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BASILICATA
SCANZANO NUCLEARE? La fusione fredda dei lucani Dietro front del governo sul decreto che individua nel comune di Scanzano Jonico (Mt) il sito nazionale di deposito delle scorie nucleari. Il nome della cittadina lucana è scomparso dalle pagine del documento stilato dal Consiglio dei Ministri, con una mossa inaspettata che soltanto qualche ora prima era stata categoricamente esclusa dallo stesso esecutivo. Il nuovo provvedimento dispone la creazione di una commissione di esperti, composta da quattordici membri, due dei quali saranno nominati dalle Regioni. Gli scienziati di “elevata e comprovata autorevolezzaâ€? esamineranno i siti, studieranno in loco le caratteristiche tecnico scientiďŹ che e decideranno entro un anno la collocazione deďŹ nitiva del deposito nucleare. Queste le modiďŹ che piĂš signiďŹ cative, e del nome di Scanzano Jonico non rimane traccia nel decreto legge. La notizia viene accolta nel piccolo centro lucano da scene di esultanza e lunghi cortei di trattori. Dopo 14 giorni di serrata e di protesta continuata, la tensione cala e i manifestanti depongono le armi. Ma la doccia fredda arriva qualche ora piĂš tardi, quando il ministro dei Rapporti col Parlamento, Carlo Giovanardi, fa sapere che sĂŹ, Scanzano non ďŹ gura piĂš quale sito unico, ma certo rimane nella rosa dei possibili candidati. Quali siano le altre localitĂ non è dato sapere, e la vittoria lucana ora sembra piĂš amara, e anzi c’è chi parla di una sola battaglia vinta su una guerra che, invece, è destinata a continuare. Il Governo, è evidente, non ha fatto un regalo. Questa modiďŹ ca non è che un compromesso: qualche concessione in cambio della ďŹ ne della protesta. E, a ben vedere, la decisone su Scanzano non è stata revocata, è stata soltanto rimandata.
IL FATTO • Il quattordici di novembre piomba in Basilicata un provvedimento a sorpresa: il Consiglio dei Ministri decide l’ubicazione del sito nazionale per il deposito delle scorie nucleari in terra lucana. Con un abile colpo di mano, nei giorni immediatamente successivi alla strage di Nassirya, l’esecutivo ha elaborato e approvato in tempi record il decreto legge che individua nella zona di Scanzano Jonico il luogo deputato allo smaltimento dei riďŹ uti nucleari. Una decisione inaspettata, sia per gli enti locali, che si dicono all’oscuro di tutto, sia per gran parte del mondo politico nazionale. La coincidenza con la tragedia di Nassirya e la sospetta rapiditĂ con cui è stato emanato il provvedimento pongono inevitabili interrogativi: il rischio di attentati terroristici ha raggiunto un livello tanto elevato da imporre una decisione immediata ed indifferibile, oppure il provvedimento è solo frutto di una acuta strategia tesa a fuorviare l’opinione pubblica ed evitare le contestazioni? Scorrendo velocemente il documento stilato dall’esecutivo non sembra potersi porre alcun dubbio: la “straordinaria necessitĂ ed urgenzaâ€? è sin dalle prime righe posta in relazione con la “diffusa crisi internazionaleâ€? e pertanto tutte le iniziative di “carattere straordinarioâ€? sono poste per tutelare l’interesse superiore della “sicurezza dello Statoâ€?. Il provvedimento iniziale dispone anche la costruzione di “strutture temporaneeâ€?, quattro bunker corazzati in cemento armato e custoditi in zone militarizzate, destinate a ricevere e conservare i riďŹ uti radioattivi provenienti dallo smantellamento, anch’esso immediato, indifferibile ed urgente, delle decine di siti italiani di stoccaggio
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Il Centro Ricerche ENEA “Trisaia”
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Il Centro Ricerche ENEA (l’ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) della Trisaia, realizzato in località “Trisaia Inferiore”, nel comune materano di Rotondella, sorge nel 1962, essenzialmente come centro di riprocessamento degli elementi esauriti del combustibile nucleare. Nella seconda metà degli anni Ottanta il Centro avvia un processo di riconversione delle proprie attività, nell’ambito di un programma più generale di potenziamento delle strutture di ricerca scientifica e tecnologica del Mezzogiorno, ampliando al contempo le proprie competenze attraverso l’immissione di nuove giovani risorse e occupandosi di energia alternativa, fonti rinnovabili, utilizzazione delle biomasse e altro. Dopo il referendum del 1987 ed in conseguenza delle modifiche della politica energetica nazionale, nel centro è stato definitivamente potenziato il processo di riconversione, con l’avvio della solidificazione di tutti i liquidi radioattivi presenti. Il Centro sorge a ridosso della costa jonica lucana, a pochi chilometri di distanza da Scanzano Jonico ed è anche sede dell’impianto Itrec, ultimato nel 1968, dove è stato praticato per alcuni anni il riprocessamento di combustibile nucleare, nel campo del ciclo uranio-torio. Il sito internet del Centro(www.trisaia.enea.i), un modello di funzionalità telematica, non ha però alcun “bottone” che permetta di saperne di più in fatto di scorie. Da quel che si sa, sono ancora presenti e “ospitate” in piscine sotterranee, dal 1968 circa, sessantaquattro barre di combustibile irraggiato provenienti dal reattore nucleare di Elk River (Minnesota, Usa), mai trattate, per un totale di 72 chili di uranio e 1.067 chili di torio. Secondo l’autorevole settimanale italiano “Panorama”, la capacità potenziale complessiva dei circa 3mila metri cubi di rifiuti radioattivi della Trisaia si aggira intorno a 843.556 miliardi di becquerel, dal momento che nei capannoni dell’Itrec sarebbero conservati 8mila bidoni di materiale radioattivo, ai quali potrebbero aggiungersi altri 700 fusti ad elevata attività radioattiva. (Giovanni Scandiffio)
e conservazione delle scorie nucleari. Ma, in fin dei conti, il trasferimento, coatto ed immediato, a Scanzano delle scorie raccolte nei tanti siti nazionali eleverebbe enormemente lo stesso fattore di rischio terrorismo: la concentrazione delle scorie presso un unico deposito provvisorio, in attesa della costruzione del sito definitivo per un tempo sicuramente non inferiore ai cinque anni, rischierebbe di diventare, proprio per i terroristi, un obiettivo strategico di incomparabile potenza distruttiva. E ciò vale, di per sé, a dimostrare quanto lungo e scrupoloso sia stato l’esame tecnico del decreto emanato e delle sue implicazioni pratiche! D’altra parte l’individuazione del sito di Scanzano appare, quantomeno, una scelta di ripiego. Soltanto nel giugno scorso, infatti, la Sogin, società statale deputata allo stoccaggio e allo smaltimento dei rifiuti nucleari, aveva individuato quale sito “ideale” per la costruzione del deposito nazionale di scorie radioattive il territorio della comunità montana di Sulcis Iglesiente, un fazzoletto di terra che si stende tra il mare e la montagna nel sud ovest della Sardegna. In quell’occasione la durissima protesta della popolazione ha messo a tacere il governo. Decine di migliaia di manifestanti sono scesi in strada, una numerosa delegazione ha protestato a Roma dinanzi ai palazzi del potere. La secca opposizione delle amministrazioni locali ha fatto il resto, e di Sulcis Iglesiente non se ne è più parlato. Stessa storia per Scanzano, con il generale Jean pronto a far credere che Scanzano Jonico fosse l’unico sito adatto alla destinazione prevista, dal momento che, giurano i tecnici della Sogin, non esistono altri luoghi con caratteristiche territoriali e geologiche altrettanto favorevoli. Ma c’è il sospetto che la caratteristica territoriale più favorevole sia stata, a ben vedere, la scarsità di popolazione, e il conseguente, irrilevante, peso che essa riveste nello scacchiere politico nazionale. LA STORIA • Il problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi ha cominciato ad essere un grattacapo per i governi italiani sin dal 1987, anno in cui il referendum popolare fece dell’Italia un territorio declunearizzato. Le scorie radioattive prodotte dal nostro breve Medioevo atomico hanno lasciato una traccia che nessuna regione vorrebbe conservare nel proprio territorio: il suolo nelle cui viscere giace un deposito nucleare diventa inservibile, degradato, sterile. Il circondario, i comuni a ridosso delle vie di comunicazione sarebbero costretti a sopportare il passaggio continuo di trasporti su gomma ad elevatissima pericolosità. Le possibili località candidate a scontare un dazio tanto pesante erano, secondo il governo, ben duecento. Nel corso dei sedici anni di indagini furono poi ridotte a sette, ma il nome di Scanzano Jonico non venne fuori. Nel frattempo il ministro Giovanardi, rimescolando confusamente le carte, richiamò tutti ad un improbabile federalismo nucleare: ognuno per sé, Dio per tutti. Proprio in quei mesi la partita venne affidata all’inflessibile ex generale Carlo Jean, nominato commissario straordinario per lo smaltimento dei rifiuti nucleari, il quale inizialmente sembrò propendere per la Sardegna, salvo poi ripiegare definitivamente su Scanzano Jonico. Ma nel comune materano non sembrano essersi resi conto di nulla. Intorno alle gallerie di cemento che spuntano qua e là nella frazione di Terzo Cavone, nessuno si fa vivo da anni. A quando risalgono, dunque, gli ultimi rilevamenti tecnici? Poche
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IL BRACCIO DI FERRO TRA REGIONE E GOVERNO Dal giorno stesso in cui è stato reso noto il provvedimento il governo regionale non ha perso occasione per far sentire la propria voce. La richiesta di immediato ritiro del decreto, avanzata dal governatore regionale Filippo Bubbico subito dopo la diffusione della notizia di individuazione del sito ottiene inizialmente gli effetti sperati. Il consiglio dei ministri rinuncia soltanto all’immediato trasferimento delle scorie nel sito di Scanzano, ma per il resto le disposizioni erano sostanzialmente invariate. Pugno di ferro in guanto di velluto. Ma la Regione va oltre, presentando un ricorso alla Consulta per presunta illegittimità del provvedimento, che sarebbe stato assunto in violazione dell’obbligo di informazione dell’ ente regionale e senza alcuna espressione di consenso da parte delle istituzioni locali. Sul fronte della protesta la temperatura continua a salire, e dopo il primo, decisivo bagno di folla, con un corteo che conta più di centomila presenze, la manifestazione si sposta a Roma, con un sit in dinanzi al Palazzo del Governo. Inizialmente l’esecutivo sembra voler continuare per la sua strada, ma, dopo aver ignorato la presenza dei sindaci dei Comuni, accorsi in massa davanti a Palazzo Chigi, si mostra vagamente possibilista: il provvedimento non sarà ritirato, ma tra gli emendamenti da apporre al documento ce ne sarà (forse) uno che disporrà l’analisi di altri siti oltre a quello lucano. Bastano ventiquattro ore a far cambiare idea ai ministri: nessuna indicazione esplicita delle località, scompare dal provvedimento il sito lucano, si forma una democraticissima commissione di esperti, che vaglierà i siti e deciderà la collocazione più adatta entro dodici mesi. Nel Metapontino si canta vittoria. Ma solo fino alla stop del ministro Giovanardi: Scanzano rimane nella rosa dei siti candidati. Davvero credevate fosse tutto finito?
Rifiuti tossici, abbiamo già dato! Il centro Enea ‘La Trisaia’ è stato oggetto di indagini giudiziarie. Alcuni anni fa l’allora Procuratore presso la Procura circondariale di Matera Nicola Pace avviò accertamenti che, anche con l’ausilio di qualificate consulenze tecniche, evidenziarono gravi anomalie nella gestione dei rifiuti con immediate ricadute in termini di pericolo per la popolazione e per l’ambiente. In particolare, veniva rilevata la gravissima situazione di rischio derivante dalla mancata solidificazione di rifiuti liquidi ad alta radioattività e dalla presenza di oltre sessanta barre di combustibile irraggiato nella piscina di stoccaggio della Trisaia. Nicola Pace, attualmente a capo della Procura di Trieste nonché esperto onorario associato all’Istituto di Criminologia ambientale dell’Università di Napoli, da noi interpellato sulla recente designazione di Scanzano quale sito di deposito intermedio e finale dei rifiuti radioattivi di produzione nazionale, ha bollato tale decisione come ‘scelta di retroguardia’ e in contrasto con tutti i principi giuridici, scientifici e morali vigenti in materia di gestione dei rifiuti. Oltretutto - fa rilevare il Magistrato - appare improponibile e follemente rishiosa l’idea di trasportare al sito nazionale, ovunque esso sia, categorie di rifiuti (come i liquidi ad alta attività) senza averli prima condizionati, ossia vetrificati o ceramizzati o altrimenti messi in sicurezza nei luoghi di partenza. Inoltre non ha senso parlare di sicurezza del sito nazionale se, nel frattempo, si trascura di sistemare adeguatamente i materiali, almeno quelli più esposti o intrinsecamente più pericolosi, negli attuali luoghi di stoccaggio. Lo stato di incuria e di abbandono dei peggiori rifiuti esistenti in Trisaia è l’emblema di questa colpevole incongruenza che ha già prodotto i suoi danni, come attestano i seimila fusti di terreno decorticato dal suolo dopo l’ennesimo incidente avvenuto nel centro. Vale la pena di tenere a mente, in questa materia, l’ammonimento di Carlo Rubbia “il nucleare presenta probabilità infinitamente piccole di rischi infinitamente grandi”. Come dire: è difficile che accada, ma se accade è la fine!
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certezze sull’argomento: si sa che la scoperta del giacimento di salgemma è avvenuta negli anni ’50. Nel 1981 il Ministero dell’Industria attribuì alla Canada Northwest Spa la concessione mineraria di sfruttamento. La società canadese propose l’utilizzazione della miniera come deposito per Gpl. Il secco niet del consiglio comunale mise a tacere tutti e la questione venne accantonata sino al 1987, anno in cui alla Canada Northwest Spa subentrò la società italiana Sorim, la quale ottenne, con non poche polemiche, una ulteriore concessione e nel giugno del 1999 avviò le ricerche scientifiche per lo sfruttamento del sito. Una seconda presa di posizione delle istituzioni locali, questa volta per opera della Regione, impedì lo svolgimento dei lavori, e i rilevamenti previsti non vennero mai portati a termine. Gli ultimi studi tecnici attendibili risalgono così a più di trenta anni fa. La Sogin, secondo le sue stesse fonti, prende in considerazione uno studio compiuto a cavallo tra gli anni 70 e 80. I criteri di scelta sono quelli dettati dalla International Atomic Energy Agency e sono legati alla profondità e alla presenza di materiali isolanti come argilla, granito e salgemma. Il fattore sismico e il rischio idrogeologico non compaiono quali fattori determinanti. Un particolare certo non irrilevante in una zona ad elevatissimo pericolo di terremoti e soggetta ad un lento ma continuo processo di erosione delle zone costiere.
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La SOGIN S.p.A.
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La Sogin Spa è la società statale (ex società Enel, oggi del Ministero del Tesoro, dalla quale dipende anche l’Itrec di Rotondella) presieduta dal generale Carlo Jean, alla quale il premier Berlusconi ha dato l’incarico “speciale” di trovare una collocazione unica e definitiva per i circa 55 mila metri cubi di scorie delle centrali italiane, disattivate
dopo il no al nucleare espresso dai cittadini con il referendum del 1987. La società, nata nel 1999, ha 700 dipendenti. “Carlo Jean è stato dotato (secondo quanto scrive Sabrina Deligia in un articolo pubblicato su “Liberazione” il 13 giugno 2003) di poteri speciali dal Governo per trovare una equa soluzione tra imprese e militari per il caso rifiuti radioattivi. Poteri comparabili a quelli che si esercitano durante lo stato di guerra. Il generale infatti, su propria insindacabile decisione, può derogare a ben ventuno tra leggi, decreti ministeriali, circolari e contratti
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va destinazione d’uso, scatenando immediatamente la rivolta sull’isola. Poi, la scelta è caduta sulle cave di salgemma di Scanzano jonico. Jean, tra le altre cose, per gli appalti di messa in sicurezza dei siti sceglie il metodo di “affidamento diretto - si legge nell’ordinanza - delle attività a soggetti in possesso dei necessari requisiti tecnico-professionali, con preferenza tra quelli che sono risultati già aggiudicatari in Sogin spa di attività analoghe, previa approvazione del commissario delegato”. (G. S.)
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di lavoro. Jean è libero di violare norme di tutela dell’ambiente, di controllo delle acque, di licenze edilizie e di trasporto su strada, in mare e in ferrovia dei rifiuti pericolosi”. Quando la Sogin è stata incaricata di individuare un “deposito unico nazionale” a prova di terremoti e di attacchi terroristici, il generale Carlo Jean ha immediatamente pensato subito alle miniere abbandonate del Sulcis, dell’Iglesiente, del Sassarese ed ai poligoni di tiro di Quirra, Perdasdefogu, Capo Teulada, che attendono una nuo-
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Chi è Carlo Jean Nato a Mondovì il 12 ottobre 1936, laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Torino nel 1960. Docente di Studi strategici presso la Facoltà di Scienze Politiche della Luiss di Roma. Ha frequentato l’Accademia Militare di Modena dal 1953 al 1955 e la Scuola di Applicazione di Torino dal 1955 al 1957. Ha frequentato la Scuola Superiore di Guerra italiana e francese e la XXXIV Sessione del Centro Alti Studi per la Difesa.
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Ha comandato il gruppo tattico “Susa”, componente italiana della Forza Mobile Nato, ed ha prestato servizio nelle Brigate Alpine “Julia”, “Taurinense”, “Orobica”. Ha comandato la Brigata Alpina “Cadore”. Nell’attività di Stato Maggiore ha prestato servizio quale Capo Ufficio Pianificazione Finanziaria e Bilancio dello Stato Maggiore Esercito e Capo del IV Reparto dello Stato Maggiore della Difesa. Dal 1988 al 1990 è stato Direttore del Centro Militare di Studi Strategici. Dal settembre 1990 al maggio 1992 è stato Consigliere Militare del Presidente della Repubblica.
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Fa parte del Consiglio Scientifico di “Limes”, rivista di geopolitica italiana, da gennaio 1998 ed è membro del Comitato Scientifico della Confindustria. È insignito della onorificenza di Cavaliere di Gran Croce O.M.R.I. Il 9 luglio 1998 è stato insignito dall’Unesco della Medaglia d’oro di Gandhi in riconoscimento del suo operato in favore della prevenzione dei conflitti nell’ambito della Cultura della Pace. Dal 12 gennaio 1994 al 30 settembre 1997 è stato Presidente del Centro Alti Studi per la Difesa. Dal 1°ottobre 1997 è Rappresentante Personale del Presidente in Esercizio
dell’Ocse per l’attuazione degli Accordi di pace di Dayton. Ha pubblicato: Guerre Stellari: società ed economia nel cyberspazio, in collaborazione con il Prof. Tremonti, Angeli 2000; Guerra, strategia e sicurezza, Laterza, 1997. (G. S.)
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Terzo Cavone: non è un deposito integro Il condizionamento della tettonica recente nella valle del Cavone sulla circolazione dei fluidi nel sottosuolo e la possibilità di localizzazione di un deposito di rifiuti radioattivi INFORMATION FROM THE VARIOUS BRANCHES OF THE EAR TH SCIENCES HAVE CONTRIBUTED TO DETERMINE A MODEL OF THE RECENT GEOLOGICAL EVOLUTION OF THE TERRITORY, WHICH IS THE REAL MEANS FOR THE EVALUATION AND DESCRIPTION OF A SITE . THIS IS WHAT PROF. GIUSEPPE SPILOTRO, WHO HOLDS THE CHAIR OF APPLIED GEOLOGY AND APPLIED HYDRO-GEOLOGY AT THE ENGINEERING DEPAR TMENT OF THE UNIVERSITY OF BASILICATA, STATES. PROF. SPILOTRO QUESTIONS THE FACT THAT THE SITE OF
SCANZANO JONICO MAY BE
CONSIDERED SUITABLE FOR THE LOCALISATION OF A DEPOSIT OF RADIOACTIVE WASTE . HE BASES HIS OBJECTION ON THE EVIDENCE OF MORPHOLOGICAL DATA, PROFUNDITY DATA AND DATA DEALING WITH THE MACRO-STRUCTURES OF THE CLAYS. ACTUALLY, THE UNUSUAL SALINISATION OF THE WATER-BEARING STRATA OF THE AREA, APPARENTLY NOT DUE TO SEA WATER INTRUSION, MIGHT WELL BE LINKED TO ALREADY OCCURRING OR IN COURSE PROCESSES OF FLUID MIGRATION FROM THE DEEPEST LAYERS.
GIUSEPPE SPILOTRO Università della Basilicata - DISGG Laboratorio di Idrogeologia Applicata 14
La revisione del decreto con il quale veniva individuato nel territorio di Scanzano Ionico il sito per la realizzazione del deposito nazionale unico delle scorie radioattive non può che essere accolto con sollievo e soddisfazione anche nel mondo scientifico, per la disponibilità del Governo a reimpostare il problema sulla base di approfondite verifiche conoscitive. Si tratta di una scelta obbligata, in quanto la delicatezza del problema non permette approcci emotivi o di altro genere. Al fine di contribuire a cancellare effettivamente e in modo definitivo Scanzano Ionico da qualunque lista di siti per depositi di scorie radioattive, vale la pena fornire un ulteriore contributo al dibattito sviluppatosi in questi giorni. Lo si vuol fare sulla base di ricerche sulla idrogeologia, sull’evoluzione della costa, sulla franosità, sul comportamento dei materiali naturali, in relazione a problematiche specifiche condotte dal Laboratorio di Idrogeologia Applicata dell’Università della Basilicata (LabIA), in gran parte finanziate dalla Regione Basilicata. Recentissimi sono la pubblicazione dello studio sulle variazioni della linea di costa ionica negli ultimi 50 anni e la
presentazione, in un workshop a Messina, del profilo di erosione del basamento di argille sulla stessa costa che fornisce informazioni sulla sua evoluzione altimetrica negli ultimi 18.000 anni. I risultati, sotto questo punto di vista rientrano nella normalità: in questo momento, nella zona, l’unica componente attiva del sollevamento relativo mare terra è dell’ordine di grandezza di quella glacioeustatica (1-2 mm / anno), che ha limite superiore in 60 m . Ma quando il mare sarà salito di 60 m, saremo in molti ad avere altri tipi di problemi. Molto più condizionante è invece la storia tettonica della valle del Cavone, che rivela gli effetti di una distensione pleistocenica citata più volte nella letteratura geologica e che porta ad una rilettura critica degli stessi dati SOGIN in un modello generale dell’evoluzione tardo pleistocenica e recente della zona. Quand’anche tale evoluzione oggi fosse sopita, essa ha lasciato segni irreversibili nei terreni interessati. In primo luogo, il deposito di salgemma di Scanzano Ionico risulta frammentato in verticale ed in orizzontale con interposizione di argille grigie in assetto fortemente disturbato (scaglietta-
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BASILICATA te): non si tratta di un deposito integro chiuso da una regolare sedimentazione argillosa, situazione obbiettivamente tranquillizzante. Perforazioni per ricerca di idrocarburi segnalano a una decina di km nella stessa valle del Cavone terreni del pleistocene alla stessa quota dei depositi di salgemma. L’intera congiungente i due punti (ed un’ampia zona circostante) è costellata da evidenze di una tettonica che ha fatto a pezzi le argille azzurre plio-pleistoceniche, ruotandone ampie zolle con i sovrapposti terrazzi marini, portando in affioramento terreni molto più antichi, come a Craco e a Tempa Petrolla e in tanti altri punti, sconvolgendo la rete idrografica. Il deposito di salgemma potrebbe essersi messo in posto per diapirismo o per migrazione di brine in tempi più recenti di quelli ipotizzati (il complesso dei dati in merito non è a disposizione della comunità scientifica); sicuramente si è annidato, non a caso, in una frattura tettonica e, in ogni caso, non è sigillato da argille intatte. In nessun punto della fossa bradanica le argille azzurre sono intatte, cioè prive di discontinuità. Per tal motivo, l’abbinamento implicito delle argille azzurre al concetto di impermeabilità è palesemente arbitrario. Solo alla scala centimetrica o decimetrica è possibile prelevare un campione di argilla intatta. Molte opere in sotterraneo nelle argille azzurre, che sono il terreno che chiude i depositi di salgemma, hanno avuto problemi seri a causa degli effetti conseguenti alla circolazione idrica sotterranea nell’ammasso argilloso. Più in superficie i fenomeni di circolazione dell’acqua negli ammassi argillosi sono ancora più frequenti e danno luogo a fenomenologie spettacolari, quali i fori da pseudocarsismo, visibili ovunque, ma in particolare salendo per la SS Sinnica in destra, sul raccordo Pisticci - Basentana, sul raccordo Grassano – Basentana. Supponendo di poter quantificare la permeabilità di un ammasso argilloso di tal genere, cioè interessato da fratture e discontinuità di ogni tipo, la possibile migrazione di fluidi ed il trasporto di inquinanti non possono essere tuttavia valutati con modelli convenzionali, per quanto aggiornatissimi. Un deposito di scorie radioattive induce stress termi-
ci rilevanti, che possono modificare la struttura delle argille, le caratteristiche fisiche dei fluidi sotterranei ed interstiziali e in modo sostanziale le interazioni dei fluidi (liquidi e gassosi) con la matrice solida. Non sono molti gli esperti in questo campo. C’è infine un aspetto, che potrebbe risultare il più rilevante. Gli studi recenti del LabIA sull’idrogeologia della piana costiera ionica, riconoscono in quest’area ben sette cause diverse di salinizzazione delle acque sotterranee. Ma nella fascia della valle del Cavone la salinità è assolutamente anomala e non si tratta di intrusione marina. Le ragioni della salinizzazione delle acque sotterranee nella piana costiera ionica sono ben discriminabili sulla base delle indagini geochimiche, e solo in pochi casi sono riconducibili all’intrusione marina, cioè al richiamo di acqua di mare. Nel caso della piana del Cavone, anche in prossimità dei pozzi nel giacimento di salgemma, la salinità rilevata in pozzi di profondità fino a 100 m circa è da 5 a 50 volte superiore a quella presente in altri punti della piana costiera e il rilascio da depositi evaporitici è stata l’ipotesi già sostenuta in un lavoro presentato nel 2002 in un convegno internazionale sull’intrusione salina. Se gli studi in corso daranno consistenza statistica ai risultati già ottenuti, sarà veramente difficile inserire nuovamente Scanzano Ionico in una lista.
NELLA PAGINA A FRONTE: BASCULAMENTO TETTONICO DI UN TERRAZZO MARINO PLEISTOCENICO IN SPONDA DESTRA DEL FIUME CAVONE IN PROSSIMITÀ DI MONTALBANO JONICO IN ALTO: ARGILLE AZZURRE FRANTUMATE DA STRESS TETTONICI. IN ALTO A SINISTRA È VISIBILE UNA SUPERFICIE CON PATINE DI OSSIDI DI MANGANESE, RILASCIATE DA UNA ANTICA CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA SU UNA FRATTURA SUBVERTICALE QUASI PARALLELA AL PIANO DELLA PAGINA. LE PATINE, A LORO VOLTA, SONO SEGNATE DA STRIATURE DA SFORSI DI TAGLIO DI UNA TETTONICA POSTERIORE A QUELLA CHE HA ORIGINATO IL PRIMO PATTERN DI FESSURAZIONE
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Nitti, lo statista, l’uomo Francesco Saverio Nitti, renowned historian and statesman of Basilicata, was commemorated with many national and international activities on the fiftieth anniversary of his death. From his debut as a journalist up to the years of his fervent political engagement, the most important steps of his career were traced back during a meeting in Paris with President Bubbico. The purpose of this meeting was to point out the prophetic aspect of Nitti’s works.
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ARCHIVIO FONDAZIONE EINAUDI DI TORINO
Francesco Saverio Nitti studioso ed uomo politico di grande spicco. Collaborò giovanissimo ai giornali I1 Corriere di Napoli, alla Gazzetta Piemontese, al Resto del Carlino, e presso il nuovo giornale di Scarfoglio e Serao, Il Mattino. Esperienze giornalistiche vissute tutte con eguale passione ed impegno. Riconoscibilissimo lo stile. Accanto all’estrema chiarezza l’ironia ed il sarcasmo recitano ruoli da protagonisti in articoli, non a caso, firmati con lo pseudonimo: Tristram Shandy, il gentiluomo del settecentesco romanzo satirico di Sterne. A soli vent’anni pubblicò il saggio L’emigrazione italiana e i suoi avversari. Con l’ausilio delle scienze sociali, soprattutto economia politica e statistica, il giovane lucano affrontò il tema dell’emigrazione, mettendo in discussione un Disegno di Legge crispino che, ritenendo dannosa l’emigrazione, intendeva limitarla. Sotto la chiara influenza culturale e politica di Giustino Fortunato, Nitti lanciò, da quelle che sarebbero diventate pagine preziose per lo studio del fenomeno, la tesi di una positività dell’emigrazione, in quanto fattore di trasformazione e di miglioramento delle condizioni di vita di contadini ed artigiani costretti dalla miseria ad abbandonare il proprio paese, e spia di moderno spirito d’intraprendenza, segno di civiltà in espansione, seppure tra grandi sofferenze. Tra le altre pubblicazioni sono da ricordare Il socialismo cattolico, Nord e Sud, Il partito radicale e la nuova democrazia industriale. Docente universitario, deputato dal 1904 e ministro, Nitti divenne presidente del Consiglio nel delicato perio-
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IN ALTO: LA MISSIONE DI NITTI NEGLI USA NEL 1917
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BASILICATA do postbellico e dovette affrontare la gestione dei trattati di pace, il disavanzo finanziario, le for ti agitazioni sociali e l’insorgente regime dittatoriale. Antifascista, in esilio dal 1924, tornò in Italia nel 1945, fondando l’Unione Democratica Nazionale. A cinquant’anni dalla sua scomparsa la Regione Basilicata ha promosso una serie di iniziative. Diverse manifestazioni svolte tra Roma, Parigi e Melfi sua città natale, organizzate non soltanto con il fine di celebrare il grande statista lucano, ma quasi per tentare una sorta di riconciliazione con la sua terra. Attraverso un viaggio tra i luoghi che lo hanno visto protagonista, l’ufficio Immagine della Giunta Regionale, ha ricostruito le tappe della sua carriera, del suo modo di concepire la politica, del suo impegno speso per la soluzione delle questioni che attanagliavano il sud d’Italia. Una giornata di studio si è tenuta a Roma, dove ricoprì importanti incarichi di governo, una tavola rotonda è stata organizzata a Parigi, dove consumò la drammatica esperienza dell’esilio, ed un incontro conclusivo si terrà nel mese di gennaio a Melfi, dove il giovane Nitti visse - come lui stesso ha scritto - un’esistenza difficile e modesta, in dignitosa povertà. Strappare questo eminente personaggio, gigantesco quanto solitario, a quel destino di estraniazione che lo ha perseguitato in vita e, ancor più, dopo la morte, l’ambizione della Regione Basilicata, più volte ribadita dal Presidente Bubbico nel convegno recentemente tenutosi all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Nella capitale francese, davanti ad un pubblico attento, il governatore lucano ha parlato della volontà di “incorporare più intensamente la lezione nittiana, come stile di pensiero e metodo di lavoro, nella coscienza del Mezzogiorno d’Italia, che comincia a liberarsi dei suoi impacci e dei suoi ritardi guardando all’orizzonte dell’Europa”. Nella città d’oltralpe, si è ancor meglio definito quel processo di identificazione collettiva della figura nittiana. Un progetto che tende ad innalzare Nitti a ispiratore e profeta della nostra storia più recente, del ciclo di modernizzazione accelerata che il Mezzogiorno sta vivendo e, che per Bubbico “non deve essere interpretato come esercitazione revisionistica della storiografia, assoggettandola a schemi interpretativi deformanti e tradendo, per l’ennesima volta, il significato del suo irriducibile criticismo, della sua ostilità ad ogni populismo, della sua convinzione che tra democrazia industriale ed efficienza dello Stato, non solo non vi fosse contrapposizione, ma addirittura complementarità necessaria”. Un pensiero attuale e moderno, quello nittiano, illustrato dallo storico Raffaele Giuralongo, presidente della Deputazione Storia Patria per la Basilicata e del Comitato Regionale per il cinquantenario della morte di Francesco Saverio Nitti. Giuralongo si è soffermato sulle capacità di questo grande protagonista della storia italiana del Novecento, “che nell’attività politica e di governo aveva impresso una sua precisa visione delle riforme, che, fondata su solide basi teoriche, fosse in grado di incidere sulla vita nazionale e sulle strutture pubbliche, per renderle più adeguate ad una società capitalista moderna e per introdurre, anche in Italia, una più giusta politica del lavoro, che partiva dal pieno riconoscimento delle organizzazioni sindacali e del contributo dei lavoratori allo sviluppo complessivo dell’Italia”. Un uomo dalle straordinarie capacità di analisi ed intuizione,
assertore delle azioni di governo volte ad almeno attenuare e, comunque, a combattere il disagio sociale anche al fine di evitare tensioni e tentazioni rivoluzionarie che considerava inutili e dannose, e poi un docente ricordato, ancor oggi, per chiarezza espositiva, comunicativa immediata e capacità di convinzione, ma anche un padre e marito attento, pronto a mantenere il padre, la madre e le tre sorelle. Ed è proprio su questi aspetti più intimi che si è soffermato Joseph Nitti, nipote di terza generazione di Francesco Saverio Nitti. Facendo appello alla memoria, a ricordi e testimonianze, Joseph ha tratteggiato con poche linee essenziali un Nitti ‘più umano’. “Un uomo legato a valori profondi e ideali alti che venivano da lontano (da un “padre morto dopo una lunga vita di lavoro”) e che ne hanno visibilmente orientato il pensiero e la condotta. Principi che traevano forza dalle radici di una famiglia di quel Sud di cui Nitti, grande italiano, grande lucano, grande meridionalista, si fece sempre difensore e portavoce”. Dispensatore di teorie basate sull’apertura ai bisogni dei ceti meno agiati della società, Nitti - ha ricordato Joseph - s’impose come un liberale e democratico intelligentemente aperto ai bisogni dei ceti meno agiati della società nazionale. Un’azione politica, quella dello statista melfitano, vissuta, sempre, con un fervore e una convinzione cui non abdicò neanche negli anni più difficili, quelli vissuti in esilio. Gli anni trascorsi a Parigi furono difficili, controversi, ma furono anche gli anni della maturità e delle riflessioni. A pochi mesi dal suo arrivo nella capitale francese si trovò a visitare in ospedale Piero Gobetti e Giovanni Amendola, due grandi promesse della cultura italiana, due combattenti per la democrazia che i fascisti avevano ridotto in fin di vita. Sono gli anni in cui si rafforzarono i rapporti con le grandi correnti del pensiero economico europeo ed americano. Un periodo non documentabile poiché tutte le agende e le lettere “più compromettenti” furono distrutte su disposizione dello stesso Nitti dal figlio Federico. Registri, agende, ed interi pacchi di lettere furono bruciate presso l’Institut Pasteur: in qualche ora di tutta quella grossa massa di carte, che racchiudeva tanta parte di quella che era stata la mia attività all’estero e carte interessanti portate dall’Italia, non in gran numero, ma non senza importanza non rimase più nulla: tutto fu ridotto in cenere nei forni dell’Istituto. Da statista liberale in aspettativa, è così che amava definirsi, più che partecipare ai contrasti che continuarono a dividere i diversi raggruppamenti antifascisti, preferì approfondire i rapporti con l’ambiente politico e diplomatico che operava nella capitale francese: sono di questi anni le amicizie con Herriot, Briand, Painlevé, Caillaux. Venti lunghi anni spesi nella speranza di: poter esercitare un’azione sopra tutto di ordine intellettuale e morale non solo contro il fascismo italiano, ma contro tutti i movimenti totalitari rivoluzionari e reazionari. Una lunga ed intensa attività vissuta in nome della pace e della democrazia. E proprio alla democrazia dedicò una delle sue opere più intense ed appassionate, forse il suo capolavoro, che ora la Regione Basilicata ha voluto ripubblicare, seguendo l’edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti, uscite a suo tempo per il tipi della Laterza. 19
documenti NONE OF THE CORRESPONDENCE OF NITTI DURING HIS EXILE HAS BEEN PRESERVED. WE STILL HAVE ONLY FEW LETTERS FROM ITALY. AMONG THE MOST REMARKABLE ONES, CHRISTOPHER MAGISTRO, TEACHER OF LITERATURE AT THE PERMANENT TERRITORIAL CENTRE PROVETTI OF TURIN, MENTIONS SOME LETTERS FOR THE KING (WHICH HAD NO REPLY) AND A MESSAGE FOR MUSSOLINI, ASKING HIM NOT TO JOIN HITLER IN THE WAR.A BOUT 400 LETTERS WERE ADDRESSED TO HIS RELATIVES. THEY ARE VERY CONCISE (DUE TO FASCIST CENSURE) BUT FULL OF ANGUISH FOR THE LOSS OF HIS BELOVED SONS, FOR HIS OVER NINETY - YEAR - OLD MOTHER AND FOR HIS WIDOWED SISTERS. IN APRIL 1943, AS HE WROTE TO VITO REALE, NITTI FELT HIS NOSTOS ( RETURN) GETTING CLOSER, AND HIS PAIN GETTING MELTED INTO AN UNGOVERNABLE FIGHT FOR THE DEMOCRACY IN ITALY.
