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Alessandro Berluti

L’IMPRONTA ITALICA DEL GENIO

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb.Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1 LO/MI - Aut. Trib. di Milano n.505 del 10/9/2001

È IL FONDATORE DELLA MAISON CHE HA FATTO LE SCARPE AL MONDO. CON LA SAPIENZA ARTIGIANALE DI UNA TERRA D’ELEZIONE, LE MARCHE, CHE ANCORA OGGI GENERA TALENTI

GIORGIO ARMANI, I MIEI PRIMI QUARANT’ANNI ● COME TROVARE LA COMPAGNA IDEALE ■ CON IVAN CAPELLI, MONZA È IN POLE POSITION ● FRUTTA E VERDURA A PROVA DI CHEF ▲ CLAUDIO MARENZI: L’IMPRESA SI ISPIRA ALL’ARTE ● MARLENE TASCHEN, IL FUTURO È DEI LIBRI ● EL BULLI E DOM PÉRIGNON, ALLEANZA CREATIVA ▲ NELLA BOTTEGA DEL SARTO FRANCO PUPPATO ■ QUALITÀ ED EMOZIONE. GLI OROLOGI DI ARBITER

N. 147/III GIUGNO 2015

ALESSANDRO BERLUTI | MONZA IN PISTA | MARLENE TASCHEN | TESSUTI E SCARPE | GIORGIO ARMANI | CUCINA VERDE

www.arbiter.it

AUT 12,70 ¤ - BE 12,50 ¤ - CH 19,50 CHF - CH CT 19,00 CHF - D 16,50 ¤ - E 11,50 ¤ - F 10,50 ¤ - PTE CONT. 11,50 ¤ - UK 6,50 £

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MENSILE | ANNO 15 | NUMERO 147/III | GIUGNO 2015 | € 10,00

19/05/15 11:23

▲ PROVATO PER VOI

LA DISTINZIONE della

LINEA DI GIANCARLO MARESCA FOTO DI ALESSIO COMALLI

Arbiter inaugura un viaggio nelle sartorie d’eccellenza.

Si comincia da quella di Franco Puppato, maestro veneziano che grazie a un elaborato modello matematico sa creare abiti riconoscibili al primo sguardo

La decisa fantasia di questa giacca esalta la meticolosa cura dei dettagli. A parte la precisione delle cuciture, spiccano la grazia del bavero e la nervosità della spalla a camicia, sottolineata dalla manica che viene in avanti. Pulizia del torace, garbo di vita, scatto delle spalle, precisione delle maniche e una leggera spiombatura riducono la percezione ottica del volume. Il tessuto è uno shetland, di cui riusciamo a vedere la rustica luminescenza e la diagonale a 45 gradi della batavia, l’armatura più tipica dei grandi cardati scozzesi.

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idi Venezia per la prima volta nel 1970, in occasione della gita scolastica di quinto ginnasio. La radio, che era il rifugio dei giovani come oggi la rete, trasmetteva a raffica Fiori rosa fiori di pesco. Battisti vi cantava lo sconcerto e l’illusione, colonna sonora quanto mai adatta alle cotte impossibili di un adolescente imbranato. Da allora sono tornato molte volte nella città che fu nazione per mille anni, che acqua e pietra raccontano con gli stessi silenzi. Ci andavo per il carnevale, per il casinò, per eventi, per lavoro, per amore, rimanendo uno dei tanti che la calpestano sino a quando qualcuno non mi insegnò a viverla. Il segreto non è nei luoghi che si frequentano, quanto nel rapporto con le persone, e a farmelo capire fu Franco Puppato. Sarto senza incertezze e uomo dagli entusiasmi omerici, a parlarmene fu Lorenzo De Negri, professore d’eleganza di cui ogni parere è una sentenza. Senza mezzi termini, come è suo costume, mi disse che in quanto addetto ai lavori non avrei potuto fare a meno di vederlo all’opera, e io obbediente mi misi quasi immediatamente in viaggio. Il calendario, nel frattempo,

Giancarlo Maresca indossa il cappotto in cashmere spinato di un cliente più alto, come si nota dalla tasca che resta bassa. A destra, gli utensili di Puppato.

