, e buffi. Tutti alle prese con le loro magie. Poi c’era un bimbo antipatico. Capitano di una gang di teppisti chiamata i Serpenti Verdi, o qualcosa del genere. Biondo, quasi 69


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albino. Con un atteggiamento da saccente e molto aggressivo. Però, da lontano lo si vedeva benissimo che era un pisciasotto. Un vero duro non si porta sempre dietro due scagnozzi pronti a difenderlo. Ma ancora, attorno a Harry, non si erano presentate donne. A parte ‘Co’, o ‘Ciò’, o ‘Plò’... Come diavolo si chiama. Questa tipina carina, doveva essere orientale. Cinese, credo. Perché quelli dànno il nome ai loro bambini buttando una pentola giù per le scale: Stleng, Tlong, Clong... e dal rumore che sentono scelgono il nome. E, infine, io continuavo a sospettare di Potter. Quell’Enrico non me la raccontava giusta. Faceva il pentolaio ma non l’avevo mai visto lavorare in officina per preparare le pentole. Qualcosa non quadrava. Sicuramente era un infiltrato. Ma di cose meravigliose ce n’erano in quella strana scuola. A partire dal preside. Già, perché il preside non era altro che Babbo Natale. Alto, con la pancia, la barba bianca foltissima. Peccato solo che non volesse accontentarmi quando gli chiedevo di farmi un bel ‘Oh... Oh... Oh...’. Anzi, una volta, scocciato dalle mie richieste insistenti, aveva alzato la sua bacchetta, e per una mezz’ora, mi ritrovai trasformato in una renna. * Fu proprio mentre brucavo l’erbetta morbida vicino al laghetto che vidi Harry Potter parlare con due ragazze. Una era la secchiona Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’. L’altra era una biondona mezza elfa, mezza Angelina Jolie, che mica lo sapevo io che le aveva salvato la vita durante una sfida magica. Così, per ricordagli il messaggio del Veggente scattai come un alce, per quanto fossi un renna, e di corsa, presi in 70


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pieno la biondona nello sterno. La ricacciai nel laghetto, e con questo gesto eroico, salvai Potter... Io almeno lo credevo, fino a che questi non prese la bacchetta, la agitò nell’aria e mi tramutò, dicendo parole incomprensibili, in una mosca. Così mi chiesi «Ma ce l’hanno proprio tutti la bacchetta, qui?». Il resto della giornata la passai cercando di schivare lo schiaccia-mosche che Ottantasette agitava continuamente attorno a me. Nessuno le aveva detto che ero stato mutato di forma. Lei credeva che fossi ancora una renna intenta a brucare nell’erba. Non sapeva che ero una mosca. Ma che schifo però, per tutto il tempo, avere fame ed essere attratto dagli escrementi degli animali! Nel pomeriggio, comunque, l’incantesimo svanì all’improvviso, e visto che ero in volo, piombai proprio sulla testa di Renato Zero. «Ancora tu?». «Scusi... Non volevo. È che stavo volando proprio qui sopra e l’incantesimo è svanito e...». Vidi Renato Zero estrarre la bacchetta, e così, io decisi di scappare. Correre via il più veloce possibile., ma questa volta sentii le parole ben chiare «Rallentarum...», e la mia corsa divenne improvvisamente lentissima. Arrivò Ottantasette in mio soccorso. Chiese scusa a Renato Zero, che se ne andò offeso. Io la ringraziai a settantadue giri «Ggggggrrrrraaaaaazzzzzziiiiiiiieeeeeeeee!», e sperai che l’incantesimo potesse finire in fretta. Ottantasette mi riportò nel cottage e m’impose di rimanermene al chiuso almeno fino alla fine della missione. Ma io volevo collaborare. Ero un agente segreto pure io e volevo fare la mia parte. Ma come potevo, se ogni dieci minuti qualcuno mi colpiva con un incantesimo? 71


