La matericità della parola

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Tesi di Virna Di Schiavi

La matericità della parola L’arte calligrafica islamica in un progetto di archigrafia nella moschea in Bovisa.

Corso di laurea specialistica in Design degli interni Sessione di laurea aprile 2009 Relatore: prof. Andrea Branzi Correlatore: prof. Christian Galli NUOVI SPAZI PER LA SPIRITUALITA’ I gasometri della Bovisa come luogo spirituale dedicato alla cultura ed ai riti della religione islamica


Merci Ă Hicham Chajai, calligraphe, et Ă ses enseignements.


Indice

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Introduzione

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1 - L’arte calligrafica islamica La calligrafia e il Corano

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La parola e il culto aniconico

Scuole e stili calligrafici Caratteristiche formali ed evoluzione della calligrafia

La calligrafia in architettura La parola come materia e decorazione

Calligrafia contemporanea

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L’arte calligrafica nelle opere grafiche e artistiche contemporanee

2 - Il Calligramma Il Calligramma Islamico

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Composizione ed estetica della parola

Il Calligramma in Occidente Testi visuali e sperimentazioni tipografiche

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3 - La tipografia nell’architettura occidentale La scrittura nello spazio

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Sperimentazioni grafiche e artistiche contemporanee

Architettura e comunicazione

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Tendenze contemporanee di archigrafica

Architettura di parole

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Il testo come elemento architettonico

Casi studio Ruedi Baur Hagia Sofia

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4 - Progetto calligrafico nella moschea in Bovisa La moschea dagli ornamenti d’oro L’area preghiera I calligrammi La matericità della parola Il tappeto Il Minbar La calligrafia sull’esterno Bibliografia

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Introduzione Obiettivi e linee guida del progetto

La progettazione della decorazione calligrafica all’interno della moschea “dagli ornamenti d’oro” nasce da un più ampio approfondimento teorico dell’arte calligrafica islamica e di come anche l’Occidente si sia confrontato con l’arte del calligramma e l’uso della scrittura in architettura. La principale area di intervento è lo spazio destinato alla preghiera, dove avviene maggiormente la concentrazione del fedele sulla Parola. È tramite questa che “la presenza di Allah risuona nello spazio”. Un progetto di arte calligrafica, che è intesa nell’Islam come arte sublime dall’origine spirituale, porta con sé riflessioni sul senso della scrittura in un culto aniconico. La scrittura, infatti, cessa di essere solo un mezzo, e svela la propria scenografia plastica: quella di una lettera figurata, catturata nel gesto e nel tratto del calamo. Tramite la composizione di tali lettere il calligrafo afferra, distrugge e ricostruisce la parola, nella creazione di una figura in cui giace il senso spirituale. Il contenuto letterale del testo è in secondo piano rispetto alla visione plastica d’insieme che rivela il senso più profondo. Come è evidente nel caso studio della moschea di Santa Sofia, nella tradizione islamica la calligrafia si proietta dal Libro all’architettura: è una scrittura tridimensionale e non unilineare che esplode nel piano e nello spazio. Nell’incontro con il calligrafo Hicham Chajai ho appreso come, già su carta, il gesto dia al segno dell’inchiostro un carattere tridimensionale e materico. Questo segno di pressione e di matericità mi ha portato a creare i calligrammi sulla parete non


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come disegni applicati, ma come segni scultorei nell’architettura, in un equilibrio tra materia e spazio. Il cambio di scala del gesto che un calligrafo compie su carta, l’ho riportato anche nella progettazione della struttura del Minbar e della decorazione sul tappeto. Spostando lo sguardo dall’Islam all’Occidente, il tema del calligramma e della calligrafia come intervento nello spazio acquista nuove prospettive. Dai carmina figurata classici ai calligrammi di Apollinaire, dalla rottura della linearità della scrittura delle Avanguardie alla Poesia Concreta fino alle sperimentazioni tipografiche contemporanee, anche l’Occidente ha colto l’espressività visuale della scrittura. Tali sperimentazioni però sono avvenute su carta. Le tendenze archigrafiche contemporanee, dagli allestimenti ai media-building, e le nuove forme di commistione tra testo e spazio hanno, infatti, riproposto spesso una composizione lineare della scrittura. Il concetto di “lettura simultanea, non lineare”, presente sia nelle teorie delle Avanguardie sia nella tradizione calligrafica islamica, è invece alla base del progetto dei calligrammi in arabo e in italiano creati all’esterno del gasometro, in un intervento di archigrafica, che richiama il lavoro di Ruedi Baur. La frase incisa nel cemento esterno, a metà tra un intervento formale e decorativo e un gesto di comunicazione tra l’Islam e la città, crea una trama che simbolicamente avvolge e unisce. In un ideale quindi di contaminazione tra tecniche orientali e sperimentazioni occidentali, nella convinzione di una necessaria interdisciplinarietà nella progettazione - dalla tipografia al design all’architettura - è nato il progetto calligrafico della moschea “dagli ornamenti d’oro”.



I L’arte calligrafica islamica La calligrafia e il corano Scuole e stili calligrafici La calligrafia in architettura Calligrafia contemporanea

“La Calligrafia – arte di scrivere – non è un fatto universale. Molti popoli la trascurano, per altri, invece, è un’arte sublime. I calligrafi arabi pensano che la loro arte sia una geometria dell’anima che si esprime attraverso il corpo della lettera scritta”



L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia e il Corano

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La calligrafia e il Corano La parola e il culto aniconico

L’arte non figurativa musulmana Sarebbe un errore classificare le arti non figurative dell’Islam solo nel campo “decorativo”, con tutto quel che di secondario, se non di peggiorativo, il termine implica. L’aniconicità del culto islamico trova il suo fondamento nell’idea stessa di un unico Dio trascendente, che con ripetuti atti creativi dà forma all’universo. Mentre Dio è immutabile ed eterno, l’universo è costituito “da atomi di continuo creati e distrutti in istanti di tempo non connessi tra di loro”. E poiché il senso della consistenza e della continuità del fluire delle cose è illusorio, l’uomo non può essere, come nella concezione classica occidentale, “misura di tutte le cose”. L’unità di Dio è assoluta e se non è concepibile H.Massoudy, Calligrafia arabe vivante, Parigi, Flammarion, 1981.