In primo piano, la ciotola dell’acqua con la sua spugna naturale, l’unica che non sgoccioli, e alcune forbici tra cui quella enorme regalatagli da Pierre Cardin. Al centro, la squadra gialla in pollici che è la chiave del suo sistema trigonometrico.

In fondo, il grande cavalletto da stiro e l’originale fungo per la tromba di manica.

Preoccupato che la stiratura ripristini e migliori il finissaggio smontato dal bagno della stoffa, dopo ogni colpo di ferro il maestro compatta il tessuto battendolo con uno dei pesanti parallelepipedi in faggio che si vedono sotto il piombo da sub.

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era arrivato al 2005. Volevo trattenermi da Puppato il tempo di un’intervista e ci restai tre giorni, in cui nacquero il solaro con cui appaio nel servizio e un’amicizia che ancora mi onora. Con questo numero Arbiter inaugura un ciclo di visite a sartorie d’Italia e del mondo, e ho voluto iniziare da una che conosco bene. Comincerei col dire che, per distinguersi e far distinguere, a un abito di Puppato basta la linea. L’anteriore ruota leggermente in quella volontaria fuga dalla servitù della caduta a drittofilo detta spiombatura, che in sartoria riveste un’importanza centrale. Se il tessuto viene giù dalle spalle come una tenda, la giacca non si apre. Si può creare dello spazio tra i lembi inferiori tagliandone un po’, ma tale amputazione, peraltro oscena quando si trattano quadri o righe, resta in ogni caso un trucco che non suggerisce il dinamismo di un movimento naturale e non dona alla stoffa il giusto drappeggio nei punti in cui serve. Se chiamiamo gonna la parte inferiore della giacca non è solo perché scende a tronco di cono, ma soprattutto perché il tessuto, per acquisire l’elasticità che gli serve, in quel punto dovrebbe trovarsi al traverso quasi come in una gonna. Una giacca senza spiombatura

è nel peggiore dei casi una scatola, nel migliore un esoscheletro da ministro degli Interni. Conferisce autorità, ma aggiunge anche dieci anni e cinque chili che non ci sono ancora, invece di togliere quelli che ci sono già. Un altro punto nevralgico della giacca è il punto vita, che serve a slanciare la figura. Deve anche riproporzionarla, ovvero mettere nella corretta relazione la lunghezza del tronco con quella degli arti inferiori, ma la cosa non è possibile se i pantaloni non collaborano. Con una cintura troppo bassa o troppo alta, la giacca da sola non può riuscire nel compito. Il garbo di vita è una di quelle cose che contraddistingue le diverse scuole. La sartoria inglese tradizionale la pizzica in modo netto, lasciando in tal modo una gonna che si atteggia proprio come tale. In Italia si è affermato un garbo sfumato, che diventa lungo e profondo nello stile napoletano. Perché tutto questo lavoro si veda e migliori l’effetto generale, le maniche non devono andare a riempire la cavità formata dal garbo di vita, anzi devono sottolinearlo atteggiandosi in una curva opposta. Puppato accentua l’effetto riprendendo la tradizione inglese, adottata anche dal Principe Carlo, di stirare le maniche come un paio di pantaloni.

Immagini della giacca vista nella foto di apertura del servizio. Maresca la indossa sui pantaloni dell’abito che portava in viaggio, un solaro che per tradizione non andrebbe spezzato e tanto meno utilizzato per pantaloni sciolti. Le foto consentono comunque di apprezzare molti particolari, tra cui la stiratura che asciuga la sezione frontale delle maniche. In tal modo la luce che le separa dal corpo aumenta, valorizzando la linea. Naturalmente la stiratura richiede che le maniche cadano perfette, come quella del braccio tenuto qui nella cadenza di riposo. Gli appassionati avranno subito notato una finezza rara. Per non disturbare i quadri, i davanti sono privi di pinces, lavorazione che esige un controllo assoluto.

In questa pagina, blazer in flanella pettinata di medio peso, tessuto che si addice in modo particolare al doppiopetto sei bottoni. Tale modello suggerisce le tasche a filo sobrie e semplicissime, senza la pattina. Una giacca blu può definirsi blazer solo se porta bottoni in metallo, che rispettano la nascita militare del capo e si prestano alla personalizzazione con fregi distintivi di club o reggimenti. Il bottone in argento è versatile e si presta bene a occasioni di lavoro, quello in oro suggerisce maggiormente la spensieratezza del tempo libero e delle occasioni sportive. Diversamente dalla giacca a fronte, la manica non si inserisce a camicia e lascia una spalla naturale, adeguata al taglio piuttosto lungo e morbido dei baveri.