UN PROGETTO NITTIANO, LA BANCA PER GLI EMIGRATI ITALIANI Tutto sommato si vive, ma non crediate che questa sia l’America, scriveva con involontaria ironia un emigrato in Brasile sul finire dell’ottocento. Questa affermazione riportata da Nitti nel saggio La nuova fase dell’emigrazione italiana pubblicato nel 1896 - un aggiornamento quasi de L’emigrazione e i suoi avversari di otto anni prima - è una testimonianza tutt’altro che isolata delle amarezze cui andarono incontro molti emigrati. Il fenomeno non aveva ancora assunto il carattere di esodo del decennio successivo (con la punta raggiunta nel 1913 di 870.000 partenze), ma già allora, notava Nitti, per ogni dodici italiani residenti in patria ve n’era uno in America. E l’America reale spesso somigliava poco a quella sognata perché i pericoli e le insidie per gli emigranti non finivano mai. Non per i serpenti bovi, gli insetti vampiri o altri fantastici animali con cui certa pubblicistica antiemigrazionista cercava di dissuadere i partenti, ma per le speculazioni e le truffe cui gli emigrati erano esposti in ogni fase della loro esperienza. E già molti vedevano svanire i loro risparmi affidati al compare, come venivano chiamati gli 20
improvvisati banchieri che, dopo aver fatto incetta fra i paesani del denaro che questi volevano spedire in Italia, scomparivano o dichiaravano fallimento. Dalla costante attenzione al mondo dell’emigrazione e dal desiderio di tutelarne gli interessi, ma anche un giusto profitto - secondo quell’etica protestante che non vedeva nel successo economico l’ombra del diavolo - nasceva nel 1896 il progetto nittiano di Banca per gli emigrati d’Italia, un’impresa privata che convinse anche personaggi come Alberto Albertini, il futuro direttore del Corriere della Sera, ad aderirvi. Il Ministero del Tesoro cui fu sottoposto non lesinò lodi e apprezzamenti all’ideatore del progetto, ma nel dicembre dell’anno successivo Luigi Luzzatti, che del ministero era titolare, presentò una sua proposta “per la tutela delle rimesse degli emigrati nelle due Americhe” che riprendeva pari pari l’idea di Nitti ma affidava la raccolta e la spedizione dei risparmi degli emigranti al Banco di Napoli.
LETTERE DALL’ESILIO Fra gli oltre 7000 documenti dell’archivio Nitti che la famiglia affidò alla Fondazione Einaudi di Torino subito dopo la scomparsa del congiunto, ben pochi si riferiscono ai lunghi anni dell’esilio - prima in Svizzera e poi in Francia - dello statista lucano. Ed è facile comprenderne i motivi. Dopo la partenza dall’Italia, avvenuta il 4 giugno del 1924, Nitti troncò i rapporti con quasi tutti i suoi antichi corrispondenti e seguaci. Per non compromettere col fascismo chi ne era rimasto fuori e, ancor più, chi era già salito sul carro del vincitore. E per non creare meriti a quanti, specie in Basilicata, avevano fatto dell’antinittismo e della caccia alle “trafile” della corrispondenza di Nitti il loro maggiore titolo di nobiltà fascista. Per lo meno fino a quando l’arrivo a Potenza - nel luglio del 1928 - del prefetto Ottavio Dinale, un professore vicentino amico personale di Mussolini, non liquidò definitivamente il conflitto fra l’anima ministeriale (Francesco D’Alessio) e quella combattentistica (Nicola Sansanelli) del fascismo lucano. Nitti, com’è noto, distrusse anche le carte accumulate negli anni dell’esilio quando Parigi fu invasa dalle truppe naziste, cosicché ciò che
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rimane di quegli anni è ben poca cosa. Fra le lettere dall’esilio a personalità politiche risaltano le due lettere al re e il messaggio a Mussolini sulla posizione dell’Italia nel conflitto apertosi con l’invasione nazista della Polonia. Di un certo interesse, malgrado l’autocensura che Nitti si imponeva, è anche la corrispondenza (circa 400 lettere) con le sorelle Anita ed Eleonora, la madre Filomena Coraggio, il cognato Gioacchino Li Greci. Vi si parla di necessità pratiche - Nitti manterrà la madre novantenne e le sorelle rimaste vedove in tutti questi anni -, della morte dei figli Vincenzo e Luigia che ha lasciato due figli piccoli, della villa di Acquafredda che i fascisti vorrebbero espropriare. Le lettere che parlano delle sventure famigliari sono scritte con una grafia di difficile interpretazione, l’inconsolabile dolore che ne emerge è di strenuo laicismo.
LETTERA A VITO REALE Nell’aprile del ’43, vent’anni dopo la sua partenza dall’Italia, Nitti scrive a Vito Reale, uno dei pochi suoi seguaci di Basilicata che non sia sceso a patti col fascismo, una lunga lettera. I motivi del lungo silenzio sono presto detti: Se non vi ho scritto prima e se ho evitato di scrivere a voi e agli amici, è perché non desidero che alcuno abbia per causa mia molestia. La mia discrezione non deve essere interpretata come dimenticanza o indifferenza. Io ricordo con la stessa affezione tutti quelli che hanno avuto amicizia per me e per cui ho avuto amicizia. D’altronde è questa stessa una lettera semi-pubblica in quanto Nitti stesso chiede all’amico di mostrarla alle autorità fasciste. E’ dettata dal bisogno di trovare un successore al colono e guardiano della villa di Acquafredda presso Maratea, ma diventa l’occasione per rendere in qualche modo partecipe l’amico di un indefinito stato d’animo di attesa della fine del lungo esilio. La villa s’era rivelata costosa e poco abitabile, un incubo messo su “da un architetto pazzo e purtroppo da una serie di ladri”.Quando fu costruita lui non aveva potuto occuparsene, lavorava intensamente e aveva “la mente altrove”. Sappiamo da altre fonti che la sua supervisione fu inutilmente affidata al sognante senatore Giuseppe De Lorenzo, geografo e cultore di un buddismo che
lo aiuterà a passare senza traumi al fascismo già nel ‘23. Dagli avversari di Nitti la villa era stata vissuta come un’esibizione, un affronto, una collettiva ossessione gaddiana, la prova provata delle ricchezze sardanapalesche da lui accumulate con l’attività politica. Nella fantasia di qualche fascista diventerà la grotta di Alì Babà da espugnare, tanto che furtarelli patriottici si susseguono con una certa frequenza, malgrado l’assidua vigilanza del colono marchigiano Luigi Marchetti. Per Nitti, la villa è stato un alto prezzo pagato al bisogno di un buon ritiro per meditare e scrivere nelle pause di un’attività politica che il fascismo ha interrotto due anni dopo la sua inaugurazione. “È stata sempre passiva e ragione di grandi noie”, ma al momento in cui scrive ha ripreso forza in lui la speranza di potervi passare in solitudine gli ultimi anni della vecchiaia. E soprattutto: […]ad Acquafredda io ho fatto riunire tutto ciò che avevo a Napoli e in parte a Roma, mobili, libri, oggetti che son ricordi personali, qualche statua. Mi interessano soprattutto i libri, un gran numero di libri e di opuscoli raccolti in tanti anni pazientemente. Ma vi sono, ricordo per me prezioso, i libri e i mobili di mio figlio Vincenzo, i libri di mia figlia Luigia, i due figli morti, sempre presenti a me e al mio spirito. Non vorrei che le cose che furono loro andassero disperse ed è soprattutto di queste cose che mi preoccupo.[…] Alcuni furti sono in passato avvenuti, ma rimane tutto nel complesso ancora intatto. Altri furti veri o simulati non devono avvenire. […]Troppe cose sono avvenute che non mi sono piaciute e ciò che rimane non deve essere demanio pubblico. Gli assenti han sempre torto ma ciò non deve essere pretesto di rapina o dilapidazione. La lettera si conclude con il ricordo dei figli perduti che erano il suo “orgoglio”, ma anche con la riaffermazione e rivendicazione di una straordinaria attitudine da lottatore pronto a rituffarsi nella mischia: Io sono una vecchia e solida quercia che il fulmine ha colpito, ma non sradicato e sono ancora vivente nel corpo e nello spirito e animato dalla stessa energia morale e dalla stessa invincibile fede e dalla stessa immutevole serenità. Dolente ma sereno, io vedo tutte le cose con lo stesso senso di equilibrio che mi ha sempre guidato. (a cura di Cristoforo Magistro) 21
Nitti, l’esule Luigi Mascilli Migliorini, teacher of Storia delle Istituzioni Politiche (History of Political Institutes) at Naples University, describes the condition of Francesco Saverio Nitti as “ an exiled Prime Minister” during the years of Fascism. On the one hand, the confinement was painful and harassing, on the other hand, it strengthened the antifascist ideology of this remarkable representative of the national and regional history.
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Nella storia dell’emigrazione politica italiana durante il ventennio fascista il caso di Francesco Saverio Nitti si presenta con caratteri di assoluta e complessa originalità. Unico presidente del consiglio dell’Italia liberale ad aver scelto la via dell’esilio - come egli stesso amava sottolineare con una non nascosta vena critica nei confronti di chi non aveva avuto la sua stessa forza e non aveva compiuto la sua stessa scelta - Nitti finì con l’improntare fortemente di questa singolare condizione la sua lunga esperienza di esule in Svizzera prima, a Parigi poi. Le rilevanti responsabilità di governo avute nel passato, giunte - appunto - fino alla massima carica pubblica, spingevano Nitti a non mescolarsi più di tanto nella vivace ma anche contraddittoria vita dell’antifascismo italiano all’estero. Lo ricorda bene Giorgio Amendola nei suoi ricordi di quegli anni parigini, notando come ci fosse costantemente in Nitti un distacco che era politico, generazionale e per dir così “istituzionale” al tempo stesso, rispetto a quanto veniva faticosamente maturando in quella realtà. La condizione di presidente del consiglio in esilio era, peraltro, vissuta da Nitti nel senso quasi letterale dell’espressione; nel senso, cioè, di immaginarsi come l’uomo che avrebbe dovuto inevitabilmente assumere le redini del governo nel momento in cui (e l’attesa, credeva, non sarebbe stata lunga) la dittatura sarebbe crollata per le sue interne contraddizioni e debolezze restituendo l’Italia alla sua precedente vita parlamentare democratica. Accade così che egli preferisca rafforzare e arricchire le importanti relazioni coltivate da tempo con intellettuali riformatori di qua e di là dell’Atlantico, sostituendo, dunque, questa fitta rete di contatti umani, di scambi di idee alla organizzazione di una specifica attività antifascista in esilio. Quello che sotto certi aspetti e per alcuni può rappresentare un limite tende, allora, a trasformarsi in un vantaggio, o, almeno, in un carattere - come si diceva - del tutto originale del suo esulato. Francesco Saverio Nitti riesce, infatti, grazie al punto di osservazione internazionale che da Parigi egli conquista e coltiva,
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a dare uno spessore di significato alla propria personale vicenda e, soprattutto, alla vicenda storica dell’Italia del suo tempo, quale difficilmente si ritrova in altre, pur significative figure del nostro antifascismo. Questo accade in modo più evidente nel corso degli anni Trenta, quando le speranze di una rapida caduta del fascismo si rivelano di giorno in giorno più fragili e la stabilizzazione del regime, unita poi all’ascesa del nazismo in Germania, obbliga ad una riflessione larga negli orizzonti e profonda nell’analisi dei processi storici in grado di spiegare la crisi generalizzata degli ordinamenti liberali e l’affermazione delle dittature. Nascono da qui i grandi testi europei di Nitti (particolarmente La disgregazione dell’Europa che è del 1937): testi densi e fitti che rileggono la crisi della civiltà europea attraverso le drammatiche scansioni che stanno per maturare il prevedibile, tragico epilogo. Crisi della civiltà europea che è, in Nitti, anche e soprattutto crisi dei suoi protagonisti e dei suoi interpreti e, dunque, in primo luogo crisi di quella grande borghesia liberale che quasi ovunque in Europa non ha saputo riconvertire la sua egemonia ottocentesca nella sintassi obbligata del nuovo secolo - il Novecento- delle masse e della democrazia. Non vi è dubbio che a far maturare le convinzioni di Nitti su questo tema cruciale contribuisca in maniera decisiva la sua conoscenza profonda della realtà economica, sociale e politica americana, una conoscenza, per dir così, antica, non im-
provvisata, che gli consente di comprendere bene il valore della Grande Crisi del 1929 e le sue conseguenze di breve e di lunga durata. L’accanito sostenitore della democrazia economica (tale era stato Nitti negli anni della sua battaglia politica e di ciò, peraltro, aveva nutrito il proprio innovatore meridionalismo) si veniva a trovare, in fondo, a suo agio accanto a uomini come Keynes e a quanti come lui vedevano nella crisi del 1929 l’inevitabile conclusione di un sistema di capitalismo liberale classico il cui indispensabile rinnovamento non poteva non passare attraverso un allargamento delle basi economiche e politiche della struttura sociale. Occasione preziosa da cogliere nella direzione di una democratizzazione del sistema produttivo e delle istituzioni, la Grande Depressione degli anni Trenta rischia, tuttavia, di tradursi in Europa, a causa di una incapacità di governo delle tradizionali forze della borghesia continentale, nel suo esatto opposto. L’angoscia del Nitti esule nello scorcio del decennio Trenta è tutta qui, nell’aver colto con la sua consueta lucidità i termini esatti delle dinamiche storiche che si stavano dipanando sotto i suoi occhi, delle soluzioni possibili se non addirittura obbligate, ma anche della compresenza in quel medesimo scenario delle forze e delle ragioni che avrebbero assai probabilmente impedito a quelle soluzioni di attuarsi senza doversi prima misurare con una nuova, immane tragedia. Non molti intellettuali europei (verrebbe, solo, alla rinfusa la tentazione di citare Benedetto Croce, Sigmund Freud, Thomas Mann) offrono alla vigilia della guerra mondiale pagine così drammaticamente eloquenti come quelle che Francesco Saverio Nitti scrive in una Parigi trasformatasi allora, per un bizzarro sviluppo di destini, da capitale dell’Europa ad ultimo, disperato avamposto di una civiltà minacciata di estinzione, al punto che l’emigrato che vi aveva trovato e conosciuto un sia pur dolente rifugio alle sue sofferenze, dovrà, come si sa, allontanarsene presto per intraprendere un ulteriore, e ancor più penoso percorso di esilio. 23
INTERVISTA A PATRIZIA NITTI, NIPOTE DEL GRANDE STATISTA LUCANO
ARCHIVIO FONDAZIONE EINAUDI DI TORINO
Quella villa di Maratea Basing on the tales of uncles and cousins, Patrizia Nitti, nephew of the statesman, discloses her grandfather’s less known features. She describes him first of all as a man, who was determined and stubborn despite the experience of the unfair exile, which left its mark on him. It is worth remembering this man who had a liberal and open-minded attitude towards the lower classes, and was also a careful father and husband, a solicitous son and brother.
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Ho sofferto tutti i dolori e tutte le amarezze, ho accettato tutti i sacriďŹ ci, rinunziando alla calma e alla prosperitĂ , ho subito l’esilio, ho perduto i due migliori ďŹ gli ed ora son qui prigioniero. E tutto ciò sempre per aver seguito una linea diritta e aver detto la veritĂ e aver sacriďŹ cato me stesso piuttosto che la mia coscienza e le mie idee. Non mi pento di ciò che ho fatto e forse, se dovessi ricominciare, farei lo stesso cammino[‌]Niente lenirĂ il mio dolore. Ho compiuto con sforzo un adattamento alla vita, mia moglie ed io viviamo nel nostro dolore e la nostra vita non ha piĂš luce[‌]. Sono alcuni passi tratti da diverse lettere scritte da Francesco Saverio Nitti quando si trovava in esilio. Frammenti di una vita spesa per il trionfo di alcuni ideali e nel pieno rispetto degli affetti familiari che riprendono forma dai discorsi di Patrizia Nitti, nipote del grande statista lucano. L’abbiamo incontrata a Parigi, dove lavora, e vincendo il naturale riserbo, ha tentato, attraverso i ricordi gelosamente custoditi dal padre Federico e, poi, trasmessi a lei sotto forma di ereditĂ , di svelare l’altra ‘faccia’ di Nitti, quella piĂš intima. Quella del lucano che si struggeva al pensiero della famiglia lontana, sempre pronto ad intervenire per aiutare le sorelle in difďŹ coltĂ e la vecchia madre, del padre severo ma capace di accettare dai ďŹ gli anche scelte che non condivideva. Mio nonno era una persona dotata di notevole prontezza e vivacitĂ , di ingegno e preparazione non comuni che, nonostante le difďŹ coltĂ , ha continuato a lottare per non cedere ai colpi della sventura. Un uomo che affascinava per il suo modo di “sentireâ€? e vivere le idealitĂ , che riusciva a trasmettere l’entusiasmo per un progetto, che viveva il proprio impegno come una missione, pronto, sempre, a “servireâ€? la nazione.
Nitti può essere deďŹ nito un personaggio-uomo a tutto tondo, intellettuale, statista, politico di grande spessore e di grande moralitĂ e, poi, ironico, autoritario, ma anche un uomo sensibile, sempre teso alla percezione della sostanza delle cose e animato da un disprezzo profondo per la mediocritĂ . Una ereditĂ importante e, allo stesso tempo, ‘pesante’. Sicuramente. Mio nonno fu un personaggio quanto mai sfaccettato e complesso, certo una fra le piĂš rappresentative e potenti ďŹ gure del nostro 900. Tutti in famiglia ne siamo stati sempre con-
sapevoli, ma non ce ne siamo mai sentiti ‘condizionati’. Tutto ciò che ha rappresentato è stato ereditato come un prezioso bagaglio di doti e attitudini, come un certo modo di guardare alla realtĂ . Essendo scomparso durante la mia primissima infanzia, afďŹ davo alle parole dei miei zii e cugini e alle foto di famiglia il compito di ‘narrarmi’ i tratti di un nonno che ho sempre immaginato autorevole e capace di grandi gesti. Un uomo d’altri tempi, un nobile d’animo, innamorato della cultura. Sono nata a Parigi dove vivevano i miei genitori e le loro famiglie. Mio padre, Federico, dirigeva la sezione di batteriologia dell’Istituto Pasteur. Al momento dell’attacco fascista alla Francia dette le dimissioni dall’Istituto. Furono respinte e, tempo dopo, uno speciale decreto presidenziale trasformò mio padre e mia madre Giuliana Cianca (ďŹ glia di un altro esule parigino, Alberto, fra i fondatori del “Mondoâ€? e Ministro per la Costituente nell’immediato dopoguerra) in francesi. Sin dall’infanzia avevamo l’abitudine di trascorrere le vacanze in Italia. Soprattutto per coltivare un desiderio di “italianitĂ â€? (ma per la famiglia di mio padre l’Italia signiďŹ cava soprattutto il Sud, da Napoli alla Lucania) che restava comunque vivo e forte in una famiglia che la bufera fascista aveva reso molto cosmopolita. Il ricordo delle estati spensierate trascorse tra Roma, dove risiedevano i nonni paterni e materni, e Maratea mi accompagna ancora oggi. Nella bella cittadina tirrenica eravamo ospitati a “Villa Nittiâ€? da zio Giuseppe, fratello di mio padre, avvocato
A FRONTE: ESTATE A ISCHIA. NITTI CON FEDERICO E VINCENZINO. 1908
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e deputato e da sua moglie Maria Luigia Baldini detta zia “Pimpa”. Lì, abbiamo fatto la scoperta di un mondo totalmente diverso da quello fino ad allora conosciuto. Il tempo scorreva in lunghe giornate di completa pace. La nostra tribù, capeggiata da Gian Paolo, figlio di zia Filomena Nitti Bovet, era formata da tanti cugini che arrivavano da diversi paesi (l’Italia, la Francia, la Svizzera, il sud-America) e nel parlare davano origine ad un bizzarro pot-pourri di lingue. Là apprendevano di avere una radice comune, fatta di colori, profumi e paesaggi di una forte caratterizzazione - quelli della splendida costiera di Maratea - e forse questo li aiutava a capirsi. Chi di noi veniva dai luoghi di villeggiatura francesi, già in pieno consumismo, scopriva là un mondo quasi fermo nel tempo, fatto di semplicità ed essenzialità. La più grande lezione che quel luogo mi ha dato è stata proprio quello riguardante la variabilità della “dimensione tempo”. Il tempo che là passava potevamo “guardarlo in faccia” con la pace di chi non deve correre, né affannarsi a comprare nulla. Era il posto ideale per scambiare parole e valori. Stare nell’equilibrio dell’ambiente, ascoltare la musica, parlare, leggere. Persino telefonare era complicato. Ecco, Maratea mi ha dato una vera educazione all’introspezione. Erano vacanze gioiose. Ognuno aveva il diritto di portare
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un amico o un’amica. La grande casa, governata da una coppia (Pasqua e Antonia) e dai guardiani (Italia e Filippo), tutte persone cui ci legava una grande familiarità, si apriva a tanti ragazzi. La casa era diretta da zia Pimpa. L’ impronta di nonno Nitti e di sua moglie Antonia era forte in quella casa. Ridente fuori per il mare e la splendida natura, era resa austera all’interno da marmi, librerie e statue (ricordo quella di Garibaldi e i busti di famiglia), ma ad ammonirci col massimo di severità pensavano i ritratti di Bismark e Metternich. Ispirati dai loro cipigli militareschi, il corridoio sul quale si affacciavano le camere da letto diventava, la sera, luogo di memorabili battaglie di cuscini. Negli anni della maturità l’esempio del nonno è stato di sostegno nei momenti più difficili. Ho ereditato da lui il gusto per la libertà e per il prezzo che si deve pagare per conquistarla. La mia vita si è costruita tra la Francia e l’Italia. Oggi dirigo il Museo del Luxembourg, ovvero del Senato francese, che essendo stata la “casa” a Parigi di Maria de’Medici sviluppa un programma - di cui mi occupo - centrato sui grandi del Rinascimento. Completamente ‘assorbita’ dall’arte, sono sempre in giro per il mondo e, spesso, in Italia dove torno nei luoghi rilevanti della mia formazione con piacere e nostalgia.
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Suo nonno racconta, in I Briganti, uno scritto del 1899, un aneddoto riguardante la sua terra d’origine: L’anno scorso, in luglio, io ero a Strasburgo […]. E, nella gentile ospitalità della famiglia di uno scienziato tedesco, si discuteva, la sera, della Germania e dell’Italia, dello stato sociale dei due paesi e di scienza e d’arte […]. “Che nome ha la terra in cui siete nato?”, mi domandò una vecchia signora che, nei suoi giovani anni […] era stata nel Mezzogiorno d’Italia. “Sono di Napoli”, risposi. “Proprio di Napoli?”. “No di una terra ancora più meridionale, della Basilicata”. La mia provincia, sopra tutto da quando ha il mare attuale, ha una storia di assai mediocre interesse per la civiltà. Mi accorsi che il nome riusciva nuovo e volli precisare. “È una terra”, io dissi, “molto grande, grande la terza parte del Belgio, grande più del Montenegro: non ha città fiorenti, né industrie. […]. È bagnata da due mari e l’uno e l’altro hanno costiere assai malinconiche; dintorno ha le Puglie, i Principati e le Calabrie”. I nomi di queste terre dovettero produrre una certa impressione; poiché la mia interlocutrice non mi fece quasi finire. “Il vostro”, mi disse, “se è tra la Calabria e le Puglie, deve essere il paese dei briganti”. Oggi la Basilicata, pur sempre piccola per popolazione e territorio, è “cresciuta”, è una regione dinamica e ca-
pace di produrre e valorizzare risorse. Qual è l’immagine che ne ha Lei? Sicuramente quella di una realtà in movimento, la cui popolazione si caratterizza per intraprendenza, forza ed energia. Anche se ho da fare, purtroppo, un piccolo appunto. Sono tornata in vacanze a Maratea e ho constatato un grave declino, direi proprio uno stato di abbandono, di Villa Nitti che era stata ceduta dalla famiglia alla Regione a condizione che si sviluppasse un centro significativo per la cultura o la scienza. Mi dicono che la Regione sta valutando una serie di ipotesi per dare una destinazione al centro. Mi auguro che ciò avvenga. Così come mi auguro che si porti a compimento il ripristino del Centro culturale Nitti a Melfi, per la cui gestione abbiamo impegnato una associazione composta dai rappresentanti della famiglia e delle istituzioni territoriali che ho cercato di avviare a costituzione e che da poco è formalmente istituita, presieduta da mio cugino l’ambasciatore Joseph Nitti. Credo che queste mie radici siano una parte fondante del mio patrimonio culturale. Se proprio dovessi dichiararmi, direi di sentirmi “cittadina europea”, ma dentro questa identità ci sono tanti luoghi, tante memorie, tante persone. E un posto assolutamente significativo, per gli anni irripetibili della mia adolescenza, spetta ad Acquafredda.
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Il problema dell’emigrazione nel discorso del Prefetto della Provincia di Potenza Tiberio Berardi (1868) “Emigration” was the central topic of the Prefect Tiberio Berardi’s speech, delivered during the opening session of the Provincial Council of Basilicata on 13th September 1868. The aim of the Prefect was to underline the first positive effects of his strong battle against “the cruel and ignominious speculation” which involved especially the children.
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COLLEZIONE PRIVATA FAM. ALLIEGRO
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Nella seduta d’apertura della sessione ordinaria del Consiglio Provinciale di Basilicata del 13 settembre 1868 il Prefetto Tiberio Berardi pose al centro del suo sintetico, ma alto e ďŹ ne intervento, il problema dell’emigrazione. Di un’emigrazione, che, a quella data, non solo era giĂ quantitativamente molto ampia, ma stava interessando l’opinione pubblica europea e nazionale per la crudele e vituperevole speculazione che coinvolgeva addirittura i fanciulli, in una provincia rispetto alla quale “talunoâ€? - sottolineò il Prefetto - aveva detto che i ďŹ gli si vendono perchĂŠ manca il pane da sostenerli. E il pane - aggiungeva egli con forza - non poteva cer tamente mancare in una terra come la Basilicata che produceva quasi spontaneamente, ma dove, però, mancavano braccia alla coltivazione delle campagne. E, dunque, (il pane) poteva solo mancare - evidenziava ancora il Prefetto - per que’ padri che preferissero al lavoro l’ozio e la dissipazione.
