I Cacciatori delle Alpi Racconto Copyright Š Enzo Milano Tutti i diritti riservati. Prima edizione digitale, Maggio 2013 In copertina: illustrazioni di Criodyn e Masek Š Fotolia.com, rielaborate da Enzo Milano.
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I CACCIATORI DELLE ALPI - le 5 Giornate Universe -
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Prologo “Il successo del 1848 di Milano contro l’Impero austriaco, durante Le 5 Giornate, non ottenne l’effetto sperato. La successiva Prima Guerra d’Indipendenza italiana si concluse con la vittoria austriaca e un ritorno, di fatto, al dominio imperiale. Il Regno di Sardegna era stato sconfitto, ma non definitivamente, e diversi veterani del ’48, che avevano militato nelle fila dell’Alleanza Tricolore di Carlo Cattaneo, erano rimasti operativi o in attesa di futuri sviluppi. Le 5 Giornate, comunque, permisero ai piemontesi di impossessarsi delle avveniristiche tecnologie elettriche e a vapore dell’Impero, ma ci vollero anni perché ne capissero il potenziale e lo sfruttassero. Uno dei primi a farlo fu Giuseppe Garibaldi, richiamato in patria solo nel 1858, per creare un gruppo di guerriglieri d’élite: i Cacciatori delle Alpi. Nuovi venti di guerra battevano tutto il nord Italia, lo scontro tra Impero austriaco e Regno di Sardegna si sarebbe presto ripresentato.” ~ IV ~
1 Milano, 1858. L’immenso giardino privato della Villa Reale era buio, bianco di brina e silenzioso. Anche tutte le strade che lo circondavano erano deserte, fino alla vicina Porta Orientale. Nella gelida notte di gennaio, solo due persone popolavano il rione del leone rampante nero in campo d’argento. Un uomo e una donna, che indossavano un’uniforme regalata alla storia dieci anni prima. Tuta nera aderente, costituita da un unico pezzo e rinforzata nei punti sensibili quali petto e schiena, gomiti, bacino e ginocchia. In vita ~V~
c’erano numerose fibbie, per appendervi armi ed equipaggiamento, mentre sulla spalla destra spiccava la mezzaluna verde-bianco-rossa. La divisa d’ordinanza dell’ormai defunta Alleanza Tricolore di Carlo Cattaneo. «Sembra non ci sia nessuno,» ammise la donna, controllando l’area con il monocolo estensibile. «Sei tu il Falco della squadra che deve dirlo,» ammise l’uomo, che imbracciava il fucile Miniè ’54, calibro 17,5 e armato di palle a espansione Peeters. Falco, nome da battaglia venuto fuori tra i veterani del ’48. Nello specifico si riferiva a Luisa Sassi, l’avvenente ex-responsabile alla logistica dell’Alleanza Tricolore. Nei lunghi capelli scuri era comparsa una nitida ciocca bianca, testimone di quello che aveva visto, e dovuto affrontare. «Te lo sto dicendo, Mastino,» sorrise la donna. «E’ solo che non capisco perché Radetzky si sia stabilito qui, quando siamo alle soglie di una nuova guerra,» sospirò. «Presto anche il governatore Massimiliano d’Asburgo taglierà la corda, vedrai.» ~ VI ~
Mastino, altro nome di battaglia, collegato a Gedeone Tagliareni. Ex-membro della squadra d’assalto dell’Alleanza Tricolore, al comando di Enrico Cernuschi. Ex-operativo dei Bersaglieri Lombardi nella prima guerra d’indipendenza, al comando di Luciano Manara. Ex-soldato della piccola Repubblica Romana. A soli 33 anni, al massimo della prestanza fisica, Mastino era tra i combattenti italiani più esperti del Lombardo-Veneto. «L’Imperatore lo ha collocato a riposo, e lui ha pensato bene di tornare da Verona,» disse, emettendo nuvole di condensa dalle labbra. «Onestamente non m’interessa sapere cosa l’ha richiamato, ma so solo che ha commesso un grave errore.» Falco sorrise di nuovo, annuendo. «Parli proprio come Cernuschi. Sarebbe fiero di te, se ti vedesse.» «Lo sto facendo per il comandante Cattaneo.» «Lo so.» «Allora scavalchiamo.» *** Villa Reale. ~ VII ~
Il vecchio senza età Josef Radetzky era seduto sulla sua sedia a ruote sbuffante, gracchiante. Volto dalla pelle così incartapecorita da sembrare trasparente. Le lunghe e ossute mani sembravano artigli di un rapace. Ciò nonostante, gli occhi brillavano sempre di quella imperiosità cui era difficile opporsi. «Ditemi, herr Stigler, avete avuto modo di studiare gli incartamenti che vi ho procurato?» Si trovava in un ampio salone della villa, a colloquio con Augusto Stigler, un ingegnere svizzero da poco trasferitosi a Milano. «La tecnologia a vapore non è un problema,» rispose, indicando la sedia a ruote. «Ma è la complessa rete neurobiologica che connette l’impianto a… al vostro corpo, che me li crea.» «Mi state quindi dicendo che non sapreste dove guardare, per revisionare la sedia?» ancora il vecchio austriaco, impaziente e seccato. L’ingegnere scosse il capo. «Non prima di aver perlomeno parlato con uno dei progettisti. Troppi rischi.» «C’era un’unica vera mente dietro a questo macchinario,» fece una pausa meditativa, perdendo lo sguardo in un punto indefinito. «Che purtroppo è deceduta durante i moti del ’48.» ~ VIII ~