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* Decisi di muovermi di notte. Vestito di nero, con gli occhiali a raggi X, mi misi in caccia. Harry Potter doveva evitare di scegliere la donna sbagliata. Era sufficiente capire quale sarebbe stata, la donna sbagliata. Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’ era a posto. La bionda con le labbra a canotto era dalla parte giusta. Cho... Questa cinese, poteva forse essere lei la donna sbagliata? Cho, in fondo, proveniva da un paese nemico dell’occidente. Poteva essere una spia. Poteva convincere Harry Potter a passare al nemico, e con lui, tutti i suoi poteri. Sì! Sicuramente era lei il nemico da sconfiggere. Ma come potevo allontanare Enrico il Pentolaio dalla ragazza col nome di pentola caduta? Forse era destino che tra loro nascesse un amore. In fondo, nel destino di entrambi c’era una pentola. Che potevo fare io? Dovevo riflettere. Decisi di sfruttare le mie abilità. Visto che riuscivo a vedere i ‘Tremendon’, ‘Dementous’, o come diavolo si chiamavano, forse, potevo anche parlare con loro e convincerli a fare il lavoro per me. Così mi misi in opera. Mentre Ottantasette dormiva abbracciata al cuscino, sgusciai fuori dal cottage e mi avvicinai alla prima ombra nera che volteggiava attorno alla scuola. «Ehi, scusa, potresti scendere un momento?». «Awwwgrooooweeeewlllll...». «Dài scendi...». «Awwwwgrooooommmlllggg...». «Ho bisogno di un favore...». «Mmmmmwwwwlllalggggghhhh...». «Ne va della salvezza del mondo...». «Ggggghhhhhllllwwwww...». 72


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«Devo allontanare Cho da Harry Potter...». «Eccoci!», risposero tutti in coro. Scesero tutti in una volta e si misero davanti a me sorridenti. «Parlate la mia lingua?». «Certo che sì. Non siamo mica scemi come te». «E tutti quei versi?». «Ti prendevamo in giro...». «Capisco!». * «Dunque, la questione è che Harry Potter non deve passare al male». «Allora noi ce ne andiamo... Voldemort non ne sarebbe felice». «Aspettate!», gridai mentre si sollevavano in volo... «Dobbiamo evitare che scelga la donna sbagliata... Se sceglie la donna sbagliata il mondo sarà in enorme pericolo!», aggiunsi per convincerli a scendere. «Ma allora la cosa è interessante! Qual è il tuo piano?». «Potter ha una cotta per Cho!». «Lo sanno tutti...». «Io credo che Cho sia in realtà un agente segreto cinese... Che sia lei il nemico». I ‘Tremendous’, ‘Dementous’, ‘Tredentous’ o come diavolo si chiamano si guardarono l’un l’altro e annuirono con complicità. «Qual è il tuo piano», chiese quello che sembrava il loro capo. «Bé... Pensavo che voi...». «Vuoi che le succhiamo l’anima? Ci è proibito toccare gli studenti». «Anche se sono spie?». «Bé... In questo caso...». 73


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«Avete qualche idea per eliminarla?». «Potremmo darle un bacio!». «Un bacio?». «Il nostro bacio uccide». «Caspita! Forse dovreste lavarvi i denti più spesso...». «Ma cosa hai capito. Non è una questione di lavarsi i denti o meno... È un nostro terribile potere». «Favoloso! Sì, sarebbe perfetto. Ci sarebbe un nemico in meno e Potter rimarrebbe buono per sempre». I ‘Trementins’ annuirono tutti assieme. Avevano un sorriso terrificante, però... Secondo me dovevano comunque pensare con più attenzione alla propria igiene orale. «Ma chi la bacia?». «La bacio io. È una gran gnocca quella». «No, la bacio io che sono più bravo». «No! La bacio io, è il mio turno. Tu hai già baciato quel lupo mannaro, ieri sera». «Ehi... Ma vuoi mettere una gran gnocca con un lupo peloso?». «Sempre di ‘pelo’ si tratta». «Mavafff...». «Ehi... Calma, calma... Che entusiasmo!», dissi io per cercare di calmare l’agitazione che si stava formando nel gruppetto di demoni. «Ci penserò io. Che sono il capo». «Ecco, tutte le missioni più belle se le becca lui. Non è giusto!». «State Zitti!», tuonò il capo. * Il piano era pronto. I ‘cosi’ si sollevarono in volo e io mi guardai soddisfatto nello specchio d’acqua. Harry era salvo. Ottantasette sarebbe stata soddisfatta di me. La Mamma mi 74


