Incontro con l'Autore "Ho amato Simone de Beauvoir" "Ho amato Simone de Beauvoir" di Anna Maria Riviello Rionero, Palazzo G. Fortunato, 14 Marzo 2014
Che bel libro ha scritto Anna Maria Riviello. Cosa saranno mai queste donne? Perché tanto agire dell'intelletto attorno a ciò che è carne, sesso, processo di riproduzione (ormai anche autonomo), vocazione al ciclo della vita, attrazione antica che accompagna ogni ribellione? E dove avranno sbagliato in questa lunga stagione del secolo ormai andato quando con la forza e le lacrime, le partenze e il dolore, la voce e l'umiliazione, la battaglia e il rimorso hanno generato (sì, hanno generato) un nuovo mondo che oggi stenta ancora a rispondere alla domanda di sempre: che differenza c'è? Che poi è una domanda che ne sottende un'altra: ma ne vale la pena? Insomma qual è la posta in gioco se arriva sempre il momento in cui la vita ti chiede il conto?
Più scopro e conosco storie come quelle di Anna Maria Riviello più mi chiedo cosa la mia generazione abbia fatto per dare la spallata finale. Poco, pochissimo se stiamo ancora qui a discutere di un posto in più in un listino. Ma ogni storia ha il suo assestamento, l'equilibrio dopo la rottura, un cammino lento su un percorso tracciato. "Ho amato Simone De Beauvoir” è la storia della vita di Annamaria, o meglio della vita come i ricordi gliela consegnano. Ed è una vita che sta dentro la storia di una militanza che è quella storica dell'UDI e del Pci. Non è un storia di provincia, e non solo perché lo scorrere degli anni si accompagna a partenze e ritorni - Roma, Potenza - ma perché è il fervore di un'epoca a dare respiro e apertura a un'esperienza. Ricordo di aver conosciuto un'altra Anna Maria. Anna Maria Longo, a Catanzaro, dunque ancora più a Sud, coetanea di esperienza e di militanza della Riviello. Quante Anna Maria ci sono state in quegli anni sparse per l'Italia? La geografia si ricuce attorno a un flusso che è stato quello di una lunga conversazione sulla demistificazione femminile, né diavolo né Madonna. Nella domanda che apre il libro, la domanda della nipotina: ma esiste Dio? sta il senso di questa storia. Viene da rispondere che per noi donne no, Dio non può esistere o se esiste è immanente, perché ora e qui scorre il tempo della nostra reincarnazione fatta di lutti e di rinascite, di morte, di alba di battaglia, di condivisione e poi profonda solitudine, di anello che si spezza e si rinsalda (sempre allo stesso modo, dannazione) tra madre e figlia. Vorrei dire ad Anna Maria che la sua generazione non è passata invano, è servita a capire che
tutto era alla nostra portata e ci ha insegnato a guardare il cielo vuoto, come avrebbe detto Simone. Qui, forse, leggo io la grande conquista: la libertà di scegliere. Che rimane tutta teorica, se attorno il riflusso della storia si rimangia le opportunità. Il senso obbligato di una vita, quello contro cui Anna Maria e le altre hanno combattuto oggi è in bilico sul ventaglio delle possibilità. Per certi aspetti è ancora più vertiginoso, perché è sempre così quando devi assumerti la responsabilità di andare o di qua o di là. Ma è ancora qui, forse, che ci siamo perse. Abbattuto il muro a un tratto la paura. Se oggi un corredo ricamato a mano è solo il prezioso recupero di una tradizione, resta intatta ieri come oggi la disperazione consapevole che accompagna il nostro cammino di bellezza e virtù tradite. Forse i racconti e i libri come questo di Anna Maria Riviello servono e fermarsi un attimo per ammettere che c'è quella benedetta domanda che non la mandi via, riaffiora sempre e ti condanna a pensare che forse era meglio credere in Dio. Quella domanda alla fine della corsa la consegni alle altre: ed è sempre la stessa, semplice semplice: ma ne è valsa la pena? Lucia Serino
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Marzo 2014 A Rionero nasce l’A.S.D. Arcieri del Vulture
