Vox populi alessandro girola

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VOX POPULI Di Alessandro Girola


AVVERTENZE

Vox Populi è un racconto di fantasia. Eventuali riferimenti a fatti e persone realmente esistenti sono da considerarsi casuali. Il racconto è disponibile in libero download, con donazione volontaria. Il racconto è di esclusiva proprietà del suo autore.


Vox Populi di Alessandro Girola Copertina di Alessandro Girola, su rielaborazione di un'immagine trovata online. Il blog dell'autore: http://alessandrogirola.me/

Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribution-NonCommercialNoDerivs 3.0 Unported. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA.


UNO

Marcello Caligaris allungò la mano alla cassiera, un'enorme ragazza di colore con una massa selvaggia di capelli ricci che le ricadeva su una quinta di seno. La maglietta rossa della Cooperativa Italiana era più piccola di almeno una taglia. La cassiera passò il lettore di codice sul polso dell'uomo, osservando il numero visualizzato sul display. «Lei ha meno di mille followers su Twitter e non risulta iscritto né a Facebook né a ItalVox. Quindi le tocca pagare. Sono 756.000 Nuove Lire.» Marcello sfilò il portatessere dalla tasca interna del trench, alla ricerca della carta di credito ricaricabile. Nel mentre si guardò attorno. Il misero minimarket in zona EUR in cui si riforniva una volta alla settimana gli sembrò ancora più squallido. Tra gli scaffali del cibo in scatola si aggiravano più che altro anziani e immigrati africani. «Immagino che qui siete pieni di clienti con più di mille followers, vero?», ironizzò. La cassiera non batté ciglio. Passò la Visa nel lettore, gli consegnò lo scontrino e lo congedò con un gesto sbrigativo della mano. Marcello sospirò. Vent'anni prima avrebbe incaricato uno dei suoi assistenti di sbrigare faccende di quel genere. Di fatto a quei tempi non sapeva nemmeno quali erano i prezzi dei generi di uso comune, per esempio alimentari o detersivi. È per questo che la tua generazione ha perso, pensò. Uscì. Il parcheggiò era quasi deserto. Le persone che potevano permettersi l'acquisto e il mantenimento delle auto elettriche, le uniche il cui utilizzo era concesso dal Governo, erano sempre di meno. C'era soltanto il solito zingaro, seduto vicino alla fila di carrelli agganciati alla catena di sicurezza. L'uomo, magro e sdentato, sorrise a Marcello, tendendo un bicchiere di carta vuoto. «Un'offerta, capo?» Caligaris frugò nelle tasche e gli allungò una banconota da diecimila Nuove Lire. Notò che lo zingaro stava ascoltando una radiolina appoggiata al suo fianco. «Che si dice di bello?» Il nomade gli sorrise in modo demente, mostrando una voragine di denti mancanti e di gengive arrossate. «Stasera a Roma ci saranno i botti, capo! Chiuditi in casa e goditi lo spettacolo. Noi stanotte ce ne andiamo.» «Noi chi?» «La mia tribù. Scendiamo verso Napoli. Qui tira aria brutta. Tu chiuditi in casa e aspetta», ripeté. «Sì, certo. Lo farò.» Marcello gli rivolse un cenno di saluto e se ne andò, turbato senza un perché. Quello zingaro era un po' suonato, ma senz'altro era anche furbo. La sua gente sapeva sempre in anticipo dove aspettarsi dei guai e di solito li evitava come la peste. Si avviò stancamente verso la vicina fermata della nuova tranvia, cercando di ignorare la pioggerellina tiepida di metà maggio, che da trentasei ore tormentava la capitale. In una giornata serena sarebbe tornato a casa a piedi, ma quella sera era troppo stanco. Erano già le nove e non si era nemmeno accorto di aver fatto così tardi. Il tram arrivò dieci minuti più tardi. Era pieno solo per metà. In fondo c'era cinque operai di


