MEDIATECA COMMISSIONE EUROPEA
Largo al Mediterraneo IL 2005 È STATO DICHIARATO DALL’UNIONE EUROPEA ANNO DEL MEDITERRANEO. LA COMMISSIONE EUROPEA, IN PREVISIONE DEL 10° ANNIVERSARIO DEL PROCESSO DI BARCELLONA, CHE HA DISEGNATO I CONFINI DI UN VERO E PROPRIO “SPAZIO EUROMEDITERRANEO,” CON UNA POLITICA
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Il Mediterraneo riguadagna spazio nell’agenda dell’Unione Europea. L’idea maturata a Barcellona di definire uno Spazio Euromediterraneo riprende piede. Si ripropone, dunque, l’importanza strategica del Mare nostrum ed il ruolo che esso deve tendere a ricoprire nell’ambito di una nuova dimensione basata sulla cooperazione, la solidarietà ed il comune patrimonio storico. Accade nel momento in cui si consolida l’asse geo-politico e geo-economico verso il nord-est e le istituzioni nazionali ed europee cercano di definire nuovi aspetti di vita in comune e di cooperazione tra i popoli e le diverse culture. La strategia europea tende a rilanciare la creazione di un’area di pace, di stabilità e di sicurezza basata sul rispetto dei principi fondamentali e su una migliore comprensione tra i popoli, due presupposti indispensabili per conseguire l’obiettivo di un bilanciato sviluppo sociale ed economico. In questa ottica generale saranno le specificità locali a poter giocare da un lato un ruolo di “acceleratore” verso la spinta di coesione dei territori euro-mediterranei e le grandi strategie nazionali, settoriali e locali e, dall’altro, a creare quei piani d’azione e quei partenariati tra Paesi, collettività ed imprese che andranno a rafforzare la cooperazione e la solidarietà. Nuove opportunità, dunque, per le regioni del Mezzogiorno italiano, e, quindi, per la Basilicata, per porsi come zona cerniera con l’area sud.
DINO NICOLIA
GLOBALE CHE RIGUARDA TUTTI I PAESI CHE SI AFFACCIANO SUL BACINO, HA ADOTTATO, IL 12 APRILE, UN PROGRAMMA DI ATTIVITÀ CHE DARÀ NUOVA LINFA AL PARTENARIATO. DIVERSE LE AZIONI PROPOSTE NEI TRE AMBITI PRIORITARI: ISTRUZIONE, CRESCITA ECONOMICA DUREVOLE E DIRITTI UMANI.
La prima sfida che la Lucania dovrà affrontare, in chiave euro-mediterranea, riguarda l’ambiente, il cui degrado, accresciuto verso la fine del ventesimo secolo, ha penalizzato in maniera sempre più importante le società e le economie del Mediterraneo.Torna quindi di attualità il tema dello sviluppo di una eco-regione mediterranea in grado di gestire in maniera sostenibile l’ambiente e le sue immense risorse naturali, prime fra tutte il suolo e l’acqua. Il degrado del suolo è l’aspetto che preoccupa maggiormente la Basilicata. Terreni agricoli di enorme valore sono andati persi a causa dell’urbanizzazione e della salinizzazione. Oltre l’80% delle zone aride e secche sono colpite dalla desertificazione. Il fenomeno, letto troppo spesso come una fatalità, andrebbe invece interpretato come una situazione in parte reversibile, come alcuni progetti integrati di sviluppo rurale hanno recentemente dimostrato. Anche la risorsa acqua, in alcune aree piuttosto scarsa, a volte viene sollecitata in maniera eccessiva. In altre zone, invece, la disponibilità di questa risorsa è ampia e potrebbe essere sfruttata per riequilibrarne la disponibilità. Una strategia comune, in questo senso, potrebbe rispondere in maniera più adeguata ed efficiente creando sinergie e complementarietà. La seconda sfida importante riguarda il processo di globalizzazione in atto ed il tema della cooperazione regionale, temi di cui fino ad oggi i Paesi del bacino euro-mediterraneo 8
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non hanno beneficiato. L’insufficienza della cooperazione Nord-Sud e Sud-Sud e la persistenza di conflitti più o meno devastanti hanno rappresentato un handicap persistente. In questo contesto si tratta di attivare alcune linee prioritarie di sviluppo possibile. La prima è la creazione di partenariati durevoli tra le regioni meridionali e i governi e le istituzioni locali della sponda sud per lo sviluppo del settore privato, soprattutto nel campo delle piccole e medie imprese. Un livello, questo, su cui la Basilicata potrebbe inserirsi senza difficoltà, contando su un fitto tessuto di realtà con un ristretto numero di dipendenti ed un fatturato non elevato. Un secondo intervento è quello della formazione di programmi di riqualificazione produttiva, che richiede investimenti in capitale umano, e la collaborazione delle Università delle due aree, per un’intesa tra istituzioni per la formazione di imprenditorialità e di cultura del mercato del lavoro di cui già si annoverano esperienze di alto profilo nel Mezzogiorno. Sarebbe inoltre interessante sperimentare anche la creazione di “centri di studio” nel campo della ricerca, attraverso la realizzazione di apposite istituzioni a livello regionale. La terza azione è quella della costituzione di reti istituzionali di collegamenti tra le associazioni d’imprese artigianali delle due sponde, che stimolino le associazioni delle Pmi lucane a
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promuovere partenariati per valorizzare le risorse umane, ambientali e culturali locali. L’attuazione di questa strategia di insieme non richiede tempi lunghi o iter particolarmente complessi; sarebbe già sufficiente l’impiego degli strumenti a disposizione delle regioni meridionali per la proiezione internazionale dell’apparato produttivo locale, alcuni dei quali sono ad esempio inseriti nei POR, i Piani Operativi Regionali per la promozione dell’internazionalizzazione delle Pmi. Allargando nuovamente l’orizzonte, si può dunque osservare come la “politica di prossimità” - i cui contenuti già esistono, ma vanno rafforzati ed adeguati costantemente alla realtà di un mondo in continuo movimento - costituirà inevitabilmente una delle priorità che l’Unione dovrà affrontare nei prossimi anni. Non si potrà più immaginare un’Unione che si espanda all’infinito, allargando costantemente i propri confini. Occorre pensare, invece, ad un’Unione che stabilisca delle relazioni forti con i propri vicini, ma senza mettere in comune le istituzioni. Jeremy Rifkin evidenzia nella sua pubblicazione The European Dream: How Europe’s Vision of the Future Is Quietly Eclipsing the American Dream come l’Europa stia diventando la nuova terra delle opportunità per milioni di persone che sono alla ricerca di un futuro migliore. In un mondo sempre più stanco
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* Quest’articolo riflette le opinioni dell’autore e non quelle dell’istituzione cui appartiene.
Europe has started to look again with a renewed interest at the Mediterranean Sea, an area from where the West drew its moral values, its culture and the development of its civilization. This happens in a period when the geo-political and geo-economic axis is consolidating towards the North-East and when the national and European bodies try to establish new aspects of common life and cooperation among different populations and cultures. Thus the strategic importance of the Mediterranean Sea crops up again and also the role it should play within a new dimension based on cooperation, solidarity and on the common historical heritage. An excellent opportunity that the regions of the South of Italy, and especially Basilicata, should seize in order to become the hinge of the Southern area, by playing a major role not only for their geographical position, but also for the historical and cultural reasons which link Italy to this area of our planet. From a Euro-Mediterranean point of view, the first challenge Basilicata will have to face concerns the environment; it will have to promote the development of a Mediterranean eco-region able to manage its environment and its huge resources in a sustainable way. The other challenges concern the globalization process, the creation of productive re-qualification programs and the implementation of institutional networks for connecting the handicraft business associations located on the two shores which can encourage the Lucanian SME associations to promote partnerships in order to give a greater value to the local cultural, environmental and human resources.
OTTAVIO CHIARADIA
delle visioni individuali, il nuovo sogno europeo ha osato creare una nuova sintesi, che combina la sensibilità postmoderna per le prospettive molteplici e multiculturali con una nuova visione universale. In questa ottica, è ora arrivato il momento in cui l’Europa, dopo aver quasi riunificato se stessa, provi ad immaginare una relazione più costante ed assidua con le aree che le sono limitrofe. È giunto il momento che provi ad estendere il suo sogno anche ai paesi vicini, in modo da poter condividere con essi le sfide dell’era globale. E per farlo, occorrono visione e prospettiva. Il Mediterraneo, in definitiva, costituisce una realtà umana, sociale e storica che impone all’Europa di prendere misure coraggiose verso l’avvenire. Un’area che, nonostante mille incomprensioni e difficoltà costanti, resta di straordinaria e strategica importanza per l’Unione europea. Dopo l’allargamento verso l’Europa centro-orientale, di cui hanno beneficiato soprattutto le regioni del nord, si deve dunque assecondare lo sforzo che l’Unione europea sta facendo in direzione Sud. Puntare verso il Mediterraneo vorrà dire favorire la centralità delle regioni del Mezzogiorno, per anni confinate ai margini dell’area comunitaria. Lo sviluppo della Basilicata, non più beneficiaria assoluta dei fondi strutturali, passerà dunque certamente attraverso un processo di internazionalizzazione del suo sistema produttivo. La strategia euro-mediterranea che l’Unione europea sta sviluppando potrà essere il “grimaldello” per favorire questo processo. =
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Uniti da Euromed
ROSITA ROSA
A Matera un’agenzia per il Mediterraneo La neonata Agenzia di Sviluppo della Provincia di Matera promossa dalla Cna, dalla Lega Regionale delle Cooperative e dallo Studio Acitoandpartners,vede la luce in un momento politicamente favorevole per la proiezione del Mezzogiorno d’Italia verso la Regione Euromediterranea e verso le aree dell’Africa Settentrionale. L’obiettivo di coordinare, attraverso l’Agenzia, una rete locale che comprenda le comunità della provincia, le piccole
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Nuovo corso nei rapporti tra UE e la sua turbolenta periferia meridionale. Il progetto di partenariato di Barcellona, siglato nel 1995 e ribadito nel corso di successivi incontri (nel 1997 a Malta, nel 1998 a Palermo, nel 1999 a Stoccarda), ha introdotto per la prima volta il termine di “cosviluppo”, arginando, così, quella tipologia di intervento che si caratterizzava come modello di aiuto allo sviluppo. Obiettivi dichiarati del programma: istituire uno spazio comune di stabilità economica e sociale attraverso il rafforzamento del dialogo politico. Nel 2002 il Parlamento europeo alla conferenza di Valencia ha approvato una risoluzione con la quale ha chiesto un’applicazione concreta e più efficace della clausola degli accordi euromediterranei. L’entusiasmo iniziale, però, si è andato man mano attenuandosi, per poi riaccendersi in questi ultimi mesi, come confermato dall’europarlamentare lucano Gianni Pittella “Allo stato il progetto non ha prodotto i risultati auspicati. Importanti passi in avanti sono stati compiuti con l’istituzione del ‘Forum Euromediterraneo’, e alcune linee di finanziamento hanno riscosso una certa attenzione da parte delle Istituzioni nazionali e locali dei Paesi Ue. Tuttavia le realtà economiche, produttive, culturali, universitarie, scientifiche e associative - prosegue Pittella non sono riuscite a sfruttare a pieno tale occasione, e non solo per proprie responsabilità. La strategia di Barcellona è stata frenata da tre grandi problemi: l’esiguità delle risorse destinate dalla Commissione a tale programma, una gestione eccessivamente macchinosa, burocratica e centralista dei diversi progetti, e la condizione di profonda e strutturale instabilità politica della regione mediorientale - la più interessata ovviamente al programma – che certo non ha favorito l’affermarsi di quelle condizioni minime di normalità, indispensabili per costruire una strategia di sviluppo tanto ambiziosa”. e medie imprese con le loro associazioni di categoria e organismi rappresentativi e l’intera società civile, forte di istituzioni e associazioni, patti territoriali, consorzi, gruppi di azione locale, comunità montane, parchi naturali e municipalità, OTTAVIO CHIARADIA
“Il Mediterraneo non è un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi, non una civiltà, ma un susseguirsi e stratificarsi di civiltà le une sulle altre. Il Mediterraneo è un mare tra le terre, che le divide e le collega allo stesso tempo. È un luogo di confine e il suo sapere è un sapere composito, una saggezza che ospita più saggezze”. Un pensiero, quello di Braudel, pienamente condiviso dall’europarlamentare Gianni Pittella e dal rettore dell’Università degli Studi della Basilicata, Lelj Garolla Di Bard, che indicano gli strumenti necessari per far decollare il progetto europeo.
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In prospettiva, la sfida lanciata alle istituzioni verso un’economia aperta ai mercati internazionali, presuppone riforme strutturali e un confronto serrato e continuo tra enti, terziario, industria e libere professioni. E le regioni, in primo luogo quelle del Sud del Mediterraneo, non possono lasciarsi cogliere impreparate. Per la Basilicata, in particolare, “occorre produrre uno sforzo per mettere in rete Università, Enti Locali, istituti di ricerca e presidi culturali, attività produttive-artigianali, industriali, agricole, mondo del commercio e professioni affinché queste possano elaborare un grande progetto sul futuro della Basilicata in Europa e
nel Mediterraneo. Senza una visione chiara, strategica e di lungo respiro non vi saranno mai progetti di merito convincenti, coordinati ed efficaci”. In questo senso - sottolinea Pittella - “sarebbe utile un vero e proprio Forum Regionale permanente che, associando in maniera ordinata tutte queste realtà, sia in grado di offrire alla classe dirigente politica un progetto complessivo che prepari la nostra regione a giocare un ruolo da protagonista nella nuova area di libero scambio”. Aprire le frontiere verso il Sud del Mediterraneo può essere un’occasione da non perdere per 8
trova in questo momento l’opportunità di misurarsi con l’ambizioso obiettivo della internazionalizzazione del territorio. La sfida riveste carattere di assoluta priorità nelle strategie regionali di tutto il Mezzogiorno, anche in considerazione degli effetti (soprattutto quelli negativi) che la globalizzazione ha riservato negli ultimi tempi all’economia locale italiana ed europea. La crisi delle piccole e medie imprese è evidente, e la delocalizzazione produttiva verso Paesi con manodopera a più basso costo ha mostrato quanto sia inutile e dannoso rifuggire dalle complesse scelte di politica industriale per percorrere le scorciatoie dei costi sociali. In questo senso l’Agenzia
appare, dunque, uno dei migliori strumenti politici e tecnici con cui promuovere la coesione sociale e su cui investire le energie del territorio. Una rete locale di soggetti autonomi ma coesi a cui affidare un ruolo di rappresentanza dell’idea di sviluppo umano. L’Agenzia di Matera nasce anche con un forte sponsor internazionale, il Programma Art (Appoggio alle reti territoriali) dell’Onu che ha più volte approvato e incoraggiato i tentativi di un gruppo di soggetti locali di costruire un sodalizio che organizzasse l’offerta di cooperazione internazionale e al tempo stesso promuovesse lo sviluppo locale come motore della solidarietà e dello sviluppo sostenibile 8
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lo sviluppo dell’economia del Mezzogiorno “il nostro Sud, Basilicata inclusa, diverrebbe la porta d’ingresso dell’Europa per tutti i traffici commerciali che dal nord Africa e dal Medio Oriente potrebbero svilupparsi in un’area di libero scambio. Inoltre, l’idea di dar vita a insediamenti industriali a capitale misto rappresenterebbe un’occasione preziosa di internazionalizzazione e crescita del
e partecipato. Il programma ha indicato nella Regione Euromediterranea e nella Libia il primo obiettivo alla portata dell’Agenzia di Matera. Due mesi fa una delegazione della Regione libica di Derna ha fatto sosta a Matera, accompagnata da alcuni funzionari delle Nazioni Unite e da rappresentanti dell’Agenzia di Matera. Del territorio è stata apprezzata la capacità di recupero del centro storico della città che richiama paesaggi urbani maghrebini, ma anche l’operosità delle cooperative agricole del metapontino e del distretto industriale della Val Basento.
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nostro tessuto produttivo. Il portato delle chances a disposizione delle nostre regioni è molto ampio. Ovviamente saperle sfruttare, poi, è tutto un altro discorso. Occorrono investimenti e opere infrastrutturali che potenzino anzitutto porti e aeroporti, strade e ferrovie, corridoi materiali e immateriali di comunicazione e connessione tra il Sud e l’area mitteleuropea. Serve una politica fatta di investimenti produttivi e grandi scelte strategiche, allo stato del tutto assente. Se i tempi di percorrenza del flusso delle merci, ad esempio, dalla Cina a Reggio Calabria, Bari o Palermo resta uguale al tempo che poi tali merci impiegano per raggiungere da qui Francia e Germania, come è praticamente ora, è chiaro che la sfida è persa in partenza”. Economia e sviluppo, dunque. Ma non solo. Con il partenariato euro-med non ci si prefigge solo di accorciare le distanze tra i sistemi politici ed economici, ma anche di favoriUna missione materana tra qualche mese partirà per restituire la visita e contribuirà a creare un forte e stabile partenariato con la regione di Derna, all’insegna della reciprocità che impone ruoli eguali e scambi paritetici. Si tratta di un primo orizzonte che la presenza dell’Agenzia di Sviluppo ha consentito di aprire alla comunità materana. Ma la partita dell’internazionalizzazione è solo all’inizio. Una scommessa che vale la pena di intraprendere insieme, concertando tra di noi obiettivi e ruoli, perché dalla coesione può nascere uno sviluppo che può essere davvero per tutti. Leonardo Montemurro
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re l’incontro tra le diverse culture. E in questa ottica un ruolo strategico spetta alle università. La condivisione dei progetti, la diffusione della didattica e della ricerca per la promozione di programmi sperimentali sono “un interessante processo di integrazione che - come ha sottolineato il Rettore dell’Università degli Studi della Basilicata, Lelj Garolla Di Bard - per avere successo deve puntare sulla circolazione della conoscenza”. Ma il problema non è solo quello della conoscenza in senso generico, ma di una conoscenza nel rispetto delle diversità, dove le diversità devono diventare un momento di arricchimento che nel rispetto reciproco contribuiscono a vedere la realtà da punti di vista alternativi e non escludenti. Il Mediterraneo come luogo sperimentale di tolleranza rispettosa, premessa di un dialogo capace di mantenere l’essenziale e riconoscere differenze e complementarietà. Una sorta di “luogo ideale, non costituito attorno ad una ideologia, per realizzare quel confronto di culture, idee, metodologie, linguaggi diversi, avendo l’obbiettivo di costruire assieme una visione più ampia della realtà in cui operiamo”. E in vista di quest’obiettivo, l’ateneo lucano, che nel mese di aprile ha presentato lo studio “Europa Mediterraneo”, sta già lavorando alla realizzazione di un scuola di dottorato “che abbia come obbiettivo - sottolinea il Rettore - quello di offrire occasione di scambio con laureati del bacino Euromediterraneo anche in collaborazione con lo IAM (Istituto Agrario Mediterraneo) con cui abbiamo già da tempo sottoscritto un accordo di collaborazione con questa finalità”. =
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The European Commission is firm and sets a working program aimed at reinforcing the Euromediterranean partnership. Five years after the deadline set in Barcelona for accomplishing the free trade in the Mediterranean basin, the Commission is planning actions intended to achieve progress in the field of education, sustainable economic growth, human rights and democracy. Moreover, it will also provide actions concerning social reforms, environment, migratory flows, mass destruction weapons and the fight against terrorism. A sign which can be seen as a renewed European interest in Euro-Med partnership. An ambitious project which was started long ago; there was some talk of it in the early Sixties, when France highlighted the need for strengthening commercial interdependence. Nevertheless, it was only during the Paris summit in 1972 that a Mediterranean Global policy was identified. The real turning point was Barcelona 1995. “Meaningful steps from the projects’ point of view which, unfortunately - as the member of the European Parliament Gianni Pittella highlights - have been discouraged by big problems: the scarcity of resources, an extremely bureaucratic management of MEDA projects and the deep political instability in the Middle Eastern area. A good project which has not generated the desired results but which is still an excellent opportunity for the Italian Mezzogiorno and for Basilicata, that could become the European link to all the trades which, from Northern Africa and Middle East, would develop in a free trade area”. And the Rector of the University of Basilicata, Lelj Garolla di Bard adds “It is a challenge that, in order to be accepted, must rely on knowledge, too. Knowledge we can find in universities, places of research for frontiers, space where you can plan comparative programs, such as the one the Lucanian university is preparing. Together with the Istituto Agrario Mediterraneo - Di Bard said - we are working on the creation of a doctorate school intended to offer, among other things, a possibility of a graduate exchange from all over the Euromediterranean basin”.
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Esiste una Basilicata euromediterranea?
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E, insieme con il vigoroso filone del pensiero politico e filosofico della Grecia antica, vanno ricordate come componenti del gene europeo, l’Ebraismo e il Cristianesimo, le grandi realtà religiose venute dal Mediterraneo. Va aggiunto certamente l’Islam percepito però dall’Europa in una duplice dimensione, quella politica che vedeva nel variegato mondo delle etnie mediorientali, il diverso, l’estraneo, l’altro da sé e quella culturale che dal grande patrimonio di cultura e di civiltà del mondo arabo aveva attinto a piene mani specialmente per la filosofia, la medicina, le scienze. In questo caleidoscopio di apporti non è mancato il filone bizantino riveniente dallo stesso ceppo dell’esperienza cristiana ma arricchito altresì dalla forza spirituale dell’ortodossia innervata nelle vigorose sintesi della teologia orientale, della tradizione liturgica pervasa da accattivante misticismo, nella concezione della spazialità, dei registri PUBLIFOTO - OLYCOM SPA
Se non fosse stato espunto dal progetto, ora realtà, della Costituzione europea il famoso Proemio, si sarebbe constatato come, nel lungo processo identitario dell’Occidente che includeva nobili matrici quali l’Umanesimo, il Rinascimento, l’Illuminismo, il Mediterraneo giocasse un ruolo essenziale e fondamentale. Si pensi, per l’età antica, all’opera Platone e l’Europa di uno dei più grandi pensatori contemporanei della Repubblica Ceca, Jan Patoçka (1907-1977), nella quale si sostiene la tesi che l’Europa è nata sulle rovine della Polis greca e di quelle dell’Impero romano: e la forza che l’ha fatta nascere è quella stessa che ha consentito alle tribù e alle nazioni di integrarsi in una nuova aggregazione per realizzare sulla terra il regno di Dio. Un modo per dire come il pensiero greco venuto dal Mediterraneo abbia contribuito a fornire una spinta ideale alla formazione dell’Europa.