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avrebbe premiato, e finalmente, non avrei più dovuto fare ‘le commissioni’ per tutti gli agenti segreti. Ma prima, bisognava eliminare Cho. I ‘Demendours’, ‘Tremendos’, ‘Tredenton’... I ‘cosi’ entrarono nella scuola. S’infilarono nelle camere degli studenti ma non riuscirono a trovare Cho. Lei, nel frattempo, era infrattata con Harry nelle stanze dei Grifondoro, sempre sotto il mantello, e per di più, pure sotto le coperte. Ma era solo questione di tempo. Entrai pure io nella scuola e guidai le ricerche. Trovammo il quadro della grassona. Io rimasi lì a intrattenerla. I ‘cosi’ entrarono a perquisire le stanze. Trovarono l’irlandese che studiava assieme a Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’. E trovarono anche il letto di Harry. Di lui, però, nessuna traccia... Ma lì mi venne il colpo di genio. Non c’era nessuno nel letto ma le coperte erano comunque sollevate. Lo dissi ai ‘cosi’ e questi furono subito d’accordo con me. Mi fecero entrare prendendo in giro la grassona di guardia, e così potei salire le scale e strappare la coppia di amanti dal mantello magico. Apparvero ai nostri occhi proprio come mamma li aveva fatti. Cho gridò! Potter gridò! I ‘Dementours’, i ‘Tremendos’, i ‘Tredenton’... I ‘cosi’ sbavarono. Io scattai veloce come una lince e raggiunsi la bacchetta di Potter prima che potesse tramutarmi in un qualcosa di strano. La spezzai in due. Presi la scossa, vidi scintille ovunque, lampi di luce, provai una strana sensazione. Probabilmente quella bacchetta era elettrica e aveva bisogno di un forte voltaggio per funzionare. Harry gridò nuovamente, disperato. Cho, nel frattempo, era sotto le slinguazzate del Dementor. 75


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La porta si spalancò. Entrarono Wesley e Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’. Gridarono! Apparve Babbo Natale, il preside della scuola, che sollevò la sua bacchetta. Arrivò Ottantasette, tutta trafelata gridando «Che stai combinando?». Arrivò anche Renato Zero... A quel punto, mi sorse un dubbio. Che avessi sbagliato qualche cosa? * Nella stanza cominciarono a crepitare scintille, scoppi, colpi di pistola, lampi di luce, grida, urla, pugni, carezze, baci, succhiotti, furti d’anima, lamenti, rimbrotti, un due tre stella, calci, capelli tirati, botte e ri-botte, fino a che, lentamente, il silenzio calò di nuovo e gli occhi cominciarono nuovamente a mettere a fuoco qualche immagine, dopo quel bailamme generale. I Dementors fuggirono con la coda tra le gambe, passarono attraverso le pareti. Il loro capo, quello che aveva dato il bacio a Cho, ogni tanto, nella fuga, si voltava indietro sospirando sottovoce «Tornerò, amore mio». Harry era inginocchiato di fianco a Cho. La sosteneva tra le braccia ma questa pareva in trance. Aveva le pupille ribaltate e anche lei sospirava «Che bacio. Mai nessuno mi bacerà più a quel modo!». Hermione e il ragazzo con i capelli rossi si erano imboscati dietro a una tenda e vennero ritrovati anch’essi abbracciati e mezzi nudi. Renato Zero, stranamente, aveva le orecchie d’asino. Silente, cioè Babbo Natale, insomma, voglio dire il 76


