OTTAVIO CHIARADIA
Porti e aeroporti: la regione si fa “mediterranea” Escono dalla fase di studio alcune delle principali infrastrutture previste per “aprire” la Regione ai circuiti di sviluppo nazionale ed europeo. 6
M NDO
BASILICATA
A REGION
WHICH HAS ALWAYS TRIED
TO EXIT FROM ISOLATION AND TO BECOME A PROTAGONIST OF THE DEVELOPMENT OF
MEZZOGIORNO
WITHIN THE
COULD NOT NEGLECT,
2000-2006 COMMUNITY
SUPPORT ACTION PLAN, THE ADJUSTMENT AND MODERNIZATION OF REGIONAL INFRASTRUCTURES.
IN FACT, THE REGIONAL ADMINISTRATION, WITH THE APPROVAL OF
DAPEF,
THE
FINANCIAL AND ECONOMIC PLANNING DOCUMENT, HAS IDENTIFIED THE DEVELOPMENT OBJECTIVES WHICH CAN BE ACHIEVED THROUGH THE QUALITY AND QUANTITY ADJUSTMENT OF TRANSPORT INFRASTRUCTURES.
THE FORESEEN ACTIONS CONCERN
THE BIG
CONNECTION LINKS WITHIN AND OUTSIDE THE REGION.
TWO LANDING STAGES
ON THE IONIAN OF THE RIVER
SEA, ONE ON THE MOUTH
AGRI
AND THE OTHER
ON THE MOUTH OF THE RIVER
BASENTO,
AND TWO AIRPORTS, THE FORMER IN THE CAPITAL TOWN AND THE LATTER IN
PISTICCI, WILL ENABLE THE
“SYSTEM BASILICATA” TO OVERCOME ITS PERIPHERAL POSITION AS REGARDS NATIONAL AND INTERNATIONAL RELATIONSHIPS. 7
Porto degli Argonauti: cantieri aperti quattro stelle e il villaggio turistico. Non mancano, naturalmente, negozi e centri di servizio per la nautica da diporto con annesso yacht club. Insomma una megastruttura che fa del suo porto un salvagente per l’occupazione in Basilicata: “Ogni quattro barche un posto di lavoro”, assicura con orgoglio la società. Il canale d’accesso dal mare, lievemente curvilineo, è lungo 450 metri e largo 40, con una profondità di tre metri e mezzo. A ovest del canale, poi, si trova un arco di spiaggia che appiattisce le onde e accoglie i natanti minori, come pedalò, gommoni e mosconi. Le barche ormeggiate nel porto non devono superare i 18 metri di lunghezza. A vela o a motore, le imbarcazioni ospitanti sono quindi quelle di medie dimensioni. Una volta attraccate, possono essere messe a punto dagli addetti ai ricambi. Non manca il rifornimento carburanti e, vicino alle banchine, c’è anche una torre di controllo”. ROSSANA PAGLIAROLI
E gli ambientalisti si mettono di traverso
te, anche per la stessa ragione economica che dovrebbero giustificarli. “Per il turismo della costa ionica – dichiara – non servono porti stanziali, perché non è la dimensione del porto che assicura la navigabilità di un tratto di costa. Il rischio è di fare infrastrutture che rimarranno vuote per 10-11 mesi all’anno. Il turismo - aggiunge De Leo - deve tradursi in una ‘dimensione’ che tenga nel giusto conto l’agricoltura ecocompatibile e lo sviluppo rurale, la depurazione e la gestione integrata delle acque, il verde pubblico, l’energia, i rifiuti, la bioedilizia. Un approccio integrato, dunque, per realizzare un turismo competitivo fondato
LEONARDO NELLA
È di poche settimane fa il sì della Regione Basilicata (con la sola astensione dell’assessore Dino Collazzo) sulla compatibilità ambientale del porto sul Basento, che sblocca la via dei lavori. Mancava, infatti, l’ok istituzionale, arrivato però vincolato al rispetto delle misure poste a tutela dell’area. La pugliese Nettis Resort srl che lo realizzerà, dovrà infatti attenersi alle indicazioni dettate dal Comitato tecnico regionale ambientale (Ctra). L’infrastruttura sarà costruita in località Macchia Nuova, nel comune di Pisticci. L’idea di chiamarlo “porto degli Argonauti” è del semiologo Omar Calabrese che ha preso a prestito il nome da una leggenda dell’antica Grecia. Parla di Giasone e i suoi eroi, gli Argonauti appunto, navigatori alla ricerca del vello d’oro sulle acque del mar Ionio. Il porto, pensato per 450 barche, fa parte di un più ampio progetto di case e ville già realizzate. Come pure l’hotel a
Gli ambientalisti lucani sul piede di guerra. Il via libera della Giunta regionale sul progetto del porto turistico Argonauti è stato accolto con totale contrarietà. Alla base del dissenso la convinzione che la megaopera si tradurrà in un forte attacco all’habitat costiero. Porti inutili, taglia corto Gianfranco De Leo, componente del Direttivo Nazionale di Legambien8
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LEONARDO NELLA
LEONARDO NELLA
OTTAVIO CHIARADIA
BASILICATA
Marinagri… gonfia le vele Sin dal 1997, il porto “Akiris” era stato pensato sul lato destro della foce Agris, in località Bufalòria, tra i comuni di Policoro e Scanzano. Nel 2001, la proposta ha ottenuto una conferma con il via libero della Valutazione d’impatto ambientale. Chicca di un più ampio progetto di centro turistico ecologico integrato, Akiris porta la firma della lucana Marinagri spa. La sua posizione nasce dai suggerimenti di Aquater spa, la società che ha spulciato per anni il litorale ionico. Con un unico obiettivo: far sposare ambiente e sviluppo, storia e progresso. Ponte naturale per gli itinerari del Mediterraneo sudorientale, il porto, con tutto il progetto alle spalle, intende promuovere un turismo mare-monti, supportato dalla vicinanza con il Parco nazionale del Pollino. Le pinete che lo circondano fan-
no da sfondo ad acque abbastanza tranquille, ideali alla navigazione e alla sosta di turisti, bagnanti e lupi di mare. Akiris può ospitare fino a 225 barche. Altri attracchi sono destinati ai turisti dell’hotel o dei residence del villaggio che comprende, fra l’altro, un yacht club, una chiesa, un disco bar e negozi vari. Il porto dispone anche di un cantiere navale. Le imbarcazioni non devono esser più lunghe di 13,5 metri e avere un’immersione massima di tre. Di fronte al canale d’ingresso, il distributore carburanti oltre alla capitaneria di porto e ai punti ristoro. All’interno dell’avamporto, invece, una piccola spiaggia artificiale smorza “l’energia che penetra dall’imboccatura portuale, causando il frangimento delle onde”. Tutto il centro turistico, infine, è progettato per essere accessibile alle persone diversamente abili. (R. P.)
sulla qualità ambientale e paesaggistica, collegata alla qualità della fruizione”. Gianni Palumbo, responsabile nazionale dell’osservatorio sulle biodiversità della LIPU, lamenta il mancato coinvolgimento delle popolazioni del luogo sulla questione. “Le modifiche ad un piano che interessa un’area SIC (sito d’interesse comunitario) – dichiara - andrebbero apportate dopo opportuna e prescritta Valutazione d ’Incidenza. Così non è stato ed è per questo che abbiamo fatto ricorso alla Comunità Europea che deciderà sulla richiesta di aprire una procedura di infrazione. Riteniamo che il problema della
trasformazione dell’habitat costiero attiene anche a considerazioni di carattere sociale ed economico oltre che ambientale. L’aver modificato con rapidità un Piano Paesistico di Area Vasta come quello del Metapontino senza un percorso condiviso dal basso con le popolazioni, le associazioni di categoria, le associazioni culturali, le associazioni ambientaliste e gli enti locali – conclude Palumbo - genera un cortocircuito pericoloso per l’avvenire di questa porzione di Basilicata che viene di fatto esautorata dalla possibilità di autodeterminare il proprio sviluppo nel rispetto del territorio e della natura”. 9
Il porto sullo Jonio, una lunga corsa ad ostacoli Fra polemiche e resistenze burocratiche il lungo cammino di un progetto ambizioso È dal 1987 che la Regione Basilicata ci pensa: un porticciolo tutto lucano sul mar Ionio è come una finestra aperta sul Mediterraneo. L’idea è così allettante che si mette in moto la macchina burocratica. Ma la questione è complessa. In gioco troppi interessi contrastanti e molte le problematiche da risolvere, soprattutto riguardo al rispetto del territorio. Negli anni Novanta, la Regione avvia una serie di studi di compatibilità e analizza tutti i movimenti di terra e acqua che agitano l’antica Magna Grecia. Nessuna foce è esclusa: goccia a goccia, i fiumi Sinni, Agri, Terzo Cavone e Basento riempiono le pagine dei progetti. Nel frattempo, vara la legge sui Piani paesistici d’area vasta e invita i comuni del Metapontino a valutare la possibilità di localizzare un porto sul proprio territorio, previa redazione di Piano particolareggiato esecutivo d’ambito. Rispondono all’appello i comuni di Policoro, Scanzano, Pisticci, Bernalda e Nova Siri. Quest’ultimo propone anche la foce “Canale Toccacielo” che ricade sul proprio territorio. Insomma, il porto sullo Ionio si deve fare: “Opera imprescindibile infrastrutturale”, per la Regione Basilicata che, all’attivo, ha solo un porticciolo, quello di Maratea, sul mar Tirreno.
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Passano gli anni e arrivano i primi risultati degli studi. L’Aquater spa, la società che compie le analisi, porta sul tavolo di via Anzio i pro e i contro di quattro progetti: un porto per ogni fiume che sfocia nello Ionio. La prima proposta di infrastruttura risale al 1998, la Regione accoglie con una delibera la proposta di avviare nell’ambito della contrattazione programmata, uno sviluppo del settore turistico in Basilicata, puntando sulla nautica da diporto. L’idea, è il caso di dirlo, va in porto: gli studi di fattibilità sono passati al setaccio dal dipartimento regionale Ambiente e Territorio e dal gruppo di coordinamento nominato ad hoc. Il gran tesoro da salvaguardare è l’ambiente, nella sua complessa accezione. Le aree coinvolte rientrano poi nei siti d’interesse comunitario (Sic) e hanno bisogno della preventiva valutazione d’incidenza e della Via (Valutazione d’impatto ambientale). I contrari al progetto ne faranno un punto di forza per bloccare ogni iniziativa in merito. Nel 2000 la Regione individua alla foce di ciascun fiume la possibilità di localizzare infrastrutture portuali. Nel frattempo, la Regione attende il Piano d’ambito redatto dai Comuni di Pisticci e Bernalda per la previsione di un
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BASILICATA
In via Anzio, le osservazioni sono esaminate e valutate ai fini delle scelte conseguenti. L’idea di avere altri due porti in Basilicata va avanti. Le carte sono in regola e tutti i nodi sono stati sciolti. La variante adottata non cambia di una virgola agli impegni assunti. Serve soltanto a superare la redazione del Piano d’ambito, mai giunta a palazzo. Per quanto riguarda l’area del fiume Basento sottoposta a tutela paesaggistica, la Regione fa sapere che si tratta di “quell’ambiente palustre in riva sinistra, a circa un chilometro dalla foce”, ben lontano dalla zona interessata dall’infrastruttura portuale che, infatti, si troverebbe a destra della foce. La variante ha ottenuto il via libera dal Consiglio regionale che ha approvato anche un emendamento presentato dall’esponente dei Verdi, Francesco Mollica, con il quale la Regione chiede alle società che realizzeranno i porti di stipulare una polizza fideiussoria, “a garanzia dei ripristini dello stato dei luoghi”, prima del’inizio dei lavori. Successivamente, il progetto del porto sul Basento ha ottenuto anche l’ok della Regione per la compatibilità ambientale e la valutazione d’incidenza, sulla quale gli ambientalisti continuano a dare battaglia. ROSSANA PAGLIAROLI OTTAVIO CHIARADIA
porto in quell’area. Si arriva al 2003. La giunta regionale adotta una variante al Piano territoriale paesistico del Metapontino per la localizzazione di porti turistici sul litorale ionico. Il documento è approvato all’unanimità, con la sola astensione dell’assessore di Rifondazione comunista, Dino Collazzo. In sede di osservazione, nei trenta giorni successivi alla pubblicazione, l’amministrazione bernaldese risponde che “non è pregiudizialmente contraria “a un porto nel comune di Pisticci”, ma “avversa” a qualsiasi opera che “possa aggravare” l’erosione costiera a Metaponto. Per prima cosa, devono essere valutati a priori gli effetti, poi assicurate le “opportune garanzie” per la riaccumulazione, naturale o artificiale, della sabbia negli arenili, che si rende necessaria a fronte delle opere stabili portuali. L’amministrazione di Bernalda chiede che il porto venga collegato alla cittadina con una via d’accesso alla statale 106 e con un ponte sul fiume Basento. Contrari a tutto il progetto, invece, le associazioni locali degli ambientalisti che rivendicano “un equilibrio delicato e un habitat caratteristico”, messi a rischio dalle intrusioni saline che danneggiano la pineta esistente.
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Superata la dimensione “rivendicativa” del dibattito, si punta a consolidare gli aspetti di fattibilità delle due infrastrutture
Aeroporti: Potenza e Pisticci, voli confermati THE AIRPOR T OF POTENZA SEEMS LIKELY TO BECOME A REALITY. AFTER LONG-DRAWN-OUT FEASIBILITY STUDIES, THE REGIONAL AUTHORITY HAS DECIDED TO FINANCE THE WORK WITH 35,550,000 EURO COMING FROM THE FUNDS FORESEEN BY THE DECISION MADE BY
CIPE IN 2003.
THE RUNWAY WILL BE BUILT IN THE AREA OF PIANI DEL MATTINO. THEY PLAN TO HAVE DAILY CONNECTIONS TO MILAN-LINATE AND ROME AND MIDWEEK FLIGHTS TO BOLOGNA, BRESCIA, CAGLIARI, CATANIA, TURIN, VENICE AND VERONA. THE ALREADY EXISTING MATTEI RUNWAY WILL BE ENHANCED TO BECOME AN INFRASTRUCTURE FOR TOURISM AND AGRICULTURAL EXPOR T.
Bubbico: le piste non sono incompatibili L’area individuata per la realizzazione dell’aeroporto lucano conta sul più ampio bacino d’utenza. A rivelarlo gli studi di fattibilità. I documentI sono alla base della decisione di programmazione e finanziamento dello scalo aeroportuale sul suolo potentino. Un investimento che, al netto, costerà 35 milioni e 550 mila euro. “Da questa analisi economica - hanno fatto sapere 12
In questi ultimi anni la Basilicata sta compiendo un significativo sforzo per superare l’antico isolamento e per avviare un concreto processo di integrazione con le grandi aeree del Paese e dell’Europa. In tale ottica assume una particolare rilevanza strategica la costruzione dell’aeroporto civile della Basilicata da inserire in un “sistema” complessivo dei trasporti da riqualificare e razionalizzare. Su questo terreno la Regione sta intervenendo con impegno e con l’intento, tra l’altro, di integrare le diverse modalità treno/autobus/aereo. Temi che certamente trovano un’adeguata risposta nella elaborazione degli strumenti programmatici e negli indirizzi degli organi regionali. È ormai dagli anni ’70 che si susseguono discussioni e progetti sulla opportunità di dotare anche la nostra regione, unica in Italia priva di scalo aeroportuale, di una infrastruttura capace realmente di ridurre i tempi di viaggio, di offrire nuove opportunità di scambio e di sviluppo al nostro sistema economico (si pensi ad esempio al comparto turistico) e di far entrare a pieno titolo i lucani nella più complessiva rete di rapporti e di scambi nazionali ed internazionali. C’è da aggiungere che la presenza di un vero e proprio aeroporto agevolerebbe anche i tantissimi emigranti sparsi in tutto il mondo che intendono alimentare il loro rapporto con la terra natia e con i propri parenti. La conclusione dello studio commissionato dalla Regione sulla individuazione del sito più idoneo ed il conseguente approfondimento compiuto dal Comune di Potenza sugli aspetti strettamente gestionali, economici e di fattibilità hanno fatto superare la dimensione puramente “rivendicativa” e teorica del dibattito istituzionale sull’argomento, passando ad una fase più operativa e realizzativa. L’elemento di rilievo è certamente da ricercare nella decisione della Giunta Regionale di finanziare l’opera, da realizzare a Potenza, con 35.550.000 euro rivenienti dai fondi previsti dalla deliberazione del CIPE n°17 del 2003. La disponibilità deldal Comune di Potenza - sono emerse le caratteristiche di centralità dell’area in relazione alle diverse modalità di trasporto. L’attuazione dell’autostrada Lauria – Foggia e la complementarità con le altre infrastrutture meridionali significano, per l’aeroporto, un gran numero di utenti”. Tuttavia non mancano le contestazioni: “Una struttura aeroportuale esiste già a Pisticci - ha fatto notare il presidente del Consorzio Asi di Matera, Angelo Minieri – e non servirebbero più di 10 milioni di euro per completarla”. Le due aerostazioni, replica il Presidente della Regione Filippo Bubbico, perfettamente compatibili e non
OTTAVIO CHIARADIA
LA PISTA MATTEI A PISTICCI
L’AREA DOVE SORGERÀ L’AEREOPORTO DI POTENZA
le risorse finanziarie e la riconferma di una precisa volontà politica tolgono infatti ogni alibi agli scettici ed a quella parte dell’opinione pubblica che, forse delusa dagli improduttivi tentativi del passato, ritiene ancora che il “decollo” dalla Basilicata debba rimanere un semplice sogno. Certo i segnali di ottimismo e le scelte compiute in sede locale devono avere i definitivi assensi da parte degli organismi nazionali preposti alla programmazione ed alla gestione del trasporto aereo i quali (primo fra tutti l’ENAC) sono chiamati a verificare il rispetto di tutte le condizioni tecniche previste per una infrastruttura che, certamente, richiede elevati standard tecnologici e progettuali. Inoltre, il dibattito di questi giorni tra gli amministratori pubblici sul destino degli altri siti che si erano candidati ad ospitare l’opera potrebbe ingenerare qualche residuo dubbio o, ancora peggio, potrebbe avviare la classica “guerra tra poveri” in una regione con appena 630.000 abitanti che manifesta all’esterno la velleità di avere addirittura 3 o 4 aeroporti. La costruzione e, soprattutto, la gestione di una simile infrastruttura non sono comunque una impresa facile anche alla luce della liberalizzazione e delle ricorrenti crisi del settore. Dunque campanilismi e divisioni potrebbero ulteriormente ritardare o, addirittura, impedire la soluzione dei problemi. Di recente è stato ripreso l’argomento e sembra che si stia facendo strada l’idea di assegnare peculiari destinazioni funzionali all’aeroporto civile della Basilicata a Potenza (collegamento con i principali aeroporti italiani) , alla “pista Mattei” di Pisticci (supporto delle at-
tività imprenditoriali e turistiche del Metapontino) e all’aviosuperficie di Grumento Nova (specializzata in attività di protezione civile e di aviazione generale). Per quanto riguarda il capoluogo, dando per scontato che ormai la scelta è definitiva, lo studio del Comune definisce già le principali caratteristiche dello scalo. La pista, da realizzare a Piani del Mattino, dovrebbe avere una lunghezza di 1.800 metri e consentirebbe l’atterraggio, almeno nella prima fase, di aerei per il breve/medio raggio con capienze fino a circa 70 posti. Nei primi anni sono previsti collegamenti giornalieri con Milano Linate e Roma e voli infrasettimanali per Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Torino, Venezia, Verona, ecc. Lo studio di fattibilità stima, nella fase di avvio, circa 70.000 passeggeri all’anno in partenza, con progressivi incrementi negli anni successivi sia in termini di rotte, sia per gli utenti serviti. Un’altra parte delle attività dovrebbe interessare i voli charter e le attività aeree di privati (aereoclub, società di trasporto private,ecc.) oltre che gli esercizi commerciali e di assistenza a terra da ubicare nella struttura. Anche se vi sono da registrare dei considerevoli passi in avanti il cammino per raggiungere il risultato finale non sembra del tutto agevole e, forse, richiede ancora tempi non brevi. L’augurio è che anche su questa materia la nostra comunità sappia ritrovare la necessaria unità e la giusta determinazione in modo da creare le condizioni per realizzare, questa volta veramente, l’atteso sogno dei lucani. =
concorrenziali, potranno essere realizzate entrambe. “A Metaponto – ha dichiarato il governatore – serve una infrastruttura per il turismo e per l’export agricolo. La Pista Mattei sarà ampliata, anche con fondi regionali, qualora se ne rivelasse la necessità. A Potenza occorre invece uno scalo per la mobilità civile di un’area più vasta, una infrastruttura che fungerà da scalo per le rotte nazionali. La Regione - ha continuato Bubbico - ha scelto di finanziare questo progetto in base alle risultanze di uno studio di fattibilità che conferma, tra l’altro, le profonde modificazioni in atto nel mercato del trasporto aereo. La necessità dell’aeroporto
a Potenza - ha affermato il governatore - va letta anche in relazione al progetto dell’autostrada Lauria - Potenza - Melfi Foggia e a quello della Potenza - Bari, cioè di due infrastrutture che concorreranno certamente a rafforzare il sistema della mobilità. In questo quadro, se la città di Potenza sarà in grado di enfatizzare le proprie capacità attrattive, dilatando il proprio bacino d’utenza - ha concluso il Presidente della Regione - le ragioni della scelta dell’aeroporto si rafforzeranno in uno scenario di medio-lungo periodo”.
LEONARDO NELLA
M NDO
BASILICATA
ROSITA ROSA
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Altobello: la Basilicata regione cerniera
Per il raggiungimento di questa importante finalità è stata posta in essere un’intesa generale quadro tra Ministero dei Trasporti e Regione Basilicata che contiene gli studi di fattibilità per la realizzazione dell’asse e prevede un potenziamento del “Corridoio jonico”. Intanto, in attesa di ottenere i risultati dello studio di fattibilità per la realizzazione dell’aeroporto regionale, si presta molta attenzione alle aviosuperfici presenti sul territorio. “La pista Mattei nella Val Basento può diventare, riflette Altobello, un’utile infrastruttura in grado di rispondere all’aumento di flusso turistico che sta interessando l’area del metapontino. Anche la realizzazione di porti può incrementare il flusso turistico verso la Basilicata: con l’approvazione del piano territoriale paesistico vengono confermate le previsioni di costruzione degli approdi di Pisticci e Policoro”. Con queste realizzazioni, ne è convinta la maggioranza, la Basilicata potrà candidarsi al ruolo di “regionecerniera” fra le direttrici adriatica e tirrenica e sviluppare strategie di cooperazione con le regioni vicine per superare quella condizione di marginalità che per lungo tempo ha rappresentato un freno alla realizzazione di uno sviluppo economico stabile e duraturo. CINZIA SPERA
Un limite allo sviluppo socio-economico della Basilicata è lo storico deficit infrastrutturale che ha creato un divario tra il Nord e il Sud del Paese. È il pensiero di Sabino Altobello, esponente della maggioranza di centro-sinistra che governa la Regione Basilicata. Questa l’analisi della situazione attuale, alla quale si deve porre rimedio raggiungendo gli obiettivi fissati nel Dapef (Documento Annuale di Programmazione Economica e Finanziaria) 2000-2006 che puntano a realizzare una dotazione infrastrutturale capace di rompere l’isolamento della Basilicata. Tra i punti programmatici del Dapef assume rilievo la realizzazione del cosiddetto “Corridoio adriatico” cioè l’asse viario Lauria-Potenza-Melfi-Foggia. C’e’ l’esigenza di completare le grandi direttrici a livello interregionale, per permettere di collegare tra loro le realtà territoriali economicamente evolute, allo scopo di esaltarne le integrazioni e le sinergie.
DATI STUDIO DI FATTIBILITÀ GESTIONALE MOVIMENTI E PASSEGGERI SETTIMANALI MEDI
1° ANNO DI ATTIVITÀ
PAX STIMATI IN PARTENZA 7 GG - 1° ANNO
LUN
BOLOGNA
41,50
1
BRESCIA
68,50
1
CAGLIARI
6,50
CATANIA
61,50
1
GENOVA
54,50
1
MILANO LINATE
314,50
2
1
1
MILANO MALPENSA
168,00
1
1
1
MAR
MER
GIO
VEN
SAB
DOM
TOTALE PAX IN PARTENZA 7 GG
TOTALE PAX IN PARTENZA 1° ANNO
41,0
2132,0
68,0
3563,0
DESTINAZIONI 1 1 1 1
1
1
3120,0
46,0
2392,0
312,0
16224,0
165,0
8580,0
6,50
0,0
0,0
PALERMO
26,00
0,0
0,0
PARMA
13,00
0,0
0,0
PISA
28,50
0,0
0,0
ROMA
394,50
2
384,0
19968,0
TORINO
57,50
1
46,0
2392,0
TRAPANI
28,50
VENEZIA
132,50
1
VERONA
108,00
1
78520,00
624,00
2
1
0,0
60,0
OLBIA
2
2
1
260,00
208,00
156,00
OTTAVIO CHIARADIA
TOTALE PAX
14
1
0,0
2
1
1
0,0
0,0
1
1
132,0
6864,0
1
1
108,0
5616,0
208,00
1362,00
70824,00
416,00
156,00
M NDO
BASILICATA Di Sanza: tutta politica la scelta di Potenza
perficie prevista nell’accordo di programma del metapontino, motivata da esigenze socio-economiche legate al turismo e all’agricoltura. Vorrebbe anche fare una riflessione seria sulla proposta del Consorzio Asi di Matera di ampliamento della Pista Mattei di Pisticci, in primo luogo per la sua collocazione geografica a ridosso della Basentana e poi per la preesistenza di una pista ad uso commerciale. Invece, l’impressione di Di Sanza è che “la Giunta Regionale sia presa da una sorta di ‘indecisione’, visto che ha autorizzato da tempo diversi studi di fattibilità senza dare alcuna precisa indicazione sulla propria volontà, dimostrando in tal modo l’assenza di una programmazione infrastrutturale ed economica del territorio”. I banchi dell’opposizione sono favorevoli alla realizzazione di nuovi approdi turistici sulla costa Jonica. Sarebbe questa una buona soluzione per rilanciare lo sviluppo socio-economico della Basilicata e per incrementare l’afflusso turistico, cosa positiva questa, purché si presti assoluta attenzione, avverte Di Sanza, a coniugare lo sviluppo economico con il “rispetto dell’ambiente, nell’interesse delle popolazioni lucane e per assicurare alla Basilicata un effettivo sviluppo sostenibile”. (C. S.)
Se la maggioranza saluta con piacere l’arrivo dell’ aeroporto a Potenza, l’opposizione non ne è tanto convinta, anzi ha forti dubbi che ve ne sia proprio l’esigenza. Secondo l’idea di un suo rappresentante, Antonio Di Sanza, da una breve ricostruzione dei fatti si evince che la scelta di realizzare l’aeroporto civile a Potenza e non altrove dipende esclusivamente dalla Giunta regionale e non dal governo nazionale. “L’assegnazione di 35 milioni di euro da destinare alla costruzione di un aeroporto civile nel capoluogo di regione è un’operazione per far piacere agli amministratori di turno. Non c’è necessità di indagini conoscitive per comprendere che in Basilicata non vi è un bacino d’utenza tale da giustificare un sistema aeroportuale”. Al posto della discussione sull’aeroporto regionale, l’opposizione che contesta la scelta del governo lucano vorrebbe aprire un serio dibattito sulla proposta di realizzazione dell’aviosu-
REALIZZAZIONE: AIR SUPPORT, LANDRUM AND BRAWN - CENTRO STUDI SU SISTEMI DI TRASPORTO, SU INCARICO DEL COMUNE DI POTENZA
5° ANNO DI ATTIVITÀ
PAX STIMATI IN PARTENZA 7 GG - 5° ANNO
LUN
BOLOGNA
50,00
1
BRESCIA
82,50
1
CAGLIARI
7,50
CATANIA
73,50
1
GENOVA
66,00
1
MILANO LINATE
378,00
1
MILANO MALPENSA
201,50
1
MAR
MER
GIO
VEN
SAB
DOM
TOTALE PAX IN PARTENZA 7 GG
TOTALE PAX IN PARTENZA 5° ANNO
50,00
2600,0
82,0
4264,0
DESTINAZIONI
7,50
PALERMO
31,50
PARMA
15,50
PISA
1
0,0
0,0
1
72,0
3744,0
1 1
1
1
1
1
1
1
1
66,0
3432,0
378,0
19656,0
200,0
10400,0
0,0
0,0
1
31,0
1612,0
0,0
0,0
34,50
1
34,0
1768,0
ROMA
474,00
2
468,0
24336,0
TORINO
69,00
1
69,0
3588,0
TRAPANI
34,50
1
34,0
1768,0
VENEZIA
159,50
1
1
1
159,0
8268,0
VERONA
130,00
1
1
1
129,0
6708,0
94380,00
728,00
208,00
1772,00
92144,00
TOTALE PAX
1
104,00
1
1
156,00
156,00
2
468,00
1
104,00
1
OTTAVIO CHIARADIA
OLBIA
1
15
Per una politica della memoria
Quando gli stranieri eravamo noi Beyond the national borders many Italies are swarming with life, realities which result from an ancient history imbued with sacrifices, expectations, tragedies and fulfilments. “Italy of “the remained” seems to acknowledge the one of “the left” the moral debt for the dark, inestimable contribution they gave for making us become what we are”. These considerations by Cristoforo Magistro, teacher of Literature at the Centro Territoriale Permanente “Provetti” in Turin, push the need for giving new value and rethinking of what is our past, our experience and our memory, in the light of present events. In fact, the adventures of the migrants who, nowadays, moved by despair and by the hope for a better life, reach our Country, have much in common with the same feelings experienced by Italian migrants more than thirty years ago.