Dalla piena consapevolezza della por tata e dei riessi del fenomeno emigrazione, il Prefetto Berardi fu, dunque, indotto a por tare il problema al centro dell’allora piĂš alta istituzione - il Consiglio Provinciale appunto - rendendo, tra l’altro, noto d’aver ordinato che si usassero tutti i maggiori rigori nella concessione dei passaporti. Una disposizione, questa, che, in effetti, stava giĂ dando i suoi frutti. Contemporaneamente una piĂš rigorosa vigilanza delle AutoritĂ politiche del Regno insieme con altri inter venti del Governo e dei Rappresentanti all’estero stavano portando ad una diminuzione delle “frodi che prima si commettevano su larga scalaâ€?, mentre andavano anche rientrando in patria alcuni fanciulli, richiesti talvolta da quegli stessi genitori, che con snaturato consiglio li avevan venduti, come evidenziava il Prefetto Berardi a conclusione del suo significativo inter vento sull’emigrazione, che di seguito si ripor ta. 29
Signori Consiglieri! […] Negli anni trascorsi Voi foste avvezzi, o Signori, ad udire in quest’aula eleganti parole, profondi concetti, eloquenti ragionamenti. Io, seduto in questo stesso posto ove altri così onorevolmente mi precedeva, ma conscio delle mie forze, mi propongo compito più modesto; quello di esporvi rapidamente e con linguaggio piano e rimesso lo stato di questa vostra Provincia, astenendomi dal tentare le elevate ragioni della scienza, e restandomi invece nella più bassa sfera dei fatti […]. […] Non voglio, o Signori, abbandonar l’argomento della Pubblica Sicurezza, senza intrattenervi alcun poco di un ramo importante di questo servizio, dir voglio la emigrazione all’estero. La Basilicata, che dà nome ad un estesissimo territorio; che contiene terreni fertilissimi, capaci delle produzioni più svariate, dall’arancio all’abete; che dopo le due provincie insulari della Sardegna, è la più spopolata del Regno, e che potrebbe dare a vivere al triplo forse della popolazione; la Basilicata dà un largo contingente di emigrazione. Fra questa si distingue quella dei fanciulli, che una crudele e vituperevole speculazione conduce in contrade straniere, a vagabondare fra l’immoralità e gli stenti, esercitando l’abbietto mestiere di suonatori ambulanti. Troppo lungo ed arduo sarebbe l’investigare le cause, che inducono i genitori a vendere i propri figli pel miserabile prezzo di qualche centinaio di lire: l’abitudine è antica, e trova radice nello stato di degradazione, nella quale un Governo immorale gittava le popolazioni per dominarle ed opprimerle. Si è detto da taluno, che in Basilicata i figli si vendono perché manca il pane da sostentarli.Questa asserzione, che è un’onta al paese, se non fosse un artificio meschino per far effetto, sarebbe una indegna menzogna. No, o Signori, non può mancare il pane pe’ figli dove la terra produce quasi spontaneamente, dove mancano braccia alla coltivazione delle campagne: non potrebbe mancare, che a que’ padri che preferissero al lavoro l’ozio e la dissipazione. Comunque ciò sia, questo traffico vergognoso destò, come sapete, l’attenzione di una benemerita Società di Parigi, presieduta dal nostro Mi30
nistro Cav. Nigra; e la pubblica opinione meritamente preoccupossi di questo scandalo, e la stampa alzò la voce, ed il Parlamento Nazionale ne fe’ argomento di sue discussioni. Fin da quando questo sconcio fu da principio segnalato, il Governo ne fece oggetto delle sue sollecitudini, ed io sentii il dovere di tradurre e propolare quello che all’estero si diceva di noi, e di chiamarvi sopra l’attenzione dei signori Sindaci e delle altre Autorità politiche della Provincia. Ma già, prima d’allora, io aveva avvertito il danno che proveniva da una emigrazione, che minacciava di prendere ampie proporzioni, e che, se talvolta procacciava lucri agli emigranti, non di rado li gittava nella più orribile miseria, abbandonati sul lastrico di straniere città. Quindi ordinai che, senza uscire dai limiti della legge, si usassero tutti i maggiori rigori nella concessione dei passaporti. Questo divisamento ha portato i suoi frutti. Io son lieto di potervi annunciare, che, confrontato il 1°. semestre del 1867 col 1° semestre 1868, abbiamo a favor di questo la diminuzione di 467 passaporti sul numero di 868 spediti nel 1867, ossia di ben oltre la metà; e che confrontato il 1.° semestre dell’anno corrente coll’ultimo del precedente, abbiamo una differenza anche maggiore: nel 2.° semestre 1867 furono spediti 1229 passaporti, nel 1° semestre di quest’anno soli 401, neppure il terzo. Queste cifre sono abbastanza eloquenti da non meritare commento, e da incoraggiarmi a proseguire per una via, ove siamo così felicemente incamminati. Solo mi resta ad aggiungere che, mercè le disposizioni del Governo, mercè le cure dei nostri amici della Società di beneficenza in Parigi, mercè lo zelo dei nostri Rappresentanti all’estero, e mercè la vigilanza delle Autorità politiche del Regno, le frodi che prima si commettevano su larga scala, vanno grandemente scemando, ed i fanciulli van man mano rientrando in patria, richiesti talvolta da quegli stessi genitori, che con snaturato consiglio gli avevan venduti. [...]. Dopo ciò, invitandovi, o Signori, ad iniziare i vostri lavori cogli occhi intenti soltanto al bene del vostro paese, in nome del RE, dichiaro aperta la sessione ordinaria dell’anno 1868.
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LE CONTRASTANTI REALTĂ€ DEL SUDAFRICA LA VISITA DELLA DELEGAZIONE LUCANA A JOHANNESBURG South Africa is pictured as a land of numberless contrasts, colours, tastes, languages, cultures, as well as of intense emigration. Cape Town and its typical haunt “Mama Africaâ€? placed in the centre, and Johannesburg with its “Club Italiaâ€? in Maria Street are two faces of the same reality; in both cities many remarkable representatives of Basilicata culture live. Next to shantytowns, this is one of the most economically advanced parts of the continent characterised as it is by three-lane motorways, shop centres and no cleanliness.
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Il Sudafrica, un grande Paese dal passato a dir poco controverso. Per dirla con Ungaretti, un’antica fucina di contrastanti realtĂ .Tante, quindi, le impressioni del cronista. In nessun dove, come qui, sono di grande impor tanza le coordinate geograďŹ che e storiche. La Repubblica Sudafricana, ultimo lembo del Continente “neroâ€?, bagnato da due oceani: ad ovest dall’Atlantico, a sud ed est da quello Indiano, comprende al suo interno le enclaves del Lesotho e dello Swaziland. La storia è caratterizzata da una demograďŹ a risultato di un cosmopolitismo giunto agli estremi. Boscimani e ottentotti, gli autoctoni, oggi ridotti a comunitĂ marginali, gli afrikaaners, i discendenti dei coloni olandesi o boeri, inizialmente impiegati della Compagnia delle Indie, gli inglesi, i coloureds o meticci che abitano soprattutto nella provincia del Capo, gli asiatici, per lo piĂš indopakistani immigrati per lavorare nelle piantagioni, che risiedono nel Natal, dove svolgono soprattutto attivitĂ commerciali. La grande maggioranza della popolazione, il 70% circa, è costituita da neri appartenenti a etnie bantu. Il regime di apartheid, in vigore ďŹ no agli inizi degli anni ’90, aveva discriminato pesantemente la popolazione nera e, comunque, le condizioni di vita erano migliori rispetto al resto dell’Africa subsahariana con una durata media della vita di 10 anni superiore, un tasso di alfabetizzazione doppio e un reddito quasi triplo. Ciò spiega perchĂŠ, malgrado le dure condizioni di lavoro, il Sudafrica sia stato, da sempre, luogo di intensa immigrazione. La variegata distribuzione etnica è immediatamente percepibile. La si percepisce grazie alla gran “trasparenzaâ€?, alla volontĂ quasi ostentata di mostrare la propria realtĂ da parte di un Paese dai tanti colori, dai tanti idiomi, dai tanti modi di pensare. E si percepisce subito che qui l’economia è la piĂš progredita dell’intero continente grazie alle risorse di base e all’impulso che l’insediamento europeo ha dato alla modernizzazione del Paese. Dall’alto dell’ “Airbus A300â€? della Compagnia aerea sudafricana si vede un’altra Africa, un altro paesaggio rispetto al Maghreb. Appena sbarcati a Cape Town però, dai ďŹ nestrini del taxi guidato da un ďŹ ero esponente della tribĂš xhosa, la stessa di Mandela, salta agli occhi la prima bidonville. Siamo, dunque, pur sempre in Africa! Siamo dinanzi, questa volta, alle tinte fosche del Paese dai tanti colori. L’autostrada a tre corsie ricorda tanto quelle di Los Angeles. La meta è Waterfront, la soglia sull’oceano.
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Il porto, l’imbarcadero, i piers, i moli di attracco, le navi, l’architettura vittoriana, i center shop, l’assoluta mancanza di rifiuti in un quartiere a metà tra S. Francisco e la sua baia e Rio de Janeiro e il suo Pan di Zucchero. Sul Waterfront si staglia netta, infatti, la possente sagoma di Table Mountain. Giusto il tempo di ammirare le bellezze di questo promontorio piatto, ma affascinante che “la nebbia agli irti colli sale”. Sembra di essere negli States, con tanto di orchestra dixieland e l’immancabile trombettista di colore che suona ininterrottamente, invogliando la gente a lanciarsi in quei ritmi accattivanti, sì, ma non esasperati. La gente è allegra, il benessere è palpabile. Waterfront, il salotto buono di Cape Town. “Mama Africa” è un locale nel centro città, anche se in Sudafrica il concetto di centro è molto diverso dal nostro. Il ruolo del centro è stato sostituito dai nuovi sobborghi, dalle nuove zone residenziali. Mama Africa dicevamo, tanta bella gente, giovani, ma anche persone più attempate e, soprattutto, tanta buona musica, in un’atmosfera autenticamente africana. Il “Club Italia” di Johannesburg è in Maria’s street. Qui il primo incontro con i lucani, quasi tutti originari della Val D’Agri, che hanno fondato l’ “Associazione dei lucani del Sudafrica”: quest’anno il primo anniversario. C’è l’imprenditore, chi si occupa di import-export, c’è il professionista e il direttore di compagnie informatiche, e c’è anche l’impiegato e il manager d’azienda. Non manca il professore e chi dirige librerie e centri culturali, mentre la gastronomia è un’altra importante occupazione per i nostri
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connazionali giunti quaggiù a più riprese. Ci troviamo così a discutere con le eredi del musicista che, all’inizio del secolo scorso, ha suonato per Kruger, importante presidente boero della prima Repubblica sudafricana. Tanti sono gli studenti ad ogni livello. È, dunque, lampante come i lucani in Sudafrica abbiano saputo emergere in ogni settore della vita civile ed economica. Pretoria è la capitale amministrativa dello Stato. Fondata in onore di Marthinus Pretorius, primo presidente del Transval nel 1857, presidente dello Stato Libero di Orange nel 1859 e di nuovo del Transval dal 1864 al 1871. La sua statua campeggia nella piazza principale, Church Square, la Piazza della Chiesa, che ospita la sede del Palazzo del Governo della prima Repubblica ed è caratterizzata da due tonalità preponderanti: il verde non ancora intenso, siamo all’inizio della stagione estiva, dei giardini e lo scuro della pelle della gente che vi vive. Davvero difficile incontrare un bianco anche nelle altre parti storiche della città. Sede universitaria, Pretoria è situata nella zona delle miniere di ferro, diamanti e platino. L’atmosfera è quasi incantata: il caldo più intenso rispetto al Sud, il colore dei suoi palazzi, la sua organizzazione urbanistica, l’atteggiamento dei suoi abitanti, disincantati sebbene presi dalle loro cose, foss’anche il semplice pour parler. Dopo Pretoria il Sudafrica del bush, la savana locale. E di nuovo Johannesburg! Otto milioni di abitanti che diventano 11 con i tre di Soweto. È ubicata su un altipiano di 2000 metri nel bacino aurifero di Witwatersrand. La sua area metro-
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politana comprende numerosi centri satellite. La New York d’Africa ha oggi assunto connotati differenti che ne fanno una città direi, misteriosa. St. Anton è il quartiere elegante e commerciale, quartiere essenzialmente di bianchi e per i bianchi, anche se i neri qui non mancano. La sensazione è quella di essere in un’oasi libera dai tanti rumori della vita moderna, simile, per certi versi, agli angoli eleganti delle capitali europee. Siamo circondati da mega store, agenzie, banche, fontane, da soluzioni architettoniche d’avanguardia. Pochi sono quelli che decidono di vedere live la vecchia città, io tra questi con una guida d’eccezione, Olivia. Entriamo nel cuore nero di Johannesburg. Ecco il palazzo della vecchia Borsa, il Carlton Hotel, una volta il più rinomato del continente, i tanti grattacieli, il vecchio centro economico, i monumenti, i grandi magazzini, e poi le strade, numerose, ampie, tranne quella che ricorda il primo insediamento, all’epoca della scoperta dei filoni d’oro, che conserva intatte le caratteristiche del tempo che fu.
Dappertutto cartelli con la scritta “fittasi” o for sale, vendesi. Costruzioni sbarrate, vetri infranti, ma la gente non sembra curarsene più di tanto. Per chi conosce bene la realtà sudafricana, ci vorrà almeno un’altra generazione acchè i neri intraprendano le attività economiche dei bianchi. Laddove apriva i battenti un grande market, oggi vi sono le bancarelle che vendono frutta, spezie, carne arrostita, pesce alla griglia. Laddove vi erano i grandi negozi di abbigliamento, oggi regnano i venditori ambulanti. E poi vi è l’ “intimo”: il mercato africano sotto la sopraelevata. Vi si può comprare di tutto in una miscellanea di odori, colori e sensazioni. E ancora: la bottega dello stregone, per gli intransigenti pura magia e superstizione, per gli africani la vera medicina. Entriamo e cosa non troviamo! Unguenti, misture, ossa, pelli essiccate, pozioni per ogni malore, l’occorrente per i riti propiziatori. Anche questo è Sudafrica: il Paese dove la medicina ha raggiunto le vette più alte e dove, nel contempo, è rinata quella tradizionale, quella degli sciamani e delle ricette miracolose. 35
Il “nostro agente” a Chicago Daniel R.William is a special agent for the Federal Bureau of Investigation, the most famous and important model of American investigative agency, whose main goal is fighting against crime and terror (mostly after September 11th). The young agent, after a strict selection and at the cost of very hard sacrifices both for himself and for his family, succeeded to fulfill one of his peers’ greatest dreams. Training, safety and freedom are his main values, the reasons why he offers his front-line engagement.
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Undicimila agenti speciali, 16 mila Professional Support Personnel, un archivio di oltre 173 milioni d’impronte digitali, attrezzature all’avanguardia, una potentissima rete di informatori, arresti che hanno portato alla cattura di personaggi del calibro di Al Capone, John Dillinger e del colonnello Rudolf Ivanovich Abel. Una vera e propria macchina in continuo stato d’allerta, il Federal Bureau of Investigation continua ad essere il modello più importante di agenzia investigativa. Istituito nel 1908 dall’allora Ministro di Grazia e Giustizia, Attorney General Charles Bonaparte, allo scopo di creare un braccio investigativo formato da agenti speciali ai quali assegnare le indagini sui reati federali, l’FBI ha ampliato sempre più, nel corso degli anni, il proprio campo d’azione. Sicurezza nazionale, controspionaggio, criminalità organizzata, criminalità finanziaria, cybercrimine, pedofilia, traffico di droga, criminalità violenta. Diverse competenze per il “Bureau”, come lo amano chiamare gli statunitensi, che svolge azioni di supporto alle agenzie federali ed internazionali. Dalla sua nascita, l’FBI ha ricoperto un ruolo fondamentale nella risoluzione di crimini e d’attentati che si sono verificati negli Stati Uniti. L’ingresso del nuovo millennio, però, ha fatto vacillare la fama conquistata di agenzia investigativa infallibile. La distruzione delle Torri Gemelle e la ferita al Pentagono ha portato l’FBI sotto inchiesta. Come si è riorganizzata ora, a due anni, dal più devastante attentato terroristico della storia l’intelligence statunitense? Lo chiediamo a Daniel R. William, un giovane agente speciale antiterrorismo del FBI, di origini lucane, in forza all’agenzia federale di Chicago. L’FBI - racconta Daniel - si occupa di terrorismo da molto tempo. Usama Bin Laden era già tra gli indagati e dal 1998 faceva parte della “lista dei 10 principali ricercati”. Mi preme sottolineare che l’attacco terroristico sferrato agli USA si è verificato non per negligenza o scarsa attenzione da parte della nostra struttura. Gli autori dell’assalto al Pentagono e alle Torri Gemelle erano persone che avevano un lavoro, “normali cittadini” che entravano negli States legalmente. Il Bureau non poteva investigare su stranieri che operavano nell’ambito della legalità. Dopo l’11
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settembre la riorganizzazione non ha riguardato la struttura dell’FBI, ma la legislazione. Sono state riviste tutte le normative che erano restrittive per gli agenti federali, nel senso che ora si ha un campo di azione investigativa più ampio, si ha maggiore libertà di indagare, di fare domande. Alla richiesta se vi è una fattiva collaborazione tra le diverse agenzie investigative che operano in tutto il mondo per contrastare l’escalation del terrore Daniel afferma che c’è sempre stata cooperazione. Dal settembre 2001 - continua - sono aumentati gli Stati che hanno cooperato con noi. L’FBI non combatte il terrorismo da solo, ma con altre agenzie internazionali ed è proprio grazie a questo lavoro e all’ampliarsi delle collaborazioni che si è potuti giungere alla cattura di numerosi terroristi. Da quel fatidico 11 settembre vi è stato un alternarsi di notizie, alcune che disegnavano scenari allarmanti riguardo ad eventuali futuri attentati con armi biologiche ed altre che attestavano un indebolimento dell’apparato di Usama Bin Laden. Nuovi richiami alla guerra santa, notizie su probabili rafforzamenti dell’esercito del terrore. Diciassettemila elementi, addestrati e pronti ad entrare in azione in circa 50/60 paesi, come afferma il prof. Paul Wilkinson, presidente del Centro Studi sul terrorismo dell’Università di ST Andrews. Una situazione complessa con segnali contraddittori che l’FBI - conferma Daniel - non sottovaluta mai. Non è storia di questi giorni, ma appartiene alla solida tradizione della nostra agenzia dichiara sicuro - l’obiettivo di tenere sempre alta l’attenzione per garantire maggiori livelli di sicurezza. Lo slancio con il quale Daniel risponde alle domande denotano il suo forte attaccamento al lavoro e alla patria e, alla domanda sulle motivazioni che lo hanno spinto a scegliere questa professione, risponde che la prima ragione per la quale ha scelto di diventare Special Agent è quella di ripagare gli Stati Uniti per tutto quello che ha ricevuto in questo Stato: educazione, sicurezza, libertà. Diventare uno Special Agent non è affatto semplice - continua Daniel - tante le prove a cui si è sottoposti, tra le quali quella della macchina della verità che è determinante per l’ammissione al corso. Dopo i test e le prove attitudinali, la vita privata viene messa a nudo da ricerche a partire da quando si è compiuti diciotto anni. Un duro percorso, insomma, per giungere a quella che è una meta sognata da molti giovani. Mistero, rischio ed un alto livello d’avventura per un lavoro sempre più rappresentato
I luoghi dove apprendere il ‘mestiere’ Cloak and Gown, “cappa e toga” (la cappa delle spie e la toga degli universitari) è, per i Paesi anglosassoni, la strategia vincente per il reclutamento di agenti altamente professionalizzati. Per fronteggiare il cyberterrorismo con nuovi strumenti il Governo Usa ha finanziato con 6.5 miliardi di dollari la Gorge Mason University e la James Madison University, considerati i migliori centri di ricerca del settore tecnologico e legislativo. Anche l’Italia, oggi, si sta avviando in questa direzione. L’ex ministro per il Coordinamento dei Servizi, Franco Frattini, ora Ministro degli Affari Esteri, ha annunciato arruolamenti fra i laureati. Ma qual è l’attuale offerta universitaria in Italia sull’intelligence? Ne ha disegnato la mappa il prof. Mario Caligiuri sulla rivista Per aspera ad veritatem, edita dal Sisde. Tre le aree interessate (Scienze Politiche, Criminologia e Comunicazione) e sei le università che ospitano corsi o masters
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dai registi holliwoodiani. Alla domanda se si sente un agente 007 Daniel sorride e spiega ciò che è “possibile svelare”. Le investigazioni sui criminali avvengono attraverso una serie di interrogazioni, ricerche, operazioni bancarie, intercettazioni, fino a giungere alla risoluzione del caso. L’arresto di un criminale è la fase più semplice. Ciò che i films ci propongono non rispecchiano certo situazioni reali. Le scene rocambolesche con macchine lanciate ad inseguimenti mozzafiato appartengono alla fiction, ma vi posso assicurare - dichiara - che la vera essenza di un’indagine va oltre l’immaginario collettivo. Daniel William ha un cognome che nasconde le sue vere origini che sono, invece, ben radicate in Lucania. Da San Fele partì suo padre Mario che nel 1966 decise di intraprendere con coraggio una strada che lo condusse a Syracuse (N.Y.) dove si laureò ed ebbe tre figli: David, insegnante, Lisa, sociologa e Daniel laureato in Bachelor of Science Accounting. Un padre - confessa Daniel - che non smette mai di raccontare aneddoti e tradizioni di un paese che, durante questo viaggio, ho scoperto davvero originale. È molto difficile immaginare che una realtà come San Fele, a prima vista tanto isolata, esista ancora nel XXI secolo. Però, quando cammini per le strette vie e ti imbatti in piccoli negozi ed attività ti accorgi che è vibrante di vita e pensi che alla fine si tratta della miniatura di una grande città. che si occupano, in Italia, di intelligence: • Università “La Sapienza” di Roma - Facoltà di Scienze Politiche Master in geopolitica e sicurezza globale • Università Roma tre - Facoltà di Scienze Politiche Master in Peacekeeping e Security Studies • Università di Firenze - Facoltà di Scienze Politiche Corso di Relazioni internazionali • Università di Torino - Facoltà di Scienze Politiche Master in Peacekeeping management • Università “La Sapienza” di Roma Corso di perfezionamento in “Tecniche di analisi e di intelligence” • Università di L’Aquila - Cattedra di Criminologia Corso di perfezionamento e di aggiornamento in sicurezza e criminologia 2001/2002 • Università della Calabria - Facoltà di Lettere e Filosofia Insegnamento di “Teoria e tecnica della Comunicazione Pubblica” Corso 2002/3 “Intelligence e comunicazione istituzionale”
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A Donato Ciampa il premio UMI 2003 Donato Ciampa from Rionero in Vulture is a young mathematician graduated at the University of Basilicata. He actually lives in Turin where he is studying for a PhD in “Matematica per le scienze dell’Ingegneria” (“Mathematics for Engineering Science) at the Politecnico. He was awarded the Prize “Tricerri” 2003 by UMI (Mathematic Italian Union) for his degree. UMI is an association conferring once every two years prestigious recognitions to newly graduated Mathematics researchers.
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Assegnato ad un giovane matematico lucano il premio UMI (Unione Matematica Italiana) 2003. Il prestigioso riconoscimento, che il massimo organismo matematico presente in Italia conferisce alle migliori tesi di laurea in differenti campi di tale scienza, è andato per il settore di Geometria Differenziale a Donato Ciampa di Rionero in Vulture, neolaureato all’Università di Basilicata, attualmente impegnato in un dottorato di ricerca presso il Politecnico di Torino. Donato, classe ‘77, ha una passione per la matematica che ha radici lontane: “Mi sono sempre divertito - racconta - a risolvere i problemi o ad affrontare i quiz di logica sulle riviste di enigmistica. Ho avuto poi la fortuna di incontrare sia al Liceo che all’Università dei docenti preparati che hanno contribuito ad ampliare le mie conoscenze e ad aumentare la mia passione. C’è stato anche un fatto saliente che mi ha indirizzato verso una scelta piuttosto che un’altra. Al terzo anno di Università il mio professore prese l’Anno Sabbatico, un periodo di pausa dalla didattica e mi ritrovai a seguire il corso con uno dei docenti più temuti dell’Università; quel professore divenne il relatore della mia tesi”. Tentare di dare una definizione della matematica non è forse possibile, sono tante le branche di questa scienza ed ognuna riveste un suo ruolo ma una cosa si può affermare: la matematica è pura astrazione, un’invenzione dell’uomo. Ciononostante, i progressi scientifici e le scoperte che si sono succedute in que-
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sti secoli hanno confermato che tale creazione astratta permette di spiegare, con opportune varianti, qualsiasi principio presente nell’Universo che ci circonda. Definire un matematico è forse più “semplice”. Sgombriamo, però, subito il campo dall’idea dello studioso chino sullo scrittoio a combinare numeri e formule, giorno e notte. Nulla di più falso e la conferma viene conoscendo Donato, un giovane amante dei romanzi gotici ed horror, di fumetti e appassionato di musica. Non solo, per otto anni ha fatto parte di una compagnia teatrale, ha studiato danza moderna e ha partecipato a numerosi allestimenti sia in Basilicata che in altre regioni italiane. “È più facile conoscere dei matematici - ci dice - esperti di arte o di letteratura, che non umanisti che sappiano risolvere un quadrato di binomio”. Donato vive a Torino dove si è trasferito dopo aver vinto un concorso per svolgere un dottorato di ricerca in “Matematica per le scienze dell’Ingegneria”, presso il Politecnico della città. “Per intraprendere la strada del ricercatore - ammette Donato - ci vuole tanta pazienza, una passione smisurata e anche un po’ di “pazzia”. Inizia a lavorare alla sua tesi di laurea, poi premiata dall’UMI, nel 1999 e nel 2000 il giovane lucano dà l’ultimo dei quindici esami previsti dal corso di laurea ma, “accorgendosi di avere delle lacune”, si iscrive ad un quinto anno fuori corso, in pratica sostiene altri due esami e nel 2001 frequenta la Scuola Estiva di Matematica a Perugia. Quell’anno, nella bella città umbra, passa le giornate tra pile di libri e trascorre la
più bella estate della sua vita, come lui stesso ci racconta. Dall’ottobre del 2001 al marzo del 2002 si trasferisce a Iasi, in Romania, nell’ambito del progetto Erasmus. Qui ha la possibilità di imparare la lingua rumena e tiene un seminario sulla Geometria Differenziale. Tornato in Italia sostiene altri due esami, per un totale di 19, sui 15 previsti dal corso di laurea in matematica. Uno sforzo che gli è valso l’ambito riconoscimento, il Premio Tricerri, indetto dall’UMI nel 1991 in memoria del prof. Franco Tricerri, tragicamente scomparso. La prima volta per un lucano, la prima volta che l’attestazione raggiunge una regione del sud. Il premio gli è stato conferito per il lavoro: “Sulle Fibrazioni di Cauchy-Riemann in Cerchi”. La motivazione, alla base del riconoscimento, come ha dichiarato il prof. Coen, vicepresidente dell’UMI, è legata all’innovatività delle idee e per i nuovi spunti che afferiscono ad una branca della matematica, quella delle CR varietà di contatto che, seppure molto giovane, si è rivelata negli ultimi anni di fondamentale importanza nel campo della geometria differenziale. “Un giorno indimenticabile - confessa Donato - mi tremavano le gambe, sono salito sul palco frastornato, con gli occhi di circa 500 persone puntati su di me, poi la premiazione, la pergamena e gli applausi. Credo di aver provato in quel momento i famosi 15 minuti di celebrità che professava Andy Warhol”. “L’UMI - ha dichiarato Coen - bandendo un premio di questa portata, vuole non solo premiare la bravura di chi riesce ad affrontare tematiche ardue in campo matematico, ma si propone, soprattutto, di fornire un lasciapassare verso la carriera nella ricerca e di stabilire i contatti con i massimi esponenti della cultura scientifica italiana.” Le prospettive per chi si avventura in questo mondo sono tante. Non c’è solo l’insegnamento, innanzitutto c’è la ricerca pura e, poi, a seguire, ruoli diversi nel campo dell’analisi statistica o probabilistica, nel controllo dei dati, programmazione e automazione. Donato, per il momento, vuole concludere il Dottorato ed impegnarsi nel corso di insegnamento agli studenti di ingegneria del Politecnico. Un suo contributo è stato pubblicato dal Tsukuba Journal of Mathematics, una rivista specializzata in geometria differenziale. Donato, probabilmente, al termine dell’esperienza torinese partirà per gli USA o il Giappone. “Ho tanti sogni nel cassetto - ha dichiarato - scrivere un libro, o viaggiare per conoscere gente e posti nuovi, per trovare spunti per la ricerca e lavorare con menti geniali. Intanto studio, perché la matematica è cosi vasta che anche il più esperto in questo campo non ne conosce che una millesima parte”. 39
Cavalieri in Canada
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Uno è il re della pizza, l’altro il mago della precisione. Vivono in Canada. L’Italia si è ricordata di loro. Il Presidente della Repubblica, Ciampi, ha voluto insignirli dell’onorificenza di Cavaliere. Gliel’ha consegnata, a Toronto, il console generale Proferio e loro, Savino Sam Primucci e Pasquale Falcitelli, si sono emozionati a tal punto che non hanno avuto la forza di proferir parola. Si sono fatti accompagnare dalle persone care, mentre le Istituzioni erano rappresentate dai massimi dirigenti del Consolato Italiano nella metropoli dell’Ontario; dal presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, Aldo Michele Radice; dal consigliere provinciale di Potenza, Vito Bochicchio; dal presidente dei Lucani nel Mondo, on. Rocco Curcio e dal presidente dei lucani-canadesi, Donato Caivano. Il console Proferio e il presidente Radice hanno ricordato l’onestà dei lucani che vivono in Canada, ma soprattutto la loro viva intelligenza e lo spirito di sacrificio. Primucci e Falci-
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telli rappresentano l’espressione della sconfinata capacità lavorativa di un popolo che ha contribuito, non poco, allo sviluppo economico e culturale del Paese che li ospita. La gran voglia di fare, la tenacia, la serietà, il rispetto degli altri li hanno fatti venir fuori dalle difficoltà quotidiane, essendo privi di una rete di protezione. Hanno sfidato l’asprezza del tempo, hanno compreso la richiesta del mercato ed oggi sono un esempio per tutti i lucani che vivono in questo sconfinato Paese del Nord America. Entrambi sono nati a Palazzo San Gervasio, Falcitelli nel ’36, Primucci nel ’40. Il primo ha avuto un’esperienza di emigrazione in Francia e in Germania, dove ha lavorato come metalmeccanico. Trasferitosi in Canada ha dato avvio ad un’attività imprenditoriale propria nel settore della meccanica di precisione, ad alta tecnologia. La sua azienda, la Norwest Precision Limited, vanta oggi una posizione di primo piano. Ha 80 dipendenti e clienti soprattutto dell’USA, come gli enti che operano nel campo dell’energia atomica e spaziale, delle centrali nucleari, dei sommergibili.
Preciso nel prodotto che esce dalla sua fabbrica, preciso anche nella gestione della propria vita quotidiana: “Faccio colazione alle 6 del mattino, mi arrangio a mezzogiorno e ogni sera torno a casa”, dove l’aspettano la moglie e 4 figli. Non si è montato la testa neppure il re della pizza. Savino Sam Primucci lo conoscono in pochi, ma tutti i canadesi dell’Ontario conoscono le sue cento pizzerie dove campeggia la stessa insegna, Pizza Nova. Un’insegna che si trova in sette località di Cuba e che è sinonimo di maestria e buoni sapori. Pizza Nova ha duemila dipendenti con un fatturato non inferiore ai 65 milioni di dollari l’anno. Un solo centralino smista migliaia e migliaia di richieste di chi vuole consumare la pizza al taglio e di chi, invece, la preferisce a domicilio. Gli ingredienti usati per preparare la pizza sono “rigorosamente” italiani. Primucci ha due grandi amori, oltre quelli familiari (2 figli e 4 nipoti): sostenere le promesse del calcio e gestire il suo ristorante, il “Basilico”, dove si trova la salsiccia lucana e l’Aglianico del Vulture.
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Masini, ambasciatore di simboli ANTONIO MASINI IS A HIGHLY REGARDED SCULPTOR FROM CALVELLO (BASILICATA REGION) AND A CITIZEN OF THE WORLD. MAN AND HIS CIRCULAR HUMAN RELATIONSHIPS ARE THE CENTRE OF HIS AR T.
MANY FOUNDATIONS OF ITALIAN EMIGRANTS WANTED HIS SCULPTURES TO BE EXHIBITED IN
CHILE, BRAZIL, CANADA.
“I FEEL FREE TO EXPRESS WHAT I INTIMATELY EXPERIENCE - SAYS MASINI - I FEEL GRATIFIED TO GET IN TOUCH WITH SO MANY CULTURES... EVERY TIME A MONUMENTAL SCULPTURE OF MINE IS EXHIBITED ABROAD, A LITTLE BIT OF THAT PLACE SEEMS TO BELONG TO ME�.