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direttore della scuola scuoteva la testa tristemente. Ottantasette aveva foracchiato una decina di quadri vuoti. I personaggi raffigurati in quei quadri erano tutti fuggiti in una cornice fuori dalla sua linea di tiro e ancora tremavano dalla paura. Io... Bé, lentamente, avevo cercato di svignarmela dalla porta. Ma nel tentativo ero finito contro una giornalista che guardava con occhio rapace la scena mentre una penna automatica, o magica, trascriveva tutto quanto in un piccolo block notes. Come sempre, la stampa riusciva ad arrivare per prima sul luogo del delitto! Così venni bloccato. Renato Zero, rifattesi le orecchie umane, minacciò di tramutarmi in un maiale a vita. Silente, minacciò di tramutarmi in una mosca a vita. Ottantasette minacciò di schiacciarmi come fossi una mosca intrappolata sulla carta moschicida. Ron, il fratello irlandese di Wesley Snipes, minacciò... No, in realtà, cercò di defilarsi dalla scena senza farsi notare, assieme a Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’, nella speranza che la giornalista non raccontasse della loro storia a Lucignolo. Harry si sollevò in piedi e minacciò di farmi una cicatrice sulla fronte, proprio come la sua. Cho, ormai priva di anima, ormai rapita dal ‘Dementor’, ‘Tremedor’, ‘Tredentor’ o come diavolo si chiama, sospirava e continuava a piangere dicendo «Non tornerà mai più! Chi mi bacerà mai in quel modo ancora. Dove sei amore mio...». * Ma nella stanza, ancora, doveva capitare il peggio. Comparve un serpente, proprio al centro di quell’ambiente angusto. Il serpente strisciò tra i nostri piedi, e alla fine, si tramutò in un uomo privo di naso e con la lingua biforcuta. Prese Ottantasette come ostaggio e puntò la sua bacchetta contro 77


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Harry «Questa volta morirai, Potter!». «Voldemort!», esclamò il Pentolaio «Come al solito hai sbagliato. Di quella babbana non me ne frega nulla. Io amo Cho. È lei che dovevi prendere come ostaggio». Lui guardò me, poi Silente, poi Renato Zero. Tutti e tre stavamo annuendo mestamente. «Ma porca...», disse lui trasformandosi di nuovo in serpente. Strisciò tra i nostri piedi e raggiunse Cho. La prese e si tramutò di nuovo nell’uomo senza naso e con la lingua biforcuta. Puntò la sua bacchetta contro Harry e disse «Questa volta morirai, Potter!». «Voldemort!», esclamò il Pentolaio «Come al solito hai sbagliato. Cho ormai è stata rapita dai Dementors. È dissennata e non c’è più speranza per lei». Lui guardò me, poi Silente, poi Renato Zero. Tutti e tre stavamo annuendo mestamente. «E che diamine...», disse lui trasformandosi di nuovo in serpente. Strisciò tra i nostri piedi e raggiunse Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’. La afferrò e si tramutò in un uomo senza naso e con la lingua biforcuta. Puntò la bacchetta contro Harry e disse «Questa volta morirai, Potter!». «Voldemort!», esclamò il Pentolaio «Come al solito hai sbagliato. Lei è una mezzo sangue e per di più se la fa con Ron. Non me la darà mai. Perché dovrei rischiare la vita per lei?». Lui guardò me, poi Silente, poi Renato Zero. Tutti e tre stavamo annuendo mestamente. «Così non vale!», disse lui tramutandosi di nuovo in serpente. Riprese a strisciare tra i nostri piedi e si avvicinò alla giornalista che gridò fuori di testa «Ah! Un serpente. Alzò il piede e lo stritolò con la sua scarpa col tacco da 10 cm». Così lord Voldemort morì gorgogliando mentre io, Silente e Renato Zero stavamo ancora annuendo mestamente. 78


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* La mattina successiva tutti quanti ci ritrovammo davanti all’ingresso della scuola. Silente, Piton (o Snapes), Harry, Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’, Ron Wesley, Cho, i Dementors, io e ottantasette. Era il momento dei saluti. La missione si era conclusa con successo. Lord Voldemort era finalmente morto. Hermione ‘con l’acca aspirata che fa più sexy’ e Wesley si erano messi assieme. Piton aveva ammesso di aver avuto una carriera da cantante, in Italia, in gioventù, col nome fasullo di Renato Zero e... Udite udite, mi fece il tanto agognato autografo. Silente mi fece il saluto di Babbo Natale. Oh... Oh... Oh... E mi svelò di avere un fratello gemello che nel mese di dicembre portava i regali a tutti i bambini. Cho e il Dementor del bacio s’innamorarono. Ottantasette e io fummo invitati alla cerimonia come testimoni perché, in fondo, se non fosse stato per noi, loro due non avrebbero mai scoperto l’amore. Harry, infine, si era messo con la bionda dalle labbra a canotto. Era felice e non pensava più a Cho, perché in fondo aveva sempre fatto fatica a pronunciare il suo nome, perché era pure cinese, e forse, poteva anche essere una spia dei loro servizi segreti, no? Altrimenti non si sarebbe mai innamorata di un Dementor! E così ci lasciammo. Un bel lieto fine, per una volta, con i fuochi artificiali, i gufi, le civette, la magia, le stelle, tanti cuoricini e dolci per tutti. Ottantasette e io tornammo alla stazione dei treni, ogni tanto guardandoci indietro e sospirando. Mai ci era capitata un’avventura di questo tipo, e mai ci sarebbe più potuta capitare nuovamente. Tornammo a Londra, e da lì in Italia, alla base segreta. All’ingresso, una stola di agenti, tutti vestiti con la nuova divisa 79