CRISTOFORO MAGISTRO 16
Alcune recenti iniziative sembrano aver aperto anche nel nostro paese la stagione per ricordarci di quando gli “stranieri” eravamo noi. Fra le più importanti si vuole qui ricordare la fitta serie di iniziative promosse dal Ministero per gli Italiani nel Mondo e la pubblicazione di un’opera, “Storia dell’emigrazione italiana” (Partenze, 2001 e Arrivi, 2002, AAVV Donzelli) voluta dal Comitato nazionale “Italia nel Mondo” che fa il punto sugli studi del fenomeno e offre molteplici spunti e suggestioni per nuove ricerche. E soprattutto l’apertura di nuovi spazi di conoscenza e rivisitazione del fenomeno con le proposte emerse a Gualdo Tadino nel convegno internazionale sui Musei dell’Emigrazione (7-8 giugno 2002) cui ha fatto seguito, il 29 novembre dello scorso anno, l’inaugurazione nella stessa cittadina umbra del primo Museo Regionale dell’Emigrazione. Insomma: a circa trent’anni dalla fine del ciclo secolare (1876-1976) che ha portato alla formazione di tante Italie fuori dai confini nazionali, l’Italia dei “rimasti” sembra voler riconoscere a quella dei “partiti” il debito morale per l’oscuro, incalcolabile contributo da essi dato nel farci diventare ciò che siamo. Indipendentemente dalla nostra propensione a ricordare e pagare i debiti, il tema - in parte rimosso anche dalla memoria di chi ne è ancora stato toccato - ha dimostrato di non essere di quelli che si fanno dimenticare e si è riproposto alla nostra attenzione con forza propria. A imporre infatti un ri-pensamento della nostra storia migratoria è stato il fatto che il nostro paese è diventato in questi ultimi decenni terra promessa per milioni di uomini in fuga da guerre e miserie e che il dibattito pubblico e la riflessione individuale sull’atteggiamento da assumere verso gli stranieri si sono intrecciati inevitabilmente a considerazioni sul nostro passato di emigranti. E questo ci ha obbligato a prendere atto che, finite le lacrime, napoletane o varesotte che fossero, e partiti i bastimenti, di tale passato sapevamo ben poco, abbiamo voluto sapere veramente ben poco. Oggi lo sviluppo delle forme di comunicazione nate dalla rivoluzione informatica, rende possibile restituire alla conoscenza e alla riflessione di tutti i tanti come e i mille perché che portarono i nostri nonni a lasciare case e affetti per andare a cercare fortuna. E le facce che avevano, i compagni con cui viaggiavano, gli amici e parenti che li aspettavano dall’altra parte dell’Oceano, le topaie che andavano ad abitare, le ferrovie e i palazzi che andavano a costruire, i risparmi che mandavano. E lo sfruttamento e il disprezzo da cui erano circondati nella vecchia e nelle nuove patrie.
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EMMA MONETTI. COLL. PRIVATA FAM. IGNOMIRELLI
BASILICATA
Perché un Museo dell’Emigrazione dalla Basilicata 1• Perché la Basilicata è stata insieme al Veneto la regione che fra il 1876 e il 1915 ha dato i maggiori flussi migratori in rapporto alla propria popolazione. “Un grandissimo movimento di emigrazione si verifica fra i contadini e gli artieri per l’America, e se continua farà presto mancare le braccia ai lavori agricoli”, scriveva nel 1879, a tre anni dall’inizio della prime rilevazioni governative, il relatore per la regione di un’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini. Quattro anni dopo il prefetto di Potenza spiega quel che sta avvenendo con motivazioni che non lasciano sperare niente di diverso per gli anni a venire: “La migrazione all’estero va prendendo serie proporzioni per la condizione miserabile stazionaria della Provincia […]il contadino e l’artigiano è malamente corrisposto nel lavoro che presta e facilmente si fa adescare dal maggior compenso che può trovare in lontane regioni colla probabilità di accumulare un capitale in breve lasso di tempo come spesso ad altri si è verificato”. Alcune cifre della stessa relazione, rendono bene i parametri di crescita entro cui si sta sviluppando: nel primo semestre 1881 sono stati rilasciati 1479 passaporti, nei primi sei mesi dell’anno successivo ne vengono concessi 4091. Nel frattempo - si aggiunge - si è dato “impulso senza tregua alla repressione della emigrazione clandestina” denunziando gli agenti che la favoriscono e facendo rimpatriare, dopo gli accordi presi con i questori di Napoli e Genova, gli emigranti senza regolari documenti. Nonostante questo 440 giovani della classe 1861 - probabilmente fra i più prestanti sui 5542 iscritti alle liste per il servizio militare che ne vedrà esclusi ben 1658 per insufficienza toracica e bassa statura - sono sfuggiti alla leva proprio con l’espatrio clandestino. Ma non è questa la sede per dar conto della ricca documentazione sul tema.
2 • Perché è importante che la ricostruzione e la riappropriazione simbolica di una vicenda che, fu storia di tanti ma come una guerra - riguardò l’intera collettività nazionale, fu agita e vissuta privatamente, spesso in clandestinità e con un sentimento di vergogna, dai suoi protagonisti, veda attive le piccole patrie (Comuni, Province e Regione) dalle quali più che dal paese Italia gli emigranti patirono il distacco. Si tratterebbe della riabilitazione cui “i giganti ed eroi” (la definizione è di Mario Cuomo) della nostra emigrazione aspirano forse più che a ogni altra cosa. 3 • Perché è ormai opinione condivisa che l’emigrazione italiana ebbe specificità regionali e sotto il profilo delle cause e delle modalità di espatrio e nella scelta del paese di accoglienza e delle forme di aggregazione là messe in essere. Da quanto finora detto si capisce che l’insediamento dei musei nei luoghi dai quali ebbe origine il trasferimento appare la scelta più naturale e opportuna, sia pure all’interno di un inquadramento nazionale del fenomeno cui dovrebbe provvedere l’auspicata costituzione di un network dei musei dell’emigrazione (cfr. Rete museale sull’emigrazione, in Notiziario NIP - News ITALIA PRESS agenzia stampa - n° 228 - Anno IX, 22 novembre 2002). È stato detto che se una comunità non ha orgoglio di sé e un’identità che riconosce e mantiene viva, non potrà fare nulla di buono né per sé né per gli altri. Non potrà neanche riformarsi poiché è a partire da ciò che si è stati che è possibile progettare realisticamente il futuro. La mobilitazione per Scanzano ha dimostrato che orgoglio e identità non mancano alla comunità lucana e questo induce a ben sperare anche riguardo alla sua capacità di operare concretamente per evitare la cancellazione o l’intossicazione della propria memoria storica. = 17
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La visita della delegazione lucana in Brasile e Argentina 18
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BASILICATA They sleep on the ground, on the pavement, without even a piece of cardboard to lie on. They are all aged, even children, and you can find them in the suburbs of the metropolises, and in their centres as well. At night their place is frequented by people interested in different things. However, in front of this evident poverty, very modern skyscrapers stand out. You run into people who don’t even know what they “have got” and you go into neighbourhoods which are in no way inferior to European capitals. Brasil is the cradle of contradiction and is not ashamed to show it; it feeds on it and gradually tries to round off the corners of this diversity. In this country, which is potentially very rich but little exploited, there are a lot of Lucanians. Many of them are well-off and, anyway, live extremely dignified lives; they work in several fields and, almost always, do no-subaltern jobs. They love to lay down the law in the rhythms of economy and culture. Nevertheless, every Lucanian knows and spreads the principle of solidarity, believing that many little drops put out a fire. A concrete and admirable example is given by Father Aldo Di Girolamo, from the Family of Disciples, at present in charge of the Pastoral staff of Jardin Sao Manoel and by Father Michele Perrone, the person responsible for the “Giacomo and Lucia Perrone” Foundation centre, who carried out concrete actions to donate a smile to the most unlucky people.
NELLA FOTO: UNA PANORAMICA DELLE FAVELAS SULLE COLLINE INTORNO RIO DE JANEIRO
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La rivoluzione scalza di Padre Vittorio Everyday, Father Vittorio Infantino, a friar of St. Francis, rescues children and ill people from poverty. His deeds speak for him, in an area of Brasil: all deeds of charity, love for fellow creatures, weak people and those who will never experience a normal life. He has given as a present to the others all his family’s possessions turning them into stones and concrete to build nursing-homes for newborn babies and disabled children, to raise hospitals and churches, to change wild areas into welcoming dwellings open to everyone, to the poor more than to rich people. His philosophy of life has found fruitful support from the two vice presidents of the Regional Council of Basilicata, Maria Antezza and Antonio Corbo, who committed themselves to organizing a summer holiday they offered to a group of guests of the Casa das Meninas.
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Marina ha 12 anni. La madre è in galera, il padre ubriacone. Quando era più piccola ha fatto da “palo” ad uno zio assassino. Stava attenta a segnalare l’eventuale arrivo della polizia e assisteva ad una scena agghiacciante. Lo zio costringeva una ragazza a scavare una fossa e ad uccidere un’amica, per poi finire nella stessa arida tomba freddata dalla mano omicida dell’uomo. Un duplice delitto che turbò il Brasile pur abituato a violenze di ogni tipo. Figuriamoci lo smarrimento della piccola testimone. Come Marina è Urania, Tusiana, Jamaina, Leida, Victoria, Lusia, Helida, Adyana. Storie diverse accomunate da un unico destino. Ci sono vuoti incolmabili in queste bambine. Adolescenti strappate alla prostituzione minorile grazie alla sensibilità e all’insegnamento di un francescano lucano, padre Vittorio Infantino. Sono ospitate in un centro di accoglienza, dove si respira tutta intera la lucanità dei valori morali, sociali, cristiani. Qui, in questo palazzo quasi fortificato della cittadina di Sao José dos Campos c’è un retroterra di miseria e di violenza, ma un presente di ottimismo e di serenità. Occhioni grandi e lucidi cercano amore. Anelano ad una rivincita. Si aggrappano a chi mostra sensibilità ed affetto. A Maria Antezza e Antonio Corbo, i vice presidenti del Consiglio Regionale della Basilicata, il direttore del Centro, un tempo chierichetto di Padre Vittorio, spiega la storia di ognuna delle venticinque bambine della “Casa das Meninas” rapite
FONDAZIONE EINAUDI DI TORINO
dalla strada con la complicità del Governo. È una lunga, toccante galleria di biografie che si ripetono e si intrecciano tra loro. Marina da adulta vorrebbe fare la modella; Heriana la cantante; Sceyla l’attrice. Adesso nel centro di accoglienza fanno le prove generali. Forse qualcuna, se la fortuna vorrà saldare il conto, emergerà. Salirà sul palcoscenico del successo mediatico, ma non potrà mai dimenticare la platea della misera infanzia infangata. Anche se non sarà così, ringrazierà il francescano di Tricarico. Ringrazierà quello che in Brasile chiamano “frei”, che significa frate. La presenza del frei in una larga zona del Brasile si avverte come l’aria. Di lui parlano le opere. Tutte di carità, di amore per il prossimo, per i deboli, per chi non conoscerà mai la normalità. Non ha nulla di suo. È francescano vero. Quello che aveva come bene di famiglia lo ha donato. Lo ha trasformato in pietra e cemento per edificare case di cura per neonati e bambini spastici, per alzare ospedali e chiese, per trasformare zone selvagge in accoglienti residenze aperte a tutti. Più ai poveri che ai ricchi. Quando era giovane Padre Vittorio Infantino a Tricarico ha combinato di tutto. Faceva disperare la mamma, grande attivi-
PADRE VITTORIO
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sta politica, il fratello Giuseppe, famoso docente di francese comunemente conosciuto come il professor Infantino. Faceva disperare tutti e lo fa ancora. Solo che ha cambiato registro. Oggi fa disperare le coscienze e le invita alla generosità, all’altruismo, all’amore: “La povertà è dare ciò che hai costruito. Così si è liberi. Questo è il Cristianesimo”. Questo “lupo” lucano sulle colline brasiliane predica concretamente la carità, essendone esempio. Aiuta tutti e da tutti vuole aiuto per altri. Paola Gavazzi di Desio e Stefania De Giorgio di Policoro l’hanno conosciuto in Italia e sono state rapite dal fascino della bontà del francescano. Lo hanno voluto seguire in Brasile per una missione e a Carapava ora assistono i bambini spastici. È la materializzazione di quell’amore che tutto trasforma e che in questa minuscola fetta brasiliana ha il sapore lucano: “Ho portato i valori che ho imparato in Basilicata per creare un mondo più giusto e più bello, più onesto e più altruista”. Padre Vittorio ha dedicato la sua vita alla ricerca continua di amore. Ha compiuto opere che sono miracoli, sempre partendo da zero. “Nella mia vita non ho mai ricevuto uno stipendio” ama ripetere. Forse non sa, che è più ricco di noi. =
I VICEPRESIDENTI DEL CONSIGLIO REGIONALE DI BASILICATA CORBO E ANTEZZA IN VISITA ALLA CASA DAS MENINAS
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Le mani d’oro di Francesco Pantalena Francesco Pantalena has been successful in Brasil. He is a jeweller with Lucanian origins who competes with Bulgari and Cartier, the great masters of the goldsmith’s craft. The “Corriere” of Sao Paulo wrote of him “deserving son of Basilicata, he is one of the many anonimous fellow-countrymen who contribute with their work, honesty and sagacity in making the name of their Motherland more honoured and respected. The memory of his Tramutola moves him; he bears everything but when Italy plays against Brasil he never knows which team he has to shout for. And goes to bed.
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LEONARDO NELLA
Uno dei più famosi gioiellieri del Brasile è nato a Tramutola. Ed è il protagonista di una storia esemplare
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Compete con Bulgari, Cartier, i grandi, ma si commuove al ricordo della sua Tramutola, dove in oltre mezzo secolo è tornato poche volte. Francesco Pantalena in Brasile ha avuto fortuna, è diventato un gioielliere famoso. Con estro e stravaganza, applica la sua estetica e la sua sapienza tecnica a un mondo in continuo fermento. Dal suo laboratorio escono creazioni sorprendenti. Pietre preziose incastonate in originali geometrie. Veri e propri oggetti di lusso che abbagliano per la preziosità e per il design e che fanno bella mostra nelle vetrine delle maggiori capitali mondiali. “Lo sforzo continuo ed impegnativo che anima ogni mio progetto è quello di far passare i miei gioielli non come oggetti di consumo, ma come creazioni capaci di sedurre e conquistare”. Il ricordo della sua Tramutola lo commuove. Gli manca. Non bastano le foto ingrandite del lavatoio, dei vicoli, della stretta e suggestiva strada principale. Le ha messe lì, alle pareti di uno studio che non brilla per eleganza e tecnologia. Lo aiutano nel ricordo e gli rinnovano l’orgoglio dell’appartenenza ad un Italia bella e mai dimenticata. Pantalena è un omone quasi ottuagenario. Gli anni non li dimostra. È ancora possente, come forte è il suo senso dell’avere e dell’essere insieme. Accanto alla spartana scrivania, c’è un’antica cassaforte, chissà quanti gioielli ha custodito; chissà di quanti sogni è testimone muta! Il gioielliere lucano-brasiliano è un vulcano. Racconta la sua vita e dopo ore e ore di fluido italiano è ancora ai suoi 16 anni: “Mio padre era un benestante. Commerciava legno per la ferrovia. Gli andò male una commessa e perse tutto. A Benevento. Prese la famiglia e ci portò qui, a San Paolo, in Brasile. Era il 1939. A 14 anni cominciai a frequentare la bottega di un maestro di Viggiano. Un anno di lavoro senza ricevere nulla in denaro, ma molto in arte. L’anno dopo portavo a casa 750 reals. Una cifra sufficiente per tutta la mia famiglia. Decisi allora di mettermi in proprio. Fittai un locale ma per 15 giorni consecutivi non entrò nessuno. Ero disperato. A casa aspettavano quei 750 reals. Un giorno andai a vedere le vetrine di Luis Pastore e non ebbi il coraggio di chiedere lavoro. Si affacciò un commesso e mi riconobbe.Volle presentarmi al padrone che chiese se sapevo fare gli anelli. Gli risposi che quelli che aveva nella sua vetrina li avevo fatti tutti io”. Cominciò così l’ascesa di Pantalena. Giorno e notte a lavorare per far uscire gioielli di grande valore, di ottima fattura. Li vendeva a prezzi competitivi, in modo da assicurarsi commesse continue. Aveva forte il desiderio di riscattare la sua fami-
glia, di ottenere una rivincita alle delusioni sopportate dal padre (a 16 anni Francesco Pantalena riesce a pagare quattro debiti che il padre aveva con i parenti). E ci è riuscito, anche se di amarezze e dolori ne ha patiti tanti, scontrandosi a muso duro con la sfortuna e con un destino ingeneroso verso i suoi figli. Il gioielliere di Tramutola ha allargato i suoi campi di interesse. Non si è limitato alla lavorazione al commercio di pietre preziose, zaffiri, smeraldi, coralli. Ha acquistato grandi fazende nel territorio del presidente Prudente, nello Stato di San Paolo, nel Mato Grosso do Norte, dove, addirittura, il suo nome compare sulle mappe insieme a quelli di altre piccole città. Di lui il Corriere di San Paolo scriveva: “. .. degno figlio della Basilicata è uno dei tanti anonimi connazionali che contribuiscono con il loro lavoro, onestà e sagacia a rendere più rispettato e onorato il nome di Patria”. In Basilicata è tornato poche volte, insieme con la moglie, venosina di origine. Ma la sua casa in Brasile è stata ed è un ‘Consolato’ per molti italiani. Di due cose Pantalena non ama parlare: delle opere di beneficenza che ha fatto e di calcio: “Quando gioca il Brasile con l’Italia preferisco andare a dormire”. = 23
Grazie alla donazione di Don Michele Perrone, nasce a Recife un centro per le cure riabilitative gratuite
La Fondazione Perrone “Giacomo and Lucia Perrone” is a centre which gives assistence to poor and disabled children, or children “with different abilities” as Father Michele Perrone likes to define them; this Lucanian priest and teacher created the Foundation and is its honorary president. New methods and technologies are used there in order to recover the disabled children’s handicaps thus enabling them to re-enter society.
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Il Brasile. Tornano subito alla mente le “immagini” trasmesse da Gianni Minà con “Un Continente desaparecido”. Minà si fa portavoce del pensiero di tanti personaggi illustri che raccontano di una terra ricca e povera allo stesso tempo, un mondo inquietante che pure ha visto grandi moti e grandi speranze di democrazia. Una terra da visitare per coglierne gli umori, l’acre odore del fumo dei bidoni accanto alle baracche, l’aria pura dei villaggi andini. Un luogo dove si respira il culto indescrivibile dell’Amazzonia e le tante sfaccettature e incongruità, “Io ho un sogno: che tutti, ma proprio tutti, in un futuro prossimo, possano vincere la propria fame e possano mangiare, lavorare e amare”, questo il sogno del grande scrittore e giornalista Jorge Amado. Qualcuno, partito dalla nostra Lucania, ha cercato di far sì che questo sogno, almeno per un pezzo, almeno in parte, si concretizzasse. A partire dal mese di marzo dello scorso anno infatti, ha cominciato a funzionare, nel Municipio di Joabatao, regione metropolitana di Recife, la fondazione “Giacomo e Lucia Perrone”, dedicata all’assistenza di bambini poveri e disabili o “con abilità diverse”, come li ama definire il prete e professore italiano ideatore e presidente onorario della fondazione, Don Michele Perrone. I nomi di Giacomo e Lucia Perrone costituiscono ricordo indelebile della riconoscenza di Don Michele nei confronti del padre Giacomo che per 25 anni, fino alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, ha lavorato in Brasile, A Rio de Janeiro, conducendo una vita ricca di onestà, umiltà e caratterizzata da una integerrima dirittura morale e civile. Giacomo Perrone era nato nel 1897 a Satriano di Lucania dove è morto nel 1981. Satriano di Lucania ha dato anche i natali a Lucia Laurino nel 1899 e ne ha visto la dipartita nel 1972. Don Michele Perrone dopo la sua prima esperienza pastorale a Sant’Angelo Le Fratte, piccolo centro in provincia di Potenza, sul finire degli anni ’60, si trasferisce a Campagna e poi a Eboli. In Campania svolge anche l’attività di docente, oltre che
DON MICHELE PERRONE E LA SUA EQUIPE
DOMENICO TORIELLO 24
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di religione, di filosofia. La vera svolta della sua vita nel novembre 2001, a Recife, nel Nord Est del Brasile, allorché ha modo di vedere con i propri occhi, di toccare con mano, una realtà socio-economica e sanitaria a dir poco precaria e umiliante per la dignità umana e cristiana. Sono soprattutto i bambini poveri e portatori di handicap a “colpire” il sacerdote lucano, bambini privi di qualsiasi forma di assistenza e cure fisioterapiche. La decisione: occorre fare qualcosa! Nel gennaio 2002 l’acquisto di una grande villa in un quartiere residenziale di Joabatao dos Guararapes, alle porte di Recife, vicino al mare con giardino, piscina e altri comfort. Don Michele fa l’atto di donazione e nasce, in tal modo, la fondazione “Giacomo e Lucia Perrone” per offrire gratuitamente una possibilità di cura e riabilitazione ai tanti bambini poveri costretti a vivere con il proprio handicap. “Utilizzeremo nuovi metodi e nuove tecnologie per il recupero dei deficit motori e psichici di questi bambini, mirando a ridurre la condizione di disabilità e cercando di reinserirli nella società”. Ecco quanto afferma don Michele. Sono bambini con difficoltà psichiche e motorie che hanno bisogno di costanti cure per sviluppare le loro potenzialità, sono bambini segnalati da parrocchie, centri per l’assistenza a minori in difficoltà, oppure da altri Enti pubblici o privati o, più semplicemente da chi ha deciso di dedicare la propria vita al loro recupero. Lo sforzo, rimembrando ancora Amado, è quello di non dimenticare certe facce, certi dettagli, certe sensazioni. Secondo Don Michele esistono 2500 bambini disabili nella sola città di Joabatao, di cui 1400 in tenera età. Questi i dati ufficiali, ma il sommerso è ben più vasto. La tragedia va ben oltre. Ne i “Capitaes de areja”, sempre Amado descrive con cinquant’anni di anticipo una condizione umana, quella dei meninos de rua, che è ora diventata una tragedia biblica. Solo in questo modo infatti, si può definire il dramma di undici milioni di bambini abbandonati, molto più della popolazione di alcuni Paesi europei. Un’infanzia violentata, un’umanità dolente che non conosce casa, famiglia, tenerezza, vaccini, cibo,
indumenti, ma in certi casi, soltanto l’uso di qualunque tipo di arma utile per assicurarsi la sopravvivenza. In questo contesto acquista gran valore l’opera di Don Michele e del centro con le sue unità mediche atte allo scopo prefissato. Oltre alla fisioterapia, l’idroterapia, la logopedia e la terapia occupazionale. Per mantenere la fondazione è sorto nel mese di maggio dello scorso anno, a Eboli, l’ONG Centro Assistenza Bambini Brasiliani. L’ONG di Eboli si interessa di donazioni e fa affidamento sul prezioso contributo dei volontari. Presidente e vicepresidente sono rispettivamente Franco Poeta e Vincenzo Rotondo che hanno seguito personalmente l’andamento dei lavori nel centro brasiliano. A Recife, l’Ente può contare su circa quindici volontari, tutti liberi professionisti, tra medici, psicologi, professori e avvocati, mentre in Basilicata è operativa, dal Febbraio 2004, la “C.A.B.B.”con sede legale a Potenza e il cui presidente è Antonio Nanni. Molte le finalità dell’associazione: realizzare iniziative di informazione sull’operato della fondazione, raccogliere fondi da inviare alla stessa, progettare momenti di formazione per i volontari con un interscambio costante tra volontari italiani e brasiliani. L’Associazione si propone, altresì, come punto di riferimento della comunità italiana residente in Brasile e attiverà, all’occorrenza, specifici progetti di aiuto e assistenza a lucani e figli di lucani che dovessero versare in particolari situazioni di disagio socio-economico e sanitario. L’opera di don Michele si inserisce, quindi, in una realtà fatta di favelas e grattacieli, a Joabatao, una città costiera di 600 mila abitanti, in un’atmosfera intrisa dell’innocenza da sempre sincera e quasi disarmante di chi osserva la condizione umana, soprattutto, quando è messa a dura prova dalle innumerevoli contraddizioni e dai tanti problemi. La sua volontà si esprime in modo semplice, la sua concretezza è sinonimo di amore per il prossimo. Tutto questo senza nessuna pretesa di voler rappresentare l’ombelico del mondo. =
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L’impegno e la tenacia dei nostri corregionali per superare la congiuntura del momento
Buenos Aires e la voglia di ripresa In Buenos Aires you can find Lucanians everywhere. They are more than 80,000, gathered in 32 associations which are a connection, but above all an umbilical cord, with Basilicata. They live extremely well and very few of them suffer from the poverty due to the present slump. They help each other and try to keep the Lucanian values of perseverance, reservedness and industriousness high.