PIERO RAGONE 42
Metafore o allegorie, le sculture di Antonio Masini diventano baluardi che punteggiano il globo. Da Avigliano a Balvano, da Potenza a Pignola, dal Cile al Brasile, e da qualche settimana in Canada, a Montreal, il segno plastico di uno degli artisti lucani piĂš affermati lascia una traccia permanente nell’ambiente, nel paesaggio, nel contesto urbano di cittĂ e nazioni che si affacciano ďŹ no all’oceano PaciďŹ co. La via delle Americhe, percorso quasi obbligato dell’emigrazione di metĂ e ďŹ ne Ottocento, viene oggi riscoperta e rivisitata con ben altri scopi e sentimenti. In parte per le ricognizioni attivate dalla Commissione dei Lucani nel Mondo, per altri versi in qualitĂ di ambasciatore dell’arte italiana in America latina, il calvellese Masini - scultore, pittore e graďŹ co di grande esperienza e sensibilitĂ - si è trovato, negli ultimi anni, a giocare un ruolo chiave, di raccordo tra identitĂ e tradizioni, passato e attualitĂ e la possibilitĂ di immortalare messaggi attraverso le arti ďŹ gurative. Dove le comunitĂ si interrogano sulla loro provenienza, sui legami con la terra di origine e sulla conservazione dei valori pur non negando le capacitĂ di integrazione e la volontĂ di lasciare un’impronta nell’economia e nella societĂ dei paesi di residenza – pare necessario riannodare i ďŹ li della storia con quelli della contemporaneitĂ . Forse per recuperare il patrimonio di ricordi e suggestioni con il quale si sono alimentate le memorie, ma soprattutto per spiegarsi e capire meglio le differenze, il presente e le evoluzioni per il futuro. Alla caratterizzazione di questo processo, a cui la Regione Basilicata sta lavorando da anni, concorre Antonio Masini con le riconosciute qualitĂ creative, sempre pronte ad esaltare tanto i fatti quanto la loro matrice culturale e universale. Con questo spirito si è arrivati, nel 2001, ad erigere nella cittĂ cilena di Iquique il monumento all’emigrante, alto 8 metri, intitolato a “Felicia de Los Andesâ€? (la Felicia Muscio di Oppido Lucano, partita alla ďŹ ne dell’Ottocento con la sua piccola bambina per ricongiungersi al marito emigrato). Il 13 luglio di quest’anno è stata la volta di Olimpia, la cittĂ brasiliana vicina al Rio Grande, che, per la celebrazione del suo centenario dalla nascita, ha commissionato a Masini una scultura in ferro alta nove metri, larga 7 e profonda 6, installata nella centrale praza Rui Barbosa, intitolata “Monumento aos fundadoresâ€?. Il 14 settembre è stata, invece, la Regione Basilicata a donare il bronzo “L’uomo nel ventoâ€?, sempre di Masini,
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BASILICATA
L’UOMO NEL VENTO, DI ANTONIO MASINI, BRONZO (CM 180 X 90 X 80), LEONARDO DA VINCI CENTER, MONTREAL (CANADA)
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alla comunità italo-canadese di Montreal, per abbellire la nuova struttura del centro Culturale intitolato a Leonardo da Vinci. Ed anche per quest’ultima realizzazione canadese, la ricerca praticata dall’artista lucano ha raggiunto la sintesi e l’efficacia che da tempo lo contraddistinguono. L’uomo, sradicato dai luoghi di provenienza e dagli affetti, proteso in avanti, affronta il suo cammino. Le difficoltà di lingua e inserimento, nel nuovo contesto, sono rappresentate dal vento (emblema delle distese e della rigidità climatica del Canada, ma anche delle rinunce e delle sfide da superare sul piano sociale ed umano) che avvolge e avviluppa la figura. Il corpo, stilizzato in bronzo patinato, ha un rigore e una tenacia che lo rendono simile ad un tronco, un albero con salde radici nella terra (la sua storia, il suo passato, la patria). Fiero, affronta la resistenza e il turbinio dell’aria e riesce, comunque, ad avanzare verso nuove mete e nuovi traguardi. Al di là di ogni riferimento locale, oltre le ragioni stesse della committenza, gli interventi trascontinentali del maestro Masini - lo scorso anno in Australia, con grandi tele, si è fatto paladino dei colori nazionali, in una importante manifestazione dedicata al cinema italiano - paiono rispondere ad una logica unitaria che vede l’uomo, i lucani, l’umanità al centro dell’attenzione. Possono cambiare i materiali (la colata di bronzo che sostituisce la cera tra i calchi refrattari o le sagome di spesse la-
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mine di ferro intagliate e sagomate); possono cambiare i colori (le brillanti vernici vermiglio, i blu “caiapò” ricavati da maschere del folclore indio, anziché le varianti verdastre della lega di rame e di stagno), ma l’idea che prevale è la stessa. La libertà dell’uomo di muoversi nel mondo, di aprirsi ad altre culture, mettendo in gioco il suo bagaglio di valori e di principi che non restano immutati, ma si adattano e si arricchiscono nelle nuove realtà di vita. Una sorta di “manifesto”, di “dichiarazione programmatica” che pare echeggiare il titolo stesso scelto da questa rivista, e i contributi che si propone di ospitare. In questo senso, la collocazione di effigi di indubbia monumentalità - non certo e non solo per le grandi dimensioni delle sculture - in siti strategici per la memoria della lucanità di ieri e di oggi costituiscono non un episodio, ma un processo di “marcatura” del territorio senza precedenti per gli artisti della regione. Un attestato di “cittadinanza del mondo” che Masini va consolidando non senza onori. Per amore di quella curiosità, di quella passione, di quel desiderio di conoscenza che accompagna l’uomo e le sue imprese nella sfida ineluttabile contro il tempo. Da qui forse gli elementi di distinzione che sottraggono alla pittura, al suo calore, alla sua vitalità di colore, forse più ”intimista” e da “interno” - per come Masini stesso se ne rende
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BASILICATA
interprete - la forza di rappresentare, indicare, evocare significati ed orizzonti che la visione pubblica e ambientale, la collocazione spaziale e dimensionale della scultura raggiunge senza mediazioni. Eppure, nella diversità di linguaggio e di approccio, nella fatica progettuale e di esecuzione, le due anime dell’artista non solo convivono, ma si rincorrono e vivono di rimandi. Testimoniate da disegni e bozzetti, da modellini e sviluppi tridimensionali, la verticalità e la circolarità ricorrono, tanto nella pittura che nella scultura di Masini. Una sorta di compendio tra affermazione dell’individualità e dinamiche di condivisione che riconducono il singolo, la persona, ai richiami di appartenenza, agli atteggiamenti collettivi, della famiglia, della comunità, del mondo intero. Che si tratti di un mantello, di un drappo avvolgente, di un arco di metallo incurvato o di raffiche eoliche raffreddate in una colata l’idea, il senso del movimento è lo stesso. Come pure il fulcro, il pilastro di questa rotazione rimane l’essere umano, l’uomo-albero, il corpo e la coscienza tradotti dalla forza, dal vigore, dalla tensione del movimento delle forme e dei volumi. Così Masini parla tutte le lingue, tocca tutti i cuori, traduce con l’efficacia dei simboli i sentimenti comuni, consegnando alle generazioni mirabili testimonianze che i lucani, con orgoglio, amano disseminare per il mondo.
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Hebo, un presepe vero HEBO IS A VERY SMALL REGION IN ERITREA, A TINY STRIP OF A LAND ON A MOUNTAIN, A REAL CRIB MADE OF HUTS, SHEPHERDS AND DROMEDARIES, WITH NEITHER CHALK NOR PLASTIC . A SMALL CHURCH WITH PRIESTS AND NUNS (ON TWO DIFFERENT SIDES) IS ITS PULSATING CENTRE . IN THIS POOR AND SHABBY VILLAGE A PRIEST FROM SAN FELE - GIUSTINO DE JACOBIS - CONVER TED BOTH CHRISTIANS AND OR THODOX PEOPLE. HIS IDEAS AND VALUES ARE STILL ACTIVE THROUGH HIS PROSELYTES. HE WAS SAINTED IN 1975.
LUCIA LAPENTA 46
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Hebo è un presepe. Un presepe vero, con capanne pastori e dromedari senza gesso e senza plastica. Hanno corpi e vita che si riversano sul Natale di ogni giorno. In una chiesa c’è una culla immensa e moderna, fatta di pietre e non di paglia, con due ali aperte per volare verso l’affermazione del Cattolicesimo. In un’ala stanno i preti che faticano con sudore e che trasmettono ai giovani il gusto della fede e della vita. Nell’altra, le suore, tutte protese a strappare all’abbandono orfani e trovatelli per trascinarli dall’asilo nido alla scuola materna. Al centro la culla, chiesa e campanile che non sono espressione della potenza ecclesiastica, ma concretezza della generosità lontana. Hebo per secoli è stato un presepe senza culla. Qui è sceso dalla Grande Montagna di fango che protegge l’abitato dalle scorribande etiopiche e dai venti imperiosi un sacerdote lucano diventato Santo per la Chiesa e fondatore del Cattolicesimo eritreo per gli africani. Era contenuto nell’altezza, tenace, generoso, instancabile, pronto ad offrirsi a piene mani per il benessere degli altri, era un lucano. San Giustino De Jacobis veniva da San Fele e siccome il suo
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paesino è aggrappato alla montagna, non si è sentito estraneo ad Hebo, che pure dalla montagna si alimenta di pareti senza intonaco. Trovava cristiani e ortodossi con semplicità, umanità e amore e in gran numero li ha conquistati e trasformati in cattolici, tanto che oggi non è solo amato, ma anche venerato. Tutti vi si riconoscono e tutti premono per entrare nella sua Chiesa. Hebo è un presepe di polvere e di paglia. Non c’è asfalto. Il verde è poco, fatto più di cespugli che di alberi. Ai suoi piedi scorre un torrente, vera e unica risorsa per le trecento famiglie che, nell’ultimo decennio, stanno toccando con gli occhi la civiltà. Le vie sono sentieri e tratturi. Di fronte alla Chiesa sono state tranciate le capanne per realizzare una piazza. Le dieci famiglie sono state trasferite in casette di pietre colorate di fuori, essenziali di dentro. Non c’è luce ad Hebo. L’unica è quella creata da grossi, costosi generatori che alimentano la Casa di tutti; una casa che, qui, non ha il sapore politico, ma quello della solidarietà innestata sulla miseria. L’esile prete lucano non si è speso inutilmente. Né inutilmente si stanno spendendo i suoi lontani successori. Da 40 anni sono testimoni di guerre senza fine, tra l’Etiopia e l’Eritrea e da 40 anni vorrebbero sostituire quelle E iniziali
con la A dell’amore fraterno. Da sempre i successori di San Giustino sono i principi poveri della culla del Cattolicesimo eritreo e alla loro cor te sono cresciute generazioni di cattolici. Fanno i muratori, gli agricoltori, i meccanici, gli elettricisti, ma anche i geologi, gli agronomi, gli ingegneri. L’intensa giornata dei Padri Vincenziani è più carica di socialità che di religiosità predicata. La loro è una cor te sempre più gravida di allievi. Il bambino che 40 anni fa nasceva in una delle tante capanne di Hebo, ora demolite per far largo alla piazza, oggi è il loro giovane, ma sempre devoto Superiore. A lui, a padre ZeraCristos, è stato lasciato il blasone della teologia e ne è for temente orgoglioso. Il prete dal corpo nero e dall’anima candida ora sa che si è assunto una grande responsabilità. Deve continuare l’opera pastorale avviata dal prete bianco di San Fele. Deve proseguire l’opera di trasformazione portata avanti da don Vincenzo Lazzarini. Ma deve soprattutto far riscattare la sua gente, togliendola dalle capanne di legno e di paglia, lui che ne è figlio. Al suo popolo deve assicurare le più elementari condizioni di civiltà. Deve strapparlo dall’isolamento sociale e proiettarlo in un presepe alimentato sì sempre dalla fede, ma senza polvere e senza fango.
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Suor Isabella e gli orrori della guerra in Eritrea SISTER ISABELLA LIMONGI, REPRESENTING LE FIGLIE DELLA CARITÀ DI SAN VINCENZO DE PAOLI (CHARITY DAUGHTERS OF SAN VINCENZO DE PAOLI), WAS BORN IN SELUCI - LAURIA. SINCE ‘89 SHE HAS BEEN AN ACTIVE MISSIONARY IN ERITREA, WHERE SHE HAS BEEN WORKING IN DIR TY, SQUALID AND INDIGENT CONDITIONS.
LUCIA LAPENTA 48
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“Mi mancano gli alberi del Pollino, ma ho trovato la semplicità della vita”. Suor Isabella Limongi è l’amministratrice delle Figlie della Carità di San Vincenzo De Paoli dell’Eritrea. È nata a Seluci di Lauria, dove vivono i suoi cari. Il papà Giuseppe, faceva il camionista; la mamma Maria Caterina, la casalinga. Nel grappolo di case, ai piedi della montagna più alta della Basilicata, torna ogni tre anni per riunire la famiglia e per incontrare i benefattori, quelli instancabili e quelli che si avvicinano per la prima volta alla carità. Il bisogno, in Eritrea, cresce a livello esponenziale. I conti dell’amministratrice lucana non tornano mai. Sono sempre in rosso. Serve di tutto. Più di quanto immaginasse la stessa suora entrata oltre vent’anni fa nella Casa delle Vincenziane di Napoli. Per nove anni ha frequentato i Quartieri Spagnoli del capoluogo partenopeo, ma non pensava che il bisogno di aiuto fosse maggiore altrove. Lo ha scoperto nell’89, quando è arrivata ad Asmara e più ancora nella cittadina di Dekemehrè e nel villaggio di Halhal Bogos. Qui ha iniziato la sua missione. Praticamente da zero: “Ho pianto con chi piangeva e gioito nelle poche occasioni propizie. Mi sono ricordata di quando ero bambina e non avevamo lo zucchero per il caffè. Non c’era niente. Neppure la gente, che era scappata per la guerra e che poi è ritornata grazie alla Missione, alla costruzione di qualche diga e del Centro Sanitario”. Suor Isabella non è pentita. Rifarebbe la stessa scelta. “Mi porto dentro, inviolata, l’immagine del Bosco di Seluci, la vita fami-
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BASILICATA
GLI ASSI STRATEGICI PER UNA BASILICATA SENZA SOSTEGNI BASILICATA-SYSTEM SWINGS BETWEEN THE RISKS OF GLOBAL MARKET AND THE VIEW OF WHAT WILL BE
“AFTER 2006” (WHEN BASILICATA WILL STOP BEING A “GOAL NO.
1 REGION” ). THE REGION HAS TRACED THE PROGRAMMATIC STRATEGIES FOR THE NEXT THREE YEARS: ITS PILLARS ARE THE
- BOTH INTERNAL - EXPECTED TO
FINANCIAL FUNDS AND EXTERNAL
STRENGTHEN THE GLOBAL MARKET COMPETITION; NEW SERVICES AND TECHNICAL SUPPORTS TO THE FIRMS; PROMOTION OF EMPLOYMENT; EXPLOITATION OF LOCAL CULTURAL POTENTIALITIES. WHAT WILL BE OF SUPREME IMPORTANCE IS THE STRONG COOPERATION AMONG PUBLIC INSTITUTIONS, UNIVERSITY, TRAINING STRUCTURES, UNDERTAKINGS’ REPRESENTATIVES, RESEARCH CENTRES, SCIENTIFIC AND TECHNOLOGICAL ORGANIZATIONS. A STRONG SYNERGY BETWEEN PUBLIC AND PRIVATE, AND PROPER RELATIONSHIPS BETWEEN INNOVATION, RESEARCH AND FEASIBILITY WILL HELP THE FIGHT AGAINST GLOBALISATION BECOME STRONG AND SUCCESSFUL.
Vito Verrastro 50
Da un lato l’aggressività del mercato globale, dall’altro la prospettiva del dopo 2006, con l’uscita dall’Obiettivo Uno. Lo scenario economico lucano inizia a vivere una doppia dimensione, costretto a reagire al primo fattore e a prendere le contromisure in vista del secondo, quando - sia pure con un mutamento tutt’altro che drastico - ci si dovrà iniziare a reggere sulle proprie gambe rinunciando al noto sostegno comunitario. L’allarme globalizzazione, lanciato perfino da uno dei punti-cardine del sistema produttivo della Basilicata, il polo del salotto, è rimbalzato di recente sia all’interno delle amministrazioni pubbliche che delle associazioni di categoria, chiamate rispettivamente a svolgere funzioni di regia e ad applicare strategie concrete di marketing per rendere appetibile il “modello Basilicata” sia oltre confine che nell’attrazione di risorse e di investimenti dall’esterno. La Regione Basilicata, tra i sette Assi Strategici di Programma contenuti nel Dapef - lo strumento mediante il quale provvede annualmente a verificare, aggiornare e ridefinire il suo programma di governo a scala triennale, che dovrà essere esaminato dal Consiglio Regionale a breve - ha provato a porsi l’interrogativo di come rendere
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BASILICATA
L’AGLIANICO DONO DEI GRECI? THE STRONG LINK BETWEEN BASILICATA AND THE VINE’S PRODUCT IS ONE OF STRONGEST REALITIES OF THIS REGION, WHOSE ROOTS CAN BE FOUND AMONG FIRST INSTALLATIONS OF GREEK COLONIES. AGLIANICO STANDS OUT AS TYPICAL PRODUCT OF VULTURE MELFESE: HERE PLENTY OF FAMILY RUN WINE FARMS EXPORT THE LOCAL ECONOMY AND STRENGTHEN THE REGIONAL IDENTITY.
LEONARDO NELLA
Anche il vino può avere delle storie da raccontare a chi sa ascoltarlo. La strana alchimia della fermentazione alcolica cattura segreti, progetti, amori, tradimenti... racconta di odori, colori, sapori, intuizioni e personaggi, e, ancora, sudori e fatiche che hanno caratterizzato la vita dei nostri vignaioli. Le storie del vino appartengono a tutte le civiltà, ad ogni impero, a momenti di vita sacri e di vita quotidiana, quasi sempre legati a momenti topici di gioia, di ricordi e di voglia di vita. Pochi territori, in Italia, si identificano così profondamente con il vino che si produce come accade alla Basilicata con l’Aglianico. Li unisce un legame
passepartout Jenny Tartaglia 52
fortissimo, che ha origini lontane, addirittura millenarie. Possiamo partire da un dato storico: la colonizzazione dei Greci porta con sè, attraverso le coste ioniche o tirreniche, quello che poi sarà il vitigno ed il vino più rinomato ai tempi dei romani. Sono numerose le opinioni circa l’origine ed il nome di questo vitigno, forse derivante da Ellenico e trasformatosi poi in Aglianico intorno al XVI secolo, quando il Regno di Napoli era sotto il dominio degli Aragonesi. Altri studiosi ritengono che, dall’attento esame dei classici, il punto di partenza sia il Gauranum, indicante uno dei tipi di Falerno, già citato da Plinio ed Ateneo; il nome Aglianico sarebbe poi derivato dalla corruzione degli antichi Gauranico-Giurano trasformatosi poi in Glinico-Glianica, ancora oggi in uso in molti paesi lucani ed irpini. In tutti i casi, in questa regione, un impulso determinante alla viticoltura viene dagli insediamenti delle prime colonie greche, quando il vino diventò oggetto di commercio tra le popolazioni. Citazioni
bile e qualitativo il sistema-Basilicata, prevedendo “l’erogazione di investimenti per elevare le dinamiche del sistema produttivo attraverso un rafforzamento della competitività dei sistemi produttivi regionali in un’ottica di mercato e di concorrenza globale, mediante la realizzazione dei servizi alle imprese e di un contesto territoriale favorevole, anche in una prospettiva di investimenti esterni”. Diversi i nodi strutturali che risultano ancora irrisolti, primo tra tutti una marcata difficoltà a fare rete. Il basso livello tecnologico dei processi produttivi, la limitatezza della gamma dei servizi alle imprese, una marcata sottocapitalizzazione e la non sufficiente integrazione tra agricoltura, trasformazione industriale e commercializzazione sono gli altri punti di criticità che il Dapef individua, ponendosi almeno tre obiettivi: innalzare la qualità del contesto produttivo in ottica di mercato - ovvero dare più forza a livello di infrastrutture e di servizi promozione di sistemi produttivi locali - che spingano alla cooperazione secondo le logiche di filiera e di distretto ed elimini l’eccessiva frammentazione che a quantità non fa corrispondere qualità produttiva - potenziamento della competitività e orientamento al mercato - irrobustendo le dimensioni
produttive, finanziarie e tecnologiche delle imprese. Se mettere a rete Enti pubblici, Università, strutture di Formazione, Mondo Imprenditoriale, Centri di Ricerca, Parchi Scientifici e Tecnologici sarà uno degli obiettivi finali del triennio, insieme alle sinergie pubblicoprivate e al legame ricerca-innovazione-sostenibilità, ci sono sfide assolutamente immediate che dovranno dare risposta in termini di competitività, nella considerazione che l’allargamento Ue ai Paesi dell’Est Europa e l’assalto di mercati orientali, quello cinese in particolare, impongono nuove strategie e maggiore unità di intenti. Difendersi, in questo caso, significa innalzare il livello qualitativo e tecnologico delle produzioni, “aggredire” i mercati stranieri e richiamare capitali esterni attraverso la delocalizzazione, dando seguito al protocollo di intesa firmato da Regione Basilicata e le Unioni Industriali di Matera e Treviso nel luglio del 2002. Buoni i fermenti rinvenienti dalle diverse aree produttive presenti sul territorio: il Distretto del mobile imbottito è una realtà consolidata, quello industriale agroalimentare del Vulture e quelli relativi al Metapontino e al Pollino potrebbero esserlo
in un futuro ormai prossimo, mentre il Programma Operativo Val d’Agri, Melandro, Sauro, Camastra ha di fatto realizzato in pieno il principio della concertazione con le amministrazioni locali e le parti sociali, inviando un segnale di maturità che si spinge una volta tanto oltre i campanili e gli inutili localismi. Accanto a questi macrofenomeni, la prospettiva triennale può essere affrontata mettendo a fattore comune, in modo trasversale (nel senso geografico) tutti i segmenti tipici dell’economia lucana, ognuno dei quali può e deve portare valore aggiunto al modello Basilicata: dall’agricoltura al turismo, dall’ambiente all’artigianato artistico, favorendo un miglioramento generale nell’accesso al credito e sviluppando politiche formative e informative di sostegno e non di assistenza, di indirizzo e non di sovrapposizione. Se la Basilicata che produce sarà pronta a raccogliere la sfida attraverso questa capacità e i poli di eccellenza continueranno a caratterizzarsi per i primati in termini di export, nessun orizzonte sarà precluso. In caso contrario, il fattore “global” relegherà il “local” al margine del sistema continentale, probabilmente ben prima della frontiera 2006.
... quasi quindicimila scatti, ventidue mesi di lavoro percorrendo l’Italia dal sud al nord per giungere “all’altro mondo”, New York, alla ricerca dei figli di Cristo… ALIANO VISTO DAL BURRONE DOVE SONO IN CORSO I LAVORI DI RICOSTRUZIONE DEL PONTE LA RUOTA, LA CROCE E LA PENNA, INDAGINE FOTO-GIORNALISTICA DI ANTONIO PAGNOTTA A CURA DI GRAZIELLA SALVATORE
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L’AGLIANICO DONO DEI GRECI? THE STRONG LINK BETWEEN BASILICATA AND THE VINE’S PRODUCT IS ONE OF STRONGEST REALITIES OF THIS REGION, WHOSE ROOTS CAN BE FOUND AMONG FIRST INSTALLATIONS OF GREEK COLONIES. AGLIANICO STANDS OUT AS TYPICAL PRODUCT OF VULTURE MELFESE: HERE PLENTY OF FAMILY RUN WINE FARMS EXPORT THE LOCAL ECONOMY AND STRENGTHEN THE REGIONAL IDENTITY.
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Anche il vino può avere delle storie da raccontare a chi sa ascoltarlo. La strana alchimia della fermentazione alcolica cattura segreti, progetti, amori, tradimenti... racconta di odori, colori, sapori, intuizioni e personaggi, e, ancora, sudori e fatiche che hanno caratterizzato la vita dei nostri vignaioli. Le storie del vino appartengono a tutte le civiltà, ad ogni impero, a momenti di vita sacri e di vita quotidiana, quasi sempre legati a momenti topici di gioia, di ricordi e di voglia di vita. Pochi territori, in Italia, si identificano così profondamente con il vino che si produce come accade alla Basilicata con l’Aglianico. Li unisce un legame
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fortissimo, che ha origini lontane, addirittura millenarie. Possiamo partire da un dato storico: la colonizzazione dei Greci porta con sè, attraverso le coste ioniche o tirreniche, quello che poi sarà il vitigno ed il vino più rinomato ai tempi dei romani. Sono numerose le opinioni circa l’origine ed il nome di questo vitigno, forse derivante da Ellenico e trasformatosi poi in Aglianico intorno al XVI secolo, quando il Regno di Napoli era sotto il dominio degli Aragonesi. Altri studiosi ritengono che, dall’attento esame dei classici, il punto di partenza sia il Gauranum, indicante uno dei tipi di Falerno, già citato da Plinio ed Ateneo; il nome Aglianico sarebbe poi derivato dalla corruzione degli antichi Gauranico-Giurano trasformatosi poi in Glinico-Glianica, ancora oggi in uso in molti paesi lucani ed irpini. In tutti i casi, in questa regione, un impulso determinante alla viticoltura viene dagli insediamenti delle prime colonie greche, quando il vino diventò oggetto di commercio tra le popolazioni. Citazioni
bile e qualitativo il sistema-Basilicata, prevedendo “l’erogazione di investimenti per elevare le dinamiche del sistema produttivo attraverso un rafforzamento della competitività dei sistemi produttivi regionali in un’ottica di mercato e di concorrenza globale, mediante la realizzazione dei servizi alle imprese e di un contesto territoriale favorevole, anche in una prospettiva di investimenti esterni”. Diversi i nodi strutturali che risultano ancora irrisolti, primo tra tutti una marcata difficoltà a fare rete. Il basso livello tecnologico dei processi produttivi, la limitatezza della gamma dei servizi alle imprese, una marcata sottocapitalizzazione e la non sufficiente integrazione tra agricoltura, trasformazione industriale e commercializzazione sono gli altri punti di criticità che il Dapef individua, ponendosi almeno tre obiettivi: innalzare la qualità del contesto produttivo in ottica di mercato - ovvero dare più forza a livello di infrastrutture e di servizi promozione di sistemi produttivi locali - che spingano alla cooperazione secondo le logiche di filiera e di distretto ed elimini l’eccessiva frammentazione che a quantità non fa corrispondere qualità produttiva - potenziamento della competitività e orientamento al mercato - irrobustendo le dimensioni
produttive, finanziarie e tecnologiche delle imprese. Se mettere a rete Enti pubblici, Università, strutture di Formazione, Mondo Imprenditoriale, Centri di Ricerca, Parchi Scientifici e Tecnologici sarà uno degli obiettivi finali del triennio, insieme alle sinergie pubblicoprivate e al legame ricerca-innovazione-sostenibilità, ci sono sfide assolutamente immediate che dovranno dare risposta in termini di competitività, nella considerazione che l’allargamento Ue ai Paesi dell’Est Europa e l’assalto di mercati orientali, quello cinese in particolare, impongono nuove strategie e maggiore unità di intenti. Difendersi, in questo caso, significa innalzare il livello qualitativo e tecnologico delle produzioni, “aggredire” i mercati stranieri e richiamare capitali esterni attraverso la delocalizzazione, dando seguito al protocollo di intesa firmato da Regione Basilicata e le Unioni Industriali di Matera e Treviso nel luglio del 2002. Buoni i fermenti rinvenienti dalle diverse aree produttive presenti sul territorio: il Distretto del mobile imbottito è una realtà consolidata, quello industriale agroalimentare del Vulture e quelli relativi al Metapontino e al Pollino potrebbero esserlo
in un futuro ormai prossimo, mentre il Programma Operativo Val d’Agri, Melandro, Sauro, Camastra ha di fatto realizzato in pieno il principio della concertazione con le amministrazioni locali e le parti sociali, inviando un segnale di maturità che si spinge una volta tanto oltre i campanili e gli inutili localismi. Accanto a questi macrofenomeni, la prospettiva triennale può essere affrontata mettendo a fattore comune, in modo trasversale (nel senso geografico) tutti i segmenti tipici dell’economia lucana, ognuno dei quali può e deve portare valore aggiunto al modello Basilicata: dall’agricoltura al turismo, dall’ambiente all’artigianato artistico, favorendo un miglioramento generale nell’accesso al credito e sviluppando politiche formative e informative di sostegno e non di assistenza, di indirizzo e non di sovrapposizione. Se la Basilicata che produce sarà pronta a raccogliere la sfida attraverso questa capacità e i poli di eccellenza continueranno a caratterizzarsi per i primati in termini di export, nessun orizzonte sarà precluso. In caso contrario, il fattore “global” relegherà il “local” al margine del sistema continentale, probabilmente ben prima della frontiera 2006.
... quasi quindicimila scatti, ventidue mesi di lavoro percorrendo l’Italia dal sud al nord per giungere “all’altro mondo”, New York, alla ricerca dei figli di Cristo… ALIANO VISTO DAL BURRONE DOVE SONO IN CORSO I LAVORI DI RICOSTRUZIONE DEL PONTE LA RUOTA, LA CROCE E LA PENNA, INDAGINE FOTO-GIORNALISTICA DI ANTONIO PAGNOTTA A CURA DI GRAZIELLA SALVATORE
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L’AGLIANICO DONO DEI GRECI? THE STRONG LINK BETWEEN BASILICATA AND THE VINE’S PRODUCT IS ONE OF STRONGEST REALITIES OF THIS REGION, WHOSE ROOTS CAN BE FOUND AMONG FIRST INSTALLATIONS OF GREEK COLONIES. AGLIANICO STANDS OUT AS TYPICAL PRODUCT OF VULTURE MELFESE: HERE PLENTY OF FAMILY RUN WINE FARMS EXPORT THE LOCAL ECONOMY AND STRENGTHEN THE REGIONAL IDENTITY.
LEONARDO NELLA
Anche il vino può avere delle storie da raccontare a chi sa ascoltarlo. La strana alchimia della fermentazione alcolica cattura segreti, progetti, amori, tradimenti... racconta di odori, colori, sapori, intuizioni e personaggi, e, ancora, sudori e fatiche che hanno caratterizzato la vita dei nostri vignaioli. Le storie del vino appartengono a tutte le civiltà, ad ogni impero, a momenti di vita sacri e di vita quotidiana, quasi sempre legati a momenti topici di gioia, di ricordi e di voglia di vita. Pochi territori, in Italia, si identificano così profondamente con il vino che si produce come accade alla Basilicata con l’Aglianico. Li unisce un legame
passepartout Jenny Tartaglia 52
fortissimo, che ha origini lontane, addirittura millenarie. Possiamo partire da un dato storico: la colonizzazione dei Greci porta con sè, attraverso le coste ioniche o tirreniche, quello che poi sarà il vitigno ed il vino più rinomato ai tempi dei romani. Sono numerose le opinioni circa l’origine ed il nome di questo vitigno, forse derivante da Ellenico e trasformatosi poi in Aglianico intorno al XVI secolo, quando il Regno di Napoli era sotto il dominio degli Aragonesi. Altri studiosi ritengono che, dall’attento esame dei classici, il punto di partenza sia il Gauranum, indicante uno dei tipi di Falerno, già citato da Plinio ed Ateneo; il nome Aglianico sarebbe poi derivato dalla corruzione degli antichi Gauranico-Giurano trasformatosi poi in Glinico-Glianica, ancora oggi in uso in molti paesi lucani ed irpini. In tutti i casi, in questa regione, un impulso determinante alla viticoltura viene dagli insediamenti delle prime colonie greche, quando il vino diventò oggetto di commercio tra le popolazioni. Citazioni
bile e qualitativo il sistema-Basilicata, prevedendo “l’erogazione di investimenti per elevare le dinamiche del sistema produttivo attraverso un rafforzamento della competitività dei sistemi produttivi regionali in un’ottica di mercato e di concorrenza globale, mediante la realizzazione dei servizi alle imprese e di un contesto territoriale favorevole, anche in una prospettiva di investimenti esterni”. Diversi i nodi strutturali che risultano ancora irrisolti, primo tra tutti una marcata difficoltà a fare rete. Il basso livello tecnologico dei processi produttivi, la limitatezza della gamma dei servizi alle imprese, una marcata sottocapitalizzazione e la non sufficiente integrazione tra agricoltura, trasformazione industriale e commercializzazione sono gli altri punti di criticità che il Dapef individua, ponendosi almeno tre obiettivi: innalzare la qualità del contesto produttivo in ottica di mercato - ovvero dare più forza a livello di infrastrutture e di servizi promozione di sistemi produttivi locali - che spingano alla cooperazione secondo le logiche di filiera e di distretto ed elimini l’eccessiva frammentazione che a quantità non fa corrispondere qualità produttiva - potenziamento della competitività e orientamento al mercato - irrobustendo le dimensioni
produttive, finanziarie e tecnologiche delle imprese. Se mettere a rete Enti pubblici, Università, strutture di Formazione, Mondo Imprenditoriale, Centri di Ricerca, Parchi Scientifici e Tecnologici sarà uno degli obiettivi finali del triennio, insieme alle sinergie pubblicoprivate e al legame ricerca-innovazione-sostenibilità, ci sono sfide assolutamente immediate che dovranno dare risposta in termini di competitività, nella considerazione che l’allargamento Ue ai Paesi dell’Est Europa e l’assalto di mercati orientali, quello cinese in particolare, impongono nuove strategie e maggiore unità di intenti. Difendersi, in questo caso, significa innalzare il livello qualitativo e tecnologico delle produzioni, “aggredire” i mercati stranieri e richiamare capitali esterni attraverso la delocalizzazione, dando seguito al protocollo di intesa firmato da Regione Basilicata e le Unioni Industriali di Matera e Treviso nel luglio del 2002. Buoni i fermenti rinvenienti dalle diverse aree produttive presenti sul territorio: il Distretto del mobile imbottito è una realtà consolidata, quello industriale agroalimentare del Vulture e quelli relativi al Metapontino e al Pollino potrebbero esserlo
in un futuro ormai prossimo, mentre il Programma Operativo Val d’Agri, Melandro, Sauro, Camastra ha di fatto realizzato in pieno il principio della concertazione con le amministrazioni locali e le parti sociali, inviando un segnale di maturità che si spinge una volta tanto oltre i campanili e gli inutili localismi. Accanto a questi macrofenomeni, la prospettiva triennale può essere affrontata mettendo a fattore comune, in modo trasversale (nel senso geografico) tutti i segmenti tipici dell’economia lucana, ognuno dei quali può e deve portare valore aggiunto al modello Basilicata: dall’agricoltura al turismo, dall’ambiente all’artigianato artistico, favorendo un miglioramento generale nell’accesso al credito e sviluppando politiche formative e informative di sostegno e non di assistenza, di indirizzo e non di sovrapposizione. Se la Basilicata che produce sarà pronta a raccogliere la sfida attraverso questa capacità e i poli di eccellenza continueranno a caratterizzarsi per i primati in termini di export, nessun orizzonte sarà precluso. In caso contrario, il fattore “global” relegherà il “local” al margine del sistema continentale, probabilmente ben prima della frontiera 2006.