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cristiano, in aperta e palese professione della propria fede e del proprio credo religioso. Si guardi ancora alla presenza ebraica con le proprie catacombe, le sinagoghe, i commenti esegetici della Scrittura, l’esercizio della professione medica, l’arte degli scambi e del commercio. Si osservino, altresì, i numerosi episodi di stanziamento degli Arabi nel Mezzogiorno dalla postazione del Garigliano all’Emirato di Bari, all’anclave di Taranto fino alla nutrita serie di villaggi delle comunità islamiche della Sicilia. Si osservino, infine, le eredità dell’Oriente: dalle Chiese greche alle esperienze monacali anacoretiche, esicastiche, lavriotiche disseminate specialmente nei territori bizantinizzati, all’introduzione dei tesori culturali del mondo classico. 8 PUBLIFOTO - OLYCOM SPA
nate al di là del Mediterraneo e venute in Occidente attraverso il mare. Si pensi alle colonie magnogreche allineate lungo le coste meridionali della penisola, agli incontri e agli scontri con le popolazioni indigene, alle scuole filosofiche, ai culti misterici di segno opposto, se non diverso, alle esperienze politiche che accompagnarono l’organizzazione delle colonie, al mondo mitologico, alle espressioni artistiche, in definitiva al lascito cospicuo trasmesso dalla Grecia all’Occidente europeo. Si consideri, inoltre, l’incardinamento del messaggio evangelico specialmente nelle città della costa ormai acquisite all’Impero romano attraverso le prime comunità inizialmente in clandestinità, poi, dopo l’ammissione del culto PUBLIFOTO - OLYCOM SPA
decorativi, delle espressioni artistiche degli invasi sacrali. Insomma, senza il Mediterraneo, l’Europa o non sarebbe mai nata come consapevole unione dei popoli e di nazioni o avrebbe avuta una storia intrameniale fatta di separatezza, di marginalità, di circoscritti orizzonti. Ben a ragione, allora, recependo queste stratificazioni di arricchenti patrimoni, l’Europa ha assorbito lo stigma della mediterraneità e, quindi, ha trovato nel mare il vettore, il tramite, lo specchio riflesso della propria identità. Se tutto questo ha un’anima di verità, si comprende bene come il Mezzogiorno d’Italia sia stato un’area privilegiata in quanto punto obbligato di passaggio e di travaso di queste esperienze
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ARCANGELO PALESE
MELFI (PZ), IL CASTELLO FEDERICIANO
TURSI (MT), LA RABATANA
della costa e i territori interni era costituito dalle vie naturali formate dalle vallate che, insieme con il Sele e i suoi affluenti, rientrano in quel paradigma storiografico delle “civiltà in contatto” così peculiare per cogliere i nessi e gli esiti della storia regionale. Ma non vanno dimenticate le Scuole filosofiche come la pitagorica, attestata, oltre che dalla presenza di Pitagora stesso, dagli elenchi dei pitagorici metapontini da Archita a Evefeno, a Occello lucano, e via elencando. Quanto alla presenza cristiana è ben noto come il processo di cristianizzazione nei territori dell’antica provincia lucana avesse seguito gli stessi ritmi e avesse conosciuto le stesse caratteristiche delle altre aree dell’Italia meri-
ARCHIVIO ALTRIMEDIA
Se restringiamo il campo di indagine alla Basilicata il panorama or ora tracciato trova puntuale riscontro sia dal punto di vista storico che da quello culturale, linguistico e artistico. Sono note le diverse fasi della colonizzazione greca documentate in età precoloniale da una consistente presenza micenea e dalla fondazione prima di Siris poi di Metaponto tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.c. e, infine di Heraclea in seguito all’accordo intervenuto tra Thouroi e Taranto per il possesso della Sirtide. Prima di scomparire queste colonie avevano compiuto la loro missione di incivilimento delle popolazioni antiche della zona compresa nell’attuale Basilicata. Infatti il tramite tra queste poleis
TURSI (MT), ABSIDE SANTA MARIA DI ANGLONA
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dionale. Alcuni elementi vanno posti in significativo risalto per spiegare il graduale radicamento dell’ordinamento ecclesiastico nella regione; il sistema risulta sostanzialmente monodirezionale costituito dalla via Herculia, l’unica strada di raccordo tra l’Appia e la Popilia interessate rispettivamente dagli snodi di Venosa e di Nerulum; l’iniziale insediamento di comunità sparse non inserite organicamente nei gangli di precise circoscrizioni carismatiche; infine il passaggio, nella seconda metà del V secolo, ad una visione territoriale della giurisdizione ecclesiastica con le prime diocesi di Potenza, Venosa e Acerenza. Strettamente collegato all’insediamento cristiano è la presenza ebraica
ENGLISH The Euro-Mediterranean project, aimed at the construction of a unitary identity process even if in the diversity of its cultures, civilizations, ethnic groups which make it up, cannot ignore the political and philosophical contribution given by Ancient Greece, the great Mediterranean monotheistic religions such as Hebraism, Christianity and Islam, the religion and spirituality of Byzantium, all having a Mediterranean stigma. In short, without the Mediterranean, Europe would have never been born as a
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OTTAVIO CHIARADIA
OTTAVIO CHIARADIA
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POLICORO (MT), L’ANTICA CITTÀ DI HERACLEA
a Venosa dove i Giudei agli inizi del IV secolo costituivano la metà della popolazione locale e dove la ricerca archeologica ha restituito catacombe ed epigrafi in greco, latino ed ebraico, ma anche a Melfi come si evince dall’Itinerario di Beniamino da Tudela. Le fonti toponomastiche a loro volta ci offrono interessanti elementi per la presenza degli insediamenti islamici della Basilicata, come Castellum Saracei (Castel Saraceno) ubicato non lontano da Carbone e Armento, come Pons Saraceni, tra Oppido e Irsina. Il termine Rabatana, utilizzato per indicare la parte sommitale di Tursi e un quartiere di Tricarico, costituisce la testimonianza più significativa dal punto di vista toponomastico in quanto vie-
ne dall’arabo Ribat che dall’originario ospizio indicò i luoghi fortificati utilizzati come rifugio dai conquistatori o razziatori arabi, ma non si dimentichi che a descrivere dal punto di vista geografico la Basilicata è stato Ibn Idris noto come Edrisi così come vi è memoria di un casale scomparso intitolato a San Giacomo abitato dai Saraceni. Quanto, infine, a Bisanzio sembra superfluo ricordare che lo stesso nome della regione rinvia alla seconda colonizzazione bizantina, al fatto che il terzo tema del Catepanato d’Italia si intitola Leucania con Capitale Tursi, alle isole linguistiche con sostrati greci, ai corredi agiografici delle chiese rupestri del materano, ai monasteri italogreci, a quel singolare monumento che
è Santa Maria d’Anglona che nei registri pittorici esprime compiutamente gli ultimi rigurgiti di una ricca stagione di cultura e di arte. Ma il personaggio che potrebbe compiutamente interpretare questo mosaico di culture e di civiltà, è Federico II che parlava greco, arabo, ebraico e latino, che aveva a corte nel castello di Melfi insigni esponenti di quelle culture, che amava circondarsi di saraceni come guardie del corpo, che viveva come un sultano. L’Europa mediterranea ha un dovizioso bacino di segni proprio in Basilicata e la capacità di evidenziarli costituirebbe una carta vincente nella costruzione di un’Europa che dal Mediterraneo si spinge sino agli Urali. =
conscious blending of populations and nations and would have had a history “inside the walls”, composed of mutual distinction, marginality and restricted horizons. By regaining these layers of enriching heritages, Europe has absorbed the living strengths of being Mediterranean, thus discovering in the sea the vector, the link, the reflected image of its own identity. Professor Cosimo Damiano Fonseca, member of the Accademia dei Lincei and first Rector of the University of Basilica-
ta, outlines the history of the Mezzogiorno considering it a privileged area, being an unavoidable point of transit and passage of these experiences originated on the other side of the Mediterranean Sea and came to the West across it. By restricting the area of investigation to Basilicata, the outlined panorama is clearly confirmed, both from the historical and from the cultural, linguistic and artistic point of view, by the noteworthy traces of the civilization of Magna Grecia, by the phases of Christianization, by
the Hebraic and Islamic presences and by the great political and religious experiences coming from the Byzantine world. However, the personality who could emblematically represent this mosaic of cultures and civilizations could be Frederick II, a Christian who used to live as a Muslim, who surrounded himself with Hebrew scholars, who adopted insignia and ceremonials typical of Byzantium. The Mediterranean Europe has got a rich heritage of signs right in Basilicata. 17
Egitto, Marocco, Tunisia: le nuove frontiere del Cer
FRANCO MARTINA
Cer e Sprint per potenziare l’internazionalizzazione Assistere le imprese lucane nelle attività commerciali e di cooperazione sui mercati internazionali, con una attività particolare su informazione, ricerche, qualità dei servizi, sulle capacità di raccogliere le sfide della concorrenza e delle mutevoli esigenze dei consumatori. Con questi obiettivi, il Cer, con sede a Matera ma con competenza sull’intera regione, è impegnato a sostenere con professionalità e attenzione le aziende locali nel difficile 18
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È in crescita la domanda di internazionalizzazione delle imprese lucane, che hanno mostrato nel 2004 particolare attenzione verso i Paesi entrati a far parte dell’Unione europea, oltre che per la Cina, gli Stati Uniti e il Canada e i paesi del nord Africa. Con 105 quesiti gli sportelli per l’internazionalizzazione del Centro estero delle Camere di commercio della Basilicata, Euro Info Centre IT 387 e Sprint, hanno attivato 70 ricerche di partners commerciali nei Paesi dell’allargamento, 30 delle quali avanzate da imprenditori lucani. Le richieste maggiori hanno riguardato Lituania, Bulgaria, Romania, Albania, Polonia, Repubblica Ceca, Serbia, Macedonia, Moldavia. I settori di maggiore interesse sono stati nell’ordine l’alimentare con il 47%, commerciale 16%, legno 10%, tessile e pelli 6%. La ricerca dei partners commerciali è passata dalle 33 richieste del 2000 alle 174 del 2004. Un dato che è lievitato in maniera soddisfacente. Come interessante è il numero delle aziende che hanno deciso di misurarsi con i mercati internazionali: 177 nel Materano e 74 nella provincia di Potenza. A far da capofila è il settore alimentare, con 133 aziende nel materano e 42 nella provincia di Potenza. Il desiderio di internazionalizzazione ha contagiato anche altre realtà produttive. Sempre nella provincia di Matera hanno avanzato quesiti per la internazionalizzazione aziende che operano nel settore del legno e mobili (venticinque), nove nel tessile, due nella fabbricazione di macchine e per l’ impiantistica, una nella lavorazione di materie plastiche e della chimica, due nella lavorazione dei metalli. In provincia di Potenza si sono rivolte al Centro estero 13 aziende del settore legno e carta, 4 per la fabbricazione di macchine e dell’ impiantistica, 2 nella lavorazione dei metalli, 4 nella lavorazione di materie plastiche e chimiche. OTTAVIO CHIARADIA
Iniziative di consulenza specialistica contrattuale, formazione, aggiornamento e specializzazione sulle principali tematiche dei rapporti commerciali con l’estero. È ciò di cui si occupa il CER, Centro Estero della Camera di Commercio della Basilicata, istituito nel 1968, che ha aderito al progetto Desk Mediterraneo tendente a creare opportunità di commercializzazione in Egitto, Marocco e Tunisia. Sei gli imprenditori lucani che si sono misurati con questa nuova sfida, quattro della provincia di Matera e due della provincia di Potenza.
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Una radiografia che mette in luce segnali positivi e, soprattutto, un’accresciuta capacità imprenditoriale. Agli sportelli dei Centri sono giunti maggiormente quesiti riguardanti gli aspetti macroeconomici, i finanziamenti, le norme societarie, gli incentivi e il fisco, ma anche la collaborazione con autorità locali e la potenzialità dei vari partners. Le richieste di informazione per joint ventures hanno riguardato nell’ ordine salotti, agroalimentare, metalmeccanico, particolare attenzione ha riguardato l’acquisto di appezzamenti di terreno per coltivazione o per allevamento (Albania e Romania). Altrettanta attenzione è stata rivolta verso Stati Uniti, Canada, Germania per il settore agroalimentare. Verso il Giappone, la Cina, la Svizzera e il Regno Unito, invece, l’interesse si è focalizzato su tutti i settori. Ancora limitata è la possibilità di cooperare con i paesi del versante africano del Mar Mediterraneo (Libia, Tunisia, Alge-
ria in particolare) attraverso i programmi della cooperazione europea e internazionale. Un centro in piena attività, quello lucano, come dimostrano gli ultimi progetti messi in piedi. In questi ultimi mesi, il Centro estero ha posto le basi per avviare rapporti di cooperazione tra le imprese lucane ed il mercato tunisino attraverso il progetto Integra, promosso dalla UE ed il ministero delle attività produttive ed ha organizzato un road-show destinato a funzionari della Tunisia dai cui sono emerse concrete opportunità per avviare rapporti di collaborazione e cooperazione con i mercati che si affacciano sul Mediterraneo, soprattutto nei settori della illuminazione industriale per eventuali appalti; delocalizzazione di unità nel settore accessori auto ed elettronica; distribuzione per l’agroalimentare; delocalizzazione per il mobile imbottito. 8
confronto su mercati sempre più concorrenziali ed esigenti, dove la qualità, la flessibilità, il marketing, l’ affidabilità, i costi fanno la differenza. A tutto questo il Centro ha aggiunto una marcia in più, gestendo e coordinando lo “Sprint’’, Sportello Regionale per l’Internazionalizzazione delle Imprese. Nato dall’accordo tra Regione Basilicata e Ministero delle Attività Produttive, il progetto si pone l’obiettivo di fornire uno sportello unico per sostenere le imprese locali che vogliano affacciarsi sui mercati esteri e, in sinergia con il più recente Sportello Unico all’estero, di assumere un ruolo di “ponte” con le realtà italiane all’estero. Partners di Sprint sono Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE), Servizi Assicurativi del Commercio
Estero (SACE ), Società Italiana per le Imprese all’Estero (SIMEST), Unioncamere Basilicata e Sviluppo Italia Basilicata. (F. M.) Centro estero delle Camere di Commercio della Basilicata Sede amministrativa: via Don Minzoni n. 11 - Matera. Sede legale: c/o Camera di commercio via Lucana 82, Matera tel. 0835 256577, fax 0835 330633 www.centroestero.basilicata.it amministrazione@centroestero.basilicata.it 19
Attesa l’importanza ai nuovi mercati mediterranei da parte degli imprenditori lucani, il Centro Estero ha aderito al progetto Desk Mediterraneo, finalizzato alla realizzazione di una serie di azioni volte ad avviare e sostenere il processo di internazionalizzazione di imprese italiane in Marocco, Egitto e Tunisia, considerate le aree di maggiore interesse strategico per l’Italia Le aziende lucane che hanno formalmente aderito al progetto sono state sei, di cui quattro della provincia di Matera e due della provincia di Potenza. Le azioni realizzate hanno riguardato l’elaborazione di un company profile di ciascuna azienda lucana , successivamente trasmesso al Coordinatore di Progetto Intertrade, per la realizzazione di un catalogo contenente tutte le schede imprese. “Lo Sportello Unico e le altre opportunità dell’internazionalizzazione - ha dichiarato il presidente del Centro Estero
Desk Mediterraneo: sfida raccolta da sei aziende lucane Quality Program, K8l Srl, Venezia Srl, Impresa Valore Srl, P8G Lingerie e Pangaro: sono le sei aziende lucane che hanno partecipato all’iniziativa Desk Mediterraneo, progettato nell’ambito dell’Accordo di programma ICEUnioncamere, Assocamerestero e Ministero delle Attività Produttive, tendente a sostenere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane sulla sponda sud del Mediterraneo. Grazie ad una full-immersion con ricerche, mission, incontri organizzati dal Cer di Basilicata, gli imprenditori hanno avuto modo di scoprire le potenzialità di mercato, le opportunità e i rischi delle operazioni da realizzare in Egitto, Marocco e Tunisia.
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di Basilicata, Giovanni Matarazzo - rappresentano un osservatorio privilegiato dei movimenti di import/export e della forte richiesta di internazionalizzazione degli imprenditori lucani, con un fortissimo interesse verso i mercati dell’Est europeo, dell’area balcanica, dei nuovi Paesi dell’Allargamento e in futuro anche con i Paesi del Mediterraneo. Si è registrato nel 2004, per esempio, il 255% in più dell’export alimentare nei nuovi Paesi (dato DAPEF). È un dato incoraggiante anche se i volumi commerciali sembrano essere ancora troppo limitati. La richiesta degli operatori lucani quindi sembra essere di intensificare le azioni di promozione dei prodotti alimentari tipici e di qualità sui mercati dell’Europa dell’Est ed anche extra europei. Chiedono allo stesso tempo di individuare nuovi canali di commercializzazione in quei Paesi europei che tradizionalmente hanno rappresentato per la Basilicata le migliori destinazioni ma dove si sono verificate perdi-
Plurisettoriale l’ambito di azione del gruppo dei sei che ha raccolto la sfida. La Quality Program di Matera vanta un’esperienza pluriennale nell’attività di consulenza rivolta alle PMI e alle aziende di grandi dimensioni; Impresa Valore, fondata nel 1994 a Matera, si occupa di consulenza ed organizzazione aziendale e si rivolge ad imprese ed enti di sviluppo governativi, la P&G Lingerie, con sede ad Acerenza, disegna e produce capi di abbigliamento intimo per la donna; Pangaro, con sede a Senise, si occupa da 30 anni di progettazione, costruzione e vendita di macchine ed attrezzature per l’edilizia e l’industria; Frantoio Venezia, con sede a Montescaglioso, produce dal 1994, olio di straordinaria qualità venduto in USA, Giappone, Germania, Olanda, Belgio, Croazia, Finlandia; K&L Srl, con sede a Matera, è un gruppo di giovani imprenditori custodi di una centenaria esperienza. Vasta la gamma di prodotti, che spazia dai divani ai complementi di arredo.
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BASILICATA te di quote di mercato. Grande interesse si registra quindi verso i Paesi dell’allargamento quale nuovo sbocco per i prodotti lucani dell’agroalimentare e per altri settori. Tra questi segnalo il settore del mobile imbottito per delocalizzare e per avviare nuove attività produttive, nonché per collaborazioni nel settore manifatturiero (e conseguente import in Italia) di semilavorati in legno (per il settore del mobile imbottito e per il settore legno: porte, finestre, infissi etc.). Il settore del mobile imbottito, già dal 2002 ha manifestato interesse per inviare in Romania, Albania e Polonia prodotti semilavorati dotati delle parti in legno manufatte in loco con legno locale e a costi di manodopera convenienti. Il comparto ha mostrato, dunque, un notevole interesse ad importare sia prodotti semilavorati che il legno dai Paesi dell’Est europeo: da Lituania, Ucraina, anche Romania. L’azione del Centro Estero - sottolinea Matarazzo - è caratterizzata da una azione di sostegno alle
imprese ed è caratterizzata da un continuo confronto con le Camere di commercio di Potenza e di Matera, che rappresentano le nostre antenne sul territorio, e con la rete del nostro sistema relazionale e operativo all’ estero. Fiere, rassegne specializzate, enti di promozione e società di servizi, nuove realtà produttive alla ricerca di partnership rappresentano alcune delle opportunità che in Europa, Americhe, Asia e in altre realtà emergenti come i paesi africani e del Medio Oriente possono favorire la presenza e la diffusione delle nostre imprese”. “La Basilicata, poi, - conclude convinto il presidente del Centro Estero di Basilicata - può svolgere un ruolo sempre più importante di riferimento nel Mediterraneo tra Asia, Africa ed Europa. Per questo occorre lavorare bene, attivando tutti gli strumenti e le opportunità della programmazione e della cooperazione internazionale’’. =
The Chamber of Commerce’s Foreign Centre (CER) of Basilicata concentrates on spreading an economic and business culture, allowing the firms to operate in international markets. It also implements actions of skilled consultancy on contracts, training, updating and specialization on the main issues of trade relationships with foreign countries. Moreover, it supplies enterprises with services able to make their activities in the international markets easier, by putting at their disposal data and information on the intervention areas, companies, international contests and calls for tender, fairs and exhibitions, and by facilitating, if demanded, their contacts with the local enterprises. CER Basilicata contributes in providing information on financial and international trade policy initiatives and promotes new associations (employers’ associations and similar bodies) in order to support trade exchanges with foreign countries. It also plays a promoting and assisting role which gives a boost to the
participation of the operators in specialized fairs or festivals. Since 1998, the Foreign Centre has been the seat of Euro Info Centre (EIC IT 387), which aims to improve the SMEs’ access to information and consultancy about the domestic market and the other European policies in the field. What is more, the Foreign Centre also manages and coordinates “Sprint”, the Regional Bureau for the Internationalization of Enterprises; it originated from the agreement between the Region of Basilicata and the Ministry of Productive Activities and its goal is to provide a single bureau for supporting the local companies wishing to enter the foreign markets and, in synergy with the Single Bureau created more recently abroad, to take on the role of a “bridge” with the Italian reality abroad. SPRINT works in partnership with Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE), Servizi Assicurativi del Commercio Estero (SACE ) S.p.A, Società Italiana per le Imprese all’Estero (SIMEST), Unioncamere Basilicata and Sviluppo Italia Basilicata.
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OTTAVIO CHIARADIA
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SULLE TRACCE DEL PENSIERO DELL’UMANITÀ ABBIAMO RISCOPERTO UN GRANDE INTELLETTUALE LUCANO DEL NOVECENTO, CHE SEPPE IMPORSI ALL’ATTENZIONE DEL MONDO LETTERARIO DELL’ITALIA INTERA PER I SUOI STUDI UMANISTICI, FILOSOFICI, PEDAGOGICI, STORICI. GERARDO RAFFAELE ZITAROSA DA MURO LUCANO (OVE NACQUE IL 24 OTTOBRE 1903) SI DIRESSE A NAPOLI, STABILENDOVI LA PROPRIA SEDE AFFETTIVA E LAVORATIVA FINO ALLA MORTE, AVVENUTA IL 2 GENNAIO 1973. LAVORÒ INSTANCABILMENTE ALLA CREAZIONE DI RIVISTE, CASE EDITRICI ED ASSOCIAZIONI CULTURALI SENZA MAI DIMENTICARE LA SUA LUCANIA ALLA QUALE DEDICÒ NUMEROSI STUDI. LA SUA CREATURA PREDILETTA FU LA RIVISTA “ASPETTI LETTERARI”, UNA RASSEGNA CRITICA DEL MOVIMENTO LETTERARIO, ARTISTICO E SCIENTIFICO CUI RIVOLSE TRENT’ANNI DELLA SUA ESISTENZA. AMICO DI BENEDETTO CROCE, FRANCESCO SAVERIO NITTI E GIUSTINO FORTUNATO, ALLIEVO DI FRANCESCO DE SANCTIS E DI FRANCESCO TORRACA, VISSE TRA I MITI DELLA CULTURA CLASSICA.
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“Siamo di una terra di artisti, di santi, di scienziati, di eroi, di poeti, dove la filosofia è stata produttrice di senso poetico e di senso reale, dove gli uomini politici sanno che la politica è “scienza delle cose” e non improvvisazione e presto scompaiono le figure, di cui il giudizio non spetterà ai posteri”. È quanto sostenne un grande intellettuale lucano, Gerardo Raffaele Zitarosa, studioso e scrittore animato “dal pensiero e dalla tradizione italica” e dall’amore per la sua terra, il cui nome rimane legato alle manifestazioni più importanti della vita culturale italiana tra il 1933 ed il 1973. Uomo dal sapere enciclopedico e fondatore della più prestigiosa rivista d’Italia, “Aspetti letterari”, una rassegna critica del movimento letterario, artistico e scientifico, per oltre un trentennio svolse la sua attività pubblicistica compiendo studi approfonditi sulla cultura italiana e sulle tante storie della nostra terra. Realizzò a latere tante iniziative editoriali come la ricca collana dei “Quaderni lucani”, il “Chi è?” degli “Aspetti letterari”, una serie di volumi per una Biblioteca filosofica, i “Numeri unici” speciali o straordinari e numerose pubblicazioni, circa settanta, di carattere storico, critico-letterario, pedagogico, cattolico e classico. Innamorato delle sue origini, aggiunse più tardi alla Rivista il sottotitolo “Lucania d’oggi” al fine di dedicare ampi spazi alle nuove leve di scrittori, poeti ed artisti lucani sparsi sul territorio nazionale. Un’attività instancabile che ebbe inizio nel 1932 con “La Rivista dei Giovani Autori”, padre di “Aspetti letterari”, palestra e fucina di giovani aspiranti scrittori che si riunirono attorno a lui nella comune pulsione culturale. E proprio nell’intento di dare forza ad una nuova corrente di vita, si adoperò affinché
Gerardo Raffaele Zitarosa e la sua creatura “Aspetti Letterari” EVA BONITATIBUS 22
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da Napoli, sua città adottiva, si irradiasse il nerbo spirituale volto al più alto ufficio: nella lotta tra la cultura e l’anti-cultura si inserì rompendo la cortina di ferro che per anni aveva tappato la bocca a uomini del suo calibro, dando nuova linfa al dibattito culturale. La sua feconda attività fu premiata sempre dalla critica e trovò il giusto riconoscimento nel “Dizionario degli Scrittori Italiani d’oggi”, edito da Pellegrini nel 1969, in cui alla lettera zeta compare il suo nome accompagnato da una breve biografia e bibliografia ed un elenco dei premi ricevuti. Anche il “Dizionario biografico dei meridionali” dell’Istituto Grafico Editoriale Italiano del 1975 riporta una sua biografia, più ampia della prima, come pure la sua diletta creatura “Aspetti letterari” viene menzionata nel “Dizionario della letteratura mondiale del secolo XX” ed indicata come la più longeva tra le riviste italiane. La sua esistenza fu caratterizzata dall’amore per lo studio e dalla sua professione di fede in Dio, valori che ispirarono costantemente l’opera sua. Non ancora laureato in lettere cominciò la sua attività di scrittore collaborando ai quotidiani “Il Giorno” di Matilde Serao e come redattore de “La Basilicata” di Giuseppe Chiummento. L’ambiente partenopeo ebbe influssi positivi sulla sua formazione già forte dei saldi principi cristiani assunti nel paese natio, Muro Lucano, nella scuola del sacerdote Giuseppe Catalano e nella frequentazione dell’Azione Cattolica. Formazione che si vivificò nella migliore tra le università d’Italia grazie alla presenza di docenti del livello dei conterranei Francesco Torraca e Giustino Fortunato, di Benedetto Croce, D’Ovidio e Rosi. Fu dunque allievo ed amico del Croce e del Fortunato,
oltre che di Francesco Saverio Nitti, con i quali strinse un’amicizia solidissima retta da una stima reciproca e dalla condivisione della filosofia della vita. Fu proprio il rapporto con questi tre grandi uomini a segnare la vita culturale e spirituale dello Zitarosa, determinandone la carriera politica e professionale: antifascista e cattolico militante, aborrì la dittatura e per questo subì ogni sorta di persecuzione sino a giungere al veto dell’insegnamento non solo nelle scuole pubbliche ma anche negli Istituti privati. Il suo amore per la cultura fu più grande e così, costretto a lasciare l’insegnamento di latino e greco presso il liceo classico “Vittorio Emanuele III” di Napoli, si dedicò all’insegnamento privato, all’editoria ed all’attività di scrittore e pubblicista. Nel 1931 si laureò (“in ritardo” come scrisse egli stesso) in lettere e a questa data gli fu affidata la direzione degli Atti dell’Accademia “Leonardo Da Vinci” dei Padri Barnabiti, una congregazione di “Apostoli in semplicità di cuore del più nobile e dottrinale Cattolicesimo (…) autentici maestri di educazione e di bontà nella sterminata legione dei servitori di Cristo” che aveva sede nel convitto “Bianchi” di Napoli, cui egli stesso era molto vicino. Zitarosa si sentiva attratto particolarmente dalla figura di Padre Giuseppe Petrarca, preside del convitto al quale dedicò vari scritti tra cui “Il Giubileo Sacerdotale del Padre Giuseppe Petrarca Barnabita”, poiché incarnava perfettamente “la sua missione di sacerdote, il suo apostolato di insegnante, il suo equilibrio di capo di Istituto, il suo slancio di educatore e la sua fraternità viva, commossa di collega e di compagno di lavoro”. Tra il 1928 e il 1932 fondò l’Istituto Meridionale di Cultura, che funzionava anche come casa editrice, e quale 8
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organo divulgativo dell’opera educatrice dei due Istituti creò la “Rivista dei Giovani Autori” dando così inizio alla lunghissima e provvida carriera pubblicistica. Seguirono gli anni della guerra e la rivista fu censurata dal regime perché “ritenuta pericolosa dalla P.S.”, ma non per questo si arrestò la sua attività di scrittore che anzi si intensificò con pagine clandestine e intorno al “Ragguaglio Librario” di Milano. Sono di questi anni numerosi scritti di letteratura, di arte, di storia editi prevalentemente dall’Istituto Meridionale di Cultura e molto importanti sono quelli di pedagogia sul pensiero e l’opera di Don Bosco. In due anni pubblicò “La pedagogia di Giovanni Bosco” (1934) e “Giovanni Bosco, il metodo educativo” (1935) argomento che riprese nel ’47 con “Il sistema preventivo di don Bosco” per la Rivista di difesa sociale e più tardi nel ’68 con “Pensiero e metodo di Giovanni Bosco”. In questi scritti emerge il pedagogo che ricostruisce il pensiero del Salesiano rivolto alla formazione ed alla educazione “civile, morale e scientifica degli allievi”. Zitarosa si era occupato dei problemi educativi ed aveva dato vita ad alcuni saggi sui grandi problemi dell’educazione e della scuola, avendo a cuore i giovani: “Bisogna insegnare ai giovani innanzitutto a discutere. Ed è problema di sviluppo dell’intelligenza... Se educheremo la nuova generazione a ricercare la verità, a meditare, a riflettere, a discutere, prepareremo le vere intelligenze dell’avvenire... Compito della scuola dev’essere quello di formaDA DX GERARDO RAFFAELE ZITAROSA E FRANCESCO SAVERIO NITTI
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re l’intelletto ed il carattere del giovane…per questo la scuola non può limitarsi ad istruire o preparare l’alunno al futuro esercizio di una professione o di un mestiere: essa deve prima di tutto promuovere la formazione integrale dell’individuo”. Tre erano stati i punti di riferimento del suo pensiero: San Giovanni Bosco, Emmanuele Kant e Francesco De Sanctis. Del primo condivise il metodo preventivo con cui si corregge non soltanto “la gioventù traviata, ma si protegge anche e si difende la compagine sociale evitando la ripetizione dei disordini”. A Kant dedicò molta attenzione negli ultimi anni della sua vita con la pubblicazione de “La morale kantiana” in cui inserì due opere minori “La fondazione della metafisica dei costumi” e “Pedagogia” dalle quali emerse l’affinità tra il processo formativo dell’educando e quello di maturazione dell’adulto. Del terzo, De Sanctis, prese in considerazione la figura di educatore politico delle giovani generazioni del Risorgimento ed a lui dedicò una raccolta di saggi critici “Francesco De Sanctis e la critica: pagine per temi di analisi ed interpretazione”. In essa descrisse il personaggio quale modello di vita per tutti poiché “in Francesco De Sanctis l’integrità morale e l’acutezza dell’intelletto si fondono, e nessuno forse più di lui intese e godette quelle voci di natura che sono le voci dei grandi poeti, nessuno più di lui intese e godette (e sofferse altresì) di quelle altre voci di natura che suonano nella storia e in cui è inclusa tanta potenza di umanità”.