qualche azienda nazionalizzata. Li si riconosceva dalle tute blu e dallo sguardo arrabbiato. Il lavoro era sempre meno e il Governo non intendeva scendere a patti con la Comunità Europea, che pure si era offerta di togliere alcune sanzioni all'Italia, in cambio di un ritorno al dialogo con le autorità economiche transnazionali. Marcello si accorse che una vecchietta imbacuccata in un vecchio cappotto consumato lo fissava insistentemente. Per un attimo temette di essere riconosciuto. In effetti la vegliarda aveva l'età giusta per ricordarsi di lui. Decise di sedersi diversi posti più in avanti. Per concludere una giornata così schifosa gli mancavano soltanto le imprecazioni di una cittadina inviperita contro la "vecchia casta". Il tram attraversò due isolati. Il traffico era ridotto al minimo, ma in compenso agli angoli delle strade c'erano capannelli di sfaccendati che si scambiavano buste e sacchetti dal dubbio contenuto. Qualcuno di loro fissava i due vagoni in transito, cercando di determinare se c'era qualche passeggero da pedinare e da derubare. In lontananza si sentivano le sirene della Polizia e di altri mezzi di soccorso. Erano notti intense e i cortei clandestini si moltiplicavano, a dispetto dei divieti del Ministero degli Interni. Il Presidente, che da quando aveva sostituito il suo predecessore si faceva chiamare Primo Cittadino, parlava di infiltrazioni da parte dei potentati dell'Unione Europea, di sobillatori fascisti e di schegge anarchiche impazzite. L'unica cosa che si guardava bene dal fare era assumersi delle responsabilità. Il tram aprì le porte. Marcello era arrivato alla sua fermata. Scese trascinando un po' a fatica i due sacchetti della spesa. A cinquantasei anni non era in una gran forma. Il fisico asciutto era dovuto semmai alla tipica dieta di chi faceva fatica a tirare la fine del mese, a mettere insieme il pranzo con la cena. Si avvicinò al portone di casa, frugando nella tasca del trench alla ricerca delle chiavi. Nel suo palazzo erano pochissimi ad avere serrature elettroniche. Nessuno riusciva poi a permettersi le nuove porte intelligenti, che potevano essere aperte col microchip identificativo personale, il MIP. Perso in quei pensieri si accorse solo all'ultimo istante dei due tizi che lo aspettavano davanti all'ingresso. In realtà potevano essere lì per qualunque motivo, ma Marcello ne fu certo fin dal primo momento: attendevano proprio lui. Erano due uomini tra i trenta e i quarant'anni, vestiti con spolverini grigi e completi scuri di taglio semplice. Il primo era alto e dinoccolato, con un naso aquilino che spiccava su una faccia affilata e pallida. Il suo compare era di qualche anno più giovane, un bel ragazzo dai tratti mediterranei. Gli occhi di quest'ultimo erano accesi di una luce dura. Fu lui a farsi avanti, spegnendo la sigaretta contro il muro. «Dottor Caligaris?» Marcello sentì una spiacevole sensazione risalirgli su dallo stomaco. Paura, ma anche fastidio e rassegnazione. «Sono io, ma nessuno mi chiama più dottore da anni.» Il ragazzo ignorò la precisazione. «Io sono l'ispettore Bastiani e questo è il mio collega, l'ispettore Torre. Siamo del SIU.» «Cosa vuole da me il Servizio Informazioni Unificato?», domandò Marcello, sempre più preoccupato. «Io ho pagato tutti i debiti col passato. Non mi occupo più di politica da anni e...» «La smetta di agitarsi per niente», tagliò corto Bastiani. «Abbiamo bisogno di lei. Ora.» «Di me?» «Ora.» «Devo portare su la spesa. Ho anche dei surgelati che...»