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I lucani a Buenos Aires li trovi dappertutto. Sono oltre 80.000, riuniti in 32 associazioni che fanno da cordone ombelicale con la Basilicata. Vivono bene. Pochi patiscono la povertà dovuta alla congiuntura del momento. Si aiutano tra di loro e cercano di mantenere alti i valori lucani della tenacia, della riservatezza, dell’operosità. Per questo non vogliono che i loro figli o i loro nipoti debbano rientrare in Basilicata in questo periodo di grande emergenza. Devono lottare rimanendo in Argentina, anche per sottrarli all’amaro destino legato alla vita dell’emigrante. Devono apprendere meglio la lingua italiana, conoscere la storia della regione, conservare le tradizioni e i valori dei lucani, stringere forte il legame e le relazioni con la terra di origine. Devono essere posti nella condizione di accedere a master, borse di studio, progetti di formazione in tempi rapidi, con norme chiare, con modulistica semplice. Sempre vivendo a Buenos Aires, metropoli dalle mille esigenze reali ed elementari e dalle mille risorse mai del tutto utilizzate. Nella bella e suggestiva capitale argentina il bisogno è come l’aria. Lo avverti ovunque. Le criticità sono evidenti in ogni strada, in ogni piazza, lungo tutto il Rio de La Plata, il cui colore dell’acqua fa subito capire come anche il futuro di questo popolo non sia tra i più chiari. Lo scarso potere d’acquisto di una moneta che si muove come un gambero ha messo in ginocchio un po’ tutti. E i lucani che, con la loro vita difficile, piena di rinunce, di privazioni e di grande rimpianto per aver lasciato i paesi di origine, avevano contribuito, e non poco, alla stagione dei grandi progressi, delle opere imponenti e dello sviluppo in molti settori, oggi sono i primi a pagare gli effetti della congiuntura. In un lampo si sono visti distruggere anni di faticoso e massacrante lavoro, durante i quali non un lucano si è mai fatto no-
tare per comportamento irrispettoso nei confronti degli argentini e delle istituzioni, malgrado i continui mutamenti sociali. Per questi lucani la Regione Basilicata ha varato una legge di sostegno e ogni anno mette a disposizione una somma di denaro. “Un semplice segnale di attenzione - spiegano i due vicepresidenti del Consiglio, Maria Antezza e Antonio Corbo - un piccolo gesto di solidarietà per i nostri corregionali che vivono un momento difficile. Si sta cercando anche di riservare quote di intervento agli emigrati che fanno ritorno in Basilicata, in modo da ricompensarli per quanto hanno fatto per la regione di origine”. Il bisogno, ovviamente, supera di gran lunga la disponibilità dei fondi che la Basilicata può indirizzare nei confronti dei lucani-argentini. Nelle loro aspettative anche un sogno che potrebbe apparire superfluo, in condizioni di difficoltà, ma che così non è: mettere in rete le trentadue associazioni superando comprensibili, diversi punti di vista, in modo da parlare un unico linguaggio nei confronti delle Istituzioni del Paese sudamericano per aumentare il loro peso politico nella vita sociale, economica e politica dell’Argentina. Dopotutto, un esempio concreto dell’univocità delle azioni delle associazioni è rappresentato proprio dalla sede della Federazione. Un locale immenso e accogliente, moderno e caldo, ospita infatti tutte le iniziative che si vanno organizzando a Buenos Aires. È un punto di aggregazione di grande livello e di grande “invidia” di altre Federazioni di emigranti. Vi si ritrova davvero la concretezza e la semplicità dei lucani, in una zona della capitale argentina dove gli italiani sono una grande realtà e una grandissima risorsa. Oggi, da sostenere. =
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Il M.A.C. culla dell’arte argentina Spreading Argentinian art abroad by means of moving exhibitions across European cities, and within the country through exhibitions in galleries and museums, is the activity which interests most the art director of the Contemporary Art Museum of Buenos Aires, Roque De Bonis, an Italian-Argentinian with Lucanian origins. And his most cherished dream is realizing the project of promoting Lucanian artists as well.
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Buenos Aires, la città più “europea” dell’America latina, ospita nel quartiere portuale di San Cristobal, all’interno di un antico laboratorio chimico, uno dei luoghi più rappresentativi per l’arte argentina: il M.A.C., il museo d’arte contemporanea. Circa 3800 opere, tutte made in Argentina, per una varietà d’artisti, tendenze ed espressioni quali la pittura, il disegno, la scultura, l’incisione e la fotografia che vanno dagli anni ’60 ad oggi, custodite nel museo, fondato da Marcos Curi, un collezionista d’arte tucumano, cugino d’Omar Sharif. L’importante galleria è affidata, dal 1978, ad un italo argentino con radici lucane, Roque De Bonis. “L’intento principale del museo - afferma De Bonis è di promuovere e diffondere l’arte argentina contemporanea dentro e fuori i confini geografici”. Grazie al sodalizio professionale tra il fondatore ed il curatore dell’importante spazio espositivo argentino, la collezione privata è diventata patrimonio collettivo.
ALDO PAPARELLA, LA GRANADA - MONUMENTOS INUTILES, 1975
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BASILICATA “Il migliore e più indovinato destino per un’opera d’arte è d’essere vista, conosciuta, osservata. Le opere ‘immagazzinate’ mancano di vita. È come tenere diamanti in una banca svizzera”. L’opinione del fondatore Marcos Curi è condivisa pienamente da Roque De Bonis. Diffondere l’arte argentina, all’estero con mostre itineranti per città europee e nel paese attraverso esposizioni in gallerie e musei, è l’attività che più d’ogni altra impegna il curatore lucano o, più precisamente, l’amministratore ar tistico, come preferisce essere definito. “Gli anni ’60 sono stati decisivi - dice De Bonis - per la mia formazione culturale e ar tistica. L’ingresso all’Istituto di Tella (Centro Sperimentale delle Ar ti) mi ha lanciato nel magico mondo delle ar ti e le mie inquietudini vocazionali - racconta - sono state assorbite dal cinema prima, dal teatro poi, fino a giungere alle ar ti plastiche con un impegno ed una ricerca sempre più crescenti. Le emozioni che provavo ieri nei primi approcci con le variegate attività artistiche, sono le stesse oggi, for ti ed entusiasmanti quando, ad esempio, segnalo un nuovo ar tista o includo le sue opere nella collezione del M.A.C.. La migliore gratificazione al lavoro di ogni giorno - continua - è vedere realizzati ed affermati ai più alti livelli quegli ar tisti segnalati quando non erano ancora entrati nell’olimpo dei consacrati. Tra i tanti ricordo, per la pittura, gli ar tisti del gruppo Nueva Figuración, Deira, De la Vega, Maccio y Noé, Mario Pucciarelli, per la scultura Norberto Gomez ed Alberto Heredia e altri ancora”. L’attuale e complesso sistema dell’arte, composto dall’artista, dal critico, dal mercato e dal collezionista, compromette l’autenticità dell’invenzione artistica? Lo abbiamo chiesto all’amministratore-ar tistico lucano, il quale in un italiano scolastico, condito da simpatici intercalari spagnoli, ci ha spiegato che “nel sistema attuale il ruolo dell’artista è cambiato e ciò ha avuto forti ripercussioni sul suo lavoro e, ovviamente, sul risultato finale che è l’opera d’arte. Attualmente l’artista è sempre più propenso a lasciare la “passività” dell’atelier, per diventare l’amministratore delle proprie opere. Cerca sponsor e si occupa, in alcuni casi, anche
CARLOS DE LA MOTA, LA CANTANTE CALVA, 1974
dell’esposizione. Tra gli altri anelli della complessa struttura un posto rilevante va assegnato all’architetto, all’ingegnere culturale e al critico d’arte che tutti insieme, ognuno per la propria parte, determinano e condizionano i modelli culturali, tracciando le direttive dei grandi eventi artistici come la Documenta de Kassel, la Biennale di Venezia e quella di San Pablo. Manifestazioni importanti in grado di segnare le tendenze Un panorama, come si può ben vedere, totalmente diverso rispetto agli anni passati, in cui anche il collezionista ha, in un certo senso, dovuto cambiar pelle. Contagiato da questa imperante ‘cultura dell’istante’ è costretto a cercare nuove strategie, a mettere in atto nuovi sforzi, ad adottare nuove concezioni per poter rivitalizzare il suo mecenatismo e continuare a collezionare”. Come vede il futuro dell’arte? In quale direzione pensa che andrà? L’arte in quest’era della globalizzazione, nella maggior parte dei casi (un esempio significativo è quello di Guy Debord, della corrente del “situazionismo francese” e la sua società dello spettacolo), ha abbandonato il suo protagonismo didattico-pedagogico per entrare nel piano dello spettacolodistrazione. Ha dovuto adeguarsi alle nuove regole di mercato ponendo l’opera al centro dell’arena, come pura mercanzia. Concludiamo la chiacchierata con Roque De Bonis, chiedendogli se ha mai pensato di portare in esposizione in Argentina opere di artisti lucani. In diverse occasioni ho considerato questa possibilità. Si tratta di un progetto di non facile realizzazione che richiede impegno ed investimenti. Ma poiché l’arte è passione e le passioni, come si sa, riescono laddove le ragioni si ‘bloccano’ l’idea potrebbe concretizzarsi, con una buona dose di coraggio, in un ambizioso progetto. = 29
“Questione agraria” in Argentina
Francesco Netri leader e martire in Argentina Francesco Netri was born in Albano di Lucania; he graduated in Law and arrived in Argentina in 1897. In Rosario, he embraced the cause of the tenant- and share-farmers who were fighting for their rights against the big land holders. He was killed on the 5th of October 1916. Rocco Curcio, president of the regional Commission for the Lucanians abroad, wanted to pay tribute to his illustrious fellowcountryman, who died for redeeming the land workers who claimed bread and freedom.
ROCCO CURCIO 30
A
Alla fine del 1897 giunse nel porto di Buenos Aires una nave carica di emigranti proveniente dall’Italia. Su di essa viaggiava Francesco Netri, di Albano di Lucania, che voleva raggiungere la madre e i cinque fratelli emigrati in Argentina. Nel paese natale frequentò le scuole elementari, a Potenza le secondarie, presso l’Istituto Sarli, e a Napoli si laureò in Giurisprudenza. Giunto a Buenos Aires si recò a Rosario dove viveva la famiglia, sul Rio Pazanà, una cittadina fiorente per la produzione di cereali e abitata da ricchi agricoltori, ma anche da poveri lavoratori della terra. Francesco venne accolto nei circoli di emigrati italiani e nella comunità argentina con grande rispetto per la sua cultura ed il suo carattere aperto e prodigo di aiuto per le classi meno abbienti. Nel 1900 ottenne la cattedra di Italiano nel Collegio nazionale di Rosario. L’anno successivo sposò Emma Prosasco, figlia di italiani. Ottenne il titolo di dottore in Legge in Argentina, dopo aver superato gli esami per il riconoscimento della sua laurea italiana. Chiese e gli venne concessa la cittadinanza argentina e il direttore del Giornale d’Italia lo attaccò poiché lesse quest’atto come rinuncia alla sua italianità. Netri si difese sostenendo che la cittadinanza argentina gli avrebbe consentito di difendere meglio i diritti dei tanti italiani poveri in Argentina che si rivolgevano a lui. Occupò così un posto importante tra i circoli culturali e sociali italiani. Organizzò il Circolo Italiano, fondò la società “Dante Alighieri” e l’“Unione e Benevolenza” per assistere i più bisognosi tra gli emigrati italiani. Netri fu anche scrittore fecondo. Si misurò con una “Nota su Dante”, “Problemi sulla doppia cittadinanza”, “Il problema agrario in Argentina” e altri scritti che gli diedero la popolarità a Rosario e in tutta l’Argentina. Nel frattempo la situazione agraria si inasprì ed acuì il contrasto tra contadini affittuari, mezzadri e grandi proprietari. Nel mese di giugno del 1912 nelle colonie di Alcorta e Bigand, vicino Rosario, i commercianti e le banche sospesero i crediti ai contadini. Questi si rivolsero all’avvocato Netri affinché li assistesse nella controversia e li aiutasse a modificare i vecchi patti agrari. Ad Alcorta si svolse una pubblica assemblea nella sala della Società Italiana. Parlando a duemila contadini Netri propose la diminuzione dei canoni di fitto e mezzadria, l’istituzione di contratti di almeno quattro anni, la possibilità di trebbiare il raccolto per proprio conto ed una ripartizione dei prodotti a vantaggio dei mezzadri. L’assemblea si chiuse con un eloquente discorso dell’avvocato che consigliò, tra l’altro, prudenza alle masse di fronte al potere dei proprietari terrieri, organizzati nella Società Rurale che esercitava notevole influenza sul Governo argentino. La stampa diede risalto all’evento, definendo la prima assemblea dei contadini “il grido di Alcorta”. Le dimensioni che il fenomeno stava assumendo generarono non poche preoccupazioni in Netri il quale comprese ben presto che lo spon-
M NDO
BASILICATA ...La fuerza de nuestra razón es tal que no necesitamos apelar a la razón de la fuerza... taneismo delle masse rurali andava guidato ed auspicò la formazione di un sindacato a tutela del movimento “giusto, necessario ed umano”. Alle elezioni per il Parlamento Argentino del 1912 fu eletto nel Partito Socialista il dottor Juan B. Justo. A questi si rivolse Netri affinché promovesse una legge sui patti agrari. L’organo di stampa “La Vanguardia” dedicò alla questione agraria un numero speciale. Il movimento contadino era in continua espansione e diventava sempre più urgente la sua organizzazione interna. Il 15 agosto 1912 Netri convocò l’Assemblea Costitutiva della Federazione Argentina dei lavoratori della terra nella sede della società “Unione e Benevolenza” di Rosario. Parteciparono 115 delegati con diritto di voto e di parola. Il primo manifesto della Federazione fu forte, chiaro, ispirato alla difesa dei diritti: “la forza della nostra ragione è tale che non serve appellarsi alla ragione della forza”. I punti programmatici respinsero l’estremismo e il settarismo. Il 21 settembre, Netri fondò il giornale “Bollettino Ufficiale dei lavoratori agricoli”, che l’anno successivo si sarebbe chiamato “La terra”. Nel primo numero del Bollettino, l’avvocato scrisse un articolo di fondo intitolato “Lo sciopero”, in cui asserì che il grido di ribellione di Alcorta del 25 luglio aveva contribuito a scrivere un’importante pagina della storia dell’Argentina e lo sciopero aveva condotto ad una prima vittoria dei lavoratori di Santa Fe, Buenos Aires, Cordoba, Entre Rios e dei territori della Pampa. Attaccò la parte più reazionaria del fronte agrario definendoli “vampiri sordi alle ragioni della patria della ragione e della giustizia”.
Delineò il programma della Federazione: migliori condizioni per fittavoli e mezzadri, libertà di commercializzazione, costruzione di case coloniche a carico dei proprietari e pagamento per le migliorie del fondo apportate dal contadino. La finalità era la riforma agraria che sciogliesse il latifondo ed assegnasse la terra ai suoi lavoratori e propose anche la creazione di un vasto sistema di cooperative e la creazione di un Banco cooperativo agricolo. I grandi proprietari terrieri si organizzarono contro il pericolo della nascente Federazione e attaccarono Netri con provocazioni, minacce ed attentati. La situazione economica precipitò con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. I principali importatori di cereali, Italia, Francia e Inghilterra vennero meno e l’Argentina non riuscì più ad immagazzinare derrate alimentari. Crollarono i prezzi dei cereali, molti italiani e spagnoli abbandonarono il paese per rientrare in patria, lo scontro tra proprietari terrieri e lavoratori assunse toni violenti. Netri chiese al Governo di dotarsi di una flotta mercantile per riprendere le esportazioni. Il 5 ottobre 1916, mentre l’Argentina eleggeva Presidente Hipolito Irigoyen sostenuto da un grande movimento popolare, Francesco Netri veniva assassinato. Scrisse un giornale argentino “Culminò con quell’atto vergognoso, una campagna di attentati contro la sua vita, organizzata e diretta da chi deteneva il potere della terra come proprietari o intermediari”.
Netri: Lider y martir de una gran causa
vida, de su mútiple acción, ni de su obra.Tampoco pretendo que sea considerado como una lúcida biografía, ni siquiera un ensayo acabado; sólo se trata de un esbozo, de una recopilación de antecedentes sobre los principales actos de su vida, de su larga y fructífera lucha sindical, económica y social, iniciada en Alcorta el 25 de junio de 1912. Sólo deseo que, al reunir en este libro un material desperso, pueda él servir un día a alguien que, con mayor capacidad literaria, quiera aprovecharlo para escribir sobre la vida y la obra de tan ilustre ciudadano. Mientras esperamos que aquello ocurra, ofrecemos a nuestra juventud agraria, en forma especial a los agricultores que integran la Federación Agraria Argentina, como así también a los que actúan dentro del movimiento cooperativo agrario en general, sin distinción de grupos ni denominaciones, por entender que el actual, pujante y extraordinario movimiento cooperativo rural del país, en su totalidad, en alguna medida, ha tenido como base substancial la acción sindical desarrollada por la vieja y aguerrida Federación Agraria Argentina, en sus distintos aspectos, fundada por el Dr. Netri en agosto de 1912.
Autor: Antonio Diecidue Editorial: Federacion Agraria Argentina Año: 1969 Us$ 12 Netri: Lider y martir de una gran causa acción y personalidad del Fundador de la Federación Agraria Argentina. Prólogo del Autor - Este modesto trabajo que entrego a la consideración de loa productores agrarios en particular y de la opinión pública en general, tiene por objeto principal el de rendir un justiciero homenaje al doctor Francisco Netri, al cumplirse cincuenta años desde que, alevosamente, fuera asesinado en la ciudado de Rosario, el 5 de octubre del año 1916, mientras ejercia la dirección de la Federación Agraria Argentina. Honestamente, confieso que no es un profundo estudio de su
Ho tratto queste note da alcune carte che mi furono consegnate dai lucani a Rosario ed ho voluto rendere omaggio ad un nostro conterraneo morto per il riscatto dei lavoratori della terra che rivendicavano pane e libertà. =
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L’emigrazione di ritorno Sono sempre più numerosi i lucani emigrati all’estero che decidono di ritornare nella propria terra d’origine. Negli ultimi cinque anni ne sono rientrati circa 2600. Una grossa fetta è tornata a ripopolare i Comuni del materano: Ferrandina, Montescaglioso, Rotondella, ecc.. In provincia di Potenza, invece, i Comuni che vantano il maggior numero di emigrati rientrati sono Melfi, Venosa, Moliterno, San Fele, ecc.. Tra questi, putroppo, molti vivono una
Nino Marchionna, straniero due volte Emblematica della condizione dell’emigrato è la storia di Nino Marchionna, nato a Viggiano negli anni cinquanta ed emigrato in Germania nel 1973 con una valigia di cartone ed una qualifica di disegnatore tecnico. Dopo lo straniamento socio-culturale patito per anni in Germania, Nino nel 2000 spinto non solo dalla separazione con la moglie di origine tedesca, ma soprattutto da una proposta di lavoro ricevuta da un’azienda lucana di macchine utensili è ritornato in Basilicata. Il rientro in Italia, però, non ha significato per lui il recupero della sua Heimat, ma solo il ripetersi della condizione di “straniero” anche se questa volta nella
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sua terra di origine. Tra il 2001 e il 2003 Nino ha lavorato nell’azienda da cui aveva ricevuto l’offerta lavorativa senza però una regolare assunzione che gli è stata sempre promessa, ma che non ha mai ottenuto. All’inizio del 2004 ha deciso di abbandonare il lavoro non potendo più sopportare la condizione di sfruttamento (privo di assicurazione e di contributi pensionistici, alla quale era sottoposto). Nino si ritrova adesso in una condizione difficile, essendo senza occupazione e “troppo vecchio” per il mercato del lavoro, pur vivendo a Viggiano all’ombra dei pozzi petroliferi che, per lui, rappresentano un ottimo sbocco lavorativo non sfruttato abbastanza dalle autorità politiche a favore della popolazione locale. Alla luce della sua amara esperienza in Italia, Nino ringrazia il suo istinto per non aver riaccettato la cittadinanza italiana, in questo modo non si sentirà per la terza volta “straniero” se deciderà di tornare in Germania. (A.D.S.)
M NDO
BASILICATA Per favorire il reinserimento dei giovani, secondo Mariani, bisogna intervenire con progetti che siano in grado di creare occupazione e produrre, nello stesso tempo, benefici all’economia lucana. Per rafforzare la presenza degli emigrati sul territorio, su proposta del consorzio, è nata un’associazione riservata agli emigrati lucani rientrati in patria. Scopo della neonata associazione, composta da un comitato direttivo, è di tutelare e informare gli “oriundi” per facilitarne l’inserimento nella società. In pochi, infatti, conoscono le agevolazioni previste dalla normativa regionale (legge n. 19 e 16 del 2002). E se la Regione, nei limiti delle proprie risorse, sta valutando la possibilità di erogare un contributo a favore dei rientrati, per Gerardo Mariani bisogna andare oltre offrendo loro una casa, un lavoro, il riconoscimento del titolo di studio. ANNA DE STEFANO
Angelo Callà, coraggioso tipografo
res, parte per Potenza. Nel 2001 trova lavoro presso una tipografia e l’esperienza si rivela positiva in quanto il proprietario lo aiuta ad inserirsi nel mondo del lavoro. Trascorsi due anni, il giovane desideroso di realizzare qualcosa che sia solo suo, senza dover dipendere da altri, supportato dalla fidanzata e aiutato anche dal suo carattere volitivo, decide di aprire una tipografia. L’impresa è ardua perché non può usufruire delle agevolazioni previste dalla normativa regionale e, tra non poche difficoltà, nello scorso mese di dicembre Angelo finalmente è riuscito ad inaugurare la sua tipografia. Al momento il locale manca di un’insegna, di porte, ma i macchinari lavorano incessantemente. Angelo ringrazia la Basilicata e i suoi abitanti perché mai nessuno lo ha fatto sentire come uno straniero ed è orgoglioso di essere riuscito a crearsi da solo la propria attività che è pronto a condividere con altri. (A.D.S.)
TONY VECE
situazione di disagio. Ma tanti sono anche i diplomati e i laureati che hanno por tato know-how, iniziative, esperienze. Diverse sono le ragioni che hanno accelerato il fenomeno del rientro. Tanti poi i pensionati provenienti dai paesi della Unione europea che desiderano trascorrere la vecchiaia circondati dall’affetto dei parenti, e numerosi i giovani che arrivano dai paesi dell’America latina spinti dall’incalzante crisi economica. Le nuove generazioni rappresentano, per Gerardo Mariani presidente di Basilicata Turismo, il consorzio di operatori turistici impegnato da anni nella promozione e commercializzazione dell’offer ta turistica lucana, una grande “risorsa” per lo sviluppo turistico, economico, sociale e culturale della Basilicata, nonché un’opportunità per ripopolare i comuni più interni afflitti dal fenomeno dello spopolamento.
Non sempre le difficoltà economiche sono l’unico motivo che spingono i giovani a tornare nella terra di origine dei loro nonni. Un esempio è la storia di Angelo Callà che ha deciso di lasciare l’Argentina e di venire in Basilicata alla ricerca delle sue radici. Primo di cinque figli Angelo è “uno spirito libero”, animato dal desiderio di costruirsi da solo il proprio futuro. Circa quattro anni fa, arriva ad Episcopia, paese d’origine del padre. Qui trascorre solo il tempo necessario per il rinnovo della carta d’identità e poi, con in tasca la qualifica di tecnico in arte grafica conseguita presso la Fondazione Gutenberg a Buenos Ai-
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Le radici lucane di un Nobel The Nobel prize for Physics in 1997 has Lucanian origins: he is William Donato Phillips whose maternal grandfather was from Ripacandida. Born in 1948 in Wilkes-Barre, Phillips now lives in Gaithersburg. Since 1996 he has been member of the National Bureau of weights and measures (Nist) and is known all over the world for having tested new techniques for cooling and trapping the atom by means of laser. This discovery allowed other scientists to create the Bose-Einstein condensate.
MICHELE GIOIOSA 34
La storia di William Donato Phillips, premio Nobel per la fisica nel 1997, comincia da Ripacandida. Nei primi anni del Novecento, suo nonno materno lascia il paese lucano per emigrare in America. Proprio come tanti altri che, arrivando lì senza conoscere una parola d’inglese, sono chiamati wop, termine dispregiativo per indicare l’essere italiano. Phillips, nato nel 1948 a Wilkes-Barre, d’italiano non ha che il suo secondo nome di battesimo. È a tutti gli effetti un americano residente a Gaithersburg che eccelle nelle ricerche di fisica. Sua è la scoperta di nuove tecniche di raffreddamento e intrappolamento dell’atomo tramite laser. Tecniche rese possibili solo a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, grazie all’avvento dei raggi laser per laboratori, che ha permesso agli scienziati di osservare e misurare il fenomeno dei “quanti” negli atomi. “Quanti” che sembrano sfidare i principi fisici che governano il tangibile regno della temperatura ambiente. I programmi di ricerca sul raffreddamento e intrappolamento dell’atomo tramite laser, portati a termine dall’Ufficio nazionale dei pesi e delle misure (Nist) di cui Phillips è membro dal 1996, ma attivo ricercatore fin dal 1978, si basano sugli esperimenti compiuti proprio dall’Einstein lucano. Dopo aver conseguito la laurea in fisica, Phillips svolge il dottorato di ricerca al Mit e lavora contemporaneamente al Nist, nella divisione Elettricità. Presenta due tesi sperimentali: una sull’area di giusta stabilità della risonanza magnetica e l’altra sulle nuove applicazioni dei laser da laboratorio. “In quel periodo - racconta Phillips - utilizzai momenti di tempo libero per occuparmi del raffreddamento tramite laser con gli strumenti da laboratorio portati dal Mit”. Incoraggiato poi dai responsabili del Nbs, Phillips continua gli esperimenti e dimostra che un insieme di atomi neutri può essere rallentato e raffreddato con la pressione di radiazione proveniente da un laser. La sua scoperta viene riconosciuta a livello internazionale e Phillips, con il suo gruppo di lavoro, prosegue la ricerca fino a metà degli anni Ottanta, quando si accorge di un’importante discrepanza: quella tra il “limite di raffreddamento Doppler”, comunemente accettato, e la sua misurazione effettiva. È infatti possibile raffreddare gli atomi ben al di sotto dei limiti conosciuti. Di pochi microkelvins, o solo un milionesimo di grado sopra lo zero assoluto, dimostra Phillips. Da questo
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BASILICATA LA GRANDE SFIDA DELL’INNOVAZIONE
LA BASILICATA ALLE PRESE CON IL RILANCIO INDUSTRIALE THE BASILICATA REGION, THROUGH THE REGIONAL PLAN FOR RESEARCH AND TECHNOLOGY AND INNOVATION DEVELOPMENT 2003-2005, AIMS AT INTEGRATING THE SYSTEM OF SCIENTIFIC AND TECHNOLOGICAL KNOWLEDGE WITH THE SYSTEM OF PRODUCTION. THIS PLAN WILL BE FINANCED BY MORE THAN 12 MILLION EURO AND IS IN COUNTERTENDENCY COMPARED WITH THE NATIONAL SCENERY AND AIMS AT MAKING
BASILICATA AN
EXCELLENCY REALITY IN THE SECTOR OF RESEARCH AND INNOVATION.
passepartout VITO VERRASTRO 36
Investire nella ricerca e nell’innovazione per vincere la sfida del mercato globale. La Regione Basilicata non ha dubbi: per essere competitivi, non essendo una realtà dai grandi “numeri”, occorre puntare sul fattore “qualità”. E per raggiungere livelli di eccellenza tali da colmare la distanza dalle aree economicamente forti, non si può più rinviare il tentativo di collegare gli anelli del sapere scientifico e tecnologico con la produzione. Attraverso il Piano Regionale della Ricerca e Sviluppo Tecnologico e dell’Innovazione 2003-2005, in sostanza, si prefigura una corsa “ragionata” all’uso di sistemi esperti e di modelli di simulazione nella ricerca, nello sviluppo di nuovi prodotti, nell’integrazione strategica di filiera e nell’aggregazione di imprese (il cosiddetto cluster) per meglio diffondere e utilizzare le nuove conoscenze tecnologiche. “Non è sufficiente poter disporre delle tecnologie, bisogna saperle anche utilizzare - sintetizza l’assessore regionale alle Attività Produttive Carmine Nigro - ed è un nostro dovere istituzionale facilitare il percorso che nasce dalle idee e sfocia in progetti, in applicazioni pratiche”. Non sarà semplice oltrepassare d’un colpo le carenze strutturali del sistema produttivo meridionale né la scarsa capacità di fare “sistema”, nodi che troppo spesso hanno frenato il decollo del made in Basilicata. Il Piano ci prova, collocandosi all’interno della strategia europea che fa della “ricerca” la password per abbattere le barriere, rafforzare la collaborazione e realizzare grandi obiettivi anche in piccole realtà territoriali. “Il polo lucano - aggiunge Nigro - dovrà qualificarsi maggiormente per sostenere l’innovazione d’impresa, senza tralasciare l’attività diretta alla tutela del territo
PHILLIPS AL MUNICIPIO DI RIPACANDIDA
punto, altri scienziati si basano per svolgere alcune ricerche che li condurranno alla “condensazione Bose-Einstein”, forma nuova di materia in cui gli atomi cadono nel loro livello più basso d’energia e rimangono in uno stadio singolo di “quanti”. Nell’estate del 1995, l’università del Colorado annuncia la creazione del primo condensato Bose-Einstein, una delle più importanti scoperte scientifiche recenti. Nel 1997, Phillips riceve il premio Nobel per la fisica, e l’anno seguente la cittadinanza onoraria di Ripacandida. Oggi, lo scienziato di origine lucana è membro della Società americana di fisica nonché di quella ottica. Così pure dell’Accademia nazionale delle scienze (Nas) e delle arti. Phillips è responsabile al Nist del gruppo che studia la fisica del raffreddamento via laser come dell’intrappolamento elettromagnetico e delle altre manipolazioni radianti gli atomi neutrali e le particelle dielettriche. Altri progetti che impegnano Phillips riguardano le tecniche avanzate del raffreddamento laser degli atomi di cesio per l’uso degli orologi atomici. Sulla scia del primo condensato Bose-Einstein, Phillips investiga poi sulle proprietà e sull’applicazione di una quantità di gas diluiti di atomi alcali. Lo studio sulle collisioni fredde riguarda invece lo stato frantumato e le collisioni fotoassociative degli atomi ultrafreddi. Il progetto “Metastable Xe” analizza piuttosto gli ultrafreddi atomi Rydberg e i plasma attraverso l’utilizzo dello xeno raffreddato e intrappolato con il laser. I reticoli ottici investigano invece le proprietà e le applicazioni degli atomi ultrafreddi confinati in potenziali fatti di luce. Infine, le pinzette ottiche manipolano otticamente oggetti microscopici per risolvere problemi di biochimica e biotecnologia.