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La sua formazione cattolica non gli consentiva di abbandonare mai i valori etici e morali su cui fondò la sua esistenza ed anche la sua poliedrica attività di scrittore ne risultò pregna al punto che disse “chi fa della penna un’arma necessaria per combattere gli errori e le eresie e gli sbandamenti dell’arte dovrà riuscire ad avere continuo controllo di sé ed essere pienamente consapevole di ciò che può, di ciò che compie... Per noi la produzione dev’essere seria e, cioè, etica per ispirazione, educativa per finalità, oggettivamente serena, completa, profonda per contenuto senza inutili ingombri dottrinali nella struttura, interessante nella forma oltre che piacevole per intrinseci pregi dello stile”. Il profondo sentimento di stima verso i propri collaboratori lo indusse a raccogliere in un volume speciale, intitolato “Chi è?” degli Aspetti Letterari, i profili dei colleghi e quelli degli Accademici della “Leonardo da Vinci”, dedicandolo all’allora Ministro Emilio Colombo. Un’esperienza avviata nel 1932 e ripresentata in forma completa nel 1961 in occasione del trentennale dell’attività di Zitarosa: “una testimonianza di riconoscenza a coloro che, tanto illustri o non, ci hanno confortato con le loro opere e la loro simpatia nella nostra fatica... ho voluto soprattutto rendere a loro un omaggio sentito, che non mi fa pentire di averli potuto ammirare, pago solo di non lasciarmi sorprendere dalla notte innanzi sera e di amare gli uomini”. Dopo una breve parentesi politica a Buccino, paese natale della moglie, nel 1946 fu riammesso all’insegnamento (nel frattempo conseguì altre due lauree in filosofia e in legge) e poté finalmente insegnare negli Istituti superiori storia, filosofia, pedagogia, psicologia, ma dopo soli tredici anni dovette collocar-
Principale Produzione Bibliografica • Il Giubileo sacerdotale del Padre Giuseppe Petrarca Barnabita, Istituto Meridionale di Cultura, Napoli, 1932; • Virgilio e l’Eneide (antologia), Istituto Meridionale di Cultura, Napoli, 1932; • Giustino Fortunato storico, “Rivista dei Giovani Autori”, Napoli, 1932; • La pittura ellenistico-romana, “Rivista dei Giovani Autori”, Napoli, 1933; • Lodovico Ariosto, Ist. Meridionale di Cultura, Napoli, 1933; • Lo stoicismo romano, Albrighi e Segati, Napoli, 1933; • Il popolo nel Risorgimento italiano, Albrighi e Segati, Milano, 1934; • La pedagogia di Giovanni Bosco, Istituto Meridionale di Cultura, Napoli, 1934;
si a riposo per le precarie condizioni di salute che non gli consentirono di coniugare gli impegni scolastici con quelli sempre crescenti della Rivista e della Casa editrice. Nel 1953 riprese la pubblicazione della Rivista “Aspetti letterari” che visse ininterrottamente fino al 1972. L’articolazione del periodico gli permetteva di occuparsi di tutti gli aspetti della cultura non solo italiana ma anche straniera, tant’è che ampio spazio veniva dedicato alla letteratura portoghese. Tante erano le rubriche: dalle recensioni, al ragguaglio bibliografico per i lettori, alla rassegna della stampa, alle informazioni. Alla Lucania erano dedicate quelle “Per la Basilicata”, “Il chi è lucano”, vi curava i profili dei grandi personaggi lucani e ospitava le firme di molti scrittori e poeti lucani, tra cui risaltano quelle di Mario Trufelli, di Nicola Cilenti, di Rocco Zagaria, di Niccolò Ramagli, Sergio De Pilato e tante altre ancora. Alla sua terra era rivolto il proprio pensiero. “La nostra Lucania, corrispondente in gran parte all’antica Lucania, è conosciuta talvolta per un folklore deteriore, per i vizi più che per le virtù, e per terra in cui perfino Cristo (Cristo s’è fermato ad Eboli?) non avrebbe messo piede”, polemizzando con Levi, e, a proposito dei “Quaderni lucani”, condivideva con i suoi amici scrittori i forti principi che si traducevano in credo spirituale e professionale “(noi crediamo) nella moderazione, nella liberalità, nella operosità, nella tenacia, nell’austerità, nella immensa riserva morale della nostra terra natale che rifugge per indole dal vizio e dalla spensieratezza. Se c’è qualcosa che possa allietarci oggi l’animo, è quella di appartenervi. Divisi dalle lotte o dispersi dalle esigenze della vita, quanti ivi nascemmo un vincolo spirituale ci unisce.” 8 • Giovanni Bosco (Il metodo educativo), Ist. Meridionale di Cultura, Napoli, 1935; • Francesco De Sanctis e Napoli, “Studii desanctisiani”, Avellino, 1935; • Scritti vari, “Soc. Ed. “Aspetti letterari”, Napoli, 1937; • Guglielmo Pepe, studio storico psicologico, Il poemetto Aetna, saggio letterario critico, Soc. Ed. “Aspetti Letterari”, Napoli, 1938; • I Barnabiti a Napoli, Collezione “Aspetti Letterari”, Napoli, 1940; • I lucani e Pitagora Ocello ed Orazio, “Quaderni lucani”, Napoli, 1952; • Figure nostre (in collaborazione), “Lucania d’oggi”, Napoli, 1955; • Il “Chi è?” degli Aspetti Letterari, Istituto Meridionale di Cultura, Napoli, 1961; 8
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Alla sua terra indirizzò la costituzione, nel 1962, dell’Associazione di cultura per la Lucania, Istituzione accademica che avocava a sé l’Accademia “Leonardo Da Vinci” dei Padri Barnabiti e l’Istituto Meridionale di Cultura, tra le cui finalità quella di mantenere un’elevata spiritualità e moralità tra gli iscritti. Costituita prevalentemente da studiosi, presidente onorario fu il senatore Raffaele Ciasca e vice presidente Raffaele Zitarosa.
Nel 1964 tornò nella scuola in seguito ad un miglioramento della salute e divenne vice Preside dell’Istituto professionale per il Commercio “Francesco Segni” di Torre del Greco in provincia di Napoli. Cultore della vita, vedeva la filosofia quale unico strumento per la ricerca, nella propria interiorità, del senso della propria esistenza e contro la crisi dell’esistenzialismo alla doman-
• Giuseppe Chiummento ovvero il perseguitato politico, (in collaborazione), edizioni “Aspetti Letterari”, Napoli, 1964; • Personalità di Gabriele D’Annunzio, Treves, Napoli, 1966; • Una filosofia della crisi: l’esistenzialismo, “Città di vita”, Firenze, 1968; • Pensiero e metodo di Giovanni Bosco, Soc. Ed. Dante Alighieri, Milano, 1968; • San Gerardo Maiella mistico, Dagli scritti e dalle lettere, Società di cultura per la Lucania, Napoli, 1969; • Torraca e la sua scuola, estr. da “Dante e la cultura sveva”, Atti del convegno di studi tenuto a Melfi nel novembre 1969, Olschki, Firenze, 1970; • Giustino Fortunato storico, Pellegrini, Cosenza, 1970; • Francesco De Sanctis e la critica, Treves, Napoli, 1971; • Scritti religiosi (studi e profili), Società di cultura per la Lucania, Napoli, 1972;
• La morale kantiana (Metafisica dei costumi e Pedagogia), Soc. Ed. Dante Alighieri, Milano, 1972; • Scienze dell’educazione (in collab.), Ist. Meridionale di Cultura, Napoli, 1972-1973. Critica di alcune opere • Aspetti Letterari: “Costituirono in quel tempo per Napoli un valido esempio di correttezza e di serietà, tanto da far dire ad Alfredo Baccelli e Piero Bargellini che Napoli manteneva con la rivista “Aspetti Letterari” la tradizione di libertà ed indipendenza letteraria e politica che aveva contraddistinto altri periodici lucani e “Napoli nobilissima”, di cui furono collaboratori insigni personalità della Basilicata dell’ultimo 800 e del primo 900” (Il Mattino, Napoli, 8 agosto 1961). • San Gerardo Mistico: “Nella agiografia di San Gerardo Maiella che con profondo amore l’Autore, or non è molto,
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da “perché io ci sono?” rispondeva: “La libera accettazione della mia finitezza si risolve nell’apertura del mio esserci all’infinito delle possibilità che mi si aprono davanti; libero dal passato che mi schiacciava nella vita banale, io mi proietto verso il futuro, acquisto il senso della temporalità, che è costitutiva della mia esistenza(...) Perciò, la libera accettazione della vita è anche virile accettazione della morte, presente in essa”.
Zitarosa espresse mirabilmente le sue infinite capacità con ardore di studioso, modestia ed umiltà e con profonda soggezione di Dio “Creato da Dio, sono per me stesso un nulla”. Fu commendatore di due Ordini Vaticani e dell’Ordine “Al merito della Repubblica”, accademico degli Agiati e membro d’onore dell’Unione Internazionale degli Scrittori Cattolici. =
Among the most famous men of the Mezzogiorno of Italian Novecento, Gerardo Raffaele Zitarosa was a great man of culture who succeeded in acctracting many scholars to his cultural movement. He was born in Muro Lucano in 1903, and then moved to Naples where he completed his studies and obtained a Bachelor of Arts. He started as a freelance journalist and later commenced his long and rich career by collaborating with the newspaper “Il Giorno”, founded by Matilde Serao, and “La Basilicata”, founded by Giuseppe Chiumento. In 1931, he was given the management position in the Preceedings of the Academy “Leonardo da Vinci” of the Barnabite Fathers where he was teaching, and he dedicated several writing to the headmaster of the boarding school, Father Giuseppe Petrarca, among which “Il Giubileo Sacerdotale del Padre Giuseppe Petrarca Barnabita”. Between 1928 and 1932, he founded the Istituto Meridionale di Cultura (Cultural Southern Institute, ndt), which was also a publishing house, and he created the “Rivista dei Giovani Autori”, aiming at releasing the educational work done in two Insitutes. When the war broke out his journal was censored but Zitarosa continued to write and to publish many works of literature, art and history, mainly published by the Istituto Meridionale di Cultura;
some of his most important works are the pedagogical ones on Don Bosco’s thought and work. Zitarosa’s reference points, both in his life and his profession, were Christian religion, love for literature and history and, above all, his thought was addresses to his Masters: De Sanctis, Torraca and Croce. He was a friend of Giustino Fortunato, to whom he dedicated one of his books, and Francesco Saverio Nitti. In 1953, he started to publish the Journal “Aspetti letterari” again, which lasted until 1972 and which dealt with all the aspect of culture, not only Italian but also foreign; in fact, a wide space was dedicated to Portuguese literature. Later, he added the subtitle “Lucania d’Oggi” to the Journal in order to give a greater value to the junior writers, Lucanian poets and artists living in the whole national territory; many internal surveys were dedicated to his homeland. In 1962 he founded the “Associazione di Cultura per la Lucania - Istituzione Accademica”. Many publishing initiatives were linked to his Journal, such as the rich series of “Quaderni Lucani”, “Chi è?”, “Aspetti Letterari”, a series of volumes for a philosophy Library, the special or extraordinary “Numeri unici” and numerous publications, about seventy, dealing with history, literary criticism, pedagogy and Catholicism and about Classical antiquity. He died in Naples in 1973.
ha dato alle stampe, il Santo di Muro Lucano balza vivo, umile e grande ad un tempo, soffuso di misticismo e affine al grande Santo d’Assisi…Con certosina pazienza, Gerardo Zitarosa rievoca la vita del Santo Redentorista con chiarezza d’espressioni e con vivo amor filiale” (Il Meglio Corso del Mezzogiorno, Foggia 1969). • Pensiero e metodo di Giovanni Bosco: “la migliore documentazione e la più completa analisi del metodo educativo del fondatore dei Salesiani…questo lavoro del Prof. Zitarosa si ponga senz’altro all’altezza dei maggiori contributi che nel difficile ambito pedagogico insigni studiosi nostri hanno portato alla soluzione del problema educativo” (Il Mattino, Napoli, 3 aprile 1956). • Scritti religiosi: “l’Autore riporta nel libro esempi di eroica santità, senza discostarsi da osservazioni e riflessioni dottrinarie, che, se sono valide ed efficaci in sé, acquistano dinamica
funzione nell’azione penetrativa catartica del costume” (Nuova Rassegna, 5 luglio 1972). • Francesco De Sanctis e la critica: “L’opera (…) è di notevole importanza per il suo contenuto: uno studio profondo ed accurato che illustra, attraverso un’analisi scrupolosa e dettagliata, l’attività letteraria del grande italiano Francesco De Sanctis.(…) Un lavoro impegnativo, un’opera destinata a sollevare grande, sicuro interesse, poiché è luce che si proietta e s’infiltra nell’ombra degli agitati e disorientati ambienti culturali dei nostri giorni, così carenti di pensiero profondo ed equilibrato” (La sonda, febbraio 1971). • Giustino Fortunato storico: “(…) viene a colmare una grave lacuna. Non esisteva finora uno studio di eguale ampiezza sullo storico lucano, che oltre a contenere l’esame delle monografie del Fortunato, comprendesse anche pagine di critica qualificata sulle stesse” (Studi Meridionali, Roma, gen. - mar. 1971). (E. B.)
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LAURA BODINI / FOTOGRAFIE DI RENATO BARBATO 28
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Viaggio in Inghilterra Nella verde e signorile periferia sud-ovest di Londra vivono numerosi connazionali che contribuiscono alla prosperitĂ della regione del Surrey. A Epsom, Kingston e dintorni, tre generazioni di lucani fanno apprezzare le specialitĂ gastronomiche, la professionalitĂ e la gentilezza nostrane.
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LA FEDERAZIONE DEI LUCANI IN INGHILTERRA CONTA 900 ISCRITTI. NELLA FOTO IN ALTO A SINISTRA, IL PRESIDENTE DELL’ ASSOCIAZIONE DI WATFORD, DONATO GUGLIELMUCCI, E QUELLO DELLA FEDERAZIONE, ANTONIO PALLADINO, INSIEME AD ALCUNI ASSOCIATI. AL CENTRO, ELENA CARMELITANO E ANGELA LORUSSO. IN BASSO ALCUNI ASSOCIATI CON IL PARROCO.
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LA TIPICA PIZZA ALL’ITALIANA CON LE SAPORITE BRUSCHETTE LUCANE. UN BUON CAPPUCCINO CON OTTIME MISCELE DI CAFFÈ. LE SPECIALITÀ DELLA TAVOLA CALDA “FRATELLI”, DEI MENSANO, CATTURANO I PALATI PIÙ SENSIBILI AI SAPORI DELLA CUCINA TRICOLORE. IN ALTO A DESTRA, GIUSEPPE AULETTA CON LA NIPOTINA, DA ANNI TRAPIANTATO IN INGHILTERRA. BRAVO MUSICISTA, HA SUONATO E CANTATO PER QURANT’ANNI IN PRESTIGIOSI NIGHT CLUB LONDINESI.
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Splendide ville con giardini curati, boschi e strade ricche di negozi di ogni genere, un ippodromo famoso, laghetti e scuole prestigiose, Epsom è una città della regione del Surrey immersa nel verde e distante una trentina di minuti dal centro di Londra. In questa zona risiedono un centinaio di lucani; la prima generazione, arrivata alla fine degli anni cinquanta, era stata attirata dalla richiesta di operatori nei cinque ospedali psichiatrici presenti sul territorio e ormai abbattuti; ora, i figli e i nipoti, sono professionisti molto apprezzati e perfettamente integrati nella comunità. Anche se sono passati molti anni, diverse famiglie lucane si incontrano spesso e trascorrono insieme il Capodanno, le feste di S. Antonio e di S. Francesco e organizzano la festa della Basilicata alla fine di maggio di ogni anno. Il luogo d’incontro è la chiesa cattolica di S. Joseph, costruita recentemente con un importante contributo del gruppo lucano e dove il parroco ha riservato loro uno spazio per collocarvi la statua di S. Francesco. Antonio Palladino (Tony per gli amici), originario di Forenza è il presidente della Federazione dei Lucani in Inghilterra e insieme a Vito Musacchio di Maschito, consigliere della Commissione Regionale dei lucani nel mondo, animano le attività di questo gruppo “per il piacere di farlo e rimanere in contatto con l’Italia e la nostra regione”. Insieme a loro, incontriamo Nicola e Donato Guglielmucci di Ripacandida, Mariano Petagine di Ginestra, Vincenzo Colasuono, Elena Carmelitano e Angela Lorusso di Maschito. Hanno tutti l’accento lucano, alternano l’italiano a parole inglesi “parliamo sempre inglese, ma fra noi viene spontaneo usare la nostra lingua vera”. Antonio Palladino ha raggiunto i genitori a Epsom alla fine degli anni sessanta. Ha iniziato a fare il parrucchiere e poi il
IN ALTO, EMANUELE PALLADINO, GIOCATORE DI RUGBY CHE HA MILITATO ANCHE IN SQUADRE ITALIANE. AL CENTRO, ANTONIO PALLADINO, PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE DEI LUCANI IN INGHILTERRA. IN BASSO, LA FAMIGLIA PALLADINO
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meccanico. Si appassiona alle macchine e decide di avviare un’attività in proprio “quando mi sono reso conto che questo paese mi dava la possibilità di creare qualcosa di mio e che avevo bisogno di soldi per dare una buona educazione ai miei figli, ho lasciato il mio lavoro e ho iniziato ad occuparmi della vendita di macchine usate”. Ora Antonio possiede un autosalone che dirige insieme al cognato e altri due dipendenti dove si comprano, riparano e vendono veicoli, infatti “gli inglesi cambiano spesso la macchina, anche due o tre volte all’anno”. Ha una bella famiglia, una moglie inglese e tre figli che parlano italiano e amano l’Italia, una casa da fiaba sull’argine di un laghetto in un bosco. E soprattutto ha un gran sorriso, che sfida ogni riservatezza anglosassone e che lo ha sicuramente aiutato a farsi strada in questo paese di timidi. È lui che ci accompagna a Kingston, a pochi chilometri da Epsom, dove al 55 di Park Road, si può bere un espresso che ridona il sorriso al turista italiano che vaga per l’Inghilterra. La tavola calda “Fratelli” di Antonio e Antonietta Mensano, originari di Sant’Arcangelo, è un angolo d’Italia incastonato in un filare di case a mattoni rossi dell’epoca georgiana ed è frequentato da scrittori, giornalisti e gente che ama la buona cucina. L’avventura di Antonio, inizia nel 1977 quando, dopo essersi diplomato alla scuola alberghiera di Potenza, inizia a lavorare in alcune località turistiche italiane e in seguito si trasferisce a Londra per imparare la lingua. Viene subito assunto come chef in un ristorante della città e dopo qualche anno, torna a Sant’Arcangelo solo per sposare Antonietta e poi si stabilisce definitivamente in Inghilterra. 8
IN ALTO I CONIUGI MENSANO, IN BASSO LO STAFF DEI “FRATELLI” AL COMPLETO.
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Nel 1996 i coniugi Mensano decidono di mettersi in proprio e aprono un negozio di specialità italiane che nel 2003 si allarga e diventa una tavola calda, dove lavorano insieme ad altre due dipendenti e alla figlia Daniela “quando può prendersi una pausa dai suoi studi all’Università”. Oltre a Daniela c’è anche il figlio Lino di 11 anni, entrambi sono nati in Inghilterra ma parlano un italiano perfetto e visitano il paese d’origine almeno una volta all’anno. Antonio cucina ogni giorno friselle, peperonata, pasta e ravioli freschi, arrosti, pizza e offre una gran varietà di affettati, formaggi, antipasti e gelati rigorosamente italiani, che si possono gustare ad un tavolo, ascoltando la musica di Gigi d’Alessio e Mango o portare via. L’attività comprende anche un servizio di catering e ovviamente la vendita al dettaglio di molti prodotti alimentari: oltre alla classica pasta, ai sughi e dolci di varie regioni italiane, sugli scaffali troviamo l’olio di Pomarico, il Greco di Acerenza e l’Aglianico di Rionero, i peperoni di Senise, il pane di Matera e l’Amaro Lucano. Antonio vorrebbe arricchire la sua offerta con un numero maggiore di prodotti lucani ma “non troviamo una rete di fornitori che ci portano gli articoli con continuità e stiamo pensando di iniziare a farlo personalmente”. Infatti, l’iniziativa dei signori Mensano sembra essere in continuo fermento. Un’attività che, unita all’amore per la propria terra, si sta trasformando in un progetto d’importazione e diffusione dei prodotti lucani in Inghilterra.
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Antonio Palladino ci accompagna anche da Giuseppe Auletta di Maschito, uno dei pionieri di questa zona. In pensione da poco tempo, ha suonato e cantato per 40 anni in prestigiosi nigth club londinesi, sia da solo che con orchestre di varie dimensioni, con un repertorio di musica italiana mista a standard inglesi, americani e sudamericani. Ci accoglie nella sua casa in una stanza dove conserva gli strumenti del mestiere, una tastiera, una fisarmonica, “ne ho una dozzina in soffitta”; è in compagnia della piccola e bellissima nipote “la nostra principessa”, e ci racconta la sua incredibile storia. Giuseppe arriva in Inghilterra nel 1957 con la moglie e due contratti: uno da cuoca e e uno da maggiordomo, per lavorare in una ricca famiglia di Tisbury. Dopo pochi mesi decide di cambiare lavoro, con il suo contratto può fare il barista e si trasferisce ad Epsom, dove risiede tuttora. Da questo momento aiuta molti amici lucani a trovare un impiego nella zona “non si poteva venire in Inghilterra senza contratto, e io giravo per le agenzie che offrivano lavoro e le mettevo in contatto con i miei conoscenti del paese che ne avevano bisogno”. Grazie al suo aiuto, sono arrivati qui una trentina di lucani che a loro volta hanno trovato contratti per altri; Giuseppe ammette con umiltà, che ha coinvolto un centinaio di persone, un po’ per altruismo ma un po’ anche per avere degli amici vicini. La sua carriera artistica, inizia nel 1963, quando sembrava tutto finito, quando il lavoro come barista si era concluso e anche gli ospedali non avevano più bisogno come una volta “ero riuscito anche a diventare infermiere studiando alla sera”, per cui Giuseppe pensa di dover tornare in Italia. Invece, rispolvera la sua fisarmonica e con alcuni amici inizia a suonare, ad avere successo e a trovare vari ingaggi, che gli permet-
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tono di mantenersi con la sua grande passione: la musica. I ricordi di Giuseppe sono appassionanti e la sua casa è colma di foto in bianco e nero che li testimoniano; scopriamo che anche la famiglia Palladino è arrivata qui grazie a lui, così come quella di Elio di Carlo,, sempre maschitano e barbiere ufficiale di Ashtead, a un paio di chilometri da Epsom. Il suo negozio si chiama “Elio’s Barbers” e lo gestisce insieme al figlio Alessandro con un paio di dipendenti. I barbieri e parrucchieri, erano un’altra categoria molto richiesta in questa zona, e molti si improvvisavano tali per ottenere un contratto, ma quella di Elio era una passione, infatti non ha mai voluto fare altro. Riusciamo ad incontrare anche il figlio di Antonio, Emanuele Palladino, che è sempre in viaggio e quando è in Inghilterra, si divide fra Londra ed Epsom. Emanuele ha lo stesso generoso sorriso del padre e ci racconta con entusiasmo le sue esperienze professionali. Nasce in Inghilterra ma ha un legame fortissimo con l’Italia, inizia a giocare a rugby a 7 anni, nella squadra della sua scuola e diventa subito una promessa. Con grande impegno, riesce sempre ad ottenere ottimi risultati negli studi e nella disciplina sportiva per cui viene chiamato a giocare prima in squadre regionali inglesi under 18 e poi entra in club di prima divisione. Viene ammesso all’Università di lingue di Londra, dove studia italiano e francese e durante i numerosi viaggi che intraprende per seguire i campionati, conosce giocatori di rugby di varie nazionalità tra cui molti italiani che lo vogliono con loro. Infatti, tra i 18 e i 21 anni, viene convocato dalla nazionale italiana under 21, termina gli studi
e in seguito è ingaggiato prima nel Piacenza e poi nella Roma; attualmente ha ricevuto diverse proposte per giocare in Italia e in Inghilterra e per lui questa non sarà una scelta facile, perché il legame con il paese di origine, che traspare da ogni sua considerazione, sembra condizionarlo molto. Emanuele è un vulcano di idee, riesce ad essere anche il manager di alcuni giocatori italiani che si avventurano in Inghilterra e di inglesi che partono per il Bel Paese, grazie alla padronanza di entrambe le lingue e alla sua ampia conoscenza di questo ambiente; in estate organizza corsi di rugby ad alto livello per giovani studenti, scrive articoli per numerose riviste sportive e a giudicare dall’entusiasmo che emerge dalle sue parole, sembra che ci siano in cantiere anche molte altre iniziative. Nel raggio di pochi chilometri abbiamo incontrato tante storie di successi, a volte arrivate dopo anni di sacrifici e di duro lavoro, altre esplose con naturalezza, ma sempre sostenute da un forte impegno personale. Emerge la creatività, la competenza e il “saper fare” nostrani, che sono diventati ormai i simboli dei connazionali all’estero ““adesso, quando dici che sei tutti italiano, ottieni subito l’ammirazione di tutti”. Antonio Palladino ci saluta con calore e il giusto orgoglio di chi ce l’ha fatta, sottolineando che ““qui stiamo bene e siamo felisempre = ci, ma la nostra bella terra ce la ricordiamo sempre”.
IN ALTO ALESSANDRO DI CARLO, DAVANTI AL SUO NEGOZIO “ELIO’S BARBERS’”. ACCANTO: LA STRADA DEGLI ITALIANI A EPSOM.
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Le vie del sacro in Basilicata
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FERDINANDO MIRIZZI
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Sono sempre piĂš numerose le cerimonie organizzate e vissute dagli emigrati lucani. Processioni, feste e riti per riconnettersi idealmente ed emotivamente al proprio paese ďŹ oriscono in diversi angoli del mondo.