Il giovane ispettore scosse il capo e indicò la Prius X grigia parcheggiata sotto gli striminziti alberi che affiancavano il marciapiedi. «Le rimborseremo la spesa. Ora salga in auto.» Non era una proposta rifiutabile. Marcello sospirò. Lasciò i sacchetti vicino al portone e montò sul retro della Prius, mentre Torre si metteva al volante. Bastiani invece gli si sedette a fianco. Partirono subito, diretti verso nord, senza sirene o altro che identificasse il veicolo. I due funzionari del SIU sembravano nervosi tanto quanto Caligaris, che a quel punto non ci capiva più nulla. Se inizialmente aveva pensato a una punizione postuma per la sua appartenenza alla vecchia casta, cosa di per sé poco credibile, ora era nel buio più totale. La Prius transitò accanto al Ministero delle Comunicazioni. La zona attorno era buia. Un lampione su due era spento e la sede di viale America era transennata. Una mezza dozzina di furgoni della Polizia sorvegliava l'ingresso, anche se tutto attorno era deserto. Man mano che si spingevano verso nord, Torre iniziò a ricevere una serie di indicazioni via radio, eseguendo una serie di deviazioni che a primo acchito davano l'idea di essere assurde. Nessuno dei tre parlava, anche perché l'ispettore alla guida era così concentrato che non sembrava opportuno distrarlo. Più di una volta Marcello sentì un elicottero sopra le loro teste, quasi come se seguisse la Prius dei Servizi Informazioni. A un certo punto, sulla Ostiense, si trovarono davanti un corteo di che veniva in senso opposto, occupando tutta la strada. Erano trecento, forse quattrocento persone che marciavano sventolando cartelli illeggibili a causa della poca luce. Torre deviò in una trasversale a sinistra, evitando il contatto coi manifestanti. A quel punto Marcello non se la sentiva più di stare zitto. «Senta Bastiani, mi vuole dire cosa sta succedendo?» L'ispettore si accese una sigaretta e, un po' a sorpresa, gli rispose. «La stiamo portando al Villa Celimontana.» «Mi scusi, ma continuo a non capire.» «C'è un'emergenza in corso. Per questa notte sono previste numerose proteste antigovernative, sia al Viminale che a Montecitorio, ma anche in altre città. Le pressioni che stiamo subendo in queste ore dalla plutocrazia dell'Unione Europea rischiano di alzare ulteriormente i toni dei fascisti e degli anarchici che da settimane mettono il paese in difficoltà.» Marcello contò mentalmente fino a tre prima di rispondere. Non era il caso di dire a Bastiani ciò che pensava riguardo alla ricostruzione dei fatti che l'ispettore aveva appena fatto. «Insomma, temete un golpe?» «Il Corpo di Difesa e la Polizia sono pronti a respingere ogni tentativo di colpo di stato.» «Certo, se ci fossero ancora delle Forze Armate degne di questo nome...» Bastiani lo squadrò in malo modo. Era un giovane idealista, uno dei pochi rimasti al Primo Cittadino e al Network. Prima che l'ispettore potesse rimproverare Caligaris per la sua battuta, Torre compì l'ennesima deviazione, rischiando di far sbandare l'auto. Quando tornò in carreggiata, Marcello ne approfittò per cercare di rimediare. «Mi spiace per i problemi che avete», mentì. «Tuttavia ancora non capisco come posso aiutarvi. Io non faccio più politica. Ora campo facendo traduzioni e ripetizioni di storia e di letteratura italiana. Inoltre, beh...» Non concluse la frase, timoroso di fare qualche nuova gaffe. «Non sta a me dirle di più. Una volta arrivati a destinazione parlerà con chi di dovere.» «Ma perché proprio Villa Celimontana?»


«Aspetti e vedrà.»