Domenica 9 febbraio per Rionero è stata una giornata all'insegna dello sport. In una meravigliosa cornice di pubblico, è stata presentata alla cittadinanza la neonata A.S.D. Arcieri del Vulture, società sportiva dilettantistica che si occupa dello sviluppo, la diffusione e la propagazione del Tiro con l’Arco in tutte le sue componenti, sportive, agonistiche, amatoriali, didattiche, scientifiche. Nel luglio 2013, due amici appassionati della disciplina decidono di mettere insieme un gruppo di dieci soci per dare vita e costituire l’Associazione. E’ uno sport nuovo per la Città di Rionero in V. ed il nome scelto è “A.S.D. Arcieri del Vulture”. Grazie alla collaborazione con l'A.S.D. Arcieri Venosa 06 che costantemente mette a disposizione l’attrezzatura per i tiri, a Giovanni Lasalvia che presta la sua opera di istruttore, (continua all’interno)
Novita’ sul trattamento del Mieloma Multiplo: pubblicati sul “Journal of Clinical Oncology” e su “Lancet Oncology” due studi con la partecipazione dell’IRCCS-CROB
Sono stati riportati su Pub-Med, rispettivamente il 21 gennaio ed il 10 febbraio scorsi, i risultati di due importanti ricerche sul mieloma multiplo che hanno visto il coinvolgimento diretto dell’IRCCS-CROB di Rionero in Vulture, e, in particolare, della sua Unita’ Operativa di Ematologia. “Il mieloma multiplo”, ricorda Pellegrino Musto, Direttore Scientifico dell’Istituto rionerese e co-autore di entrambe le pubblicazioni, “è una delle piu’ frequenti neoplasie ematologiche dell’adulto ed è principalmente caratterizzato da interessamento osseo, midollare e renale. Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nel trattamento di questa patologia, che resta, tuttavia, (continua all’interno)
FIGURE STORICHE RIONERO (2)
DI
Giustino Fortunato (1777-1862)
Giustino Fortunato, noto anche come Giustino Fortunato senior (Rionero in Vulture, 20 agosto 1777 – Napoli, 22 agosto 1862), è stato un magistrato e politico italiano. Prozio dell'omonimo meridionalista, fu sostenitore della Repubblica Napoletana del 1799, magistrato durante il decennio francese e primo ministro del Regno delle Due Sicilie. Con una lunga carriera nelle pubbliche istituzioni, fu tra le personalità politiche più in vista dell'Italia meridionale tra
inizi e metà Ottocento ma anche tra le più discusse, criticato sia dai reazionari fedeli alla dinastia borbonica che dai rivoluzionari liberali. C'è chi lo considera un trasformista che approfittò dei cambiamenti politici per mantenere il proprio status quo ed il principale artefice della decadenza del Regno delle Due Sicilie ma anche chi lo considera un uomo ingegnoso e pragmatico che tentò di andare incontro alle richieste di tutte le frange politiche, fedeli e avverse alla corona, oltre a cercare di mantenere in vita le conquiste civili e ideologiche del suo tempo. Biografia Inizi e Repubblica Napoletana
Gioacchino Murat, di cui Fortunato fu uomo di fiducia Nato in una famiglia di estrazione borghese, da Cherubino ed Emanuela Pessolano, era secondogenito di quattro figli; suo fratello minore Anselmo, carbonaro, era nonno del Giustino meridionalista. Dopo i primi insegnamenti ricevuti da
suo zio Pasquale, dottore in utroque iure, all'età di 17 anni si trasferì a Napoli, ove si laureò in giurisprudenza, interessandosi anche alle materie scientifiche e filosofiche. Appassionatosi alle idee giacobine, iniziò a frequentare associazioni segrete filofrancesi. Fu allievo di Carlo Lauberg e del compaesano Michele Granata e conobbe altri intellettuali come Mario Pagano, Gennaro Serra di Cassano, Ettore Carafa, Emanuele De Deo e Ignazio Ciaia. In seguito insegnò, anche se per un breve periodo, matematica alla scuola militare della Nunziatella, prendendo il posto del suo mentore Granata. Con la conquista del Regno di Napoli ad opera dei francesi, Fortunato aderì alla Repubblica Napoletana, ottenendo dal neogoverno l'incarico di giudice di pace. Con l'arrivo dell'armata di Fabrizio Ruffo, scese in campo, nella V legione della Guardia Nazionale, contro le truppe sanfediste, scontrandosi sul Ponte della Maddalena. Dopo la vittoria dei sanfedisti e la conseguente restaurazione borbonica, numerosi repubblicani furono condannati a morte mentre Fortunato fu arrestato e incarcerato nel Castel Sant'Elmo, ma con l'aiuto del patriota Vincenzo Parisi (parente del generale Giuseppe), riuscì ad evadere e si nascose nella sua abitazione di Moliterno. L'anno precedente, Fortunato aveva sposato la nipote del generale Parisi, Raffaella, dalla quale ebbe tre figli: due maschi (morti prematuramente) e una femmina di nome Giulia. Grazie alla pace di Firenze siglata tra i governi francese e borbonico, che prevedeva la grazia per i prigionieri e i ricercati giacobini, rientrò a Napoli esercitando la