l’idea di un uomo che crea le sue azioni, la sua vita autonoma, tanto più è blasfemo avere la presunzione di imitare Dio nella sua creatività rappresentando la natura nell’arte. Sebbene i divieti si riferissero solo agli esseri viventi, come risulta dai mosaici e dalle pitture figurative delle quattro moschee più sacre dell’Islam, tuttavia il mondo della natura resta nascosto in forme allusive, astratte, sino all’estrema stilizzazione dell’arabesco, forme che possano esprimere il senso di un infinito trasformarsi e frantumarsi delle cose terrene. Si può mostrare senza difficoltà che tutti gli elementi utilizzati dall’arte non figurativa musulmana - se si esclude la calligrafia araba - preesistevano nelle decorazioni ellenistiche, grecoromane e bizantine e facevano parte del vocabolario della decorazione in Siria-Mesopotamia e in Egitto, sebbene sia anche probabile che l’ulteriore evoluzione di questi temi nell’arte musulmana sia stata opera di artigiani di origine cristiana, ciò nondimeno, l’arte astratta, nello spirito della comunità


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia e il Corano

musulmana, ha uno statuto completamente diverso, come completamente diverso è lo spirito secondo il quale essa era considerata. Per l’artista bizantino o cristiano d’Oriente l’arte non figurativa costituiva la decorazione dei muri di una chiesa tra i quadri delle scene della vita di Cristo, decorazione volta soprattutto a non lasciare vuote vaste superfici; gli stessi artisti invece, quando dovranno decorare una moschea, attribuiranno con tutta naturalezza alla loro arte un significato nuovo, poiché diverrà “fine a se stessa”. Questo atteggiamento non mirava a raffinare l’arte nei dettagli, ma a cercare il senso profondo e autonomo di queste composizioni. L’insieme di un frontespizio di Corano o l’insieme dei fregi di una moschea erano “concepiti come una sinfonia”. Dopo aver acquisito questo statuto di “arte a sé stante”, per esser destinata alla decorazione di esemplari del Corano e di edifici religiosi, l’arte non figurativa invase tutte le altre arti, inclusa la stessa pittura figurativa. Nelle miniature, sappiamo quale importanza avessero, nell’insieme delle relazioni tra forme e colori dell’opera, le stoffe e le architetture rivestite di forme geometriche, arabeschi. In più il senso delle necessità interne di linee e forme pure, che cresce grazie allo sviluppo dell’arte non figurativa, ha contribuito a far avvertire meglio all’artista le necessità, dello stesso tipo, nel mondo “autonomo” delle opere figurative, e a tener distinte la scena rappresentata dalla logica delle forme e dei colori. Tutte le altre arti - ceramica, legno, metallo, vetro smaltato, tessuti, tappeti - saranno solo un’applicazione dei disegni della miniatura e della calligrafia, da sole o associate a scene figurative. Cambiano la materia, il supporto, la funzione dell’oggetto, ma i disegni impiegati rimangono i medesimi. L’ambito dell’ “arte astratta” può essere articolato in tre sezioni ben distinte: la calligrafia, la decorazione geometrica a base di linee rette e la decorazione geometrica a base di curve, detta di solito decorazione vegetale o floreale. Sarebbe il caso di aggiungere una quarta sezione, quella dei gruppi topologici di atomi decorativi, che non appartiene a nessuna delle

Sistema di trascrizione dell’alfabeto arabo semplificato A destra. Maghribi, dettaglio del frontespizio di un’opera di letteratura eseguita dallo storiografo Baghdadi, XVII sec.


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precedenti categorie. Di enorme importanza, nell’ambito delle miniature, sono superfici organizzate su “atomi decorativi” né geometrici né vegetali né empirici, come le “pieghe scanalate in rilievo e con seni di vacca”. Il campo privilegiato di questi gruppi topologici è costituito dall’arte dei tappeti. Dall’associazione di diverse sezioni dell’arte astratta nascono opere di una “notevole ricchezza polifonica”.

Kùfi arcaico, formato da una sequenza di lettere verticali e rigide tendenti verso l’alto e di lettere arrotondate e schiacciate, tendenti in basso. Pergamena, IX sec


L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia e il Corano

Manoscritto marocchino. Esegesi del Corano di Al-Thalabi Abu Ishaq Ahmed b. Mohamed. Inizio di capitolo: le lettere sono circondate da un sottile bordo colorato per accentuare il contrasto e aumentare la leggibilità del testo, XIX sec

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L’arte sublime Presente in tutto l’Islam, la calligrafia è la sola arte spiccatamente araba. Ci si pone la domanda se essa abbia un’origine religiosa. Lasciamo per un momento da parte l’opinione corrente che interpreta la calligrafia come una compensazione alla proibizione di raffigurare il volto divino e umano. La prima parola rivelata al profeta Maometto è: «Leggi, recita». Il termine Corano, quindi, significa anche lettura. Leggi il mondo e ciò che vi sta sopra - il fisico e il metafisico - come fossero delle tavole scritte: prima di essere un credente, tu sei un lettore. Il Corano non è un messaggio che si possa rivelare in una lingua qualsiasi. Il profeta Maometto dice che il Corano è stato rivelato in “arabo puro”. Per questo la lingua araba, impressa nel Corano, è considerata come un miracolo.


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia e il Corano

Prima di essere un credente il musulmano è un lettore Abdelkebir Khatibi

Trascrivere una lingua miracolo senza alterarla e compren-

derne anche i sottintesi è già un’ impresa ardua; ma poiché la rivelazione include anche silenzi e sussurri, lo scriba incontra sul suo cammino estatico domande temibili. Fin dal principio scoppiano nell’Islam conflitti riguardo alle differenze delle diverse stesure del Corano, che non era stato fissato mentre il Profeta era vivo: stesure trascritte con grafismo e ortografia incompleti, carente il sistema vocalico e diacritico - tanto importante in questa calligrafia. Soltanto grazie all’autorità del terzo Califfo Othman viene attuata una recensione sistematica. La calligrafia (non ancora codificata) nasce in questo momento, per confermare e fissare l’origine miracolosa del Corano. La calligrafia è un’arte, arte del tratto di penna, che visualizza una lingua e la sua topografia. La scrittura araba appartiene, come quella cinese o giapponese, alla civiltà del segno e in essa il segno grafico è soltanto l’elemento convenzionale e arbitrario in rapporto con la cosa designata e che serve ad annotare la lingua e la scrittura nella forma e nello stile decorativo voluti. La scrittura in caratteri arabi è costruita su un principio spaziale semplice: l’alfabeto arabo si compone di una linea orizzontale e di una linea verticale concatenate, formate da consonanti, da leggersi da destra a sinistra, tra le quali si inserisce una partitura di “vocali”, di punti diacritici e di riccioli che si collocano sopra e sotto questa linea. La “lettura in arabeschi” ha una forza plastica derivante dall’originale architettura della lettera, che permea la composizione del segno grafico e che le dona un ritmo a volte sublime. La calligrafia diviene effettivamente una scrittura e una lettura di più alto livello. Essa obbedisce a una geometria dello spirito, animata dal rapporto spaziale posto fra il contenuto di una