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La questione dei rapporti tra emigrazione e forme di costruzione dell’identità dispone ormai di una ricca letteratura, soprattutto perché i processi attraverso cui si definisce l’elaborazione di un’identità culturale e di gruppo all’interno delle comunità di emigrati forniscono testimonianze significative e utili elementi di riflessione intorno alle dinamiche innescate dall’incontro tra contenuti e sistemi simbolici di una cultura originaria di riferimento e di base e i modelli culturali della società di accoglienza. In altre parole, il problema della definizione dell’identità si pone per differenza e diventa evidente quando due o più gruppi di diversa appartenenza (etnica o culturale) entrano in contatto tra loro e mettono variamente in gioco i loro apparati culturali e religiosi, la lingua e i costumi, le credenze e le tradizioni. Dal confronto tra culture diverse si mette in moto un meccanismo di costruzione identitaria che è la risultante delle variazioni culturali che si accumulano e si sedimentano a partire da un universo simbolico definito dall’ori-
ginario contesto storico e sociale di appartenenza della propria famiglia e della propria comunità e sulla base delle relazioni che si instaurano tra soggetti diversi in contesti differenti, per cui, come ha scritto Amalia Signorelli, si può dire che “l’identità di un soggetto è l’autopercezione che egli ha di sé in rapporto ad un altro” (Identità etnica e cultura di massa dei lavoratori migranti, in I luoghi dell’identità. Dinamiche culturali nell’esperienza di emigrazione, a cura di Angelo Di Carlo e Serena Di Carlo, Milano, Franco Angeli, pp. 44-60: 45). Ora, in un quadro di riferimento teorico che impone una considerazione di tipo dialettico dei rapporti tra le forme e i modelli culturali del contesto originario e quelli del Paese e della società di accoglienza, la dimensione cerimoniale costituisce uno degli ambiti privilegiati entro cui si sviluppano quelle che chiamiamo pratiche identitarie, coincidenti con le dinamiche di trasformazione (per gli emigrati di prima generazione) e di costruzione (per quelli delle generazioni successive) della propria identità rispetto
alla cultura d’origine. Ciò anche come conseguenza del fatto che la festa costituisce uno spazio autonomo entro cui sono possibili, su un nucleo di base, variazioni di tipo formale e, nello stesso tempo, rappresenta un evento facilmente esportabile da un contesto a un altro, dove il modello iniziale può essere sottoposto a iterazione o modifica sotto forma di risposta, creativa e simbolica, a precise situazioni economico-sociali e a particolari esigenze storico-culturali. Indubbiamente i cerimoniali organizzati e vissuti dagli emigrati si richiamano alle forme e alle modalità proprie dei contesti di origine, apparendo, almeno nelle prime generazioni, come la trasposizione quasi meccanica di eventi a cui non si può più partecipare direttamente, al fine di riconnettersi idealmente ed emotivamente al proprio paese. Il che rappresenta un bisogno che, evidentemente, non può essere soddisfatto solo con l’invio di contributi per lo svolgimento della festa nel luogo d’origine, cosa peraltro ricorrente e assai diffusa. Inizialmente il ricorso all’apparato cerimoniale del paese ha funzione 8
La festa della Madonna del Pollino Il culto della Madonna del Pollino è una delle feste mariane più interessanti ed espressive dell’area calabro-lucana. Si tratta di una ricorrenza molto complessa: la statua è venerata a San Severino Lucano (Pz) e i festeggiamenti sono articolati in diversi periodi dell’anno: nel mese di giugno (salita al monte), luglio (festa popolare) e settembre (discesa dal monte), secondo una ciclicità che richiama per analogia l’antica pratica della transumanza. La leggenda di fondazione risponde ai moduli ricorrenti in quelle di tutti i santuari mariani e di quelli dedicati ad altri santi: l’apparizione ad un pastore in un luogo desolato, il reperimento della statua, la richiesta di un santuario, l’annuncio in paese, il miracolo, il formarsi dei gruppi di pellegrini desiderosi di avere la stessa visione 8 37
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e la costruzione dell’edificio sacro. Il sabato precedente la prima domenica di giugno, il paese si prepara ad assistere alla funzione religiosa che precederà la processione di saluto della Vergine lungo il corso principale e i vicoli più suggestivi del paese. Sul sagrato, sono pronti i suonatori di zampogna, ciaramella e organetto e gruppi di fedeli cominciano a ballare la famosa tarantella lucana. La statua è trasportata da alcuni membri della Fraternità della Madonna del Pollino, una corporazione costituitasi agli inizi degli anni trenta con l’esclusivo compito di trasportare la statua nei periodici percorsi verso il santuario di Pollino e la chiesa del paese. L’indomani, alle prime luci dell’alba e dopo una breve funzione liturgica, inizia un percorso diviso in tappe e lungo 18 km, che attraversa due frazioni del paese, Mezzana Torre e Mezzana Salice. Durante le tappe, la statua è collocata su dei podi di cemento, disseminati lungo il percorso e denominati in dialetto pisuoli, costruiti dalle famiglie come atto di devozione e decorati per l’occasione con tovaglie bianche e fiori multicolori. Nelle soste, la famiglia ospitante distribuisce al corteo cannaricoli, crespelle, ciambelle, biscotti, ogni genere di bevande, 38
di difesa e affermazione di una cultura comunitaria di base rispetto alla diversità del Paese ospitante, come una sfera di comportamento particolarmente resistente ai processi di assimilazione e omologazione culturale. I migranti, se accettano senza riserve l’integrazione all’interno del modello produttivo e del comparto lavorativo e tecnologico vigente nella nuova realtà, in genere tendono, soprattutto nella prima generazione, a rifugiarsi nel campo della festa, e più generalmente della tradizione, per produrre forme autonome di partecipazione alla vita sociale. Il ricorso alla cerimonialità originaria diventa dunque una modo per inserirsi senza traumi nella società di accoglienza, conservando legami e contatti con il paese natio, a cui si cerca di tornare, quando possibile, non solo per rinnovare le relazioni affettive con il gruppo parentale, ma anche e forse soprattutto per partecipare agli eventi cerimoniali più importanti e significativi per la comunità. E non è un caso che le feste patronali risultano per lo più spostate dai tradizionali contesti primaverile e autunnale al mese di agosto proprio per consentire agli emigranti di parteciparvi. È anche così che questi ultimi riescono a dare un senso alla loro vita in un ambiente nuovo, diverso, scarsamente controllabile sul piano simbolico, per
ma soprattutto grandi bicchieri di vino locale, che anima danze intorno alla statua. Al corteo iniziale si aggiungono pellegrini provenienti dai vicini paesi lucani e calabresi, accompagnati dai propri suonatori: si assiste ad un meraviglioso spettacolo sonoro, creato dalla fusione di melodie diverse tra loro. Dopo una funzione liturgica, il corteo percorre il tratto più arduo per il dislivello altimetrico, molti pellegrini lo percorrono a piedi nudi, probabilmente per adempiere ad un voto. Prima dell’ingresso al santuario, la statua è sollevata a mo’ di trionfo per tre volte al grido evviva la Madonna di Pollino e collocata sul podio nel sagrato del santuario. Alla festa montana, partecipano migliaia di pellegrini provenienti da tutta l’Italia meridionale, che per tre giorni creano un vero e proprio villaggio provvisorio ma del tutto autosufficiente. Sul sentiero che conduce al santuario sono disposte le bancarelle che vendono di tutto, abbigliamento, salami, formaggio, immagini sacre, giocattoli e musicassette con i canti della Madonna. Dopo essersi sistemati, i fedeli entrano in chiesa per rendere omaggio alla Madonna: la statua, sia nelle processioni sia nella permanenza al santuario, è continuamente toccata, baciata sul volto e sui piedi, molte donne strofinano piangenti il pro-
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BASILICATA cui si può dire che la dimensione della festa e del rito costituiscono uno spazio privilegiato di identificazione culturale, non nella direzione della nostalgia e della relazione sentimentale con il luogo natio, bensì come dato fondamentale nella rielaborazione del patrimonio originario. Alle istituzioni e alle comunità residenti nella Basilicata di oggi spetta il compito di assicurare, anche sul piano conoscitivo, un contributo efficace nel fornire a coloro che sono emigrati elementi che, nelle differenti situazioni, consentano un rafforzamento del processo di ridefinizione del sé tanto in relazione alle forme della cultura originaria quanto rispetto ai modelli simbolici delle società di accoglienza e favorendo una sempre maggiore percezione degli universi simbolici di autoidentificazione, a prescindere dai contesti spazio-temporali ed economico-sociali in cui essi decidono di condurre, temporaneamente o definitivamente, la propria esistenza. Ed è in questa prospettiva che intendono collocarsi gli articoli sui rituali e le cerimonie festive che in queste pagine si pubblicheranno, a partire da quello, di Mariafrancesca Ciminelli, che qui propone dati e riflessioni sul pellegrinaggio al santuario della Madonna di Pollino, uno dei più importanti e noti centri di culto in area calabro-lucana. =
prio fazzoletto su tutto il corpo, chiedendo la grazia per un parente in difficoltà. Molti pellegrini sistemano coperte e materassi sotto le navate laterali per dormire a terra e stare più vicini alla divina protettrice, dimostrandole la propria devozione. L’indomani, dopo la funzione, alcuni fedeli allestiscono la portantina per portare la statua in processione. Questa è preceduta dall’incanto, un’asta che si svolge per decretare quale paese ha il diritto di trasportare la statua. L’asta ha un ruolo molto importante per i nostri immigrati, che partecipavano simbolicamente alla festa, dando un proprio contributo in denaro e manifestando così una devozione attiva e tangibile, nonché la volontà di rinsaldare il vincolo con il paese natio. Molte lettere, infatti, sono inviate al parroco: denaro, piccoli oggetti preziosi, richieste di grazia e ringraziamenti per averla ricevuta dimostravano un’integrazione non completa, un attaccamento viscerale alla propria cultura e ai propri santi, ritenuti più influenti di quelli venerati nelle proprie chiese. Il legame con la Madonna è ancora molto vivo nei nostri connazionali, infatti, dal 1974, la Vergine del Pollino si venera a Buenos Aires, come il proseguimento di un’antica devozione. Ogni anno, il 2 giugno, un gruppo di concittadini d’oltreoceano,
si riunisce nella parrocchia Buen Pastor Araguren, dove è stata collocata una statua che riproduce la Madonna del Pollino; il culto è curato dall’associazione Madonna di Monte Pollino, fondata dalla comunità di Viggianello Lucano (PZ). Dopo una breve celebrazione liturgica, la statua è portata in processione per le vie del quartiere Caballito per essere poi venerata da ogni fedele nella piccola chiesa argentina. Durante la processione che percorre un sentiero da cui si può ammirare l’intero Massiccio del Pollino, la statua è preceduta da cinti di diversa grandezza e variamente decorati, trasportati da donne a piedi nudi. La notte esprime l’anima più genuina e spontanea della festa: davanti ad ogni accampamento è acceso il fuoco per arrostire la carne di pecora e capra, sistemata in grandi griglie e chiamata carne della Madonna per il suo sapore particolare, mentre nelle pentole cuociono chili di lagane da condire con i fagioli. La domenica mattina è celebrata l’ultima funzione liturgica che chiude ufficialmente la festa, ma il santuario rimarrà aperto tutto il mese d’agosto e ogni domenica sarà celebrata la messa in onore della Madonna. L’ultimo momento delle 8 39
I CANTI DEDICATI
ALLA
MADONNA
LA MADONNA DI POLLINO Simu vinuti da lunga via ‘Ppi ‘binì a truvà a Maria E Maria l’amu truvata Tutta bella e ‘ncurunata.
Siamo venuti da una lunga strada Per far visita a Maria E Maria l’abbiamo trovata Tutta bella e incoronata
Incurunata di gigli e di rose ‘Nda stà cappella Maria riposa La ‘ncurunata lu Cori di Gesù Madonna i Pullino, aiutami tu.
Incoronata con gigli e rose In questa chiesetta Maria riposa L’ha incoronata il Cuore di Gesù Madonna di Pollino, aiutami tu.
Ai piedi di la Madonna è nata Na bella rosa:è na rosa argentata Viva Maria e chi te l’ha data Ti l’ha data lu cori di Gesù Madonna i Pollinu, aiutami tu.
Ai piedi della Madonna è nata Una bella rosa:è una rosa d’argento Viva Maria e chi te l’ha data Te l’ha data il cuore di Gesù Madonna di Pollino, aiutami tu.
Sopra la terra, mienz ‘a lu mare Madonna mia, proteggimi tu La protezione tu n’aia dà Per lu bene del tuo Gesù.
Sopra la terra, in mezzo al mare Madonna mia, proteggimi tu La protezione tu devi darci Per il bene del tuo Gesù.
E giramula ‘ntornu ‘ntornu La cappella di la Madonna E ‘cchiù ‘ntornu la giramu E ‘cchiù grazie a nuoi ni fa.
E giriamo intorno intorno La cappella della Madonna E più intorno la giriamo E più grazie a noi ci fa.
E si grazie nunni fai, Nuoi da qua nunninni iamu, E si nuoi ninnama idi Fanni a grazia a noi, Maria.
E se grazie non ce ne fai, Noi da qua non ce ne andiamo, E se noi dobbiamo andarcene Facci la grazia, Maria.
celebrazioni inizia il sabato della seconda settimana di settembre e ha come protagonisti i membri della confraternita, gli abitanti di San Severino Lucano e qualche famiglia di Rotonda (Pz) e Francavilla sul Sinni (Pz). Un’ampia stanza del ricovero adiacente al santuario viene preparata per la cena: le tavole sono imbandite con diversi alimenti, pane, biscotti, carne al forno, formaggio di capra e naturalmente vino. In quest’occasione si prepara una forma di pane cui è stata tagliata la parte superiore, tolta la mollica e riempita da una frittata di peperoni e salsiccia. Questa pietanza è chiamata in dialetto lucano pane cafato e non si usano piatti, ognuno si serve direttamente dal pane. Una consuetudine che esprime una fraterna solidarietà e il senso di appartenenza alla stessa comunità. La notte si trascorre intorno ad un gran fuoco, parlando, scherzando, bevendo del vino, spilluzzicando quello che è rimasto sulle tavole. Qualche gruppo inizia a ballare la famosa pastorale, mentre altri giocano animosamente a morra; all’interno del santuario, come per la festa montana, le donne allestiscono giacigli per trascorrere la notte, recitando il rosario e inneggiando i canti tradizionali, distribuendo qualche dolce e caffè caldo. Alle 4 del mattino, la confraternita si reca in chiesa per prepa40
rare la portantina, dopo una messa, la statua si ferma sulla soglia per guidare la fiaccolata durante la quale si recita rigorosamente il rosario. Il corteo segue a ritroso il tragitto percorso nel mese di giugno, attraversando per prima Mezzana Salice, dove la banda di Cassano è pronta ad accogliere il corteo, collocandosi alla guida. Per strada si uniscono centinaia di pellegrini provenienti dai paesi lucani e calabresi e i suonatori di zampogna, tamburello e organetto, mentre all’interno del borgo sono pronti i tavoli votivi e i vassoi carichi di cibo preparato dalle famiglie accoglienti. Dovunque la presenza dei suonatori anima le danze, tra cui domina la tarantella calabrese, ma anche le musiche provenienti dalle bancarelle è un elemento abbastanza forte. La proces-
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Maria di monti e montagne Dammi la mano perché voglio salire Sono venuto con molti compagni, Apri le porte perché voglio entrare.
Mi sono partito dalla mia casa, Senza di te io non ci traso Maria risponde: io t’accompagno Sotto il mio manto ti porterò.
Sono partito dalla mia casa, Senza di te io non ci entro Maria risponde: io t’accompagno Sotto il mio manto ti porterò.
E mò ca nuoi trasimu, Nuoi chi tama rigalà, Ti rigalo quest’anima mia Fammi grazia, o Maria.
E adesso che noi entriamo, Cosa dobbiamo regalarti, Ti regalo quest’anima mia Fammi la grazia, o Maria.
E ‘ggoi è la festa ‘Nta la tua cappella Virgine bella Nun m’abbandonà.
E oggi è la festa Dentro la tua cappella Vergine bella Non mi abbandonare.
Maria, io mò mi parto, Non sacci se ritorno Se nun ritorno ‘cchiù Nun ti scordar di me.
Maria, io adesso me ne vado, Non so se ritorno Se non ritorno più Non ti scordar di me.
Maria mi risponde: “Ma io ti accompagno, Sempre ti accompagno, Sotto il mio manto ti porterò.
Maria mi risponde: “Ma io ti accompagno, Sempre ti accompagno, Sotto il mio manto ti porterò.
sione riprende poi il cammino fino alla chiesa e dopo la funzione liturgica, il corteo prosegue per i vicoli, prima di dirigersi verso l’altro borgo, Mezzana Torre. Nel tardo pomeriggio, si arriva al cimitero di San Severino, una tappa molto importante, poiché centinaia di fedeli provenienti da Rotonda, Viggianello, Terranova di Pollino, Francavilla sul Sinni e Cersosimo, accolgono la Madonna, mentre qualche donna distribuisce taralli fatti in casa e bicchieri di vino, poi, la processione riprende il percorso all’interno del paese, pronto ad accogliere la sua protettrice di ritorno dal monte. Molta gente è alle finestre per lanciarle dei fiori e sventolare qualche fazzoletto in segno di saluto. Giunta davanti la chiesa, la statua è sollevata tre volte al grido di evviva la Madonna di Pollino, secondo il rito compiuto a giugno sul sagrato del santuario e all’entrata della Vergine i fedeli si alzano solennemente e applaudono estasiati. L’inno dedicato alla Madonna accompagna il lavoro dei Fratelli che smontano la statua dalla portantina e la sistemano nella nicchia. Dopo la celebrazione liturgica, un grandioso spettacolo pirotecnico chiude ufficialmente i festeggiamenti in onore della Madonna del Pollino. (Maria Francesca Ciminelli) =
The tradition of Our Lady of Pollino is one of the most interesting and meaningful Virgin Mary celebrations in the area of Calabria and Basilicata. It is a very complicated festivity: the statue of Our Lady is worshipped in San Severino Lucano (Pz) and there are numerous celebrations throughout the year. On the first Sunday of June, the sacred image is moved to the sanctuary, which is located at 1,537 m a.s.l. on the Northern slope of the Calabrian-Lucanian Pollino Massif, and is taken back to the village on the second Sunday of September; however, the real feast is held during the first week of July, from Friday to Sunday. The pilgrims camp on the mountain for three days, in what is practically a temporary, self sufficient village. Since 1974, Our Lady of Pollino has been worshipped in Buenos Aires, as a continuation of an ancient devotion. Every year, on the second of June, a group of fellow citizens who come from across the ocean gather in the parish Buen Pastor Avenida Araguren, where there is a statue of the Virgin which is a replica of Our Lady of Pollino. The association Madonna di Monte Pollino, founded by the community of Viggianello Lucano (Pz), looks after this tradition.
ENGLISH
Maria di monti e muntagni Dammi la mano ca voglio salir Sono venuto cu tanti compagni, Apri le porte ca voglio trasì.
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SECONDO CANTO - SENZA TITOLO
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Da Trecchina in Brasile: Casa Confiança, l’azienda della fiducia LA STORIA DI DUE COMUNITÀ GEOGRAFICAMENTE LONTANE, TRECCHINA E LO STATO DI BAHIA. EMIGRAZIONE, SRADICAMENTO, FORZA E CAPACITÀ, CASA CONFIANÇA È UN OTTIMO ESEMPIO DI QUELL’OPEROSITÀ ITALIANA, “UN PORTO SICURO PER COLORO CHE VI RICORREVANO PER UN CONSIGLIO, PER IL LAVORO, PER UN AIUTO”.
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Azienda della fiducia. Alla lettera è questa l’emblematica traduzione del nome di un’azienda che lega la storia di due comunità geograficamente lontane, ma vicine per ricordi e percorsi. Casa Confiança, azienda fondata alla fine dell’800 nello Stato di Bahia, lungo le sponde del Rio das Contas, da due emigrati trecchinesi, ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un pezzo di quella storia scritta dagli italiani che, come si legge nel libro di Carmine Marotta, Casa Confianca, Attucci editore, “si imbarcarono dai porti di Napoli o di Genova sui transatlantici della speranza per raggiungere l’America”. In molti casi gli emigrati giunti nel nuovo continente furono dei veri e propri pionieri che, scoprendo in luoghi ancora spopolati una spontanea e rigogliosa fertilità della terra, lavorarono per lo sviluppo futuro di quelle zone. Tra questi precursori si possono annoverare Giuseppe Rotondano e Giuseppe Niella, noti in Brasile come José Rotondano e José Niella. Arrivati a Salvador, nello Stato di Bahia, tra il 1866 e il 1869 scoprirono, nei loro viaggi da venditori ambulanti, il villaggio di Jequié e decisero di aprirvi un piccolo emporio, barattando manufatti e utensili provenienti dalla capitale in cambio di generi alimentari prodotti dagli indigeni. Da quella piccola bottega iniziale nasceva la Ditta Rotondano & Niella che crebbe e si strutturò come una vera e propria azienda. La fama della neonata società giunse in patria attraverso le lettere entusiaste che i due trecchinesi inviavano periodicamente. Da Trecchina partirono circa 2.600 persone verso “l’isola felice” in Brasile, come documentano gli stessi cognomi dei primi jequieenses: Aprile, Arleo, Arturo, Bertani, Biondi, Caricchio, Colavolpe, Colombini, Ferraro, Giudice, Grillo, Grisi, Labanca, Leto, Limongi, Lomanto, Magnavita, Marotta, Michelli, Niella, Orrico, Paladino, Pelegrini, Pignataro, Quaglia, Rotondano, Sarno, Scaladaferri, Schettini, Tolomei, Torregrossa e Vita. Nel 1885 giungeva a Jequié, chiamato da una lettera di Rotondano inviata al paese natale che richiedeva un giovane per
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BASILICATA
1885, CASA CONFIANÇA
la contabilità della ditta, Carmine Marotta, che aveva appena quattordici anni . Dopo un primo periodo come dipendente, nel 1889, Marotta diveniva, insieme ad Angelo Grisi, anche lui originario di Trecchina, socio dell’azienda denominata, per volere dello stesso Marotta, Casa Confiança. Gli affari della società, che oramai includevano l’allevamento del bestiame e la coltivazione di piantagioni di tabacco, cacao, cotone e caffè, crescevano unitamente alla cittadella di Jequié che si popolava e si urbanizzava. I soci di Casa Confiança contribuirono, inoltre, alla costruzione di 400 kilometri della tratta ferroviaria che da Jequié portava a Salvador, capitale dello Stato di Bahia, da dove partiva un treno per trasportare il caffè da inviare in Europa. L’azienda forniva anche assistenza alle popolazioni finanziando, attraverso il Banco di Jequié, con denaro ad un interesse minimo, quanti ne facevano richiesta. Casa Confiança era diventata il “porto sicuro per coloro che vi ricorrevano per un consiglio, per il lavoro, per un aiuto” e lo fu nel tempo anche per la comunità di Trecchina. L’azienda della fiducia diede un grosso impulso al commercio di tutta la regione e il sistema di negoziazione adottato dai “trecchinesi di Jequié” viene ancora oggi studiato in numerose università sudamericane quale esempio di sviluppo e di imprenditorialità basato sulla cooperazione.
Oggi Jequié, sesta città dello Stato brasiliano che si estende su di un territorio grande quattro volte l’Italia, conta 200.000 abitanti, di cui 2.000 di origine italiana. Il clima è piacevole e la gente ospitale. L’epica fondazione di Jequié e il suo sviluppo con la preziosa testimonianza dell’emigrazione della comunità trecchinese, costituiscono l’oggetto delle memorie di Carmine Marotta, di recente pubblicate dall’omonimo nipote, riferite alle vicende e all’attività di Casa Confiança e di uno dei suoi maggiori promotori. Il testo, nato “proprio grazie alla catalogazione fatta da nonno Carmine”, come testimonia il nipote, speleologo di fama, è il primo di una trilogia che Carmine Marotta intende realizzare per portare alla luce una documentazione unica, rinvenuta quasi per caso nel baule riportato a Trecchina dal suo avo dopo cinquantaquattro anni di permanenza in Brasile. In “Casa Confiança. Storia, emigrazione, mode, visi, sentimenti raccontati dalle immagini del passato”, Marotta presenta un documento unico: una relazione storica che il nonno Carmine scrisse nel 1963, in occasione della visita a Trecchina del suo caro amico, governatore dello Stato di Bahia, Antonio Lomanto Junior, dove racconta la “storia della fondazione di Jequié e della sua economia commerciale ed agricola”. Le trenta pagine, dattiloscritte in un portoghese grammaticalmente scorretto, intervallato da allocuzioni in italiano 8 43
JOAO ALBERTO AGUILAR
JEQUIÈ (BAHIA) CATTEDRALE COSTRUITA E DONATA ALLA CITTÀ DALLA COMUNITÀ TRECCHINESE CHE VIVEVA IN BRASILE
e in dialetto trecchinese, propongono una storia vissuta, più che osservata. La descrizione dei luoghi citati nella relazione, che il nipote Marotta ha cercato di ricostruire, anche con l’aiuto del giornalista e storico brasiliano Edoardo Sarno, gli avvenimenti storici come la notizia della liberazione degli schiavi (13 maggio 1888), arrivata a Jequié attraverso una “staffetta giunta da Bahia, passata per Conquista” e la proclamazione della Repubblica Brasiliana (15 novembre 1889) festeggiata fra brindisi
e petardi, che fanno da sfondo al racconto della nascita e dello sviluppo di Jequié e di Casa Confiança. Quasi leggendario è il racconto dei viaggi intrapresi da Marotta nelle foreste brasiliane per raggiungere i clienti fittavoli e riscuoterne i debiti, e soprattutto per impartire insegnamenti sul modo di lavorare la terra. La pubblicazione dei Marotta, in edizione bilingue, italiano e portoghese, è arricchita da un centinaio di fotografie in bianco e nero “unite da un unico filo conduttore: l’emigrazione che portò tanti trecchinesi in Brasile”. Molte sono autografate e riportano sul retro la data, il luogo e le dediche. Dai sorrisi o dagli occhi velati di malinconia traspare la gioia o la nostalgia degli emigrati, il cui ritratto rappresenta di per sé un evento e un modo attraverso il quale rassicurare i familiari in Italia. I ritratti e le fotografie, come suggerisce il nipote dell’autore della storia della fondazione di Jequié, vanno letti e interpretati, perché “la foto era il solo mezzo disponibile per comunicare alla famiglia il proprio stato sociale, ma non nascondeva certo il proprio stato d’animo”. Il copioso materiale iconografico viene raggruppato, nel testo, in diverse sezioni: ad un primo capitolo dedicato alla cittadina brasiliana che comprende una veduta panoramica di Jequié, diverse foto di Casa Confiança, dei terreni appartenenti alla società e di gruppi di emigrati, segue la testimonianza iconografica dell’alluvione che nel 1913 distrusse gran parte del centro abitato e i raccolti dell’azienda. Una breve descrizione di Trecchina nella storia e varie immagini riferite agli anni 1930 e 1970, ricompongono, sul filo
JEQUIÈ, 1896,, EMIGRANTI TRECCHINESI / UN ANGOLO DI JEQUIÈ DOPO L’ALLUVIONE DEL 1913 / CARMINE MAROTTA CON LA SUA FAMIGLIA
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della memoria, i ricordi di quanti hanno vissuto quella condizione di “sradicamento”, senza abbandonare le proprie radici. Chiudono la rassegna fotografica una sezione dedicata alla moda dell’epoca, che ritrae “donne con sfarzosi cappelli, uomini impettiti con giacche e gilet tirati a modo con l’inseparabile cappello”, e un’altra dedicata ai bambini, ancora riconoscibili da amici e parenti, italiani e brasiliani. Alla lodevole pubblicazione dei due Marotta, che ha riscosso critiche positive e numerosi premi, in Brasile e in Italia, dalla quale è stata tratta una rappresentazione teatrale, a cura del regista e attore Giovanni Fochi, seguiranno altre due opere. La prima, dedicata all’economia dell’area di Rio das Contas, analizza le tipologie commerciali e le scelte aziendali con un’approfondita indagine storico - commerciale sul fenomeno dei trecchinesi di Jequié. La seconda, che ha per titolo “Caro compare”, riporta le lettere più belle giunte da Trecchina a “nonno Carmine”. Raccontano la vita quotidiana del piccolo centro lucano attraverso le voci di conoscenti, amici e parenti, testimoniando ancora una volta il legame solidale di quella comunità che, dal Tirreno attraverso l’Oceano, guardava all’altra terra in cui la sua storia si completava. Un esempio concreto di solidarietà è la decisione del nipote Carmine Marotta di devolvere diritti d’autore derivanti dalla pubblicazione a favore dei meninos de rua dello Stato di Bahia, per continuare, quell’opera benefattrice per la quale il nonno si era impegnato nei suoi cinquantadue anni trascorsi in Brasile. =
Many emigrants left from their small villages in Lucania and reached the new continent; pioneers in still depopulated and luxuriant places, who worked for the future of those lands. This is also the story of two men from Trecchina, Giuseppe Rotondano and Giuseppe Niella; they arrived in Salvador, in the State of Bahia, between 1866 and 1869 and, during their voyages as pedlars, discovered the small hamlet of Jequié and decided to open a shop there. That little shop of the beginning eventually became a real business which drew about 2,600 people from Trecchina, boosting the whole area and creating a cooperation-based negotiation system, which is still studied nowadays in several Latin American universities as an example of development and entrepreneurship. Today Jequié is the sixth city in Brazil, which covers an area four times the size of Italy, and has 200,000 inhabitants, 2,000 of whom are of Italian origin. “Casa Confiança. Storia, emigrazione, mode, visi, sentimenti raccontati dalle immagini del passato” recounts the epic foundation of Jequié, witnessed by one of the major promoters of the Firm of Trust, Carmine Marotta. This work, published by his homonymous grandson, presents the historical report his grandpa Carmine wrote in 1963, on the occasion of the visit to Trecchina made by his dear friend Antonio Lomanto Junior, governor of the State of Bahia; it is enriched by about a hundred black and white photographs which show the emigration that, still today, binds the history of two communities.
ENGLISH
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IL SALOTTO E L’AREA MURGIANA, BINOMIO INSCINDI-
NAGHEN, MADRID, BRUXELLES E ZURIGO. IL FATTURA-
BILE. PER DECENNI, IN QUEST’AREA DEL MEZZOGIORNO, COM-
TO DEL GRUPPO A FINE 2003 È STATO PARI A 769,6 MILIONI
PRESA TRA LE PROVINCE DI MATERA, BARI E TARANTO, SI È
DI EURO, IL 90% REALIZZATO IN 135 MERCATI NEI CINQUE
SVILUPPATO IL COMPARTO DEL MOBILE IMBOTTITO, FIORE AL-
CONTINENTI. NATUZZI È LEADER MONDIALE NEL SETTORE
L’OCCHIELLO DEL SISTEMA PRODUTTIVO REGIONALE, CHE HA
DEL MOBILE IMBOTTITO CON UNA QUOTA DI MERCATO DEL
SAPUTO SCALARE LE VETTE DEL COMMERCIO GLOBALE, GRA-
15% NEGLI USA E DELL’8% IN EUROPA CONQUISTATA A COLPI
ZIE AL SUCCESSO STREPITOSO REGISTRATO, NEL CORSO DEGLI
DI PUNTI VENDITA: 792 MONOMARCA (267 NATUZZI STORE
ANNI, DA MARCHI COME NATUZZI, NICOLETTI E CALIA,
E 525 NATUZZI GALLERY) DISTRIBUITI NEL MONDO. OLTRE 6
SIMBOLO DELL’ECCELLENZA DEL “MADE IN ITALY”, OGGI RESPI-
MILA I DIPENDENTI CHE LAVORANO NEGLI STABILIMENTI DEL
RA ARIA DI CRISI. AL FIANCO DI QUESTE REALTÀ SI È SVILUPPA-
GRUPPO.