Stigler chinò il capo a terra. «Ne sono costernato, ma…» «Vi prego,» implorante ora, il decrepito feldmaresciallo. «Non rimane molto tempo.» La frase dell’austriaco fu involontariamente sottolineata da una corrente d’aria anomala che attraversò il salone, facendo sfarfallare le fiammelle dei molteplici candelabri presenti. Il silenzio che seguì fu interrotto dall’abbaiare di diversi cani. I molossi a guardia della residenza. «O forse,» riprese Radetzky, guardando le finestre scure. «Non ce n’è già più.» *** «Cani!» imprecò Mastino, accucciato dietro un cespuglio. Luisa armò la pistola ridotta, modello ’44, tenendo la canna verso l’alto. «Il nostro attacco a sorpresa è fallito.» «Solo la sorpresa,» con un unico gesto fluido, Mastino sganciò la baionetta dal fucile e uscì allo scoperto in guardia. Il primo molosso gli si fece addosso, a fauci spalancate e bava colante. Il soldato gli colpì con ~ IX ~
la suola dello scarpone il muso, scardinandogli la mascella. La belva cadde con un guaìto al suolo e non riuscì più a rialzarsi, perché si ritrovò la baionetta infilzata nella giugulare. Il secondo arrivò a tiro, e incassò la palla sparata da Falco alla gola. I due soldati tornarono in copertura, proprio mentre apparivano luci di lampade a olio nell’ampio giardino, nuovamente silenzioso. «Guardie imperiali,» annuì Mastino, tenendole sotto mira con il fucile. «A prima vista hanno l’età del feldmaresciallo.» «L’Impero non si è certo sprecato a proteggere un vecchio militare uscente.» L’uomo tirò il grilletto. Il primo andò a terra da notevole distanza. «Alarm!» gridò il secondo, rientrando nella villa. Evidentemente non voleva uno scontro diretto. «Andiamo dentro,» scattò Falco, pistola già ricaricata nelle mani. Mastino recuperò la baionetta e ricaricò a sua volta, poi la seguì. Scarponi scricchiolanti sulla brina ghiacciata. *** ~X~
Furono nell’atrio color crema della villa, da una delle troppe porte presenti uscì qualcuno della servitù. «Nicht bewegen!» gli urlò Mastino, mostrando la mano libera aperta. Falco guadagnò la larga scalinata centrale di marmo, canna della pistola a scrutare ogni angolo e chiaroscuro. «Qui non c’è traccia della seconda guardia.» «Continuiamo.» Avanzarono per corridoi bui, illuminati solo dalla fredda luce lunare. Non si sentiva alcun rumore, era come muoversi in un labirinto d’ovatta. Falco intercettò una porta che si stava richiudendo. La bloccò con un piede e puntò la pistola a due mani. «Stop!» Il fuggitivo si congelò sul posto, alzando le mani. «Non uccidetemi.» Pistola della donna dietro l’orecchio sinistro, fucile dell’uomo dietro quello destro. Fu Mastino a parlare. «Tu che scusa hai?» ~ XI ~
«Sono l’ingegner Augusto Stigler, vengo dalla Svizzera,» disse con voce tremante, non proprio un uomo d’azione. «Ero a cena con Radetzky per motivi personali.» «Quali motivi?» insisté Mastino, mentre Falco staccava la sua arma per perlustrare i dintorni. «Lui…» «Avanti,» ringhiò il soldato, spingendogli un po’ la testa con la canna dell’arma. «Lui ha bisogno di qualcuno che gli revisioni la sedia a ruote, cui il suo corpo dipende.» Mastino annusò, odore acre nell’aria. Abbassò solo gli occhi, inquadrando il cavallo dei pantaloni dello svizzero umidi. «Certo, ha ucciso il suo inventore più o meno dieci anni fa.» «Io non so niente…» «Meglio così,» afferrò dalla cintura della tuta un paio di manette, e lo assicurò alla solida colonna di un mobile da antiquario. «Non fiatare e non ti muovere. Con te parliamo dopo.» ***
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I due agenti spalancarono la porta di un nuovo salone, ritrovandosi di fronte la seconda guardia del feldmaresciallo e Radetzky stesso. La prima era incerta e spaventata, mentre il secondo sembrava aspettarli da sempre, con calma serafica. «Da nobili combattenti con un ideale strambo ma condivisibile, a guerriglieri senza padrone né obiettivi,» enunciò l’austriaco. «Zitto, feldmaresciallo, il vostro parere non è richiesto,» disse Mastino, che ce l’aveva già nelle tacche di mira. «Nel marzo del 1701, in Giappone, successe qualcosa di molto simile a quello che sta accadendo qui, oggi. Solo che i 47 ronin, consumata la vendetta, alla fine decisero di fare seppuku.» I due soldati non fiatarono, Radetzky continuò a raccontare in tono affabile, mellifluo. Intorno a loro, la residenza era un mausoleo silenzioso e immobile. «Il suicidio rituale per salvaguardare l’onore, ed entrare per sempre nel mito.» «Tutti tranne uno,» ribatté Mastino, gelando la scena. «Terasaka Kichiemon, il degno, incaricato ~ XIII ~