Nella pagina seguente. Maghribi, dettaglio di una pagina tratta da un manoscritto calligrafato


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frase e la sua realizzazione in opera d’arte, elaborandola anche dal punto di vista geometrico e plastico. E il calligrafo disegna la sua opera, parola per parola, fonema per fonema, a comporre il canto silenzioso del testo, fra il chiaro e lo scuro, il leggibile e il sottinteso, fra i cenni dello sguardo e i toni della voce. Così la calligrafia svela nel testo la propria “scenografia plastica”: quella di una lettera figurata, catturata nel gesto e nel tratto che il ritmo lega e anima. La duttilità di questa grafia non solo consente di esprimere il pensiero che si vuole trasmettere, ma lo arricchisce di contenuti e immagini proprio per la sua varia composizione. Il significato stesso di ciò che si vuole trasmettere diventa secondario, quasi travolto dalla bellezza visibile della forma e dal ritmo poetico dell’opera. Una bella pagina calligrafata è un sottile equilibrio tra la materia (l’inchiostro e ciò che gli dà rilievo), il colore e i segni. Il lettore ideale immaginario mette in secondo piano il contenuto del testo e ne apprezza invece la visione plastica. Dal momento che il suo oggetto primario è la forma delle lettere dell’alfabeto arabo, sembra naturale supporre che il sentimento artistico legato alla scrittura del Corano dovette nascere tra i letterati o gli scribi arabi. Certo la calligrafia è stata considerata una grande arte anche presso altre civiltà, soprattutto in Cina. Ma la scrittura cinese, costituita da ideogrammi, non permette il legame in linee dotate di movimento continuo. I Greci e i Romani non hanno sviluppato affatto la calligrafia come arte di qualche importanza. Al contrario, Bizantini e Cristiani d’Oriente davano ampio spazio alla calligrafia negli evangeliari di lusso: probabilmente questi esemplari hanno ispirato ai Musulmani il desiderio di possedere, essi pure, Corani vergati in una grafia degna della parola di Dio. Per tutte queste ragioni e per il suo diretto legame con la parola di Dio, la calligrafia araba diverrà un’arte maggiore, anzi l’arte per eccellenza per vari secoli, prima di esser raggiunta e superata dalla pittura tra il XV e il XVI secolo. Deriva da questo ruolo anche il suo impiego nella decorazione epigrafica delle moschee, e con ciò la calligrafia acquista una dimensione e una realtà monumentali, quali non ha mai


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posseduto in nessun’altra religione o civiltà. In principio, il cartone del calligrafo veniva riprodotto in mosaico o in pittura. In seguito sarà scolpito nella pietra, cesellato nello stucco applicato a mattonelle di ceramica, intagliato nel legno, inciso nel bronzo o nel rame, intessuto nella seta. Il primo esempio di decorazione epigrafica venne eseguito nella Cupola della Roccia nel 685-69 , il secondo nella moschea di Medina nel 705-709. Quest’ultimo servirà da modello per tute le moschee dell’Islam. Bisogna riconoscere, d’altra parte, che l’immenso successo della calligrafia araba non si spiega soltanto col suo ruolo religioso privilegiato e il rifiuto di ricorrere all’arte figurativa. Gli intrinseci caratteri plastici, le aste verticali che si oppongono alla direzione orizzontale in una sorta di contrappunto e fissano i riccioli, la possibilità di variare il rapporto tra l’altezza delle aste e quella dei riccioli, e anche di giocare sulla larghezza di questi e la lunghezza delle linee orizzontali, tutto ciò fornisce delle variabili nel rapporto di forme ricche di potenzialità plastiche, e danno l’opportunità d’instaurare dei ritmi mediante la ripetizione delle aste. Che la calligrafia araba possieda caratteri estetici indipendenti dal significato è vero a tal punto che si trova impiegata a volte in opere bizantine a titolo puramente decorativo; e così anche nei primitivi italiani e persino sulla facciata di chiese francesi del Medioevo, come quella di Puy; in questo caso i caratteri sono in generale “pseudolettere arabe”. Ciò appunto prova che gli artisti sentivano la bellezza delle forme pure della calligrafìa araba. Anzi, anche nelle opere musulmane, le iscrizioni talvolta non hanno alcun significato e sono quindi pseudoiscrizioni col solo scopo ornamentale. La calligrafia, come ogni vera arte, cessa allora di essere un mezzo per diventare fine in se stessa. Tale esempio privilegiato mostra, meglio di qualunque altro, l’errore delle tesi linguistiche in arte. Constatiamo infatti che anche la scrittura - che, per definizione, è un sistema di segni privi d’importanza presi in sé, che è null’altro che un mezzo di comunicazione - dal momento in cui diventa arte autonoma cessa di essere mezzo, e di conseguenza segno, per mutarsi in forma pura.

La parola “sura”, versetto di alQandùsi, XIX sec


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Il calligrafo disegna la sua opera, parola per parola, fonema per fonema, a comporre il canto silenzioso del testo Mohamed Sijelmassi Diwâni, di Sah Mahmud Nisaburi, XVI sec


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA Scuole e stili calligrafici

A sinistra. Stile Kufico in alto, Kufi arcaico in basso. È uno stile molto duttile, utile nella decorazione, perciò ha avuto tanti sviluppi nel suo percorso, da forme angolose a intrecci floreali Nella pagina seguente. Dall’alto verso il basso. Stile Gulzar, stile Mou Iné, stile Manachir, stile Taj


L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA Scuole e stili calligrafici

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Scuole e stili calligrafici Caratteristiche formali ed evoluzione della calligrafia

I modelli astratti che ispirano la calligrafia araba possono essere divisi in due grandi generi: il cufico dal nome della città di Kufa, e il naskhi, parola derivata da un etimo che vuol dire «copiare» e il cui significato equivale all’incirca alla nostra espressione «corsivo». Il cufico (kùfi) è composto da due tipi di caratteri diversi: uno è longilineo e slanciato, l’altro, più basso, si allarga o scende verso il basso. Le lettere del primo si presentano sotto forma di aste, quelle del secondo hanno aspetto di riccioli e di asole. I caratteri alti e bassi, i segmenti lineari e i vuoti costituiscono i parametri che il calligrafo deve ordinare disponendoli su una linea rigorosamente orizzontale che ha la funzione di base per la parola e forma il riferimento obbligatorio per ogni composizione cufica. Lo spazio nel quale si svolge la frase è composto da due zone, una in alto e l’altra in basso, che si collocano secondo un perfetto equilibrio, da una parte e dall’altra della linea di base. La prima zona è aerata in quanto include le aste e i vuoti, mentre la seconda è più densa essendo costituita dalle code delle lettere. Fu uno stile molto impiegato in architettura; del resto è evidente il suo carattere monumentale e le sue linee dritte, coi suoi verticali e orizzontali ben rilevati, corrispondono alle direzioni cardine dell’architettura. Nel IX secolo, le lettere e i vuoti che si creano fra di esse subiscono importanti trasformazioni. Appendici a forma di fiori o di boccioli vengono aggiunte alle terminazioni di alcune lettere, dando origine così al kufi fiorito che si affermerà rapidamente in tutte le province fino al secolo XI. I vuoti creati dalle aste vengono riempiti da arabeschi floreali stilizzati e da complicate