Appena ne ha la possibilità, Phillips torna a Ripacandida per incontrare i parenti. “Apprezza particolarmente i giovani “perché sono portatori di quella immaginazione che spesso, a chi è avanti negli anni, viene a mancare”. Phillips, oltre al premio Nobel, ha ricevuto la medaglia d’oro dal dipartimento del Commercio statunitense nel 1993. Tre anni dopo, la medaglia Michelson dall’istituto Franklin e, nel 1998, il premio Schawlow dalla Società americana di fisica. Ha scritto le opere: “Cooling and trapping atoms”, “New mechanisms for laser cooling”, “Almost absolute zero; the story of laser cooling and trapping of atoms”. Celebre il suo intervento all’università di Pisa, l’anno scorso, quando nel parlare del tempo disse: “Anche Einstein ebbe difficoltà a rispondere alla domanda “che ora è”. Malgrado ciò, noi possiamo misurare il tempo più accuratamente d’ogni altra quantità. Gli orologi atomici sono i più accurati cronometri mai fatti. E sono essenziali sia per il futuro della vita moderna sia per la sincronizzazione della comunicazione e delle operazioni ad alta velocità del sistema globale di posizionamento che guida gli aerei, automobili e navi. I limiti degli orologi atomici provengono dal movimento termale degli atomi: quelli caldi si muovono rapidamente e soffrono dei cambiamenti del tempo, come già predicato dalla teoria della relatività di Einstein. Noi possiamo raffreddare le cose riflettendo la luce laser su di esse. In questo modo, possiamo raffreddare i gas meno di un milionesimo di un grado al di sopra dello zero assoluto. Il lento movimento degli atomi in un tale gas ci permette di fare orologi ancora più accurati, talmente buoni che potrebbero guadagnare o perdere solo un secondo in trenta milioni di anni”.
...osservare oltre l’apparenza: le cose, gli oggetti prendono vita e mi comunicano la storia della loro esistenza. Questa è la mia natura. ANGELA ROSATI. “IL GIARDINO PROFUMATO”.
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LA BASILICATA ALLE PRESE CON IL RILANCIO INDUSTRIALE THE BASILICATA REGION, THROUGH THE REGIONAL PLAN FOR RESEARCH AND TECHNOLOGY AND INNOVATION DEVELOPMENT 2003-2005, AIMS AT INTEGRATING THE SYSTEM OF SCIENTIFIC AND TECHNOLOGICAL KNOWLEDGE WITH THE SYSTEM OF PRODUCTION. THIS PLAN WILL BE FINANCED BY MORE THAN 12 MILLION EURO AND IS IN COUNTERTENDENCY COMPARED WITH THE NATIONAL SCENERY AND AIMS AT MAKING
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EXCELLENCY REALITY IN THE SECTOR OF RESEARCH AND INNOVATION.
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Investire nella ricerca e nell’innovazione per vincere la sfida del mercato globale. La Regione Basilicata non ha dubbi: per essere competitivi, non essendo una realtà dai grandi “numeri”, occorre puntare sul fattore “qualità”. E per raggiungere livelli di eccellenza tali da colmare la distanza dalle aree economicamente forti, non si può più rinviare il tentativo di collegare gli anelli del sapere scientifico e tecnologico con la produzione. Attraverso il Piano Regionale della Ricerca e Sviluppo Tecnologico e dell’Innovazione 2003-2005, in sostanza, si prefigura una corsa “ragionata” all’uso di sistemi esperti e di modelli di simulazione nella ricerca, nello sviluppo di nuovi prodotti, nell’integrazione strategica di filiera e nell’aggregazione di imprese (il cosiddetto cluster) per meglio diffondere e utilizzare le nuove conoscenze tecnologiche. “Non è sufficiente poter disporre delle tecnologie, bisogna saperle anche utilizzare - sintetizza l’assessore regionale alle Attività Produttive Carmine Nigro - ed è un nostro dovere istituzionale facilitare il percorso che nasce dalle idee e sfocia in progetti, in applicazioni pratiche”. Non sarà semplice oltrepassare d’un colpo le carenze strutturali del sistema produttivo meridionale né la scarsa capacità di fare “sistema”, nodi che troppo spesso hanno frenato il decollo del made in Basilicata. Il Piano ci prova, collocandosi all’interno della strategia europea che fa della “ricerca” la password per abbattere le barriere, rafforzare la collaborazione e realizzare grandi obiettivi anche in piccole realtà territoriali. “Il polo lucano - aggiunge Nigro - dovrà qualificarsi maggiormente per sostenere l’innovazione d’impresa, senza tralasciare l’attività diretta alla tutela del territo
PHILLIPS AL MUNICIPIO DI RIPACANDIDA
punto, altri scienziati si basano per svolgere alcune ricerche che li condurranno alla “condensazione Bose-Einstein”, forma nuova di materia in cui gli atomi cadono nel loro livello più basso d’energia e rimangono in uno stadio singolo di “quanti”. Nell’estate del 1995, l’università del Colorado annuncia la creazione del primo condensato Bose-Einstein, una delle più importanti scoperte scientifiche recenti. Nel 1997, Phillips riceve il premio Nobel per la fisica, e l’anno seguente la cittadinanza onoraria di Ripacandida. Oggi, lo scienziato di origine lucana è membro della Società americana di fisica nonché di quella ottica. Così pure dell’Accademia nazionale delle scienze (Nas) e delle arti. Phillips è responsabile al Nist del gruppo che studia la fisica del raffreddamento via laser come dell’intrappolamento elettromagnetico e delle altre manipolazioni radianti gli atomi neutrali e le particelle dielettriche. Altri progetti che impegnano Phillips riguardano le tecniche avanzate del raffreddamento laser degli atomi di cesio per l’uso degli orologi atomici. Sulla scia del primo condensato Bose-Einstein, Phillips investiga poi sulle proprietà e sull’applicazione di una quantità di gas diluiti di atomi alcali. Lo studio sulle collisioni fredde riguarda invece lo stato frantumato e le collisioni fotoassociative degli atomi ultrafreddi. Il progetto “Metastable Xe” analizza piuttosto gli ultrafreddi atomi Rydberg e i plasma attraverso l’utilizzo dello xeno raffreddato e intrappolato con il laser. I reticoli ottici investigano invece le proprietà e le applicazioni degli atomi ultrafreddi confinati in potenziali fatti di luce. Infine, le pinzette ottiche manipolano otticamente oggetti microscopici per risolvere problemi di biochimica e biotecnologia.
Appena ne ha la possibilità, Phillips torna a Ripacandida per incontrare i parenti. “Apprezza particolarmente i giovani “perché sono portatori di quella immaginazione che spesso, a chi è avanti negli anni, viene a mancare”. Phillips, oltre al premio Nobel, ha ricevuto la medaglia d’oro dal dipartimento del Commercio statunitense nel 1993. Tre anni dopo, la medaglia Michelson dall’istituto Franklin e, nel 1998, il premio Schawlow dalla Società americana di fisica. Ha scritto le opere: “Cooling and trapping atoms”, “New mechanisms for laser cooling”, “Almost absolute zero; the story of laser cooling and trapping of atoms”. Celebre il suo intervento all’università di Pisa, l’anno scorso, quando nel parlare del tempo disse: “Anche Einstein ebbe difficoltà a rispondere alla domanda “che ora è”. Malgrado ciò, noi possiamo misurare il tempo più accuratamente d’ogni altra quantità. Gli orologi atomici sono i più accurati cronometri mai fatti. E sono essenziali sia per il futuro della vita moderna sia per la sincronizzazione della comunicazione e delle operazioni ad alta velocità del sistema globale di posizionamento che guida gli aerei, automobili e navi. I limiti degli orologi atomici provengono dal movimento termale degli atomi: quelli caldi si muovono rapidamente e soffrono dei cambiamenti del tempo, come già predicato dalla teoria della relatività di Einstein. Noi possiamo raffreddare le cose riflettendo la luce laser su di esse. In questo modo, possiamo raffreddare i gas meno di un milionesimo di un grado al di sopra dello zero assoluto. Il lento movimento degli atomi in un tale gas ci permette di fare orologi ancora più accurati, talmente buoni che potrebbero guadagnare o perdere solo un secondo in trenta milioni di anni”.
...osservare oltre l’apparenza: le cose, gli oggetti prendono vita e mi comunicano la storia della loro esistenza. Questa è la mia natura. ANGELA ROSATI. “IL GIARDINO PROFUMATO”.
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rio, alla protezione ambientale, all’innovazione in materia di risorse idriche ed energetiche, alla ricerca e alla prevenzione dai rischi sismici ed idrogeologici, all’osservazione della Terra dallo spazio e la geodesia. Tutti fattori di contesto capaci di assicurare un serio e duraturo sviluppo economico e sociale della Regione”. Come realizzare l’ambizioso progetto? Raccordando le associazioni degli imprenditori con gli istituti di ricerca applicata ai processi produttivi, come il Centro di ricerca Cnr di Tito, Lagopesole (Potenza) e Matera, il Centro Enea di Trisaia di Rotondella (Matera), Metapontum Agrobios di Bernalda (Matera), Basentech di Matera, Snia ricerche di Ferrandina (Matera), l’Agenzia spaziale italiana di Matera e l’Osservatorio di Castelgrande (Potenza), la facoltà di Agraria e Ingegneria dell’ Università della Basilicata, l’Inea e la rete delle imprese dell’Alsia. Quattro i macro-obiettivi da centrare: 1 • rafforzare il sistema regionale della ricerca scientifico-tecnologica nella logica di rete; 2 • migliorare i collegamenti fra i sistemi scientifici e il sistema imprenditoria-
le, con la finalità di promuovere il trasferimento tecnologico, la nascita di imprese “sulla frontiera” e l’attrazione di insediamenti hi tech; 3 • accrescere la propensione all’innovazione di prodotto, di processo ed organizzativa delle imprese locali; 4 • favorire l’insediamento e la delocalizzazione di nuove imprese in Basilicata. Il Piano, in dettaglio, stanzia 8,5 milioni di euro per la creazione di “regimi di aiuto”, gestiti dalla Regione Basilicata e dal Miur (il Ministero dell’Università e della Ricerca) per progetti di ricerca e di sviluppo industriale delle imprese regionali, 3 milioni di euro per la formazione di ricercatori regionali e di figure professionali in grado di collegare il mondo della ricerca e il sistema produttivo, un milione di euro per aprire uno “sportello per l’innovazione” presso il Dipartimento Regionale alle Attività Produttive. E ancora, 150.000 euro indirizzati per un programma di marketing territoriale per creare «sistemi imprenditoriali ad alta tecnologia», e altri 350.000 per realizzare una “rete dei centri di competenza”, che consenta di dialogare co-
stantemente con le altre realtà regionali italiane in un’ottica di condivisione e di scambio di esperienze che realizza di fatto il sistema. Lo scenario finanziario dello strumento regionale, per rispondere pienamente alle necessità di innovazione e ricerca, dovrebbe “solleticare” la capacità di risposta da parte dell’impresa, la voglia di guardare al di là degli attuali confini della produzione e di misurarsi sul terreno della qualità, della condivisione di obiettivi, della competitività. La ricerca della certificazione di qualità, ambientale ed etica, e quindi la tendenza ad un sostanziale “marchio” di garanzia che faccia della piccola Basilicata una regione-modello di buona prassi, è l’obiettivo ultimo a cui tendere. Le produzioni agroalimentari e l’ambiente, ma anche le produzioni tecnologiche immateriali, saranno alcune delle peculiarità su cui imperniare i processi di valorizzazione del territorio e del tessuto produttivo lucano. È proprio da qui che Mondo Basilicata intende iniziare ad esplorare i campi della ricerca e dell’innovazione, attraverso autorevoli pareri ed esempi concreti di applicazione. =
I soggetti che operano nel campo dell’innovazione
4 nell’area di Agraria (Biologia, difesa e biotecnologie agro-forestali, Produzione vegetale, Scienze delle produzioni animali, Tecnico economico per la gestione del territorio agricoloforestale), 3 nell’area di Scienze matematiche, fisiche e naturali (Chimica, Scienze geologiche e Matematica), 3 nell’area di Ingegneria (Architettura, pianificazione ed infrastrutture di trasporto, Ingegneria e fisica dell’ambiente, Strutture,
geotecnica e geologia applicata) e 2 nell’area umanistica (Scienze storiche, linguistiche e antropologiche, Studi letterari e filologici). Accanto ai dipartimenti figurano 10 centri di servizio interdipartimentali tra i quali è bene ricordare il Centro per la salvaguardia delle risorse genetiche vegetali, l’Herbarium Lucanum e il Centro di ricerca nell’utilizzazione e conservazione del germoplasma
Il sistema della ricerca scientifica e tecnologica della Basilicata può contare su una fitta trama di soggetti. In questa rassegna ragionata proviamo a capire chi sono e cosa fanno. L’Università degli Studi della Basilicata è uno dei nodi centrali del sistema. L’attività scientifica dell’ateneo lucano è articolato in 12 dipartimenti:
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CNR
Il CNR e la scommessa ambientale
RESEARCH CENTRE WE CAN LIST THE MEASURING OF ATMOSPHERIC PROCESSES, THE CREATION OF A PAN-EUROPEAN ENERGY NETWORK AND SEVERAL STUDIES ON SOIL AND WATER TABLE POLLUTION.
Una realtà di eccellenza con la testa in Europa ma i piedi ben saldi in terra lucana. Così ama definire la sua creatura il professor Vincenzo Cuomo, direttore dell’Istituto di Metodologie per l’analisi ambientale (Imaa) che fa capo al Cnr di Basilicata. Eppure, a dispetto dei successi, quella del Cnr lucano è una storia relativamente recente. “Quando nel 1987 siamo venuti in questa regione - ricorda il direttore Cuomo - abbiamo fatto una scommessa che era quella di capire se si riusciva, partendo da zero, a portare la ricerca a livelli di eccellenza. Oggi quella scommessa può considerarsi vinta”. E lo dimostra la qualità dei progetti a cui i ricercatori del Cnr stanno lavorando in questi mesi in collaborazione con le più importanti istituzioni scientifiche nazionali ed internazionali. Attualmente l’Imaa è partner di un progetto di ricerca industriale nel settore delle osservazioni della Terra denominato Cos(OT). Nell’ambito del VI Programma Quadro varato dall’Unione europea, l’Imaa realizzerà la rete paneuropea dell’energia. È in corso il potenziamento del sistema “Arm-Site” per la misurazione dei processi atmosferici e la validazione dei dati satellitari. È di alcune settimane fa l’inaugurazione del polo di Marsico Nuovo che ospiterà il sistema “Hydrogeosite” per lo studio dell’inquinamento del suolo e delle falde. Una sfida che è stata vinta anche col supporto di un sistema politico-istituzionale locale “che ha capito molto prima di altre realtà che alcune scommesse si vincevano sul piano della qualità e dell’eccellenza”, come sottolinea il professor Cuomo. Anche il sistema delle imprese lucane ha compreso che la competizione su scala globale si gioca sul binomio ricerca-innovazione piuttosto che sul contenimento del costo dei fattori. “In un grosso progetto di ricerca industriale che coinvolge tutte le regioni del Mezzogiorno - spiega Cuomo - c’è una forte presenza di piccole e medie imprese lucane e anche una serie di realtà del Nord che guardano con interesse alla possibilità di investire in Basilicata”. È un primo timido segnale che va consolidato adottando un approccio di sistema in cui il ruolo del settore pubblico è fondamentale per indurre le imprese ad offrire servizi innovativi e per innescare processi di ricerca. LUIGI CANNELLA
mediterraneo. L’altro grande nodo è rappresentato dal CNR che, oltre all’Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale (IMAA), può contare sulle sedi periferiche dell’Istituto di Metodologie Inorganiche e dei Plasmi (IMIP) a Tito, dell’Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali (IBAM) presso il castello di Lagopesole e dell’Istituto di Radioastronomia (IRA) a Matera. Ad aggiudicarsi la palma di ente di ricerca più longevo
della Basilicata è il centro ENEATrisaia a Rotondella (MT) che è attivo fin dal 1962. Il centro Trisaia, noto in particolare per le attività di condizionamento dei rifiuti nucleari, è uno dei pochi centri di ricerca e sviluppo in grado di operare ad ampio spettro: ambiente, agro-biotecnologie, metrologia, radioprotezione e applicazioni laser. È anche sede di alcuni consorzi hi-tech partecipati da ENEA: TRAIN (trasporti innovativi),
CNR OF BASILICATA HAS PROVED ITSELF TO BE AN EXCELLENT UNIT IN THE FIELD OF RESEARCH AND INNOVATION. AMONG ALL THE FUTURE PROJECTS FORESEEN BY THE
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TRE (recupero edilizio), CALEF (applicazioni industriali laser) e PROCOMP (componentistica per trasporti). Notevole anche la presenza di istituzioni scientifiche che operano nella ricerca spaziale. Basti pensare al Centro di geodesia spaziale, telerilevamento e robotica spaziale dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Oppure all’Osservatorio Astronomico di Toppo di Castelgrande (PZ) col suo
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BASILICATA Portare l’Università in azienda e far dialogare l’azienda con l’Università, producendo ricerca di alto profilo che si traduca in effettiva innovazione. È questo il doppio binario che l’Ateneo lucano da anni sta cercando di percorrere per stimolare il processo di crescita della regione, puntando decisamente sul fattore locale di qualità: “È inevitabile. La produzione tipica ha in sé i tratti caratteristici del territorio di appartenenza. O si realizza in loco o non si può ottenere altrove”. Il presidente del Consiglio dei Direttori di Dipartimento, Ettore Bove, non ha dubbi. Lucano doc, e per questo ancora più sensibile alla causa regionale rispetto ad altri colleghi “di passaggio”, Bove auspica l’instaurarsi di un forte legame tra istituzioni locali, centri di ricerca e aziende: “Da parte nostra dovremo continuare la ricerca sulla via della qualità nella fase di produzione della materia prima. E soprattutto sulla componente umana, con l’ausilio delle più moderne tecnologie”. Come avviene nel laboratorio sensoriale dell’Ateneo, coordinato dal professor Erminio Monteleone, in cui i ricercatori effettuano dei test (visivi, olfattivi, tattile/ gustativi, ad esempio) su semplici consumatori o con soggetti addestrati alla valutazione di definiti stimoli sensoriali, per comprendere le relazioni che legano il gradimento espresso dai consumatori alle proprietà percepibili dei prodotti alimentari. Un esempio? Studiare la relazione tra la composizione fenolica delle uve Aglianico ed il loro contributo all’amaro ed all’astringenza dei vini. Queste due proprietà sensoriali, comuni a tutti i vini rossi, sono quelle che maggiormente influenzano l’accettabilità dei prodotti. Lo scopo degli studi è definire una composizione fenolica ottimale per il raggiungimento della quale si ottimizzano e si innovano le tecniche di coltivazione e di trasformazione dell’uva. Il controllo delle proprietà che condizionano l’accettabilità diventa così la base della enfatizzazione delle proprietà di peculiarità aromatiche di un prodotto. Il consumatore rimane insomma il giudice assoluto del successo di qualsiasi prodotto. Per aumentare la probabilità del consenso sul made in Basilicata, secondo Bove, bisognerà agire su diverse leve: “Collegare la produzione alla ristorazione ma anche professionalizzare gli operatori, che dovranno assimilare la storia della propria terra e dei suoi prodotti, saperla raccontare al turista italiano e straniero, all’emigrante e ai suoi discendenti, per suscitare un ricordo, regalare un’emozione”. Un tasto, questo, su cui la tecnologia può davvero poco. VITO VERRASTRO
L’ateneo lucano a sostegno dei prodotti tipici
telescopio ultratecnologico TT1 dal diametro di un metro e mezzo. Merita una menzione anche il gruppo attivo presso l’Università degli Studi della Basilicata dell’Istituto Nazionale di Fisica della Materia (INFM), impegnato oltre che nel campo spaziale anche in quello ambientale. Dallo spazio siderale alla terra e all’agricoltura. Qui opera dal 1996 l’Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura (ALSIA) che promuove
lucano, cura la Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA) e svolge attività di monitoraggio ed assistenza tecnica all’applicazione dei programmi comunitari. Ancora poche, invece, le imprese in grado di promuovere programmi di ricerca ed innovazione in Basilicata. Con la sola eccezione della SNIA Ricerche localizzata a Pisticci (MT) che si occupa di ricerca applicata ed innovazione nel settore della chimica industriale. (L. C.)
l’innovazione, l’orientamento al mercato e la riqualificazione delle risorse umane che operano nelle imprese agricole e agroalimentari. Un’attenzione particolare è riservata alle produzioni zootecniche e alla tutela della biodiversità di specie vegetali tipiche della regione. La sezione lucana dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), invece, realizza studi ed indagini sulla realtà produttiva del settore agricolo ed agroalimentare
LEONARDO NELLA
ETTORE BOVE AND VINCENZO CUOMO: A DOC LUCANIAN AND A MAN FROM CAMPANIA WHO LEARNT TO LOVE LUCANIA. TWO MEN FROM THE SOUTH SERVING THE MOST IMPORTANT RESEARCH UNITS IN THE REGION: THE UNIVERSITY AND CNR. BOVE AND CUOMO TALK ABOUT RESEARCH, INNOVATION AND DEVELOPMENT PROSPECTS FOR BASILICATA FOCUSING ON LOCAL RESOURCES AND TYPICAL PRODUCTS WITHOUT LOSING SIGHT OF WHAT’S ON IN EUROPE.
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Pur rivestendo un ruolo strategico per l’accrescimento della competitività del sistema economico e produttivo, le strutture che operano nel settore della ricerca vivono una fase storica caratterizzata da incertezze e precarietà.. La conferma viene anche dall’ Ing. Vincenzo Acito, Presidente di Basentech, Parco Scientifico e Tecnologico della Basilicata, una struttura nata negli anni ‘90 con il compito di fungere da “collante” tra il sistema della ricerca e la relativa applicazione nei processi produttivi aziendali. Nel corso degli anni, Basentech ha realizzato progetti di ricerca ed innovazione tecnologica molto interessanti, che hanno avuto ricadute positive sul sistema economico del territorio. “Oggi tutto questo rischia di interrompersi” - dice Acito - “a causa di una drastica riduzione delle risorse”. “L’innovazione - spiega - è strutturata su tre livelli: l’alta formazione, la ricerca di base ed il trasferimento tecnologico. Se per i primi due sono disponibili fondi statali da gestire al meglio, per il trasferimento tecnologico lo Stato ha tagliato le risorse. Resta da capire, in sostanza, come favorire questa terza fase, per evitare che la ricerca rimanga un insieme di saperi congelati, senza che si trasformi in opportunità di business”.
RESEARCH AND INNOVATION: A STRATEGIC SECTOR WHICH HAS GOT FEW RESOURCES. “ENTERPRISES AS WELL MUST TAKE A “CULTURAL LEAP” AND BELIEVE IN THE MEDIUM AND LOW-TERM RETURNS OF RESEARCH” SAYS VINCENZO ACITO, ENGINEER, PRESIDENT OF BASENTECH - PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO DI BASILICATA. MEANWHILE SOMEONE HAS SUCCESSFULLY INVESTED IN RESEARCH.
E qui Acito scopre l’anello debole del sistema: convincere le imprese ad investire in ricerca ed innovazione. Un problema non da poco. “In verità - confessa Acito - bisogna attuare innanzitutto una azione sociale e culturale che spinga le imprese a guardare in una prospettiva di medio e lungo raggio, al fine di renderle maggiormente competitive attraverso una gestione manageriale, il che non significa una negazione delle caratteristiche di “familiarità” comune a gran parte delle aziende di questo territorio”. In sostanza, le realtà, come Basentech, che operano in ricerca ed innovazione fanno fatica a proseguire su una strada che si fa di giorno in giorno più ripida,
giacché non esiste una effettiva domanda di ricerca ed innovazione, perché manca l’humus giusto. In questo contesto, queste realtà faticano a reggersi sulle proprie gambe. “Eppure - fa notare il Presidente di Basentech - specie nelle aree dell’Obiettivo 1, i fondi utilizzati per la ricerca sono inferiori rispetto alla disponibilità finanziaria”. Che fare? “Una idea concreta: anziché dar corso ad interventi a vocazione assistenzialistica come le “borse lavoro”, perché non favorire l’utilizzo delle risorse per la formazione per finanziare l’operato di giovani laureati locali, che fungano da embrioni del cambiamento nelle aziende del territorio?”. Proposta girata a chi di dovere. FILIPPO OLIVIERI OTTAVIO CHIARADIA
Basentech in mezzo al guado
Montreal, un semaforo per i daltonici
OTTAVIO GALELLA E ALDO MICHELE RADICE, GIÀ PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA
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A invenzione fatta può sembrare una banalità, ma così non è. Il lucano Ottavio Galella ha progettato qualcosa per rendere più facile la vita delle centinaia e centinaia di daltonici che guidano le automobili ed incontrano difficoltà ai semafori. Non distinguendo i colori, i daltonici possono diventare un vero pericolo per sé e per gli altri. Da qui l’intuizione dell’allora studente di architettura, oggi uno dei maggiori ideatori della complessa viabilità e dell’urbanistica di Montreal: perché limitare l’uso del cerchio e non utilizzare altre forme geometriche nella costruzione dei semafori? Detto, sperimentato, attuato. L’invenzione è accettata e i semafori della capitale canadese cambiano aspettano. Non più divisi in tre cerchi, ma in quattro figure, rombi compresi, tutti di colori diversi. E per i pedoni? Accontentati: non più un omino irriconoscibile avvolto nel rosso o nel verde, ma una grossa mano che si apre e avverte che non puoi attraversare la strada. Un piccolo ed importante tassello all’interno di un più ampio progetto, quello legato alla circolazione di Montreal, che porta la firma dell’architetto nativo di Muro Lucano.