di eseguire con regolarità le offerte agli spiriti, in favore degli altri condannati.» Radetzky annuì lentamente, impressionato. «Saresti tu, dunque?» Mastino premette il grilletto, abbattendo la guardia del feldmaresciallo. «Forse.» «E’ quindi la tua compagna a essere degna?» Il soldato sfilò la baionetta dal fucile e lo lasciò cadere per terra. Poi avanzò a passi decisi. Falco lo copriva, pistola livellata. «Questo è per il comandante Carlo Cattaneo. Che ancora adesso, a dieci anni di distanza, si sveglia nel cuore della notte con la testa piena di incubi, popolata di morti che ripetutamente tornano dall’Aldilà.» Radetzky assottigliò gli occhi, annuì. Gli sbuffi della sedia a ruote erano rantoli agonizzanti, gli ingranaggi giravano male. «Dovevate morire allora, feldmaresciallo,» Mastino lo superò, andandogli alle spalle. Raggiunse il complesso macchinario installato sulla sedia a ruote, controllò tubi e cavi poi, nel chiaroscuro, la lama della baionetta scintillò.
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2 L’osteria Arconati si era profondamente ridimensionata dopo i moti del ’48. Non era ancora proprio un posto da gente per bene, ma aveva perso parecchio smalto da fucina di ribelli. Gedeone e Luisa sedevano a un tavolo, sorseggiando una bevanda calda. Le vecchie abitudini erano comunque dure a morire. La donna guardava spesso verso la vetrina, come se si aspettasse l’attacco degli imperiali da un momento all’altro. «Stigler è in una delle mie case sicure ma, a noi, onestamente non serve a nulla.» «Portarlo a Cattaneo a questo punto è inutile,» scosse il capo l’uomo. «Sono andato a trovare Carlo, ma c’è poco da fare. I medici parlano di febbre cerebrale,» confermò Luisa. «Non credo ne uscirà mai, neanche con la novità che gli abbiamo seppellito definitivamente il suo acerrimo rivale.» «Lo farebbe star peggio, semmai,» annuì Gedeone. «Per non esserci riuscito lui stesso.» «A Cernuschi, però, potrebbe servire,» voce fuori campo. ~ XV ~
Le due persone si voltarono, inquadrando un ragazzone alto e robusto, dalla lunga zazzera avvolta in coda e un filo di barba scura. Quasi irriconoscibile. «Angelo…» sussurrò commossa Luisa. Il Martinitt cresciuto annuì. «Cernuschi?» chiese d’istinto Tagliareni. «La nostra rete è riuscita a restare indipendente e operativa,» spiegò il giovane. «Il fallimento del Regno di Sardegna in guerra, e il conseguente rientro degli austriaci a Milano, non ci ha colto impreparati.» «Quindi?» assottigliò gli occhi la donna. «Quindi nella preparazione di quella che diventerà inevitabilmente una seconda guerra, il maggior generale Giuseppe Garibaldi è stato chiamato a Cuneo, a formare una brigata di volontari che affiancherà l’esercito regolare piemontese nel nuovo tentativo di liberazione del Lombardo-Veneto.» «E Cernuschi cosa c’entra?» di nuovo Tagliareni. «Dopo aver combattutto con noi per la Repubblica Romana è stato arrestato, ma pare sia riuscito a fuggire in Francia.» «Garibaldi l’ha voluto come consulente tecnico,» spiegò Angelo, che effettivamente ~ XVI ~
dimostrava di saperla lunga. «Il Regno di Sardegna ha delegato questa nuova brigata a riprendere in mano le invenzioni belliche austriache del ’48.» Luisa e Gedeone annuirono in contemporanea. «Dobbiamo portare Stiegler da loro.» «Con un messaggio.» La donna guardò il ragazzo. «Quale?» «A Milano non è tornato solo Radetzky. Abbiamo le prove che ci sia stato anche il maggior Ettinghausen. Traditore dell’Impero per il vecchio feldmaresciallo, preziosa risorsa per il suo successore: Ferencz Gyulai.» «Perché sarebbe una risorsa?» scosse il capo Tagliareni. Angelo a quel punto sorrise. «Perché farà la stessa identica cosa di Garibaldi. Riproporrà a titolo sperimentale elettricità e vapore da guerra. Con un solo grande vantaggio, rispetto ai nostri.» Il clima che si era creato intorno al tavolo provocò una scossa nella schiena di Luisa Sassi. Momenti indimenticati di ribellione, sotterfugi e giochi segreti di strategia e politica. «Ettinghausen ha i progetti che Radetzky custodiva nella Villa Reale. Li ha sottratti con un ~ XVII ~
colpo di mano, senza neanche che il vecchio feldmaresciallo se ne sia accorto.» «Il feldmaresciallo è morto,» disse tetro Tagliareni. «Questo non cambia le cose,» secco, Angelo. Più che impassibile. «Anzi, forse le aggrava.» L’uomo annuì. «Dobbiamo muoverci.»