TO UN INDOTTO COMPOSTO DA UNA MIRIADE DI PICCOLE E
FATTURATO DI ASSOLUTO RISPETTO ANCHE PER UN’AL-
MEDIE IMPRESE, PIÙ O MENO STRUTTURATE. NELL’APICE DELLA
TRA AZIENDA LEADER, LA NICOLETTI, FONDATA DA GIU-
CRESCITA, IL COMPARTO HA FATTO REGISTRARE 2 MILIARDI
SEPPE NICOLETTI NEL 1967. I NUMERI DI QUESTA REALTÀ
DI FATTURATO, 14 MILA ADDETTI E 500 AZIENDE. UN
PARLANO DI 127 MILIONI DI EURO DI FATTURATO, CHE
SUCCESSO IMPRENDITORIALE CHE È NATO, NELLA MAGGIOR
NEGLI ULTIMI SETTE ANNI HA AVUTO UN TREND DI COSTANTE
PARTE DEI CASI, DALLA VOLONTÀ DI UOMINI DECISI A DARE
CRESCITA, CONFERMATO ANCHE NEL PRIMO SEMESTRE 2004,
UN DESTINO DI PROSPERITÀ A QUESTO TERRITORIO.
IN CUI L’AZIENDA HA REGISTRATO UN INCREMENTO DEL FAT-
È IL CASO DI PASQUALE NATUZZI, CHE HA FONDATO
TURATO PARI AL 5% RISPETTO AL PRECEDENTE ESERCIZIO. RI-
LA SUA AZIENDA NEL 1959, TRASFORMANDO UNA PICCOLA
SULTATO RAGGIUNTO GRAZIE AL CONSOLIDAMENTO DELLA
BOTTEGA ARTIGIANA IN UNA MULTINAZIONALE DEL DE-
POSIZIONE SUL MERCATO MONDIALE E AD UN NETWORK
SIGN CON STABILIMENTI IN MEZZO MONDO, DALLA CINA
DISTRIBUTIVO SEMPRE PIÙ CAPILLARE ED EFFICIENTE. LA
AL BRASILE PASSANDO PER LA ROMANIA, ED UFFICI AD
VOCAZIONE INTERNAZIONALE DEL GRUPPO SI È ULTERIOR-
HIGH POINT (NORTH CAROLINA), SHANGHAI, COPE-
MENTE RAFFORZATA, CON UNA QUOTA EXPORT DEL FATTU-
ROSARIO GENOVESE
M NDO
BASILICATA
IL SALOTTO SI FA SCOMODO RATO, IN OLTRE 70 PAESI, CHE SI ATTESTA INTORNO ALL’87%. I
GELARE LE ASPETTATIVE DI RILANCIO DEL DISTRETTO. LA NA-
PRINCIPALI MERCATI DI SBOCCO SONO UK E USA, SEGUITI DA
TUZZI, INFATTI, HA PRESENTATO AL MINISTERO DEL LAVORO
FRANCIA, SVIZZERA, BENELUX E GERMANIA.
UN PIANO BIENNALE DI CASSA INTEGRAZIONE CHE INTERES-
A COMPLETARE IL QUADRO DELLE AZIENDE MAGGIOR-
SERÀ, A PARTIRE DA GIUGNO, 1320 MAESTRANZE. SOLO POCHE
MENTE RAPPRESENTATIVE, C’È LA CALIA. FONDATA NEL 1965,
SETTIMANE PRIMA ERA STATA LA NICOLETTI AD ANNUNCIARE
L’AZIENDA MATERANA COPRE 40MILA METRI QUADRATI DI
13 SETTIMANE DI STOP PER 95 DIPENDENTI, COSÌ COME LA CA-
SUPERFICIE E HA ALLE SUE DIPENDENZE 600 LAVORATORI.
LIA, 130 I LAVORATORI INTERESSATI, E LA NEW INTERLINE,
CON UNA CAPACITÀ PRODUTTIVA PARI A 320 MILA SEDUTE
CHE TERRÀ A RIPOSO 120 DIPENDENTI.
ALL’ANNO, CALIA HA SEGNATO UN FATTURATO NEL 2004 DI
INTANTO DAL FONDO DI QUALCHE REMOTO CASSET-
80 MILIONI DI EURO, DI CUI IL 90% ALL’ESTERO, IN EUROPA,
TO RIEMERGONO LE FAMOSE NOVE SCHEDE ELABORATE DAL
AMERICA, AUSTRALIA, MEDIO ED ESTREMO ORIENTE.
COMITATO DI DISTRETTO E DALLE SEZIONI LEGNO-ARREDO
NEGLI ULTIMI TRE ANNI HA EFFETTUATO INVESTIMENTI PER 13
DELL’UNIONE INDUSTRIALI DI MATERA E DELL’ASSOCIAZIONE
MILIONI DI EURO. VARIEGATA LA GAMMA DI STILI CHE VA DAL
INDUSTRIALI DI BARI. SU DI ESSE LE REGIONI PUGLIA E BASI-
MODERNO
LICATA HANNO ELABORATO, IN UN SERRATO CONFRONTO
AL CONTEMPORANEO, SENZA TRALASCIARE IL
TRADIZIONALE E IL CLASSICO.
CON LE PARTI SOCIALI, UNA PIATTAFORMA UNITARIA DA SOT-
OLTRE AI MARCHI CITATI, VA RIBADITO IL RUOLO INSOSTI-
TOPORRE ALL’ATTENZIONE DEL TAVOLO DI CRISI BORGHINI
TUIBILE RICOPERTO DA MOLTE IMPRESE DI PICCOLE E MEDIE
CONVOCATO DOPO L’ACCELERAZIONE INFERTA ALLA CRISI
DIMENSIONI CHE HANNO CONTRIBUITO A FAR CRESCERE UN
DALLA DECISIONE DELLA NATUZZI DI METTERE IN CASSA IN-
SETTORE CHE OGGI, PURTROPPO, ATTRAVERSA IL SUO MOMEN-
TEGRAZIONE STRAORDINARIA 1.320 DIPENDENTI. DA QUESTO
TO PIÙ DIFFICILE, PER DIVERSI MOTIVI: CONGIUNTURA INTER-
CONFRONTO DIPENDERÀ IL FUTURO PRODUTTIVO ED OC-
NAZIONALE NEGATIVA, LA CINA, LE RIFORME “SULLA CARTA”,
CUPAZIONALE DEL MOBILE IMBOTTITO.
EURO FORTE E DOLLARO (VOLUTAMENTE) DEBOLE. ORA È ARRIVATA LA CASSA INTEGRAZIONE STRAORDINARIA A
(FILIPPO OLIVIERI)
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Natuzzi SpA Anno di fondazione • 1959 Collaboratori • 6.230 Fatturato • 769,6 milioni al 31/12/2003 Stabilimenti • Italia, Cina, Brasile, Romania Rete distributiva Atene, Roma, Milano, Londra, Madrid, Sydney, Copenhagen, New York, Shanghai. Selfridges (UK), Sears Roebuck (Canada), Bloomingdales (USA), David Jones (AUS) e Gallerie Lafayette (Francia).
Nicoletti
Esportazione • 90% del fatturato realizzato in 135 mercati nei cinque continenti
Anno di fondazione • 1967 Superficie • 52.000 metri quadri (headquarter di Matera)
Offerta • Due brand: Natuzzi, posizionata nel segmento medio-alto del mercato, Italsofa, rivolta al segmento promozionale e prodotta nei tre stabilimenti esteri.
Dipendenti • 600 (come gruppo Nicoletti) Collezione • Ampia e completa collezione di divani e poltrone e complementi d’arredo. Oltre 2 milioni di combinazioni tra stili, rivestimenti e funzioni
Fatturato 2004 • 127 milioni di euro Stabilimenti • Italia, Cina, Bulgaria, Brasile
Quote di mercato • leader mondiale nel settore del mobile imbottito in pelle. Quota di mercato del 15% negli Stati Uniti e dell’8% in Europa. Primo produttore in Italia nel settore dell’arredamento
Esportazione • 87% Rete distributiva e Clienti • network distributivo capillare ed efficiente: catene specializzate, gruppi d’acquisto, negozi di mobili indipendenti, distribuzione non specializzata in tutto il mondo e negozi di proprietà in Italia.
Quotazione • dal 13 maggio 1993 Natuzzi SpA è quotata al NYSE (New York Stock Exchange), simbolo NTZ Certificazione di qualità • ISO 9000
Principali mercati • Usa, U.k, Italia, Europa, Far e Middle East.
ROSARIO GENOVESE
Certificazione Ambientale • ISO 14001
ENGLISH
Entrepeneurs are asking for the national governments
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More than 500 companies, 14,000 workers and employees and a turnover which, in 2002, was 1.9 billion euros. These are the official figures (Source LIEG - University of Basilicata) which summarize the social and economic weight of the upholstered furniture sector that is today experiencing a difficult period. Here are some figures: in 2003, compared to the preceding year, the com-
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BASILICATA
Calia Italia Anno di fondazione • 1965 Superficie • 40.000 mq Dipendenti • 600 Fatturato 2004 • 80 milioni di Euro Rete distributiva • 50 agenti Clienti • 2000 Capacità produttiva annua • 320.000 sedute Capacità produttiva annua • 130.000 salotti (composizioni 3posti + 2 posti) Collezione • 180 modelli Gamma di Stili • Class e Dynamic Certificazioni di qualità • ISO 9001, ISO14001, SA8000 Investimenti effettuati negli ultimi 3 anni internazionalizzazione produttiva, commercializzazione diretta (300 gallery nel mondo e 5 negozi in Italia), formazione, innovazione, marketing e comunicazione Investimenti nei prossimi 3 anni strategie di brand e di commercializzazione diretta, innovazione, formazione, internazionalizzazione.
panies of the upholstered furniture industry recorded an overall competitiveness loss, which translated into a turnover decrease quantified at about 10%, with a worrying drop in profit that, for some firms, has exceeded 50%, and a decrease in sales of about 7%, with a total loss of market shares of 9%, especially significant in the U.S. market, where there is a drop of about 16.7%. Starting from this statement, the Upholstered Furniture District has planned some technical reports, by now “famous”, that have been submitted to the attention of the Government. With no noteworthy results.
Esportazione • 90% Collezione • 300 modelli Gamma di Stili • moderno, contemporaneo, tradizionale e classico Principali mercati • Europa, America, Australia, Medio ed Estremo Oriente Certificazione di qualità • ISO EN UNI 9001. Certificazione Ambientale • ISO EN UNI 14001 Investimenti effettuati negli ultimi 3 anni 13 milioni di Euro Investimenti nei prossimi 3 anni • 4 milioni di Euro. Riconoscimenti ottenuti dall’Azienda 2000 • Premio AIRC Aziende attive, 2001 • Premio Guggenheim Impresa e Cultura 2003 • Premio Impresa e Cultura 2004 • Premio Sodalitas Social Award
Proposed actions A) Decrease in labour cost Abolition of social charges (during the first 5 years) for longlife training; identification of the rates for insurance contributions to INAIL (Industrial Accident Insurance National Institute) which must no longer be penalizing. (the present tendency is to further make this item’s weight on the total labour cost heavier); funding of “onthe-field” training (contribution to trainers); double tax deducibility of costs related to employees devoted to the attained development, internationalization and communication. 8
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È VERA CRISI PER IL COMPARTO MURGIANO
“Noi imprenditori siamo riusciti a promuovere una vera e propria “scuola di impresa” che ha permesso di elevare, nel suo complesso, il livello culturale del nostro territorio. Tutto ciò rappresenta un valore inestimabile che non può essere perso. Dobbiamo dare un futuro alle nostre aziende e, di conseguenza, al nostro territorio, continuando a credere nei valori che da sempre hanno costituito la base del nostro successo imprenditoriale”. Sono parole di Pasquale Natuzzi, un uomo in grado di esprimere costantemente un entusiasmo contagioso, che, in questo particolare momento di difficoltà per il comparto del mobile imbottito, è indispensabile per guardare ad un futuro possibile. La situazione è oggettivamente difficile. Un intero territorio compreso tra le province di Matera, Bari e Taranto vive con passione ed apprensione l’evoluzione di un comparto che, dopo anni di crescita esponenziale, segna il passo. Il divano, in definitiva, si è fatto “scomodo”. Le ragioni sono molteplici. “Da un lato - ci spiega Giuseppe Desantis, presidente della Sezione Legno Arredo dell’Unione Industriali Matera e numero 2 del Gruppo Natuzzi - la situazione congiunturale ed il quadro macro economico complessivo continuano a peggiorare, con un dollaro oramai svalutato del 35% rispetto all’euro ed una stagnazione che lo stesso Presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, non ha esitato a definire senza precedenti. Ora, però, nello specifico, per le aziende del mobile imbottito dell’area murgiana, alle ben note criticità di natura finanziaria si stanno aggiungendo le paventate difficoltà di carattere produttivo, atteso che oramai tutte le aziende cominciano a registrare anche una decisa contrazione di commesse a causa di una riduzione drastica degli ordinativi. A questo punto la preoccupazione delle aziende non è più per la difficoltà di realizzare margini a causa della fortissima svalutazione del dollaro americano rispetto all’euro, ma piuttosto per il continuo decremento del portafoglio ordini, nonostante gli ingenti investimenti che molte aziende hanno realizzato, con risorse proprie, a sostegno del prodotto Made in Italy. Ed in ragione di ciò - conclude Desantis - moltissime imprese, con un portafoglio ordini ormai ridotto al lumicino, hanno commesse da evadere solo per le prossime 3/4 settimane, a fronte di una ordinaria programmazione che, normalmente, è standardizzata su 7/8 settimane”. L’allarme è lanciato. Purtroppo qualche azienda “contoterzista” sta già pagando conseguenze nefaste. Ma non tutto è perduto se si riuscirà ad implementare in tempi brevi un’azio-
Svalutazione del dollaro americano rispetto all’euro, stagnazione che il presidente di Confindustria, Luca di Montezemolo, non ha esitato a definire “senza precedenti”, concorrenza cinese, portafoglio ordini ridotto al lumicino. È vero allarme per le aziende del mobile imbottito, ma i protagonisti, a partire dagli imprenditori, ai responsabili di Confindustria regionale e del Distretto, fino ad arrivare ai lavoratori, non intendono gettare la spugna: “Dobbiamo lavorare insieme per salvare il comparto”.
B) SUPPORT TO THE INVESTMENTS FOR THE PRODUCT AND PROCESS INNOVATION Incentives for research and technological innovation projects; incentives for new professionalism training; law actions aimed at safeguarding the intellectual and creative heritage. C) SUPPORT TO INTERNATIONALIZATION Contribution to the participation in Exhibitions; contribution to show room, points of sale and foreign trade seat openings; contribution to the investments for foreign logistic platforms; contribution
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ROSARIO GENOVESE
FILIPPO OLIVIERI
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BASILICATA ne di sostegno per il settore. Gli imprenditori lucani che, nel contempo, continuano a presentare il meglio dei propri prodotti nelle principali fiere espositive del mondo, ne sono più che convinti. Proprio in occasione di uno di questi appuntamenti, la Fiera di Colonia 2005, gli imprenditori hanno invitato i rappresentanti dei lavoratori, perché potessero “toccare con mano” le difficoltà del momento. “Sono molto contento che voi siate presenti in Fiera ha detto Saverio Calia, Presidente di Confindustria Basilicata, nonché della Caliaitalia SpA, rivolgendosi ai sindacalisti - perché così potrete rendervi conto di quanto s i a complesso incrementare la competitività dei nostri prodotti a fronte di una concorrenza che “spazza via” ogni buon proposito, presentando prodotti di qualità media a prezzi per noi impraticabili. Che fare? Continuare a guardare avanti, senza trascurare la necessità di trasferire parte della produzione altrove. Non vedo alternative, se non la chiusura delle nostre aziende. E questo non è giusto, in nome di quanti hanno lavorato e sofferto per mettere su questo sistema imprenditoriale”. “Allo stesso tempo - ha continuato Calia - voglio sottolineare che, mai come in questo momento, è necessaria una grande motivazione da parte di tutti i dipendenti, perché trovino sempre i giusti stimoli per offrire il massimo del proprio impegno e per tappare le ampie falle che fanno imbarcare acqua nella nostra barca”. Leggendo tra le righe, Calia ritiene si debba lavorare molto per rafforzare la “cultura del lavoro” e della responsabilità, con riferimento a quanti, forse, hanno pensato che un posto di lavoro nelle aziende del mobile imbottito possa equivalere ad una assunzione presso un ente pubblico. Sulla stessa linea l’opinione di Giuseppe Nicoletti, Presidente del Distretto del Mobile Imbottito e dell’omonimo Gruppo. “La situazione - ha detto Nicoletti - non è delle più semplici. Rispetto al passato molte cose sono cambiate, i tempi della crescita a due cifre sono oramai ricordi lontani. Tuttavia dobbiamo colla-
to the technical (commerce and marketing), linguistic and legal training for foreign countries. D) SUPPORT TO THE DIFFUSION OF THE BRAND AND/OR OF MADE IN ITALY Contribution to the expenses for communicating with foreign countries;
FOTO PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DI CALIA ITALIA SPA
borare insieme per salvare questo comparto produttivo, che genera una buona fetta dell’economia del territorio. Del resto, le aziende del mobile imbottito si stanno prodigando, anche attraverso il Distretto, per lanciare a più riprese il proprio grido di allarme verso le istituzioni competenti, anche se non giungono, in proposito, le giuste risposte. Nessuno, però, potrà dire che le nostre aziende non si siano mosse per tempo. In altri casi, abbiamo visto aziende che prima hanno chiuso i cancelli e poi hanno illustrato le motivazioni di tale scelta. Noi, invece, vogliamo salvare il nostro distretto imprenditoriale, includendo anche il tessuto pugliese con il quale siamo interconnessi. Ecco perché ribadisco a gran voce la necessità di fare sistema, nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità”. Intanto i cinesi si espandono a macchia d’olio, fino ad aprire nuove attività nelle principali aree industriali della città di Matera. Provare per credere. Ma in fondo, si tratta di storie di “ordinaria globalizzazione”. =
E) SUPPORT TO THE GROWTH OF INDUSTRIAL, MANAGERIAL AND COMMERCIAL CULTURE Incentives to employers’ associations, managerial training, cooperative initiatives. F) OTHER ACTIONS To limit customs duties; Reduction of IRAP (regional tax on production activities), extension of redundancy funds (F. O.)
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I PETRODOLLARI DEGLI SCEICCHI PER RECUPERARE FIATO
Mentre il mercato occidentale non dà sostanziali segni di ripresa, gli imprenditori del comparto del mobile imbottito scrutano l’orizzonte a caccia di nuovi aree da invadere con l’inconfondibile stile italiano. Quello mediorientale, ad esempio, promette nuove opportunità di sbocco per il salotto lucano. Specie se a fare da testa di ponte è il paese degli sceicchi e dei petrodollari. In questa direzione va il progetto “6 regioni per 5 continenti”, finalizzato ad una maggiore internazionalizzazione del Distretto del Mobile Imbottito di Matera e Montescaglioso, mediante la costituzione di uno show room permanente localizzato negli Emirati Arabi Uniti (EAU). L’operazione, a carattere prevalentemente commerciale, ove trovasse un approdo positivo, è mirata a sostenere una attività di penetrazione commerciale avente come base gli EAU con proiezione verso gli altri Paesi dell’area. “L’idea di avviare una iniziativa negli Emirati Arabi Uniti - ha detto il Presidente del Comitato di Distretto del Mobile Imbottito, Giuseppe Nicoletti - nasce dalla constatazione che, ad oggi, l’attività di export del Distretto, pur essendo molto significativa e sostenuta, è stata meno focalizzata sui Paesi dell’area mediorientale.Tali Paesi, pur essendo culturalmente e ideologicamente distanti dalla realtà occidentale, sono tuttavia molto attratti dallo stile e dal design italiano, ed hanno un alta propensione marginale al consumo di beni di arredamento e di lusso “made in Italy”. In
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ROSARIO GENOVESE
“6 Regioni per 5 continenti”: una ricetta ambiziosa e coraggiosa per conquistare mercati internazionali. Il Distretto del mobile imbottito di Matera e Montescaglioso ha immaginato uno show-room permanente in terra d’Oriente per permettere la diffusione del prodotto. L’iniziativa sarà supportata da un apposito intervento finanziario erogato tramite fondi rotativi gestiti da Simest a tassi agevolati.
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realizzazione di uno show-room permanente, che assumerà il ruolo di punto di riferimento delle strutture commerciali delle imprese partecipanti, attraverso il quale sviluppare il mercato estero individuato e quelli di proiezione limitrofi. L’iniziativa sarà supportata da uno specifico intervento finanziario erogato tramite fondi rotativi gestiti da Simest a tassi agevolati ai sensi della L. 394/98, a sostegno delle operazioni di penetrazione commerciale in Paesi extra-UE. Circa le possibili localizzazioni dello show-room in “terra d’Oriente”, il Distretto sta valutando la opportunità di sfruttare una serie di agevolazioni ottenibili da un insediamento commerciale eventualmente localizzato su una zona franca. Sceicchi, state comodi. Il relax “Made in Matera” sta arrivando.
“6 regions for 5 continents”, an ambitious project through which the entrepreneurs of the Upholstered Furniture District, after having won a large part of the world’s Western markets, try to “look ahead”. Their idea is to create a permanent showroom in the United Arab Emirates. “A mainly commercial operation” explains the President of the Upholstered Furniture District Committee, Giuseppe Nicoletti, “aimed at achieving a better organization of the sector within a market area where firms usually act autonomously, with a greater risk factor”. “The conditions for a successful operation exist - Nicoletti highlights - since these countries, even if culturally and ideologically far from the Western world, feel really attracted by the Italian style and design, and have a high marginal propensity to consume interior design and luxury goods made in Italy. The project will use the facilitations and tools offered by the MAP project “International Italy: six Regions for five Continents” in order to supply a prefeasibility study which will indirectly safeguard the employment aspect. The action will be supported by a specific financial intervention allocated through the prime-rate revolving funds managed by Simest under the Law 394/98, which supports the operations of trade penetration into extra-EU countries.
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questo senso, una operazione di questo tipo condotta dal Distretto, permette una migliore organizzazione di sistema in un’area di mercato dove le aziende, di solito, si muovono in autonomia, con un maggiore fattore di rischio”. La selezione del Distretto del Mobile Imbottito quale sistema d’impresa al quale fare riferimento per la definizione della operazione di internazionalizzazione è stata effettuata congiuntamente da Simest S.p.A., dal Ministero delle Attività Produttive (task force per l’internazionalizzazione e presidio regionale per la Basilicata) e dalle autorità regionali competenti della Basilicata. L’iniziativa utilizzerà le agevolazioni e gli strumenti offerti dal progetto a titolarità del MAP “Italia Internazionale: sei Regioni per cinque Continenti”, per fornire uno studio di prefattibilità che indirettamente salvaguardi l’aspetto occupazionale. Spesso infatti le attività di internazionalizzazione, se non opportunamente pianificate e gestite possono tradursi in mere attività di delocalizzazione produttiva che finiscono per avere gravi ripercussioni in termini occupazionali. L’ipotesi invece di dar vita ad uno strumento che permettesse la diffusione del prodotto italiano nel mondo ed in particolare di quello del settore del mobile imbottito di Matera e Montescaglioso, è sembrata la migliore da perseguire in un siffatto scenario economico. In concreto, l’operazione prevede la
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IL SINDACATO PRONTO A FARE LA SUA PARTE Si sperava in una ripresa imminente del mercato e, invece, è arrivata la Cassa Integrazione Straordinaria: due anni, a partire da giugno, per 1320 dipendenti della Natuzzi. È la fine di un sogno: dopo decenni di crescita a due cifre, il polo appulo-lucano del mobile imbottito segna il passo. Ma non tutto è compromesso. Cgil, Cisl e Uil presentano la ricetta per uscire dal tunnel della crisi e imboccare una nuova fase di espansione.
Le cronache dei quotidiani ne hanno parlato alla stregua di un evento storico: era la prima volta che i lavoratori del polo del salotto materano si riunivano in assemblea generale. Il teatro Duni di Matera era stipato di gente come alla prima di un film lo scorso 18 gennaio. Centinaia di lavoratori, quattrocento secondo i sindacati, riuniti al capezzale del salotto murgiano e, forse, del proprio futuro. In venti anni non era mai capitato. In tempi di vacche grasse, del sindacato non c’era bisogno: bastava il portafoglio gonfio di ordinativi a tenere buoni i lavoratori. Bastava la crescita impetuosa delle esportazioni ad assicurare il lavoro. E poco male se c’era da cedere qualcosa sul piano dei diritti e del salario. In quella fetta di terra, che non sai mai se sia Puglia o Basilicata, quel lavoro era un’oasi nel deserto della disoccupazione. Adesso che la crisi si è fatta acuta e l’ombra della cassa integrazione, quando non della mobilità, si è allungata minacciosa sulla testa di centinaia di maestranze, è tornata pure la voglia, o il bisogno, di sindacato. “Abbiamo venti anni di mancata sindacalizzazione da recuperare”, denuncia Franco Pantone della Filca-Cisl materana. Che continua: “Oggi arriva al pettine il nodo della mancata programmazione industriale che ha caratterizzato il comparto in tutti questi anni. Il polo del salotto è nato e si è sviluppato grazie alla creatività e alla capacità degli imprenditori che hanno saputo trasformare le vecchie botteghe artigiane in colossi industriali. Ma è stato uno sviluppo tanto tumultuoso quanto disordinato che ha sacrificato il sistema delle relazioni industriali”. Non bastano più gli animal spirit dei Natuzzi, dei Nicoletti, dei Calia e della costellazione di piccoli imprenditori che hanno fatto grande il salotto lucano. Serve programmazione per governare un settore che per qualità e originalità delle produzioni ha ancora tanto da dire sui mercati internazionali. Cina
Qualità e formazione: le richieste dei lavoratori
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“Ho cominciato a 14 anni. Andare a scuola non mi piaceva e così mio padre mi fece lavorare in una bottega come tappezziere. Il mio primo incarico? Lavorare sui fondi delle sedie”. Pietro Rizzi ricorda così il suo approccio con i salotti, un lavoro che negli anni gli avrebbe consentito di crescere e mettere su famiglia (sposato da 14 anni, ha una figlia di 8 anni) senza, però, dimenticare i grandi sogni. “Ad un certo punto - ricorda - avevo anche pensato di mettermi in proprio, ma poi l’investimento economico era troppo elevato e ho lasciato perdere”.
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Pietro lavora alla Nicoletti dal 1985. Vent’anni in cui ha assistito alle differenti fasi di sviluppo di un settore che oggi è costretto a fare i conti con la sua crisi più seria. “C’ero quando è scoppiato il vero e proprio boom dei salotti, poi la realtà è cambiata. Oggi, in azienda, chi arriva da altre realtà imprenditoriali deve fare i conti con un sistema diverso quale quello nostro. Puntuale e preciso che però tiene conto del ruolo che oggi deve avere il vecchio tappezziere ora chiamato assemblatore. A questa figura viene chiesto di saper fare tutto: cucire, tagliare i tessuti e la pelle per giungere poi ad assemblare tutte le parti. Se c’è un consiglio che posso dare agli imprenditori è quello
avere una capacità diffusa non solo per quanto riguarda il divano in senso stretto, ma anche per tutta la componentistica. Da qui è nata l’idea di creare un distretto. Distretto le cui potenzialità, però, non si sono ancora realizzate appieno. È necessario, infatti, migliorare le relazioni tra i soggetti imprenditoriali andando oltre la dimensione della singola impresa e ragionando in termini di ‘distretto’, mettendo in comune aspetti come il trasporto e la capacità espositiva. Esiste, ad esempio, un marchio del distretto che, però, non è stato mai utilizzato. Gli imprenditori - ha concluso Delicio devono comprendere che avere un marchio del distretto non vuol dire perdere la propria identità, ma aggiungere una ulteriore certificazione di qualità al prodotto”. = The Lucanian Trade Union is very worried about the crisis of the Upholstered Furniture District of Matera. While the global competition becomes more and more belligerent, the threat of redundancy fund and mobility casts a gloomy shadow over the workers. As a consequence, the need for Trade Unions re-emerges after twenty years of anarchy. According to Franco Pantone (Filca-Cisl) “the Upholstered Furniture pole was born and has been developed thanks to the creativity and ability of entrepreneurs who have been able to change their old craftsman’s workshops into industrial giants. But it has been a confusing and messy development which has sacrificed the system of industrial relationships”. And he proposes “an experimental model of virtuous negotiation in order to get over this difficult moment”. “We need Government actions concentrating on technological innovation, research and design and a series of measures like those already adopted by the Region of Basilicata in the field of long-life training”, Michele Andriulli (Fillea-Cgil) replies. While Valeriano Delicio (Feneal-Uil) aspires to a cultural turning point leading “beyond the dimension of the individual enterprise in order to reason in terms of ‘district’, putting aspects such as logistics and trademark in common”.