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA Scuole e stili calligrafici

composizioni geometriche. In alcuni monumenti le variazioni sono così complesse da rendere impossibile la leggibilità del testo calligrafato. Altre varianti stilistiche del kufi hanno arricchito i materiali più diversi: la pietra scolpita o incisa, lo stucco lavorato a diversi livelli, i mattoni disposti secondo un gioco di rilievi per formare le parole, il legno intagliato e dipinto, la ceramica colorata e cotta, il metallo cesellato o stampato. Il secondo modello di calligrafia araba è il naskhi, scrittura corsiva e flessibile che asseconda il movimento naturale della mano. Le caratteristiche innovative lo differenziano dal kufi spigoloso, rigido e difficile da eseguire e da leggere. Le sue lettere presentano pieni e vuoti, filetti, legature leggere e arrotondate. La linea di base perde la sua rigidità e il suo profilo ignora la linea retta che, nel kufi, delimita la zona superiore, nella quale volteggia l’esuberante decorazione floreale, dalla zona inferiore, dove invece lo sguardo si riposa. Nella calligrafia naskhi, invece, le due zone sono vivacizzate dalla morbidezza

Kufi geometrico con composizione a labirinto e Kufi floreale intrecciato.


L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA Scuole e stili calligrafici

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del corpo delle lettere e dai diversi orientamenti che assumono le loro parti terminali. È senz’altro una scrittura meno solenne, meno monumentale e, proprio per questo, sarà impiegata nell’architettura molto tardi e comunque con moderazione. Il grafismo sinuoso e le legature dal movimento contrastano con la struttura assiale e la rigidità delle linee diritte dell’architettura. E così nella decorazione epigrafica il naskhi servirà soprattutto da contrappunto discreto alle larghe cornici in cufico. All’architettura in senso stretto conferisce, con le sue curve e le sue direzioni in diagonale, quasi un elemento flessuoso e vivo, come la sinuosità delle liane vegetali nel mondo ortogonale della pietra. Le curve armoniose si integrano facilmente con le spirali semplici e doppie sulle quali si avvolgono racemi e foglie, fiori e gemme della decorazione vegetale alla quale sono associate in modo classico e tradizionale. Nelle amministrazioni centrali ottomane si sviluppò un carattere originale della Turchia, che fu perciò chiamato diwani. Si distingue per i grandi riccioli che si accumulano sotto le linee e per le aste poco accentuate. In proposito, si può parlare di stile «barocco»: non a caso risale alla fine del XVI secolo. Questi stili, con le loro varie composizioni e combinazioni, hanno arricchito il patrimonio architettonico, grazie all’abbinamento delle lettere con gli arabeschi floreali e geometrici.

La calligrafia svela nel testo la propria “scenografia plastica”: quella di una lettera figurata, catturata nel gesto e nel tratto che il ritmo lega e anima.

Mohamed Sijelmassi


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia in architettura


L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia in architettura

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La calligrafia in architettura La parola come materia e decorazione

Nella pagina precedente. Le cupole di molte moschee sono arricchite da iscrizioni collocate all’interno di centri concentrici. Le aste delle lettere convergono verso il centro, racchiuse dalle decorazioni floreali degli arabeschi. Medaglione in stucco scolpito con la scritta: “al-mulk Lillah” (Allah è grande), 1480

Un aspetto particolarmente significativo dell’architettura arabomusulmana consiste nell’uso della calligrafia come importante elemento di decorazione, nella gran parte dei monumenti eretti dagli inizi dell’lslam ai giorni nostri. Secondo la tradizione, l’apparizione della calligrafia nell’architettura musulmana si colloca alla fine del VII secolo. La prima iscrizione conosciuta, costituita da un versetto del Corano scritto in cufico arcaico, si trova su un fregio nella moschea al Aqsa o delle Rocce a Gerusalemme, terminata nel 691. La seconda iscrizione importante di quest’epoca si trova alla moschea di Medina, la cui costruzione iniziò, grosso modo, all’epoca del Profeta e venne terminata nel 709; moschea che sarà in seguito modello per tutti i luoghi di preghiera del mondo islamico, non solo per l’organizzazione dello spazio con l’indicazione della giusta direzione al mihrab, cioè alla nicchia che indica a ogni musulmano il punto verso il quale orientarsi per la sua preghiera, ma anche per l’arte di utilizzare la calligrafia. Il testo calligrafato in kufi arcaico rappresenta un versetto coranico. Sappiamo da an-Nadim, autore del x secolo, che il calligrafo Khaled ibn abu al-Sayyaj l’aveva scritta in lettere dorate su un cartone, prima che fosse riprodotta sul muro dell’edificio. Gli storici hanno studiato lo sviluppo di quest’arte musulmana, in rapporto alla triplice influenza greca, bizantina e persiana, elaborazione che si afferma a partire dal x secolo. Con lo sviluppo della civiltà musulmana e la proliferazione delle opere architettoniche, furono adottati sistemi precisi per regolamentare la struttura dei testi calligrafati, la maniera di disporli e i temi dei loro contenuti. In principio, i temi constavano di brevi frasi, senza decorazioni, iscritte in cornici che evidenziano i luoghi privilegiati dell’edi-


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Cinili Kosk, Istanbul, Turchia. I materiali utilizzati determinano la forma e la disposizione delle lettere condizionandone l’aspetto delle superfici. Stili calligrafici diversi utilizzati in un solo spazio per stimolare squardo e intelletto e rendere più agevole la lettura del messaggio. Calligrafia kufica floreale, Isfahan, Iran

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ficio. A poco a poco, sono divenuti parte integrante della decorazione che copre gran parte dei muri, dei soffitti, delle colonne, delle volte, delle porte e delle finestre. Il repertorio dei temi calligrafati è composto da citazioni del Corano, da regole religiose per la gloria dell’lslam, da professioni di fede, da invocazioni e preghiere, da auguri, da glorificazioni per un sovrano, da sentenze impregnate di saggezza e di riflessioni mistiche. A questi temi vanno aggiunti i testi poetici, le firme o tughra, gli epitaffi, le informazioni,quali l’ordine dei lavori, il nome di un califfo, di un sultano, di un principe o di un dignitario e le circostanze storiche che l’edificio era destinato a commemorare o a valorizzare, la genealogia di celebri personaggi e, molto più tardi, parole senza significato alcuno e il cui uso era puramente decorativo. Il nome del calligrafo o dell’artista-artigiano che ha