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1 Cuneo, 1858. L’uomo era basso e corpulento, vestito di un insieme di stracci che tendeva a rendere la sua figura sfuggente, mimetica. Il volto sembrava provenire da un’altra epoca, pallido ed emaciato, di un’età indefinibile. Portava una benda da pirata sull’occhio destro. Sulla testa, insieme a pochi ciuffi di capelli grigiastri, c’erano delle macchie irregolari marroni. A tracolla, portava un moschetto primo modello, vecchio di almeno quarant’anni. «Qual è il tuo nome?» «Non lo so. Ma potete chiamarmi Fine.» ~ XIX ~
«Da dove vieni?» Si strinse nelle spalle. «Dal Mediterraneo.» «Quanti anni hai?» Scosse il capo. «Non so neanche questo, generale.» Giuseppe Garibaldi, maggior generale al comando della nuova brigata Cacciatori delle Alpi, fortemente voluta da Camillo Benso, conte di Cavour e Presidente del consiglio dei ministri del Regno di Sardegna, guardò il capitano Bixio, in silenzio in un angolo. «Sai dirmi, perlomeno, perché sei qui?» Fine alzò l’unico occhio. «Posso essere utile alla causa.» «Con quel moschetto d’inizio secolo?» lo sfotté Bixio, a braccia incrociate al petto. Sul suo volto malandrino spiccava il basco rosso con uno stemma argentato al centro: un teschio alato che portava lo stesso copricapo, infilzato da una baionetta. Forse, sulle labbra di Fine si disegnò un sorriso ironico. Un gesto gelido, che fece rabbrividire il duro capitano. «Hai detto che vieni dal Mediterrano,» sorvolò Garibaldi. «Con chi hai navigato?» «Con Giuseppe Bavastro.» ~ XX ~
Altra pausa di silenzio. Un vivido ricordo attraversò gli occhi del maggior generale. Luce di orgoglio puro. «E’ tutto tuo, Nino. Inseriscilo nel programma della Legione Purpurea,» dispose senza la minima indecisione. «Agli ordini, maggior generale.» *** Davanti al deposito di Cuneo dei Cacciatori delle Alpi, a guardare perplesso le centinaia di esuli che ogni giorno abbandonavano il Lombardo-Veneto via Svizzera, pronti ad arruolarsi, c’era Enrico Cernuschi, il gigantesco maggiore della squadra del capitano Bixio. «Bella mandria, eh?» Cernuschi si voltò, inquadrando una ben nota faccia da schiaffi. Il sorriso fu inevitabile. «Giovanni Acerbi, l’Incubo di Castel Goffredo. Giusto?» Il giovane si mise sull’attenti. «Agli ordini, maggiore.» «Ho sentito che sei uno dei pochi cui l’Impero non ha concesso l’amnistia per i crimini commessi.» ~ XXI ~
«Sempre il numero uno ma, quantomeno, io non mi sono fatto arrestare,» ribatté Acerbi, sorriso graffiante stampato in volto. «Vi sapevo latitante in Francia.» Cernuschi annuì, stessa flemma di quando era il capo assaltatore dell’Alleanza Tricolore nel ’48, solo con la barba un po’ più bianca. «C’ero, ma poi mi hanno richiamato per questo interessante progettino,» rispose, indicando il deposito militare. «Che intenzioni hai?» Acerbi gonfiò il petto da sbruffone. «Spaccare il culo all’Impero, le solite cose.» «Bene,» approvò il maggiore. «Ma non ti mischiare a questa gentaglia.» «Cioè?» Cernuschi gli mostrò un anonimo caseggiato, separato dal deposito dei Cacciatori delle Alpi. «Fatti trovare davanti a quella porta stasera alle ventidue, ne vedrai abbastanza per soddisfare il tuo ego.» «Agli ordini.» Giovanni Acerbi scomparve nella folla, ma il maggiore fu subito placcato di forza da un giovane con i capelli tirati all’indietro, e piccoli baffetti da nobile. ~ XXII ~
«Maggiore, cosa succede stasera alle ventidue in quell’edificio?» Cernuschi se lo scrollò di dosso con una spallata. «Nievo, non ne posso più. Non è ancora tempo che si sappia in giro cosa stiamo facendo, te l’ho già detto.» Ippolito Nievo, scrittore combattente, fece un simil broncio. «Andiamo, sapete che non divulgherei mai qualcosa che possa essere pericoloso per noi altri.» «Appunto,» ringhiò il gigante. «Anche se per noi altri, io intendo i Cacciatori delle Alpi, non la classe dei giornalisti.» Il giovane produsse un foglio spiegazzato dalla tasca interna della giacca. «Abile e arruolato, maggiore, spero proprio di avervi come istruttore.» «Oh, Cristo,» roteò gli occhi disperato. «Sparisci dalla mia vista, Nievo. Ora!» Il giornalista non se lo diede a intendere, e fu Cernuschi ad abbandonarlo. Anche perché, davanti ai banchi dell’arruolamento, stava accadendo qualcosa di strano. «Puah, maledetti volontari.» *** ~ XXIII ~