DUE

Arrivarono dopo altri quaranta minuti di deviazioni improvvise, attraversando strade quasi vuote, mentre in lontananza la sera romana si riempiva coi suoni insistenti delle sirene. Villa Celimontana era immersa nel buio. La Prius si avvicinò da via della Navicella, che qualche anno prima era sta trasformata in zona ad accesso limitato. Con un telecomando Torre abbassò le colonnine che bloccavano il traffico alle auto. L'auto varcò poi l'ingresso monumentale, passando a fianco di una guardiola posta dirimpetto alla biglietteria, chiusa dal 2021, quando la Villa era diventata uno dei centri di formazione politica del Network Popolare. Due uomini in mimetica grigio-nera osservarono la Prius che sfilava lungo il viale d'ingresso. Entrambi imbracciavano fucili d'assalto e indossavano dei corpetti antiproiettile. «Sono stato convocato da qualche ideologo del Network?», chiese Marcello. Bastiani non rispose. L'auto parcheggiò a pochi metri dall'imponente villa, il cui portone principale era sorvegliato da altri due soldati del Corpo di Difesa. L'edificio di origine cinquecentesca era immerso nel silenzio più totale. Sul lato destro del vasto cortile s'intravedevano altri mezzi di servizio, tra cui un autoblindo verniciato di colore nero opaco, dotato di un paio di mitragliatrici automatiche dall'aspetto inquietante. «Scenda», intimò Bastiani. Marcello obbedì. L'ispettore lo condusse alla porta e gli fece cenno di aspettare vicino alle sentinelle, mentre lui si allontanava per rispondere a una telefonata. Caligaris attese per due lunghissimi minuti, alla fine dei quali udì un paio di esplosioni in lontananza, verso est. A esse seguirono due fili di fumo gemelli che si alzarono nel cielo notturno, sottolineati da un'ulteriore cacofonia di sirene. Tre elicotteri sorvolarono la città, diretti verso la zona degli scontri. Bastiani tornò da lui, imperturbabile. «Ora possiamo entrare.» Detto ciò aprì la porta e fece cenno a Marcello di muoversi. A quanto pare la villa aveva riacquistato l'antica eleganza nel momento in cui era stata chiusa al pubblico e sequestrata dal partito. L'arredamento era in stile anni '30, ma integrato con monitor ultrapiatti, posti a intervalli regolari nei corridoi, e nei grandi saloni da ricevimento. Su di essi venivano trasmessi a volume azzerato alcuni dei principali spot del Network Popolare. C'erano quelli storici, del primo Presidente, il famoso ex attore, che aveva preso il potere democraticamente, all'acuirsi della crisi della Seconda Repubblica. In molti video lo si vedeva arringare le piazze principali d'Italia, affiancato in alcune occasioni da Jacopo Ferraris, lo spin doctor del partito, per molti versi il vero artefice del successo elettorale del Network, nonché il profeta di quella che i militanti chiamavano Utopia Democratica. Bastiani accompagnò Marcello in una sala dedicata alle antiche carte nautiche e agli atlanti geografici, che riempivano i quattro enormi scaffali a tre piani disposti lungo le pareti. «Si accomodi», gli disse, indicando il tavolo da lettura posto al centro della stanza. «Chi aspettiamo?», domandò Caligaris, sedendosi. «Abbia soltanto qualche attimo di pazienza», chiosò l'ispettore, che stava controllando qualcosa


sul display del cellulare. Marcello non insistette. Si concentrò sull'unico monitor presente nella sala, appeso in un angolo e silenziato come tutti gli altri. La storia del partito veniva ritrasmessa a ciclo continuo, con grande esaltazione dei presunti risultati ottenuti. Democrazia diretta, con voto online dei deputati della Camera Unica. Uscita dall'Unione Europea previo sondaggio via Internet. Introduzione del pagamento via reputazione sociale, per ovviare all'inflazione e alla seconda crisi economica. Abolizione delle Forze Armate, soppressione di otto ministeri, nazionalizzazione di una sessantina di grandi industrie, accusate di aver evaso per anni i tributi. Malignamente, la parte che Marcello apprezzò di più fu quella riguardante i funerali di stato del Presidente, a cui però seguì la celebrazione per l'elezione, ovviamente via Web, del suo successore, l'attuale Primo Cittadino. Tutto quello che hanno combinato quei pazzi è stato per colpa nostra, ricordò a se stesso, affranto. Anni di incapacità dei grandi partiti, decine e decine di episodi di corruzione, indagini sui traffici tra politica e malavita, tra politica e grandi evasori fiscali: tutto aveva contribuito all'affermarsi del Network Popolare. La strategia mediatica di Jacopo Ferraris aveva fatto il resto. A un certo punto nella stanza entrò un uomo più anziano, dalla pelle rugosa come quella di un lupo di mare, con pochi capelli grigi e uno spolverino identico a quello di Bastiani, che lo identificava come un suo collega. I due si appartarono vicino alla porta a confabulare. Marcello udì solo poche parole, tra cui "discorso pubblico", "evacuazione" e "insorti", quest'ultima ripetuta più volte. Il vecchio sparì, lasciando Bastiani di nuovo solo, ma con un'espressione ben più perplessa e turbata rispetto a prima. Qualche minuto più tardi arrivò un secondo visitatore. Questa volta era una ragazza sui trenta, vestita in un impeccabile tailleur color crema. Aveva i capelli castani raccolti in una coda, gli occhi verdi e un fascino elegante, che però lasciava trasparire il suo ben noto carattere combattivo. Marcello la riconobbe immediatamente come Natalie Leone, sottosegretario alla presidenza unificata del paese. La Leone lo raggiunse e gli porse una mano, ostentando un tiepido sorriso. Marcello si alzò e contraccambiò la stretta, sempre più confuso. A suo tempo aveva ingaggiato una dura battaglia con la madre di quella virago della politica, una delle militanti della prima ora del Network. Tale madre tale figlia era un detto popolare che si adattava assai bene per quelle due donne. «Si sieda», ordinò la Leone. «Parliamo.» Bastiani chiuse la porta, rimanendo però nella sala, seppur lontano dai due. «Guai in vista?», esordì Marcello, incapace di rinunciare a una battuta pericolosa. «La democrazia è sotto attacco», ammise la donna. «Ce lo aspettavamo, visto le pressioni subite nell'ultimo mese dall'Unione Europea. «Da quello che mi dicono le fonti del SIU, c'è perfino una forza di pace pronta a entrare nel paese, qualora dovessimo reprimere le manifestazioni di piazza con la forza.» «Forse la definizione di "Corea del Nord dell'Europa" non è poi così sbagliata», azzardò Caligaris. «Dovete concedere delle regolari elezioni. Vi servirà a mostrare al mondo che il Network è meno peggio di quel che si pensa.»