professione di avvocato e riprese a curare gli interessi familiari nelle tenute del Vulture. Periodo napoleonico Gioacchino Murat, di cui Fortunato fu uomo di fiducia Agli albori del decennio francese, fu convocato dal nuovo sovrano Giuseppe Bonaparte in veste di impiegato del ministero di polizia (1806), passando poi al ruolo di capo divisione presso il ministero di grazia e giustizia e di intendente della provincia di Napoli (1807). Con l'ascesa al trono di Gioacchino Murat, ricevette incarichi di magistratura: nel 1808, entrò nella Gran Corte Criminale come procuratore regio, in seguito fu nominato procuratore generale e nel 1809 divenne relatore al Consiglio di Stato. Accanto all'attività giudiziaria, si dedicò agli studi classici, alla composizione poetica e si impegnò nello sviluppo culturale nel regno. Assieme a Vincenzo Cuoco e Pietro Napoli-Signorelli, Fortunato ebbe un ruolo di primo piano nella rinascita dell'Accademia Pontaniana, nel 1808, riunendo nella sua residenza napoletana personalità come Vincenzo Monti, Melchiorre Delfico, Giambattista Gagliardi, Teodoro Monticelli, Davide Winspeare, Michele Tenore e Andrea Mustoxidi. Nella prima adunanza, tenutasi il 4 marzo dello stesso anno, Cuoco fu eletto presidente, Fortunato vicepresidente, Napoli-Signorelli segretario. Il 4 maggio 1811, grazie al contributo di Fortunato, la sua natia Rionero fu elevata a comune con regio decreto. Il 25 marzo 1813, dedicò al re, durante una cerimonia, un poema in ottave da lui scritto e
Murat lo decorò con l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine reale delle Due Sicilie. Nel 1814, Murat lo inviò a Firenze con la mansione di commissario nel dipartimento di polizia del generale Giuseppe Lechi e, nello stesso anno, fu nominato dal sovrano francese intendente di Chieti, in sostituzione di Carlo Ungaro, duca di Montejasi, per ripristinare l'ordine nell'Abruzzo Citra, coinvolto nei moti carbonari avvenuti in marzo. Il compito venne portato a termine e Murat, entusiasta, spedì da Pescara una lettera di elogio a Fortunato, il 9 maggio 1815: (FR) « Monsieur l'intendent, je ne veux pas m'éloigner de la Province, dont je vous ai confié l'administration, sans vous témoigner toute ma satisfaction, tant pur votre belle conduitre, que pour celle des bons et fidèles abruzzais. Le Ciel me fornira, j'espère, l'occasion de reconnaître votre zèle, votre attachement et leur fidélité » (IT) « Signor intendente, non voglio allontanarmi dalla Provincia, di cui vi ho affidato l'amministrazione, senza testimoniarvi tutta la mia soddisfazione sia per la vostra bella condotta che per quella di questi fedeli abruzzesi. Il cielo mi darà, lo spero, l'occasione di riconoscere il vostro zelo, il vostro attaccamento e la loro fedeltà » (Gioacchino Murat) Nel 1815 ebbe la mansione di procuratore generale presso la Corte dei Conti, mantenendo equilibrati i rapporti amministrativi tra Stato e Chiesa. Fu il suo ultimo incarico sotto il decennio francese. Seconda restaurazione borbonica
Dopo la seconda restaurazione, grazie al trattato di Casalanza, fu mantenuto nei ranghi della burocrazia da Ferdinando I, che gli conferì la nomina di consigliere soprannumerario presso la Corte dei Conti nel 1817 e avvocato generale alla Gran Corte di giustizia nel 1820, ma venne epurato per aver appoggiato i moti carbonari costituzionali dello stesso anno. Venne riassunto nuovamente nelle sfere dello Stato dall'allora primo ministro Donato Tommasi nel 1830.