... quasi quindicimila scatti, ventidue mesi di lavoro percorrendo l’Italia dal sud al nord per giungere “all’altro mondo”, New York, alla ricerca dei figli di Cristo… ALIANO VISTO DAL BURRONE DOVE SONO IN CORSO I LAVORI DI RICOSTRUZIONE DEL PONTE LA RUOTA, LA CROCE E LA PENNA, INDAGINE FOTO-GIORNALISTICA DI ANTONIO PAGNOTTA A CURA DI GRAZIELLA SALVATORE
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La raccolta di fotografie che Antonio Pagnotta ha dedicato ai luoghi, agli oggetti e ai personaggi del “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi in cui ai volti delle nuove generazioni, erede dei personaggi del Cristo, si alternano le immagini immobili dei calanchi e delle case contadine, offre lo spunto a riflettere non solo sui destini di un libro ma sull’evoluzione di un paese legato per sempre a quel libro famoso. Le fotografie di Antonio Pagnotta sono una sorprendente testimonianza di come si possa non solo documentare una realtà ma creare una suggestione letteraria e poetica perché ricostruiscono un’atmosfera che poteva, a giusto titolo, ritenersi svanita e assumono l’autonomia di un saggio: sono in sostanza la continuazione attraverso la fotografia del libro di Carlo Levi, ne costituiscono come poteva accadere nei romanzi a puntate, la puntata che nessuno avrebbe scritto. L’autore è andato alla ricerca dei figli, dei nipoti, degli amici, dei personaggi del Cristo che erano spesso bambini quanto Carlo Levi viveva ad Aliano e ne ha fissato le immagini. Giovanni Russo
ROSSELLA GARAMBONE NIPOTE DEL PODESTÀ DI ALIANO LUIGI GARAMBONE, CHIAMATO NEL LIBRO LUIGI MAGALONE
ANNA VENNERI, AL CENTRO, NIPOTE DI GIULIA MANGO DETTA LA SANTARCANGELESE CON LE SUE DUE FIGLIE A SINISTRA LUCIA E A DESTRA MICHELA
MARIA TERESA VIGNOLA, FIGLIA DI PASQUALE VIGNOLA. NEL “CRISTO” È IL TENENTE DECUNTO
M NDO
BASILICATA
L’AGLIANICO DONO DEI GRECI? THE STRONG LINK BETWEEN BASILICATA AND THE VINE’S PRODUCT IS ONE OF STRONGEST REALITIES OF THIS REGION, WHOSE ROOTS CAN BE FOUND AMONG FIRST INSTALLATIONS OF GREEK COLONIES. AGLIANICO STANDS OUT AS TYPICAL PRODUCT OF VULTURE MELFESE: HERE PLENTY OF FAMILY RUN WINE FARMS EXPORT THE LOCAL ECONOMY AND STRENGTHEN THE REGIONAL IDENTITY.
LEONARDO NELLA
Anche il vino può avere delle storie da raccontare a chi sa ascoltarlo. La strana alchimia della fermentazione alcolica cattura segreti, progetti, amori, tradimenti... racconta di odori, colori, sapori, intuizioni e personaggi, e, ancora, sudori e fatiche che hanno caratterizzato la vita dei nostri vignaioli. Le storie del vino appartengono a tutte le civiltà, ad ogni impero, a momenti di vita sacri e di vita quotidiana, quasi sempre legati a momenti topici di gioia, di ricordi e di voglia di vita. Pochi territori, in Italia, si identificano così profondamente con il vino che si produce come accade alla Basilicata con l’Aglianico. Li unisce un legame
passepartout Jenny Tartaglia 52
fortissimo, che ha origini lontane, addirittura millenarie. Possiamo partire da un dato storico: la colonizzazione dei Greci porta con sè, attraverso le coste ioniche o tirreniche, quello che poi sarà il vitigno ed il vino più rinomato ai tempi dei romani. Sono numerose le opinioni circa l’origine ed il nome di questo vitigno, forse derivante da Ellenico e trasformatosi poi in Aglianico intorno al XVI secolo, quando il Regno di Napoli era sotto il dominio degli Aragonesi. Altri studiosi ritengono che, dall’attento esame dei classici, il punto di partenza sia il Gauranum, indicante uno dei tipi di Falerno, già citato da Plinio ed Ateneo; il nome Aglianico sarebbe poi derivato dalla corruzione degli antichi Gauranico-Giurano trasformatosi poi in Glinico-Glianica, ancora oggi in uso in molti paesi lucani ed irpini. In tutti i casi, in questa regione, un impulso determinante alla viticoltura viene dagli insediamenti delle prime colonie greche, quando il vino diventò oggetto di commercio tra le popolazioni. Citazioni
bile e qualitativo il sistema-Basilicata, prevedendo “l’erogazione di investimenti per elevare le dinamiche del sistema produttivo attraverso un rafforzamento della competitività dei sistemi produttivi regionali in un’ottica di mercato e di concorrenza globale, mediante la realizzazione dei servizi alle imprese e di un contesto territoriale favorevole, anche in una prospettiva di investimenti esterni”. Diversi i nodi strutturali che risultano ancora irrisolti, primo tra tutti una marcata difficoltà a fare rete. Il basso livello tecnologico dei processi produttivi, la limitatezza della gamma dei servizi alle imprese, una marcata sottocapitalizzazione e la non sufficiente integrazione tra agricoltura, trasformazione industriale e commercializzazione sono gli altri punti di criticità che il Dapef individua, ponendosi almeno tre obiettivi: innalzare la qualità del contesto produttivo in ottica di mercato - ovvero dare più forza a livello di infrastrutture e di servizi promozione di sistemi produttivi locali - che spingano alla cooperazione secondo le logiche di filiera e di distretto ed elimini l’eccessiva frammentazione che a quantità non fa corrispondere qualità produttiva - potenziamento della competitività e orientamento al mercato - irrobustendo le dimensioni
produttive, finanziarie e tecnologiche delle imprese. Se mettere a rete Enti pubblici, Università, strutture di Formazione, Mondo Imprenditoriale, Centri di Ricerca, Parchi Scientifici e Tecnologici sarà uno degli obiettivi finali del triennio, insieme alle sinergie pubblicoprivate e al legame ricerca-innovazione-sostenibilità, ci sono sfide assolutamente immediate che dovranno dare risposta in termini di competitività, nella considerazione che l’allargamento Ue ai Paesi dell’Est Europa e l’assalto di mercati orientali, quello cinese in particolare, impongono nuove strategie e maggiore unità di intenti. Difendersi, in questo caso, significa innalzare il livello qualitativo e tecnologico delle produzioni, “aggredire” i mercati stranieri e richiamare capitali esterni attraverso la delocalizzazione, dando seguito al protocollo di intesa firmato da Regione Basilicata e le Unioni Industriali di Matera e Treviso nel luglio del 2002. Buoni i fermenti rinvenienti dalle diverse aree produttive presenti sul territorio: il Distretto del mobile imbottito è una realtà consolidata, quello industriale agroalimentare del Vulture e quelli relativi al Metapontino e al Pollino potrebbero esserlo
in un futuro ormai prossimo, mentre il Programma Operativo Val d’Agri, Melandro, Sauro, Camastra ha di fatto realizzato in pieno il principio della concertazione con le amministrazioni locali e le parti sociali, inviando un segnale di maturità che si spinge una volta tanto oltre i campanili e gli inutili localismi. Accanto a questi macrofenomeni, la prospettiva triennale può essere affrontata mettendo a fattore comune, in modo trasversale (nel senso geografico) tutti i segmenti tipici dell’economia lucana, ognuno dei quali può e deve portare valore aggiunto al modello Basilicata: dall’agricoltura al turismo, dall’ambiente all’artigianato artistico, favorendo un miglioramento generale nell’accesso al credito e sviluppando politiche formative e informative di sostegno e non di assistenza, di indirizzo e non di sovrapposizione. Se la Basilicata che produce sarà pronta a raccogliere la sfida attraverso questa capacità e i poli di eccellenza continueranno a caratterizzarsi per i primati in termini di export, nessun orizzonte sarà precluso. In caso contrario, il fattore “global” relegherà il “local” al margine del sistema continentale, probabilmente ben prima della frontiera 2006.
... quasi quindicimila scatti, ventidue mesi di lavoro percorrendo l’Italia dal sud al nord per giungere “all’altro mondo”, New York, alla ricerca dei figli di Cristo… ALIANO VISTO DAL BURRONE DOVE SONO IN CORSO I LAVORI DI RICOSTRUZIONE DEL PONTE LA RUOTA, LA CROCE E LA PENNA, INDAGINE FOTO-GIORNALISTICA DI ANTONIO PAGNOTTA A CURA DI GRAZIELLA SALVATORE
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M NDO
LUCIANO MASSARI
BASILICATA
sulla vite si hanno nelle Odi di Orazio e negli scritti di Plinio il Vecchio, a riprova della popolaritĂ assunta. Nel XVI secolo il vino Aglianico viene citato nella corrispondenza del cardinale Sforza, nei trattati di Prospero Rendella e, nel 1870 Ottavio Ottavi, presentando i vini prodotti nel circondano della Basilicata, ritiene migliore “quello prodotto in MelďŹ ed utilizzato soprattutto come vino da taglio e richiesto dai cantinieri di Napoli per correggere e migliorare i loro debolissimi viniâ€?. Andrea Bacci (XVI), autore del famoso trattato De naturalis vinorum historia, scrive di questo vino che “ha considerevole forza, soprattutto quello che si ottiene dalle vendemmie secche e non umide e che si conserva in ottimi vasi, diventa infatti succoso e profumato, gradevole al gusto, dolcissimo e stabile, è perciò assai nutriente, atto a rinvigorire lo stomaco e le altre membraâ€?. Ferdinando di Borbone, Paolo III, Carlo D’Angiò, ordinavano “per le proprie mense e per li dignitari di corte 400 some
del buon vino del Vultureâ€?. Qualunque sia l’origine del nome, certo è che si tratta di un antico ed importante vitigno che trova nell’area del Vulture e nei suoi terreni collinari vulcanici condizioni pedoclimatiche favorevoli per il suo habitat ideale, quello che gli consente l’espressione estrema di tutte le sue potenzialitĂ . Ne hanno ben compreso l’importanza, all’inizio del secolo scorso, le case vinicole: a conduzione familiare, con un’attivitĂ che si tramanda di padre in ďŹ glio, erano attorniate - e lo sono ancora - da numerosissimi piccoli viticoltori che producono vino per l’autoconsumo. Ăˆ la stessa struttura urbanistica dei paesi
L’EXPORT LUCANO
Le Cantine del Notaio
Conosciamo le nostre aziende
L’azienda vinicola è nata nel 1998 con vigneti in diversi comuni del comprensorio del Vulture, con impianti ad alta densità (5000 ceppi per ettaro) e basse rese (70 quintali per ettaro), addirittura inferiori a quelle stabilite dal disciplinare di produzione. Il clima e le caratteristiche geologiche del territorio del Vulture, la selezione attenta dei cru, la grande professionalità del titolare nella conduzione dei vigneti, Gerardo Giuratrabocchetti, l’abilità dell’enolo-
Ăˆ un vero e proprio viaggio all’interno dei sapori di Basilicata quello che accompagna l’enoturista sulle strade del vino. Il paesaggio invita ad una sosta prolungata. Un viaggio dai tempi lunghi, insomma, per il turista di qualitĂ , che Mondo Basilicata intende riassumere con informazioni di servizio per chi volesse contattare gli imprenditori del settore.
del Vulture, del resto, a testimoniare l’importanza che l’Aglianico ha sempre avuto per l’economia di queste terre: nei paesi dell’area, ed in particolare a Barile, c’è un’innumerevole presenza di piccole cantine, scavate nel tufo e utilizzate dagli agricoltori per viniďŹ care e conservare i vini. A Rionero, poi, troviamo ancora alcuni
go Luigi Moio nella realizzazione di grandi vini, sono i principali motivi che hanno portato a risultati di notevole importanza in pochi anni questa bella e giovane cantina, caratterizzata da dieci suggestive grotte di tufo vulcanico risalenti al 1600 che fungono anche da grande richiamo per gli enoturisti. La produzione, limitata a tre sole etichette, consente di seguire accuratamente l’intero ciclo produttivo e di raggiungere standard 53
ARCHIVIO DONATO MAZZEO
agglomerati a grappolo di incavi e cantine sottostanti il piano stradale; ancora oggi vi sono dei rioni costituiti da sole cantine. La commercializzazione del vino era un’attività svolta anche da piccoli viticoltori, che vendevano a commercianti veneti, piemontesi e campani per il taglio dei propri vini. A partire dagli anni venti cominciano a sorgere le prime cantine, che di seguito definiremo storiche (D’Angelo, Napolitano, Paternoster, Sasso), le prime ad operare una stratificazione aziendale in campo vinicolo nell’area del Vulture. Negli anni cinquanta si assiste alla nascita di
qualitativi elevati con tutti e tre i prodotti, richiestissimi in tutto il mondo: “Lo scenario complesso della congiuntura internazionale ci obbliga a tenere gli occhi sempre ben aperti - spiega Giuratrabocchetti - ed è per questo che la nostra azienda preferisce rimanere su più mercati anche se con piccole quantità. Certo è che da quando la ‘locomotiva’ statunitense ha rallentato, i contraccolpi sono stati evidenti, ma non ci siamo mai abbattuti. Aspettiamo fiduciosi la ripresa, con la consapevolezza che la sfida continua a gio54
cooperative di trasformazione e commercializzazione dell’uva, in grado di svolgere un’importante funzione sociale oltre che economica nell’area (Cantina Sociale del Vulture, Cantina della Riforma Fondiaria di Venosa e Cooperativa Basilium di Acerenza sono cooperative di primo livello in grado di associare numerosi piccoli produttori, ed il Consorzio Viticoltori Associati del Vulture a Barile, una Cooperativa di 2° livello che riunisce in sè alcune delle precedenti), che mettendosi insieme riescono ad assumere un maggior potere contrattuale con i commercianti “forestieri”, che fino a quel momento avevano determinato il prezzo d’acquisto delle uve e dei vini. Dagli anni ‘50 fino alla fine degli anni ’80, non nascono nuove realtà
imprenditoriali nel settore del vino, mentre dagli anni ’90 in poi, gruppi imprenditoriali extraregionali decidono di collocare in questa area le loro aziende vitivinicole. Lo scenario vinicolo regionale si è quindi profondamente modificato nell’ultimo quinquennio: grande impulso è stato dato al settore dalle aziende “storiche” - che hanno saputo promuovere e valorizzare, a livello nazionale e internazionale, l’Aglianico - mentre le realtà produttive pluridecennali tendono alla verticalizzazione della filiera attraverso l’acquisto di vigneti e la gestione diretta di tutte le attività connesse, dalla fase agricola alla commercializzazione; le cantine cooperative continuano a svolgere il loro ruolo associativo, oltre che a fornire servizi a quanti non dispongono di strutture di trasformazione e si sono ritagliati un ruolo nella commercializzazione del prodotto. Sorgono infine nuove aziende vinicole e nuove cooperative, a dimostrazione di come il settore sia in costante crescita.
carsi sulla qualità e non sul prezzo. E se dall’estero continuano a richiedere e prenotare con grande anticipo il vino prodotto nelle Cantine del Notaio, nonostante la crisi in atto, significa evidentemente che le scelte dettate dal coraggio e dalla coerenza pagano sempre. (V.V.)
www.cantinedelnotaio.com e-mail: gerardo.giura@tin.it Proprietà: Gerardo Giuratrabocchetti (agronomo) Enologo: Prof. Luigi Moio Ettari vitati: 25 Bottiglie prodotte: circa 45.000
LE CANTINE DEL NOTAIO Via Roma, 171 - 85028 Rionero in Vulture (Pz) Tel. 0039 0972 717111 Fax 0039 0972 717140
La produzione: Aglianico del Vulture La Firma, Aglianico del Vulture Il Repertorio, L’Autentica Mercati di riferimento: Usa, Svizzera, Germania, Inghilterra, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Estonia, Giappone, Nuova Zelanda
M NDO
BASILICATA Attualmente i produttori vinicoli che esportano non hanno l’obbligo di dichiarare la destinazione delle bottiglie vendute all’estero. L’unico elenco di questo tipo è l’albo del marchio INE - Marchio Nazionale di Esportazione - tenuto presso le Camere di Commercio provinciali e istituito “per il controllo di tipo documentale sui vini e sui vermut destinati all’export verso gli Stati Uniti, Messico e Canada, ovvero per verificare la conformità della etichettatura alle norme UE, italiana ed americana”. Sulle etichette dei vini debbono infatti figurare la marcatura di origine, la gradazione alcolica, il contenuto netto oltre eventuali indicazioni sul tipo di vino. L’iscrizione a questo albo è obbligatoria soltanto per gli esportatori di vini venduti nel Nord America. Per la Basilicata, l’elenco si riferisce solo alla provincia di Potenza, poiché alla CCIAA di Matera c’è una sola pratica in itinere ma nessuna iscrizione all’Albo.
Nowadays wine exporters are not bound to declare the destination of the bottles sold abroad. At the moment, the only register of exporters is the INE Brand Register - National Export Brand (INE), held by the local Chambers of Commerce. It has been established ‘as a means of documentary control on wines and spirits exported to USA, Mexico, Canada as well as of their conformity to EU, American and Italian labelling rules’. Indeed, further to additional information about the wine types, wine labels have to mention the country of origin, their alcoholic degree and the net content. Only for wines exported to North America is this registration mandatory. As far as Basilicata is concerned, the register refers to Potenza and its area, since currently at the Matera Chamber of Commerce only a file is being processed, but no official registration has been made yet.
Elenco Imprese Lucane Marchio I.N.E. Azienda Agricola Fucci Elena • C. da Solagna del Titolo • Barile • Tel. 0972 770736 Cantine Di Palma s.r.l. • Via Potenza, 13 • Rionero in Vulture • Tel. 0972 722515 • cantinedipalma@tin.it edildip@tiscalinet.it Terre degli Svevi s.r.l. • Località Piano di Camera • Venosa • Tel. 0972 35253 • n.capurso@giv.it Candida Olearia di Gentile Pasquale & C. s.n.c. • Via Vittorio Emanuele, 404 • Ripacandida • Tel. 0972 644242 info@oliogialloro.it • www.oliogialloro.it Vini Conte di Luigi Conte • Largo Occidentale, 7 • Venosa • Tel. 0972 36283 • vini_conte@hotmail.com Cantina Sociale del Vulture • Località San Francesco • Rionero in Vulture • Tel. 0972 721062 Tenuta Le Querce s.r.l. • Via Appia, 123 • Potenza • Tel. 0971 470709 • www.tenutalequerce.com tenutalequerce@tin.it Azienda Agricola Basilisco di Nunzia Calabrese • Via Umberto I, 129 • Rionero in Vulture • Tel. 0972 720032 basilisco@interfree.it Cantine del Notaio di Gerardo Giuratrabocchetti • Frazione Cerentino • Maschito • Tel. 0972 33495 Azienda Agricola Eubea Famiglia Sasso • Via Roma, 209/b • Rionero in Vulture • Tel. 0972 723574 Azienda Vinicola F.lli Napolitano di Napolitano Giulio s.a.s. • Via Matteotti, 40 • Rionero in Vulture Tel. 0972 721040 • www.vininapolitano.it • info@vininapolitano.it Azienda Agricola Pisani di Pisani Raffaele • C. da San Lorenzo • Viggiano • Tel. 0975 352603 www.vinibiologicipisani.it • info@vinibiologicipisani.it Cantine Sasso s.r.l. • Via Appia, 123 • Potenza • Tel. 0971470709 Giacobazzi Juice s.p.a. • Via San Nicola, 16 • Melfi • giacoba@tin.it Cantina Cooperativa della Riforma Fondiaria S. C. a r.l. • Località Vignali San Felice • Venosa •Tel. 0972 36702 www.cantinadivenosa.it • info@cantinadivenosa.it Casa Vinicola Francesco Sasso di Di Lonardo Emilia • Via Roma, 207 • Rionero in Vulture • Tel. 0972 723352 Covit Soc. Coop. a r.l. • Via Vittorio Emanuele • Acerenza • Tel 0971 741449 Consorzio Viticoltori Associati del Vulture • S.S. 93 • Barile • Tel. 0972 770386 • coviv@tiscalinet.it Armando Martino • Via Lavista, 2 • Rionero in Vulture • Tel. 0972 720005 • martinovini@tiscalinet.it g.martino@tiscali.it F.lli D’Angelo • Via Provinciale n. 8 • Rionero in Vulture • Tel. 0972
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RISTORANTI LUCANI NEL MONDO AMBASCIATORI DEL BUON GUSTO THE RE-DISCOVERY OF LOCAL COOKING IS A WAY TO FOLLOW UP THE ITINERARIES OF BASILICATA REGION.THE PURPOSE OF THE INSTITUTIONS IS ACTUALLY THE PROMOTION OF REGIONAL TASTES AND THEIR ACKNOWLEDGMENT AS “ETHNICAL COOKERY”. THIS INTENTION IS ALSO CLEAR BEHIND THE AWARD FOR REGIONAL COOKING AIMING AT EXPLOITING AND ADVERTISING LOCAL PRODUCTS.
Michele Brucoli 56
Pasta di semola e grano duro fatta a mano, secondi piatti di carne con contorni di patate o di “diavulicchi”, baccalà cotto al forno con verdure o con i peperoni “cruschi” e, poi, funghi cardoncelli e porcini arrostiti: sono solo alcuni dei piatti di cui si fregia la cucina lucana. Echi di vecchie tradizioni si ritrovano nelle minestre o nelle zuppe (le prime con paste, le seconde con pane raffermo): “l’acqua sala”, per esempio, è il piatto che la leggenda popolare vuole condito con olio aglio peperoncino e abbinato alle uova in camicia. In realtà, l’arte culinaria in Basilicata si articola in una miriade di varianti che contribuiscono a creare una cucina “povera” solo nella materia prima. Tante sono le seduzioni che ne alimentano il carattere vigoroso. Piatti preparati secondo l’antico uso che, a volte, vengono, anche, abbinati a sapori inediti per formule sorprendenti apprezzati anche dai palati più esigenti. Da alcuni anni la Regione Basilicata, tramite il dipartimento Agricoltura, ha avviato un progetto che tende a divulgare la cultura alimentare all’estero, qualificandola come una vera e propria cucina etnica. Tante le iniziative, alcune già svolte, come quella in Germania “Il mondo viene a Berlino. Fiabe, miti,
Mediterraneo” e le partecipazioni ad eventi e fiere come quella di Colonia “Fiera Anuga”, la più grande manifestazione a livello mondiale, e tante altre in cantiere che tendono a far trionfare la cucina lucana. Fino agli anni settanta perdura il periodo della grande commistione: il ristorante italiano raccoglie diverse tradizioni locali, modifica alcune ricette sulla base dei prodotti che trova, aspira a diventare la trattoria familiare a poco prezzo, al punto che alcuni grandi ristoranti italiani di successo si nascondono sotto un nome francese e cercano di apparire come ristoranti internazionali, per non essere confusi con le trattorie o le pizzerie con la tovaglia a scacchi biancorossi. Negli anni ’70 la ristorazione italiana all’estero diventa una realtà, tanto da sostituire i più noti ristoranti francesi. È un momento d’oro. Nel 1979 la svolta: un Sottosegretario dell’aviazione civile del Governo italiano immagina di poter utilizzare le comunità italiane all’estero per gestire meglio i voli charter diretti in Italia, che sono monopolizzati da società straniere. Per raggiungere questo scopo, cerca di organizzare un Congresso dei Ristoranti Italiani all’estero. Il Congresso si tiene, nel 1981, a Roma, ed è subito un grande successo. Ma il risultato più importante è psicologico. I ristoratori, dopo essersi incontrati e riconosciuti, vogliono migliorarsi e perfezionare il loro prodotto: vogliono scuole, un codice della cucina italiana che condanni le infiltrazioni e le cadute di stile, prodotti garantiti nella qualità
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BASILICATA
e non quelli che si rifilavano ai mercati stranieri di seconda scelta. Pertini, grande Presidente, darà il suo contributo all’entusiasmo. Nell’incontro con i ristoratori, al Quirinale dice: “Qui c’è il primo Ristorante Italiano nel mondo, perché ho abolito la cucina internazionale e francesizzante ed ho ordinato cucina italiana con vini italiani. Vi nomino Ambasciatori dell’Italia nel Mondo”. La regione Basilicata, consapevole dell’importanza di una cucina doc, in grado di offrire garanzie di genuinità, originalità e qualità continua ad investire risorse per sostenere questo progetto. Il Dipartimento Agricoltura, ha deciso di giocare una carta importante attraverso i suoi ristoratori all’estero, istituendo un Premio - “Il ristorante lucano nel mondo” - che sta crescendo e trovando sempre nuove adesioni da parte degli operatori del settore. Alla base del Premio vi è l’esigenza di creare un’immagine comune dell’agroalimentare regionale, promovendola a livello nazionale ed internazionale e legandola al turismo e alla cultura. Nel corso della realizzazione di queste attività sono nati interessanti rapporti di collaborazione con ristoranti e operatori commerciali lucani dell’agroalimentare che operano fuori dai confini regionali. Sono 169, infatti, i ristoranti tipici lucani. Di questi, ben 31 ne sono in Germania. Qui, sia le produzioni agroalimentari, sia l’enogastronomia lucana
trovano sempre di più il favore dei consumatori. Insomma, la Regione ha voluto mettere in piedi un progetto di ricognizione della ristorazione lucana nell’ambito degli Accordi di programma per la internazionalizzazione con il Ministero delle Attività produttive e con l’Istituto commercio con l’Estero. Diversi gli obiettivi: censire i ristoranti lucani nel mondo e incoraggiarne l’apertura di nuovi; qualificare la cucina lucana come una vera e propria cucina etnica; stimolare l’acquisto di prodotti agroalimentari tipici; aumentare la notorietà di tali prodotti attraverso il canale di ristorazione tipica; unire i canali della produzione e della ristorazione, quindi della commercializzazione all’estero (cosa che è avvenuta in Germania, con l’istituzione di un’associazione di lucani a Berlino costituita per la quasi totalità da ristoratori lucani). Il Progetto funziona e fa da traino alle altre attività produttive lucane (per questo c’è il pieno coinvolgimento dell’omonimo Dipartimento regionale) e funge da sperimentazione, da modello pilota per altre realtà regionali, tanto che la Regione Basilicata potrebbe presto proporsi come capofila di un progetto nazionale di valorizzazione della ristorazione regionale. È il giusto riconoscimento all’applicazione di politiche attente, ma è anche una gratificazione immensa per chi ha contribuito, negli anni, con la fatica quotidiana, ad elevare il tono della cucina lucana nel mondo.
Sesta edizione “Ristoranti lucani nel mondo” Matera 20/21 settembre 2003 La Sesta edizione della manifestazione si è svolta interamente nei Sassi di Matera. Il ristorante “La fattoria Am See” ubicato a Mecherinch-Hommern in Germania è risultato vincitore della categoria “mondo”, Antonio Tucci, il proprietario, è nato a Cirigliano (Mt). Il ristorante “La Campana” di San Lazzaro di Savena, in provincia di Bologna, fondato da Antonio Targiani, originario di Tursi (Mt), è risultato il vincitore della categoria “Italia”. Il premio categoria “Basilicata” è stato conferito al ristorante “Due Torri” di Potenza, di Donato Buchicchio, originario di Anzi (Pz). REGIONE BASILICATA Dipartimento Agricoltura e Sviluppo Rurale Struttura di Marketing Agroalimentare Via Dante 75100 Matera Tel. +39.0835 284299 Fax 0835284250 agromktg@regione.basilicata.
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La “Drogheria della Rosa” a Bologna generosi, ben predispone ad assaporare le genuine e, nello stesso tempo, ricercate creazioni culinarie di Emanuele. Le ricette che offre il ristorante rimandano ad un’antica tradizione tutta lucana, sapientemente rielaborate dall’estro creativo dello chef. L’attenzione riservata alla qualità degli ingredienti, tra i quali i gustosi fagioli di Sarconi, e la passione per la pasta, rigorosamente fatta a mano dal giovane Francesco Guerra, oltre all’accoglienza spontanea e familiare del gestore mettono il cliente a proprio agio, facendolo sentire come se fosse a casa. Grande importanza è riservata ai vini, scelti con cura da Emanuele in una cantina ricca di svariate etichette, tra le quali non possono mancare i rossi corposi del Vulture che esaltano il gusto delle pietanze. (R. N.)
LA SCHEDA CHI Emanuele Addone DOVE Via Cartoleria,10 - Bologna Tel. 051 222529 COME ARRIVARE dalle Due Torri, attraversando Piazza Santo Stefano, proseguire lungo l’omonima via fino ad incrociare sulla destra Via Cartolerie. Percorrendo 50 metri, fin sotto il portico si giunge all’antica Drogheria della Rosa. CHIUSURA domenica, 10/27 agosto e 1/6 gennaio ORARI 12.30/15.00 - 20.00/22.30 CONTO 35.00/ 45.00 bevande incluse COPERTI 45/50 ROSARIA NELLA
Quella che una volta era un’antica drogheria bolognese, situata nel cuore della città emiliana, poco distante da piazza Santo Stefano, grazie all’intuito di Emanuele Addone, insieme gestore e chef del locale, è diventato uno dei ritrovi più ricercati dai palati raffinati, bolognesi e non. Tra gli ospiti più illustri, il neo governatore della California, Arnold Schwarzenegger. L’ingresso della Drogheria della Rosa nasconde la vera destinazione del locale. La vetrina, nella quale sono esposti oggetti particolari che rimandano più ad un antico rigattiere che ad un tipico ristorante, introduce ad un ambiente del tutto particolare. La saletta, resa calda e suggestiva dagli arredi in legno e dalle pareti tappezzate di quadri, stampe antiche e cimeli ereditati da clienti
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ROSARIA NELLA
BASILICATA
la ricetta
recipe
BACELLI DI PASTA CON FAGIOLI DI SARCONI I° piatto Cooking-Cup Venezia
BACCELLI DI PASTA (Pods of Pasta) WITH BEANS FROM SARCONI
Dosi per 4 persone
1st “Cooking Dish”, Cooking Cup Venezia
Per la crema 200 g Fagioli di Sarconi, olio extravergine di oliva di Barile, 1 costa di sedano, 1 carota, 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 1 foglia d’alloro Per il condimento n°4 capesante, n°12 scampi freschi, 1/2 kg di vongole veraci, 1/2 bicchiere di vino bianco del Vulture, olio extravergine di oliva di Barile, sale Procedimento Preparare una sfoglia all’uovo con la farina di semola. Lessare i fagioli con tutti gli odori in acqua fredda. Ricreare il bacello con rettangoli di sfoglia sui quali adagiare i fagioli interi, precedentemente bolliti. Cuocere separatamente il pesce tenendo da parte l’eventuale acqua di cottura. Preparare la crema con i rimanenti fagioli lessati. Cuocere i bacelli in abbondante acqua bollente e salata e saltarli con un po’ dell’intingolo di cottura del pesce. La pasta ed il pesce vanno adagiati a raggiera sulla crema calda. Prima di servire, sgranare un po’ di pepe nero e condire con un filo d’olio extravergine d’oliva.
Dose for 4 people For the dough 400 g fine flour 4 eggs, rolling pin
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Per la sfoglia 400 g di farina di semola, 4 uova, sale
For the cream 200 g Beans from Sarconi, olive oil from Barile, 1 rib of celery, 1 carrot, 1 onion, 2 cloves of garlic, 1 leaf of laurel For the Seasoning 4 capesante (shellfish) 12 fresh scampi, 1/2 kg of clams, 1/2 glass of white wine of Vulture, olive oil from Barile, salt Procedure Prepare a layer with the dough. Boil in cold water the beans with all the herbs. Make the “pods” with rectangles from the layer and place the boiled beans on them cook the fish separately and keep some boiling water Prepare the cream with the remaining boiled beans. Boil the pods in abundant salted water and add some sauce from the fish. Pasta and fish shall be placed on the hot cream. Before serving add some black pepper and olive oil.