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OTTAVIO CHIARDAIA
ed euro permettendo. Il sindacato è pronto a fare la sua parte e apre agli industriali sul capitolo contrattazione: “Noi siamo disponibili a mettere in campo tutti gli strumenti possibili di flessibilità - dice Pantone sui quali vi è stata una timida apertura del settore legno dell’associazione degli industriali. Certo per recuperare un corretto sistema di relazioni industriali serve una crescita culturale del sindacato e dei lavoratori. Perché solo un modello sperimentale di contrattazione virtuosa può farci superare questo momento difficile”. E se la Cisl punta su concertazione, contrattazione e relazioni industriali, la Cgil auspica un intervento più incisivo della politica per sostenere il settore. Dice Michele Andriulli della Fillea-Cgil materana: “La competizione internazionale si può vincere solo se saranno messi in campo interventi a favore della competitività e del made in Italy finalizzati a promuovere l’italianità nel mondo. Come Cgil riteniamo che ci sia bisogno di aiutare a promuovere le nostre imprese a livello internazionale valorizzando il marchio e il prodotto. L’obiettivo deve essere quello di penetrare, o comunque mantenere, un mercato che è già per certi versi nostro. C’è bisogno di interventi da parte del Governo rivolti all’innovazione tecnologica, la ricerca e il design e di una serie di misure come quelle già adottate dalla Regione Basilicata che ha destinato 5 milioni di euro a favore del distretto del mobile imbottito di Matera e Montescaglioso per la formazione continua”. Di integrazione e logica di distretto parla, invece, Valeriano Delicio della Feneal-Uil: “Il polo del salotto ha dimostrato di
di investire nella qualità e nella formazione dei lavoratori”. Per Florinda Melillo, 44 anni di Santeramo, dipendente della Natuzzi da 19 anni il segreto è: “Far innamorare i lavoratori di un mestiere che va custodito gelosamente, come il proprio territorio”. Sposata, madre di tre figli (un maschio di 25 e due femmine di 22 e 6 anni) anche Filomena ha vissuto l’era d’oro del polo del salotto ma spiega: “Le aziende non hanno saputo usarla per evolversi. Oggi è necessaria la collaborazione tra azienda e lavoratore, non è più il momento di dividere i vertici dagli operai. La stessa logica di governo ci insegna che l’intento deve essere comune ed è su questa che bisogna puntare”. “Il sistema premiale utilizzato finora va cambiato - conclude - coinvolgendo maggiormente chi produce senza sviluppare semplicemente le logiche della quantità”. (Laura Petrini) 55
INNOVAZIONE E FORMAZIONE PER TAMPONARE L’EMORRAGIA La crisi del polo del salotto sbarca a Roma. Il governo si impegna a valutare il documento stilato da Regioni, imprese e sindacati. Da Cipe e Regione Basilicata, intanto, 9 milioni di euro per risollevare le sorti del distretto, puntando su innovazione tecnologica e formazione continua
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“Valuteremo il documento proposto dalle Regioni Basilicata e Puglia e, se sarà il caso, reperiremo strumenti e risorse dal decreto sulla competitività”. Il governo nazionale prende tempo. Come se non fossero già chiare le dimensioni della crisi e le proposte presentate al tavolo romano da Regioni, imprese e sindacati, un anno dopo l’ultima ed infruttuosa riunione “interlocutoria” con la task force per l’occupazione, presieduta dall’onorevole Borghini. Anche in quel caso la risposta fu un generico “valuteremo”. Come sia andata a finire quella interlocuzione è noto a tutti. Ma c’è un fatto importante che, al di là dei risultati tangibili che produrrà la riapertura del tavolo di crisi, ha marcato in maniera indelebile questa vertenza: la ritrovata unità d’intenti tra le Regioni Puglia e Basilicata, grazie all’attivismo dimostrato dai governatori De Filippo e Vendola, e tra imprenditori e sindacati. Una compattezza che fa ben sperare per il futuro. Ora si attende con un misto di inquietudine e trepidazione la risposta del governo. Dal canto loro le Regioni, hanno fatto sapere i due governatori, sono pronte a caricare sul proprio bilan-
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“La competitività delle regioni del Mezzogiorno - ha spiegato Stanca - passa attraverso lo sviluppo ed il consolidamento di alcune linee di intervento da attuare in territori selezionati secondo le loro potenzialità di sviluppo, favorendo l’innovazione digitale nelle imprese, sviluppando servizi di e-government, supportando lo sviluppo del capitale umano ed aumentando la diffusione della banda larga”. Iniziative “provvidenziali” che, per la loro stessa natura, potranno allungare l’agonia ma non certo guarire il male. L’accelerazione inferta alla crisi dalla ondata di cassa integrazione nelle aziende leader del settore impone un radicale cambio di prospettiva. Essere riusciti a farne una vertenza di interesse nazionale è già un grande passo in avanti. Perché in quella fascia di terra tra Puglia e Basilicata, epicentro della crisi, è in gioco non solo il futuro del distretto ma quello del sistema industriale e manifatturiero italiano. ROSARIO GENOVESE
cio gli interventi di propria competenza. Imperativo categorico: aiutare le imprese a riposizionare il prodotto sulle fasce alte del mercato. Lo ha già fatto la Regione Basilicata, varando sul finire della passata legislatura un programma di formazione continua destinato alle imprese del mobile imbottito di Matera e Montescaglioso. La Giunta Bubbico ha stanziato 5 milioni di euro per rafforzare il capitale umano interno al distretto e “per aiutare le aziende del settore a recuperare competitività in una fase difficile dell’economia nazionale, aggravata da eventi e condizioni di mercato sfavorevoli”. Altri 4 milioni di euro arrivano dal Cipe nell’ambito di un programma per l’innovazione digitale delle imprese del Mezzogiorno. Il distretto materano del mobile imbottito, infatti, figura nella lista degli undici “territori d’eccellenza” scelti e finanziati su proposta del Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie, Lucio Stanca. Il programma tende a migliorare, attraverso l’uso delle nuove tecnologie digitali, i processi di produzione ed il presidio dei mercati internazionali.
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Viesti: ancora valido il modello del distretto “Per il distretto del mobile imbottito si è chiuso un ciclo di grande crescita”. Parola di Gianfranco Viesti, professore di economia all’Università di Bari e studioso di distretti industriali, che racconta a Mondo Basilicata vizi e virtù di un modello industriale tutt’altro che sorpassato.
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“Parlare del Mezzogiorno significa parlare del già detto, e del già fallito, di una lunga teoria di interventi economici che sono sconfinati in un assistenzialismo permanente; di un’area che tutto sommato pare refrattaria a qualsiasi ipotesi di sviluppo”. A Gianfranco Viesti il gusto per la provocazione intellettuale non difetta certamente, tanto da aver dato al libro da cui è estratto il virgolettato, un titolo che ha fatto rumore, contribuendo non poco a decretarne il successo: Abolire il Mezzogiorno. Calma. Nel pensiero di Viesti abolire il Mezzogiorno non vuol dire abbandonare il Sud alla deriva, quasi fosse una inutile appendice del Paese. Niente affatto. “Abolire il Mezzogiorno - scrive Viesti - significa che occorre discutere non delle politiche straordinarie per il Sud ma delle politiche ordinarie per l’Italia”.
Niente suggestioni padane, dunque, ma la lucida presa di coscienza che la stagione dell’assistenzialismo tout court è finita. Una visione che “include” i problemi che attanagliano il lembo estremo dello stivale nel più generale quadro nazionale. I problemi del Sud, insomma, sono i problemi dell’Italia. A Gianfranco Viesti, professore straordinario di economia applicata dell’Università di Bari, abbiamo chiesto di tratteggiare, con l’occhio critico dell’economista, lo stato di salute del distretto materano del salotto, una caso da manuale di sviluppo endogeno, che però negli ultimi mesi ha mostrato inequivocabili segnali di sofferenza. Lei è uno studioso di distretti industriali. Quello del mobile imbottito a cavallo tra Puglia e Basilicata,
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BASILICATA LE FOTO IN QUESTA PAGINA SONO PUBBLICATE PER GENTILE CONCESSIONE DI NICOLETTI S.P.A.
Costo del lavoro, innovazione di prodotto e di processo, internazionalizzazione, tutela del made in Italy. Questa è la ricetta che il comitato di distretto ha squadernato sul tavolo del governo nazionale, senza, peraltro, apprezzabili risultati. È la strada giusta, secondo lei, per ridare slancio al polo murgiano? Il fatto che non ci sia reazione da parte della politica economica alle iniziative dei distretti è molto grave, anche perché questo è il periodo nel quale contano i mesi, i cambiamenti sono molto veloci e bisogna agire subito. Si possono progettare azioni più difensive, come quelle sul costo del lavoro, anche se sono molto
Gianfranco Viesti, full professor of Applied Economics at the University of Bari and industrial-districts expert, outlines in Mondo Basilicata the state of health of the upholstered furniture district in Matera, a textbook case of endogenous development that, in the last few months, has borne undeniable signs of suffering. After several years of a two-figure growth rate, the district is facing some difficulties because of “the strong increase in the international competition -
difficili da immaginare perché la fiscalità generale non dispone di risorse sufficienti per intervenire. Nel 2000 scriveva che “i distretti nascono laddove vi è una cultura sedimentata e laddove sono cresciute imprese motrici”. È più o meno l’identikit del polo del salotto murgiano. A distanza di cinque anni, e alla luce delle mutazioni intervenute nello scenario economico internazionale, il modello del distretto è ancora attuale? Sicuramente sì, anche se assumono più importanza alcuni elementi di questa ricetta rispetto ad altri. È più importante di prima che ci siano delle imprese medie e medio grandi in grado di indicare la strada anche alle altre; è ancora più importante di prima l’internazionalizzazione commerciale, cioè aprire negozi, finanziare campagne pubblicitarie, sostenere i marchi all’estero. Ed è importante, più di prima, saper gestire bene il decentramento internazionale perché un distretto può continuare su buoni livelli se attua un decentramento intelligente che deve riguardare solo alcune fasi della produzione, lasciando sul suo territorio i principali fattori competitivi. Autorevoli studiosi sostengono che il Mediterraneo nei prossimi anni tornerà a rivestire il ruolo di
asse strategico geo-economico mondiale. Lei condivide questa idea? E, soprattutto, la Basilicata e tutto il Mezzogiorno, propaggine europea nel Mediterraneo, cosa dovrebbero fare per cogliere questa opportunità storica? In certa misura ci sono già novità importanti che sono collegate soprattutto al settore dei trasporti e, quindi, alla nuova centralità dei porti del Mezzogiorno, a cominciare da quello di Taranto. E interessanti sono i progetti di crescita che guardano ai Balcani. Nel Nord Africa ci sono alcuni paesi che sono molto interessanti e che offrono interessanti prospettive di mercato, a cominciare dalla Tunisia e dal Marocco. Ma bisogna fare i conti con l’instabilità generata dalla questione medioorientale, instabilità che può creare problemi. Su questo fronte è necessario una politica europea più convinta. Da parte nostra potremmo fare due cose: la prima è organizzare intorno ai grandi porti delle filiere logistiche complete; la seconda è cercare di sbarcare insieme in questi mercati che, spesso, per le singole imprese sono più difficili da conquistare, cercando di stabilire delle teste di ponte che nel lungo periodo possono essere molto importanti. =
Viesti points out - and, with respect to the business situation, of the difficulties the companies found in the American market owing to the euro appreciation over the green bill. All the same, we must note that a great growth cycle has ended”. And, while companies are equipping themselves in order to tackle the crisis, the economic policy is in hiding. Viesti says: “It is a serious lack, also because this is the period when months matter, changes are very
fast and we have to act immediately”. However, according to Viesti, the anxieties of the upholstered furniture do question the development model based on industrial districts. A model which should be adequately updated by keeping due account of the roles of the “driving firms”, of distribution, of trademark and of the international decentralization which “must only concern some phases of production, leaving on its territory the main competitive factors”.
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dopo anni di crescita a due cifre, segna il passo. Tutta colpa della Cina e dell’euro? È colpa del forte aumento della concorrenza internazionale e, come fattore congiunturale, delle difficoltà riscontrate dalle imprese sul mercato americano per effetto dell’apprezzamento dell’euro sul biglietto verde. Le difficoltà sono sensibili e durano ormai da un biennio. Il distretto, però, è molto ben strutturato e le sue imprese principali sicuramente stanno già elaborando adeguate strategie di risposta. Comunque, bisogna prendere atto che si è chiuso un ciclo di grande crescita.
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Regolari e clandestini nell’emigrazione lucana di fine ‘800 I primi governi unitari mostrano subito ostilità verso chi abbandona il paese per cercare fortuna in America. Principalmente per due motivi: chi emigra offre all’estero un’immagine della miseria e dell’arretratezza del paese che si preferirebbe nascondere; l’esodo minaccia gli equilibri sociali e produttivi basati su bassi salari e gravi ineguaglianze. Per questo la mite protesta espressa dall’emigrazione è sentita come un oltraggio alle classi dominanti. A loro avviso, con l’emigrazione le classi umili si sottraggono a una tutela indispensabile a chi non è in grado di decidere da solo del proprio destino. La fuga dalla povertà e dall’ingiustizia è attribuita perciò a fregola, contagio, smania migratrice diffusa dagli agenti d’emigrazione per lucrare sui biglietti di viaggio venduti. E, individuati così i nuovi untori, si dà corso a una normativa che dichiara di voler combattere gli abusi della credulità popolare degli agenti, ma si propone di soffocare l’esodo. La prima misura legislativa è la circolare Lanza, del luglio 1873, che impegna i prefetti a contrastare le partenze clandestine e a limitare con ogni mezzo quelle da attuare con regolare passaporto. Il governo spera così di “reprimere l’industria malefica degli agenti per l’emigrazione” e frenare la tendenza a lasciare i luoghi di nascita “di tanti cittadini inconsci del pericolo che corrono col prestar cieca fede alle fallaci promesse di avidi speculatori” (F. S. Nitti, L’emigrazione e i suoi avversari, 1888, ora in “Scritti sulla questione meridionale”, Bari 1958, p. 347).
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PUBLIFOTO - OLYCOM SPA
Cristoforo Magistro ricostruisce sinteticamente il quadro normativo che i governi liberali approntarono per gestire l’emigrazione che già a fine Ottocento si profila con caratteri di massa. I tentativi di controllarla e limitarla si rivelarono poco efficaci e ottennero l’effetto di renderla, in larga parte, clandestina.
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BASILICATA sone che varcavano il confine di nascosto, ma di emigranti che avevano comprato il biglietto di viaggio da mediatori non autorizzati o da agenti di vettori (compagnie di navigazione) clandestini (A. Martellini, Il commercio dell’emigrazione: intermediari e agenti, in “Storia dell’emigrazione italiana”, Partenze, cit. p. 306). Emigrare clandestinamente costava molto meno e a suggerire questa via erano in genere persone che godevano di rispettabilità sociale (in qualche caso sindaci, dipendenti comunali, preti; più spesso negozianti e artigiani) e di cui l’emigrante si fidava. Le tariffe dei vettori non autorizzati erano più basse di quelle deIle compagnie che, provviste delle patenti ministeriali, agivano in regime di monopolio. Non c’era bisogno di versare una fidejussione pari, si è detto, al costo del viaggio. E questo non significava soltanto tagliare per circa due terzi i costi dell’impresa, nel caso, raro, che si disponesse già della cifra necessaria, ma soprattutto non assoggettarsi a tassi usurai che in alcuni paesi raggiungevano il 200% annuo (A. Franzoni, L’emigrazione in Basilicata, 1904, in a cura di - E. V. Alliegro, La Basilicata e il “nuovo mondo”, cit., p. 144). Oltre a questi non trascurabili aspetti, servendosi di questa rete si evitavano trafile e spese burocratiche per l’imbarco e non si correva il rischio di essere respinti allo sbarco se non si passava la visita medica o non si disponeva della somma minima fissata dalle autorità dei paesi di emigrazione. =
Cristoforo Magistro synthetically reconstructs the normative framework that the liberal governments promoted in order to manage the emigration which showed its mass characters ever since the end of the Nineteenth Century. The attempts to keep emigration under control and reduce it were not very successful and the only effect they achieved was making it mostly illegal. The world is free, as a farmer said at that time, during an interview about the reasons for emigration. The Crispi Government (1888) acknowledged that, in theory, the state did not have the right to prevent the free movement of people and that, even if it had wanted to, it had no means to control it. However, the State did not try to deal with the emigration and kept considering it above all as a phenomenon induced by the so-called American Dream and its supporters. The emphasis on the emigration agents’ role was due to the undervaluation of the poor classes’ ability to build up a new life and take their destiny in their own hands. The final part of the article recounts an episode of repression which highlights the strength of the motivation of those who wanted to leave and the oppressive character that inspired the laws for emigration prevention. Between those who wanted to emigrate and the Prefecture’s tendency to strictness, however, there was the mediation by the towns’ administrators. A mediation full of light and shadow since some of them showed an understanding for the cases - concrete and humane - of those who wanted to leave for not starving to death, others supported the repressive approach or asked for its tightening, and others played an active role in the network which managed the illegal emigration. These aspects, and the variety of episodes they gave rise to, will be more diffusely portrayed in the second part of the article which will be featured in the next issue.
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L’ostacolo maggiore posto dalla circolare Lanza agli emigranti é senz’altro la cauzione, circa quattrocento lire, che un fidejussore deve versare per rimpatriare chi non sia in grado di farlo a proprie spese. Chi vuole emigrare con le carte in regola deve quindi disporre di quattrocento lire in contanti e di una garanzia prestata da terzi per un’eguale cifra. In tempi di salari non superiori ai settanta centesimi al giorno, pagati in parte in natura e per non più di duecento giornate all’anno, emigrare diventava un’impresa che impegnava anni di risparmio. Toccherà a un conservatore come Sidney Sonnino far notare la contraddizione insita nel pretendere da chi voleva emigrare per sfuggire alla miseria la disponibilità di un capitale (M.R. Ostuni, Leggi e politiche di governo nell’Italia liberale e fascista, in “Storia dell’emigrazione italiana”, Partenze, di AA.VV, Roma 2001). Tre anni dopo, un’altra circolare, la Nicotera, del 28 aprile 1876, cancella l’obbligo della fidejussione. Ma, ancora nel 1882, il prefetto di Potenza vanterà fra le precauzioni da lui fatte adottare nel concedere i passaporti la richiesta di “un atto formale di garentia di persone solvibili” che rimborsino all’erario le eventuali spese per il rimpatrio dell’emigrante (a cura di E. V. Alliegro, La Basilicata e il “nuovo mondo”. Inchieste e studi sull’emigrazione lucana (1868-1912), p. 459). Ci si poteva aspettare di meno da chi considerava l’emigrazione “piaga sanguinante e disdoro d’Italia nostra?”. Evidentemente anche l’Italia liberale, che coltivava il mito del buon governo mostrando di sapersi adeguare alle esigenze del paese e insieme consentiva ai suoi funzionari di farsi merito dell’inapplicazione delle norme correttive di precedenti limiti e rigidità legislative, aveva le sue contraddizioni. A “singolare paura” dell’emigrazione si ispirava, dirà Nitti, anche la prima legge in materia emanata da Crispi nel dicembre 1888. Nella relazione che l’accompagnava c’era sì la presa d’atto che “la emigrazione è un fatto che non si ha il diritto di sopprimere, e non si hanno i mezzi per impedire” ma anche la volontà di contrastarla per via amministrativa. Con ogni mezzo: dalla limitazione della libertà di circolazione agli agenti d’emigrazione, alla proibizione loro fatta di accettare dagli emigranti “alcun compenso sotto qualsivoglia nome o titolo”. Si pretendeva, commenterà il solito Nitti, che questi svolgessero la loro attività per passatempo? Nè si mostrava più fiducia verso sacerdoti, sindaci, segretari comunali e maestri. Espressamente per loro l’articolo 7 prevedeva mille lire di multa se avessero promosso l’emigrazione “con esortazioni scritte o verbali [...] anche senza fini di lucro”. L’aspetto più grave della legge riguardava però senz’altro la facoltà data al Ministero degli Interni di decidere da quali province si poteva emigrare, in che numero e per quale destinazione (F. S. Nitti, cit. pp. 305-307). La statistica “ufficiale” indicava in circa centomila gli emigrati con regolare passaporto fra il 1876 e il 1900. Gli studi fatti ai nostri giorni parlano di oltre duecentomila partenze per lo stesso periodo. Prendendo per buoni tutti e due i dati, si può affermare con le cautele del caso che i primi emigrati lucani, non diversamente da quelli dalle altre regioni, furono per metà clandestini. Su tale qualifica conviene però fare una precisazione: non si trattava sempre e soltanto di per-
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Bis di lucanitĂ in terra friulana
MARINO STERLE
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Dopo Udine, nasce a Trieste una nuova Associazione. Centocinquanta gli iscritti e nove i soci fondatori. Hanno le idee ben chiare: creare un canale di comunicazione tra la Basilicata e il Friuli Venezia Giulia.
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LA BASILICATA E IL FRIULI VENEZIA GIULIA, S’INCONTRANO A TAVOLA IN UN’ECCEZIONALE SINTESI DI SAPERI E SAPORI. DALLA TRADIZIONE ENOGASTRONOMICA MITTELEUROPEA, CHE VANTA FRA I SUOI PRIMI PIATTI LA JOTA, AI TIPICI VINI LUCANI, PER BRINDARE ALLA NEONATA ASSOCIAZIONE. COLLOCATE AGLI ESTREMI GEOGRAFICI DEL PAESE, LE DUE REGIONI CONDIVIDONO SENTIMENTI COLLETTIVI FORTI, COME IL PROFONDO ATTACCAMENTO ALLA PROPRIA TERRA E ALLE PROPRIE TRADIZIONI. LEGAMI CHE NEPPURE L’EMIGRAZIONE È RIUSCITA A SPEZZARE COME BEN TESTIMONIA IL RITORNO DI MOLTI EMIGRATI, CHE SEPPURE PERFETTAMENTE INTEGRATI E PROFESSIONALMENTE REALIZZATI NEI RISPETTIVI PAESI D’ADOZIONE DECIDONO DI TORNARE. SONIA SICCO
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Sapori, profumi, ricordi. La cucina è certo una delle chiavi di lettura di una cultura, una delle vie più importanti per conoscere un popolo. Ricevere e offrire prodotti della propria tradizione diviene allora parte di un rituale che mantiene e vivifica il legame con la terra d’origine. Ma è anche un potente mezzo di comunicazione, attraverso cui l’uomo esprime se stesso trasmettendo agli altri usi, costumi, gusti, scelte e pensieri. Non a caso, agli oltre 150 lucani che hanno partecipato la sera del 21 gennaio alla presentazione della neonata “Associazione culturale dei lucani a Trieste”, sono stati presentati i protagonisti della Basilicata in tavola. E sempre non a caso, la promozione e la valorizzazione dei prodotti tipici lucani sono punti forti del programma d’attività dell’ Associazione. Collocate agli estremi geografici del Paese, Basilicata e Friuli-Venezia Giulia condividono non solo alcuni tratti del territorio, ma anche sentimenti collettivi forti, come il profondo attaccamento alla propria terra e alle proprie tradizioni. Il fenomeno dell’emigrazione e del terremoto sono patrimonio comune d’entrambe le realtà, come lo sviluppo e la crescita economica, che oggi misurano la Basilicata come una delle regioni più brillanti nel contesto del Mezzogiorno con il metro del Pil e dell’utilizzo dei fondi comunitari. Riflessioni condivise nel corso dell’incontro tra rappresentanti istituzionali delle due Regioni tenuto a Trieste proprio in occasione della costituzione nel capoluogo dell’associazione dei lucani della Venezia Giulia (un sodalizio esiste già a Udine). Sono funzionari e dirigenti dello Stato o della pubblica amministrazione, professionisti, imprenditori, docenti universitari, magistrati, che spesso occupano posizioni apicali nelle proprie organizzazioni e strutture, a dar vita alla comunità lucana triestina.
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Un successo, per gli organizzatori, che si sono proposti di dare continuità al binomio gastronomia-cultura. “Ci ripromettiamo di offrire ancora, tramite l’Agenzia lucana, la possibilità di conoscere i tipici prodotti lucani attraverso la partecipazione ad eventi organizzati a Trieste, ad esempio nella Fiera”. Allo studio c’è anche la realizzazione di momenti di conoscenza diretta della cucina lucana, ancorata ad antichi usi, ma pronta a coniugarsi alle esigenze più moderne. Il progetto prevede una fattiva collaborazione di due soci, titolari di due rinomati ristoranti triestini. Ma anche la possibilità di acquistare prodotti direttamente dalla Basilicata, che si pensa meta di viaggi culturali, in collaborazione con l’Azienda di promozione turistica regionale. “Il nostro orgoglio culturale - conclude Amorosi - è di essere stati educati nei valori della tradizione lucana: ritornare alle origini è un modo per dire grazie a chi ci ha guidati e ci ha permesso di essere come siamo oggi. Speriamo di fare altrettanto per i nostri figli”. =
MARINO STERLE
Circa 150 dei lucani che vivono in Friuli-Venezia Giulia hanno già aderito all’ iniziativa dell’ Associazione che può diventare il volano per attività capaci di promuovere sia sul piano culturale che turistico la conoscenza della Basilicata. Un proposito che ha raccolto la piena disponibilità delle istituzioni del Friuli-Venezia Giulia per collaborare alla promozione della conoscenza fra le due regioni. “Intendiamo proporci come un “consolato” - spiega il neopresidente dell’ Associazione, Michele Amorosi, originario di Melfi - anche se con questo termine di solito si indica il punto di riferimento e di incontro per gli italiani all’estero. Noi non ci sentiamo fuori - precisa - perchè siamo perfettamente inseriti nel contesto locale. L’obiettivo dell’ Associazione è quello di creare un canale di comunicazione tra la Basilicata e la città di Trieste”. Così, il 19 gennaio 2005, alla presenza di un notaio, i nove soci fondatori hanno sottoscritto l’atto costitutivo dell’ associazione. “Vivere in un contesto diverso - afferma il vicepresidente Pietro Pisani, nativo di Potenza - non annulla o fa dimenticare un patrimonio “genetico” che si porta dentro: educazione sociale, cultura e tradizione del nostro paese. Voler mantenere vivi questi patrimoni genetici è certamente una delle ragioni per cui gente con valori comuni si riunisce e tenta di lavorare per far conoscere a chi non sa, perché non gli è mai stato raccontato un mondo diverso”. Un messaggio che si diffonde anche attraverso la cultura materiale, i saperi - e perché no? - i sapori della tradizione. “È proprio così - conferma Amorosi - il cibo è un elemento di identità culturale che contribuisce a mantenere saldi i contatti con la nostra terra d’origine e uno strumento prezioso per consacrare speciali momenti da vivere nella terra che ci ospita Per la serata inaugurale, un grazie di cuore deve essere rivolto all’Alsia, l’Azienda lucana di sviluppo ed innovazione in Agricoltura, che ci ha permesso di presentare a Trieste pregevoli prodotti della tradizione lucana, insieme ai brani del tenore Antonio Amorosi”.