«Parole insolenti», sibilò Natalie. «Forse i fatti di stasera le hanno fatto ritrovare il coraggio?» Marcello si mosse a disagio sulla sedia. «Io non sono stupido, sottosegretario. Comincio a intuire il perché mi avete portato qui.» «Ah sì? Mi dica.» «Volete dare un segnale di apertura al paese e alla Comunità Europea. Pensate che piazzare un burattino dell'opposizione in qualche ruolo di minima responsabilità sia sufficiente. Visto che non potete tirar fuori Canzi dalla galera, né recuperare Galfani dal suo esilio londinese, chi vi rimane?» Marcello allargò le braccia. Non aveva più paura. «Me. Un semplice parlamentare del vecchio Partito Progressista, che in Italia ricorderanno sì e no qualche migliaio di persone al massimo. Ma voi non avete di meglio, giusto?» «Brillante e acuto», replicò la Leone. «Non a caso ai bei tempi che tanto le piacciono lei veniva ritenuto un intelligente uomo di partito, con prospettive di un futuro luminoso.» «Per fortuna ci avete pensato voi a sistemare le cose.» «Non faccia lo spiritoso.» «A ogni modo io non sarò il burattino di nessuno.» «Bene. Perché non è questo che vogliamo da lei.» Marcello ammutolì, spaesato. «Allora siamo punto e a capo. Non capisco perché sono qui.» Natalie sorrise. «Le mostrerò una cosa che pochi hanno avuto a modo di vedere. Da questo momento in poi la sua miserabile vita cambierà radicalmente.» «E sia», concordò l'uomo. Del resto, che altro posso fare?


TRE

Bastiani si scosse dalla sua immobilità e scostò un libro nello scaffale alla sua destra. Premette l'interruttore nascosto lì dietro, facendo scattare un'intera sezione del medesimo scaffale, che si aprì verso l'esterno. In tal modo rivelò una porta di lucido metallo, dotata di una semplice pulsantiera. «Ascensore», intuì Marcello. «Esatto.» La Leone lo attivò appoggiando il suo polso destro a un lettore di MIP posto appena sotto la pulsantiera. La porta si aprì. I tre entrarono nella cabina, linda, pulita, dal vago profumo di disinfettante al limone. Una volta dentro Bastiani schiacciò il triangolo su cui era indicata una grossa "S" nera. L'ascensore scese per pochi secondi. Quando si fermò, lasciando scendere i suoi passeggeri, la cabina si affacciava su un ampio corridoio dal pavimento marmoreo. Le pareti erano decorate con dei complessi disegni in pittura argentata e dorata. A Marcello sembravano dei geroglifici, o qualcosa del genere. Dei neon illuminavano l'ambiente, mentre due soldati sorvegliavano le estremità visibili del passaggio. «Per di qua», fece strada la Leone, dirigendosi alla sua destra. Mentre s'incamminavano, Marcello notò che spessi cavi elettrici attraversavano il soffitto, nel quale erano presenti anche alcune grate di ventilazione. «Cos'è questo posto? Forse il vostro ultimo bunker?» «Lei ci disprezza», replicò Natalie, senza voltarsi. «Non capirà mai quanto bene abbiamo cercato di fare per il paese.» «Le strade per l'inferno sono lastricate di buone intenzioni. A dire il vero proprio questo passaggio potrebbe essere un ingresso per l'Aldilà. Cosa sono tutti questi geroglifici?» «Il mondo è governato anche da forze che non si riescono a comprendere, se non a un livello superficiale. Coloro che per secoli hanno schiacciato il popolo le hanno spesso sapute dominare e sfruttare. Poi altri hanno imparato a farlo.» «Ricordo di aver sentito qualcosa del genere, anni fa.» Marcello si grattò la testa, mentre in fondo al lungo corridoio, leggermente in discesa, si profilava la sagoma di un grande portello metallico, non dissimile a quello di una cassaforte. «Jacopo Ferraris», precisò Natalie. «Ai suoi tempi, dottor Caligaris, un ex collaboratore del nostro ideologo fece pubblicare quel pamphlet denigratorio, che svelava parte del pensiero filosofico di Jacopo, ridicolizzandolo.» Marcello ricordò. Ferraris aveva idee strane, apparentemente folli, che andavano dal controllo dei social media all'alchimia, mischiando anche ecopunk, futurologia e complottismo. Arrivati al portello, Bastiani aprì una mascherina metallica situata al centro del medesimo, mostrando una pulsantiera alfanumerica. Fece un mezzo inchino alla Leone. «Prego, sottosegretario.» Natalie si fece avanti e digitò un codice di sei cifre, quindi accostò il polso al lettore a infrarossi. Con uno sbuffo pneumatico il portello si aprì. La donna guardò Marcello negli occhi: «Lei sta per entrare nel santuario del nostro movimento. Si