Ferdinando II, diede notevoli incarichi a Fortunato, sebbene i loro rapporti furono piuttosto vivaci Con la salita al trono di Ferdinando II, Fortunato, assieme ad altri regi consiglieri come Carlo Filangieri e Francesco Ricciardi, con il beneplacito del ministro di polizia Nicola Intonti, incitò il nuovo monarca ad una politica più costituzionale, sul modello francese. Ma il sovrano, preoccupato per i moti del 1831 nell'Italia Centrale e temendo simili tumulti nel suo regno, licenziò Fortunato e esiliò Intonti a Vienna, mentre non prese provvedimenti nei confronti di Filangieri e Ricciardi.
Fortunato fu reintegrato dal re nel 1835, il quale lo mandò a Palermo con l'incarico di direttore delle finanze. Tornato a Napoli l'anno successivo, divenne procuratore generale alla Corte dei Conti, ministro senza portafoglio (1841) e ministro delle finanze nel 1847 sotto il governo di Giuseppe Ceva Grimaldi di Pietracatella, in sostituzione di Ferdinando Ferri che si era dimesso per l'età avanzata. Dopo la rivoluzione siciliana del 1848, per riconciliare la società siciliana alla corona, Fortunato si fece promotore di una petizione (estesa alla Sicilia e a tutto il regno) per abolire lo statuto, in cui le classi politiche e la borghesia venivano convinte dagli agenti di polizia a firmare in cambio di appalti pubblici, abolizioni di tasse, ricompense pecuniarie. L'idea di Fortunato (che suscitò la rabbia dei liberali nei suoi confronti) ebbe successo, solo una minoranza di sindaci rifiutò di firmare, subendo la destituzione dalle loro cariche e la sorveglianza della polizia. Secondo Raffaele De Cesare, la petizione di Fortunato venne poi distrutta nel 1860 al momento dell'unità d'Italia, poiché sarebbe stata poco conciliabile con il plebiscito nazionale. Per decreto del 9 luglio 1848, venne nominato "Pari del Regno". (fonte Wikipendia) La seconda parte di FIGURE STORICHE DI RIONERO (2) Giustino Fortunato su INFO RIONERO di Aprile
Grazie alla collaborazione con l'A.S.D. Arcieri Venosa 06 che al A Rionero nasce l’A.S.D. Arcieri del Vulture
(dalla prima pagina) al buon Don Giovanni De Palma che ha fornito parte del materiale senza il quale le attività non avrebbero mai potuto iniziare ed al supporto della Fitarco Basilicata, hanno inizio gli allenamenti sportivi presso il Bocciodromo Comunale di Rionero. costantemente mette a disposizione l’attrezzatura per i tiri, a Giovanni Lasalvia che presta la sua opera di istruttore, al buon Don Giovanni De Palma che ha fornito parte del materiale senza il quale le attività non avrebbero mai potuto iniziare ed al supporto della Fitarco Basilicata, hanno inizio gli allenamenti sportivi presso il Bocciodromo Comunale di Rionero. La struttura è scelta grazie al suggerimento dell’A.S.D. Bocciofila Rionerese e si presta bene agli allenamenti indoor in quanto la distanza di tiro arriva fino a circa 22 metri. In pochi mesi l’A.S.D. raggiunge i 27 soci e vengono consegnati alla FITARCO ed al CONI i documenti per l’iscrizione. Intanto inizia la ricerca per l’individuazione di un campo esterno per gli allenamenti a distanze maggiori. Dal 1 gennaio 2014 l' A.S.D. Arcieri del Vulture è a tutti gli effetti iscritta alla
Federazione Italiana Tiro con l’Arco (FITARCO) ed al Coni. La prima uscita pubblica è in occasione del 1° Trofeo del Vulture che si tiene proprio a Rionero per volontà della A.S.D. Arcieri Venosa 06. Il 1° Trofeo del Vulture ha visto la partecipazione di una novantina di arcieri in rappresentanza di 18 società sportive provenienti da Basilicata, Puglia e Campania che si sono avvicendati sulla linea di tiro alla distanza di 18 metri distribuiti su due turni di gara. La competizione, inserita nel calendario federale 2014 della Fitarco, si e svolta nella palestra del Palazzetto dello Sport. Alla gara, svolta alla distanza di 18 metri, hanno partecipato tutte le categorie, dai giovanissimi (atleti dai 9 ai 12 anni) ai master (atleti over 50 anni) che si sono sfidati, ognuno secondo la propria categoria di età e specialità, con archi “nudi”, archi “olimpici” e archi “compound”.