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ARCHIVIO ALTRIMEDIA
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HSH di Matera Quando la ricerca è il fondamento del successo. È il caso di HSH, una società nata nel 1985 per la commercializzazione di prodotti informatici e che ha fatto il “salto di qualità” nel 2001, dopo aver preso parte al “Progetto Ambiente e Territorio”, curato proprio da Basentech, che oggi segnala a Mondo Basilicata questo caso di eccellenza. Attraverso la valorizzazione del patrimonio di conoscenze acquisito nel corso di questo progetto di ricerca, HSH ha sviluppato un sistema per l’applicazione, attraverso la rete, della tecnologia GIS (Geographical Information System). Una intuizione che sta trovando ampi spazi di mercato soprattutto nella Pubblica Amministrazione. La Regione Lombardia, ad esempio, sta mettendo a punto, grazie al supporto tecnologico e consulenziale di HSH, un programma di “infomobilità”, per la gestione in tempo reale del traffico e del relativo impatto sull’inquinamento atmosferico ed ambientale. “I nostri clienti - spiega Sante Lomurno, uno dei cinque soci di HSH - stanno scoprendo le enormi potenzialità offerte dall’applicazione di questa tecnologia, che permette un monitoraggio costante ed approfondito del territorio, con molteplici applicazioni che vanno dall’urbanistica all’ambiente, dal recupero di beni storici alla fornitura
HSH HAS DEVELOPED A SYSTEM FOR APPLYING, THROUGH THE NET, OF GIS (GEOGRAPHICAL INFORMATION SYSTEM) SATELLITE TECHNOLOGY. A HUGE AMOUNT OF INFORMATION EASILY USABLE ON YOUR PC.
di ser vizi ambientali, grazie anche alla proficua collaborazione con partner del calibro di Enel Hydro, una delle divisioni del colosso nazionale dell’energia”. A livello locale, invece, HSH ha curato la fornitura tecnologica per la gestione on line del Piano Regolatore del Comune di Matera. “Parlare di Sistemi Informativi Territoriali (S.I.T.) e reti Internet, significa coniugare due tecnologie che, complementarmente integrate, consentono di gestire le informazioni sul territorio da qualsiasi personal computer. Rendere disponibili, a tecnici e professionisti che operano sia all’interno che al di fuori delle Amministrazioni Locali, e che quotidianamente interagiscono con il territorio, una serie di dati pubblici (cartografie, tecniche, mappe catastali, tematismi di PRG, reti tecnologiche, etc.), fruibili direttamente sul proprio computer tramite una semplice connessione a Internet, significa pensare in maniera realistica alle possibilità offerte dalla tecnologia della società dell’informazione”. Un investimento in ricerca durato tre anni di studio che ha permesso ad HSH di accumulare un interessante vantaggio competitivo e di raccogliere l’attenzione di grossi gruppi che operano in questo mercato. Telecom, ad esempio, ha ufficialmente inserito il Web Gis di HSH nel proprio catalogo di offerta. La
Provincia di Napoli si è avvalsa di HSH per il monitoraggio dei livelli di inquinamento. L’APAT (Agenzia di Protezione Ambientale) ha affidato alla società materana la realizzazione del catalogo degli indicatori ambientali. Sono solo alcuni degli importanti riconoscimenti del mercato per questa realtà all’avanguardia, che conta 15 unità lavorative, oltre ad una serie di collaborazioni con una rete di consulenti, e che ha chiuso il 2003 con un fatturato di 1.400.000 euro. E intanto HSH guarda al futuro con lungimiranza, sviluppando, oltre al Web Gis, altri canali di business. HSH è parte, infatti, del Consorzio Innova, costituito insieme ad altre due storiche società informatiche del materano come “La Traccia” e “Lucana Sistemi”, che sta implementando, per conto di Telespazio, un programma per il “processamento immagini”, nell’ambito del progetto Cosmo SkyMed, il primo programma nazionale per la messa in orbita di una costellazione di satelliti per la osservazione della terra (O.T.). Ma forse la cosa più importante da sapere è che fino a qualche tempo fa queste stesse società che oggi formano il Consorzio Innova erano da anni in costante e poco produttiva concorrenza. È bastata l’umiltà ed il coraggio di unire le forze. Anche questa è innovazione. (F. O.) 41
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L’Agrobios leader nella ricerca biotecnologica
THE MISSION OF METAPONTUM AGROBIOS IS TRANSFERRING INNOVATION INTO AGRICULTURE AND AGRIBUSINESS. SINCE 1985 THIS COMPANY HAS BEEN COMMITTED IN RESEARCH PROJECTS IN THE FIELD OF VEGETABLE AND ENVIRONMENTAL BIOTECHNOLOGIES. “OUR ONLY AIM – SAYS FRANCESCO CELLINI, WHO IS THE PERSON IN CHARGE FOR RESEARCH AND DEVELOPMENT OF METAPONTUM AGROBIOS – IS THE IMPROVEMENT OF FOOD PRODUCTION QUALITY, PROTECTING ABOVE ALL HUMAN AND ANIMAL LIFE”. AND IN THE MEANTIME GMO PRODUCTION STILL LEADS TO DOUBTS AND DISPUTES.
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La fiorente e generosa terra della fascia jonica lucana è prodiga, da sempre, di prodotti di elevata qualità, in grado di conquistare interessanti posizioni nei mercati di nicchia. Ma i raggi del caldo sole del metapontino irradiano anche prodotti alimentari “speciali”, frutto di una costante attività di ricerca e sperimentazione condotta da Metapontum Agrobios, una realtà all’avanguardia nel trasferimento dell’innovazione in agricoltura e nel sistema agro-industriale attraverso progetti di ricerca e servizi analitici nel settore delle biotecnologie vegetali e dell’ambiente. Molteplici i campi di intervento di questa realtà, che è costituita da un consorzio tra Regione Basilicata e l’Agenzia Lucana per lo Sviluppo e l’Innovazione in Agricoltura (ALSIA), dopo il recente addio del partner privato, la Bioren S.p.a.. In campo biotecnologico, la ricerca è rivolta allo sviluppo ed all’applicazione di tecnologie innovative per la protezione delle colture da virus e insetti ed alla manipolazione genetica per il miglioramento della qualità di piante di interesse agrario ed industriale (pomodoro, frumento, oleaginose). In campo analitico, poi, conduce attività rivolte al miglioramento ed alla certificazione della qualità dei prodotti agricoli (ortofrutta, olio, miele), alla definizione di metodologie di produzione agricola sostenibile e alla valutazione delle novità vegetali (OGM) ottenute nell’ambito della ricerca biotecnologica.
E proprio la cronaca delle ultime settimane ha dato ampio spazio al progetto di un pomodoro ad alto contenuto di betacarotene, che potrebbe essere impiegato come “fabbrica biologica” per produrre grandi quantità di carotenoidi naturali, in alternativa all’impiego di processi industriali dai complessi problemi di impatto ambientale. Una notizia che ha destato qualche polemica: “Sono solo pregiudizi - taglia corto Francesco Cellini, direttore del settore Ricerca di Agrobios -, i nostri studi sono tesi a migliorare i prodotti ma anche a creare un impatto positivo sulla salute dell’uomo e dell’animale. Oltre al pomodoro, stiamo conducendo ad esempio un progetto-pilota sulle erbe mediche in cui l’aggiunta di proteine dovrebbe agire sul sistema immunitario degli animali. Il tutto utilizzando tecniche non Ogm, quindi ad alta accettabilità economico-industriale”. Anche nel recente passato Agrobios si è distinta per una serie di studi di primissimo piano. Un esempio su tutti? “Il controllo qualità della fragolicoltura interamente informatizzato - racconta Cellini - tanto che con un clic su Internet gli importatori hanno avuto la possibilità in tempo reale di riscontrare una garanzia assoluta in termini di sicurezza alimentare e di tracciabilità del prodotto”. Un processo applicato con successo da diverse aziende del metapontino su uno dei prodotti di punta della frutticoltura dell’area ionica lucana. FILIPPO OLIVIERI
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Partenariato internazionale, CIA Basilicata e Associazione Lucani Paysandù
L’intesa stretta al workshop Pptie di Potenza mira allo sviluppo congiunto di un progetto di ricerca che porti alla creazione di una linea di prodotti per diabetici ma anche alla produzione di marmellate e dolci da vendere sul mercato “normale”. Un punto di partenza, perché gli spazi di collaborazione sono molto più ampi. Il progetto di “Unità agrobiologia” dell’Alp (Associazione Lucani di Paysandù) incentra su un’area di 30 ettari un progetto di sistema integrato di produzione organica. Anche in questo caso un progetto di studio per ‘biocontrollare’ naturalmente le malattie e le pesti di vegetali ed animali e migliorare le produzioni agrarie rafforzando, sempre in modo biologico, le qualità. Con risultati positivi anche sotto l’aspetto lavorativo. “Obiettivo dell’iniziativa non sono tanto i vantaggi di natura economica e tecnica, ma si è pensato - spiega la consulente dell’Alp, Maria Acuna - soprattutto ai risultati “sociali” del progetto e cioè all’impatto positivo che la sua realizzazione avrebbe sulla disoccupazione, giovanile e non”. ANGELA REMOLLINO
DIGITAL VIDEO - GENZANO DI LUCANIA
AN INTERESTING INTERNATIONAL PARTNERSHIP’S OUTCOME: PROBIO TER OF CIA OF BASILICATA AND THE “ASSOCIAZIONE LUCANI” OF PAYSANDÙ HAVE JOINED THEIR FORCES AND HAVE GIVEN BIRTH TO A SIMPLE AND EFFICIENT ENTREPRENEURIAL IDEA: THEIR PROJECT AIMS TO CREATE A PRODUCT LINE FOR PEOPLE AFFECTED BY DIABETES, WHICH ALSO INCLUDES JAMS AND SWEET THINGS.
La Basilicata punta sull’innovazione anche nell’agroindustria. O meglio le Basilicate, perché, in questo caso, i progetti vedono un partner della regione “geografica” ed uno di quella oltreoceano. Un’iniziativa nata nell’Ambito del Programma di Partenariato internazionale con gli italiani all’estero (Pptie), promosso dal Ministero degli Esteri e della Regione Basilicata in collaborazione con il Cif Oil dell’Onu di Torino. L’idea imprenditoriale è semplice ed efficace, di quelle in grado di avere successo sul mercato. Ma alle spalle ci sono laboriose attività di ricerca. Un asse che coinvolge l’associazione dei lucani di Paysandù, in Uruguay, e l’associazione dei produttori biologici “ProBioTer” della Cia di Basilicata: i primi impegnati nella coltivazione della Stevia Rebaudiana, un dolcificante naturale specialmente indicato per i diabetici, i secondi nella Rosa Canina, un fiore utilizzato per infusi, tisane e marmellate, ma dalle potenzialità terapeutiche ancora non del tutto sfruttate per l’enorme ricchezza di vitamina C e sostanze antiossidanti che contiene.
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LA LEGGENDA DI FONDAZIONE DEL SANTUARIO Si racconta che alcuni pastori videro, in una calda notte di luglio, sulla cima del monte di Viggiano, una fiamma talmente intensa che illuminava l’intera
vallata. Accorsi sul luogo, in seguito ad una lunga scalata, della fiamma nessuna traccia. Datene notizia alle autorità ecclesiali, il popolo si recò nuovamente sulla vetta dove trovò, nel punto dove era stata vista la fiamma, una splendida statua. Innanzi a tale
prodigio la popolazione decise di erigere sul monte una chiesa per ospitare il simulacro ritenendo che fosse quello il modo migliore per onorare la Vergine. Finiti i lavori di costruzione e posta la statua sull’altare, ecco, però, un nuovo fenomeno sorprendente
La Madonna di Viggiano. Patrona e Regina delle genti lucane The Sanctuary of “Our Lady of Viggiano” is one of the most important spiritual and religious centres in Basilicata. Enzo Alliegro, professor of Anthropology at the University “Federico II” of Naples, tells the legend of its foundation and some historical reconstructions, and underlines the importance of the devotion to Our Lady of Viggiano for Lucanian emigrants, even abroad; because of the changes of the folk society, this devotion also underwent significant changes.
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La leggenda di fondazione del culto della Madonna di Viggiano ci informa, secondo un linguaggio immediato e a tinte forti, della nascita del pellegrinaggio e del Santuario. Essa, in effetti, ripropone un modello assai diffuso secondo il quale il rituale, ovvero il pellegrinaggio che si festeggia oggi, è la riproposizione di un’azione archetipale già compiuta in illotempore. Posto che le cose sono andate in questo modo, a noi, oggi, il compito di seguire quel modello sacro. Fin qui la leggenda. Ma veniamo alla storia, la quale, in molti casi, si è fatta strada non alternativamente alle credenze popolari, semmai integrandole nel tentativo di fornire una ricostruzione che non eludesse il substrato tradizionale, semmai lo rinvigorisse. Secondo alcuni, dunque, è sembrato plausibile ritenere che la statua della Madonna sia stata ritrovata in una buca sul monte (buca posta alle spalle dell’altare e tuttora visibile), dopo che era stata venerata, nella città di Grumentum, sin dagli albori del Cristianesimo (Cfr. B. La Padula, Viggiano e la sua Madonna, Potenza, 1968). Secondo altre ricostruzioni, e si tratta di quelle maggiormente accreditate, la Madonna è stata ritrovata sul monte in quanto era stata lì nascosta dai monaci basiliani con lo scopo di difenderla dall’iconoclastia saracena (su questi aspetti cfr. I. Santangelo, Apostolato Mariano, in
E. V. Alliegro e V. Prinzi (a cura di), Don Francesco Romagnano. Parroco-Rettore del Santuario di Viggiano. La sua Chiesa, la sua Basilicata, Potenza, Ermes, 2003, pp. 143-160). Di certo, ci è dato far risalire il culto, secondo una importante scoperta di Valeria Verrastro che ha provveduto a retrodatarne l’avvio, almeno al giugno del 1393 quando, certo Tommaso Bono Iurno di Viggiano, assegnò alla Chiesa di S. Maria del Monte dieci grana pro luminaris (cfr. V. Verrastro, Con il bastone del pellegrino attraverso i Santuari Cristiani della Basilicata, Matera, Altrimedia Edizioni, 2000, p. 281). Secondo Giovanni Colangelo, Nicola Tommasini, Giovanni Tramice, studiosi che hanno dedicato al Santuario di Viggiano importanti approfondimenti, è accertato che il culto fosse piuttosto diffuso già intorno agli inizi del 1500 quando, della chiesa di Santa Maria del Monte di Viggiano, si occupò papa Giulio II. Al secolo successivo, invece, precisamente al 9 novembre del 1618, risale una importante relazione ad limina del vescovo di Marsico Nuovo Timoteo Caselli, dalla quale si apprende della presenza di una chiesa “Santa Maria del Monte, che si sosteneva con proprie rendite ed elemosine, servita da tutti il clero di Viggiano” (Cfr. G. A. Colangelo, Il Santuario di Viggiano, Ed. Osannna, 1984, p. 9). 8
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della Madonna. Tuttavia, la prima domenica di maggio, la statua si sollevò nuovamente, per recarsi sulla vetta dove era stata ritrovata. Era chiaro, dunque, che la Madonna avesse dato delle precise indicazioni, vale a dire che intendesse trascorrere alcuni
mesi all’anno, sulla vetta del Sacro Monte, altri, in paese. Di intesa con il vescovo, la popolazione decise che la prima domenica di settembre la statua sarebbe stata condotta processionalmente a Viggiano, mentre la prima domenica di maggio sarebbe stata ricondotta sul Monte.
ARTURO MARI / L’OSSERVATORE ROMANO
ed insolito: la statua venne vista dai presenti trascinata da una mano invisibile fuori dalla chiesa, e condotta a Viggiano, dove venne appositamente eretta una splendida chiesa. Trascorsi alcuni mesi, la popolazione ritenne che dovesse essere il paese la sede
PAPA WOITJLA INCORONA LA MADONNA DI VIGGIANO REGINA DELLE GENTI LUCANE
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LEONARDO NELLA
Il Santuario di Viggiano, al di là delle diatribe storiografiche circa le sue origini, costituisce, oggi, sicuramente uno dei centri di spiritualità e di fede mariana più importanti della Basilicata e dell’intero Mezzogiorno. Ogni anno, la prima domenica di maggio e settembre, esso è meta di migliaia di pellegrini che vi giungono dall’intera Basilicata e da varie province limitrofe. Quante storie di disperazione, di povertà, di bisogni, si potrebbero scrivere se solo si riuscisse a carpire i segreti di tante madri addolorate che vi si sono recate negli anni della guerra e del dopoguerra. Quanti aneliti di speranza, quanti desideri di riscatto e di emancipazione si potrebbero ascoltare se solo si riuscisse a dare voce a quella moltitudine di corregionali che decisero di lasciare la Basilicata per andare a vivere altrove e che proprio nello sguardo della Madonna di Viggiano trovarono, come essi stessi ricordano, protezione e guida. È, indubbiamente, attraverso gli occhi che i pellegrini lucani hanno costruito un legame particolarissimo con la loro Madonna. È con i propri occhi arrossati, appena commossi, o in lacrime, che si sono rivolti i migranti lucani alla Madre di Dio per richiedere, qui ed altrove, protezione. Da Melbourne, il 18 dicembre 1963, un emigrato lucano nel rivolgersi al compianto Rettore del santuario, 46
don Francesco Romagnano, tra l’altro, scriveva: “Vi ringrazio per la veduta della chiesa, molto bella, e per l’immagine della Madonna, sia lei la nostra guida”; mentre il 29 agosto 1954 un contadino originario di Accettura, da Nottingham, non mancava di precisare: “Dono alla SS. V. del Monte di Viggiano una Sterilina, avendomi salvato dalla miseria, concessa la grazia di farmi emigrare in Inghilterra; sono lieto e sarò sempre devoto alla SS. Vergine di Viggiano”. Eppure quegli occhi che hanno rassicurato contadini e pastori in cerca di riscatto e desiderosi di emigrare, sono gli stessi che hanno incrociato lo sguardo orgoglioso e fiero di tanti lucani ritornati a Viggiano da varie parti del mondo, per manifestare gratitudine ed attestare riconoscenza alla Madonna per il successo raggiunto. Da quando, nel secolo scorso, si riteneva che proprio negli occhi si concentrasse una forza mistica che permetteva ai pellegrini di scorgere la Madonna “in vari aspetti, ora benigna, ed amabile, or maestosa, e severa; ora pietosa, or fulminante; ora scherzevole, ed ora terribile” di mutamenti ne sono sopraggiunti tanti. L’opera di evangelizzazione svolta dalla Chiesa (cfr. E. V. Alliegro, Processi di trasformazione di pratiche religiose particolari, in Bollettino Storico Della Basilicata, n. 17, 2001, pp. 139-181), da Monsignore Rocco Pellettieri nella prima metà del Novecento; da don Francesco Romagnano tra gli anni Cinquanta
e gli anni Novanta; dal 1993 dall’attuale Rettore don Paolo D’Ambrosio, ha fatto sì che la religiosità sia stata depurata da una serie di aspetti tradizionali poco consoni ai tempi moderni. Questo significa che i lucani dimoranti oggi all’estero, dove, tra l’altro, si svolgono i festeggiamenti mariani della prima domenica di settembre, troverebbero difficoltà nel riconoscere i pellegrinaggi così come hanno luogo nei nostri giorni. Molte cose, infatti, sono cambiate. Le contadine che si percuotevano il petto sono scomparse, così come quelle che entravano in chiesa strisciando la lingua sul pavimento. Del resto, sempre meno sono le donne che raggiungono la vetta scalze e quelle che si lasciano andare a comportamenti isterici, così come in declino sono i gruppi di zampognari e i “cinti” (castelletti votivi costruiti con candele appositamente decorate e poi donate al Santuario quale richiesta di grazia o per grazia ricevuta). Quello che, sicuramente, è rimasto invariato, è lo sguardo della Madonna, quello che i lucani, ovunque nel mondo, tuttora ricordano. Lo stesso sguardo che il Sommo Pontefice, Giovanni Paolo II, ebbe modo di ammirare in occasione della sua visita in Basilicata nel corso della quale, il 28 aprile 1991, incoronò la Madonna di Viggiano, riconfermandola Patrona e Regina delle Genti Lucane. =
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Andata
Ritorno
Iamm’ a lu Mont
Oh cchi di dolore mi sent
A truvare la Reggina
Ch’ aggià lasciare Maria
Le vugli sta vicini
Ti prego Maronna Maria
Che gioia che sarà
Fammi restare cu te
Pi mmare e pi terra
Maria risponne
Si numminata tu
Io t’accumpagno
Maronna ri Viggiano
Sott’il mio manto
Si chiena ri virtù
Ti porterò
Quanti mi siembri bella
Io mo mi nni vao
Cu st’uocchi a sigguardà
E nu saccio che ti lascià
Si Madre e Virginella
Ti rico l’Ave Maria
Tutta chiena ri santità!
Statti bbona Maronna mia
Pi mmare e pi terra
Maria risponne
Si numminata tu
Io t’accumpagno
Maronna ri Viggiano
Sott’il mio manto
Si chiena ri virtù
Ti porterò
Maria si rallegra
Io mo mi nni vao
Quann sente a nui cantà
E nu saccio si ritorno
La santa lutania
Ma si Maria non torn
E lu rusarie a rricità
Nun ti scurdare ri me
Pi mmare e pi terra
Maria risponne
Si numminata tu
Io t’accumpagno
Maronna ri Viggiano
Sott’il mio manto
Si chiena ri virtù
Ti porterò
Tre vote ngiri
Io mo mi nni vao
Attuorn’ a sta cappella
ma rietr l’ombra mia
Vergine bella
veo te Maria
Vienimm’aprì
che mmi ven’accumpagnà
Pi mmare e pi terra
Maria risponne
Si numminata tu
Io t’accumpagno
Maronna ri Viggiano
Sott’il mio manto
Si chiena ri virtù
Ti porterò
LEONARDO NELLA
CANTO POPOLARE
LEONARDO NELLA
LEONARDO NELLA
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Gesualdo un musicista “sacro”
CARLO GESUALDO FROM VENOSA, ILLUSTRIOUS MADRIGALIST OF THE 16TH CENTUR Y AND MASTERLY INTERPRETER OF “SACRED” MUSIC AS WELL, IS A CHARISMATIC AND INGENIOUS FIGURE IN THE FIELD OF MUSIC . A “PARODIST OF THE IMPOSSIBLE” WHO, HOWEVER, HIDES FROM THE MAJORITY OF PEOPLE A SOUL FULL OF DESPAIR, LIKE THAT OF “WHO TRIED TO EXPIATE HIS MISDEED BY ELEVATING HIS ‘MOANS’ TO A MILKY WAY MIRRORED IN THE PUDDLE OF HIS AGE”. GESUALDO’S MUSIC IS, THUS, UNMISTAKABLE , IT CROSSES TIME AND CONTINUES, EVEN AFTER FOUR CENTURIES, TO “UPSET” THE SOULS WITH ITS CHARACTERISTIC ALTERNANCE OF TONALITIES, UNUSUAL CHROMATIC SHAPES AND ITS “MELANCHOLIC AND DESPERATE VOICES, FULL OF MYSTER Y”.
THIS IS THE DESCRIPTION ROCCO BRANCATI GIVES OF THE PRINCE OF VENOSA, WHO HAS BEEN CHOSEN AS A SUBJECT FOR A FILM THANKS TO HIS CHARISMA AND HIGH VALUE AS AN AR TIST. THE FAMOUS DIRECTOR
BERNARDO BER TOLUCCI WILL MAKE THIS
FILM TO PAY TRIBUTE TO THIS GREAT MUSIC MAESTRO WHOSE MEMOR Y IS RIGHT AND FAIR AND MUST REMAIN INDELIBLE IN THE MINDS OF US ALL.
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Non potete negare… al suo destino le vostre lacrime (Goethe). Quattro secoli sono trascorsi dalle vicende umane di Carlo Gesualdo. La sua musica (l’esperienza rivoluzionaria dei suoi madrigali a 5 voci) tormentata e visionaria, è stata “riscoperta” solo dopo la seconda metà del XX secolo grazie ad Igor Stravinsky. Fu il musicista russo a togliere dall’oblio uno dei personaggi più inquietanti dell’intera storia della musica. Stravinsky gli dedicò addirittura un Monumentum (rielaborando tre madrigali del principe) e lo definì “uno dei più personali ed originali musicisti mai nati alla mia arte”. Parlando agli studenti dell’Università di Harvard, nel maggio del 1940, lo stesso Stravinsky invitò a seguire il “mirabile consiglio” di Verdi: “Torniamo all’antico e sarà un progresso”.
Ciak di Bertolucci su Gesualdo Finalmente, dopo anni di attesa sarà dedicato proprio a Carlo Gesualdo il nuovo film del regista Bernardo Bertolucci. Il film, ambientato nella Napoli della fine del ‘500 ma anche a Venosa, Gesualdo e Conza dovrebbe intitolarsi Heven and Hell. “Sarà un film molto costoso - ha annunciato il regista - e per questo, purtroppo, lo dovremo girare in inglese, visto che dovrà essere venduto in tutto il mondo”. Bertolucci ha confermato che la vicenda prenderà le mosse proprio dal viaggio di Igor Stravinsky a Gesualdo e a Venosa, quando venne in Irpinia e in Basilicata per capire chi fosse l’autore di quella musica così astratta e moderna. Da questo “incipit” il film racconterà la vita del musicista, figlio di una delle più nobili famiglie napoletane e della sua storia d’amore con Maria d’Avalos, sua cugina, considerata la più bella donna di Napoli. Tradito da lei, il principe fu costretto, la notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590, ad ucciderla insieme al suo amante, il duca d’Andria Fabrizio Carafa. Nel 1996-97 Bertolucci cominciò a pensare seriamente al film sul Principe di Venosa sulla scorta di alcuni manoscritti (p.es. gli Atti della Vicaria sul duplice assassinio) consultati dal critico cinematografico Marcello Garofalo nella Biblioteca nazionale di Napoli. Diede quindi l’incarico a suo cognato, lo sceneggiatore Mark Peploe di cominciare a pensare al nuovo sog-
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getto cinematografico incentrato su una storia di passioni e di tradimenti, di furore e di sangue consumata quattrocento anni fa. A distanza di circa sei anni si sono fatte avanti nuove idee che si incrociano. Perché il cinema è spesso fatto proprio di proposte che si accavallano. In questo momento sono almeno cinque e convergono quasi tutte sulle straordinarie incursioni della musica gesualdiana nella modernità. “Inferno e paradiso” di Bertolucci non sarà certamente un “polpettone in costume”. Dal regista delle ricostruzioni grandiose bisogna aspettarsi una Napoli con i profumi di gelsomino e i fetori di sterco, un affresco storico della città più grande d’Europa (dopo Parigi); simile proprio a quella Parigi di “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo.
I “precedenti” Il film di Bertolucci seguirà il documentario “Death for five voices” di Werner Herzog girato alcuni anni fa e presentato proprio a Napoli al “Prix Italia” dove vinse una sezione dedicata alla produzione televisiva. Qualche anno prima di Herzog era stato Klaus Lindemann a proporre una interpretazione televisiva, e in chiave paradossalmente contemporanea, delle vicende umane di Carlo Gesualdo. Nel 1995 (la “prima” a Vienna il 26 maggio) fu invece Alfred Schnittke a proporre un’Opera “in un prologo, sette scene e un epilogo”. Gesualdo di Schnittke (al pari di Bertolucci) fu anch’esso il frutto di una incubazione. Lo stesso compositore ha spiegato come sia giunto a realizzare un’opera sulla vicenda del grande madrigalista “quando mi sono imbattuto nel soggetto di Gesualdo e mi sono accorto che era come se lo avessi aspettato tutta la vita. Ci sono molti modi di realizzare teatralmente un progetto del genere, ma di particolare interesse per me è la combina-
zione di elementi sacri e faceti”. Anche la letteratura si è occupata di Gesualdo. Negli ultimi anni vanno citati due romanzi: “Testimone nell’ombra. Il giardino degli orrori di Gesualdo da Venosa” di Michel Brietman (Ed. Sugarco, Milano, 1986) e il recentissimo “Gesualdo” di Jean Marc Turine (ed. Benoit Jacob, Paris, 2003). In precedenza c’era stato Alberto Consiglio con il suo “Gesualdo: ovvero assassinio a cinque voci, storia tragica italiana del secolo XVI” (ed.Berisio, Napoli, 1967).
La nascita Del principe di Venosa (erroneamente considerato napoletano e nato intorno al 1560) si conoscono oggi il luogo e l’esatta data di nascita, grazie a due preziosi documenti custoditi nell’Archivio Borromeo della Biblioteca Ambrosiana di Milano. La prima lettera è di Girolama Borromeo madre di Carlo e moglie di Fabrizio Gesualdo ed è indirizzata al fratello Carlo Borromeo. Porta la data (Venosa, 21 febbraio 1566). Con questa lettera Girolama (o Geronima) annuncia al fratello la sua imminente maternità e l’intenzione, in caso che il nascituro fosse stato maschio, di chiamarlo Carlo per amore di V.S.I.a”. La seconda lettera è di Pietro Posterla o Pusterla (è datata Roma, 30 marzo 1566), persona di fiducia di Carlo Borromeo, che faceva la spola, per conto dello stesso Arcivescovo di Milano, tra Roma, Venosa e Gesualdo ed altre località dove i Borromeo avevano interessi ecclesiastici, politici, economici o familiari. La lettera indirizzata a Carlo Borromeo è costituita da due fogli e tratta di varie questioni ecclesiastiche e patrimoniali che potrebbero anche risultare interessanti, se fosse più leggibile. La notizia che riguarda la nascita di Carlo Gesualdo è, però, leggibilissima, e si trova dalla 6° alla 9° riga del fronte del secondo foglio. 8 49
In conclusione: Carlo Gesualdo, principe di Venosa nacque certamente l’8 marzo del 1566 e con molta probabilità (a fronte di altri documenti per il momento sconosciuti) a Venosa, nel castello “Pirro del Balzo” dove il principe Fabricio e Donna Jeronima si erano fermati 15 giorni prima del parto.