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La piega così ottenuta conferisce loro compostezza, un pizzico di marzialità molto maschile e per di più le affila distribuendo le lentezze in senso longitudinale e non trasversale. Tra braccia e fianchi si apre così una luce che definisce, assottiglia, e senza la quale la giacca appare indefinita come un camice, perdendo tutta la sagomatura del corpo. Siamo del resto giunti a un punto, il trattamento delle maniche, in cui Franco Puppato ha raggiunto un vertice assoluto.

La storia di tanta perizia inizia col suo maestro Antonio Napoliello, che mise a punto un procedimento per ottenere un’attaccatura di manica bella ed efficiente. Partendo dall’osservazione della cadenza, che è il punto in cui il cliente lascia naturalmente cadere il braccio in posizione di riposo, grazie a una semplice squadra, precise misure e pochi calcoli, con questo sistema il sarto è in grado di segnare i punti di corrispondenza tra manica e giro procedendo in modo sicuro a una fase che da sempre è uno dei maggiori crucci dell’artigiano. Napoliello lasciò il testimone al suo discepolo, e ancor oggi sorride da un ritratto osservandone il laboratorio come un nume tutelare. Partendo da insegnamenti non meno che geniali, Puppato ha sviluppato il metodo trigonometrico di Napoliello utilizzandone i LA STIRATURA principi per giungere a una messa in piano dei È SENZA volumi che ha qualcosa della cartografia nautica.

PARAGONI: RIESCE A DARE La terra però sta ferma, almeno rispetto alle navi A MOLTI che la solcano, mentre un uomo cammina, TESSUTI PIÙ LUMINOSITÀ E corre, guida, gesticola. Per vestirlo non basta UNA MANO farne un calco in tessuto, bisogna aggiungere PIÙ COMPATTA riserve di mobilità e verificare che siano nei posti giusti. Grazie a una simulazione geometrica, assolutamente unica a partire dall’impostazione teorica alla meticolosità dei calcoli, dagli strumenti utilizzati al concetto stesso di sartoria, è come se Puppato avesse ogni cliente sempre a portata di mano per la prova. Si tratta di un vero e proprio modello matematico, meno elaborato ma non dissimile nei principi da quelli coi quali si calcola la traiettoria dei missili o la curvatura di un’elica. Chi abbia frequentato diverse sartorie, vedendo all’opera Puppato nota cose mai viste. A cominciare da nastri di misurazione e squadre tarate in pollici e non in centimetri, passando per gli strumenti per arrivare ai criteri di lavoro. Il cavalletto è più ampio e in ogni angolo del banco si vedono cuscini di varie misure e altri oggetti misteriosi, tra cui svetta il fungo imbottito che ritiene indispensabile al trattamento della tromba di manica. Senza paragoni, per cura e risultati, la stiratura. Utilizzando senza risparmio l’acqua, il calore, la pressione del ferro e il tempo, non solo sagoma e indirizza i volumi, ma praticando un finissaggio arriva a dare a molti tessuti un aspetto più luminoso e una mano più compatta di quanto avevano all’uscita dal lanificio. È più che un dettaglio, è una firma.

A sinistra, due clienti così assidui che in sartoria non è difficile incontrarli: il gentiluomo trevigiano Lorenzo De Negri e il friulano Gianni Puiatti, che produce gli affascinanti vini di Villa Parens. A sinistra, la macro di una giacca in lavorazione ci svela l’armatura del solaro. Gli orditi a due capi jaspé, cioè con leggere differenze di tonalità, scavalcano tre trame alla volta e poi passano sotto a una sola. È quel che si chiama una saia da tre, non lontana dal denim. Sopra, Franco Puppato. Proprio accanto alla sartoria (San Marco, calle dei Fabbri 4723, Venezia; tel. 041.5221814) dispone di un delizioso appartamentino e lo concede in locazione ai clienti, che grazie alla sua disponibilità possono scoprire una Venezia mai vista (www.francopuppato.it).

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