Ognuno ha tirato 60 frecce su bersagli singoli o tripli da 40 cm e sono risultati vincitori coloro che hanno totalizzato il punteggio più alto secondo la classifica della propria categoria di appartenenza. Seppur alla loro prima uscita ufficiale, gli atleti rioneresi hanno raggiunto un buon risultato portando a casa due medaglie d’argento nella categoria “seniores femminile arco olimpico” con Francesca Federico e nella categoria “master maschile arco nudo” con Antonio Bochicchio ed una
medaglia d’oro nella categoria “giovanissimi femminile arco nudo” con Giusy Traficante. Ottimi piazzamenti anche per gli atleti di Venosa con Teresa Altieri, medaglia d’oro nella categoria “seniores femminile arco olimpico”, Nicola Rapolla medaglia d’oro nella categoria “master maschile arco olimpico”, Raffaele Di Nichilo, medaglia d’oro nella categoria “ragazzi maschile arco olimpico” e Luigi Altieri medaglia di bronzo nella categoria “seniores maschile arco nudo”.
hanno portato a casa 3 medaglie d’oro con Francesca Federico nella specialità Arco Olimpico Seniores Femminile, con Antonio Bochicchio nella specialità Arco Nudo Master Maschile e con Giusy Traficante nella specialità Arco Nudo Giovanissimi Femminile. La squadra composta da Giovanni Marino, Massimo Latorraca e Donato Traficante ha vinto la medaglia di bronzo nella categoria Arco Olimpico Seniores Maschile. Per qualti riguarda la fase eliminatoria del torneo valevole per il Campionato Regionale, Francesca Federico si è piazzata al secondo posto lasciando il titolo alla brava Ilaria Trillo della A.S.D. Arcieri Lucani Potenza.
Gli Arcieri Lucani di Potenza, con nove piazzamenti individuali sul podio, più due a squadre, sono stati gli atleti che hanno conquistato più medaglie. Ma è forse il Campionato Regionale Indoor 18m che ha portato fino ad ora le maggiori soddisfazioni per la squadra. La competizione si è svolta i giorni 15 e 16 marzo a Policoro ed ha visto la partecipazione di 110 atleti delle 13 società lucane.
Il primo Consiglio Direttivo è così formato: - Presidente: Giovanni Marino Vice Presidente: Filippo Travaglio - Segretario: Nino Lioy - Consigliere: Antonio Bochicchio - Consigliere: Pascal Leggieri
La società di Rionero ha gareggiato con ben nove atleti. I risultati sono stati oltre le aspettative: nella gara individuale, gli arcieri rioneresi
Commento del Presidente Giovanni Marino: “Il Tiro con l’Arco, più che uno sport è una disciplina che richiede precisione e impegno. E’ uno sport per tutti, fa bene a ogni età e si pratica facilmente sia all’aperto in boschi e prati, a diretto contatto con la natura, che al chiuso, in tutti i mesi dell’anno. A Rionero è la prima volta che appare questa disciplina sportiva ed infatti ha subito avuto un notevole riscontro da parte della popolazione. Siamo infatti a
quota 27 iscritti. Abbiamo potuto iniziare e continuare le attività grazie al contributo dei soci, ma soprattutto grazie alla costante collaborazione con l’A.S.D. Arcieri Venosa 06 di cui il Presidente Giovanni Lasalvia è nostro istruttore, grazie a Don Giovanni De Palma per averci fornito un po’ di materiale per iniziare e al supporto della Fitarco Basilicata. La gara del 9 febbraio ha rappresentato la nostra prima uscita ufficiale e vi abbiamo partecipato con sei atleti. Ci siamo confrontati con decine di atleti di un certo calibro anche per la presenza di sportivi che hanno partecipato a diversi campionati italiani di cui sono stati anche campioni. Il Campionato Regionale svolto Policoro è andato oltre ogni aspettativa. Dopo neanche un anno dalla costituzione, abbiamo in squadra una Vice Campionessa Regionale con Francesca Federico, tre medaglie d’oro individuali ed una di bronzo a squadre. Ma le gare di Tiro con l’Arco sono soprattutto sfide contro se stessi e soprattutto momenti conviviali. Qui non ci sono avversari, ma solo tanti amici che cercano di migliorare se stessi. Nel periodo invernale e fino a fine marzo facciamo attività presso il Bocciodromo Comunale in Villa Stazione FS il martedì e giovedì dalle ore 18,00. Da aprile a settembre ci sposteremo in esterno per allenarci a distanze maggiori.”