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pensato e realizzato il lavoro è menzionato di rado, non più frequentemente di quello dell’architetto o del mastro d’opera che saranno citati, più avanti nel tempo, in alcuni edifici ottomani o persiani, quasi mai nel Maghreb e in Andalusia. La calligrafia si proietta quindi dal libro all’architettura, sulla superficie delle moschee, dei palazzi reali, delle dimore principesche o borghesi, delle scuole, dei mausolei, delle fontane pubbliche o private, dei cortili e dei padiglioni di giardini, delle tombe di califfi, di principi o di dignitari. .Molteplici giochi calligrafici avviluppano questi edifici. E poiché è miniatura del sacro, la calligrafia si diffonde dovunque: la scrittura si adatta a ogni forma, a ogni materia, Anche il mosaico è partecipe di questo addobbo della scrittura in una sontuosa preziosità di ghirlande. E’ una sublime creazione della fantasia che offre allo sguardo un effetto di spostamento della pietra fra cielo e terra, e dà la sensazione, anche solo per un istante, che muri, colonne, cupole si sradichino dalle loro fondamenta per innalzarsi al cielo. Nei confronti dell’architettura, la calligrafia riveste un doppio ruolo. Da una parte, passando dal libro all’architettura, orna Alternanza e sovapposizione di lettere corsive e lettere kufi spigolose e rigide. Le combinazioni di stilizzate decorazioni floreali, di intrecci geometrici, la ricchezza della policromia evidenziano le parole. Moschea Hassan II, Casablanca

ogni luogo che segnali la presenza divina. Dall’altra parte, la

Nella pagina successiva. Esempio di kufi arcaico. Tomba di Mevlana, Konya, Turchia

Sono rappresentate anche le orme dei passi del Profeta, ma

calligrafia “architettonica” diventa una vera iconografia del libro. Su alcune superfici si dispiegano intere pagine del Corano e i testi di preghiere, a imitazione delle miniature dei manoscritti., con un insieme di motivi, come, ad esempio, minareti, luoghi santi della Mecca, tombe di Maometto e dei quattro califfi. non esiste nessuna raffigurazione del viso in queste icone dalla costruzione semplice. Vi è qui un richiamo genealogico, che risveglia l’anima del credente a una meditazione del sacro. Si tratta, in pensiero sognato, del pellegrinaggio alla Mecca. La presenza iconica simboleggia il ritorno alla fonte. Laddove si voleva edificare in modo monumentale e dove si decideva di glorificare Dio e il Profeta, sottolineare la presenza divina o il potere di un re, la calligrafia, con il suo splendore, veniva a dare l’ultimo tocco alla grandezza del luogo e a esaltare il prestigio del committente. Ma non dobbiamo pensare che tutta l’architettura musulmana sia solo attratta dal lusso. Una moschea, ad esempio, può ridursi a qualche muro


L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia in architettura

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Lasciamo scivolare le parole sulla superficie delle moschee, dei palazzi e delle tombe, lasciamola sgorgare dal marmo, dagli stucchi e dal legno, su ogni materiale concedendo al nostro sguardo di farci sognare. Mohamed Sijelmassi

e, nel deserto, a poche pietre posate una sull’altra, orientate in direzione della Mecca. L’lslam deve essere pensato nella sua gerarchia sacrale. Il lusso connota il potere terrestre di

un re, di un governatore,di un impero. Ogni dinastia lasciava traccia del suo passaggio con un particolare stile artistico, che doveva legittimarla presso gli uomini e presso Allah. Nella sua essenza, la calligrafia è un’arte dell’aristocrazia, che collocava questa classe al di sopra dei comuni mortali, fra cielo e terra, nella visione di Allah. L’eccezionale malleabilità delle lettere, il movimento ritmico delle composizioni, l’armonia dei segni conferiscono forza ed eleganza a tutto l’edificio. Capitelli, volte, pilastri, muri, porte e finestre sono ravvivati da calligrafie incise, dipinte o scolpite che, a volte, producono effetti affascinanti sul piano, ovviamente, meditativo. Le raffinate combinazioni di pagine scritte in kufi e/o in thuluth e di fregi ricchi di arabeschi floreali e volute geometriche le consentono una varietà di composizioni con giochi di luce e d’ombra che valorizzano la finezza dei colori e delle forme. I motivi più frequenti si ispirano alla miniatura e all’arabesco, sia di tipo bizantino e greco, sia persiano. E’ una decorazione ben nota che consiste in rosette, fiori, palmette, racemi, ghirlande ... E’ tutto un susseguirsi di forme stilizzate che obbediscono a regole precise e la cui ragion d’essere è


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In alto. Il repertorio dei temi calligrafici sui monumenti è composto da citazioni del Corano, da professioni di fede, da glorificazione di un sovrano, da frasi o da osservazioni mistiche. Cinili Camii-Istanbul, Turchia A destra. Ingresso al Palazzo Topkapi, Istanbul. Nella pagina seguente. Due fregi calligrafati in stile Maghribi andalusi: quello superiore è su gesso scolpito, quello inferiore su piastrelle di ceramica nera incise. Entrambi sono ornati di spirali semplici e doppie. Medersa al Attarine, Fès, XIV sec

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quella di manifestare l’onnipresenza divina. La decorazione floreale, ad esempio, non è, come si suol dire, pura astrazione: la flora, in quanto cosa, una cosa sbocciata, conserva, sotto una apparente vacuità, il profumo del nostro essere. A proposito dell’arabesco, G. Marçais scrive: «L’elemento essenziale, quello che può da solo costituire tutta la “guarnizione”, che ne determina il disegno costruttivo e ne marca il ritmo, è il nastro, il gallone di larghezza costante. Il primo pensiero del creatore di arabeschi è tracciare l’abbozzo che il gallone seguirà, comporne uno al contempo complicato e logico, sovraccarico e coerente, dove l’occhio ami perdersi e ritrovarsi ». Ma cosa dice questo disegno della sua essenza? Chi ha familiarità con l’arte musulmana sa che questi arabeschi sono una sottile ed eterea iniziazione al pensiero arabo e al pensiero islamico. L’arabesco è un’altra forma di quadripartito (Heidegger) del cielo e della terra, degli dei e degli uomini e pertanto non è riconducibile a nessuna delle categorie artistiche più correnti: Se i testi calligrafati nell’architettura sono conosciuti e, per così