Un musicista “sacro” Carlo Gesualdo è un musicista sacro, con tutto ciò che di impuro e profanante il termine può significare. Troppo a lungo, parlando di lui, in questi ultimi quattro secoli, ci si è fermati sul termine “musicista assassino” che ridusse l’importanza della sua opera, ponendo in secondo piano il geniale compositore di madrigali a cinque voci rispetto alla biografia piuttosto turbolenta del personaggio. Ma dietro il “parodista dell’impossibile” (secondo una definizione di Richard Wagner) c’è la disperazione di chi tentò di espiare la sua colpa elevando i suoi “lamenti” verso una vita lattea riflessa nella pozzanghera della sua epoca. “O vos omnes” (attribuita ai “Lamenti di Geremia”) : “O voi tutti, che passate per questa via, fermatevi a vedere se esiste dolore al mondo simile al mio dolore”, sembra essere uno dei testamenti spirituali di Carlo Gesualdo. L’angoscia di un santo diventato diavolo, un diavolo costretto a vagare sotto un cielo vuoto in quella “palude definitiva” del peccato eterno (stipendium vitae mors est). Ma, in Gesualdo, l’inferno si sconta ogni giorno. Come interpretare i suoi
Un master in musica del tempo di Gesualdo all’Università di Basilicata Tra le priorità per l’affermazione culturale della Basilicata ricordate da Claudio Abbado nell’ottobre scorso, durante il conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università di Potenza, la più urgente è la valorizzazione della figura di Carlo Gesualdo da Venosa. Abbado ha esortato le forze culturali della regione a lavorare insieme per la completa riscoperta della musica di Gesualdo. Le reazioni sono state estremamente positive. Ateneo Musica Basilicata e l’Università di Basilicata hanno dato vita all’Istituto di Studi Gesualdiani e la Regione Basilicata dovrebbe in tempi brevi acquisire una intera biblioteca privata americana, con migliaia di volumi specializzati in arte e musica nel Rinascimento italiano. La novità più rilevante è l’istituzione da parte dell’Università di un Master biennale di I livello in Musica rinascimentale e barocca, il primo in Italia che unisce musica pratica allo studio teorico, e che consentirà a 40 50
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“lamenti” se non immersione, esaltazione e, sotto certi aspetti, affascinante disprezzo della vita? Siamo di fronte al concetto lucreziano sui presunti castighi infernali dei grandi peccatori: Quae finguntur paenae Sispho et Tantalo sunt hae quae viventes ferimus (le pene immaginate per Sisifo e per Tantalo sono quelle che sopportiamo in vita). La musica di Gesualdo sconvolge gli animi. A volte sono visioni apocalittiche, paure bibliche, canti non ancora requiem ma già polifoniche esaltazioni dell’aldilà. Dopo quattro secoli la musica del principe di Venosa continua a sconvolgerci. Colpisce quell’alternanza di voci, quel suo modo di raccontare utilizzando forme cromatiche inconsuete. È tra un suono e l’altro delle sue voci che si rincorrono e si inseguono che la vita appare e svanisce. Nel turbinio dei secoli la musica di Gesualdo si riflette come su uno specchio deformato e ripropone all’infinito la sua immagine. Sono voci malinconiche e disperate, piene di enigmaticità perché hanno varcato la soglia dello spazio e del tempo. Soprattutto le Sacrae Cantiones del principe, canti liturgici solitamente alternati tra un solista e il coro (partiture custodite dai Girolamini a Napoli) interpretano la comunicazione tra il divino e l’umano. Ma scrive Gorge Steiner, grande “cultore” di Gesualdo, nel suo “Errata”: “la musica è, in qualche modo, estranea all’uomo. Usando il termine senza giudizi di valore, si può dire che la musica prende forma da una fondamentale disumanità o non umanità”. =
studenti presumibilmente non solo italiani di frequentare a Potenza le lezioni di canto antico, liuto, viola da gamba, flauto, clavicembalo, violino e musicologia tenute dai migliori maestri d’Europa. Il presidente dei corsi e dell’Istituto di Studi Gesualdiani sarà Abbado. Per garantire tale livello è stata richiesta la collaborazione istituzionale della Schola Cantorum Basiliensis in Svizzera, la più prestigiosa accademia di musica antica del mondo, dove insegna gran parte dei docenti invitati a Potenza (tra gli altri Hopkinson Smith, Chiara Banchini, Daniela Dolci, Jesper Christensen). La Regione Basilicata mette a disposizione borse di studio per consentire la frequenza di corsi che possono essere considerati tra i più qualificanti a livello europeo. Il bando per l’ammissione al Master sarà pubblicato in aprile e prevede una serie di materie quasi inesistenti in Italia (analisi del repertorio antico, basso continuo, filologia musicale) e inoltre seminari e laboratori (danza antica, drammaturgia e gestualità, videoscrittura musicale al computer). I corsi consentiranno un doppio indirizzo: pratico concertistico (per coloro già molto avanzati nella pratica di uno strumento antico) e musicologico
(per studenti provenienti da corsi teorici universitari interessati alla ricerca). I migliori esecutori potranno partecipare da subito alle rassegne concertistiche, mentre gli studenti dell’indirizzo musicologico potranno collaborare ai progetti di ricerca ed editoriali, come l’Edizione Nazionale delle Opere di Gesualdo che ha già ottenuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. Coronamento di queste attività sarà il festival stabile Tracce dedicato a “Gesualdo oggi”, progetto speciale del dipartimento Cultura della Regione Basilicata coordinato da Ateneo Musica Basilicata, che si svolgerà da giugno ad ottobre, tra Lagopesole, Potenza, Matera, Maratea, con la partecipazione della Cappella della Pietà dei Turchini diretta da Antonio Florio, l’integrale del I libro dei Madrigali di Gesualdo eseguita dal Concerto delle Dame di Ferrara diretto da Sergio Vartolo e infine il ritorno di Claudio Abbado con un progetto artistico che vede la presenza di un complesso di strumenti antichi dell’isola di Cuba, l’Ars Longa, con musiche del vecchio e nuovo mondo. Dinko Fabris 51
il volo magico di Francesco
Scavetta
FOR FRANCESCO SCAVETTA, BORN IN 1966 WITH ORIGINS FROM GARAGUSO, DANCING IS THE ONLY REASON TO LIVE . AFTER HIS OFFICIAL DÉBUT IN OSLO AT THE “BLACK BOX THEATRE” WITH HIS FIRST NORWEGIAN WORK “DADDY ALWAYS WANTED ME TO GROW A PAIR OF WINGS” (1998), THE COSMOPOLITAN CHOREOGRAPHER HAS CONTINUED TO PRODUCE SHOWS WHICH WENT
EUROPE. THE ANARCHIST SCAVETTA, APPRECIATED BY CRITICS AND PUBLIC , IS NOW ENGAGED ON HIS LAST WORK “Z”, UNDER TITLED “I LOVE YOU HONEY BUNNY”, THE PREMIÈRE OF WHICH WAS PRESENTED IN ITALY. ROUND
IVANA INFANTINO 52
È una danza che si fa pensiero, parola, movimento, attraverso l’intima unione di scritture coreografiche e composizioni musicali, che si evolvono e fondono insieme grazie alla intensa collaborazione creativa di danzatori e musicisti. Definite come “un fiume in piena che già reca in sé il bisogno di un argine che ne disciplini il corso”, le produzioni di Francesco Scavetta, il coreografo cosmopolita di origini lucane, si caratterizzano per una personale ricerca sul movimento e sulle possibilità di “raccontare”, con una costante curiosità per gli elementi provenienti da altre forme d’arte. “Suoni, rumori, canti e parole si compenetrano, si generano l’un l’altro in una drammaturgia uditiva che azzera il tradizionale dualismo parola-musica”. È il trionfo di una costante e ossessiva sperimentazione artistica, i cui frutti hanno già fatto il giro d’Europa. La compagnia Wee, creata ad Oslo nel 1999 dal danzatore, originario di Garaguso in provincia di Matera, e dalla danzatrice Gry Kippeberg, è di fatto una vera fucina di creatività internazionale. Importanti negli ultimi anni le collaborazioni di artisti di Norvegia, Italia, Francia, Giappone, e il proficuo rapporto con compositori come Bjorn Klakegg, Daniel Bacalov, Nils Setter Molvaer, Reidar Skar e Jon Balke, autori delle musiche originali degli spettacoli. Insieme con loro, Scavetta ha creato “un mondo immaginario, un funny dream, strano, poetico e sorprendente”. Francesco Scavetta, classe 1966, inizia a studiare danza all’età di 15 anni. Prosegue gli studi all’Accademia Nazionale di Danza e si laurea in Storia del Teatro e dello Spettacolo a “La Sapienza” di Roma, perfezionandosi anche in Scienze della Comunicazione. Mantiene vivo il suo rapporto con la terra delle origini, andando spesso a Garaguso, paese del padre, dove incontra con piacere amici e parenti. Importante per la sua formazione l’incontro con coreografi e maestri come Adriana Borriello, Anne Teresa de Keersmaeker, Giorgio Rossi della Sosta Palmizi, Lans Gries, e Dominique Dupuy. Targato 1996 il primo incontro con gli artisti norvegesi durante una tournée con la compagnia toscana “Sosta Palmizi”: di qui la nascita del sodalizio e la creazione della compagnia in un paese che offriva, e che continua ad offrire, molte più opportunità dell’Italia. “Dalla Norvegia vengono tutte le basi produttive – ha detto Scavetta - e in Italia, poi, non è possibile fare danza, il settore è in una situazione davvero difficile, molti coreografi italiani sono precari oggi, più o meno come ieri”. Crisi e precariato non solo per la danza, ma per tutto il settore dello spettacolo 8
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FRANCESCO SCAVETTA PH. FLORINDO RILLI
TeatroBasilicata Ricco di appuntamenti il cartellone della stagione teatrale 2004 dell’Associazione Basilicata Spettacolo. Dalla prosa, alla ricerca, al teatro-ragazzi, ai numerosi interventi su altri linguaggi (cinema, musica, danza), per un totale di 250 spettacoli teatrali e 300 eventi, distribuiti su tutto il territorio regionale, per una media annua di circa 55 mila spettatori. Dedicata alle produzioni teatrali “lucane”, una specifica rassegna del cartellone Abs “Sipario Sud”. Tra le produzioni targate 2004 “La porta delle stelle” della drammaturga ferrarese Cristina Gualandi, regia di Massimo Lanzetta, della compagnia materana “Il Teatro
dei Sassi” (Direttore artistico/Presidente Massimo Lanzetta), e “Contadini del sud”, di Giovanni Russo e dell’attore e regista Ulderico Pesce, del “Il Centro Mediterraneo delle Arti” (Direttore artistico Ulderico Pesce/Direttore organizzativo Elisabetta Brigante). Numerose le produzioni delle due compagnie, una materana e l’altra potentina, che da anni operano nel settore con successo. Ha infatti ottenuto la menzione speciale della Giuria Internazionale della XV° edizione del “Premio Strega Gatto 2000/2001”, “La storia dei mille giuramenti”, lo spettacolo, scritto e diretto da Massimo Lanzetta, nato dalla collaborazione con l’associazione materana di medici volontari “Tolbà”. Grande successo di critica e di pubblico anche per “La rivolta della Madonna
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Spettacolo dal vivo in Basilicata verso una nuova legge
Dopo quasi vent’anni dall’ultimo intervento nel settore, la L.R. n. 22 del 1988, sulle “Norme per la programmazione e lo sviluppo delle attività educative e culturali sul territorio regionale”, una nuova proposta legislativa approda fra i banchi delle commissioni regionali. Obiettivo della proposta sulle “Norme sullo spettacolo dal vivo”: “razionalizzare e definire gli strumenti dell’intervento pubblico a favore dello spettacolo, e gli incentivi per la partecipazione dei privati al finanziamento delle attività culturali”. Presentato su iniziativa dei consiglieri Sabino Altobello, Egidio Mitidieri e Antonio Pisani l’intervento mira a predisporre indirizzi generali che favoriscano la produzione e la diffusione dello spettacolo dal vivo, anche attraverso l’estensione “della produzione, dell’offerta e del consumo, soprattutto in quelle aree espressive ignorate o trascurate dal mercato”. Saranno quindi tutelate le culture “minori”, dai dialetti alle avanguardie, dalle memorie storiche locali alla ricerca e alla sperimentazione. Previste infine azioni “indirizzate alla crescita ed al rafforzamento di quelle esperienze produttive che intendono costruire un progetto culturale stabile e qualitativamente significativo” e misure di sostegno per i giovani e le donne. (Ivana Infantino)
in Italia, dove l’Agis, sulla spinta dei suoi settemila associati, ha aperto, nei mesi scorsi, una “Vertenza Spettacolo” per i disagi e gli scontenti delle varie categorie (imprese del cinema, della musica, del teatro, dell’editoria e dello spettacolo) che da tempo reclamano l’approvazione di provvedimenti adeguati a fronteggiare la crisi di una delle più grandi ed importanti industrie italiane. Il debutto ufficiale ad Oslo per Scavetta, risale al 1998 nel “Black Box Theater” con Daddy always wanted me to grow a pair of wings, accolto da un grande successo di critica e di pubblico. Nel 1999 la Wee presenta in forma di studio al Festival Internazionale Inteatro di Polverigi A tiny grin.
degli Angeli”, del drammaturgo Mimmo Sammartino, regia di Ulderico Pesce, protagonista con Maria Letizia Gorga, che ha riportato alla luce una pagina di storia dimenticata, i moti carbonari del 1821/22 a Calvello, sapientemente recuperata dall’autore attraverso la lettura delle pagine del diario di Michelina Battaglia, una lucana contemporanea agli avvenimenti. Sempre in “Sipario sud” anche l’ultima produzione di teatro-danza dell’ “Albero di Minerva” (Direttore artistico Lucia di Cosmo/Presidente Mariangela Corona). Una storia, avvolta nel mistero della licantropia, e una donna-lupo, interpretata dalla giovane danzatrice Simona Pett, responsabile del tremendo assassinio del suo amante. “Male di luna” di Lucia di Cosmo e Mariangela Corona, ha affascinato il pubblico con le splendide performances di Vladimir Luxuria,
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Un duo d’eccezione, accompagnato dal pianista Jon Balke, è invece la nuova formula di A Sudden, Unexpected Faint del 2000, che ha debuttato al Festival Internazionale Inteatro di Polverigi, poi al Festival Internazionale DanseM di Marsiglia. “Può essere stato il bisogno d’intimità che mi ha spinto a lavorare in “duo” e a raccontare una piccola storia sull’Epifania e le Metamorfosi - ha detto Scavetta - una storia di humour, di fragilità con una danza acrobatica come una carezza”. In collaborazione con “Tuscania Teatro” e in co-produzione con il “Black Box Theater” nel 2001 la Wee realizza August. Some stories about my father’ wish. Da Cagli a Bergen, a Oslo, a Trondheim, a Venezia, Live, la performance nata nel 2002 dall’incontro tra il coreografo e il compositore Luigi Ceccarelli (vincitore del Premio Ubu), in occasione del progetto Nuove creazioni La Biennale di Venezia - Commissioni di danza e musica per il 2001, ha fatto il giro dell’Europa. In scena un assolo in cui “la presenza del danzatore si riverbera nella musica dal vivo di Luigi Ceccarelli”, e nei suoni del clarinettista Paolo Ravaglia, “per moltiplicarsi nella vertigine elettronica del video”. La triangolazione tra telecamere e monitor, insieme alla sovrapposizione di diverse sorgenti di immagini, crea infatti vari livelli di realtà. Una specie di corto circuito nella trasmissione delle immagini che giustappone/mischia reale e pensiero, allucinazione e memoria, come un flusso continuo di interferenze. Una sorta di viaggio carico di senso psichico, in cui è affidata al pubblico la scelta dell’approdo, mai uguale per tutti perché basata su percezioni individuali.
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Ultimo in ordine di arrivi “Z”, sottotitolato I love you Honey Bunny, presentato in anteprima assoluta in Italia, a gennaio, per “Enzimi” in una forma “non completamente fissata”. “Mi sono preso la libertà di vedere fino a che punto si poteva spingere prima di trovare l’organicità giusta - ha confidato il coereografo Scavetta - adesso l’opera è completa, più unitaria. Ho apportato cambiamenti all’interno del movimento e nell’ordine delle cose, ora è tutto più organico e compatto”. Dal lavoro, che ha debuttato in forma compiuta al “Bit Teatergarasjen” di Bergen a fine febbraio, emergono “i caratteri specifici di un percorso poetico chiaro ed interessante.
Al pubblico è dato solo di “discernere i contorni, le sagome, intorno al buio che ne invade i corpi”. Corpi che sono “presenze e buchi del campo visivo” fino a perdere completamente il discernimento tra “essere e non essere, esserci e non esserci”. In questo modo l’anarchico Scavetta, è quindi libero di giocare con le immagini sovrapposte di personaggi fuori scena o di danzare con le figure fisicamente in pedana. Un modo del tutto originale di esprimersi, che sarà possibile apprezzare anche nella sua terra d’origine. Due date, una a Potenza e l’altra a Matera, nel cartellone di danza dell’Abs. =
protagonista, e di Riccardo di Cosmo, primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma. In programma invece nella rassegna “Soli” (teatro di ricerca) dell’Abs, “Liombruno”, l’ultimo lavoro dell’Officina Accademia Teatro (Direttore artistico Pino Quartana/Presidente Sandro Bianco), di Sandra Bianco, musiche di Rossella Clementi, elaborazione multimediale Miguel Angel Giglio, per la regia di Pino Quartana, in scena anche al teatro “El Imperdible” di Siviglia e alla “Murcia Spagna Escuela Of. de Idiomas”. Alle prese con la realizzazione di “Sotto sopra”, per la regia di Giulia Gambioli, i 6 attori e 2 tecnici della compagnia teatrale per l’infanzia e la gioventù “La Mandragola teatro” (Direttore Giulia Gambioli/Presidente Angelo Montano). Protagonisti gli allievi ospiti di due case residenziali, “Demetra” di Villa d’Agri, e “Fratello
Sole” di Irsina, nell’ambito del primo progetto realizzato in collaborazione con il dipartimento di Salute Mentale della Asl n.2 di Potenza. In giro nelle scuole, lucane e non, “Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura”. Due nuove produzioni nazionali, oltre ai laboratori nelle scuole, per “Il Centro di Drammaturgia Europeo (Presidente Salvatore Damiano/Direttore artistico Mariano Paturzo). “Bangkok” di Renato Giordano, una commedia shock sulla pedofilia, e “Odisseo” di Aurelio Gatti. In programma per l’estate la 2ª edizione del “Venosa Teatro Festival”. Fondato nel 1991 come diretta istituzione della Provincia di Potenza, il centro di drammaturgia opera nella produzione teatrale con l’allestimento di spettacoli finalizzati alla divulgazione della drammaturgia contemporanea. (I. I.)
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Laraia e Palumbo la Quadriennale “fa per noi”
The continuity and the choices made by the advanced point of women’s contemporary artistic production have been rewarded by critics. Two Lucanian women who mostly put their image and body under discussion emerged among 96 young talents. During the Neapolitan preview of the Quadriennal of Rome, two conceptual works by Elisa Laraia and Monica Palumbo use the interference of the languages of painting, photography and installation.
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Territori e Realismi. Due collocazioni apparentemente concrete per due espressioni artistiche contemporanee. Entrambe al femminile. Entrambe giocate sul corpo e sull’immagine. O meglio, sulle differenti allusioni, filtrate da una radice “concettuale” non comune. Elisa Laraia, 30 anni, potentina e Monica Palumbo, 31 anni, materana. Sono le uniche artiste lucane invitate alla XIV Quadriennale di Roma, per la prima volta a Napoli, per l’Anteprima ospitata a Palazzo Reale dal 15 novembre 2003 all’11 gennaio 2004. Tra i 96 selezionati dalle regioni del centro sud, tra i giovani talenti in evidenza con mostre personali tenute dopo il 1990, la commissione composta dai critici Mariantonietta Picone Petrusa, Massimo Bignardi, Vitaldo Conte, Riccardo Notte e Vincenzo Trione, ha individuato, in Basilicata, questi due esempi di “nuove tendenze” dell’arte di ricerca. In mostra un’opera a testa. “La donna di picche è il joker - IV”, stampata su un foglio di pvc di 21 metri quadri, da Elisa Laraia. “Fate di me quello che volete”, un’ installazione con un tavolo imbandito per sei, dove le pietanze si consumano in piatti con fondi stampati a caldo, riproducenti fotografie di parti del corpo di Monica Palumbo. Il gioco delle carte, lo scambio di identità, la sfera delle tentazioni nel prato verde su cui è distesa la “megera” potentina, da un lato. Il prolungamento di altre offerte alimentari e frammenti di disvelamenti corporali, made in Matera, dall’altro. ELISA LARAIA, LA DONNA DI PICCHE È IL JOKER
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BASILICATA
MONICA PALUMBO, FATE DI ME QUEL CHE VOLETE
In entrambi i casi, una messa in discussione di se stessi, totale, senza mediazioni, a partire dal proprio essere, dalla percezione di se, da come si può essere visti o immaginati e di quanto si può osare nel “mostrare” o nel “sembrare”, intervenendo sulla propria riconoscibilità o sulla non-evidenza. Temi distinti, non sovrapponibili, trattati differentemente, affrontati secondo la propria indagine e inclinazione. Temi attuali, pregnanti, appartenenti ad un vissuto personale “ribaltato” alla collettività. Ed è interessante, in questa ipotesi di lettura parallela, vedere quanto divergenti siano le influenze assimilate dalle due artiste diplomate all’Accademia di Belle Arti di Bologna (in scenografia, la Laraia) e di Bari (in pittura, la Palumbo). Le loro opere non si avvalgono solo dell’ausilio della fotografia. C’è la commistione di pittura, scenografia, performance, video, tecnologie digitali. Nei percorsi individuali è ampiamente documentata l’iniziativa e la partecipazione a momenti creativi di ampio respiro. Nazionali e internazionali per Laraia, in concorsi, rassegne ed esposizioni commissionate da enti (vedi sito www.elisa.laraia.it). Principalmente tra Puglia e Basilicata, con il sostegno della critica e in collaborazione con l’associazione Arterìa la Palumbo. Nei curricula la motivazione della selezione alla Quadriennale, tesa alla scoperta e alla segnalazione di interpretazioni valide sotto il profilo estetico, culturale, poetico. Gli stessi raggruppamenti suggeriti da Anteprima - insieme a Territori e Realismi, figuravano nell’allestimento partenopeo anche Permanenze e Relazioni – non avevano carattere di confinamento o imbrigliamento in sezioni e categorie predefinite. Tentavano piuttosto un’aggregazione di analogie, corrispondenze, ma anche dissonanze di significati e di intenzioni coltivate e praticate dagli artisti. Sia nel confronto tradizione-innovazione, tra archetipi, simboli, codici formali e linguistici in contrasto con interattività e capacità connettive, sollecitazioni psichiche e dispersioni icono-
grafiche. Sia nella visionarietà-contaminazione, tra seduzioni del reale, comunicazione pubblicitaria, sublimazione consumistiche, distinte da ambiguità natura-artificialità, sdoppiamenti, spaesamenti, immaterialità. Le due lucane, approdate alla Quadriennale anche per merito della continuità nella ricerca. Per Elisa Laraia, il tema dell’identità è già apparso nella sua tesi del 2001 “La morte dello scambio di identità nell’arte”. È proseguito con le quattro edizioni di “La donna di picche è il joker” a cui ha partecipato anche Silvio Giordano, premiata nel festival bolognese Iceberg 2003 e acquisita in Corporarte, una rete museale di arte contemporanea promossa da aziende materane e pugliesi, curata da Antonella Marino. Una ricerca sviluppata con altri linguaggi, con mostre, installazioni, performances, contaminazioni legate alla memoria e ai “non luoghi”. Un complesso itinerario mentale e artistico, oltre che geografico, consumato tra Bologna e Londra, Parigi, Sarajevo e Urbino. Così come il corpo (in special modo il suo) è diventato terreno di analisi e rivisitazione del quotidiano da parte di Monica Palumbo. Lo è stato quale soggetto principale di alcuni video degli ultimi anni Novanta girati e montati con Mario Raele: “Riferimenti sensoriali”, “Magnetiche risonanze”, “Primi piani”. Seguiti da studi alimentari e fotografici come “Polpa di donna”, “Mangiami”, “Mi do in pasto”, un provocatorio scandaglio di flussi e ciclicità femminili, intuizioni dissacratorie, voglia di infrangere pudori e negazioni di una società di uomini onnivori e donne spaventate. In questo itinerario di citazioni, lontano da intenti comparativi, per due giovani artiste che operano in contesti così diversificati, e per giunta amiche, un’altra coincidenza mi pare singolare. Entrambe si sono fatte carico della gestione di uno spazio destinato ad incontri ed esposizioni. La Palumbo, dal 2001, ha aperto negli antichi rioni dei Sassi il Momart. Mentre la Laraia ha inaugurato a gennaio, a Bologna, l’”Orfeo Hotel”. = 57
Yanina Russo cercare dentro per vedere lontano
Yanina Russo’s dream to go back to Italy will probably become true in May. In the meantime, by e-mail from Argentina, she talks about her grandfather from Tricarico and makes us aware of her paintings. Prizes and awards boost her curiosity for the elaboration of microscope magnifications, which become landscapes of irrational thought and fantastic worlds playing with colours.
La nostra finestra aperta sulle produzioni artistiche internazionali, riconducibili a lucani o loro familiari, comincia a creare altre eco. Dopo l’articolo su Josè Carlos Langone, dall’Argentina, ci giunge una nuova segnalazione. Via internet ci sono arrivate le immagini di alcuni quadri di una giovane artista di La Plata, in provincia di Buenos Aires. L’autrice ha 26 anni, è nata ad Alberti, (Buenos Aires), ma il suo bisnonno Michele era un lucano di Tricarico (Matera). La nonna Luisa ha avuto un unico figlio, Raul, sposato con Marta, di origini piemontesi. Da questa unione sono nati Yanina e Fernando. A dipingere è proprio Yanina Vanesa Russo, laureata in pittura, arti plastiche e storia dell’arte, presso la facoltà delle Belle Arti all’Università nazionale di La Plata, che ha mantenuto la cittadinanza italiana. Rimanendo nel solco dell’interesse per le donne impegnate in campo artistico, (purtroppo ancora una minoranza nello sfaccettato scenario della creatività detenuto dagli uomini), dopo le affermazioni di Laraia e Palumbo alla Quadriennale, raccogliamo volentieri la possibilità di presentare ai lettori di “Mondo Basilicata” la storia di Yanina. Dopo aver vissuto a Bragado, a circa 300 chilometri dalla capitale argentina, dove i Russo avevano messo radici, Yanina si è traferita a La Plata per frequentare l’università. Ha fatto la baby sitter, la commessa, l’insegnante in corsi di formazione professionale. Oltre allo spagnolo, conosce l’italiano e lo scrive correntemente. Ma la sua vera passione è per l’illustrazione e per i colori. Ha lavorato anche come cartellonista. La sua attività espositiva è cominciata nel 1999 con dipinti ad olio, per poi spostarsi sull’uso più immediato degli acrilici su tela e legno.
ARTEflash • Fino al 2 maggio, su iniziativa della Provincia di Potenza, presso il Polo della Cultura, è aperta una mostra di pittori e scultori del potentino. La commissione, composta dallo storico dell’arte Stefano Fugazza, dal critico Laura Gavioli e dal giornalista Franco Corrado, esaminati i curricula e la documentazione presentata dagli aspiranti al concorso, ha ammesso gli artisti: Pietro Basentini, Alfonso Bavusi, Pasquale Belmonte, Alfredo Borghini, Amedeo Brogli, Cosimo Budetta, Michele Cancro, Luigi Cervone, Pasquale Ciliento, Vito Vincenzo Claps, Salvatore Comminiello, Maria Di Taranto, Federica Falabella, Anna Faraone, Antonio Genovese, Gaetano Ligrani, Donato Linzalata, Luciano Longo, Angela Manieri, Angelo Vito Masi, Antonio Masini, Arcangelo Moles, Cristiano Montesano, Vito Palladino, Minerva Ramirez, Gianvito Saladino, Mario Vasta, Enza Viceconte.