PUBLIFOTO - OLYCOM SPA
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MARINO STERLE
Pace, giudice in prima linea Dirige la Procura e l’Ufficio distrettuale Antimafia di Trieste. Da anni trasferito nella regione Friuli Venezia Giulia, Nicola Maria Pace è impegnato su più fronti. Traffico d’organi, Unabomber, rifiuti radioattivi, migrazioni illegali, argomenti di grande interesse che assorbono la sua giornata lavorativa, senza però fargli dimenticare mai la sua terra e la gente che vi abita.
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Nel suo cuore la Basilicata resta la sede degli affetti e di quel patrimonio di tradizioni e valori attorno ai quali ha costruito la propria vita e ispirato quella dei suoi cari: una terra da cui Nicola Maria Pace, al culmine di una brillante carriera che lo ha portato a dirigere la Procura e l’Ufficio distrettuale Antimafia di Trieste, dice impossibile separarsi e alla quale ritorna ogni volta che gli spazi liberi dal lavoro glielo consentono. Non è un caso se proprio là, in mezzo a quelle colline che, 61 anni fa, lo videro nascere (primo di quattro fratelli), ha deciso di comprare casa. Né stupisce che il suo naturale attaccamento alle radici lucane abbia finito per influenzare la maggiore dei suoi tre figli, che dopo avere imboccato la stessa strada paterna della magistratura, ha scelto di svolgere proprio a Potenza il periodo di uditorato giudiziario. Lucana anche la moglie, sposata 30 anni fa a Vercelli, dove Pace si trasferì per il primo dei suoi spostamenti da un capo all’altro dell’Italia. “Avevo appena terminato il servizio di leva a Udine - ricorda - in quella stessa regione in cui il destino mi avrebbe in seguito riportato per motivi di lavoro”. Nato a Filiano (Potenza), nel cuore della Basilicata, Pace ha condotto e completato gli studi di Giurisprudenza all’Università di Napoli, superato il concorso appena un anno dopo la laurea e ricoperto il primo incarico
Unabomber, human organ trafficking, radioactive waste, criminology of migration: these are only a few examples among the plentiful investigations coordinated by the Anti-Mafia and Attorney General of Trieste, Nicola Maria Pace. This “D.O.C.” Lucanian citizen has been living in the Julian capital city since 1997 but is still firmly rooted in his land of origin. In Filiano, in the province of Potenza, where he was born 61 years ago, Mr Pace has built his house and there he goes back on holiday, to meet his family and to plunge once more into the dialect
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Dottor Pace, il suo nome figura accanto a quello di inchieste che hanno fatto il giro del Paese. Una su tutte, quella su Unabomber, che il direttore di un quotidiano del NordEst ha recentemente ribattezzato “Monabomber”. Condivide questa scelta? Quel che è certo è che abbiamo a che fare con un pericolosissimo terrorista, un criminale che con i suoi attentati semina da anni allarme e paura e che assieme al collega di Venezia, Vittorio Boraccetti, con cui dal 2003 coordino l’inchiesta, intendo assicurare alla giustizia al più presto possibile. Tutto il resto è marginale, oltre che arbitriario, come il fatto di pensare che dietro Unabomber si celi un singolo soggetto. Quanto alle responsabilità dei media, è successo di leggere sui giornali notizie che non avrebbero dovuto uscire e che vanno comunque attribuite alla poca cautela degli investigatori. Non credo che certe trasmissioni televisive, come molti asseriscono, abbiano incentivato le sue azioni: Unabomber è una personalità disturbata che opera da 13 anni, sotto l’effetto di una paranoia che esplode con atteggiamenti aggressivi verso gli altri. Ma anche queste sono considerazioni arbitrarie, poiché a tutt’oggi mancano ancora elementi concreti per inquadrarlo con esattezza.
promuovere un vertice all’Aja e d’inserire il tema nell’agenda di Eurojust, per la predisposizione di uno schema d’azione comune. Tali e tanti i casi nella sua storia d’investigatore che si corre il rischio di dimenticarne i principali. Ci aiuti lei. Una materia di cui mi sono lungamente occupato e che continuerà ad assorbire le energie mie e dei miei colleghi è quella legata ai pericoli riconducibili alle tecnologie nucleari e all’affondamento nel Mediterraneo di numerose navi cariche di rifiuti radioattivi. Per non parlare del filone sulle migrazioni illegali, il fiore all’occhiello dell’attività investigativa triestina. Proprio così. Sulla criminologia della migrazione e le ricerche ad essa collegate abbiamo maturato esperienze straordinarie, al punto da avere promosso attività didattiche per i nostri colleghi europei e da aver vinto, due anni fa, con un mio saggio, il “Premio Internazionale Falcone Borsellino” per la ricerca in campo criminologico assegnato dall’Istituto di Diritto comparato dell’Università di Bologna. Nei mesi scorsi anche lei ha aderito allo sciopero promosso dall’Associazione nazionale magistrati contro la riforma dell’ordinamento giudiziario. Qual è il suo giudizio? Assolutamente negativo. È una riforma che non ha niente a che vedere con il problema reale della giustizia italiana, che è quello dell’efficienza e che non si risolve attraverso il cambiamento dello status dei magistrati, ma con il potenziamento dei mezzi e il miglioramento dei servizi. In altre parole, intervenendo sul sistema.
Ha accennato ai media. Qual è il suo rapporto con gli organi di stampa? Mi sono occupato spesso di casi d’interesse pubblico e nazionale, senza avere mai problemi con i giornalisti. L’importante è rispettare da un lato il diritto sacrosanto all’informazione e, dall’altro, quello altrettanto determinante della segretezza delle indagini.
Detto tutto ciò, viene da chiedersi se, nell’arco della giornata, le avanzi mai il tempo per un hobby. Di interessi ne ho tantissimi. Primi tra tutti, la caccia e il calcio. Il resto del tempo libero lo dedico all’Associazione dei Lucani a Trieste, che giudico un’iniziativa di grande interesse, e naturalmente alla mia famiglia.
Alcuni quotidiani l’hanno definita l’“alfiere” della lotta al traffico d’organi umani. Un fenomeno criminale che vede proprio nella città di Trieste uno degli snodi principali e attorno al quale lo scrittore tedesco Veit Heinichen ha intessuto la trama di uno dei suoi libri. Lo ha fatto anche Camilleri, ispirandosi a un filone investigativo che seguo da tempo rastrellando notizie anche fuori d’Italia, ma di cui stentiamo ancora a trovare il bandolo della matassa, per l’obiettiva difficoltà di un caso che, interessando vari Paesi, necessita di una solidarietà transnazionale. Da qui, la nostra iniziativa di
E infine le vacanze. Rigorosamente a Filiano, dove ho scelto di costruire la mia casa, proprio di fronte al Castello di Lagopesole, costruito nel XIII secolo da Federico II di Svevia. Questo mi consente non soltanto di ritrovarmi con i miei cari, ma anche di ricongiungermi con la mia terra. Perchè se è vero che Trieste, con la specificità che le deriva dalla sua posizione di confine con l’area mitteleuropea, è una città che attrae e alla quale sono ormai legato per ragioni di lavoro, è ancora più vero che la parte affettiva di me era e resta unita al mio luogo d’origine e al dialetto, agli usi e ai costumi lucani. =
and into the customs which have remained in his heart. The rest of his year is spent in his investigative activity which, since 2003, has seen him at the front line in the Unabomber case, together with his colleague from Venice. “A really dangerous terrorist - he says - who has been spreading alarm and fear among the people for 13 years”. The other hot subject concerns the international human organ trafficking that the Public Prosecutor’s Office of Trieste has been following for a long time, by searching news also outside Italy. He explains “This
issue involves several countries and thus asks for a transnational solidarity”. On the top of the investigatory sector, Mr. Pace is distinguished above all for his investigation and research activity linked to the criminology of migration, which made him a reference point for many of his European colleagues. Mr. Pace loves hunting and football and is a member of the Cultural Association of Lucanians in Trieste; he has been married for 30 years with a Lucanian woman and has got three children, and one of his daughters is already a magistrate.
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dirigenziale a Matera, dopo due precedenti esperienze in Piemonte e Veneto. Il trasferimento nel capoluogo giuliano è arrivato nel 1997. “Ho chiesto e ottenuto la Procura di Trieste, che è distrettuale e che rientra fra le dieci sedi più importanti d’Italia, oggi leader a livello nazionale e internazionale sul fronte della migrazione illegale”.
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Giuseppe Lupo,
tra folklore e postmoderno NATO AD ATELLA 42 ANNI FA, GIUSEPPE LUPO RISIEDE DA TEMPO A MILANO DOVE LAVORA. “L’AMERICANO DI CELENNE” E “BALLO AD AGROPINTO” LE SUE ULTIME FATICHE LETTERARIE.
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Si sa che la narrativa di ambientazione meridionalistica, così come la poesia folklorica, si caratterizza per una forte omogeneità figurale oltre che tematica. Non solo i contenuti ma anche lo stile dei narratori del sud tendono spesso - e le eccezioni confermano la regola - ad assomigliarsi tra loro: un po’ per fedeltà a canoni e a modelli autorevoli e ormai consolidati; un po’ per adeguarsi a una richiesta di conferme formali che ben si sposa con la prospettiva solitamente nostalgica che è tipica del genere. Non si tratta tanto di un debito verso il ‘gusto’ conformista del pubblico, quanto di un ossequio istintivo a quell’orizzonte d’attesa - per usare una categoria critica di area ermeneutica - che associa istintivamente il racconto del sud alla sua trasfigurazione real-meravigliosa: ovvero alla celebrazione in chiave magica della sua realtà paesaggistica e culturale. In effetti nella cucina dei romanzi di matrice etnico-popolare due aspetti sembrano imporsi su tutti, ingredienti necessari ma non sufficienti alla riuscita corretta dell’impasto. Da un lato la descrizione mimetica - e spesso corale - della società meridionale, con enfasi sull’energia dei legami comunitari, ma anche sulla violenza delle condizioni di vita, e sulla povertà, anzi sulla disuguaglianza, dei rapporti (temi in cui può esercitarsi criticamente il punto di vista del narratore: quasi sempre solidale, partecipe, impegnato nella denuncia e nel riscatto della marginalità sociale). Dall’altro la trasfigurazione letteraria, esercitata con strumenti diversi. Ingombrante soprattutto l’arredo del sogno, del mito, della fiaba, procedimento usato non tanto per smussare il realismo più crudo, quanto per rovesciare la gerarchia stessa del reale: nel trattamento onirico e mitografico la minorità diventa privilegio, la povertà materiale si fa ricchezza spirituale, il sottosviluppo diventa grazia. Nella medesima ottica potrebbero essere valutate altre opzioni strutturali diffuse: la sospensione, o indebolimento, degli indicatori cronologici (e in particolare lo scollamento e la contrapposizione tra tempo esistenziale e tempo storico, ovvero della Storia come linearità e progresso); l’introduzione di riferimenti soprannaturali e magici (a sottolineare il contrasto tra mondo contadino e razionalità borghese); l’adozione di scenari o situazioni non solo periferiche ma decisamente esotiche, o eccentriche, in grado comunque di evadere dalla frusta quotidianità raccontata dal romanzo psicologico ‘normale’.
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Non è un caso se uno schema analogo si ritrova sul piano delle scelte formali. Nella narrativa meridionalistica lingua e stile spesso obbediscono al rigore imposto dalle regole del racconto realistico - ciò che implica un ridotto grado di sperimentalismo, un minimo di complicazione della voce e dei punti di vista. Ma ciò non toglie che il discorso venga volentieri decorato con elementi espressivi, di ‘colore’: a cominciare da una verniciatura di dialetto, ovviamente (che da Verga in poi entra nella sintassi oltre che nel lessico), per finire con il gusto per la denominazione torrenziale, ed esatta, delle cose, o con l’accostamento apparentemente illogico di elementi incongrui: cataloghi di luoghi, oggetti, eventi singolari. Quasi che la civiltà contadina - questa cultura millenaria ma remota ormai, tanto da sembrarci conficcata in una dimensione lontana quanto il feudalesimo o il Rinascimento - quasi che il racconto di questa materia non fosse possibile fuori dall’ambito, anche linguistico, del ‘realismo magico’: sintesi stilizzata di favola e di cronaca, di concretezza e di sogno, di realtà e metafora. Su questa base antropologica più che letteraria il sud italiano ha potuto riconoscersi nei racconti di un altro sud, quello dell’America latina. L’eredità del neorealismo ha trovato nuova linfa innestandosi nel corpo della grande letteratura sudamericana. Si sono fuse ipotesi romanzesche legate ad ambiti geograficamente lontani, ma entrambi periferici, opposti al centro dello sviluppo capitalistico, e affini nell’insistere su una trasfigurazione onirica e fiabesca della marginalità sociale; con l’idea - a volte implicita, a volte apertamente tematizzata - che la prima sappia riscattare la seconda. I libri di Silone, Jovine e Carlo Levi letti accanto a quelli di Garcia Marquez, Vargas Llosa, Amado e Guimaraes Rosa; le liriche di Quasimodo, Sinisgalli e Scotellaro accostate alle poesie di Lorca e di Neruda.
Se le cose stanno così, non c’è dubbio che forma e contenuti dell’ultimo romanzo di Giuseppe Lupo, Ballo ad Agropinto (Venezia, Marsilio 2004), corrispondano abbastanza esattamente a ciò che un (ipotetico) lettore potrebbe aspettarsi da un romanziere del sud che faccia delle proprie origini la sua materia. O meglio: la materia del libro affonda in quella parte del proprio passato reale o ideale sedimentato nel paesaggio e nelle tradizioni del sud. Che è come dire in quella commistione di memoria concreta e sublimazione ideale tipica della lingua letteraria che un poeta lucano, Albino Pierro ha definito “la terra del ricordo” , eleggendola a situazione della propria poesia. Proprio l’esempio di Pierro lascia intendere quanto conti, nel processo di sublimazione ed anamnesi di cui stiamo parlando, la separazione fisica e storica dalle origini. Il tempo trascorso e la prospettiva remota possono costituire un potente innesco creativo; così per Pierro, che ha rievocato Tursi da Roma, elaborando genialmente il suo aspro dialetto tursitano dopo un esordio da poeta in lingua: il pathos della distanza come elemento creativo, l’orgoglio della marginalità che arriva dopo il solido possesso del centro, la rielaborazione letteraria del dialetto che matura quando il controllo della lingua nazionale si è consolidato. Qualcosa di analogo deve essere accaduto a Giuseppe Lupo, il quale sebbene da tempo risieda e lavori a Milano è nato ad Atella, quarantadue anni fa. Agropinto, come informa la mappa che apre il Ballo, è un piccolo centro non lontano dal Castello di Lagopesole, a pochi chilometri dal borgo descritto nel primo romanzo di Lupo, L’americano di Celenne (Venezia, Marsilio 2000). Del resto in Ballo ad Agropinto la voce narrante è proprio quella di emigrante, che ricostruisce la storia recente del suo paese da una distanza geografica 8
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Ora abitiamo vicino al ponte della ed esistenziale (“Ora Ghisolfa, alla periferia di Mialno, e possediamo una lambretta comperata a cambiali”, p. 9). Ritroviamo nel suo racconto molti degli ingredienti propri del ‘genere’: anche se il dialetto non è più che una patina, visibile in singoli sintagmi (“Maria Incoronata fu soprannominata la zita di Stalìn”, p. 70) e soprattutto nei frequenti inserti di canzoni, filastrocche, proverbi o formule popolaresche: un procedimento di ‘atmosfera’, di tradizione verghiana e pascoliana, ben noto al Novecento letterario (“’I mugliere r’americani/ vanno a la chiesa cu sette suttane,/ vann’a la chiesa e pregano Dio,/ manna renari, marito mio...”, pp. 71-72). Invece dialetto e gergo mancano sulla bocca dei parlanti popolari, all’interno dei dialoghi, e manca nell’inflessione del narratore. Segno di una distanza tutta postmoderna tanto dall’indiretto libero dell’Ottocento quanto dalle operazioni pasolinane e gaddiane del secondo Novecento. In compenso in Ballo ad Agropinto c’è (quasi) tutto il resto del repertorio cui abbiamo accennato. Innanzitutto un senso corale della narrazione, che attraversa quindici anni della vita di una comunità - dal 1943 al 1957 - senza concentrarsi su singoli personaggi, e anzi affidandosi all’affabulazione e al ‘flusso’ picaresco delle vicende e dei caratteri; e qui i modelli letterari si mescolano a suggestioni cinematografiche: sembra esserci Garcia Marquez, ma anche Kusturica, e forse Fellini, dietro al gusto che ha Lupo per gli aspetti più circensi e zingareschi della vita in comune. È ugualmente molto vivace l’accento sugli aspetti folkloristici e meravigliosi: “Rolando Tazzone, il domatore del Circo Verdesca, che solleva in aria le tigri e infilava il braccio nelle loro fauci” (p. 56). Da notare che i momenti più fantastici del racconto sono spesso collegati a un certo tasso di inventività linguistica: “Chi ci regalava un osso del piscioecaco, chi una lucertola a due code, chi una penna di pettirosso o una pelle di serpente essiccata e altri amuleti contro il malocchio”” (p. 71). Oppure, sulla stessa scia, esemplare l’inconto tra epico-meraviglioso e demiurgia onomastica: “IlIl pallone danzava nella polvere e i difensori faticavano ad allontanare gli spioventi millimetrici di Ricuccio Vungulicchio, destinati alla testa di Donatino Ganascia. L’assedio si concluse solo quando Mario Sparavalestre sferrò un diagonale ”(p. 63). all’incrocio dei pali, che quasi bucava la rete...”(p.
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Si sente infine in Ballo ad Agropinto il tono elegiaco così tipico del realismo magico meridionalista; pianto nascosto con pudore per ciò che muta sotto i colpi del progresso: “Che Agropinto si sia dimezzata con l’emigrazione, l’avevo intuito da tempo... Nessuno poteva immaginare, però, che le querce sulla collina di Boschivo fossero state rase al suolo per consentire alle trivelle dell’Agip di sondare il petrolio” (p. 142); “Solo da una periferia come Agropinto, ha aggiunto [Padre Colantuono] nella lettera, si poteva spiare un pezzo di paradiso” (p. 143). Fin dall’incipit del romanzo, del resto, la fine della comunità contadina viene allusivamente posta in relazione con l’avvento della società di massa: “Quando ho lasciato Agropinto, nel 1952, il treno era affollato e qualcuno dei viaggiatori cantava ‘Vola, colomba bianca vola...’, che pochi giorni prima aveva vinto il festival di Sanremo” (p. 9). Nel corso del libro la storia italiana del secondo dopoguerra sarà vista scorrere come un nastro. Ma il tempo ‘immobile’ della comunità sembra a lungo poter assorbire gli eventi eccezionali della grande storia: l’arrivo delle truppe alleate, la Liberazione, le elezioni del ’48, le occupazioni delle terre (con l’evocazione davvero emblematica di Scotellaro, “Un ragazzo dai capelli rossi che dormiva insieme ai contadini nelle terre occupate e scriveva poesie sulle scatole dei fiammiferi”, p. 78), fino agli anni del boom economico e della emigrazione di massa. Si direbbe che fino alla fine i legami, i riti, l’energia magico-fiabesca della comunità di Agropinto possa resistere allo schiacciasassi della storia: vittoria morale della periferia sul centro, i cui rumori arrivano felpati al cuore del paese. Non era affatto così, occorre dire, nell’Americano di Celenne, opera più originale e più controversa rispetto a Ballo ad Agropinto. È interessante osservare che in quel primo romanzo - altro racconto dell’emigrazione, ambientato tra New York e la Basilicata - il rapporto tra storia e folklore era quasi rovesciato rispetto all’alchimia di Ballo ad Agropinto: un dosaggio assai scarso di onirismo e una enorme, pervasiva presenza della storia, intesa come trafila di eventi grandiosi, ma anche come costume, moda, senso impetuoso del cambiamento. Evidente soprattutto nella prima delle tre testimonianze che formano il romanzo, quella legata all’orizzonte newyorchese, la presenza della storia e dei personaggi d’epoca occupa il centro del rac-
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CHAMBERY, PREMIO FESTIVAL PREMIER ROMAN, MAGGIO 2002
possibile sopravvivenza della tradizione all’interno del cambiamento, oltre le metamorfosi sociali e politiche. Per questo il tono di L’americano di Celenne, la sua assenza di enfasi e di sentimentalismo, il suo uso postmoderno dei generi (il romanzo storico, il romanzo epistolare allusi nelle tre sezioni) risultano meno prevedibili di Ballo ad Agropinto; oltre a rovesciarne le conclusioni elegiache. “La vita degli uccelli di passo dimostra che le stagioni sono più resistenti della storia” (p. 137). =
L’americano di Celenne and Ballo ad Agropinto, the two novels written by Giuseppe Lupo and both published by Marsilio, describe two different and partly opposed ways to face an issue endeared by the Southern novel: the emigration story. Ballo ad Agropinto confirms many themes usually attributed to this genre. First of all, the use of fantastic-realism in the narration of the events, which combines the mimetic care for the rural culture with a taste for the mythical and fairytale transfiguration of the subject which approaches the great models of Latin American literature - primarily Garcia Marquez - and of the most dreamlike and picaresque cinema (Kusturica, Fellini). The setting of L’americano di Celenne is different; it is a more complicated structural work, mostly set in Little Italy, in the heart of the Lucanian community in New York. Contrary to the custom of the novel dealing with the economic and social question of Southern Italy and of the folk poetry, L’americano di Celenne reverses the hierarchy between the centre and the outskirts and concentrates on the celebration of the Great History, whilst trying to integrate the protagonists’ biographies. One can conclude that, due to the novel’s decorative richness, use of genres and sense of the past, it seems to belong to the postmodern genre rather than to the - modern - fantastic neorealism and Latin American realism genres where we can better include Ballo ad Agropinto.
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conto: resta superficiale, ma risulta pervasiva. Molto più pervasiva che in opere che raccontano dall’interno quell’epoca e quell’ambiente: i ghetti degli emigrati nei primi decenni del Novecento. Lupo organizza una ricostruzione d’ambiente assai minuziosa, quale non si ritrova ad esempio in capolavori della letteratura italoamericana come ad esempio Chiedi alla polvere di John Fante: straordinario romanzo di emigrazione la cui vicenda trascende completamente la grande Storia e si concentra sui caratteri, sulle psicologie - lasciando l’America sullo sfondo. Non così l’Americano di Celenne, specie nella prima parte tutto estroflesso verso l’esterno, come un cinegiornale: Carnera, Al Capone, Louis Armstrong e Bix Beiderbecke, Caruso e Benny Goodman; la campagna di Libia, quella di Etiopia e di Abissinia, il disastro militare dell’Armir: questi personaggi e questi eventi - insieme a una gran quantità di oggetti-ricordo, feticci, immagini d’epoca - vivono accanto agli emigranti e ai paesani descritti da Lupo, senza che agisca il doppio livello attivo in Ballo ad Agropinto. Anzi, si potrebbe dire che nell’Americano di Celenne l’elemento di fascinazione sia rappresentato, più che dalla periferia incarnata dal paese, dall’America stessa, luogo centrale per eccellenza: luogo in cui la storia si fa. E il protagonista del romanzo, Danny Leone, lo stalliere lucano che diventa ricco a New York e poi torna a Celenne per amore di una donna e della propria cultura, è in fondo un personaggio misto: l’esempio di un carattere in cui i valori della civiltà contadina risultano sedotti dal mito americano del progresso. Né contadino, né cittadino, Danny Leone è un bird of passage: “Uccelli di passo: così erano chiamati alla fine del secolo scorso gli italiani che, ad Ellis Island, calavano dai bastimenti e restavano in quarantena a spiare da uno scantinato l’America” (p.195). Se però nel finale di Ballo ad Agropinto è il paese a cedere al progresso, nella struttura dell’Americano di Celenne - più complessa, più sottilmente costruita - si formula l’ipotesi di una
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Mutaforma,
due potentini nel web
Dalla cultura glocal ai videoclip nel mondo. Gli internauti Tito e Di Lonardo parlano della loro passione: la net-art.