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NASCE IN BASILICATA LO SPORTELLO “SPRINT” Nell’ottica del processo di internazionalizzazione delle imprese in atto in tutto il Paese, anche la Basilicata si sta attrezzando per attivare misure di sostegno allo sviluppo delle esportazioni. In questa logica è stato istituito lo “SPRINT”, Sportello regionale per l’internazionalizzazione delle imprese della Basilicata, con l’obiettivo primario di assicurare un collegamento tra le imprese operanti sul territorio e l’Amministrazione centrale. Alla base della costituzione di questo nuovo ed utile strumento vi è la firma
del Protocollo Operativo da parte del Ministero delle Attività Produttive, della Regione Basilicata, dell’Istituto per il Commercio Estero, della Società Italiana per le imprese all’estero, dell’Unione delle Camere di commercio della Basilicata e di Sviluppo imprese della Basilicata. Lo sportello, quale unità di decentramento operativo, si articola in una Sede Amministrativa, ubicata a Potenza presso la Regione Basilicata e in Sportelli Provinciali ubicati presso le Camere di Commercio di Potenza e Matera.
Tipologia dei servizi dello Sportello Regionale per l’Internazionalizzazione delle Imprese Primo Livello Servizi informativi • Opportunità di affari attraverso le banche dati europee; o l’Istituto per il Commercio Estero; • Opportunità di affari e rapporti di cooperazione con i paesi extra U.E. segnalati dai centri di assistenza alle imprese e dalle Agenzia di sviluppo create dall’U.E. nell’Europa dell’Est, in America Latina e in Asia; • Accesso alle agevolazioni pubbliche in materia di internazionalizzazione gestite dalla SIMEST (Istituto per i servizi Assicurativi del Commercio Estero); • Strumenti di copertura assicurativa per i rischi all’esportazione; • Programmi comunitari per l’internazionalizzazione delle PMI; • Programmi per l’internazionalizzazione delle PMI attuati dagli organismi finanziari internazionali; • Regolamentazioni vigenti in materia doganale, valutaria e fiscale nei paesi esteri; • Standard tecnici e/o qualitativi applicati alle merci importate da parte dei paesi esteri; • Trattamento giuridico degli investimenti nei paesi esteri; • Costituzione di società all’estero. Servizi promozionali • Ricerca partners; • Partecipazione a fiere e missioni all’estero; • Borse della cooperazione e della sub fornitura;
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Un’altra importante attività che questo organismo eserciterà è quella della comunicazione sui servizi erogati dall’Amministrazione centrale in materia di internazionalizzazione delle imprese: saranno creati collegamenti tra i siti internet del Ministero dell’Industria, della Regione e degli Enti firmatari e verranno realizzati materiali informativi e divulgativi finalizzati all’internazionalizzazione. Tra le altre funzioni vi è quella di rappresentare un centro di contatto unico per le Piccole e Medie Imprese,
• Studi e analisi per aree paese; • Attività di scouting e penetrazione sui mercati esteri (attraverso studi ed indagini su quei mercati che presentano maggiori opportunità di interscambio e collaborazione economica).
Secondo Livello Assistenza personalizzata • Programmi di marketing mix; • Analisi sul singolo mercato per valutarne il contesto operativo, il grado di ricettività dei prodotti dell’azienda, la fattibilità dei progetti che l’azienda intende realizzare; • Ricerca partner finalizzati ad affiancare l’azienda nel corso del suo inserimento nei mercati esteri; • Supporto all’azienda per la predisposizione di piani pubblicitari, presentazione di prodotti esteri; • Organizzazione per conto dell’azienda di incontri, seminari, missioni.
Terzo Livello - Implementazione delle iniziative in materia di internazionalizzazione dell’economia lucana Contatti Responsabile dello Sportello Dott. Rosario Adriano Abiusi, dirigente dell’Ufficio Strumenti di Programmazione, ricerca Scientifica ed Innovazione Tecnologica del Dipartimento Attività Produttive e Politiche dell’Impresa della Regione Basilicata. Vincenzo Canora, Dipartimento AA.PP. e Politiche dell’Impresa Ufficio Strumenti di Programmazione, Ricerca Scientifica ed Innovazione Teconologica Tel. 0971 668603 - vicanora@regione.basilicata.it
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BASILICATA SPRINT COUNTER (REGIONAL COUNTER FOR FIRMS INTERNATIONALISATION IN BASILICATA) HAS BEEN SET UP BY DIPAR TIMENTO ATTIVITÀ PRODUTTIVE (DEPAR TMENT OF PRODUCTIVE ACTIVITIES). ITS PURPOSE IS TO CREATE A COOPERATION BETWEEN LOCAL FIRMS AND THE CENTRAL ADMINISTRATION. INTERNET LINKS WILL BE ESTABLISHED BETWEEN MINISTR Y FOR INDUSTRY, REGION AND INVOLVED BEINGS; INTERNATIONALISATION WILL BE PROMOTED THROUGH ADVER TISING AND INFORMING ACTIVITIES . per ottenere assistenza sulle modalità di accesso e di utilizzo degli strumenti promozionali e assicurativi esistenti, nonché sulle agevolazioni finanziarie disponibili sia a livello regionale che nazionale ed europeo. Non mancherà anche la consulenza in materia legale, fiscale ed amministrativa oltre che la funzione di supporto e guida nella selezione dei mercati esteri, nella scelta dei partner in progetti di investimento ecc. La scelta di costituire questo Sportello rientra senza dubbio nel più ampio
meccanismo di riforma attuato dalla modifica del Titolo V della Costituzione che individua le materie di competenza concorrente tra la Regione e lo Stato. Non a caso una delle finalità del nuovo strumento è quella di attuare un coordinamento della politica di commercio estero e di internazionalizzazione sia in ambito infra regionale tra tutti i soggetti che operano nel campo dell’internazionalizzazione, sia nei rapporti tra Amministrazione centrale e regionale. I servizi in via di attivazione e che saranno progressiva-
Regional Unit for the Internationalisation of Enterprises - Types of services First Level Information support • Business opportunities through European banks. • Business opportunities through FCI ( Foreign Commerce Institute) • Business and cooperation opportunities with some non EU countries recommended by enterprise support centres and development agencies established in South America and Asia by the EU. • Admittance to public financial reductions managed by Simest (Insurance Institute for foreign Business) • Insurance against export risk • EU schemes for the internationalisation of SMEs • EU schemes promoted by international financial institutions • Current customs, fiscal and currency regulations in foreign countries. • Technical and/or quality parameters for goods imported from non EU countries • Law consultancy on investments in foreign countries • Establishment of enterprises in a foreign country. Promotion services • Search for partners • Participation to Expos and missions abroad ; • Funds for cooperation and sub-supplying activities • Studies and surveys by areas/countries; • Exploration and penetration of foreign markets (based on the analysis of the markets which appear more promising as far business exchanges and cooperation are concerned)
mente accessibili presso lo Sportello della Basilicata sono quindi in linea con il contesto in cui operano le PMI lucane. Tre saranno i livelli di intervento, il primo caratterizzato da una subitanea assistenza per quanto riguarda l’aspetto informativo e quello promizionale; il secondo, che prevede un’assistenza personalizzata alle imprese che ne facciano richiesta; il terzo, che consiste in una implementazione delle iniziative in materia di internazionalizzazione dell’economia lucana. (Vincenzo Canora)
Second Level Tailor-made assistance • Marketing mix programmes; • Market analysis aiming at evaluating the operative context, the potential demand for the proposed products and the feasibility of the proposed plans • Search for partners supporting the firm during its launch into the foreign market • Advertising campaigns and product launch counselling • Meetings, seminars and missions arranged on behalf of the enterprise
Third Level - Implementation of schemes aiming at internationalising economic activities in Basilicata For further information please contact Dott. Rosario Adriano Abiusi, Unit Responsible, Manager of the Planning, Scientific Research and Technological Innovation Unit, Production Activities and Business Policy Department of the Basilicata Region. Vincenzo Canora, Planning, Scientific Research and Technological Innovation Unit, Production Activities and Business Policy Department of the Basilicata Region Tel.+ 39 0971668603 e-mail address: HYPERLINK mailto:Vicanora@regione.basilicata.it Vicanora@regione.basilicata.it Cooperation among all the subjects involved in the scheme, diffusion on the regional areas and tailor-made approach to meet different needs will characterize the above services. A help desk will be found in each Unit branch in order to provide general information.
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LA BASILICATA FIRMA TONY VECE
LE PRIME INTESE COMMERCIALI Cinzia Spera La Regione Basilicata ha deciso di allargare i propri orizzonti e di uscire dai confini regionali e nazionali nel campo delle attività produttive, commerciali, imprenditoriali, rivolgendo uno sguardo alle esperienze internazionali. In quest’ottica si inquadra la firma di una serie di protocolli di intesa tra la Basilicata e diversi Paesi europei e d’oltreoceano. Rafforzare gli scambi tra l’Uruguay e la Basilicata è uno degli obiettivi fissati in un incontro tra il Presidente del Consiglio Regionale Aldo Michele Radice e una delegazione di imprenditori uruguayani del Dipartimento di Paysandù. Gli imprendintori uruguayani hanno palesato la volontà di mantenere vivo il legame culturale ed economico tra i lucani che si sono trasferiti da anni nello Stato sudamericano e la propria terra d’origine, considerata anche l’enorme potenzialità di sviluppo del territorio lucano. Sono circa trentamila i lucani che vivono nella regione di Paysandù, un distretto agricolo estremamente fertile, ma nel quale le aziende stentano a reggere il peso dei mercati. Di qui il ricorso ad una collaborazione con la Basilicata, al fine di creare una sinergia di azioni che diventi reciproco scambio di esperienze, sviluppo delle informazioni, realizzazione di progetti formativi, organizzazione di eventi, fiere, mostre, mercati. Tra le ipotesi di cooperazione avanzate dal Presidente Radice trova spazio il coinvolgimento di tecnici lucani esperti in agricoltura, in grado di esportare i risultati della ricerca e soprattutto gli esiti delle esperienze produttive fino ad oggi maturate. Ci si riferisce, in special modo, all’agricoltura biologica: le positive esperienze maturate in Basilicata possono costituire un’importante traccia di lavoro e un valido supporto per il Centro uruguayano
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di agricoltura biologica. Per rendere fruttuoso questo tipo di collaborazione, secondo la riflessione del Presidente della Seconda Commissione Consiliare Permanente, Gerardo Mariani, presente alla firma del Protocollo d’Intesa, non bisogna limitarsi ad un mero scambio di esperienze o ad un semplice movimento di merci e prodotti: va incentivato un sistema concreto di interazione tra diverse realtà, rendendo disponibile e fruibile la risorsa umana, l’unica in grado di gestire, veicolare e mettere a frutto le risorse materiali. I vantaggi delle collaborazioni tra Paesi diversi hanno senza dubbio un carattere di bilateralità - secondo l’analisi del Presidente della Terza Commissione Consiliare Permanente, Francesco Mollica, soprattutto nell’ottica dell’abbattimento delle barriere doganali. Ciò che più conta, inoltre, è coniugare il basso costo delle materie prime e della forza lavoro presente in Uruguay con i risultati avanzati della ricerca ottenuti in Basilicata. Ipotesi di scambi internazionali commerciali si profilano anche verso il Canada. Sempre il Presidente del Consiglio Regionale di Basilicata ha firmato una bozza di proposta di collaborazione con il Presidente della Camera di Commercio Italiana in Canada, Emanuele Triassi. Si prevede la promozione e l’organiz-
zazione di eventi fieristici, la gestione di workshop e studi di mercato, l’assistenza alle imprese. L’intento è quello di coinvolgere settori pubblici e privati in progetti fieristici e di commercializzazione, ma anche di formazione. La Camera di Commercio italiana in Canada si impegna ad assistere la Regione Basilicata e a tutelarne gli interessi in Canada tramite l’istituzione di un servizio di rappresentanza che si impegni a promuovere l’attività economica della Basilicata. Ancora nel quadro dell’internazionalizzazione delle imprese lucane, bisogna ricordare la firma di un memorandum d’intesa tra i Presidenti ed i rappresentanti eletti dei Consigli Regionali di Toscana, Molise, Emilia Romagna, Basilicata, Sicilia, e i Consigli di Contea della Romania. La prospettiva è quella di stabilire una proficua collaborazione al fine di realizzare progetti di partenariato in materia di funzionamento delle Assemblee regionali e dei Consigli di Contea. Tali iniziative, dunque, evidenziano lo sforzo che sta compiendo la Basilicata per adeguarsi al processo di crescente globalizzazione dei mercati, fenomeno che impone una massiccia presenza all’estero delle Regioni che, ormai, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, hanno acquisito maggiori responsabilità anche in questo contesto.
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VIAGGIO NELLA TERRA DEI NONNI Alla fine, sono andati via pensando che forse ci ritorneranno nella terra dei nonni, almeno alcuni di loro lo hanno immaginato e detto. Altri, in Basilicata, già c’erano stati e ogni qual volta che s’innesca l’incontro tra loro e il luogo delle origini, scaturisce un po’ di magia. Ed ecco che Pablo Cangi, giovane operaio argentino di origini lucane, vede la poesia nel “matrimonio” tra il mare e la costa, a Maratea: “È la seconda volta che vengo qui, ma resto sempre incantato da questi paesaggi suggestivi e dalla gente della Basilicata. Non mi stancherò mai di dirlo”. Pablo porta con sé il mate (una specie di tè argentino dal sapore acre), lo prepara ogni volta che si incontra con gli altri giovani di origine lucana venuti in Basilicata da diversi Paesi del mondo, America Latina, Belgio, Canada, Lussemburgo, Sud Africa. Nel convivio si parla di tutto: di musica, di cultura, dei problemi del mondo, ci si riallaccia alla storia. Per esercitarsi, si preferisce l’Italiano. Del resto, i cinquanta ragazzi sono arrivati in Basilicata proprio per questo, su iniziativa della Commissione Lucani all’estero. Nel capoluogo di regione si sono dedicati per tre settimane (dal 3 al 24
luglio) ai corsi di lingua e cultura italiana tenuti dai professori dell’Università degli Studi della Basilicata, con la quale la Commissione regionale ha formulato una convenzione. Molto tempo è stato dedicato all’apprendimento della storia locale (tanto apprezzata dai ragazzi), ma anche allo studio delle tradizioni e delle usanze lucane. “È un modo per tenere vivi i contatti e le tradizioni della terra dei padri e dei nonni - aveva detto il presidente della Commissione lucani nel Mondo, Rocco Curcio, durante il primo giorno di università -. In questo modo, sono in grado di rafforzare anche la loro identità”. Hanno guardato dietro le quinte delle cartine geografiche, andando alla riscoperta della cultura e della natura della Basilicata. Hanno viaggiato per incontrare quei luoghi dove sono nati i loro genitori. La testimonianza di Gianfranco Azzato, 22 annni, studente di ingegneria informatica nell’Università di Caracas, è emblematica: “Ho vissuto delle emozioni bellissime quando ho visto la casa dove è nato mio padre, a Santino (Marsiconuovo). L’avevo vista in un filmato amatoriale, ma starci di fronte è stato stupendo”. Poi Gianfranco parla degli scambi con il Paese d’origine: “Sono molto importanti,
ci fanno prendere coscienza delle radici della nostra identità”. Il presidente del Consiglio regionale, Aldo Michele Radice, ha parlato di “un’iniziativa intelligente e moderna per un recupero della memoria storica e anche di un’opportunità di reciproca conoscenza tra i giovani cittadini di Paesi stranieri che condividono una comune origine”. E le comuni origini i giovani le hanno riconosciute nelle bellezze di Maratea, nelle escursioni in Val d’Agri, nei Sassi di Matera, poi ancora nei castelli di Lagopesole e Melfi, a Metaponto, a Tursi ad Aliano. Per ora la Basilicata l’hanno portata via nel ricordo visivo. Molti l’hanno catturata con le macchine fotografiche. Qualcuno riflette seriamente su cosa farà da grande: “Dopo la laurea, vengo a specializzarmi in Basilicata”. Altri guardano la Lucania come una sorta di ricovero per l’età matura “Per noi giovani è troppo tranquilla”. Jimena Martinez, una ragazza colombiana laureata in biologia, è sicura: “Mi piace la Basilicata, ed anche tanto. Ma da quello che mi sembra di capire non offre molte possibilità di lavoro. Penso che se dovesse capitarmi di venire in Italia, sceglierei il Nord”. Loro, la terra dei padri, l’hanno vista più o meno così. TONY VECE
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Claudio
Abbado in Basilicata
AFTER FERRARA AND BOLZANO, BASILICATA WILL BE THE THIRD ITALIAN SEAT OF THE “GUSTAV MAHLER�, THE ACADEMY FOR HIGH ORCHESTRAL SPECIALIZATION. THE PRESIDENT OF THE REPUBLIC, CARLO AZEGLIO CIAMPI, AWARDED THE ACADEMY AND THE ISTITUTO DI STUDI GESUALDIANI WITH THE HIGH PATRONAGE . OUR REGION IS THUS BECOMING AN IMPOR TANT REFERENCE FOR YOUNG BOYS APPROACHING CLASSICAL MUSIC . MOREOVER, THEY CAN ALSO COUNT ON THE TEACHING OF REMARKABLE PROFESSORS. THIS IS THE POSITIVE CONCLUSION OF A PROJECT, CALLED
“TRACES�, PERFORMED ATENEO MUSICA BASILICATA AND SUPPOR TED BY THE ASSESSORATO ALLA FORMAZIONE , LAVORO CULTURA E SPOR T (THE LOCAL DEPAR TEMENT FOR VOCATIONAL COURSES, JOB, CULTURE AND SPOR T). THE CONCER T OF THE MAHLER ORCHESTRA, LED BY CLAUDIO ABBADO, BY THE
HAS BEEN ONE OF THE MOST IMPOR TANT EVENTS ORGANISED BY ‘TRACES’.
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“Tracceâ€?, l’evento musicale realizzato dall’Ateneo Musica Basilicata, in collaborazione con l’UniversitĂ degli Studi della Basilicata e sostenuto dall’assessorato alla Formazione, Lavoro, Cultura e Sport della Regione Basilicata, si avvia a lasciare un segno profondo nella nostra regione. Il presidente della Repubblica ha concesso l’alto patronato all’Accademia di alto perfezionamento orchestrale Gustav Mahler con sede in Basilicata. Un tassello importante per l’iniziativa al cui disegno hanno lavorato per diverso tempo, in stretta sinergia, i tre Enti, che ha visto un superbo concerto del maestro Abbado, una giornata di studio su Carlo Gesualdo Da Venosa e che prevede, come momento culminante, la realizzazione di una delle sedi stabili dell’orchestra giovanile della ComunitĂ europea. Per la realizzazione del progetto, sicuramente arduo per tempi ed investimenti, ci si avvarrĂ - come ha affermato il presidente Bubbico - dell’esperienza giĂ consolidata di altre realtĂ come Bolzano e Ferrara e si tenterĂ di canalizzare le risorse ďŹ nanziarie messe a disposizione dall’Unione Europea per le aree dell’Obiettivo 1. Dopo Avignone, Bolzano e Ferrara, Potenza potrebbe rappresentare, per molti giovani musicisti, un luogo ideale per approfondire gli studi e punto di riferimento per tutti coloro che amano la musica. Nel novero delle proposte autunnali sicuramente quella formulata dall’assessorato alla Pubblica istruzione e dall’Ateneo Musica Basilicata rappresenta una spinta per la crescita culturale della nostra regione. Due i momenti fondamentali di “Tracceâ€?: il primo in primavera con la prima rappresentazione in tempi moderni de “Le jeux de Robin et Marionâ€? di Adam de la Halle (primato condiviso con Napoli) e il secondo ad ottobre con la presenza di Claudio Abbado, innamorato della musica di Carlo Gesualdo da Venosa e sempre piĂš attento a sostenere i giovani e le nuove proposte. Claudio Abbado è giunto in Basilicata, a Potenza per portare il suo linguaggio unico e rafďŹ nato espresso attraverso la formazione e la direzione della Mahler Chamber Orchestra. Un meraviglioso concerto presso l’Auditorium del Conservatorio “Gesualdo da Venosaâ€? con un programma interessante, basato su due capolavori: il Concerto per violino e orchestra “Alla memoria di un angeloâ€? di Alban Berg (interpretato da un soave Kolja Blacher)e la Quarta Sinfonia in Sib op. 60 di Ludwig Van Beethoven ovvero il giusto equilibrio fra due espressioni romantiche.
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Abbado non è venuto a Potenza soltanto per incantare musicisti e pubblico che, alla fine dello spettacolo, l’hanno travolto in un lungo applauso, ma anche per ricevere la laurea Honoris Causa dall’Università degli Studi della Basilicata e per visitare a Venosa il castello e presenziare alla nascita del centro studi gesualdiano (del quale poco si conosce). Il grande maestro, uomo di cultura e politicamente impegnato (negli anni settanta è stato uno dei ferventi sostenitori della musica aperta a tutti) con il suo istinto creativo e con la sua presenza culturale è riuscito ad entusiasmare e a lasciare le sue “tracce”. Pronto a confrontarsi anche con i più giovani, a lasciarsi catturare dalle bellezze dei luoghi della Basilicata, a trasmettere il suo amore per la musica, a trasferire con una semplicità disarmante carisma e competenza e a saper cogliere dalla gente lucana proposte e nuovi stimoli, Abbado sta prestando il suo impegno affinché anche la nostra regione possa entrare in quel novero di luoghi dove la musica non sia solo un evento, ma una realtà. Certo la proposta di instaurare una scuola di alto perfezionamento (in un primo momento doveva nasce-
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re presso la Villa Nitti di Maratea) a Potenza serve alla nostra gente, ai giovani musicisti e a tutta la comunità regionale e diventa occasione per guardare oltre le realtà conservatoriali. Ma tale realtà da quale esigenza nasce? Nasce dal grande interesse che Abbado mostra per la nostra terra ed in particolare per la figura e l’opera di Carlo Gesualdo: “io vengo in Basilicata per rendermi conto d’una realtà umana e culturale che mi attira, per conoscere i luoghi gesualdiani, in una sorta di cammino nei luoghi creativi del compositore (che per me è compiuto a ritroso, partendo da Ferrara) ma anche per incontrare gli specialisti. Voglio capire cosa c’è di nuovo e di vero nelle scoperte musicologiche che riguardano la prassi esecutiva. In questi giorni voglio imparare prima di tutto”. Il grande musicista, durante la sua permanenza in terra lucana, ha incontrato diversi esponenti delle Istituzioni locali per avviare il progetto di istituzione della scuola di perfezionamento. “L’Accademia Gustava Mahler - ha dichiarato l’assessore alla Cultura della Regione Basilicata, Cataldo Collazzo - sarà concepita come stage di tre o quattro settimane. Per gli incarichi di docenza Claudio Abbado ha pro-
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posto musicisti fra i più accreditati in Europa, generalmente prime parti di importantissimi organici orchestrali quali i Berliner Philarmoniker. Il coordinamento verrebbe affidato ad un emergente direttore d’orchestra. Parallelamente opererebbe - anche al fine di promuovere un più intenso legame con il territorio del Mezzogiorno e con i giovani musicisti meridionali - un ulteriore intervento di alto perfezionamento, riservato ad allievi dei conservatori meridionali distintisi in maniera del tutto particolare e affidato alle cure delle prime par ti della Mahler Chamber Orchestra. Tale ulteriore segmento potrebbe così essere destinato ad individuare giovani talenti eventualmente da selezionare per la Mahler Jigender Orchestra o per la stessa Mahler Chamber Orchestra”. Come si intuisce il progetto è di notevole entità e sicuramente nel momento in cui si dovesse concretizzare si aprirebbe una porta di sviluppo per la nostra regione e per l’intero mezzogiorno. È ancora Abbado che con le sue parole suggella il progetto: “Credo che la presenza dei giovani e insegnanti provenienti da tutto il mondo possa diven-
tare propulsiva in molti sensi (tra l’altro sarebbe un delitto non sfruttare le sovvenzioni della Comunità: a Bolzano oltre il 70 % dei costi è coper to dai finanziamenti europei) per il territorio intero. Poi se sarà a Matera, Potenza, Maratea non possiamo deciderlo a priori: dipenderà dalle disponibilità dei luoghi, dal tipo e dalla distribuzione del lavoro scientifico e pratico. Quel ch’è cer to è che la presenza dei corsi, col seguito di attività ar tistiche e didattiche che fanno da corollario, nella altre sedi italiane hanno determinato un rappor to profondo tra la città e i musicisti, anche al di là dei concerti: mi piacerebbe che un dialogo del genere si potesse attivare e diventare produttivo anche in Basilicata. Cer to ci vorrà tutta la determinazione e la collaborazione delle istituzioni. E persone capaci, appassionate e caparbie: in grado di non perdersi d’animo e di non capitolare di fronte alla tentazione di cercare alibi nelle difficoltà iniziali o in quell’isolamento culturale al quale bisogna reagire in tutti i modi. Chi si occupa di cultura, sa che stiamo vivendo un periodo barbaro: ci vogliono fermezza e utopia”.
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SoďŹ a
Coppola
SOFIA COPPOLA HAS BEEN ONE OF THE GREATEST SURPRISE OF THE CINEMA EXHIBITION IN VENICE . WITH HER COMEDY LOST IN TRANSLATION, SET IN TOKYO, SHE HAS OBTAINED THE CONSENSUS OF THE PUBLIC . SOFIA IS THE DAUGHTER OF THE WORLD-WIDE FAMOUS FILM DIRECTOR FRANCIS FORD COPPOLA AND THE NEPHEW OF CARMINE COPPOLA, WHO ALSO WORKS IN THE CINEMA. SHE DEBUTED WITH A SHOR T, LICK THE STAR (1998). ONE YEAR LATER SHE ACTED IN THE MULTI-AWARDED TRAGEDY “THE VIRGIN SUICIDES�. BECAUSE OF HER GREAT EXPERIENCE AS A PRODUCER WE HAVE NO REASON TO DOUBT ABOUT HER FUTURE AS A WRITER.
SALVATORE VERDE
Dopo la presentazione alla 60° Mostra Internazionale d’Arte CinematograďŹ ca di Venezia 2003, nella sezione Controcorrente, dove ha ottenuto un considerevole successo di pubblico e di critica, “Lost in Translationâ€? (L’amore tradotto), ultima opera dell’attrice, sceneggiatrice e regista SoďŹ a Coppola, è giunta nelle sale cinematograďŹ che. Il ďŹ lm è ambientato a Tokio, dove, per girare uno spot pubblicitario, uno spaesato divo al tramonto del cinema statunitense, interpretato dall’esilarante e coinvolgente Bill Murray (“Ghostbustersâ€?, Acchiappafantasmi, 1984), incontra una giovanissima connazionale, Scarlett Johansson (premiata come migliore attrice, nella stessa sezione), in subitanea crisi matrimoniale con il marito Giovanni Ribisi (“Saving Private Ryanâ€?, Salvate il soldato Ryan, 1998). Le due solitudini, vagando nella metropoli nipponica, si uniranno cosĂŹ in una bizzarra ma intensa amicizia. Con i toni divertenti della gradevole quanto intelligente ed amarognola commedia, citando direttamente “La dolce vitaâ€? (1960), l’opera celeberrima dell’immenso Federico Fellini, la trentaduenne autrice, autentica sorpresa veneziana, si rivela ormai matura cineasta, confermando la forte personalitĂ e il sicuro talento narrativo ed espressivo. Nata nel 1971 a New York, in una famiglia dove musica, teatro e cinema, insomma lo spettacolo era certamente di casa, SoďŹ a Coppola è ďŹ glia del geniale Francis Ford Coppola (Detroit, 1939), uno dei massimi autori viventi della cinematograďŹ a mondiale, a sua volta nipote di nonno Agostino Coppola, nativo di Bernalda in provincia di Matera, ed emigrato nel 1904 negli Usa, dove fece il meccanico ed ebbe sette ďŹ gli, gli ultimi due gemelli. Bisogna quindi ricordare i nonni paterni, Italia Pennino, apprezzata attrice, e Carmine Coppola, per anni primo autista nell’orchestra di Arturo Toscanini, poi ottimo musicista, direttore d’orchestra e compositore di moltissime colonne sonore, e suo fratello Antonio Coppola, anch’egli notevole musicista e direttore; la zia Talia Shire è nota attrice di cinema, come saltuariamente Marc e Gio Coppola; sono registi la madre Eleanor Coppola, il fratello Roman Coppola, anche esperto di effetti visivi, e il cugino Christopher Coppola, mentre l’attore Nicolas Cage, altro cugino, è tra i divi piĂš pagati oggi a Hollywood. Solo l’assurda morte, durante le riprese di â€?Garden of Stoneâ€? (“Giardini di pietraâ€?,1987) ha troncato
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PHOTO GALLERY PER SOFIA COPPOLA
CineBasilicata “CinemadaMare” a Nova Siri (Matera) La rassegna cinematografica nazionale “CinemadaMare” di Nova Siri (3-10 agosto), per corti e mediometraggi inediti con seminari di formazione sul cinema, si è imposta all’attenzione di pubblico e critica come un appuntamento ormai imprescindibile per i tanti giovani autori del cinema indipendente, non solo italiano. Tra gli ospiti: Giuseppe Tornatore, Vincenzo Mollica, Niccolò Ammanniti, Vincenzo Cerami, Curzio Maltese, Alberto Castelvecchi e Andrea Purgatori. Ottocento i film ricevuti (anche da Svezia, Usa, Messico, Germania, Cuba, Kurdistan), 71 quelli in concorso, 12 i finalisti.
Lucania Film Festival (per cortometraggi) di Pisticci (Matera) La suggestiva cittadina lucana ha ospitato anche per quest’anno la rassegna cinematografica internazionale per cortometraggi “Mad&Sud”, del “Lucania Film Festival”, direttore artistico Rocco Calandriello. Giunta alla quarta edizione si è arricchita di altre sezioni: oltre alla fiction, quella sulla scuola, sperimentale-animazione e quella sui documentari. Quarantadue le opere ammesse in concorso, scelte tra le 80 selezionate dalle 550 pervenute anche dall’estero. È un notevole appuntamento meridionale di valorizzazione del “fare cinema”. Rassegna “Moliternoincorto” di Moliterno (Potenza) La rassegna “Moliternincorto” per cortometraggi (fiction, documentario, videoclip, videoarte, …) è giunta al terzo anno(28-29 agosto). Nella sezione “visioni oltre confini sono stati proiettati alcuni corti di importanti autori stranieri, affermatisi
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sul nascere la carriera del fratello Gian Carlo Coppola, brillante giovane produttore e regista. Sofia stessa è così apparsa in tenerissima età nei primi due capolavori paterni della serie “Il Padrino”, mentre l’interpretazione di Maria Corleone nell’ultimo film della stessa saga ha suscitato le perplessità della critica, che ha continuato ad apprezzarla, invece, come fotografa di moda. Ha poi continuato a fare esperienze di sceneggiatrice, costumista, produttrice e attrice, lavorando molto con il padre e con il visionario Tim Burton, il sensibile Yurek Bogayevicz, l’esordiente Lucas Reiner, l’accademico e musicista sperimentale Jefery Levy e lo stellare Georges Lucas. L’esordio registico di Sofia Coppola è avvenuto a 27 anni con il cortometraggio “Lick the Star” (Lecca la stella), pure presentato a Venezia e interpretato anche dal grande criti-
in altre vetrine internazionali, ma l’evento speciale è stato la riproposizione del noto e struggente “La jetée” (1962) del francese Chris Marker. Ben integrata anche la terza mostra “Dall’immagine all’immagine” (25-31 agosto), esposizione delle locandine dei maggiori festival-rassegne cinematografici italiani dell’anno. Una vetrina che coniuga spessore teorico, pratiche sperimentali e riflessioni sui linguaggi audio-visivi. autonome dei corti. A Tursi l’anteprima nazionale del film “Vita di Diogene” Inedito evento cinematografico per la comunità tursitana (22 agosto), con l’ anteprima nazionale di “Vita di Diogene”, del bolognese Marcello Tedesco. Realizzato nei territori di Sant’Arcangelo di Potenza, paese dove ancora risiede il nonno materno, della diga di Monte Cotugno, del lido di Policoro e soprattutto nella Rabatana di Tursi, tra il mese di luglio 2002 e lo scorso aprile, il film è interpretato da Benjamin Florance, fratello gemello del regista e autore della
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co e regista Peter Bogdanovich, amico del padre dai tempi della “factory” di Roger Corman, ambientato in una junior high shool (scuola media) del Nord Carolina, quando ancora i rapporti tra giovani tredicenni sono un misto di odio e amore, con atmosfere inquietanti e drammatiche (la capobanda muore a causa del suo piano per avvelenare i ragazzi della scuola). Quasi una dichiarazione dell’intrigante universo poetico familiare della provincia americana, della futura autrice del pluripremiato “The Virgin Suicides” (Il giardino delle vergini suicide), suo debutto nel lungometraggio dell’anno dopo, con gli ottimi James Woods, Kathleen Turner, Danny De Vito e Giovanni Ribisi, tratto dall’omonimo romanzo di Jeffrey Eugenides, presentato a Cannes per la “Quinzaine des realisateurs”. Film freddo, elegante e di rara bellezza formale, ben fotografato e recitato, sul male oscuro e senza certezze del vivere adolescenziale degli anni Settanta, che ricorda molto “Picnic at Hanging Rock” (1975) del famoso australiano Peter Weir. Infatti, un gruppo di ragazzi rimarrà impotente e sconvolto dalla conoscenza di cinque sorelle, le quali, a dispetto dei genitori religiosamente iperprotettivi, dopo il suicidio della prima, si chiuderanno alla vita seguendola nel destino autodistruttivo. Nell’estate del 1999 Sofia ha sposato Spike Jonze (noto anche con il vero nome di Adam Spiegel), considerato a Hollywood un sicuro talento poliedrico nei video musicali e nel-
sceneggiatura. Si evocano i maestri Carmelo Bene e Pier Paolo Pasolini, avvalendosi degli apporti artistici di Gilberto Zorio e del poeta lucano Domenico Brancale. Il cinema in Basilicata - Si gira in Lucania Alessandro Valori, giovane regista di talento, è autore anche della sceneggiatura con Marco Bellocchio del suo primo film tra poco nelle sale, “Radio West (fm 97)”, interpretato dal figlio d’arte Pier Giorgio Bellocchio (“Buongiorno, notte”, 2003), Pietro Taricone, il palestrato più famoso d’Italia, e Kasia Smutniak. In estate ha visitato Tursi, paese d’origine della moglie. Affascinato da questi luoghi che ritiene ottimi per documentari naturalistici, non esclude un film sul brigantaggio. Victor Rambaldi e il film “Rocco e il falco”, prodotto con il contributo del Comune di Potenza e delle Comunità montane dell’Alto Sinni e della Val Sarmento, in luglio hanno vinto negli Usa l’importante e selettivo premio Dga-
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Filmografia essenziale di Sofia Coppola Lost in Translation (L’amore tradotto), 2003 (sceneggiatura, regia e produzione) CQ, 2001, Roman Coppola (attrice); Beastie Boys:Video Antology, 2000, di Spike Jonze (doc.); The Virgin Suicides (Il giardino delle vergini suicide), 1999
la pubblicità, e tra i giovani registi americani più interessanti (con “Being John Malkovich”, Essere John Malkovich, 1999, suo lungometraggio d’esordio, ha ottenuto una nomination all’Oscar). La famiglia Coppola da circa un ventennio ha ristabilito i rapporti con la comunità originaria e lucana. Già insignito della cittadinanza onoraria, Francis sarà prossimo laureato “honoris causa” dell’Università degli studi della Basilicata, ed è recente lo svolgimento, in agosto, del 1° Festival lirico di Metaponto, promosso dalla neonata Fondazione “Carmine Coppola”. Insomma, dalla regista Sofia Coppola è lecito attendersi molto, pur sapendo tutti che essere “figlia d’arte” implica contemporaneamente sicuri benefici ed altrettante innegabili difficoltà di immediata e serena valutazione professionale, artistica e autoriale.