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PASQUALE BELMONTE, MARINA
• Presso i saloni del Pontificio Seminario Minore di Potenza, in viale Marconi, 140, fino al I° maggio, si può visitare la mostra, curata da don Vito Telesca, “Rosarium Virginis Mariae - Via pulchritudinis”. Sono 71 gli artisti invitati e 85 le opere pittoriche e scultoree dedicate al Rosario, alla preghiera, alla contemplazione della bellezza e alla riflessione sui temi della pace, della luce, del dolore, della gioia, della gloria. Partecipano alla rassegna i lucani: Antonietta Acierno, Natale Addamiano,
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BASILICATA YANINA RUSSO, FINESTRA DUCALE
Numerosissime sono le mostre tenute principalmente a La Plata. Con partecipazioni agli “Incontri d’arte giovanile in Municipio”, le selezioni del “premio Philips per giovani talenti”, gli interventi di disegno, murales, architettura, incisioni organizzate dall’Associazione di Artisti della Provincia di Buenos Aires e dall’Università. Tra le personali quelle al Grafikar, Espacio Creativo, al Banco del Sol, al Collegio de Psicòlogos, alla Casa della Cultura, a La Moneda. Ha ottenuto molte segnalazioni e apprezzamenti. È stata premiata a La Plata con la Prima Menzione Salon Estimolo di pittura nel 2000 e con la Menzione nel Salon di Maggio nel 2002. Numerosi i corsi di aggiornamento frequentati su: linguaggio visuale e sociale dei murales, trucco artistico, conservazione del patrimonio architettonico, prevenzione del degrado ambientale, saponi artigianali. Nell’ultimo anno ha seguito un corso di lingua e cultura italiana della Società Dante Alighieri in Italia, un seminario di conservazione dei beni culturali e un forum su “I giovani artisti costruiscono Nostra Identità”. A maggio, spera di tornare in Italia per frequentare un master organizzato dalla Regione Basilicata. Le immagini che Yanina Russo ci ha inviato per e-mail sono solo un esempio della sua elaborazione pittorica. Gli interventi più recenti riguardano alcuni ingrandimenti ottenuti al microscopio elettronico. Su questo tema, sulla possibilità di zoomare all’interno della materia, ha prodotto una serie di variazioni grafiche e cromatiche. I dettagli, sulla tela, sono diventati dei labirinti iperreali da animare col gioco dei chiaroscuri, delle ombre e delle sfumature di colore. Con dominanti verdi, azPasquale Belmonte, Giovanni Cafarelli, Salvatore Comminiello, Gerardo Corrado D’Amico, Gerardo Cosenza, Luigi Lapetina, Cinzia Leone, Donato Linzalata, Felice Lovisco,Tarcisio Manta, Vito Masi, Antonio Masini, Arcangelo Moles, Donato Pace, Maurizio Restivo, Gianvito Saladino, Roberto Santomassimo, Marco Santoro, Giovanni Spinazzola, Nino Tricarico, Mario Vasta.Tra gli artisti di fuori regione: Floriano Bodini, Ennio Calabria, Bruno Ceccobelli, Omar Galliani, Minerva Ramirez, Giovanni Vangi. • Dopo Bernalda e Padova (all’Arte Fiera), la mostra “La Magna Grecia e le manifestazioni del sacro, esempi di arte contemporanea” si sposta a Lerici (La Spezia). L’apertura è in programma nel mese di maggio. All’esposizione, organizzata dalla Pinacoteca Comunale di Arte Moderna Bernalda-Metaponto partecipano gli artisti: Corrado Lorenzo, Salvatore Sebaste, Giulio Orioli, Giuseppe Filardi, Marilena Troiano e Anna Bruno. • Da giugno ad ottobre prossimi, a Matera, a Palazzo Lanfranchi, si potrà visitare la mostra “La scultura lignea in Basilicata dalla fine del XII secolo alla prima metà
zurre, viola, orientando e dosando luci, stratificando i fondi, ha dato corpo a scansioni dall’effetto tridimensionale. Stringendo e diradando le trame, il sipario dei filamenti pare separare le immagini reali da quelle astratte. Sensibilità ed emozioni sono chiamate a partecipare al mistero delle cose e della loro composizione che, nel caso di Yanina, va ben oltre la scientificità del processo di struttura e metamorfosi fisica. Le consistenze, solide o liquide che siano, nelle sue opere, paiono evocare, tuttavia, il rapimento del sogno. Un sogno diverso da quello ad occhi aperti che il suo ricordo del viaggio italiano ha voluto, comunque, trasferire sulla tela. = del XVI”. L’iniziativa è promossa dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoantropologico della Basilicata e dall’Università lucana. Saranno esposte 50 sculture in legno restaurate con finanziamenti della Regione Basilicata e della Banca Carime. • Con l’opera Metamorfosi, il trentaduenne potentino Marco Corrado ha partecipato all’”Artexpo 2004” di New York. Proposto dalla galleria Alba di Ferrara, dal 26 febbraio al 1 marzo, ha partecipato all’allestimento internazionale che ha ospitato 2000 artisti, presso lo “Javits convention center”. (P.R.)
La redazione sollecita segnalazioni di scadenze e partecipazioni a manifestazioni artistiche di rilievo di lucani che vivono fuori regione e all’estero. Le segnalazioni vanno inviate via fax al numero 0971 447182 oppure all’indirizzo e-mail ronella@regione.basilicata.it 59
Giuseppe Lovaglio diario amaro di un emigrante An extraordinary story, which has been reconstructed by the bright work of a careful editor, Maria Schirone, comes back to Basilicata from the far-off Germany, from Hamburg where Giuseppe Lovaglio lived before passing away. A valuable autobiography given back to the readers in its authenticity, without any editor’s influences or interventions. In this way Ms. Schirone, who has devoted herself to studies on Lucanian emigration for a long time, has paid tribute to that Lucanian of the world who wanted to leave an indelible mark of the adventurous incidents which led him to be a citizen of the world.
IVANA INFANTINO
In Libreria Gian Antonio Stella, “L’orda, quando gli albanesi eravamo noi”, Rizzoli, 2002 - Pag. 277 - Euro 17 Il titolo riprende una dichiarazione di Schwarzenbach che vinse le elezioni svizzere utilizzando lo slogan “per fermare l’orda degli invasori”. Nel libro di Stella c’e’ l’altra faccia della grande emigrazione italiana che ci ricorda secoli di stereotipi infamanti e di diffidenza verso gli Italiani ritenuti capaci di ogni crimine e capro espiatorio per i casi delittuosi insoluti. Una xenofobia che si confronta con l’ostilità verso gli Albanesi, i clandestini, “lo siamo stati anche noi, a milioni”. Il libro è scritto deducendo gli avvenimenti dalla cronaca
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Un fiume di parole, quasi scritte tutte d’un fiato per non dimenticare, per lasciare nero su bianco le memorie di una vita “eccezionale”. Redatta di getto - lo rivelano la grafia costante e il linguaggio dal ritmo coerente - in poche settimane, con l’ansia di chi vuol “far sapere”, l’autobiografia di Giuseppe Lovaglio, “un lucano nel mondo”, nasce dalla consapevolezza di avere qualcosa da raccontare, “di ritenere la propria storia come esemplare, se non altro in quanto dimostrazione delle difficoltà incontrate e superate”. Divise dall’autore in sei taccuini uguali, le pagine di “Soffrimento Destino e Aventura” sono dense di umori, passioni ed emozioni. Segnano il lettore, sbattendogli in faccia la tragedia dei campi di concentramento, o quella dell’emigrazione. La stessa tripartizione del titolo, “Soffrimento destino e aventura”, come ha segnalato nella premessa l’attenta curatrice Maria Schirone, sembra inoltre corrispondere anche nella narrazione. Infatti al racconto dell’infanzia e della giovanissima età, segnata da sofferenza e miseria, seguono i ricordi del servizio militare sullo sfondo della seconda guerra mondiale, le cui vicende da deportato in Germania l’autore attribuisce spesso al destino, e infine gli spostamenti avventurosi da emigrante che lo porteranno in Sud America e infine in di nuovo in Germania. Le tre sezioni sono però ben saldate da un unico filo conduttore: la dolorosa memoria personale che diventa memoria pubblica del novecento italiano. Infatti, seppure in un italiano non completamente acquisito, con una imperfetta sintassi e un’ortografia incerta, attraverso la stesura dei taccuini, Lovaglio “trova il modo di trasportare la memoria personale
giudiziaria: non biografie appassionanti di riscatto sociale, ma pagine provocatorie. Giuseppe Lupo, “L’Americano di Celenne” Farfalle, 2000 - Pag. 200 Euro 12,91 L’autore, nativo di Atella, narra le vicende di Danny Leone che, abbandonato il paese natio nel Vulture, emigra a New York dove, grazie all’incontro con un miliardario a cui salva
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in testimonianza storica - come scrive nell’introduzione Nicola De Biase, docente di Storia della Lingua Italiana - gettando uno spiraglio su episodi storici poco noti come la partenza per la Grecia il 9 settembre 1943, all’indomani dell’armistizio”. “La tradotta segue il destino per la grecia, scriverà Lovaglio, maledetto fu quella tradotta e la nostra decisione di seguire il destino”. Pagine e pagine di ricordi, dalle quali vien fuori non solo la vicenda umana del “contadino-soldato-operaio specializzato”, nato a Pantano di Pignola e morto ad Amburgo, ma la storia di un intero paese distrutto dalla guerra, ricco solo di miseria, dove per sopravvivere bisognava “andare”. Sapientemente recuperata da Maria Schirone, insegnante di lettere ed attenta studiosa dell’emigrazione lucana, a pochi mesi dalla scomparsa di Lovaglio ad Amburgo, la testimonianza autografa, fornita dalla moglie Maria Donata, sembra suggellare idealmente il ritorno dell’emigrante nella terra dalla quale era partito, quella delle origini, dei padri e dei nonni, la “Lucania”. Il contadino lucano, abituato fin da bambino al duro lavoro dei campi, diventa, suo malgrado soldato in Grecia, e poi prigioniero di guerra in Germania. E poi operaio, capo-operaio, “specialista” nel montaggio degli ascensori Otis, in Uruguay, Argentina, Brasile. “Al ritorno dell’Argentina la mia intenzione era di rimpatriarci perche l’Uruguay andava malissimo di tanti ladri che erano apparsi in poco tempo e la moneta perdeva valore giorno per giorni”. Nonostante i limiti linguistici “di cui è consapevole”, Lova-
glio non desisterà però dall’impegno, “giacché egli sa bene che il pregio della narrazione risiede proprio nei fatti e negli eventi di cui è protagonista”, come ha annotato a buon diritto la curatrice, puntuale anche nel segnalare alcuni aspetti “formali” del manoscritto: interferenze fra dialetto e lingua, presenza di iberismi appresi dall’autore in America latina, scarsa presenza di maiuscole e di punteggiatura, omissioni di accenti e apostrofi. Una lettura continua, a tratti faticosa, senza interruzioni, dove a susseguirsi non sono solo pensieri, ma scene di vita vissuta, flash di momenti cruciali, di decisioni importanti. Ricorre spesso infatti il pensiero della moglie, Maria Donata che dal giorno della loro unione segue il marito in quel girotondo di avventure, liete e disperate che vedrà, infine, Lovaglio nel 1971 accettare un’offerta di lavoro a Wuppertal, come operaio cantierista nelle ferrovie tedesche. Ancora straniero, ancora emigrante, ancora alla ricerca di un pezzo di terra ed una casa, questa volta in Europa però. Come sospeso da una pausa momentanea il racconto ad un certo punto s’interrompe: “è probabile - ha concluso la Schirone - che Giuseppe Lovaglio non abbia più potuto continuare a scrivere. O voluto: la lacuna riguarda l’intera fase finale in Germania (…) nella terra di prigionia, carica di ricordi amari”. E così per uno strano scherzo del destino il cosmopolita Lovaglio torna infine in quella città, Amburgo, dove fu prigioniero e dove aveva giurato di non farvi mai più ritorno. Terminerà invece proprio qui la sua eccezionale vita. =
la vita, diviene ricchissimo. Nel ’34 il protagonista tornerà in Lucania, perché “ si può togliere un uomo dal suo paese ma non il paese dal cuore dell’uomo”, con l’idea di convertire al mito della Grande Mela il suo paese di origine. La vita di Danny Leone è raccontata dopo la sua morte attraverso tre narratori: un suonatore di jazz; il medico dell’ospizio e Larry, figlio dell’amico del protagonista.
Emilio Franzina, “Dall’Arcadia in America” F. Agnelli, 1996 - Pag.326 - Euro 25,82 È un libro sulla letteratura d’emigrazione italiana nelle Americhe fra Ottocento e Novecento che considera le opere meno note di alcuni esponenti delle letteratura italiana ( De Amicis, Levi, ecc.) e gli scritti degli autori minori. L’autore raccoglie, in un approccio socio-antropologico, gli scritti degli emigrati, in un’opera interdisciplinare che esamina il mito popolare dell’America, alimentato da generazioni di lavoratori emigranti, dalla canzone popolare, alla trasfigurazione letteraria, con particolare attenzione al valore documentario del lutto, dell’esotismo, dei racconti dell’emigrante. LORENZO TARTAGLIA
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ATTRAVERSO I REGISTRI DELLA CANCELLERIA ANGIOINA
TRA CASTELLI
E BANCHETTI
THANKS TO THE REGISTERS OF THE ANGEVIN CHANCELLOR Y, RECONSTRUCTED AFTER THE DESTRUCTION OF THE ORIGINALS IN 1943, WE CAN UNDERSTAND THE MEDIEVAL LIFE IN LUCANIAN CASTLES, WHERE SOVEREIGNS LOVED TO SPEND THEIR TIME ORGANIZING BANQUETS FOR THEIR COUR T.
THE LORD OF THE TABLE WAS THE WINE OF THE AREA, AGLIANICO, WHICH IS SURELY WHAT THE DOCUMENTS REFER TO WHEN THEY TALK ABOUT
“THE RED WINE OF MELFI”.
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Il nostro cammino attraverso gli archivi comincia dal Medioevo. Proviamo a percorrere le strade della Basilicata dell’epoca con la guida di alcuni documenti molto importanti: i registri della cancelleria angioina. Questi grossi volumi, sui quali erano annotati gli atti emanati dai re angioini, andarono distrutti nell’incendio appiccato dalle truppe tedesche a villa Montesano in San Paolo Belsito, presso Nola, il 30 settembre 1943. Grazie però al paziente lavoro di archivisti napoletani, questi registri sono stati parzialmente “ricostruiti” mettendone insieme brani che erano stati trascritti da vari studiosi prima della loro distruzione. E da questi famosi registri, molto utilizzati anche da Giustino Fortunato per le sue ricerche, partiamo per sbirciare nella vita di corti e castelli lucani, dove i sovrani angioini amavano rifugiarsi. Carlo I soggiornò spesso nel castello di Lagopesole, dove organizzava con la sua corte succulenti banchetti. I commensali si servivano di fine vasellame da mensa e di stoviglie di ogni tipo, da quelle di terracotta a quelle metalliche. Resti di vasellame sono stati ritrovati in alcuni scavi praticati recentemente nel cortile minore del castello. Nel corso del sec. XII, con l’afflusso e lo sviluppo delle Crociate, erano stati introdotti nuovi prodotti alimentari, come i cavoli, gli spinaci, l’acetosella, il prezzemolo, il cerfoglio e la melanzana. Ma sulla mensa non poteva soprattutto mancare il buon profumo del pane di grano. Nei registri angioini leggiamo di un ordine dato dal re il 26 settembre 1278: oltre al forno esistente nella regia masseria di Carda presso Lagopesole, doveva essere costruito un altro forno, mediante il quale si potessero cuocere ogni giorno, in due volte, sei salme di pane per uso della casa reale. Il pane accompagnava l’uso abbondante di carne o di pesce. Il 9 dicembre 1279 il re disponeva che fossero prese nei pantani regi di Versentino e di Salpe diecimila piccole anguille le quali, portate in barili a Lagopesole, fossero immesse in quel lago per moltiplicarsi. Signore della tavola era il vino della zona, l’Aglianico, cui si fa sicuramente riferimento nei documenti quando si parla del “vino rosso di Melfi”. Non a caso i sovrani si occuparono a più riprese dell’incremento dei vigneti: nel
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BASILICATA DISEGNO DEL CASTELLO DI BOIRANO NEL CABREO DELLA SS. TRINITÀ DI VENOSA DEL 1774 (ARCHIVIO DI STATO DI POTENZA, CORPORAZIONI RELIGIOSE, VOL. 200)
1280 Carlo I d’Angiò emanava disposizioni affinché i vigneti regi non subissero danni e condannava Costantino Caciole di Trani, secreto di Puglia - una sorta di funzionario dell’amministrazione finanziaria - per essersi disinteressato delle vigne regie di Melfi. L’anno seguente il sovrano ordinava al giustiziere di Basilicata - funzionario preposto all’amministrazione provinciale - di far piantare sessanta vigne vini rubei Melfie. Ogni volta che si trasferiva a Lagopesole, Carlo I si preoccupava di darne avviso per tempo al castellano, affinché al suo arrivo le botti del castello si trovassero piene di vino. Al settembre del 1280 risale un ordine dato al giustiziere di Basilicata di acquistare per la corte, la quale si sarebbe spostata a Lagopesole nella stagione estiva dell’anno successivo, de vino rubeo Melfie meliori quod haberi poterit, della vendemmia di quell’anno e nella quantità di ben quattrocento salme, unità di misura pari a 185 litri. Il vino sarebbe stato acquistato con la consulenza di quattro esperti di Melfi e avrebbe poi dovuto esser riposto nelle botti del castello. A questa seconda delicata fase avrebbe dovuto presiedere Bertoldo Bruno, custode del castello: si doveva far attenzione affinché nell’operazione venisse posta curam diligentem et studium oportunum, in modo tale da far sì che l’estate successiva il vino si fosse trovato bonum et utile pro usu nostro et hospitii nostri. Del vino acquistato si doveva tenere un quaderno sul quale andavano annotati, di giorno in giorno, la quantità comprata, i nomi e i cognomi dei venditori, la quantità procacciata da ciascuno di essi ed il relativo prezzo. Peccato davvero che nessuno si sia dato pensiero di custodire gelosamente il quaderno in qualche archivio: i nomi di quei venditori e lo spessore della loro attività commerciale ci rimarranno per sempre sconosciuti. Il vino veniva dunque consumato in gran quantità dai re angioini, anche come mezzo di evasione dalle fatiche e dalle preoccupazioni del regnare. Desiderata compagnia nelle più lieti ore trascorse fra i boschi e le campagne di Lagopesole, là dove si poteva scorgere il dolce profilo del Vulture disperdersi nell’incandescente luce dei tramonti, rossi come il fuoco, rossi come… lo squisito succo dei suoi vigneti. =
Sbirciamo fra qualche pagina dei “ricostruiti” registri della cancelleria angioina, già pubblicati da Giustino Fortunato nella sua opera Il castello di Lagopesole, Trani, Vecchi, 1902 (rist. anast.,Venosa, Osanna, 1987). 1280 settembre 16, Melfi. È stato scritto al nostro giustiziere di Basilicata. Con il nostro beneplacito si provveda affinché nel nostro palazzo di Lagopesole possa trovarsi del vino rosso di Melfi della migliore qualità che si possa avere, della vendemmia dell’anno presente, che, nella misura di quattrocento salme, dovrà esser diligentemente e in modo salubre riposto e conservato nello stesso palazzo, affinché quando giungeremo lì nella prossima estate, lo stesso vino possa esser trovato buono e utile per il consumo nostro e del nostro ospizio. Ci raccomandiamo pertanto fermamente ed espressamente alla tua fedeltà affinché, sotto pena di cento once di oro, scelti quattro uomini di Melfi fedeli ed esperti e affiancato ad essi un uomo forestiero della tua famiglia oppure qualcuno dei nostri stipendiati che dimorano con te e di cui tu goda piena fiducia, tu faccia da loro comprare del predetto vino, col denaro della nostra Curia, del migliore vino rosso di questa terra che si possa trovare, s’intende mosto [vino nuovo], della vendemmia di questo anno, che si possa trovare sulla migliore piazza, sino alla quantità predetta di quattrocento salme… Nell’acquisto e nella deposizione del vino farai in modo che siano poste la diligenza e la cura opportune, in modo che la prossima estate possiamo trovare il vino buono e adatto al consumo nostro e del nostro ospizio, poiché, se sarà altrimenti, unicamente a te faremo reclamo. Dato a Melfi il giorno sedicesimo del mese di settembre, nona indizione. (Archivio di Stato di Napoli, Registri Angioini, 1281 B, n. 42, fol. 65.) 63
Il mondo dietro l’obiettivo IN A PHOTOREPOR TER’S SUITCASE YOU CAN HARDLY FIND A NOTEBOOK AND A PEN. THE ONLY NOTEPAD THEY HAVE IS THEIR OBJECTIVE AND, BY MEANS OF THIS TOOL, THEY “NARRATE” THE WORLD BY GIVING A PHOTOGRAPH DYNAMISM, HARMONY AND MOVEMENT. ANGELA DI MAGGIO
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Basta il clic di una macchina fotografica per fermare un attimo, un particolare. Basta uno scatto per creare un’ immagine e per darle corpo e anima. Basta uno scatto per interpretare elementi apparentemente insignificanti, ma che poi, invece, sono in grado di lasciare il segno e rimanere impressi nella memoria. “Ho sempre amato ritrarre il mondo in ogni suo aspetto e la mia più grande passione è stata sempre quella di raccontarlo attraverso le foto”. A parlare è Canio Romaniello, un fotoreporter partito da Possidente, una frazione della provincia di Potenza, con la sua famiglia, quando aveva solo dieci anni. La sua storia e quella della sua famiglia, assomiglia a quella di tanti emigrati che hanno dovuto lasciare la terra d’origine, nella maggior parte dei casi, costretti dalla mancanza di lavoro. Si è trasferito a Milano dove, dopo gli studi, ha cominciato a collaborare con importanti quotidiani e riviste nazionali. Ma prima che cominciasse a lavorare per una agenzia fotografica ha dovuto faticare molto per “piazzare” i suoi reportages, bussando alla porta di molte redazioni e andando continuamente alla ricerca di qualcuno che fosse interessato ai suoi lavori. Il suo primo vero reportage fotografico lo ha fatto in uno dei quartieri periferici di Milano e, in particolare, puntando il suo obiettivo sul disagio giovanile. Inesperto e con l’imbarazzo di chi è alle prime armi ha bussato alla redazione della “Repubblica” chiedendo, timidamente, di essere ricevuto. Da qui è cominciata la sua avventura nell’affascinate universo della fotografia. Da quel momento in poi, la macchina fotografica è stata la sua compagna fedele. La porta sempre con sé: “È la mia seconda pelle - dice Canio Romaniello - ricordo come, ancora prima che la fotografia diventasse il mio mestiere, mi dilettassi a scattare foto ovunque. Poi, quando ho capito che con questo mezzo riuscivo ad esprimermi pienamente ho deciso di farne una professione”. La sua attività di fotoreporter lo ha portato a fermare momenti importanti e che hanno caratterizzato la storia italiana. Era dietro l’obiettivo il giorno in cui il giornalista Indro Montanelli ha incontrato il suo attentatore e quando l’Italia piangeva le vittime del Pirellone sventrato da un aereo. La cronaca nera e l’attualità, dunque, sono stati il suo primo amore, ma senza aver mai tralasciato la politica. Il tutto strizzando l’occhio alla mondanità. Numerosi, infatti, i personaggi immortalati che appartengono al mondo dello spettacolo, al cinema e alla moda. Eppure se qualcuno lo definisce “paparazzo” non ci sta e risponde: “Paparazzo” è il termine usato per indicare un fotografo d’assalto. Io sono un fotoreporter e basta”.
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BASILICATA CANIO ROMANIELLO
Canio Romaniello racconta l’origine del termine “paparazzo” ricordando il fascino che si nasconde dietro questo aggettivo, ma prendendone comunque le distanze. “L’immagine felliniana del fotografo de “La dolce vita” che rubava pezzi della vita dei vip della Roma del dopoguerra - continua il fotoreporter lucano – è un’immagine senza tempo. Un’invenzione che ha senza dubbio trasformato, nell’immaginario collettivo, lo stereotipo del fotografo. Sembra che tutto sia nato da un libro che Fellini stava leggendo all’epoca de “La dolce vita”. Il libro in questione era quello di un scrittore, Gissing, sul suo viaggio di fine ottocento in Calabria in cui racconta la storia di un albergatore che di cognome faceva “Paparazzo”. Quest’ultimo, infatti, raccolse le simpatie dello scrittore per aver affisso, alla porta delle stanze dei suoi ospiti, un “buffo” invito ad utilizzare il ristorante dell’albergo. Il popolare regista si innamorò di quel nome al punto che “paparazzo” divenne e, lo è tuttora, l’aggettivo identificativo dei fotografi invadenti in cerca di scoop sui personaggi famosi”. Ad ogni modo, che si definiscano “paparazzi” o “fotoreporter” la cosa bella della loro arte è la capacità di cogliere gli istanti. Vagano in giro per il mondo e la loro compagna di viaggio è, quasi sempre, solo la macchina fotografica. “Nella maggior parte dei casi commenta Canio Romaniello - la fotografia è qualcosa di più che un’immagine. Essa diventa un’intuizione. L’abilità di rubare l’attimo e di percepire qualcosa che poi va al di là dello scatto. È la capacità di far soffermare chi la guarda non solo sulla bellezza della singola foto, ma di riuscire a far “vedere” chi c’è dietro l’obiettivo e cosa intende comunicare. E così, di scatto in scatto ha precisato ancora - la fotografia ne ha fatta di strada”. L’evoluzione della fotografia e del ruolo che essa ha, man mano, assunto sui giornali, ad esempio, è stata notevole. Ma è stata altrettanto importante la valenza culturale e artistica che ha assunto nel corso degli anni. Ne sono cambiate di cose, infatti, da quando i giornali dovevano scontrarsi con mille difficoltà per ricevere rapidamente una foto e si faceva ricorso o a foto di archivio o alle tradizionali “fuori sacco”. Poi l’immagine è diventata un aspetto importante per l’informazione e si è appropriata di nuovi ruoli e di nuovi spazi. Le sue infinite possibilità di comunicazione le hanno permesso di diventare strumento per documentare le atrocità dell’uomo, fermando gli orrori generati dai
conflitti e dalle guerre e per denunciare temi sociali e umanitari conferendole un’importanza culturale rilevante. Un’evoluzione che ha facilitato l’affermarsi del giornalismo fotografico e che ha trovato e, trova ancora adesso, la sua espressione più alta nella realtà sociale come i conflitti politici, le guerre, i problemi razziali e le crisi internazionali. Fatti e avvenimenti che non se non fossero corredati da una documentazione fotografica non avrebbero la stessa forza. “Nella valigia di un fotoreporter - conclude Canio Romaniello - difficilmente si può trovare un blocco per gli appunti e una penna. Il nostro taccuino è l’obiettivo ed è attraverso questo strumento che riusciamo a “raccontare”e a conferire dinamicità, armonia e movimento ad una foto che, per definizione, rappresenta la staticità”. Insomma, la fotografia può avere diverse interpretazioni. Impegno sociale, ad esempio, o rivelazione di altri modi di vivere. Un’ occasione per andare alla ricerca di “punti di vista” che identifichino l’uomo e l’ambiente; l’uomo e il territorio. = 65
LA FOTOGRAFIA COME SPECCHIO DELLA REALTÀ “PHOTOGRAPHY “FORCES” TO STOP, TO WONDER, TO DELVE INTO THE DEPTH OF REALITY, TO MAKE CHOICES WHICH ARE NOT ONLY AESTHETIC ONES”. IN THIS WAY, ROBERTO MUTTI, THE PERSON RESPONSIBLE FOR PUBLISHING THE REVIEW “IMMAGINI FOTO PRATICA”, INVITES US TO WONDER ABOUT THE VALUE OF PHOTOGRAPHY, INTENSE ARTISTIC EXPRESSION IN A WORLD ENSLAVED BY RUSH WHICH PREVENTS US FROM GRASPING THE MOST HIDDEN ASPECTS OF REALITY. BUT, ABOVE ALL, IT IS A VERY POWERFUL COMMUNICATION MEANS, CAPABLE OF SPREADING AND MAKING AVAILABLE TO EVERYONE THE IDENTITY AND THE TIES LINKING A POPULATION TO THEIR LAND. WITH THIS AIM THE REGIONAL COUNCIL OF BASILICATA DECIDED TO SET UP A PHOTOGRAPHIC CONTEST WHICH CAN EXTOL THE DISTINCTIVENESS OF ITS TERRITORY THROUGH THE IMAGES TAKEN BY PHOTOGRAPHERS DISPOSED TO DISCOVER AND SHOW THEIR OWN IDENTITY AND THAT OF THEIR REGION.