mostri adeguatamente rispettoso.» La sala in cui fecero ingresso era di forma cubica, con un lato di quattro metri abbondanti, illuminata con due lampade al neon. Nella stanza c'era una cosa soltanto: una sorta di sarcofago ultratecnologico, costruito in titanio, con un oblò in policarbonato trasparente e con diversi cavi che lo raggiungevano a varie altezze, calandosi dal soffitto come serpenti. Il sarcofago era posizione verticale, dotato di un display all'altezza del cuore. Su di esso scorrevano parole e numeri a getto continuo, e anche grafici rivelatori di chissà quali stime. Marcello era senza parole. Si avvicinò di qualche passo alla bara metallica, timoroso suo malgrado. Dietro l'oblò s'intravedeva la sagoma di un volto, nascosto però dal buio che albergava nel sarcofago stesso. «Che diavolo è?», domandò in un sussurro. «Qui dentro è conservato ciò che rimane del più grande italiano degli ultimi cent'anni», affermò la Leone. Caligaris trasalì. «Avete conservato il corpo del vostro primo Presidente? Lo avete tenuto in vita con qualche negromanzia tecnologica?» «Giusto, ma solo a metà. Questo è il nuovo corpo di Jacopo Ferraris. La sua mente vive e interagisce grazie al sarcofago.» «Non è possibile! Ho visto Ferraris parlare in pubblico fino a settimana scorsa. Le vostre TV trasmettono tutti i convegni nazionali in cui è stato impegnato. Inoltre continua ad aggiornare il suo blog.» Natalie sorrise. «Il blog è dettato in via telepatica, da dentro il sarcofago. Riguardo alle riprese televisive, beh, sicuramente avrà già visto qualche proiezione olografica. Oramai sono utilizzate in lungo e in largo.» Marcello puntò il dito contro il sarcofago. «Ma le olografie non possono interagire! Io l'ho visto rispondere a domande in tempo reale.» «Lei nemmeno immagina quel che può fare una mente amplificata dalla tecnologia del corpo meccanico. La verità è che il corpo biologico di Jacopo è morto quattro anni fa, in seguito a un male incurabile taciuto alla stampa. Ma noi abbiamo comunque salvato ciò che conta davvero.» Caligaris guardò meglio il display sulla bara. Le parole e i numeri che scorrevano su di esso erano aggiornamenti di Facebook e Twitter, ma anche i commenti al blog del Network Popolare e le notizie da una dozzina di agenzie di stampa internazionali. La testa che invece si notava a malapena oltre l'oblò era magrissima e pareva galleggiare in una sostanza oleosa. «Io cosa...» La domanda di Marcello venne interrotta da un fischio acuto, ma di breve durata, seguito poi da una voce cavernosa. «Dottor Caligaris.» Le parole dell'uomo nel sarcofago erano trasmesse dalle casse poste ai fianchi della bara. Marcello rabbrividì, improvvisamente catapultato in una realtà a lui del tutto sconosciuta. «Sono io. Parlo con Jacopo Ferraris?» «Certo. Natalie le ha spiegato già il necessario, dico bene?» «Più o meno. Anche se io mai avrei creduto che...» Lasciò cadere la frase e cambiò discorso. «Perché mi ha voluto qui?» Ferraris titubò qualche istante. «Ho bisogno di un suo consiglio.»