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA La calligrafia in architettura

dire, prevedibili in anticipo, allo stesso modo sono codificati nella loro presentazione e controllati nella loro elaborazione ed esecuzione. La sensibilità e l’abilità del calligrafo che li compone sulla pergamena o sul cartone devono obbligatoriamente adattarsi alla trama fissata dalla tradizione, così come devono piegarsi alle regole che presiedono a ogni stile. L’artigiano specializzato in un materiale di esecuzione - pietra, marmo, legno, stucco, ceramica o bronzo - è costantemente sottoposto al controllo della sua corporazione e alle regole che la presiedono, anche quando dà prova di creatività e di sensibilità particolarmente raffinate. La disposizione del testo, che è in basso o altorilievo, si inserisce in una cornice delimitata da una linea, di uno o due centimetri di spessore, sempre realizzata in basso o altorilievo. La forma di questa cornice assume l’aspetto di un cartiglio, di un quadrato, di un rettangolo, di un cerchio o di qualsiasi altra figura geometrica regolare. Le dimensioni di queste riquadrature variano secondo l’ importanza dell’edificio, la posizione in confronto ad altri elementi della decorazione, la valorizzazione che il maestro ha deciso di accordare loro e le regole da seguire per la composizione. Si tratta quasi sempre di superfici rettangolari di circa venti centimetri di altezza e di uno o più metri di lunghezza racchiuse in queste cornici e nelle quali una vegetazione stilizzata e raffinate composizioni geometriche sembrano dialogare fra loro per mettere in evidenza il messaggio prescelto. In altri monumenti, queste cornici, di forma quadrata o rettangolare, misurano uno o più metri di lato: il nome di Allah seguito da uno dei suoi attributi, il nome del Profeta o di uno dei primi califfi sono calligrafati in modo speculare oppure avviluppati in una composizione labirintica.

Pannelli con scritte kufi piastrelle di ceramica nera incisa e gesso inciso a rilievo - e scritte naskhi. Le lettere geometriche kufi sono dotate di un bisello terminale che si arricchisce di elementi ornamentali caratteristici di questo stile.


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In alcuni edifici, soprattutto ottomani, sono sovrapposti tre o più rettangoli, ciascuno dei quali accoglie scritte calligrafate ognuna in uno stile diverso. La forma e la disposizione delle lettere calligrafate in architettura dipendono dai materiali utilizzati che condizionano l’aspetto delle superfici da decorare con scritte e arabeschi in bassorilievo, piatti o in altorilievo. I colori, tutti di origine vegetale o minerale, sono riservati al legno, alla ceramica e allo stucco e la gamma, legata alla loro natura, è necessariamente limitata a causa delle possibilità offerte dalle tecniche d’impiego. L’oro e i colori vivaci sono applicati sui rivestimenti lignei e sugli stucchi, mentre il bianco, il nero, il verde e il blu sono riservati alle mattonelle di maiolica. Alcune tonalità sono diventate celebri, come ad esempio il blu turchese della moschea di Samarcanda. Le norme che regolano l’uso della calligrafia in architettura e le disposizioni generali che abbiamo ricordato fin qui sono parte integrante della concezione e dei principi fondamentali dell’estetica musulmana. Le innovazioni e le varianti regionali hanno sempre attinto a questi principi, senza alterare, malgrado le modifiche da un edificio a un altro, l’immagine che la civiltà islamica ha voluto dare al mondo con i suoi prestigiosi monumenti. Così, numerosi stili ispirati a quelli della scrittura dei manoscritti furono creati e adattati all’architettura, alle sue dimensioni monumentali e ai suoi materiali arricchendo il segno con numerose innovazioni riguardanti il corpo, le terminazioni e le articolazioni e questa trasformazione si è verificata grazie ai materiali utilizzati.


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Dettaglio di un mosaico sul muro nel giardino della Koutoubia, Marrakech, Marocco Shahrzad Changalvaee, Book and the Reader, Iran, 2006

Bisognerebbe dunque scegliere tra la scrittura e la danza Jacques Derrida


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Calligrafia contemporanea L’arte calligrafica nelle opere grafiche e artistiche contemporanee Ciò che caratterizza la civiltà islamica del segno è la potenza dell’arte ornamentale, dove il libro ne rappresenta il tempio. È il segno scritto che racchiude il modello, il riferimento iniziale di quest’arte astratta. Secondo il pittore Kamal Boullata, lo stesso arabesco, i suoi motivi geometrici e floreali sono in sistematica relazione con la forma della lettera araba. Ma il segno scritto, poiché appartiene all’arte del tratto, incontra sul suo cammino disegno, pittura e architettura. Li incontra a livello di costruzione di forme e del loro sviluppo grafico. Sarà sufficiente dare uno sguardo a una bella moschea - ma uno sguardo meditativo - per convincersi della coerenza di quest’arte. Parliamo di “coerenza” e non di unità, perché unità Shirin Neshat, Untitled, 1996 Fotografia Bianco e Nero, inchiostro

è un concetto, un ideale di perfezione, mentre l’artista è sempre al limite del non finito. Sebbene sviluppatasi in modo autonomo, la pittura continua a fare riferimento alla scrittura e alle sue scoperte plastiche. L’enigma dell’arabesco, che ha ispirato Klee, Matisse e altri, non risiede tanto nell’espressione decorativa (che crea una straordinaria impressione di fugace eternità agognata da ogni corpo amoroso) quanto nelle variazioni del ritmo cinetico. La calligrafia, infatti, attinge la sua forza da due momenti: quello della lettura e quello del guardare senza leggere. Vi è asimmetria fra i due: frattura, obnubilazione e perdita dei sensi, inevitabilmente. Un calligramma è un quadro in divenire fatto segno. Introduce a un altro modo di lettura, che è quello dello scrittore quando cerca continuamente un ritmo emotivo e percettivo per la messa in opera di quella forma che continua a sognare. Nell’essenza stessa di uno stile, si può percepire questo desiderio di ritmo e di sue variazioni. Le variazioni dell’apparenza, direbbe Valery, potenza dell’arte ornamentale.