Floyd Gramercy Award, insieme con la menzione speciale per la fotografia (di Antonio Califano) e per la regia (ricordiamo che l’autore è da quattro anni consecutivi regista anche del cinespettacolo della Grancia). Continua dunque ad ottenere significativi consensi, dopo la positiva accoglienza italiana dello scorso anno, fu terzo al Giffoni Filmfestival. Lorenzo Cicconi-Massi ha concluso in agosto le riprese del set lucano del suo film d’esordio, “Il motore del mondo”, interpretato tra gli altri da Ennio Fantastichini, Enzo Catania, Riccardo Scamarcio e Alessandra Mastronardi. Il film-commedia è ambientato nelle Marche e in Basilicata, in particolare nel centro storico di Irsina e in una masseria poco distante, dove il bravo attore e regista Michele Placido girò nel 1997 il suo “Del perduto amore”. Una decina gli irsinesi coinvolti nella lavorazione, che hanno affiancato i circa cinquanta tecnici e attori della troupe.
Star Wars: Episode I - The Phantom Menace (Star Wars: ep. I La minaccia fantasma), 1999, di Georges Lucas (attrice) Lick the Star (Lecca la stella, corto), 1998 (sceneggiatura, regia e produzione) Heart of Darkness: A Filmmaker’s Apocalypse, 1991, di Fax Bahr, George Hickenlooper e Eleanor Coppola (attrice) The Godfather, Part III (Il Padrino Parte III), 1990, di Francis Ford Coppola (attrice) Peggy Sue got married (Peggy Sue si è sposata), 1986, The outsiders (I ragazzi della 56ma strada), 1983, Rumble Fish (Rusty il selvaggio),1983, di F. F. Coppola (attrice) The Godfather Part II (Il Padrino Parte II), 1974, The Godfather (Il Padrino),1972, di F. F. Coppola (figurante)
Mel Gibson ha trovato in agosto l’accordo con i distributori americani del suo ultimo film “The Passion”, girato nei Sassi di Matera, a Craco e negli studi di Cinecittà a Roma. Attualmente quasi completata, l’opera avrà la presentazione mondiale il Mercoledì delle Ceneri del 2004, con i sottotitoli in inglese, mentre la colonna sonora originale sarà in latino e aramaico, come preannunciato e fortemente voluto dal grande divo hollywoodiano Lina Wertmuller, la più prolifica, dotata e famosa regista donna italiana (“I Basilischi”, 1963, “Pasqualino Settebellezze”, 1975, “Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti, 1986, “Io speriamo che me la cavo”, 1992, per citarne alcuni), tornerà tra non molto in Basilicata per girare il suo prossimo film. La notizia è stata confermata a fine agosto. Un set sarà allestito proprio a Tursi, nel più antico quartiere della Rabatana.
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Enzo Alliegro, teacher of Anthropology at “Federico II” University in Naples, suggests to use ‘Feasts’ as keys for cultural, folkloristic and regional studies. When we attend a feast we get acquainted with religious attitudes and behaviours, with rooted rites and symbols of our culture. According to Alliegro, the analysis of our popular feasts (which are duly classified and explained) helps to grasp the modernism of Basilicata and our popular culture is fully aware of such a new identity.
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L’universo festivo della Basilicata
La festa, una fresca e vivace pennellata di vernice distesa sul fluire monotono del tempo; uno specchio su cui si riflette una sofferta, quanto latente, tensione esistenziale; un cuneo che spezza la routine della quotidianità e che al tempo stesso, proprio per questo, la conferma e la rinsalda; un faro che illumina lo squarcio che ciascuna civiltà cerca, secondo modalità proprie, di aprire all’orizzonte, si inserisce prepotentemente nel calendario delle comunità lucane, scandendone i ritmi e i tempi. L’universo festivo della Basilicata, costellato da una miriade di piccoli e grandi eventi che si susseguono lungo l’anno in tutto il territorio regionale, nei piccoli centri rurali, collinari e di montagna, come negli agglomerati urbani più consistenti, sfugge al momento attuale ad una trattazione comple-
ta e si configura quale oggetto poliedrico e polisemico di riflessione, di studio e di analisi. La disamina del patrimonio festivo lucano si presenta problematica per l’elevato e differenziato genere di manifestazioni presenti e per le difficoltà insite in una definizione univoca alla luce dei processi di trasformazione e di modernizzazione che lo investono; per le attribuzioni di senso e di significato che lo coinvolgono e per i meccanismi di definizione e di ridefinizione dell’identità culturale che vi attengono; per le chiavi di lettura “arcaicizzanti”, “folklorizzanti” e “mitizzanti” alle quali è sottoposto e per le ambigue attività di “spettacolarizzazione”. In balia dei tempi, unicamente ancorate ai suoi flussi, le feste nascono, si trasformano e convogliano le proprie cariche vitali in nuove funzioni che si
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intrecciano o si sostituiscono a quelle originali. La festa, una sorta di organismo malleabile strettamente correlata ai diversi contesti storico-culturali in cui si radica e di cui è espressione, vive nella e della storia, subendone i contraccolpi. Non ci si deve stupire, quindi, che una serie di feste legate al calendario agro-pastorale, al suo regime esistenziale e al suo orizzonte culturale, vivano o sopravvivano oggi, in un contesto
averne ascoltato la narrazione da familiari e compaesani, feste in parte “trapiantateâ€? all’estero dalle comunitĂ lucane, risultano suddivise come segue:
socio-culturale ormai mutato, assolvendo a funzioni che non sono piĂš, o non sono soltanto, quelle originali della propiziazione, dell’espiazione, della puriďŹ cazione, della commemorazione, della protezione, della socializzazione, dell’integrazione, etc. Per non tradire, pertanto, la complessitĂ fenomenologica che connota l’insieme dei festeggiamenti lucani, nonchĂŠ lo spessore storico, le connotazioni socio-culturali, le componenti simboliche, gli aspetti etnici e demologici, può risultare importante procedere attraverso una classiďŹ cazione capace di ricondurre un numero elevatissimo di feste ad una griglia tipologica piuttosto ristretta. Da una analisi di questo genere le feste lucane, tutte quelle che migliaia di emigrati ricordano per avervi partecipato prima della partenza, oppure per
donna d’Anglona, a Tursi; della Madonna del Sirino, a Lagonegro, etc.);
1) Festeggiamenti legati a Santuari ubicati al di fuori dei centri abitati (come, ad esempio, le festivitĂ connesse alla festa della Madonna del Carmine, ad Avigliano; della Madonna di Viggiano, a Viggiano; della Madonna del Pollino a S. Severino Lucano; della Ma-
2) Festeggiamenti connessi a processioni che si svolgono nei centri abitati (come, ad esempio, la festa della Madonna della Bruna, a Matera; la Festa di San Gerardo, a Potenza; di San Rocco, a Tolve; di S. Maurizio, a Montalbano etc.); 3) Festeggiamenti legati alle Sacre Rappresentazioni realizzate in occasione della Settimana Santa (come quelli dell’area del Vulture, a Barile, a Venosa, a Maschito, a Rionero, etc.); 4) Festeggiamenti connessi a feste patronali in cui vi sono elementi intrecciati ai culti arborei (come la festa di S. Antonio, a Rotonda; la festa
di S. Giuliano, ad Accettura; la Madonna del Carmine, a Viggianello etc.); 5) Festeggiamenti legati alla ricorrenza del carnevale (come ad esempio quello di Tricarico, etc.). Che cosa, se pure in termini sintetici, queste feste sono in grado di attestare della Basilicata sul piano strettamente storico-antropologico? Che cosa esse ci dicono, e con quale linguaggio, secon-
do quale particolaritĂ , dell’identitĂ che costituiva una parte cosĂŹ rilevante della cultura dei migranti lucani? La festa della Madonna nera di Viggiano, con l’attuale bacino extra-regionale da cui provengono i numerosi pellegrini, narra della venuta in Basilicata dei monaci Basiliani e dei suoi antichi insediamenti del Mercurion (Calabria settentrionale), del Latinianon (Basilicata nord ovest-Campania sud ovest) del Monte Bulgheria (Cilento) se non della dominazione spagnola e le connesse inuenze. Le Sacre Rappresentazioni a Barile ed in altri comuni del Vulture attestano, attraverso alcuni personaggi non liturgici, come la zingara ricoperta di oro e i mori impegnati nel gioco, delle migrazioni, in terra lucana, di colonie albanesi. Aspetto che acquisisce ulteriore signiďŹ cativitĂ nelle feste patronali 73
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LA FESTA DI SAN GERARDO A POTENZA IN UNA DESCRIZIONE DEL 1893 DI RAFFAELE RIVIELLO “Nella vigilia, in su l’ora del vespero, si portavano in città, a suono di pifferi, di tamburi o di bande, le iaccare, cioè grandi falò, fatti di cannucce affacciati attorno ad una trave sottile e lunghissima, per divozione di qualche bracciale possidente, di proprietario vanitoso, o per incarico dei procuratori delle feste. Il trasporto di una iaccara formava una vera scena di brio e di festa per plebe e per monelli. Molte coppie di contadini giovani e robusti la portano sulla spalla. Sopra vi sta uno vestito a foggia di buffo e di pagliaccio, che tenendosi diritto ad un reticolato, o disegno di cannucce, su cui è posta tra foglie e fiori la fura, o immagine di S. Gerardo, grida, declama, gesticola e dice a sproposito, eccitando la gente a guardare e ridere, per accresce l’allegrezza della festa. Come si giunge al luogo, ove è il fusso per situare la iaccara, la scena muta per folla di curiosi, rozzo apparato di meccanica e timore
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a San Costantino e San Paolo Albanese. Lo stretto legame del popolo lucano con la foresta, con i boschi, viene molto chiaramente sottolineato dal taglio, dall’innesto e dall’innalzamento degli alberi in occasione delle feste denominate “del Maggio” di Accettura, Rotonda, Castelsaraceno e Viggianello le quali documentano importanti processi di sincretismo. I festeggiamenti della Madonna della Bruna o della Ma-
donna al Santuario di Picciano ci svelano, invece, ciascuno a suo modo, importanti legami con il mondo pastorale, in particolare con le transumanze che investivano il territorio lucano, mentre la festa in onore di santi taumaturgi come San Rocco a Tolve, San Donato a Ripacandida, concorrono a svelare dure vicende di epidemie e di carestie, di indemoniati e di appestati in epoca medioevale. Modalità di lotta simbolica intrapresa per assoggettare la natura alla cultura nel tentativo di esorcizzare l’inverno e d’invocare la primavera sono attestati nelle manifestazioni carnevalesche di Tricarico e di Satriano, mentre la festa della Madonna del Carmine, a Pedali, nel comune di Viggianello, in cui è dato osservare residui della danza cerimoniale del falcet-
di disgrazia. Si attaccano funi, si preparano scale e altri putelli; ed al comando, chi si affatica di braccia e di schiena, chi adatta scale e grossi pali per leva e sostegno, e chi da finestra e balcono tira o tien ferme le funi. E ad ogni comando si raddoppiano gli sforzi, si fa sosta e silenzio, secondo che nell’alzarsi lentamente la iaccara, il lavoro procede con accordo di forza o presenta difficoltà o pericolo. Appena si veda alzata, propone un grido di gioia; tamburi e bande suonano a frastuono, e la gente con viva compiacenza guarda di quanto la iaccara supera in altezza le case vicine. Le iaccare si innalzavano nei luoghi più alti; in piazza, innanzi alla Chiesa di S. Gerardo, avanti a lu palazzi di lu marchese, (oggi Liceo), a Portasalza, di fronte a lu castiedd (ospedale S. Carlo). Per accenderle, la vigilia a sera, bisognava arrampicarsi sino alla cima, e non senza fatica. Queste grandi fiaccole erano i fari fiammeggianti delle feste per farli vedere da lontano. Ardevano tutta la notte, e illuminavano a giorno tutto il vicinato, la cui gente godeva e si divertiva a quelle vita. Anzi nella vigilia a sera, appena cominciava a farsi scuro, in ogni cutana, o vico, in ogni larghetto, e lungo tutta la Pretoria si accendevano centinaia e
centinaia di fanoi (falò), cioè ammassi di sarmenti, di cannucce, scroppi e ginestre secche e verdi, in guisa che tutta la città pareva andasse in fumo e in fiamme, costituendo ciò la caratteristica e tradizione illuminazione di quella festa. Per la strada in quella sera, tra il fumo denso ed amaro e tanti fuochi crepitanti, bisognava procedere a salti e a tendoni, e sentivasi venir meno. La sfilata dei turchi era, ed è la parte più originale, brillante e fantastica della festa popolare; quantunque abbia subito parecchie ritoccature di novità e di progresso. Ogni turco cercava, a modo suo, di imitare nella foggia e negli ornamenti il tipo tradizionale, e credeva di raggiungere l’intento, mettendosi addosso quanto avesse avuto di meglio in vesti, oro, nocche e fettucce; e cavalcando per lo più un mulo, parato di gualdrappa, fiocchi e campanelli. Quindi gonne bianche, mutande per calzoni, fascitelle rosse, scarpe colorate ai fianchi, turbanti o cimieri di cartone dorato con svolazzi di piume e gala di nastri pendenti, nocche sulle braccia, grosse orecchini alla turca, sul petto una mezza bacheca di orefice, cioè: collane, stelle, spingole (spille) ed altri oggetto di oro”.
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to, è testimone del dramma delle società avviate alla cerearicoltura. Già in queste descrizioni, inevitabilmente sommarie, sono ravvisabili molte suggestioni che possono derivare da una lettura in termini storico-antropologici delle feste tradizionali lucane, lettura che consente di prendere coscienza di una serie di stratificazioni e delle rispettive interrelazioni che si sono avute in ambito regionale e soprattutto di collocare tali eventi festivi in ambiti tematici di portata e di spessore ben più generale. La festa, una sorta di scatola cinese in cui sono collocati in diverse combinazioni aspetti cerimoniali, rituali, epici, drammatici, penitenziali, simbolici, devozionali che vanno ben al di là della mera dimensione ludico-gioiosa, è un iper testo in cui sono presenti aspetSAN GERARDO FEAST IN POTENZA: AN 1893 DESCRIPTION BY RAFFAELE RIVIELLO “On the eve, at vespers time, while pipes, drums and bands were playing , the “iaccare” - big bonfires consisting of canes placed on a very long and thin beam - were carried to town to honour wealthy farmers, boasting local landowners, or on behalf of the promoters of the feast.This parade of the ‘iaccare’ represented a marry and cheerful moment for the masses and children. Many pairs of young and wellbuilt farmers carried these ‘iaccare’ on their shoulders. A man dressed in clown clothes was standing on the top of the ‘iaccara’, holding on a cane grid where, among leaves and flowers, the image of San Gerardo was placed. He used to scream, declaim, gesture and talk nonsense to excite people and to raise the spirits. Once the parade reached the area where the ‘iaccare’ should have been placed, the scene suddenly changed in that a crowd of curious people collected there and fear of trouble was felt in the air. Ropes were fastened, stairs were decorated; and, when told so, someone worked their fingers to the bone, someone turned
ti tematici che si strutturano secondo linguaggi differenziati. È la conoscenza di questi linguaggi, dei rispettivi codici, a consentire di prendere coscienza di elementi di estrema impor tanza della cultura lucana che spaziano dal versante ar tigianale a quello ar tistico, da quello musicale a quello canoro, da quello culinario a quello legato ai costumi, etc. Tutto ciò che la vita ordinaria, moderna, tende a nascondere, ad occultare, a relegare nel silenzio, le feste provvedono a far riemergere, sopravvivere, rivitalizzare. Ma è anche altro che la festa lucana tende a far venire allo scoper to: anzitutto le trasformazioni che hanno investito il tessuto sociale e l’orizzonte culturale di cui sono espressione. Si prenda, tra le tante, una festa qualun-
que, ad esempio quella che si svolge ogni anno a Potenza in onore di San Gerardo. Per rendersi conto delle trasformazioni sopraggiunte, è sufficiente seguire la descrizione, datata 1893, del sacerdote potentino Raffaele Riviello. Quella tratteggiata sembra essere una festa, un luogo, una realtà, che non appar tiene alla storia di questa Regione. Una realtà altra. Invece essa fu proprio quella, esattamente quella, che gli emigranti lucani di fine Ottocento vissero prima della loro partenza. Una festa fatta di fuochi, di fiamme, di falò scintillanti che i potentini provvidero a trasmettere all’estero, orgogliosi, alle generazioni successive. Una festa, divenuta poi ricordo, memoria, identità, appar tenenza.
stairs and posts into levers and props, someone else pulled or held ropes from windows and balconies. And at each command, either efforts were doubled or a break was taken, depending on whether more strength was needed or difficulty and danger were felt as the “iaccara” was slowly lifted. As soon as it was put up, a joyful cheer was heard, drums and bands deafened the air, and people proudly realised how the “ iaccara” was far higher than the surrounding houses .The “iaccare” were erected in the highest places : in the square, in front of San Gerardo church; in front of “lu palazzi di lu marchese” (today’s Liceo) ; in Portasalza; in front of “lu castiedd” (San Carlo Hospital). On the evening of the eve it was necessary to climb up the top in order to light them.These big torches were the burning lights of the feast visible far away. They were burning all night long and lit the entire neighbourhood with people enjoying the feast to the full. In the same evening, as dusk was falling, hundreds of “fanoi” (fires) were lit in each “cutana” ( lane) ; in each small Largo and along via Pretoria.These were made of runners, cans, dry and green brooms; the whole town seemed to be burning , being this the main feature of the feast. Because of the dense smoke and of the several crackling fires one could hardly walk
along the streets and almost felt like fainting (…). “La sfilata dei Turchi” was and still is the most brilliant, original and creative aspect of San Gerardo feast. Each Turkish tried to imitate the traditional dresses and ornaments as best as they could, and believed they would reach their goal putting on their best clothes and golden jewels, usually riding a mule decorated with a saddle-cloth, bows and bells.They were also wearing white skirts, long johns, red ribbons, coloured shoes, golden paper turbans with flapping feathers and flattering ribbons, showy Turkish earrings, necklaces, stars, brooches and other golden jewels shown off on the breast….” LEONARDO NELLA
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Langone cercatore di identità Following in his relatives’ footsteps, he went first to Picerno, then to Potenza in search for his roots. As a draftsman and illustrator in 1985 he stated working on mosaic with images. Man, his history, his economical and human conditions are the centre of Langone’s works. His art conveys a message of freedom and at the same time denounces the civil and cultural degradation of Argentina due to Military dictatorship and financial speculation. Before going back to Buenos Aires he signed 131 drawings, one for each town and village of Basilicata, whose prints will be distributed to the readers of “Quotidiano”.
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Il sogno di tornare in Basilicata, di stabilire un rapporto duraturo con l’arte italiana, dovrà ancora attendere. Carlo Langone, dopo alcuni mesi trascorsi tra Picerno e Potenza, è ritornato a Buenos Aires, città che gli ha dato i natali. La sua speranza di costruire un avamposto di scambi culturali tra Argentina e Italia è per ora rinviata. Ripercorrendo la sua storia a ritroso, venendo a visitare i luoghi abbandonati dal padre Antonio e dal nonno Donato, nel lontano 1895, per cercare miglior fortuna in America latina, non ha ricomposto soltanto le tessere di un mosaico ancora incompleto, ma ne ha disegnato di nuove. Partendo da quel vecchio passaporto rilasciato al nonno per imbarcarsi, “in nome di sua Maestà Umberto I°”, quasi fosse il bandolo di una matassa ingranditasi con i ricordi, le curiosità, la documentazione ed i racconti, simili a tante altre esperienze di separazione e di viaggio create dall’emigrazione, Langone ha reso omaggio alla sua eredità italiana e lucana. Ma non si è limitato alla sola ricostruzione cronologica o iconografica. L’attestazione di identità, la raccolta di fotografie ingiallite, le pose di occasione conservate gelosamente hanno generato altri collegamenti con la realtà familiare e sociale nella sua caratterizzazione argentina. Oltre che figlio di emigrati Carlo Langone, o meglio Carlos Josè Langone, classe 1945, è soprattutto una persona attenta, sensibile, piena di iniziative. Usa bene la matita e il pennello e di questa capacità ne ha fatto una bandiera. In oltre trent’anni di attività si è dedicato al disegno creativo, al suo utilizzo pubblicitario, ha illustrato pubblicazioni, ha inciso e stampato grafiche, ha insegnato disegno e pittura. L’astrattismo non lo ha mai conquistato. Ha, invece, coltivato un’impostazione figurativa, una chiarezza di racconto e rappresentazione che gli consentono a tutt’oggi di attivare una possibilità di comunicazione molto comprensibile, che arriva a tutti. Anche quando le atmosfere di riferimento si fanno metafisiche, misteriose, drammatiche. La riproposizione continua della figura, in relazione all’ambiente o alla natura, confermano la grande attenzione che l’artista italo-argentino ha per l’uomo e per il suo destino. Una vocazione dalle forti connotazioni umaniste ed etiche, che incoraggia una visione critica dei fatti del proprio tempo, senza per questo cadere nell’ideologismo o nella lettura politica de-
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gli avvenimenti. Eppure la visione, il senso critico, la capacitĂ di analisi e di denuncia si rivela apertamente nella sua opera. Attraverso le esposizioni dell’agosto 2002 a Picerno e di marzo 2003 presso il Museo Provinciale di Potenza - dal titolo signiďŹ cativo: “Il mosaico della memoriaâ€? - alle immagini e alle reminiscenze sottratte alla polvere si sono saldate istanze e problematiche dai risvolti piĂš contemporanei. Dalle foto-ricordo con il vestito della festa, dalle banchine dove si accalcavano le folle di emigrati alla ricerca di un posto sulle navi che attraversavano l’oceano, la testimonianza di Langone ci ha condotti nelle angosce e nelle angustie dell’Argentina di oggi. Due le sintesi proposte. Da un lato il recupero del passato sconosciuto e ricostruito con la visita in Basilicata, dall’altro una ricognizione signiďŹ cativa del proprio percorso artistico attraverso disegni, fumetti, chine, pastelli, acrilici, olii, gessi, cartapeste, sculture “povereâ€?. Un complesso repertorio di stimoli tematici che riportano alla mente la storia greca e la mitologia, la
metafora come l’allegoria, passando per le insidie e il degrado urbano, ambientale e sociale. L’uomo protagonista e vittima, nei suoi scenari di vita quotidiana, fagocitato dalla corruzione e dalla menzogna, dallo strapotere economico e dai miraggi del consumo. Attore e schiavo di clichĂŠ e modelli, comportamenti omologati e massiďŹ cati, in completa antitesi con la bellezza e le forze della natura. Un uomo stereotipato, clonato, impaurito e annientato dalla replicabilitĂ e dai calcoli di mercato. Un manichino, un numero, nascosto dietro le tante maschere di comodo, nel tentativo di esorcizzare brame e violenze, di mitigare crisi e paure, di rendere meno triste la solitudine e la perdita di identitĂ . Tra sogni e magie, riferimenti simbolici e pratiche circensi, perfezioni geometriche e tentazioni erotiche il viaggio di Langone sfocia in una installazione di portata “globaleâ€?. Il suo “Mare nostrumâ€? è un pantano petrolifero dove nemmeno gli uccelli riescono a svincolarsi dalla morsa bituminosa. Il ritmico ondeggiare del mare è solo un’evocazione sonora
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e una spuma bianco-celeste dipinta. L’umanità, beffata, assiste impotente alla voracità inquinante, mentre neanche le forze sane della natura (sole, luna, vento, pioggia) riescono a tener testa al delirio di devastazione. Sui volti, nei colori, nel paesaggio metropolitano ispirato a Buenos Aires, o trasferito nel futuro, c’è il dolore e la sofferenza della libertà negata, il segno profondo delle umiliazioni imposte dalla dittatura, la rabbia per una bancarotta monetaria senza precedenti che ha messo in ginocchio una nazione. Tutto questo vive nelle tavole, sulle tele, sui cartoncini dipinti o plasmati da Carlo Langone, nei contrasti di colori forti, sulle espressioni dei suoi personaggi. Il suo impegno è stato riconosciuto e valorizzato in molti paesi dell’America meridionale e anche in Europa. Tra i premi conferiti, a partire dai primi anni Ottanta, quelli di disegno all’Esposizione di Rosario (Santa Fe), alla Quinta Biennale di Maldonado (Uruguay), al Coca-Cola nelle Arti e nelle Scienze e al Manuel Belgrano di Buenos Aires. Mentre nel 2000 il Museo provinciale Rosa Galisteo de Rodriguez della provincia di Santa Fe gli ha dedicato una importante retrospettiva. Prima di ritornarsene a Buenos Aires, Langone ha voluto lasciare una sua traccia a futura memoria. In segno di attacca-
BASILICATAeventi Rimane aperta fino al 18 gennaio 2004 la mostra “La bella pittura 1900 - 1945”, organizzata dal Polo della Cultura della Provincia di Potenza, presso il museo di via Ciccotti. Della raccolta, curata da Laura Gavioli, fanno parte 60 dipinti e una trentina di disegni firmati da 24 grandi maestri del primo Novecento. Tra di loro spiccano i nomi di De Chirico, Carrà, Morandi, Campigli, Sironi, Casorati, Rosai, De Pisis, Savinio e tanti altri. L’opera che incuriosisce di più è “Ritratto di Anna” del 1919, di Amedeo Modigliani, per la prima volta esposta in Italia, grazie al prestito di un collezionista di New York. Dal 30 agosto, nel Palazzo D’Errico a Palazzo S. Gervasio, sono tornati i “Dipinti della collezione D’Errico”, famiglia che donò la quadreria alla comunità del centro
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del potentino. Con l’intesa tra l’Ente Morale Biblioteca e Pinacoteca Camillo D’Errico e la Soprintendenza regionale per il Patrimonio Artistico e Storico di Matera, una parte della raccolta di circa 300 tele del Seicento e di scuola napoletana resterà esposta fino al 28 febbraio 2004. Dopo la partecipazione di questa estate a Roquebrune sur Argens, in Francia, alla rassegna di opere plastiche europee “La sculture en libertè”, Giulio Orioli di Nova Siri, per il terzo anno consecutivo, ha esposto in Austria, alla fiera d’arte internazionale di Salisburgo.
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mento alla regione di origine di padre e nonno e, in un qualche modo, per ricambiare l’ospitalità e l’accoglienza di cui si sono fatti garanti tanto il sindaco di Picerno Giuseppe Manfreda che il presidente della Commissione dei Lucani nel mondo onorevole Rocco Curcio. A conferma delle sue doti di illustratore e disegnatore, ha accolto l’invito del giornale il Quotidiano che, in collaborazione con Il Mattino, si è fatto promotore di una iniziativa promozionale dei comuni lucani. Langone ha realizzato e firmato 131 disegni (uno per ogni cittadina o paese della regione) che sono in corso di distribuzione ai lettori del giornale. La raccolta, intitolata “Basilicata d’autore” è una collezione di chine, colorate a pastello in tonalità “seppiata”, fatte stampare dal Quotidiano dalle tavole originali che l’artista italo-argentino ha elaborato. Si tratta di scorci, vedute, panorami, particolari monumentali dei 131 centri urbani facenti parte delle province di Potenza e Matera. Per gli editori si tratta di un’operazione senza precedenti, unica per la Basilicata e di straordinario pregio. Una rarità, un piccolo tesoro da collezionare, offerto ai lucani attraverso le impressioni che hanno guidato l’artista in questa speciale e supplementare tappa di quel “mosaico”, intitolato “alla memoria”.
Apprezzate dal mercato e dagli operatori le sue sculture in pietra e marmo ispirate al mistero e alla trascendenza. Gerardo Cosenza da Potenza ha inaugurato, il 24 novembre presso la sala Altiero Spinelli del Parlamento Europeo di Bruxelles, la mostra personale “Opere recenti”. Si tratta di una raccolta di dipinti su carta e assemblaggi materici di una produzione rinnovata, che parte dal 2000. Simboli, composizioni, nuove cromie e lettura critica sono oggetto di un catalogo pubblicato dal Consiglio Regionale della Basilicata. Partita a luglio nello stabilimento di Calia Salotti,
“Corporarte - collezioni in azienda: una rete museale per l’arte contemporanea”, prosegue fino a dicembre. Stand e installazioni di 12 giovani artisti emergenti, alle prese con pittura, fotografia e linguaggi della comunicazione, si alterneranno, a rotazione nelle sedi di altre tre aziende: la materana Impresa Valore e le pugliesi De Carlo Infissi e Pastificio Ambra. Tra gli artisti emergenti la potentina Elisa Laraia, con una installazione realizzata insieme a Silvio Giordano, avente per tema lo scambio di identità. 79
Le donne in migrazione si raccontano Female emigration allowed women to face with new realities, habits and customs and made them experience an important personal improvement. Many of these women succeeded in achieving considerable positions in foreign countries.
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Ha ottenuto un riscontro molto favorevole, in regione e fuori, la raccolta “Storie di donne lucane”(2001). L’invito a raccontarsi, nato in occasione della Conferenza “Lucane protagonista in Europa” tenutasi a Sciaffusa (Svizzera) nel 1998, diede esiti inaspettati, tanti sono i campi d’interesse che le vicende narrate aprono alla conoscenza di coloro che le leggano. Il tema dell’emigrazione è di quelli su cui si pensa di sapere ormai tutto, grazie a una ricca bibliografia. Altri studi, più di recente (Deputazione di Storia Patria, Atti del Convegno L’altra Basilicata, 2000; E.V. Alliegro (a cura) La Basilicata e il “nuovo mondo”- Inchieste e studi sull’emigrazione lucana (1868-1912) del 2001, ci offrono riletture interessanti sull’entità dell’esodo dall’Unità d’Italia ai primi decenni del Novecento. Tuttavia, qualcosa mancava, di essenziale: il confronto con le testimonianze in presa diretta, con la realtà concreta delle vicende nelle terre di destinazione. La Commissione Regionale dei Lucani nel Mondo da alcuni anni sta colmando proprio questa lacuna, con la promozione di studi ‘sul campo’, come quelli curati dalla scrivente, sul Belgio e sul Cile: Quelli dal volto bruno (1998) e Dove la terra finisce (1999), premio Maratea 2002, e la ricerca di don Ugo Calabrese, I lucani in Uruguay e Paraguay, in corso di stampa. Se infatti molto sappiamo delle partenze e delle relative cause, dettate dalle condizioni socio-economiche della Basilicata all’epoca dei principali flussi migratori, poco o nulla si è poi saputo degli arrivi, sia in senso stretto: il viaggio, le difficoltà di adattamento, l’accoglienza/ ostilità ecc.; sia per l’inserimento nella nuova realtà: il successo o gli insuccessi, il radicamento, le nuove generazioni nate altrove... Ora, da questo approccio di tipo diverso, e in seguito alla pubblicazione dei racconti scritti con tanta partecipazione, passione, dalle donne lucane emigrate, emerge una specificità nuova. Quali i pregi di queste scritture al femminile?