Oggi le sorprese non finiscono mai. «Mio? Cosa posso fare in più rispetto suoi tanti seguaci?» «Lei è un politico del vecchio mondo. Ha un modo diverso di valutare le cose. Come sa la Terza Repubblica è basata sulla democrazia diretta, sull'utopia perfetta e realizzata col dar voce ai cittadini tramite Internet.» Marcello si voltò. La Leone e Bastiani erano qualche passo indietro e ascoltavano, rispettosi. Oramai era facile capiva chi comandava davvero il Network: non il Primo Cittadino, bensì la mummia rianimata che abitava quel sarcofago. «Avete fallito», osò dire Marcello. Fu liberatorio. «Il popolo non era pronto per autogovernarsi. Il popolo è debole, perché non sa guardare al futuro.» La parziale ammissione di colpe diede coraggio a Caligaris. «Se non ricordo male lei profetizzava trent'anni di impoverimento generale, ma nella prospettiva di una vita migliore sul lungo termine.» «Ricorda bene.» «L'ostacolo sulla strada della felicità eravamo noi, i politici. I vecchi partiti.» «Lo eravate», confermò Ferraris con la sua voce sintetizzata. «Avete spremuto questo paese per anni, difendendo i vostri privilegi e cannibalizzando il resto. Succede in tutto il mondo, in Italia però questo sistema era stato elevato a stato dell'arte.» Marcello non tentò di difendere quello che vent'anni prima era stato il suo mondo. «Abbiamo sbagliato, chi più chi meno. Ma il nostro ruolo era... doveva essere quello di intermediazione tra la pancia della gente e il potere, quello vero.» Per un attimo tornò quello di un tempo, un oratore pieno di passione. «La grande finanza internazionale, le superpotenze economiche: sono loro che comandano, non il popolo. Bisogna saper trattare, mediare. Per farlo occorrono dei professionisti. Il volgare populismo della democrazia diretta non serve a nulla.» Ferraris tacque per un paio di secondi. «Non sono qui per discutere di massimi sistemi con lei. I suoi tempi, comunque la pensi, appartengono al passato.» «Sì, certo, come no. Forse all'interno di quella sua bara c'è invece il futuro.» Bastiani fece un passo avanti, mettendo mano alla pistola che portava alla fondina ascellare. «Fermo ispettore», tuonò Ferraris. Poi tornò a rivolgersi a Marcello. «Dottor Caligaris, se vuole uscire vivo da questa stanza, mi dia il consiglio che desidero: come avreste risolto una crisi come questa, voi della vecchia guardia?» «Resa incondizionata.» «Opzione impossibile. Risponda seriamente.» Marcello si morse un labbro, nervoso. Voleva vivere, eccome. Al contempo aveva forse una sola, ultima speranza per far del bene al suo paese. Un tempo aveva creduto che fare politica volesse dire occuparsi del prossimo. Poi era stato eletto in parlamento. «Ferraris, le decisioni del governo vengono prese attraverso il blog del Network, giusto? Col meccanismo degli ammessi al voto.» «Sì.» «Ma da qualche anno avete attivato l'Ufficio Antispam, per eliminare quelli che voi dichiarate essere troll, quinte colonne, infiltrati e sobillatori.» «Sì. Dove vuole arrivare?» «Lei crede davvero che tutto il calo di consenso del Network, specialmente in questi ultimi cinque anni, sia solo opera di oppositori esterni, traditori del partito eccetera eccetera? Mi risponda sinceramente.»