«Che cosa stracazzo succede qui?» sbraitò il maggiore contro le giubbe rosse ai banchi. Di fronte a loro c’erano due uomini e una donna, piuttosto alterati. «Tagliareni, Luisa!» I due soldati esibirono facce stupite. «Enrico,» disse la donna. «Avevamo proprio bisogno di te.» Il maggiore inquadrò il secondo uomo, che non riconobbe. «Leviamoci di torno, forza.» Li portò nel giardino del deposito, all’ombra di alberi secolari. La primavera cominciava a bussare, portando con sé temperature perlomeno accettabili. Tagliareni e Luisa spiegarono in breve ciò che era successo a Milano, e Cernuschi ascoltava interessato e preoccupato al tempo stesso. «Hanno detto che è morto di vecchiaia,» disse con un filo di voce. «Ma noi sapevamo che questo non era possibile,» obiettò Tagliareni. «Anche se…» guardò il loro ospite prigioniero. L’ingegner Augusto Stigler annuì. «Stava cercando in tutti i modi qualcuno capace di mettere le mani su quella incredibile sedia a vapore,» dalla borsa a tracolla tirò fuori un ~ XXIV ~
voluminoso fascicolo. «Perché da essa dipendeva la sua stessa vita.» «Certo,» capì Cernuschi. «Dalla morte di Pavel Lemelysk, l’inventore, non aveva più nessuno capace di farlo. E un macchinario, in quanto tale, necessita di manutenzione.» Scosse il capo, poi guardò il cielo azzurro. Stava riflettendo. «A rigor di logica,» riprese. «Potevamo catturarlo e offrirgli la vita eterna in cambio di collaborazione, ma non vi biasimo per quello che avete fatto.» «Andava fatto,» ribadì Tagliareni, tagliando di netto il discorso. «Già,» sospirò Cernuschi. «Porterò questo fascicolo a Effe, che saprà come meglio utilizzarlo.» «Effe?» disse perplessa Luisa. Il gigante barbuto sorrise amaro. «Anche noi abbiamo un’entità non meglio definibile, proprio come Radetzky. L’hanno inquadrato come tenente colonnello, e si occupa delle tecnologie sottratte all’Impero durante le 5 Giornate.» «E non siete i soli,» ammise cupo Tagliareni. «Cosa vuoi dire?»
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2 Contea del Tirolo. Un dirigibile nero, con un pallone a forma di proiettile e un complesso motore a vapore, sorvolava il piccolo centro religioso di Innichen costeggiando la parete nord dell’Haunoldköpfl. Un singolo raggio di sole penetrò nel compatto fronte nuvoloso andando a illuminare la croce di ferro installata sulla vetta della montagna, e il nome dell’aerostato vergato sulla fiancata dell’abitacolo in lettere dorate. Lusankya. Un altro incubo proveniente dal ’48, retaggio del manipolo di eroi unificati sotto la bandiera dell’Alleanza Tricolore, che affrontarono le mostruosità tecnologiche dell’Impero austriaco e, nello specifico, del defunto Feldmarschall Josef Graf Radetzky von Radetz. Un uomo alto, dalle spalle larghe, vestito di un impeccabile divisa imperiale grigio ferro era in cabina di comando dietro al pilota, con le braccia conserte. Parlò con gli occhi scuri persi nello straordinario panorama. ~ XXVI ~
«Voi conoscete le leggende di questi luoghi, Oberfeldwebel Gartner?» Il pilota negò col capo. «Nein, mein oberst.» Ettinghausen, ricercato da Radetzky per alto tradimento, poi reintegrato nell’esercito dal suo successore Gyulai con il grado di oberst, colonnello, non fece niente di più che un ghigno malefico. «Parlano di una lotta titanica fra giganti. Di Hauno, arrivato a capo di un’orda a devastare e sottomettere la zona. E di Huno, uscito dai boschi per offrire il suo aiuto ai valligiani. La guerra fu cruenta e si risolse in una lotta tra i due giganti, ovviamente, dalla quale uscì vincitore Huno,» fece una breve pausa con un altro sogghigno. «Il bello è che lo stesso fu in seguito ucciso dagli uomini a causa delle sue esose richieste di cibo.» Il pilota si limitò ad annuire compostamente. «Vi state chiedendo perché parlo di queste favolette, sergente?» fece un’altra pausa, ma non perché s’aspettasse una risposta. «Perché questa contea deve ricordare quel terrore ancestrale. In modo talmente brutale da trasmetterlo a tutta l’ignara ribellione, e all’insignificante Regno di Sardegna.» ~ XXVII ~
Ettinghausen indicò con il braccio un forte abbarbicato sulla montagna, una spartana e minacciosa costruzione di pietra avvolta dalle nubi. Il pilota deglutì e corresse la rotta del dirigibile. Gli occhi del colonnello s’illuminarono in un lampo sinistro. «Il più grande difetto di Radetzky era la prudenza. Non era un cattivo comandante, ma era troppo, come dire… controllato.» «Sotto quella rocca c’è l’ultimo segreto del feldmaresciallo tramutatosi in realtà,» il sorriso impudente scomparve, sostituito da una serietà marziale, fiera. «Projekt Hauno.»