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Pochi sanno che l’affermazione della fotografia in Italia si è accompagnata in modo stretto e profondo con il turismo: il Club Alpino Italiano, fondato nel 1863, e soprattutto il Touring Club Italiano, nato trentadue anni dopo, promuovevano iniziative che sposavano l’escursionismo e la passione per la fotografia. La semplificazione dei procedimenti fotografici permetteva di utilizzare macchine di piccole dimensioni così che un valente alpinista poteva permettersi di mettere nello zaino un’attrezzatura di peso accettabile e realizzare immagini più che accettabili, anche se ben lontane dalla qualità eccelsa che Vittorio Sella, nipote dello statista Quintino e grande esploratore sulle montagne di tutto il mondo, otteneva su negativi in lastra di vetro utilizzando pesanti macchine a banco ottico con relativo treppiede. Ancor più interessante era il connubio fra fotografia e bicicletta che permetteva di realizzare lunghe e talvolta lunghissime escursioni coinvolgendo intere sezioni del T.C.I. che potevano contare su una serie di locande e alberghi attrezzati con “gabinetti fotografici” per consentire agli impazienti turisti di sviluppare e stampare i rullini esposti durante il viaggio.
Oggi gli alberghi offrono gli internet point e noi magari sorridiamo di quegli ingenui entusiasmi, eppure era proprio da una capacità di osservazione attenta e concentrata che nasceva un nuovo modo di vedere, di apprezzare, di interpretare il mondo che circondava i nostri antenati, che solo così imparavano a conoscere quel Paese unito formalmente da pochi anni ma sconosciuto ai più. In un’epoca completamente diversa come la nostra, dove l’immagine sembra avere un ruolo centrale, c’è invece da chiedersi se siamo davvero capaci di fruire fino in fondo di questa imponente massa di informazioni visive che necessitano di strumenti interpretativi e di una razionale organizzazione che raccolga i dati così da renderli accessibili e fruibili per tutti. Siamo di fronte all’avanzata impetuosa di nuove tecnologie: per fare un solo esempio, in breve tempo il formato super8 è diventato arcaico e i film si possono realizzare in digitale con elevata qualità e perfino, se se ne accettano i limiti, con i telefonini della nuova generazione. Ha dunque senso, in questa situazione, ritornare a un mezzo sostanzialmente tradizionale come la fotografia per descrivere
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il mondo? Le ragioni della nostra risposta affermativa sono molte ma sono sostanzialmente riconducibili a una motivazione più forte delle altre: il nostro mondo corre troppo velocemente, i momenti di riflessione e quelli di silenzio vengono considerati una perdita di tempo e ormai, mentre quasi tutti sono stati messi in grado di vedere, pochissimi sono poi capaci di fare il salto qualitativo arrivando ad osservare. La fotografia “obbliga”, invece, a fermarsi, a porsi delle domande, a indagare fra le pieghe della realtà, a operare delle scelte non solo estetiche. In un Paese come il nostro dove i concorsi fotografici sono moltissimi e conservano il sapore vecchiotto del puro confronto fra stili ed estetiche diverse, promuovere un premio riservato a chi voglia interpretare fotograficamente una regione come la Basilicata non è un’operazione priva di significati profondi. Fin da quando, nel 1984, la Datar ha lanciato una grande “mission photographique” per documentare i cambiamenti del paesaggio in Francia, le istituzioni più attente e sensibili hanno raccolto il messaggio individuando nei fotografi i potenziali interlocutori per una
riflessione non superficiale su quella che viene giustamente definita l’identità dei luoghi. “Viaggio in Basilicata. Identità di un territorio” è, quindi, non casualmente il titolo di questo premio che servirà sicuramente a far (ri)scoprire una terra dove convivono paesaggi naturali e urbani, la tradizione e la modernità, i segni di antichissime civiltà e quelli della contemporaneità. Non sfugge, tuttavia, a nessuno l’importanza di costruire un’immagine diversa che sappia evitare la retorica dell’oleografico e del “pittoresco” che tanto hanno penalizzato l’immagine del Meridione: da questo punto di vista l’idea di rendere internazionale il premio potrà assicurare una molteplicità di sguardi e un confronto fra contributi differenti tutti da indagare a fondo. Ma questa è anche un’occasione per valorizzare le straordinarie opportunità che offre il mezzo fotografico non solo agli autori più bravi che avranno l’occasione di misurarsi fra di loro, ma anche ai semplici fotografi per passione: troppo spesso, infatti, la fotocamera occupa una piccola tasca del giubbotto e viene tirata fuori solo per la foto ricordo degli amici accanto paesaggi e monumenti. Chi vorrà tornare a
viaggiare non portandosi dietro una macchina fotografica ma facendosi guidare da questa scoprirà un modo diverso di osservare la realtà: sarà “costretto” a concentrare lo sguardo, a girare attorno a quanto gli piace fino a trovare l’angolazione più interessante, a scegliere il taglio che sintetizzi in uno scatto la complessità di quanto scorre dinanzi a lui. Scoprirà così che la fotografia, quando ben usata, aiuta ad apprezzare il mondo che, osservato attraverso il mirino, apparirà ancor più complesso e quindi interessante: ecco perché si dice che i fotografi sono capaci di cogliere quanto altri neppure vedono. Se questo premio servirà anche da riflessione più generale il suo scopo sarà raggiunto, ma è evidente che dovrebbe considerarsi come un primo passo per un progetto più ambizioso che metta al centro dell’interesse la fotografia come mezzo, come linguaggio, come forma artistica. Come in altre regioni, anche in Basilicata ci dovrebbe essere l’occasione per creare un festival dove ci si possa confrontare, si possa discutere, si possano valorizzare i fotografi locali, si possano ospitare grandi mostre d’autore. Ma questo, per ora, è solo un auspicio. =
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BASILICATA NELLA PAGINA A FRONTE, UN ANFITEATRO A BOGOTÀ, CAPITALE DELLA COLOMBIA. A DESTRA, ROCCO CURCIO INAUGURA IL CENTRO MEDICO DI CARACAS
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Caracas - Bogotà. Marzo 2004 - La prima immagine di Caracas regala uno spettacolo sconvolgente. Migliaia di ranchitos - così si chiamano in Venezuela le baraccopoli - abbarbicati alle colline, ma vicinissimi ai grattacieli e alle ville signorili. La prima, spontanea domanda è se anche gli italiani, e i lucani in particolare, vivano in quelle condizioni. Dai lucani - qui ormai da tempo - la rassicurante risposta: “solo qualcuno”. Eppure ci sono anche tra i lucani in Venezuela casi di povertà e indigenza, che la difficile situazione politica ed economica degli ultimi anni sta acuendo. Il che influisce soprattutto sulla possibilità di curarsi. La Sanità Pubblica funziona poco e male, in Venezuela; quella privata costa troppo. L’ultimo viaggio dei componenti della commissione regionale dei lucani all’estero ha portato - però - a Caracas un aiuto concreto: l’apertura di un poliambulatorio, un “consultorio”, realizzato con i fondi della Regione Basilicata: 120 mila euro del “Progetto Solidarietà per il Sud America”.
The project “Solidarietà per il Sud America” is being accomplished; thanks to the funds granted by the Region of Basilicata, a general hospital has been opened in Caracas. For the moment it supplies three services, General Medicine, Cardiology and Dentistry and, hopefully by the end of next year, it will have a Test Lab as well. The proposal for building the clinic has been supported by the Venezuelan “Federazione dei Lucani”.
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La proposta per la costruzione del consultorio - presentata alla Regione dalla Federazione dei Lucani in Venezuela - risaliva al 1999. Oggi è realtà. Tre i Servizi attivati: Medicina Generale, Cardiologia e Odontoiatria. Entro l’anno prossimo, si spera di attrezzare anche un Laboratorio Analisi. Vi lavoreranno medici italiani, figli di lucani, a tariffe agevolate. Agevolati anche i prezzi per i pazienti italiani e lucani; gratuite le prestazioni per i lucani indigenti segnalati dal Consolato. Un aiuto concreto, questo, che fa sentire i lucani all’estero “ancora lucani” e ancora parte della regione. È una grande famiglia quella italiana in Venezuela. Un bellissimo Centro, attrezzato di piscina, campi da tennis e bocce, sale biliardo, un Teatro, una Biblioteca e sale ricreative di ogni genere, accoglie, ogni giorno, gli italiani, e i lucani, che vivono a Caracas. Una realizzazione che parla da sola di un tenore di vita alto, almeno fino a qualche tempo fa. Gli italiani, spina dorsale dell’economia venezuelana, subiscono, però, oggi, forti pressioni dal governo di Chavez. Le loro attività si stanno ridimensionando “ho dovuto licenziare 70 dipendenti qualche tempo fa” - racconta Antonio Azzato, imprenditore, originario di Marsico Nuovo, qui da 40 anni, e con un’avviata fabbrica di reti e materassi alle porte della città. E non va meglio ai professionisti, né alla classe media. 8
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NELLA FOTO IN ALTO, UNA PIAZZA DI BOGOTÀ. IN BASSO, AVENIDA BOLIVAR A CARACAS
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È un’emigrazione relativamente giovane quella lucana in Venezuela. Risale al secondo dopoguerra. “Questa è la terra più bella del mondo, ma oggi la vita è più difficile”. Così si esprime la gran parte dei lucani che abbiamo incontrato. Hanno belle case, un lavoro, ma è come se ora - fossero impauriti. “Ormai investiamo solo all’estero” dice Antonio Spina, arrivato giovane parrucchiere da Moliterno e, oggi, titolare di due saloni di bellezza a Caracas. La crisi sembra, però, non sfiorare le sue attività. “Le donne venezuelane - afferma - rinunciano anche a mangiare, ma non a curare la propria bellezza.” È una piccola solidale comunità lucana quella che incontriamo a Caracas. Arrivano quasi tutti dalla Val d’agri. Molti da Pescopagano. Sono imprenditori, parecchi nel turismo, nel Mar dei Carabi. E non mancano artisti e giornalisti. Allo spettacolo del Centro Mediterraneo delle Arti, che per volere del Polo della Cultura della Provincia di Potenza porta in scena “Contadini del Sud”, tratto dai testi di Rocco Scotellaro, incontriamo Antonio Costante da Pescopagano: regista di fama internazionale in allestimenti scenici di prosa e di opere liriche; ha il volto andino, ma un padre di Pescopagano Teresa De Vincenzi, giovane e rampante giornalista di “El Universal”, il secondo giornale del Venezuela. Il giorno prima del nostro incontro ha visto morire un suo collega negli scontri durante una delle manifestazioni antigovernative nel centro della città. “Voglio continuare a raccontare questa realtà, anche con il giubbotto antiproiettile”, dice. E ricorda la Basilicata, c’è stata più volte: “un posto tranquillo, dove si mangia bene e la gente è ‘muy hermosa’”, molto amabile. Qui vive un’altra Basilicata. Quella della seconda generazione, si mescola a chi è arrivato a Caracas da piccolo o molto giovane e rivive, nelle parole dello spettacolo di Ulderico Pesce, la traversata in mare da emigranti, la povertà della Basilicata anni ’50, la nostalgia del paese. Anche se, oggi, sa riderne con ironia. Segno che tanto è cambiato.
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... Il Venezuela è la terra più bella del mondo, ma oggi la vita è più difficile...
Solo due ore di aereo separano Caracas da Bogotà. In Colombia, a 2.600 metri d’altitudine, i lucani fanno i ristoratori, i commercianti, i medici. Una vera colonia di marateoti, lagonegresi, laurioti, rivellesi. Iannini, Brando, Filardi, Savino, Riccardi. Questi i cognomi. Sono gli eredi di un’emigrazione più antica, che risale anche agli inizi del ‘900. A Bogotà è stata costituita, nel 1999, l’Associazione dei Lucani. Molti ragazzi, figli di questi lucani, sono in Italia, in Basilicata, per frequentare corsi di formazione e specializzazione. Parlano appena l’italiano, ma si sentono a casa. Anche a loro arriva l’aiuto della Regione. Tante le storie in una zona del mondo tra le più pericolose, minacciata da guerriglieri e narcotrafficanti. Cesare Iannini, quattro eleganti ristoranti al centro di Bogotà, produce la pasta “Maratea” con il grano duro - come faceva suo padre - e la serve “al dente”. Macario Zito, da San Giorgio Lucano, invece, porta in tavola - nella zona elegante della città - peperoncino e ravioli sempre freschi. E poi, ci sono i rivellesi, custodi dell’arte orafa e della fabbricazione degli orologi. Arti ancora vive a Rivello. Tutti conservano la lingua, le tradizioni, la gastronomia, i mestieri. E guardano alla Lucania con “simpatia”. Tornano spesso, anche più volte all’anno. Insegnano la “lucanità” ai loro figli. Ma, ormai, affetti e vita sono oltreoceano. Senza troppi rimpianti. =
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Nel dibattito sull’emigrazione: osservazioni e proposte della Camera di Commercio e Arti di Potenza (1874) Around 1870 emigration in Italy had become a mass exodus. Managerial classes, worried mainly about the great impact this escape had on traditional socio-economic assets, and they began to wonder about the nature of the phenomenon and the measures to take in order to stem it on. The 22nd July 1874, during a meeting of the Chamber of Commerce and Arts of Potenza, the problem of emigration was discussed in order to identify its causes and effects.
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“Speculatori avidi ed inumani, senza riguardo alcuno […] seducono specialmente i contadini delle nostre campagne con la speranza di inaspettati guadagni nell’altra parte dell’emisfero e li traggono colà, ove spesso al loro arrivo non li aspetta che miserie e mancanza di lavoro”. Con queste parole, il 22 luglio 1874, la Camera di Commercio di Potenza indicava uno dei più odiosi aspetti assunti dal problema emigrazione: la presenza di sfruttatori ed affaristi che cinicamente si arricchivano sfruttando l’ignoranza delle masse. In par ticolare l’indice era puntato contro gli agenti delle compagnie di navigazione, accusati di far opera di proselitismo e di convincere, in tal modo, gli ingenui contadini a partire, nel miraggio di arricchire. La dimensione assunta da quello che ormai era un vero e proprio esodo spingeva le classi dirigenti nazionali, così come quelle locali, ad interrogarsi sulla natura del fenomeno emigrazione, sulle sue cause e sul modo migliore per arginarlo. Nel 1869, infatti, furono 119.806 gli italiani che lasciarono la Patria per cercar for tuna all’estero. Nel 1871 il numero salì a 122.479, e a 151.781 nel 1873. In Basilicata si era passati dai 359 emigranti del 1869 ai 4.221 del 1873, con 5.654 espatriati nel 1872 (vedi grafico). In genere, anche se all’emigrazione si attribuivano alcuni effetti positivi, come quello di fungere da valvola di sfogo per liberare la società dagli elementi sfaccendati e turbolenti, la classe politica riteneva che essa costituisse un rischio per gli assetti socio-economici tradizionali. La grossa borghesia terriera, per esempio, temeva che lo spopolamento delle campagne avrebbe provocato una lievitazione dei salari a causa della carenza di manodopera. Così i vari governi, tanto della Destra storica che della Sinistra, tentarono di prendere dei provvedimenti. Il ministro degli interni Lanza, ad esempio, nel 1873 inviò una circolare ai prefetti “con la quale si invitavano le autorità di governo nelle province ad impedire l’emigrazione clandestina ed a frenare con ogni mezzo quella lecita e spontanea”. Una serie di progetti di legge (mai effettivamente approvati) poi, andarono nella direzione di una lotta senza quar tiere alle compagnie di navigazione e ai loro agenti, ac-
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cusati di essere i veri responsabili dell’esodo. Quello che emerge, però, da questi progetti, è un sostanziale fraintendimento delle vere cause dell’emigrazione. Esse sono individuate nella propaganda degli agenti di navigazione, o imputate a fattori come spirito d’avventura e miraggio di arricchire in fretta lavorando poco. Nella relazione della Camera di Commercio di Potenza leggiamo infatti che “famiglie intere lasciando le più care affezioni, abbandonano la loro terra natia in cerca di altro cielo, ove sognano di trovare una natura ridente e di rinfrancarsi largamente del doloroso distacco della madre patria con guadagni inaspettati”. Secondo il Consiglio, quindi, non era l’estrema miseria a spingere intere famiglie ad emigrare, ma il desiderio d’arricchire. La tendenza all’emigrazione viene definita una “crescente mania” assolutamente ingiustificata. Il consiglio si scagliava, infatti, contro coloro che sostenevano “senza aver mai conosciuto né la postura delle terre lucane né l’indole degli abitanti, che i salarii siano vili in modo da costringere la gente a fuggire dal suolo che li vide nascere”. Anzi il consiglio affermava che i salari, in Basilicata, erano talmente alti da richiamare lavoratori da altre province. Leggiamo, infatti, che “la mano d’opera si è elevata in modo da non temere raffronto con qualunque altra Provincia d’Italia” tanto che “vengono a torme gli operai dell’Alta e Media Italia a ritrovare un salario che invano spererebbero nelle province natie”. Queste parole sono rivelatrici della vera paura di quella classe dirigente: che lo spopolamento delle campagne, provocando una diminuzione della mano d’opera, facesse lievitare i salari. Ecco quindi i consiglieri scagliarsi contro quanti “preferiscono di andare in altre par ti della terra a conquistare una for tuna, la quale spesso non resta che nei loro sogni dorati”, e chiedere al governo di “studiare il modo onde conciliare gl’interessi dell’agricoltura e del commercio, con la liber tà de’ cittadini, regolando l’andamento dell’emigrazione; acciò molti ignoranti non vengano sedotti da fallaci apparenze, e sognando tesori che poi non si realizzano,
vadano fuori del proprio paese con discapito dell’individuo, e della industria nazionale, che ne risente i gravissimi danni”. Non troviamo in questa relazione nessuna menzione dei gravi problemi che spingevano ampie fette della popolazione della Basilicata a lasciare il paese natio per tentare la for tuna all’estero: dalla mancata rivoluzione agraria, allo sfruttamento della manodopera con salari troppo bassi, all’eccessivo fiscalismo. Per affrontare questi problemi sarebbe servita, infatti, una forte assunzione di responsabilità da par te della classe politica, tanto nazionale che locale. E proprio la voluta cecità della classe dirigente fu oggetto delle critiche, fra gli altri, del grande meridionalista lucano Giustino Fortunato, il quale vedeva, in questa preoccupazione per il povero contadino ingannato, solo l’interesse “dei proprietari che coll’emigrazione vedono crescere i salari e in generale le pretese e «l’insubordinazione» dei contadini”. Egli stigmatizzava inoltre una classe dirigente che rifiutava di vedere gli aspetti positivi che poteva avere l’emigrazione, se “ben diretta”. Aspetti positivi? Giustino For tunato credeva che ce ne fossero molti. Nel 1909, quando l’emigrazione por tava via dalla Basilicata molta più gente che negli anni Settanta dell’800 (vedi grafico), in un discorso tenuto alla camera dei deputati egli sostenne che l’emigrazione “ci ha purgati dalla vergognosa piaga di quel brigantaggio, che pareva […] funesta dote delle nostre campagne […]. Essa ha fatto laggiù sparire il «cencioso» […] ed ha scemato più che un quarto il numero degli omicidî, ed ha reso meno frequente l’abigeato […]. Essa ha fatte tra noi più rade le sanguinose rivolte de’ ceti rurali […]. Essa, infine, ha debellata l’usura, fino a ieri scandalosissima, ed ha permesso e permette a molti, a un gran numero di povera gente, di non crepar di fame, se è vero che in molti comuni della mia Basilicata, ed io potrei farne i nomi, finanche il pagamento delle imposte sia possibile solo per opera degli emigrati”. Parole in sostegno dell’emigrazione, quindi, nella consapevolezza che ad essa, in molte zone d’Italia, non c’era alternativa. = 73
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Fra radici e prospettive 74
Giuseppe D’Alessandro OTTAVIO CHIARADIA
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Queste brevi riflessioni autobiografiche mi fanno ripensare agli innumerevoli viaggi di andata e ritorno dalla e verso la Basilicata che hanno caratterizzato gran parte della mia vita. Una dimensione, quella del viaggio in Lucania, che ancora permane e che è intrisa di quel misto di sentimenti di entusiasmo e malinconia che spesso mi hanno accompagnato nelle partenze e negli arrivi da e a Laurenzana. Ripenso in questo agli struggenti e al tempo stesso liberatori versi di Rocco Scotellaro, quando parlava degli “altri uccelli” che “fuggiranno dalla cova” perché “l’alba è nuova, è nuova”, volendo con ciò descrivere, cantare quasi il destino di viaggio, di partenza degli uomini della Basilicata dopo un secolo di emigrazione. Le montagne, belle, spoglie, imponenti, della mia terra natia evocano, con il loro silenzio, proprio questo destino, una vera e propria epopea, del grande esodo che ha svuotato, spopolato gran parte di queste terre. Allora, è come se ci fosse una cesura spaziotemporale che scandisce il ritmo e la percezione della vita al di qua e al di là dei confini della Basilicata interna: di qua il ricordo, il silenzio, la considerazione del passato, la malinconia, di là lo stare immersi nel presente con lo sguardo rivolto al futuro, il confrontarsi con la modernità, la vita attiva. La compresenza di entrambi questi aspetti ha fatto parte del mio bagaglio di esperienza vissuta fin dal Liceo a Potenza e poi ancora all’Università a Napoli, accompagnandomi anche nei lunghi anni tedeschi. La Germania è stata ed è per me una seconda patria, dove ho avuto modo di coltivare proficuamente i miei interessi di studio.
Questi si erano indirizzati in un primo momento verso tematiche squisitamente meridionalistiche, in particolare il nesso post-unitario tra brigantaggio ed emigrazione. In seguito il fascino della filosofia tedesca, in particolare quella dell’illuminismo e di Kant, e quella dell’idealismo e di Hegel, mi ha conquistato del tutto. Gli anni di ricerca nelle Università di Bochum, Monaco, Trier e al Max-Planck-Institut für Geschichte di Göttingen, alla Herzog-AugustBibliothek di Wolfenbüttel mi hanno offerto l’opportunità di confrontarmi con una cultura e con un sistema universitario e più in generale di organizzazione della vita che a ragione ha costituito e costituisce senz’altro un modello di eccellenza. Gli anni di insegnamento di Filosofia all’Università di Trier sono stati inoltre un’occasione davvero speciale per mettermi in relazione, dall’interno della vita accademica tedesca e svolgendo i corsi in tedesco, con molte delle problematiche filosofiche e culturali in cui mi sono imbattuto in questi anni. L’insegnamento di Storia della Filosofia tedesca da me tenuto presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, mi permette di mantenere ben saldo il contatto con il mondo culturale tedesco e rappresenta un forte stimolo a continuare l’attività di ricerca mirando a comunicarla agli studenti. Quella dimensione ambivalente, molto lucana, del rapporto con la temporalità – da un lato un presente intriso di positività e propositività, un futuro che si raggiunge solo sradicandosi dal proprio territorio, dall’altro il rivolgersi spesso nostalgico a un mondo e ad un tempo che non ci sono più – quella dimensione può del resto assumere un carattere di universalità. Ma, superati infine il ‘rimorso’ e la malinconia, diviene possibile orientarsi a una composizione armonica delle contraddizioni fra passato e futuro, fra radici e prospettive, ed esprimere una creatività capace anche di riappropriarsi di una tradizione.
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Alta formazione per migranti Da qualche settimana Eliana, Adriano, Ponzalo, Yolanda e Andrea frequentano un corso di Alta Formazione presso l’Università di Basilicata. Non sono studenti lucani ma migranti, discendenti di lucani all’estero, i primi a beneficiare di una misura formativa promossa dalla Regione Basilicata d’intesa con l’Ateneo. La legge diventa uguale per tutti. Ai discendenti dei lucani all’estero vengono garantiti gli stessi diritti di chi vive in regione. Si tratta per questi ragazzi di una “rivincita”. I loro genitori furono costretti a lasciare la loro terra per bisogno, soprattutto di lavoro. Loro rientrano per conoscere anche il passato, ma soprattutto per costruire il proprio futuro. Il master vedrà impegnati per un anno i giovani sudamericani. Quattro di loro si specializzeranno in Comunicazione Pubblica, l’altro in BioIngegneria per la Diagnosi e la terapia medica. Per ogni stagista la Regione ha finanziato una borsa di studio di 7.200 euro a cui si aggiunge un contributo nella misura di 6.000 euro. Determinati a conseguire il prestigioso titolo i cinque giovani vivranno il territorio lucano di cui hanno sin dalla nascita sentito parlare e che hanno definito speciale perché vanta un capitale umano straordinario. Hanno instaurato buoni rapporti di amicizia integrandosi senza difficoltà sia all’interno dell’università sia alla Casa dello Studente che li ospita. È l’ARDSU, l’Azienda Regionale di Diritto allo Studio Universitario, ad aver provveduto alla loro sistemazione fornendo un alloggio, un tesserino per accedere alla mensa universitaria, un abbonamento ai mezzi di trasporto urbano oltre che ad uno sconto variabile dal 40 al 50 per cento per tutte le attività culturali a cui l’ARDSU aderisce. Durante la permanenza i giovani, nell’ambito delle attività promosse dal Comitato istituzionale per le Politiche
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del Lavoro e dall’Ufficio delle Consiglieri di Parità, convoglieranno attraverso il Portale della Regione tutte quelle informazioni che dall’Italia non riescono ad arrivare oltre oceano. Notizie che riguardano l’organizzazione di altri master, delle Borse Lavoro e di tutte le iniziative che saranno promosse. In particolare sarà sperimentata un’attività legata all’insegnamento dell’italiano on line. E dopo il master? Ritorneranno nei Paesi sudamericani dove, questa è la loro speranza, spenderanno il titolo acquisito in Italia nel mondo del lavoro Frequentare un master in Argentina comporta una spesa notevole. Sono pochi i laureati che riescono ad accedere ai corsi post laurea. “La vita - hanno raccontato i giovani - non è facile. Molti non hanno un lavoro e vivono di sussidi concessi dallo Stato. I bambini hanno sempre fame perché il cibo non è mai sufficiente. Ci vuole ancora molto tempo per migliorare la qualità della vita. Siamo fieri di poter fare questo master nella terra che ha dato i natali ai nostri genitori.
Riscatteremo - hanno detto con emozione - i dispiaceri dei nostri cari quando furono costretti a lasciare la Basilicata per cercare fortuna nei paesi dove attualmente viviamo. I nostri genitori sono orgogliosi di noi e li premieremo e ripagheremo i loro sacrifici conseguendo il titolo che ci rilascerà l’Università di Basilicata. Per noi si tratta di una straordinaria occasione che ci porta a rinsaldare le nostre radici lucane e a raggiungere, nel contempo, un obiettivo importante che riguarderà il nostro futuro Ci sentiamo veramente a casa. L’ospitalità dei lucani è eccezionale, il territorio incontaminato, il clima frizzante”. I loro volti sono ancora abbronzati. A Cordoba, La Plata, Buenos Aires, i loro paesi, l’estate è calda e lunga. I loro nonni vivono a Roccanova, Satriano, San Giorgio, Rionero e San Fele. Nei giorni festivi si ritrovano insieme. Sulle tavole pietanze lucane che si accompagnano a vini nostrani. E insieme al piacere dei cibi assaporano con altrettanto buon gusto il dialetto di appartenenza. = 75