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA Calligrafia contemporanea

Secondo François Cheng (che ha contribuito validamente all’analisi della calligrafia) l’arte del tratto sarebbe un fondamento, non solo del disegno calligrafico, ma della distribuzione dei colori nello spazio plastico. Forse è questo che ha conquistato i pittori nord-americani (Kline, Tobley, Pollock) ed europei (Degottex, Michaux e altri) e li ha spinti a tornare verso l’Estremo Oriente e la sua civiltà del segno, in particolare la calligrafia cinese e giapponese. Francine C. Legrand: «Semplificando le cose - dice - e omettendo i casi particolari, si può pensare che l’invasione della pittura nella scrittura si riveli a ondate successive e sia determinante in alcune sue manifestazioni: il cubismo, il surrealismo, la pittura informale e quella gestuale, con le loro derivazioni, le propaggini, gli annessi e i connessi!». Ogni volta che la pittura si rivolge all’arte astratta, incontra la tradizione dell’arte del tratto che, precisiamolo, non è soltanto quella del disegno, ma anche quella della composizione dei colori e la trasformazione della materia, del quadro attraverso il gesto, il segno e il ritmo. La grafia araba, oltre alla calligrafia propriamente detta (o alla falsa calligrafia - di gran lunga la più comune - che continua a essere praticata nel mondo arabo) dà, insieme alla grafia informatica, molti suggerimenti stilistici. - L’ impiego geometrico delle lettere, in cui, prendendo le mosse dalla frammentazione plastica dell’alfabeto e delle sue ricomposizioni, il pittore sembra essere rapito dal sogno di dissolversi nella magia talismanica della lingua, come se volesse tradurre in immagini l’incantamento del Corano. In un certo modo, un canto - una litania - è visibile nel tratto, nel gesto, nel ritmo. La voce è legata al segno scritto. Questa è la tendenza più comune dalla quale noi trarremo esempi diversi: lettere in forma di zampilli, di tracce, di rovine, decorazioni, altrettanti luoghi melanconici attorno al Libro e al suo tempio. - L’ astrazione della lettera dipinta: lettera che si sovrappone alla base di colore e ritraccia il quadro, conferendogli un’identità culturale, il marchio di una civiltà e la sua invenzione dei segni (per esempio l’opera dell’iracheno Shakir Hassan, o quella di Monir, pittore-incisore del Bangladesh). - Un uso emblematico delle lettere, in cui l’opera è satura di

Visual Dhikr, Patience, esperimenti vettoriali calligrafici.


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segni che imitano i misteri dei talismani: caratteri arabi, cifre cabalistiche e, nei lavori di Koralchi, un interesse per la calligrafia cinese e giapponese. - Una scrittura decorativa, la più usuale, in cui una parola, un frammento di parola, una frase o tutto un testo obbediscono a una lettura chiara e rappresentativa della lettera calligrafata; ciò nella continuità dell’arabesco e, in particolare, della calligrafia cufica. In realtà si tratta sovente di una scrittura decorativa che imita tale o tal altro stile calligrafico tradizionale.

Peyman Pourhosein, “90th anniversary of Martyrdom of Raees Ali Delvari & Resistance of Tangestan People”, manifesto per mostra, 2006 Nella pagina seguente. Wissam Shawkat e Diana Hawatmeh, Grafica per la decorazione di una parete all’interno del Dubai International Financial Centre.


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L’ARTE CALLIGRAFICA ISLAMICA Calligrafia contemporanea


II

Il Calligramma Il calligramma islamico Il calligramma in occidente

“Le lettere costituiscono l’elemento base di un’architettura nominata ‘calligramma’. La composizione delle lettere e la figura sono i luoghi in cui giace il senso...”


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma islamico

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Il Calligramma Islamico Composizione ed estetica della parola

La composizione La multifunzionalità delle forme della scrittura islamica non mira alla sola funzione comunicativa, ma cerca di trovare rapporti con altri valori come ad esempio quelli ritmici, vocali, gestuali e visivi. E’ una scrittura tridimensionale e non unilineare che esplode nel piano e nello spazio con multimedialità di mezzi di espressione. Nella calligrafia tradizionale ogni lettera ha la sua struttura che attraverso la congiunzione con altre lettere forma la parola. Le parole costituiscono l’elemento base di un’architettura nominata ‘composizione’. Le composizioni che nascono sono il risultato di un’operazione mentale di afferramento e di distruzione e ricostruzione della frase. Il calligrafo scrive un testo religioso con la costruzione delle lettere, si rappresenta un viso, un corpo, un’animale, una barca o un uccello, ecc., tutti tracciati con le lettere. Questo tipo di scrittura è diffuso soprattutto fra i sufi, i quali mescolano il disegno, la calligrafia e l’ornamento. La scrittura è un’entità composta da un messaggio linguistico e da una forma iconica, simultaneamente correlati, per cui la forma iconica investe il linguistico e il linguistico pur producendo significato investe Serie di calligrammi in differenti stili della stessa parola. Keberkatan di Awang Purba

la figura come medium, per ottenere significato prodotto dalla medesima rappresentazione. La figura prende nella calligrafia la funzione di spazio, dove vengono investiti i valori delle parole scritte. Il rapporto in questo spazio fra figura e lettere si fissa in un rapporto gerarchico, nel quale la figura è sottoposta alla composizione delle lettere, perché sono loro che la costruiscono, e le lettere a loro volta si sottopongono alla figura, perché è il loro spazio, la


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma islamico

cornice, il supporto che le ospita, nel quale si articola la loro dimensionalità. “La composizione delle lettere e la figura sono i luoghi in cui giace il senso; l’interrogazione del disegno presenta una interrogazione del senso.” Dove sta il limite delle lettere, e dove il limite della figura nel disegno? E in che modo giace quel senso? Per capire questi punti bisogna sottoporre il disegno ad una analisi dei messaggi in esso contenuti. Prima di tutto il significato del disegno calligrafico è intenzionale; esso è inteso cioè come segno che si riferisce a un’altra cosa, dunque ha la proprietà del messaggio. Questo è un messaggio polisemico che ci conduce a varie interpretazioni. Secondo Barthes per la retorica dell’immagine possiamo dire che anche il disegno nella calligrafia dei Sùfi pone davanti ai nostri occhi tre messaggi: 1 - un messaggio linguistico 2 - un messaggio iconico 3 - un messaggio simbolico. Il primo messaggio ha la sostanza linguistica e il suo supporto sono le lettere che articolano le parole, le frasi o i versetti tratti dal Corano. Il Codice è quello della lingua araba che, per essere decifrato, ha bisogno solo della conoscenza della scrittura e dell’arabo. Oltre il messaggio linguistico c’è un secondo messaggio di natura iconica; questo messaggio è codificabile, nel senso che l’icona si riferisce al proprio oggetto in virtù di caratteri propri (similarità). La prima cosa che si propone il simbolo è il suo riferimento a un senso indiretto, in cui il senso diretto è denotativo mentre quello indiretto è connotativo: vale a dire che nel simbolo c’è sempre un secondo senso. È questo secondo senso ciò che permette l’interpretazione del messaggio simbolico. Se si accetta questo messaggio, le lettere e l’icona come codice spariscono per entrare in un’altra funzione segnica, generando nel disegno calligrafato un simbolo che sta per qualcosa d’altro. Per esempio: la figura del Leone sta per il coraggio, il testo contiene lodi all’Imam Alì, spesso chiamato il “Leone di Dio».