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3 Cuneo. «Siete stati chiamati qui, stasera, perché è stata accettata la vostra domanda per far parte della brigata dei Cacciatori delle Alpi,» parlava a un pubblico molto ristretto il capitano Bixio. «Ma che le vostre particolari capacità, garantite da un piccolo nucleo di ufficiali, vi hanno concesso di entrare in una squadra d’élite che andrà ad affrontare quelle battaglie che, per il resto dei volontari, saranno insostenibili.» Nessuno tra i presenti fiatò. «Io sarò il vostro capitano, mentre il maggiore Cernuschi qui presente,» lo indicò, al suo fianco sul palco. «Si preoccuperà del vostro addestramento e dell’equipaggiamento.» «Domande, dubbi, incertezze? Sappiate che non me ne aspetto affatto, perché l’unica risposta possibile è prendere la porta dalla quale siete entrati, e andarvene. Ora o mai più.» Non ci fu alcuna reazione. «Bene. Maggiore,» passò parola. Cernuschi avanzò, annuendo. «Siamo ormai tutti al corrente di quello che è successo a Milano, durante le 5 Giornate. L’Impero ~ XXIX ~
austriaco stava sviluppando dei temibili macchinari da guerra a vapore, e delle letali armi elettriche portatili.» «Grazie all’Alleanza Tricolore, di cui anch’io facevo parte, come alcuni tra di voi, riuscimmo a inceppare il meccanismo, mentre la città stessa scacciava temporaneamente l’Impero.» Tagliareni, Acerbi e Luisa annuirono lentamente. «Ora quella tecnologia è nelle nostre mani e, nello specifico, in quelle del tenente colonnello Effe, genio delle 5 Giornate, che ci procurò l’armamento necessario per affrontare l’Impero.» I due dell’Alleanza si guardarono sospettosi, ma avevano già capito di chi si stesse parlando. «Nessuno a parte Effe, in tutto il Regno di Sardegna, è stato capace di capire le potenzialità di queste armi. Ma ha dato il compito al nostro maggior generale Garibaldi di sperimentarle, con la nascita di questo gruppo d’élite. Voi.» «Noi saremo la Legione Purpurea dei Cacciatori delle Alpi, quelli che per primi si scontreranno con il nemico, ovunque esso sia,» pronunciò con enfasi indicando lo stendardo appeso alle sue spalle, che riportava lo stesso ~ XXX ~
stemma che avevano sui baschi rossi: il teschio alato infilzato da una baionetta. «Scusate, maggiore,» alzò la mano Giovanni Acerbi. «Avanti.» «Ma se noi abbiamo questa tecnologia e loro non più, la nostra missione è sin troppo facile.» Cernuschi gli spense il sorrisetto impudente con lo sguardo. «Primo: l’Alleanza Tricolore nel ’48 ha sconfitto l’Impero, pur non disponendo certo delle stesse possibilità. Secondo: non siamo più così sicuri che gli austriaci abbiano abbandonato il progetto.» Un silenzio teso calò tra i presenti. Lo stesso capitano Bixio si irrigidì. «E’ notizia di oggi, giunta qui da Milano, che il feldmaresciallo Radetzky nascondeva nella Villa Reale, sua storica residenza, dei fascicoli riguardanti queste armi, e che gli stessi siano stati trafugati da una nostra vecchia conoscenza: il maggior Ettinghausen, all’epoca comandante della Wunderwaffen Korps.» «Ne siamo sicuri?» disse Bixio, accigliato. Cernuschi annuì. «Sì. Viene dalla nostra vecchia rete di comunicazione, i Martinitt, ~ XXXI ~
confermata da un testimone che, in questo momento, è a colloquio con Effe.» «La situazione non è così grave,» ammise una terza voce di campo, che coincise con l’ingresso nella saletta riservata del maggior generale Garibaldi. «Ma non va sottovalutata.» Tutti i presenti scattarono in piedi e sull’attenti come tanti soldatini di piombo. «Dopo il fallimento nelle 5 Giornate neanche l’Impero crede più in questa tecnologia ma, come noi d’altronde, potrebbe aver delegato qualcuno per una nuova prova sul campo di fuoco.» «Noi non ci faremo trovare impreparati. Siete qui per questo.» «Sissignore!» fu l’urlo unitario.