«Il popolo non ama più il Network perché i poteri forti ci hanno impedito di portare a termine il cambiamento.» Per l'ego smisurato di Ferraris quella era un'ammissione notevole. Marcello colse la palla al balzo. «Quindi l'Ufficio Antispam opera una vera e propria censura anche nei confronti di cittadini che in realtà avrebbero tutti i diritti per votare le proposte del vostro governo.» «Sì.» Marcello raddrizzò la schiena, incoraggiato. «Però lei sa cosa vuole davvero il popolo, vero? Grazie a questa bara tecnologica può monitorare tutto.» «Esatto, infatti vedo che la situazione peggiora a velocità preoccupante. A Milano alcuni consiglieri del Network hanno tradito. Il sindaco è fuggito e una delegazione del Partito Liberale Clandestino sta coordinando la presa della città. A Genova gli aderenti al Fronte Rosso hanno occupato il porto, per far sbarcare una prima forza di pace delle Nazioni Unite. A Napoli le unità del Corpo di Difesa stanno combattendo contro il corpo di spedizione del Generale Casana.» Il generale Casana? Marcello era stupito. Perfino i transfughi del vecchio esercito, riparati in Spagna dopo il giro di vite del Network, erano già in azione. Allora oggi è davvero il gran giorno... «In Sicilia i vecchi baroni stanno tentando di sobillare la gente contro di noi, ma lì hanno vita più dura. A Cagliari...» «Basta così», lo interruppe Caligaris. «Lo sa dove voglio arrivare: alla volontà del popolo. Che è contraria al Network. I cittadini non ne possono più di voi e non sono disposti a concedervi attenuanti di alcun genere. Forse sbaglio?» «Non sbaglia.» Marcello si voltò una seconda volta, solo per un istante. Si godette il volto affranto della Leone. Poi tornò a dedicarsi a Ferraris. «Quindi ecco il mio consiglio: faccia ciò che vuole il popolo. Dica al Primo Cittadino di togliere quella cazzo di censura dai vostri social media e di obbedire alla volontà della gente.» Ecco, l'ho detto. Ora vada come vada. Ferraris emise un gemito, forse un sospiro, che il sintetizzatore vocale trasformò in un fischio stonato. «Ha ragione. In realtà mi aspettavo qualcosa di più... bizantino da parte sua. Invece è stato onesto.» Le parole sul display iniziarono a scorrere più veloci, fino a diventare un'infinita striscia scura, illeggibile dall'occhio umano. «Jacopo...», azzardò Natalie. «Silenzio!», impose Ferraris. «Ho scansionato la volontà popolare. Il Network gode oramai di una fiducia che si attesta attorno al 19%. Ciò che ci chiede la gente è chiaro.» «Ossia?», lo incalzò Marcello, speranzoso. «Fare piazza pulita di questa generazione politica. Così come accadde quando annullammo la vostra, dottor Caligaris.» «Potete trattare con le autorità della forza di pace pronte a entrare nel paese», suggerì Marcello. «C'è ancora margine per uscirne in piedi.» «No», tagliò corto il guru del Network. Sul display apparve un lungo codice alfanumerico, sostituito poi da un countdown che partiva da dieci. Caligaris si agitò. «Cosa sta facendo?» «Eseguo il volere del popolo. Distruggo le sedi del Network, i palazzi del potere.» «Lei è pazzo, maledetto zombie. Fermi subito quel conto alla rovescia.» Scattò avanti, pronto a prendere a pugni il sarcofago. Bastiani lo afferrò e lo bloccò con una presa da judoka. «Non si muova,


imbecille.» «Mi lasci, stronzo esaltato!» In quel momento il countdown finì. Quattro potenti esplosioni, così forti da essere udite fin lì, sottoterra, scossero il pavimento della sala del sarcofago. Le luci vacillarono, ma ressero. Il display della bara indicò una serie di dati. La scritta più inquietante recitava: "Ordigni detonati sul suolo nazionale: 48 su 50. Stima dei morti: 113.500. In aggiornamento." Marcello crollò in ginocchio. «Cos'hai fatto, mostro bastardo... cos'hai fatto?» «Ho annullato il mio fallimento», rispose Ferraris. «Ma manca ancora una cosa.» Di nuovo il display si illuminò con un secondo countdown da dieci a zero. Caligaris capì. «Perché? Poteva finire diversamente.» Il guru rianimato tacque fino a quando il conto alla rovescia toccò i tre minuti al momento X. «Perché? Semplice: perché i cittadini lo vogliono.» Villa Celimontana esplose in un'enorme palla di fuoco, divorando tutto ciò che conteneva, segreti e orrori compresi.


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