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Su “Journal of Clinical Oncology” e su “Lancet Oncology” due studi con la partecipazione dell’IRCCS-CROB
(dalla Prima) non curabile nei pazienti piu’ anziani che non possono essere sottoposti a trapianto di cellule staminali”. Proprio a questa tipologia di pazienti sono stati dedicati i due studi, entrambi coordinati da Antonio Palumbo, responsabile della “Myeloma Unit” della Universita’ di Torino. Nel primo caso si tratta di un “trial” clinico multicentrico nazionale, pubblicato sul “Journal of Clinical Oncology”, che ha coinvolto 511 pazienti e che ha dimostrato la maggiore efficacia di una terapia di “mantenimento” prolungata con nuovi agenti (bortezomib e talidomide) dopo la fase iniziale di trattamento a quattro farmaci (bortezomib, melfalan, prednisone e talidomide), rispetto a una associazione di soli tre farmaci (bortezomib, melfalan e prednisone) senza “mantenimento”, attualmente considerata lo standard terapeutico per questi pazienti. Il secondo è uno studio internazionale pubblicato su “Lancet Oncology”, cui hanno collaborato i principali centri di ricerca sul mieloma multiplo europei ed americani. Grazie a una dettagliata analisi statistica di 3.218 pazienti inseriti in sette “trials” internazionali, il lavoro ha fatto luce su un aspetto rilevante dei moderni trattamenti antineoplastici (la possibile comparsa di secondi tumori), dimostrando come sia la combinazione di lenalidomide (un
nuovo immunomodulante) con melfalan (un agente alchilante), ma non quella di lenalidomide con steroidi, ad essere associata ad un rischio lievemente piu’ elevato di sviluppare una seconda neoplasia ematologica in pazienti affetti da mieloma multiplo. “Queste acquisizioni”, conclude Musto, “pubblicate su due riviste ai primissimi posti del ranking internazionale, sono di particolare importanza e concorreranno, grazie all’impegno degli operatori coinvolti e soprattutto al contributo che i nostri pazienti hanno fornito aderendo a questi studi, a migliorare ulteriormente il trattamento del mieloma”. Il Dr. Pasquale Amendola, Direttore Generale dell’IRCCS-CROB, ha espresso la sua grande soddisfazione per il lavoro di equipe svolto in Istituto, sottolineando come questi risultati testimonino, ancora una volta, il ruolo dell’IRCCS-CROB nel panorama nazionale ed internazionale della ricerca in oncologia.
L'IRCCS CROB all’Università “La Sorbonne” di Parigi
La Direzione Sanitaria di Presidio del CROB presenta all’Università “La Sorbonne” di Parigi i risultati dello studio “The behaviour of physicians in cases when medical errors occur” nell’ambito della prestigiosa assise
congressuale voluta dall’International Mediterranean Forensic Medicine Congress e dedicata agli aspetti eticodeontologici e giuridici del rapporto medico-paziente. Già edito per la rivista Responsabilità Civile e Previdenza e proposto in occasione del XII Congresso Nazionale COMLAS tenutosi a Bologna il 24-26 ottobre 2013, il lavoro ha suscitato l’interesse della comunità scientifica medico-legale internazionale che ha inserito la presentazione orale degli autori D’Errico, Colasurdo, Pennelli nell’ambito della sessione “Diritto alla salute e responsabilità professionale”, prevista per il giorno 24 febbraio 2014. L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare i comportamenti dei medici di fronte ad un eventuale errore attraverso la somministrazione di un questionario anonimo ai dirigenti medici in servizio presso l’IRCCS CROB e conseguentemente, i limiti e le prospettive di applicabilità di una policy di full disclosure aziendale e la sua efficacia in termini di riduzione dei costi legati alla gestione del contezioso medicolegale. Questo lavoro si inserisce in un più ampio filone di ricerca sui temi dell’etica e della deontologia che questa Direzione Sanitaria di Presidio porta avanti e che, attualmente la vedono impegnata sul tema degli eventi avversi in sanità e del ruolo di “second victim” dei professionisti sanitari coinvolti.