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1 Chivasso, 1859. «Il grosso dell’esercito piemontese si è attestato fra Alessandria, Valenza e Casale,» parlava il maggior generale Garibaldi, a cavallo, al fianco dei suoi tre comandanti di reggimento: Enrico Cosenz, Nicola Ardoino e Giacomo Medici. «Sappiamo che la divisione del feldmaresciallo Karl von Urban ha varcato i confini per prima, avanzando da Novara verso Torino,» alle sue spalle, la marea montante di camicie rosse. «Il nostro compito è quello di distrarre l’Impero, cercando di impegnarlo su più fronti.» ~ XXXIII ~
«E la Legione Purpurea?» chiese Cosenz. Garibaldi serrò la mascella, nascosta dalla folta barba. «Sono al battesimo di fuoco. Devono aprirci la strada fino al Ticino.» «Qual è il casus belli?» intervenne Medici. Il maggior generale sorrise. «Un pretesto: noi,» fece una pausa calcolata. «Il forte riarmo volontario del Regno di Sardegna, soprattutto degli esuli del Lombardo-Veneto.» «Va bene,» annuì Ardoino. «La strategia?» «L’Impero vuole il Piemonte? Noi gli portiamo via la Lombardia.» *** Balocco. Fine era una forma indistinta verde-marrone appollaiata su un albero. L’occhio buono dentro l’ottica del nuovo moschetto da tiratore P53 Enfield modificato, a guardare la strada principale che collegava Novara a Torino. «Esploratori imperiali in arrivo.» Ai piedi della quercia, il resto della squadra. Il capitano Bixio con Tagliareni e Acerbi. Indossavano il basco e l’armatura leggera, composta da un unico pezzo d’acciaio sagomato ~ XXXIV ~
che proteggeva spalle, pettorale e trapezi. Posteriormente era agganciato l’accumulatore al piombo, che dava carica elettrica alla sciabola e al fucile. Tutto nel colore rosso garibaldino. «Fagli vedere dove siamo,» ordinò Bixio, nome di battaglia Nino, senza incertezze. Fine non aveva bisogno d’altro. Trattenne per un attimo il respiro poi fece fuoco. Anche a occhio nudo si vide nitidamente uno dei soldati imperiali volare a terra. Le urla austriache furono portate dal vento. Un cavaliere si staccò dalla compagnia d’esploratori e partì all’indietro, in direzione di Novara. Altri si tuffarono nella campagna verso di loro, all’attacco. Da quella distanza sparare era impensabile. «Signori, abbiamo la loro attenzione,» sorrise Nino. «Fine, Incubo, raggiungete il convoglio di Falco sulla strada per Biella, ci ritiriamo. Io e te, Mastino, daremo loro ancora un po’ da fare.» «Resto solo io,» disse il tiratore dall’albero. Nino alzò lo sguardo. «Con tutto il rispetto, non riusciresti a essere agile e veloce come noi.» Nel frattempo Fine aveva ricaricato ed esploso il nuovo colpo, abbattendo un cavaliere. «Ci ~ XXXV ~
sarebbe da discutere su quanti credi che riescano ad avvicinarsi abbastanza.» Il vento portò altre urla in austriaco, e nient’altro. «Va bene,» si decise il capitano. «Andiamo, ragazzi, il prossimo appuntamento-esca è a Biella.» «Sissignore.»