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Da Potenza a Vancouver. Da Avigliano a Buenos Aires. Da Ferrara a Roma, passando per Barcellona. Sono i vertici degli spostamenti, raggiunti di recente, da una nuova forma di comunicazione “made in Basilicata”, le cui modalità paiono universali. Immagini e suoni, codificati in digitale e compressi, si muovono veloci via web, conquistando pubblici indifferenziati, in ogni angolo del pianeta. La spinta tecnologica “globale” ha tra i suoi protagonisti due lucani. Sono Daniele Tito, sound engineer di 31 anni ed Evilia Di Lonardo, laureata in scienze delle comunicazioni di massa, ventottenne. Insieme, hanno concepito un progetto denominato “Mutaforma”, in cui riversano conoscenze informatiche, musicali, culturali, oltre ad una grande passione per i nuovi strumenti espressivi della comunicazione. Da questi presupposti sono nati una serie di video a carattere artistico, molto singolari, per ideazione, realizzazione e diffusione. Sono tre i “corti”- SPEED MUTATION, BITe FLOWERS e INTERFERENCE - la cui durata va dai 3 ai 4 minuti, con i quali Tito e Di Lonardo si sono fatti conoscere, partecipando a manifestazioni internazionali di settore. Dal Play III - Festival internazionale di videoarte di Junìn, Argentina, alla Biennale internazionale di Ferrara; da Interfacce 04: Kortometrica dell’Università di Torvergata di Roma al New Form Festival 2004 - International Festival of Media Arts di Vancouver (Canada), le nuove frontiere del “futuribile” si sono misurate con prodotti pensati, analizzati e generati a Potenza. Elementi fondanti di questa visione mediatica, tradotta nell’unificante linguaggio digitale, sono il ritmo, lo scorrere del tempo, la stretta connessione di montaggio con la colonna sonora. Ma di cosa parlano queste brevi narrazioni? Cosa comunicano le sequenze che assemblano riprese amatoriali, scene del web, foto, slides, files estratti da server condivisi, grafica e
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ipertesti? Essenzialmente sono dei punti interrogativi. Domande aperte su connessioni visive, musicali, grafiche solo in apparenza estemporanee. Dove associazioni e collegamenti, casuali, voluti o liberamente ispirati, diventano indicatori di significati ben precisi. Il caos che ne deriva è il prodotto di tensioni continue e coinvolgimenti inaspettati. I video rivelano pericoli, aberrazioni, distorsioni. Alludono e mostrano flussi di concatenazioni che dal mondo della virtualità penetrano sempre più nel quotidiano, si insediano e insidiano la vita di tutti i giorni. “SPEED MUTATION” con dinamiche soggettive, forza il limite di un occhio bombardato da un treno di sensazioni provocate da stimoli audiovisivi. Rivela, attraverso la commistione tecnologica, biologica, la chirurgia plastica, le modificazioni genetiche, le profonde trasformazioni - in atto - del “mondo sensoriale”, fino alla non distinzione tra “reale e artificiale, organico e inorganico”. Gli interrogativi sono, appunto, questi. Abbiamo coscienza del carattere “mutante” della società? Ci accorgiamo della modifica del rapporto col nostro stesso corpo? Dove ci sta portando la rielaborazione, il ricombinamento, la contaminazione tecnologica? Come reagiamo? Con paura, angoscia, cercando di rifiutare o ritardare gli effetti sulla nostra architettura dei valori? La logica “post-moderna” di questo approccio riverbera,
con diversi ingredienti, nel progetto ideativi di BITe FLOWERS. Qui i “cameracar” dei boschi della Sellata, sulla montagna potentina, traspaiono dalle sagome in primo piano di fiori selezionati per abbellire un ipotetico giardino elettronico. Le alterazioni cromatiche, il mixaggio di acque che scorrono con suoni industriali, gli “sforamenti” del vegetale nella grafica manipolata al computer rigenerano la contrapposizione naturale-artificiale, spontaneità-concettualità, realtà-virtualità. L’attenzione ritorna sull’interazione antropica con i processi di modificazione dei dati ambientali e sulle possibili definizioni di cambiamenti illustrati da nuove combinazioni estetiche e formali. Il terzo “corto”, INTERFERENCE è la partecipazione del duo potentino al progetto artistico “on-line” Revolution: USA (www.revusa.net) organizzato a Montreal, nel Quebec (Canada) e rivolto a professionisti a livello mondiale. Il progetto ha selezionato le migliori opere che hanno saputo fondere artisticamente i contenuti audiovisuali - resi disponibili da una serie di case di produzione ed etichette discografiche indipendenti - con forme di consapevolezza politica. In questo caso, la dichiarazione di guerra all’Iraq da parte dell’America e l’ultima campagna elettorale sono state “rivisitate” e raccontate intervenendo con scritte, grafiche, colonne sonore e montaggio su un materiale audio-video condiviso dai partecipanti. Bombardamenti filmati e discorsi ufficiali di un Bush menzognero ricostruiscono il “vero senso” di un orrore mondiale causato dagli interessi petroliferi, anziché dalla dichiarata voglia di democrazia. Daniele Tito ed Evilia di Lonardo non si occupano, però, soltanto di videoarte. Con quella non si campa. Da due anni, resistendo alla tentazione di andare a lavorare fuori dalla 8
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regione, hanno aperto a Potenza, (la loro città), uno studio di grafica e prodotti multimediali. Con l’etichetta Kreativamente, si occupano di web design, grafica pubblicitaria ed editoriale, produzione digitale audio e video, e-commerce, assistenza hardware e software, ricostruzione di dati da supporti danneggiati. Il loro attaccamento al territorio li ha portati a mettersi in evidenza anche in manifestazioni pubbliche. Sono stati premiati nel 2003 al concorso indetto dal Corecom della Basilicata sulla multimedialità per la costruzione e la pubblicazione del sito internet www.peperonecrusko.com (un portale di accesso a ricette, cucina tipica, ma anche civiltà, costume, turismo, segnalato anche dalla trasmissione tv di RaiTre “Neapolis”). Hanno partecipato con BITe FLOWERS alla mostra “Giardini d’arte” organizzata dall’associazione Amnesiac’art. Hanno vinto nel 2004 il primo premio del Festival del Corto di Avigliano “Curt e mal cavat” con SPEED MUTATION. Tra le grandi intuizioni che hanno avuto, quella di tradurre in inglese tutti i contenuti web che li riguardano. Sono sempre in attività. Tra i tanti impegni, la creazione dell’associazione culturale Sintetika.it e l’accesso offerto ad uno spazio web creativo definito flux (flusso di...). In progettazione, Daniele ed Evilia, hanno un’altra net-avventura. Stanno mettendo a punto un’iniziativa di “Intelligenza Collettiva” alternativa al modello dell’artista isolato dal copyright. Infatti, il progetto ha lo scopo di promuovere il copyleft, l’opportunità di utilizzare, in condivisione, materiali multimediali d’autore, di poterli liberamente modificare a patto di citarne la fonte (e quindi l’autore). Il concorso di idee selezionerà, con criteri professionali, le migliori 10 opere, da pubblicare via web, che si siano interrogate sul rapporto uomo-macchina, attingendo ad una serie di files comuni e rieditandone solo una parte. Per conoscere meglio la loro esperienza, ad Evilia e Daniele abbiamo fatto qualche domanda:
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Cosa vi ha spinto verso la produzione audiovisiva? Il nostro interesse, a vari livelli, per tutto ciò che è ‘elettronica’, ‘digitale’, ed il nostro appassionato lavoro, immerso continuamente nel mondo immaginifico ed ermetico delle immagini, ci ha avvicinato a questa realtà. La rete internet, la sua mole di informazioni, le sue communities, hanno ulteriormente alimentato questo nostro percorso. Cosa occorre per diventare bravi videomaker? Risposta difficile... Per quanto ci riguarda sosteniamo che una buona conoscenza tecnica degli strumenti di lavoro siano la base su cui sperimentare idee innovative. Bisogna armarsi di buona volontà, studiare, senza cercare di bruciare le tappe. L’importante è realizzare video in base alle proprie conoscenze e possibilità tecniche, in modo da acquisire pian piano esperienza. Creare un buon video, curato ed in cui trapeli l’impegno di chi lo ha realizzato dà sempre soddisfazione e, a suo modo, è sempre un successo. Inoltre le idee sono importanti; bisogna scavare nel nostro background alla ricerca di spunti originali. C’è un contenuto ideologico nei vostri prodotti? Assolutamente no. Cerchiamo solo di ‘fotografare’ il presente e ciò che secondo noi sono tendenze sotterranee della contemporaneità, non sempre comprese da chi vive il quotidiano. Vogliamo intercettare pezzi in divenire della nostra società. Questa è la filosofia che ci anima. Nei nostri video ci possono essere chiavi di lettura personali, ma non perseguiamo nessun intento ‘pedagogico’. I nostri lavori si ispirano alla logica della condivisione delle informazioni ed alla collaborazione mondiale, che è la vera, forte idea innovativa del XXI secolo e su cui si fonda il concetto di rete ed ancor più di digitale. Qual è il pubblico della net-art? Il pubblico della net-art è prevalentemente giovane, con un forte approccio all’informatica; nasce e cresce con le nuove tecno-
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logie ed è slegato da tutte le logiche commerciali che animano in qualche modo l’arte. In sostanza è un mondo altro, che crede nella libertà della rete anche per diffondere i propri lavori o progetti. Vive in una sorta di underground che però diventa estrema visibilità nel suo habitat naturale che è internet. A chi vi rivolgete con la vostra videocomunicazione? A menti pensanti che non hanno smesso di esercitare la riflessione e la critica. A persone entusiaste del nuovo. A Potenza il vostro know-how come è considerato? Che prospettiva ha? Potenza è la nostra grande scommessa, sempre sull’orlo del ripensamento. Non sappiamo effettivamente come venga considerato il nostro know-how qui. Ci sono realtà fortemente propositive ed attive, ma spesso scollegate tra loro. Se poi si imbattono nelle lobby, difficilmente avranno spazio per la loro vera professionalità. La cultura dell’immagine è poco sofisticata ed ha quindi larghi margini di crescita. Le prospettive future sono a lunga scadenza. Cosa pensate dell’identità lucana e dei sentimenti di “appartenenza”? Il luogo è quello che siamo e pensiamo, ma non è più la costrizione perimetrale di una volta. Ora i pensieri ed i progetti viaggiano veloci in tutto il mondo, riscrivendo i vecchi concetti spazio-temporali. Ci sentiamo fortemente lucani, per ciò che riguarda l’impegno e la tenacia, in un territorio spesso aspro e rigido. Le tradizioni ed il paesaggio sono le nostre nicchie di rigenerazione mentale e fisica. La Lucania con le sue contraddizioni, i suoi pregi e difetti è la nostra madre Terra che ci accoglie, ma che ci mette comunque davanti a difficoltà altrove impercettibili. La nostra Basilicata è comunque lontana dalle retoriche narrazioni, che sempre più spesso si fanno senza andare in fondo alla storia. La nostra identità lucana è quella forte ed umile di una volta; quella raccontata dalle pietre, dalla terra e dai nostri amati boschi. =
The “global” culture pushes its way through Basilicata, too, by means of the Internet and with a strictly digital language. Evilia Di Lonardo and Daniele Tito, 28 and 31, from Potenza, understand and speak English. They have advertised on the Web three video clips they have made, inspired by the “Mutaforma” project. “Speed mutation”, “Bit and Flowers” and “Interference” tell, with a serried rhythm, the technological contamination, the social and environmental changes, the temporal and physical twisting, the struggle of power and for richness which does not spare war and violence. Through the images - taken by them, downloaded from the net, acquired or exchanged from servers, DVD and tapes - and the soundtracks - written and processed on the computer - with graphical and textual contributions, they search for the precariousness of the boundary between the real and the virtual, the natural and the artificial, the spontaneous and the planned. In a very short time, the visual plots weave the themes of daily nature together with those of emotion, the scientific coldness together with the human behaviours, the personal experience with the dimension of “feasible”. The life we live, in whatever corner of the world we are, reveals itself in its common denominators, in the unification and standardization elements, but also in the diversities and potentialities that the digital and the immediateness of exchanges have multiplied and made accessible. Di Lonardo, who has a degree in Communication Sciences, and Tito, a sound engineer, have sent their artistic films to several international exhibitions and festivals in Argentina, Canada, Rome and Ferrara. They were given an award in Avigliano (Potenza) within the exhibition of shorts “Curt e mal cavat”. They won the Use of Multimedia Prize designated by Corecom, Regional Communication Committee, for having planned and published the site Peperonecrusko.com. At present, the duo are working in a new web project of “Collective Intelligence”, aimed at promoting the diffusion of “copy-left”, opposed to copy-right, in order to encourage the sharing and exchange of information and auteur materials.
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Finzione e realtà annullano l’arte Scultura, installazioni, foto, video e teatro: sono gli elementi del percorso artistico di Vito Pace. Da anni in Germania, dove lavora, si lascia guidare dalla creatività, dando vita a singolari sperimentazioni.
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Autoironia, autocelebrazione, interesse per il grottesco e per l’utopia: potrebbe essere questo il “manifesto” dell’attuale impegno artistico del trentasettenne Vito Pace, aviglianese residente in Germania. Attraverso le opportunità di internet, cerchiamo di presentarvi questa ulteriore esperienza di migrazione creativa. In effetti, partendo da un invito per l’ultima mostra “Gastrocnemius”, tenuta a febbraio scorso alla Reuchlinhaus di Pfhorzheim, abbiamo stabilito un contatto che ci ha permesso di ricostruire alcuni momenti del suo percorso artistico. Vito Pace ha cominciato con la frequenza dei corsi di scultura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Si è poi trasferito a Milano per fare l’assistente di studio dello scultore Francesco Somaini, stimato esponente della corrente informale degli anni ’60. Seguono una serie di spostamenti in varie città del centro e del nord Italia. Dopo la Svizzera, l’approdo in Germania, con parentesi a Berlino, Koln e Stoccarda. La prima mostra all’estero si tiene proprio all’Alpha Jetz Gallery di Stoccarda (www.stuttgarter-kunstverein.de/pace_ vernissage.html). Nel ’94, accetta l’invito del professor Peter Jacobi - decano dell’università di Scienze applicate all’arte e al design della città di Pforzheim - a tenere, insieme a lui, dei corsi di scultura. Dopo 10 anni, Pace, al fianco del professor Abraham David Christian, continua a svolgere l’attività di docente nei corsi di scultura all’università. L’insegnamento è orientato alla sperimentazione e alla ricerca sulla creatività, sia tecnica che “concettuale”. Gli strumenti utilizzati riguardano tanto la forma pura che i mezzi audiovisivi. La produzione di opere e progetti ideati da Vito Pace ha avuto ampi riscontri. Tre anni fa, lo hanno portato alla Biennale di Samara, in Russia, dove ha fondato il Kontora Mir, (www.kultur.at/howl/mir), un ufficio che ogni 2 anni fa la sintesi di una serie di collaborazioni artistiche da tutto il mondo e che utilizza prevalentemente la rete per gli scambi. Nel 2002, la città di Stoccarda gli ha conferito una borsa di studio della Fondazione Artistica Teatrale Musicale e Letteraria (www.kunststiftung.de). Dopo un anno di ricerca, il lavoro si è condensato in una serie di mostre ospitate da vari musei nel sud della Germania. Ma al di là dei contesti istituzionali, in cosa consistono gli allestimenti curati da Pace? La loro genesi - precisa l’autore - segue un procedimento analitico basato sulla “decostruzione concettuale della rappresentazione della realtà”,
His grandfathers and father used to carve and sculpt wood in Avigliano (Potenza), in Basilicata. Vito Pace settled down in Germany, where he teaches Sculpture at the University of Pfhorzheim. He got his diploma at the Fine Arts College in Florence. He lived in Milan, where he worked as an assistant of the sculptor Francesco Somaini, and in Switzerland. His artistic production in recent years - inaugurations, photographs, videos, scene settings, theatre - is based on the paradox and on P. R. 76
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BASILICATA L’ALLESTIMENTO NELLA CHIESA DI AVIGLIANO. IN BASSO: PFORZHEIM (GERMANIA), MUSEO KUNSTVEREIN
the cancellation of object reality: a research carried out with selfcelebration and self-irony which dismantles the structure of the performance contexts. It invents other contexts, fictitious, credible or improbable, which correspond to contrasting hypotheses of presence-absence, true-false, fruit of utopias or casual combinations, far from the cause-effect mechanisms. The new contextualization, which avails itself of architectonic, anatomic and custom elements - that are combined by the artist and with which the public establishes
a relationship - becomes a theatre of the absurd, a material space where stories happen, where tales, precariously balanced between authenticity and pretence, between the experienced and the rebuilt, are told. Vito Pace’s conceptual approach, with its dada and new dada matrix, and his homage to Russian constructivism are expressed in a series of works and actions carried out in public spaces and museums and diffused to Germany, Russia and Italy via the Internet.
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attraverso l’idea Dada-neoDada. È un lavoro giocato sul doppio registro di un “paradosso contenutistico tra presenza e assenza di una storia, una narrazione”. Una chiamata in causa del proprio vissuto, amplificato come qualcosa che può accadere o è già accaduto, e che l’arte traduce, in forma decontestualizzata, con nuove azioni, di cui possono far parte citazioni teatrali, performance, fotografia. Non è importante se i riferimenti e le storie sono fittizie, autentiche o solo un presagio da romanzo. Le opere si sviluppano su più fronti “narrativi”; con modalità espressive che si diversificano a seconda di quanta realtà entra a farne parte. Realtà fisica, oggettuale, produttiva con cui interagiscono fotografia, video, performance, installazioni, disegno progettuale, netart. Il “Nulla” diventa, allora, “filosofia dell’azzeramento dell’arte” o “paradosso stesso del fare arte” e cerca un’identità negli interventi di Vito Pace, incrociandosi con “l’azione teatrale, nello spazio in cui si ridefinisce”. Questo accade nell’ultimo ciclo di lavori realizzato per il Museo di Arte Contemporanea di Pfotzheim (recensito sul www.kunstvereinpforzheim.de), dove spazio, coinvolgimento del pubblico, immagini e storie inesistenti costituiscono “Gastrocnemius”, una mostra dedicata al costruttivismo russo. È un omaggio a Malevich, a Tatlin e a Kurt Schwitters. È un’installazione fatta di uniformi militari (da indossare o che sono già state indossate), della “casa del rito”, divenuta impenetrabile monumento da ammirare, scena e costruzione di una spazio materiale dell’assurdo, in rapporto ad una realtà dichiarata da architettura, anatomia, moda, teatro, grottesco, utopia e consegnati, complessivamente, ad una valutazione enigmatica e misteriosa, come se si trattasse di un rebus. Questa è la strada percorsa da un erede di maestri scultori e intagliatori del legno. Bisnonno, nonno e padre di Vito Pace, ad Avigliano, hanno fornito “braccia e testa” ad una tradizione tanto considerata quanto estinta. Ma evidentemente, la matri-
ce creativa ed espressiva, rimodulata ai giorni nostri, ha trovato altri scenari e contesti per caratterizzare una visione e un sentire che ha le radici in Lucania. Ad Avigliano, Vito torna 2 o 3 volte l’anno, a rinnovare il suo profondo rapporto con la terra, la gente, i parenti. Nel 2000 ha realizzato un intervento in una chiesa del paese. Nello stesso anno, nell’abbazia di Montescaglioso (Matera), ha preso parte agli incontri internazionali del “Progetto Oreste 3”. Nel 2004, presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, ha tenuto un seminario dal titolo: “Kontora Mir - Transfert”, l’esperienza russa che ha messo in gioco l’identità del cognome Pace con l’attenzione per un impegno mondiale di non violenza, contro le guerre, a favore della pace. I contributi collezionati in questa direzione si possono consultare tramite il sito di un’associazione culturale austriaca (www.kultur.at). Vito è consapevole delle difficoltà che un pubblico poco motivato può trovare nel “leggere” le sue opere, nel capirne la dinamica e la concezione. Una difficoltà che spesso accompagna mostre, installazioni, performances. Tuttavia, preferisce un approccio attraverso la curiosità, la suggestione della visione e delle immagini, senza “percorsi guidati” o preamboli di preparazione. Dopo 20 anni di mostre a Firenze, Milano, Lucera, Messina, Stoccarda, Pfhorzheim, Napoli, Baden Baden, Austria, Russia, Londra la scelta di proposte di rottura, contro il mercato e il sistema dell’arte, contro gli schemi e la mercificazione, trova oggi ulteriori possibilità di circolazione e integrazioni. In questo senso gli scambi in rete, i links, le navigazioni e la velocità di intervento stanno moltiplicano effetti e potenziali di un modo nuovo di fruire e produrre arte. “Antica, moderna o contemporanea” sostiene Vito Pace, “non è importante. La verità è che adesso i “mezzi per informarsi e capire esistono”. =
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Beatriz e la forza della musica VOCE AVVOLGENTE E MODULATA, PERSONALITÀ FORTE E PASSIONALE: GLI INGREDIENTI CON I QUALI CONQUISTA INTERE PLATEE. INCONTRO CON BEATRIZ FORNABAIO, SOPRANO RICERCATO IN TUTTO IL MONDO.
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Da bambina per andare a scuola il biglietto dell’autobus non lo pagava quasi mai. L’autista preferiva la sua voce ai soldi. E lei cantava, con un tono promettente che presto le avrebbe consentito di arrivare nel coro della scuola Elementare e subito dopo in quello del Liceo. Per la piccola argentina-lucana (papà e mamma di Stigliano) era un sacrificio, giornata intensa: prima lo studio, poi le esercitazioni di musica, piacevoli sì, ma impegnative. “Yo cantaba antes de hablar” ha commentato Beatriz, ripensando a quegli anni “Fue y es mi pasiòn”, ha aggiunto con una sottile vena di orgoglio. Fanciullezza e giovinezza sono trascorse così nella serietà dell’apprendimento e nella compostezza delle esecuzioni, quasi sempre con colleghi di età più avanzata, fino al diploma in canto presso l’Università di Cuyo e al perfezionamento in Cile e Stati Uniti. Beatriz Fornabaio oggi è una star, un soprano ricercato in tutto il mondo. La sua forza sta appunto nella serietà professionale, oltre che nella notevole forza espressiva, indipendentemente dalla complessità o meno dei fraseggi, indipendentemente dai brani e dagli autori. Per anni ha insegnato nell’Università argentina, facendosi apprezzare per le sue non comuni doti comunicative e culturali. “Poi - ci dice - ho deciso di “insegnare” nei teatri di tutto il mondo l’amore per il canto e per la musica, riuscendo così a catturare platee sempre esigenti e dal palato fine, senza mai rinunciare allo studio, che rappresenta il motivo dominante della mia esistenza”. Dotata di personalità travolgente, Beatriz riesce sempre, con cronometrica costanza, ad entusiasmare spettatori di ogni età, perché esterna la ricchezza del suo pathos, con una voce avvolgente, modulata, caldissima. Fa trasparire l’amore per le sue due terre, quella lucana e quella argentina, così uguali nell’accoglienza e nella disponibilità ad essere trasformate in terre di vita e terre di fecondità. Si offre a chi l’ascolta nella sua più dirompente carica emotiva, permeata da sentimenti nobili e da emozioni singolari che fanno coniugare con la stessa intensità sia il nostalgico dolore,
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sia la felicità del presente, sia la fiducia nel futuro. Questa è Beatriz Fornabaio, che in molti conoscono per averne apprezzato la professionalità in varie città italiane, in diversi Stati europei, nelle Americhe, del Nord e del Sud. Beatriz Fornabaio della lucanità conserva gelosamente i valori più alti. “Dai genitori - ci confida - ho ricevuto un’educazione severa, forse rigida, ma tale da consentirmi di affrontare tutti i rischi e le insidie di una professione in cui regnano invidie e avidità”. Lucano è il suo orgoglio dell’appartenenza ad un popolo che non smarrisce mai le proprie origini e le proprie tradizioni. Lucana è la sua caparbietà nell’ottenere ciò che vuole. Lucana è la sua tenacia nell’inseguire ciò che può essere catturato, senza mai perdere il senso della realtà e la consapevolezza delle proprie capacità. Ecco perché la soprano lucanaargentina è richiesta dai teatri più famosi del mondo ed è acclamata fino all’inverosimile. Dal teatro “Colón” e “Avenida” di Buenos Aires, alla “Onu” di New York, al teatro di Guayaquil e Cuenca in Ecuador, senza dimenticare le sue esibizioni nella cattedrale di Saint Patrick di New York, nella chiesa di San
Francesco all’Habana. Insomma la carriera di Beatriz, iniziata a Mendoza, sua città natale, prosegue in giro per il mondo con tappe significative in Spagna, Ungheria, Brasile, Cile, Uruguay, Lussemburgo, Germania. Dall’Argentina all’Europa. Nel 1999 Beatriz ha messo su un duo, insieme a Loredana Paolicelli, artista materana, con il quale ha catturato il pubblico europeo e ha sedotto la critica specializzata grazie all’originale ed esotico repertorio: un poutpourrì inedito di musica antica e contemporanea, dove trova anche posto Mozart, e le arie di coloratura. “Più che versioni conclude - le mie sono reinterpretazioni, riletture di celebri pieces, come gli immortali Adiòs Nonino o Balada para mi muerte di Astor Piazzolla”. Una carriera fortunata grazie anche al suo rapporto con lo spettatore che non è mai arido, freddo, distaccato. Beatriz riesce con continuità a stimolare il pubblico e a coinvolgerlo, fino a farlo diventare il protagonista della serata. Insieme con lei, espressione artistica tra le più genuine del mondo dello spettacolo ricercato e studiato. =
Ability to move, extension, pliancy and agility: these are only some of the vocal characteristics of the soprano Beatriz Fornabaio, born in Mendoza, Argentina, of Lucanian parents. With her strong personality, rich in pathos, the opera singer is an international-career soprano. In fact, she has performed in important theatres, such as the Colòn and the Avenida in Buenos Aires, the Onu in New York, the Guayaquil and the Cuenca in Ecuador, and also in the Trinity College in the United States, in Saint Patrick’s Cathedral in New York, in the church of Saint Francesco in Havana. A rich repertory going from the ancient to the contemporary music, from Mozart to the colouring arias that the cosmo-
politan soprano has successfully proposed in Spain, Hungary, Brazil, Chile, Uruguay, Luxembourg, Germany and Italy. She is in love with her land, Argentina, but she never forgets her Lucanian roots, and the existential parable of those who inhabited these “two arid and thirsty lands to which the farmer himself gives his life with love and sacrifice”. Each passage, performed with a warm and modulated voice, moves and awakens the senses. Her innate ability to translate feelings and emotions makes Beatriz able to interpret, from time to time and with absolute mastery, the different roles proposed by the theme.
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ENZO EPIFANIA / ALTRIMEDIA
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OTTAVIO CHIARADIA
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La pallida luce di un sole calante in una splendida giornata autunnale tinge timidamente di giallo il paesaggio su cui si proietta.È l’ora in cui più tenero si affaccia il pensiero delle cose e delle persone care lasciate. Ed io con la mente ed il cuore ad esse rivolte - nel raccoglimento del mio Studio rileggendo alcune delle tante pagine della letteratura riguardante il mio Paese, sentii affluire, nitidi, alla mia memoria tanti ricordi del tempo passato. “So passat tant’ann e pare aire” recita, con poetica grazia gentile il venosino Domenico Chieffo percorrendo un immaginario itinerario degli amati luoghi del suo Paese natio. Sì, anche per me, son passati tanti anni ma a me pare di aver lasciato soltanto ieri, Melfi, il mio Paese natio. Con questa riflessione ho inteso la veemenza del mio amore per Melfi, per il Vulture, per la Basilicata; con questa riflessione ho avvertito un fortissimo senso di struggente e romantica malinconia col pungente rimpianto del tempo trascorso! In quell’afflato di accorata nostalgia ho rivissuto - come per incanto - i momenti lieti e tristi del mio breve soggiorno melfitano, ma, commosso, ho capito che una carriera brillante, la considerazione e la stima conquistate in altri luoghi, gli incarichi di prestigio e di responsabilità ricoperti, non hanno neppure scalfito quel profondo sentimento di nostalgia per la mia terra lontana; per questa terra ancora ingiustamente negletta che ho amato e amo senza riserve e senza confini della quale - forse ancor più nella lontananza - mi sono onorato di ritenermi rigido custode dei suoi ingenti valori.
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Con questi sentimenti io, peregrino per l’Italia, quando ho potuto sono corso in Basilicata per rinvigorire spirito e corpo all’aria della mia amata montagna, il Vulture, che il poeta Malpica, venuto da lontano - come lui dice - in una lunga stupenda ode ha definito
“il più bel degli italici monti”. L’ardente desiderio ancor vivo in me di poter ritornare mi ha fatto, in certo senso, identificare con “l’emigrante” di Giovanni Bertacchi che, in un palpito d’amore per la sua terra, canta così: “Io semino partendo a quando a quando petali di memoria in su la via ond’io possa ritrovar tornando, nel vastissimo mondo, o casa mia”. Nell’ansia di questa dolce speranza e nell’ardente desiderio di vederla realizzata l’anima si è abbandonata alla rievocazione del passato, con delicata nostalgia nella gioia sublime di una profonda spiritualità. = Domenico Gurrado
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Carla Ranieri si aggiudica lo “Stage Study Tour” ANGELA DI MAGGIO Si chiama Carla Ranieri, vive nel Queensland ed è la vincitrice della III edizione della borsa di studio, “Stage Study Tour”, promossa dalla Regione Basilicata e dalla Commissione regionale dei Lucani nel mondo. Si tratta di un “Corso di Formazione e qualificazione” per i figli degli emigrati Lucani” che si tiene a Potenza presso l’Università di Basilicata. La durata del corso è di 21 giorni. L’assegnazione della borsa di studio a Carla Ranieri è avvenuta durante il gran ballo annuale di beneficenza organizzato dall’associazione lucana del Queensland alla presenza del vice console d’Italia per il Queensland, Gualtiero Esposito. Carla Ranieri, le cui origini lucane risalgono alla nonna Antonietta Santomauro di Rionero in Vulture, sarà a Potenza in estate. La madre, Dina Ranieri, è direttrice del Co-As-It (Comitato Assistenza Italiani). L’associazione lucana del Queensland, presieduta da Vito Di Stasi dal giugno del 2002, conta 119 iscritti. Molti di loro sono originari di Rionero, Genzano, Banzi, Pescopagano e Oppido Lucano. Svolgono le professioni più disparate: medici, ingegneri, architetti, farmacisti, direttori di aziende. “Programmiamo
CARLA RANIERI TRA GUALTIERO ESPOSITO, VICE CONSOLE D’ITALIA PER IL QUEENSLAND E VITO DI STASI
numerose attività - dichiara Di Stasi - e, quel che voglio sottolineare, sempre con lo stesso impegno e uguale entusiasmo. Ognuno di noi offre il proprio contributo nell’organizzare eventi e manifestazioni e così ci sentiamo un po’ meno lontani dalla nostra Basilicata”. “Una regione - dichiara il presidente della Commissione Lucani all’estero, Rocco Curcio - che presta attenzione agli emigrati. Un esempio è questa opportunità dello “Stage Study Tour”, ma anche il master recentemente promosso dalla Regione rivolto anche ai figli discendenti in linea retta entro il 4° grado di lucani emigrati all’estero. Si tratta di attività altamente formative che i giovani colgono con grande interesse, perché offre loro la possibilità di conoscere la realtà dei propri genitori o nonni, ma soprattutto perché è un modo per imparare l’italiano e specializzarsi”.
Il master ha tre aree disciplinari: la prima comprende il settore della comunicazione e quello culturale-sociale, il secondo quello economico, finanziario, giuridico-gestionale, il terzo riguarda il territorio, l’ambiente, le risorse naturali e culturali. Le borse di studio possono essere assegnate per la frequenza di master di primo e secondo livello, corsi e tirocini formativi professionalizzanti di alta specializzazione, realizzati presso istituzioni universitarie italiane, istituzioni di formazione italiane, anche private, organismi di formazione accreditati dalla Regione Basilicata ed istituzioni estere universitarie o di livello universitario dotate di riconoscimento da parte degli organismi competenti nei singoli Stati. “Un’offerta varia e vasta - ha concluso Curcio - e che speriamo possa essere sfruttata al meglio anche dai figli dei nostri emigrati”. =
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