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IRCCS CROB Rionero Giornata mondiale contro il cancro 2014
Quattro Miti da Sfatare Primo mito: non c’è bisogno di parlare di cancro. Spero che si sia più avanti di così, di cancro si può e si deve parlare perché l’informazione aiuta a conoscere gli strumenti di diagnosi precoce (per esempio) ma anche le cure più utili per chi ha una malattia tumorale cronica. Di loro non si parla mai (o quasi), delle persone che hanno un tumore e non sono guarite e trascorrono grande parte del loro tempo negli ospedali con i controlli e le cure. Non si parla della loro condizione psicologica diversa dalla condizione di chi, pure avendo avuto il grande trauma del tumore, lo ha sconfitto o è in un periodo di assenza di malattia. Sono tanti, sono i pazienti che convivono con una malattia che (forse) non guarirà: prima di scrivere questa riflessione osservavo chi era seduto nei corridoi dell’istituto dove lavoro e aspettava per una visita, per un intervento o una somministrazione di chemioterapia. “Se adesso dicessi loro che è la giornata mondiale contro il cancro cosa mi risponderebbero?”, pensavo e immaginavo la reazione di ciascuno. Sfatare il primo mito cioè iniziare a parlare di cancro in modo rispettoso e onesto è ammettere che esistano malattie non ancora curabili, e tanta gente che ha bisogno della nostra
attenzione umana e professionale. Il secondo mito: non ci sono segni e sintomi di cancro. Il terzo mito: non c’è nulla che io possa fare per il cancro. Ho letto in giro e chi ha commentato questo mito lo ha fatto (con alcune eccezioni, ovviamente) puntando sulla diagnosi precoce. Voglio pensare invece a chi è già malato e pretendo che ci si concentri sull’abolizione del falso mito anche lì.
Ci sono cose da fare, e se non tutte sono risolutive dobbiamo impegnarci ancora di più perché un giorno lo siano. E dobbiamo essere presenti per aiutare tutti ad avere una qualità della vita accettabile, a non avere dolore e a comprendere cosa stia accadendo e perché. Sfatare questo mito è accettare di assistere al dolore. Il dolore è difficile da guardare e solleva tanti dubbi, mette in crisi: non osservarlo perché fa paura è sbagliato. Il dolore esiste, esiste la morte ma esiste anche l’impegno onesto, leale perché le condizioni di vita, breve o lunga che sia, diventino accettabili e umane.
Quarto mito: non ho il diritto di ottenere una cura per il cancro. La parità di trattamento non dipende solo dalle condizioni economiche, per fortuna l’Italia è ancora quasi indenne da alcune differenze atroci di altri Paesi apparentemente più evoluti. La differenza può essere nella preparazione del personale e nella struttura cui ci si affida, ed è una differenza che – piaccia o no sentirselo dire – ha un impatto sulla probabilità di guarigione o controllo a lungo termine della malattia. Responsabilità del singolo nell’aggiornamento? Certo. Responsabilità delle strutture che devono garantire agli utenti una qualità al di sopra di un certo livello? Certo. Cooperazione, soprattutto. E comprensione di un solo, cruciale concetto: la cooperazione aiuta, la discordia tra medici e strutture sanitarie per questioni di marketing (sono quasi sempre questioni di marketing) dovrebbe essere sanzionata con severità. Perché se a una cura equa e di alto livello per tutti si deve arrivare è impensabile passare attraverso la reciproca critica tra chi dovrebbe fare gruppo unico per aiutare i malati. Maria Giovanna Luini Servizio su: www.tg7basilicata.blogspot.it Convegno su: www.youtube.com/rioneroinvulturetv
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