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Intanto esse spostano il punto di vista dell’emigrazione - di solito centrato sull’aspetto ‘attivo’ dell’uomo che parte per cercare lavoro - verso un altro punto di vista: quello delle donne che, nella stragrande maggioranza, sono partite dal proprio paese spinte al ricongiungimento della famiglia, spesso da poco costituita; ragazze che nulla conoscevano fuori del proprio paese, e per le quali emigrare rappresentava la prima vera incognita della vita. Tra i racconti, scritti da donne provenienti da Sant’Arcangelo, Tito, Policoro, Accettura, Irsina, San Fele, Venosa, Satriano, Savoia, Sant’Angelo le Fratte, Montemurro, e le cui storie sono raccolte in tre sezioni (Storie dalla Basilicata, dall’Europa, dai paesi extraeuropei), Faustina Lapadula, emigrata da Irsina a Sciaffusa (CH) appena cinque settimane dopo il matrimonio, scrive: “Era il mio primo viaggio cosĂŹ distante, e il primo in assoluto. Non avevo mai viaggiato prima se non qualche volta ďŹ no a Bari dagli zii. Della mia regione non conoscevo niente. Era anche la prima volta che salivo su un treno. Eravamo partiti alle 18 da casa; all’una e mezza di notte salimmo su quel treno che subito dopo lasciò la stazione di Bari diretto in Svizzera. [...] Ebbi la sensazione di essere in un altro mondo, quasi irreale...â€? Si trattava di lasciare un ambiente fatto di poche cose ma certe: la casa, la fontana, il vicolo, il vicinato. Una rete di relazioni ricca di quella umanitĂ comune alla gente del sud: luca-
na, calabrese, pugliese, campana... In questa situazione, il presente era fonte di confusione; il passato, di nostalgia; il futuro, d’incertezze. “La mia vita era diventata una girandola di volti, luoghi, dialetti, imprecazioni; (...) ogniqualvolta cercavo un viso amico, un luogo noto, un profumo familiare, una parola ‘mia’, trovavo il nulla di una estraneitĂ senza ďŹ neâ€?. CosĂŹ ci dice Rosa Lamberta, di Sant’Arcangelo, vissuta in Germania per oltre quindici anni, quelli dell’infanzia e della giovinezza, per poi tornare al paese. “Una parola miaâ€?: infatti, al disagio dell’adattamento si aggiunge sempre la difďŹ coltĂ della lingua. Poco motivata a un rapporto con gli altri, la donna rimane piĂš a lungo dell’uomo priva di punti di riferimento sociali e isolata nella possibilitĂ di comunicare. E, se può, si rifugia nella scrittura di tipo privato (lettere ai famigliari, diari, racconti che spesso restano nel cassetto). A volte il ritorno non basta a placare il senso di estraneitĂ che si è provato in terra straniera. “Quante volte mi sono scoperta a respirare lentamente ma cosĂŹ profondamente da farmi scoppiare i polmoni, mentre tra me pensavo: ‘questa è la mia terra, la mia terra, il luogo dove i miei nonni, bisnonni e trisavoli hanno vissuto e dove io ho ben radicato le mie origini’. Purtroppo nel mio paese avevo poche amiche ma non ero l’amica preferita di nessuna: troppo pochi erano i giorni che vi soggiornavo. Ricordo che una volta, a causa
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di una frase sentita per istrada, rimasi molto turbata: ‘Ecco, è arrivata la tedesca’. Ma come - pensai - io sono dei vostri; nelle mie vene scorre lo stesso vostro sangue, la mia carnagione è dorata come la vostra e le mie origini sono le stesse che avete voi! Allora perché? chi sono io? non sono né carne né pesce? vengo dunque etichettata e bollata dalla mia stessa gente?” Sui caratteri originali della scrittura al femminile in tema di emigrazione, così si esprime il prof. Giovanni Longu, dell’Associazione scrittori di lingua italiana in Svizzera: “Gli uomini hanno ben descritto il fenomeno, ossia l’emigrazione nelle sue molteplici manifestazioni esterne. Le donne, invece, più degli uomini ne hanno descritto l’essenza, la consistenza interna, in negativo e in positivo, ossia l’impatto personale, la drammaticità dello sradicamento, l’umiliazione della dipenden-
In Libreria Giovanni Russo, I Cugini di New York (da Brooklyn a Ground Zero), Anno 2003 pp.136, Libri Scheiwiller - Prosa, Euro 10.50 È il diario di un italiano nel quale si può identificare chiunque vada a New York, spinto dalla curiosità di verificare il suo rapporto psicologico col mito americano. Senza porsi i problemi del “giornalista”, rispetto alla potenza e alla ricchezza degli Stati Uniti, Russo ricorda un viaggio fatto nella “Grande Mela” prima dell’undici settembre. Sempre alla ricerca del legame fra italo-americani e Italia, l’autore scopre che gli eredi dei vecchi emigranti sono
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za e della segregazione, ma anche il senso della conquista, dell’integrazione, la soddisfazione per la riuscita propria e della famiglia”. Si trovano, nella letteratura al femminile sui problemi dell’emigrazione, pagine di notevole intensità allusiva ed emotiva, che lasciano intravedere una interiorità profonda, quasi un’abitudine a (ri)vivere dentro tutto ciò che accade fuori. Sotto questo aspetto la scrittura al femminile rappresenta un punto di vista essenziale e complementare a quello degli scrittori uomini. L’emigrazione declinata al femminile presenta anche risvolti nuovi. Proprio dai racconti delle donne lucane all’estero emergono esiti contrastanti, talvolta inattesi. Mentre la nostalgia è come un filo conduttore che lega tutte le storie, gli orientamenti s’indirizzano in almeno due varianti: l’obiettivo fermo del ritorno a casa (che si realizzi o meno) oppure la trasformazione del dramma in opportunità di vita nuova, e la conseguente scelta di rimanere, anche quando si presentino le condizioni per il rientro. Se per Pina Boccomino il ritorno nella sua Venosa è stato un obiettivo fermo nella sua vita di emigrata, insieme al marito Antonio, finché, raggiunta la pensione, vi è tornata, per Antonietta Carlucci di San Fele, che vive a Oftringen (CH), la decisione di rimanere è stata una scelta drastica per non crogiolarsi in una impossibile speranza: “Non rifarei più questa vita (di essere preda della malinconia, N.d.A.). Mi dispiace aver perso tanti anni della mia gioventù in questo modo. Un giorno - più di dieci anni fa: ricordo ancora bene il profumo del caffè di quella mattina - ho smesso di pensare al rientro e ho iniziato a vivere pienamente qui: “Sono una oggi la classe dirigente più vivace che c’è a New York. Un testo da cui emerge la descrizione “dell’unica città al mondo in cui uomini di razze, usi e costumi così diversi riescano a vivere vicini rimanendo uguali a se stessi”. Melania G. Mazzucco, Vita, Anno 2003 pp.398, Ed. Rizzoli, Euro 16,00 Premio Strega 2003, il romanzo della Mazzucco è un po’ storia di immigranti e un po’ racconto di un’Italia passata. Basta, però, cambiare il nome delle nazioni e poi il dramma di povertà, la volontà di resistere per realizzare il sogno di un futuro migliore, sono gli stessi di altra gente che sbarca su altre spiagge, anche oggi.
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vera italiana, la mia patria è sempre l’Italia, ma oggi vivo qui in Svizzera”, mi è schizzato in mente”. L’esperienza migratoria costringe al confronto, a misurarsi con realtà diverse, usi e costumi che possono costituire anche un momento di crescita personale, come riferisce ancora Rosa Lamberta: “I problemi aumentano quando devo confrontarmi con la mentalità del posto, completamente diversa da quella che avevo maturato all’estero”; e ancora: “Che abisso tra l’autonomia, l’indipendenza e la sicurezza anche economica delle donne nordiche e le mie concittadine...”. Non sono poche le donne lucane che sono riuscite ad affermarsi nelle società di destinazione. Tra queste, Anna Picardi, accetturese in Germania, anche lei per scelta. Ben inserita a Stoccarda, dove svolge la sua attività d’insegnante ma anche di consigliera della municipalità, è stata presidente dell’Associazione dei lucani e, oggi, è presidente della Federazione dei lucani in Germania. In uno straordinario mescolarsi di fatti reali e immaginati si muove una folla di personaggi splendidamente caratterizzati, tanto che il titolo, “Vita”, assume un significato che va al di là del nome della protagonista: romanzo come vita, di una gente, di un tempo, di una città; romanzo come mezzo per tenere in vita la memoria di chi non c’è più. Ludovico Incisa di Camerana, Il Grande Esodo Storie delle migrazioni italiane nel mondo Corbaccio Editore, Anno 2003 pp. 430, Euro 24,00 Un libro che racconta l’epopea di milioni di italiani all’estero non visti da “straccioni emigranti”, ma la
Nel narrare la sua storia così conclude: “E quando qualcuno, cercando di indovinare le mie origini, si meraviglia nel sentirsi rispondere che sono italiana e aggiunge: - Ma del nord, vero? -, rispondo con una punta d’orgoglio: -No, del cuore del sud. Sono lucana”. In conclusione, conoscere le storie dei lucani emigrati e, all’interno di esse, le storie delle donne lucane all’estero, significa aggiungere tasselli fino a ieri mancanti per una conoscenza più completa di tutta intera la realtà del popolo lucano. A margine di queste brevi note sulla prima raccolta di Storie di donne lucane, vale osservare che essa contiene anche la riproduzione di alcune foto di donne della Basilicata partite nei primi anni del Novecento e conservate nell’Archivio di Stato di Potenza (Prefettura, Ufficio di P.S. di Lagonegro, Passaporti). Per ciascuna foto, un valore aggiunto: infatti, sono quelle utilizzate per il rilascio dei passaporti richiesti alla Prefettura di Potenza per varie e lontane destinazioni. Tra di esse: Filomena Marsico col figlio Egidio Guarino di Episcopia, emigrati a Buenos Aires nel 1919; Maria Giuseppa Monteleone, di Maratea; passaporto per la Francia del 1919; Carmela Filomena D’Arretta, contadina di Roccanova; passaporto per l’Argentina rilasciato nel 1921. Altri racconti, pervenuti numerosi alla commissione giudicatrice del 2° concorso Storie di donne lucane, e già selezionati per la premiazione, attendono di essere portati alla luce da un’edizione a stampa: pezzi di vita che arricchiranno, anche da un punto di vista socio-linguistico, il variegato mosaico delle scritture femminili ‘in migrazione’. rappresentazione di un esodo italiano del tutto inedito, in cui si scopre l’apprezzamento per gli italiani e il riconoscimento dell’italianità. Questa italianità è “globale” e iniziò già a partire dalla grande emigrazione mercantile e si trascinò con entusiasmo fino all’Ottocento, dove il mondo scopre pittori, poeti, banchieri, consiglieri di Stato. Oggi gli italiani si sono inseriti nelle università, nella finanza e nella moda e l’autore parla più propiamente di “pendolarismo” o di un’emigrazione “di elite”, per la genialità, per la creatività che la comunità italiana riesce a trasmettere. (L.T.)
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RITROVARSI IN ARCHIVIO LET’ S GET READY TO STAR T THIS FASCINATING ADVENTURES AMONG THE ARCHIVES OF BASILICATA: THEY MAY PROBABLY BE DUSTY BUT CER TAINLY NOT LABYRINTHINE .
NO RISK TO GET LOST (AS IT HAPPENED TO THE DETECTIVE OF SARAMAGOS’ ROMANCE), RATHER THE OPPOR TUNITY TO FIND OURSELVES “AGAIN” , THROUGH OUR PAST, OUR MEMORY , OUR ROOTS… NOT JUST OF PAPER!
Alla maggior parte delle persone il termine o il concetto di “archivio” non richiamano alla mente proprio nulla di buono. Per molta gente, l’archivio rappresenta solo una realtà più o meno misteriosa, generalmente buia e polverosa, con la quale si viene di tanto in tanto in contatto, nel corso della propria vita, quando si ha bisogno di un documento che attesti, ad esempio, il diritto a percepire la pensione o ad acquisire la seconda cittadinanza italiana. Le lunghe e spesso estenuanti ricerche sui registri dello Stato civile alla ricerca dell’atto di nascita dell’avo nato in Basilicata rimangono, per molte famiglie di origine lucana da più generazioni emigrate in America o in Australia, l’unica esperienza di contatto con il mondo degli archivi. Ma, a guardar bene, questa immagine piuttosto negativa degli archivi si è perpetuata a lungo anche in un ambito colto come quello della letteratura. Facciamo solo qualche esempio tratto da pagine di autori italiani e stranieri. Nelle Confessioni di un Italiano (1858), al capitolo 5, Ippolito Nievo scrive: Il foro dietro cui lavoravano i cappuccini dava nell’archivio della cancelleria, che era una cameraccia scura al terzo piano della torre, piena di carte di sorci e di polvere. I toni rimangono pressoché identici in Gelosia (1894) di Alfredo Oriani, capitolo 4: La vasta stanza, dove lavorava, gli faceva quasi paura con quelle due finestre senza tende, e le pareti bianche fra i quattro immensi scaffali pieni di vecchi volumi in cartapecora, di un giallore cadaverico. Si sarebbe detta una camera d’archivio, con quell’atmosfera lievemente muffosa. In I Viceré (1894) di Federico De Roberto, il cavaliere Uzeda di Francalanza va su tutte le furie quando gli propongono di andare a lavorare nell’archivio provinciale: Era chiaro che al municipio non c’era da far niente per il legittimo orgoglio del principino. Giumente andò dal duca, suggerendogli di metterlo in qualche ufficio alla Provincia o alla Prefettura.
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PAGINA A FRONTE: ARCHIVIO DI STATO DI POTENZA, PERGAMENA DEL SEC. X A DESTRA: VISITA DI UNA SCOLARESCA AL LABORATORIO DI RESTAURO DELL’ARCHIVIO DI STATO DI POTENZA
E il duca, per evitare altre domande di sussidii, fece in modo da ottenergli un posto di copista all’archivio provinciale, il meglio che si poté trovare. Ma quando ne diedero comunicazione all’interessato, il cavaliere diventò rosso come un pomodoro. “A me un posto di scrivano? Per chi m’avete preso?” “Ma veda…” gli fece considerare rispettosamente Benedetto: “Vostra Eccellenza non ha titoli accademici… è avanzata in età… le amministrazioni pubbliche sono esigenti…” “E mi proponi di fare il copista?” Gridò il cavaliere. “A me, Eugenio Uzeda di Francalanza, Gentiluomo di Camera di Ferdinando II, autore dell’Araldo Sicolo?... Perché non lo fai tu, pezzo d’asino che sei?” Ma, per arrivare ad un narratore contemporaneo, come non fare riferimento a Josè Saramago che in uno dei suoi più bei romanzi, Tutti i nomi, ci descrive le “labirintiche catacombe” dell’archivio della Conservatoria Generale dell’Anagrafe di una mai nominata città portoghese? Catacombe davvero “labirintiche”, se dentro di esse finisce col perdersi un investigatore che vi si era recato per condurre certe ricerche araldiche. Il poveretto viene scoperto per miracolo solo dopo una settimana, “affamato, assetato, esausto, delirante, sopravvissuto solo grazie alla disperata risorsa di ingerire enormi quantità di vecchie scartoffie…” La Conservatoria dove lavora il protagonista del romanzo, il Signor José, è caratterizzata dalle “sagome tenebrose delle scaffalature cariche di carte” che “sembravano perforare il soffitto invisibile e ascendere al cielo nero”: vi regnano sovrani “le pagine annerite, le ragnatele, i monotoni scaffali dei vivi, il caos dei morti, il tanfo, la polvere”. “Archivio”, insomma, come luogo inospitale, nel quale è consigliabile trattenersi il più breve tempo possibile, quello strettamente necessario, per tornare subito dopo a respirare l’aria pura del mondo esterno. Bene, in questo piccolo angolo di rivista, cercheremo di dimostrare, con umiltà e pazienza, che proprio così non è. Cercheremo di far comprendere che un archivio non è un deposito inanimato di carte, ma un luogo magico, popolato da migliaia di storie e di personaggi del passato, pronti a riprendere vita e forma una volta che, estratti da una qualsiasi di quelle “scaffalature cariche di carte” una pergamena, un
volume notarile o un fascicolo processuale, cominceremo a far scorrere i nostri occhi sugli antichi righi di scrittura. Allora certamente, quasi per magia, come imbracciando il volante di una macchina del tempo, ci potremo ritrovare nella sala di un castello medievale illuminata a festa per il banchetto offerto da un principe normanno o da un re angioino; oppure, facendo un salto di qualche secolo, potremo approdare nel Cinquecento, nella bottega di un notaio di Melfi, ad aspettare il nostro turno accanto ad una coppia di futuri sposi poco innamorati e ad un nugolo di ecclesiastici rissosi e maleodoranti. Per chi preferisce altri contesti storici, potremo far fermare la macchina nel Settecento, facendoci magari lasciare nella cucina di un monastero femminile della Val d’Agri, ad impastar dolci con farina, zucchero rosso, cannella e cioccolato; oppure, arrivando all’Ottocento, potremo essere catturati nel folto della foresta del Monte Vulture, in una notte di luna piena, intorno ad un falò acceso da una allegra compagnia di briganti, intenti a gustare le carni arrostite di un capretto rubato nella masseria di un signorotto locale. Magia degli archivi, magia dei documenti in essi conservati! Ma magia vera, senza trucchi da nascondere, perché davvero tanto possono i documenti che sono conservati negli archivi della nostra Basilicata, siano essi archivi dello Stato, archivi della Chiesa, archivi di comuni o di famiglie. Il patrimonio archivistico della nostra regione è davvero notevole. Sono chilometri e chilometri di carte, chilometri e chilometri di racconti veri della nostra storia che attendono ancora di essere narrati. Allora, tutti pronti a cominciare questa affascinante avventura fra i percorsi - forse sì, un po’ polverosi, ma mai labirintici dei nostri archivi lucani! Percorsi nei quali non ci sarà il rischio di perdersi, come accade all’investigatore del romanzo di Saramago, ma, al contrario, solo l’opportunità di “ritrovarsi”, riscoprendo il nostro passato, la nostra memoria storica, le nostre radici... non solo di carta!
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a cura di Maria Verrastro
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Prima conferenza regionale sull’energia e l’ambiente La necessità di concertare, tra le regioni d’Italia, nuove politiche di trasferimento e di produzione di energia. È quanto emerso dalla prima conferenza sull’energia che, si è tenuta a metà novembre nei saloni dell’Efab a Tito Scalo. Una tre giorni in cui sono state approfondite diverse tematiche e che hanno visto la Basilicata al centro di un ricco dibattito a cui hanno preso parte, oltre ad alcuni esponenti politici lucani, anche esperti del settore.
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Difesa del suolo, investimenti per 85 milioni di euro Sono in arrivo investimenti per 85 milioni di euro per la difesa del suolo e dell’ambiente. È il frutto di un Accordo quadro di programma sottoscritto tra Regione Basilicata, Ministero delle Finanze e Ministero dell’Ambiente e delle Infrastrutture. Le azioni previste dall’accordo sono il consolidamento dei versanti dei centri urbani; la sistemazione e bonifica idraulica; la mitigazione del dissesto idrogeologico e la difesa della costa.
Progetto “corridoio adriatico” Attraverso un finanziamento dell’Unione Europea è prevista la realizzazione di infrastrutture viarie e ferroviarie. L’obiettivo primario è quello di ridurre il gap infrastrutturale di alcune zone della regione. Tra le priorità: le iniziative legate all’autostrada Murgia-Pollino e il collegamento ferroviario PotenzaMatera-Bari.
Progetto desertificazione La costituzione di un sistema informativo territoriale-ambientale unico per l’elaborazione di una metodologia comune e la definizione di una carta contenente le aree soggette a maggior rischio di desertificazione costituisce la base per l’avvio di un progetto realizzato dalla Regione Basilicata. La prima azione sarà quella di avviare un monitoraggio costante del fenomeno attraverso il quale sarà possibile programmare interventi mirati ed efficaci.
Agrolimentare lucano: una rete tra Basilicata e Germania Promuovere il mercato agroalimentare attraverso la creazione di una rete tra la Basilicata e la Germania. Il progetto, finanziato dal Fondo Sociale Europeo e realizzato dalla Camera di Commercio di Matera, tra l’altro, contribuirà a rafforzare i contatti tra gli operatori lucani del settore e la comunità degli italiani residenti all’estero.
Progetto “Itenets” Favorire l’apertura del territorio e della società lucana verso il resto del mondo, è questa la finalità del piano denominato “Itenets”. La Regione Basilicata, infatti, intende fornire al mondo produttivo lucano opportunità di cooperazione con i connazionali residenti all’estero, creando un Osservatorio per far conoscere la regione d’origine sotto i vari aspetti culturali, turistici e produttivi.
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Brevi DALLA
Sono previsti un corso di formazione per 25 operatori del settore ed uno stage in Germania.
Contratti di programma col Ministero delle Attività produttive Sono circa mille i posti di lavoro che dovrebbero crearsi in seguito all’approvazione di tre Accordi di programma, che riguardano il finanziamento di due progetti nel Metapontino e uno nel Vulture-Melfese. L’investimento complessivo è di circa quattrocento miliardi di vecchie lire. L’obiettivo è quello di far decollare le iniziative legate allo sviluppo del turismo e di mostrare maggiore attenzione alle tematiche ambientali. I primi due accordi, infatti, si riferiscono ad un progetto turistico che si estenderà all’intera costa jonica e ad un progetto agricolo-ambientale; mentre il terzo prevede la costruzione di un polo floricolo nel Vulture-Melfese.
Scanzano Jonico, “Villaggio del fanciullo” al posto del sito scorie A Scanzano Jonico (MT), in località Terzo Cavone, nel luogo dove il Governo nazionale aveva intenzione di far sorgere il cimitero delle scorie, potrebbe nascere la “Città dei bambini”. La proposta, lanciata dalla consigliera regionale Adeltina Salierno, dal presidente della Giunta Regionale, Filippo Bubbico e da altri consiglieri e deputati, è stata accolta da Betty Williams, premio Nobel per la Pace nel 1976, che da sempre è impegnata, in prima linea, in difesa dei diritti dell’infanzia e contro ogni forma di violenza. La Williams ha visitato l’area nei giorni scorsi ed ha riferito di aver già sottoposto il progetto al DalhaiLama e a Michail Gorbaciov.
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CHICAGO 17 agosto 2003 L’associazione Lucana “American Liberty” ha promosso una serie di iniziative in occasione dei festeggiamenti in onore di San Rocco. La venerazione e il culto per questo santo sono ancora vivi in tutto il mondo: Francia, Italia, Americhe, Spagna, Germania, Svizzera e Palestina. Solo in Italia sono più di tremila le chiese che lo onorano. In Basilicata i festeggiamenti più significativi in onore del Santo si svolgono a Tolve. Due sono le date più importanti: il 16 agosto e il 16 settembre. I pellegrini seguono la statua, ricoperta d’oro, per le strade del paese. Durante la processione alcuni dei fedeli che, portano in spalla il santo, avanzano scalzi in segno di devozione.
PARMA 27 settembre 2003 Nel cinquantenario della morte del poeta lucano, Rocco Scotellaro, il “Circolo Culturale Lucano” di Parma ha voluto ricordare, attraverso una serie di manifestazioni, la figura dello scrittore-sindaco di Tricarico (Pz). Docenti e studiosi si sono incontrati nella città emiliana per testimoniare la sensibilità dell’autore verso i problemi sociali della terra analizzando alcune opere pubblicate postume, come Contadini del Sud (1954), È fatto giorno (1954) e L’uva puttanella (1955).
ROMA 6 ottobre 2003 La maestosità del Palazzo Barberini ha fatto da cornice all’incontro che si è si è tenuto per ricordare la figura del cardinale e giurista Giovan Battista De Luca, nato a Venosa (Pz) nel 1614. De Luca, prima giurista e poi nominato cardinale, durante la sua attività di magistrato fu autore di numerose opere di diritto civile, canonico e feudale. Ad organizzare il convegno è stato il presidente del Centro Studi “Lucani nel Mondo”, Antonio Pilieri.
SETTIMO TORINESE (TO) 4/7 settembre2003 A Settimo Torinese l’Associazione Lucana “Emanuele Gianturco” e il sindaco del Comune di Settimo Torinese hanno ricevuto in visita una delegazio-
BARI 23 ottobre 2003 L’opera di Padre Prosperino Gallipoli e di Fra Antonio Triggiante, entrambi di Montalbano Jonico (Mt) è stata ricordata durante un incontro promossa dall’associazione Famiglia Lucana e “Basilicata Mozambico”. I due religiosi da anni operano in prima linea in Mozambico una terra sconvolta dalle guerre e dalla fame a favore delle popolazioni oppresse e distrutte dagli eventi bellici che si susseguono.
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ROMA 28 novembre 2003 Si è svolto, a cura dell’Associazione dei lucani a Roma e nel Mondo, un convegno dedicato al grande poeta di Tursi (Mt), Albino Pierro. Oltre alle opere in lingua italiana, Pierro pubblicò raccolte di poesie in dialetto tursitano. All’incontro hanno partecipato il prof. Emerigo Giachery, amico e profondo conoscitore dell’autore lucano, e il sindaco di Tursi, Salvatore Caputo.
ne del Comune di Rionero (Pz). Si è trattato di quattro giorni di scambi socio-culturali ed economici tra il paese lucano e quello piemontese, finalizzati alla promozione del turismo e alla volontà di stipulare eventuali accordi di collaborazione con industriali di Settimo Torinese.
BERLINO 8 novembre 2003 Grande festa per le strade di Berlino. La comunità dei tarantolati berlinesi, guidati da Francesco Campitelli, ha organizzato il “Mortadella trance party”. La manifestazione si è caratterizzata per la sua stravolgente creatività, diventando uno degli eventi più importanti dell’autunno berlinese. Le strade della città oltre ad essere state invase dai suoni e dall’allegria della tarantella si sono riempite anche del profumo del gustoso affettato italiano che è stato distribuito, in grande quantità, a tutti i “tarantolati”. 87 57
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“Per ritrovarti tra grattacieli e strade come nido, fiato o grido, scrivo il tuo nome come mantra… Sei tu la poesia d’un cielo d’infanzia, di una magnolia che stilla diamanti…” Pochi versi, un passo d’amore per la Lucania, la mia terra d’origine. Sono nata a Roccanova, in provincia di Potenza, da un’antica famiglia lucana. Dalla mia terra ho ereditato la fierezza, l’onestà e la sacralità dei riti. La mia passione per la scrittura è cominciata proprio qui, negli anni di un’infanzia felice, vissuta a contatto con la natura e con un microcosmo dove la vita era corale. Da bambina, mi dilettavo a comporre favole e poesie. Andavo a rifugiarmi sui tetti della mia casa per guardare le montagne di Roccanova. Prediligevo la compagnia dei più anziani, che mi raccontavano le storie magiche della Lucania, terra di miti e vicende storiche appassionanti. La mia famiglia ‘governava’ il paese: mio zio Francesco medico condotto, zio Raffaele insegnante come i miei genitori, zio Vincenzo era farmacista, avvocato, commercialista e sindaco del paese. Ricordo un mondo perduto: il banditore che alle cinque della sera con il suo “corno” annunziava che c’era mercato in piazza. La piazza… grande con un albero e la Chiesa Madre, la scalinata che andava al Ponte, finestre e balconi si affacciavano sulla piazza, il negozio degli Arcomano, dove oltre il salone di barbiere si vendeva un po’ di tutto. Anche i giornali. Sin da piccola, ho respirato a pieni polmoni la cultura della mia terra. E così, quando con la mia famiglia, ci siamo trasferiti a Castellammare di Stabia, la mia passione per la poesia si è tramutata nell’aspirazione al giornalismo. Nei dintorni, si tenevano gli incontri internazionali del cinema di
Lucania, nenia d’infanzia 88
Sorrento e a sedici anni ho cominciato a fare le mie prime interviste, pubblicate sulle pagine della “Tribuna Illustrata”. Poi, per quindici anni, ho lavorato per il Quotidiano della Provincia di Como, fino a diventare capo-servizio Cultura per il “ Diario di Venezia”. Nel 1984, a Milano, diventai direttrice della rivista mensile “Vietato Fumare”. Trentamila copie alla prima uscita, sessantamila il secondo mese. Con jeans e scarpette da tennis, andavo a parlare con tutti i più importanti produttori cinematografici, entrando a far parte di un circuito scintillante e patinato. Quando si decise di vendere la rivista ho sentito il bisogno di concedermi un momento di pausa. L’anno precedente avevo visitato Francoforte, dove abitava mio fratello. In quegli anni la nostalgia si fa viva. Ancora oggi rivedo la casa dove sono nata. Il vivere altrove porta sì ad un arricchimento, ma anche ad uno sradicamento, e allora si ha bisogno di ritrovare le proprie radici. Qui a Francoforte, ho cercato contatti con altri lucani, ho fondato un’associazione di donne che si dedicano alla scrittura creativa e che ancora scrivono in italiano, dedicandola alla poetessa di Valsinni, Isabelle Morra. Con loro, nel 2001, ho realizzato un progetto dal titolo “Sere lucane”, in cui alcune serate di lettura sono state dedicate a grandi poeti lucani: Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli, Albino Pierro, Anna Santologuido. Insieme abbiano anche ideato una mostra fotografica dedicata al paesaggio lucano, curata da Daniele Messina, accompagnata dai testi di Carlo Levi e Raffaele Nigro. Sono seguiti altri incontri dedicati a “Il paesaggio lucano nel cinema italiano” - con proiezione di film girati in Lucania - e quello in cui il professor Antonio Valicenti ha presentato il suo libro “Orazio” in dialetto lucano. Tutte iniziative, queste, che mi sono valse la nomina di “Ambasciatrice lucana a Francoforte”; titolo che mi ha riempito di orgoglio. Oggi a Roccanova, vivono le mie zie e i miei cugini. Marcella Continanza
M NDO
BASILICATA
THE STRONG STANCE OF POTENZA CHAMBER OF COMMERCE ABOUT EMIGRATION IN 1874. Summary from an article of Luigi Calabrese But this attitude was openly misleading , as it was not really investigating the deepest roots of the phenomenon. Roots which Giustino For tunato clearly ascribed to the missed Agrarian Revolution, to the labour exploitation, to the paltry salaries, to the strict taxation rules. According to Giustino Fortunato, the leading classes were guilty of denying any responsibility towards the emigration plague, and were just fearing manpower reduction to cause salaries’ increase and workers’ new demands on a social level. Additionally, they were omitting to acknowledge the positive effects of emigration: a lower percentage of ragged people, murders’ fall off, the decrease of cattle lifting; less riots among rural communities; lower usury rate. And it should not have been forgotten , according to For tunato, that the payment of local taxes was often possible just thanks to the aids of emigrants from abroad countries. In other words , For tunato strongly suppor ted emigration, which in the end was the only alternative left to most Italian areas.
COLLEZIONE PRIVATA FAM. IGNOMIRELLI
Emigration in Basilicata was object of heated discussions and debates among the leading political classes of late 1800. As a matter of fact, the percentage of emigrants in Basilicata dramatically increased between 1869 and 1872: 359 emigrants in 1869, 5.654 in 1872, 4.221 in 1873 (see the picture at the bottom of the page). The politicians’ approach to this social plague was wrong since the beginning : short made unexpected earnings, the need to seek one’s fortune, gambling of the Steamship Companies were believed to be its most important reasons, by both right and left wing leaders. An 1873 circular of the Home Affairs Minister Lanza urged local prefects to prevent both clandestine and official with any system, and to strongly punish the Steamship agencies which encouraged the masses to leave behind the groundless expectation of economic improvement. On the other side, the Chamber of Commerce’s article dated 1874 clearly blamed the emigrating masses: “ they were looking for higher salaries, even though they were the highest of the whole country” (a prove of this should have been the remarkable number of Nor thern Italian people looking for a settlement in the South).
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