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2 Lugano. Il dottor Ezio Cavazzini, una figura nervosa e asciutta avvolta nel camice bianco, entrò nella silenziosa camera da letto al buio. Si avvicinò alla portafinestra e aprì le persiane. Una luce incolore illuminò la stanza. Si voltò verso il letto matrimoniale e quasi trasalì per la sorpresa. Non ci aveva ancora fatto l’abitudine. Carlo Cattaneo lo stava fissando a occhi spalancati. «Un’altra notte insonne?» Raggiunse il capezzale e guardò con un sospiro ciò che rimaneva dell’eroico comandante dell’Alleanza Tricolore. I capelli erano di un bianco non naturale, così come il pizzetto che nessuno più curava a dovere. Il suo volto era scavato, tanto da poter indovinare tutte le ossa del cranio. Attorno ai suoi occhi troppo fissi, c’erano profonde occhiaie violacee. Le rughe profonde deformavano quelli che una volta, dieci anni prima, erano lineamenti piacevoli e autoritari. ~ XXXVII ~
«Dovresti tornare a Milano,» disse Cattaneo a fatica. «Hai il tuo lavoro da mandare avanti.» «Mi sono preso un po’ di ferie,» ridacchiò Ezio senza reale felicità. «Volevo vedere come ti stava andando.» Cattaneo abbassò lo sguardo alle lenzuola. Sospirò male. «Febbre cerebrale, dicono gli esperti. Vecchiaia, dicono gli amici. Pazzia, dice la verità.» «Tu non sei pazzo,» scosse il capo il dottore. «E allora cos’è che mi ha completamente svuotato delle forze,» rabbia nella voce. «Là fuori c’è ancora da combattere, hai sentito le novità?» Ezio annuì piano. «Lo dicesti tu stesso il 22 marzo 1848, ricordi?» Fu il turno di Cattaneo per annuire. «Questa non è più la tua guerra. Ci sono le nuove generazioni che avanzano e scalpitano.» «Già,» ingoiò fiele l’ex-comandante. «Ma l’avversario ha ancora tutti i pezzi al loro posto, mentre di noi… non è rimasto più nulla.» Un ghigno tra le labbra del dottore. «Non proprio tutti, e noi non siamo ancora da buttare.» Sembrò catturare l’attenzione debilitata dalla malattia dell’amico. ~ XXXVIII ~
«Radetzky è morto e il suo successore, Giulay, avrà i suoi bei grattacapi da affrontare. A Cuneo pare che Giuseppe Garibaldi stia mettendo in piedi delle forze speciali non indifferenti, con l’aiuto di qualche nostro vecchio compare di barricate.» Cattaneo assottigliò gli occhi. «Hanno giurato ai Savoia?» c’era odio in quella domanda. «Non è importante,» fu categorico Ezio. «Al momento è necessario cacciare via gli austriaci una volta per tutte.» L’ex-comandante ruotò la testa sul cuscino, guardando verso la finestra. Non parlò per molto tempo. «Dovrei pulire il mio fucile, allora.» «Hai ancora quel ferrovecchio?» lo sfotté il dottore. Cattaneo annuì. «Potrebbe esserci bisogno di qualche altro mio tiro, dopotutto.» Ezio compresse le labbra in una smorfia infelice. «Riposa, adesso. Tra un minuto ti porteranno la colazione.» Fece per andarsene, ma la frase dell’uomo a letto lo bloccò sul posto. «Non dovevamo lasciar andare Ettinghausen.» «Cosa?» ~ XXXIX ~
«Radetzky si era arreso, in un modo o nell’altro, e Bolza era solo uno strumento di morte senza più anima. Ma Ettinghausen…» «Nessuno ne ha più sentito parlare, Carlo.» «Ettinghausen era sopraffatto da quella tecnologia demoniaca. Non vedeva nient’altro che la sua Wunderwaffen. Era, ed è tuttora, l’elemento incognito più pericoloso.» «Non ti devi porre di questi problemi. Ti affaticano,» rispose compassionevole il dottore. «Quando incontrerai qualcuno della vecchia guardia dovrai dirgli di trovare, a ogni costo e con la massima priorità, il maggior Ettinghausen.» «Certo, Carlo. Lo farò.»
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Della stessa serie: “Le 5 Giornate” Romanzo
“Nel dicembre del 1847, a Milano, l’Alleanza Tricolore di Carlo Cattaneo porta a termine la prima cruciale missione di spionaggio, scoprendo che l’Impero austriaco del feldmaresciallo Radetzky sta sviluppando delle avveniristiche armi elettriche, e temibili mezzi da guerra a vapore. Nei mesi a seguire, mentre l’astio tra i cittadini e i loro oppressivi reggenti cresce, scatenando focolai di violenza in tutta la città, l’Alleanza continua le sue operazioni segrete. Ombre oscure si allungano sulla città, fino al 18 marzo 1848, quando tutto precipiterà nella guerra civile, rimasta alla storia come: le 5 Giornate di Milano.”
~ XLI ~
Della stessa serie: “Anima Nera” Romanzo breve
“11 maggio 1860: la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi sbarca a Marsala. I dragoni di Suzzara del maresciallo Lucio, una delle tante compagnie volontarie aggregate, disertano in cerca di fortuna personale. Dotati delle rivoluzionarie armi sottratte all’Impero austriaco durante le 5 Giornate di Milano, giungeranno in un piccolo borgo dell’Appennino meridionale: Teora. Loro malgrado, si renderanno presto conto che non sarà così facile conquistarlo. La tecnologia si scontrerà con qualcosa di molto più antico e potente, retaggio di una donna oscura e affascinante.”
~ XLII ~
L’Autore Classe 1979, della provincia ovest di Milano. Dal 2007 a oggi ha pubblicato narrativa di genere (dal thriller al western, dalla fantascienza all’horror) in eBook, antologie e riviste di settore, per un totale di quattro romanzi e una ventina di opere brevi. Nel 2012 ha vinto un concorso nazionale di letteratura fantascientifica (Kataris). Il suo sito/blog, sul quale trovare la bibliografia completa, oltre che recensioni e news letterarie è: http://enzomilano.wordpress.com Il sito dedicato a questa serie è: http://lecinquegiornate.wordpress.com
~ XLIII ~