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bianca, ci accolsero osannandoci. Tra loro non mancavano i volti inconfondibili conosciuti durante le mie prime missioni. Tres, Cat, la Regina Pigra, tutti gli agenti a cui mi ero affezionato sin dalla cena sulla spiaggia, avvenuta tanto tempo addietro. Avevamo sconfitto il più cattivo dei cattivi. Il Veggente comparve al nostro fianco e si congratulò con noi. Virgy ci guidò verso la grande porta. La porta che nessuno aveva mai aperto prima. Quella del capo supremo. L’ufficio della Mamma. La nostra guida, la nostra forza, la nostra essenza. Ci fermammo proprio davanti a essa. Virgy la aprì per noi. Un fascio di luce accecante ci colpì come fossimo sul palco di un concerto di Lady Gaga. Ottantasette mi prese il braccio e mi condusse oltre la soglia. La porta si chiuse lentamente alle nostre spalle, e questa fu la fine delle mie avventure da agente segreto.

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NOTE DELL’AUTORE

L’agente G nasce quasi per caso, a causa di un gioco che intercorreva tra me e una blogger di nome Amedea. Tutto era nato da una domanda innocente «Che mestiere fai?». Risposi «L’agente segreto, però maldestro». E così nacque l’agente G. Quando scrissi la prima stesura di questo racconto, sul blog, volli coinvolgere i blogger che maggiormente frequentavano il mio piccolo spazio virtuale. Nacquero così Cinemax, Cat, Tres e tanti altri personaggi. La prima storia fu raccolta in un piccolo ebook che inviai a tutti coloro che furono coinvolti nelle avventure dell’agente segreto. Era l’agosto del 2005. Nel 2006 decisi di riprendere le avventure dell’agente G, e per trovare nuovi spunti, guardai la narrativa e la televisione. Il secondo episodio fu un omaggio all’eroe degli anni 70, Goldrake. Poi venne il turno di Dan Brown, e infine, immancabile, Harry Potter. Non me ne vogliano Christina Aguilera, Lady Gaga, Marco Masini, Renato Zero, Dan Brown, la Rowling, Bud Spencer, Wesley Snipes, Lara Croft, spero di non averne dimenticato alcuno, se li ho citati in maniera, probabilmente, poco consona alle loro reali figure pubbliche. Questo testo è da considerarsi per lo più una goliardata tra amici e non ha intenzione di offendere nessuno. La pubblicazione di questa raccolta di racconti avrebbe dovuto avvenire nel lontano 2007. All’epoca, però, ero troppo concentrato su 31 Ottobre, un thriller che pubblicai con una ahimè contestata, nonché chiacchierata, casa editrice italiana. 81


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Nel 2008 lo misi, per un breve periodo, in Print on Demand. Poi tornò nell’oblio. Per lo meno fino a oggi. L’attuale pubblicazione è stata riveduta e corretta in molti punti. In primis sui nomi di alcuni personaggi, tra cui anche il personaggio principale. Suppongo che questi dettagli vi interessino poco, o niente. L’importante, credo, è che l’abbiate letto volentieri. Soprattutto, spero tanto che vi abbia divertito.

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Pubblicato a Dicembre 2012 Terza Edizione Opera di Glauco Silvestri http://www.glaucosilvestri.it http://blog.glaucosilvestri.it

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