Il nome di Allah in forme quadrate, Moschea Kazemie, Baghdad, XVI sec.


IL CALLIGRAMMA Il calligramma islamico

Uccello figurato con le lettere “In nome di Dio il clemente e il misericordioso”. Leone figurato con le lettere, il testo contiene lodi all’Iman Alì, chiamato il “Leone di Dio”

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Il ritmo La discendente, l’ascendente e le curve accentuate di certe lettere sono gli elementi ritmici della calligrafia, le vocali e i piccoli motivi che circondano le lettere sono gli ornamenti. Il ritmo è ugualmente marcato dallo spazio lasciato fra le lettere stesse e ha lo stesso valore dell’intervallo nella musica. Simmel afferma nella Filosofia del denaro che si può definire il ritmo come una simmetria nel tempo, mentre la simmetria è un ritmo nello spazio. Il concetto di simmetria implica una rappresentazione ritmica. Entrambi sono soltanto forme diverse dello stesso motivo di fondo. Come il ritmo è il principio di ogni configurazione del materiale nelle arti del suono, la simmetria lo è nell’arte figurativa. Per dare alle cose idea, senso e armonia, bisogna anzitutto dar loro una forma simmetrica, armonizzare tra loro le parti del tutto, ordinarle uniformemente intorno ad un punto centrale.

Pera figurata con le lettere. Il testo contiene questa frase: “In nome di Dio il clemente e il misericordioso” di Abd Al Aziz Al Rifai

L’organizzazione delle figure (le lettere) come forma dell’espressione permette di far intervenire la categoria del continuo e del discontinuo, il percorso della scrittura sarà così caratterizzato: lettere dirette - lettere curve uniche - multiple continuo - discontinuo L’insieme della scrittura è la congiunzione dei valori verticali


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma islamico

con quelli orizzontali. In questa congiunzione molte lettere cambiano la loro posizione sintattica: esse avanzano e si inclinano l’una sull’altra. Questo percorso generativo delle figure è fatto per dare all’organizzazione sintattica del piano espressivo la possibilità di produrre una certa affettività delle parole scritte. Esistono dei canoni per la proposizione tra l’altezza e la larghezza delle parole, delle linee e delle composizioni. Il calligrafico gioca sulle loro differenze per ritmare la superficie occupata. Altri utilizzano stili multipli nella stessa composizione. Per ritmare la sua calligrafia il calligrafo smantella le parole e prende certe lettere considerate per se stesse e non più come componenti di una parola, le lettere che hanno fra loro una somiglianza vengono allontanate o avvicinate secondo il valore che dà il calligrafo alla sua calligrafia in funzione delle forme e dell’estetica ricercata. La ripetizione delle lettere AlifLam generano un tono ascendente e euforico, invece le curve di certe lettere aiutano a legare le piccole lettere sparse nello spazio. Dopo la costruzione armonica si aggiungono le altre lettere e le parole che sono rimaste per inserirle nella composizione. La significazione di un testo è una cosa, la sua calligrafia è un’altra; qualche volta tutte e due sono intimamente legate. La calligrafia non è soltanto la fissazione di un testo, anzi è una composizione astratta che esprime una concezione. I calligrafi tradizionali conoscono la perfezione della loro arte, fanno nascere una composizione potente, portatrice

“Dio il generoso” calligrafia Thoulthi in specchio e suo schema Bursa, Turchia Calligrafia Thoul, schizzo dello schema, Yazer, 1935. Certe lettere all’interno di questa composizione sono allungate in una maniera eccessiva, per diventare la colonna che mantiene le altre lettere


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Il ritmo musicale è un alternarsi di suoni nel tempo, il ritmo nella calligrafia araba è un alternarsi di movimenti nello spazio, e questo movimento ritmico è interiore alle lettere delle parole e poi della frase. Atiyah Issa Khassaf

di sentimenti e di idee, un ponte per condurre al senso reale dell’enunciato scritto. Colui che guarda la calligrafia percepisce all’inizio l’aspetto plastico, e in seguito i sensi. Spesso l’informazione del testo scritto è confusa a causa degli effetti estetici della realizzazione. La dimensione calligrafica deriva dalla ricchezza e dalla varietà dei livelli della percezione: la composizione o forma globale, poi l’equilibrio o il disequilibrio suggerito dagli spazi bianchi e neri, il ritmo e infine la decifrazione del primo senso delle parole e del senso soggiacente di quelle. Il calligrafo giunge a creare un ritmo musicale con la ripetizione a spazio regolare delle stesse lettere o delle lettere che hanno qualche elemento di somiglianza. Composizione della Bismala tratta dal Corano in 12 volumi di al-Qandùsi, eccezionale lavoro terminato nel 1849

L’allungamento orizzontale di certe lettere visualmente e foneticamente produce una impressione di calma e di silenzio, dove si crea la non pronuncia della lettera. La tirata continua della lettera porta l’occhio a seguire quel percorso fino alla fermata improvvisa nell’intreccio con le altre lettere; questo raggruppamento delle lettere provoca il movimento, rompe il silenzio e si percepisce il senso. Le Alif e la Lam, che si incontrano spesso nella scrittura araba, hanno una grande importanza nei


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ritmi verticali della calligrafia e danno un movimento inverso in rapporto alle altre lettere orizzontali. Negli edifici religiosi la calligrafia si è sviluppata come un’opera musicale. Con un solo sguardo si può prendere conoscenza del ritmo e della cadenza come elementi essenziali per produrre l’effetto dello scritto. Osip Brik intende per ritmo «tutto ciò che si alterna regolarmente, indipendentemente dalla identità di ciò che effettivamente si alterna. Il ritmo musicale è un alternarsi di suoni nel tempo, quello poetico un alternarsi di sillabe nel tempo, quello coreografico un alternarsi di movimenti nel tempo». Anche il ritmo nella calligrafia araba è un alternarsi di movimenti nello spazio, e questo movimento ritmico è interiore alle lettere delle parole e poi della frase. Nella linguistica si parla molto di sillabe toniche e non toniche e delle sillabe accentate e non accentate, nonché del rapporto tra sillaba lunga e sillaba breve nella lingua parlata. Nella scrittura, nel caso della calligrafia araba, il ritmo nella composizione di una combinazione di lettere, si trova fra le lettere accentate e le lettere non accentate, o fra le lettere ritmiche e le lettere intervalli (lettere di base). L’intensità e l’intermittenza rappresentano gli effetti dell’azione di queste due caratteristiche del movimento nel rapporto fra lettere lunghe e lettere corte o fra dimensione alta e dimensione bassa. Il ritmo consiste in una combinazione data di lettere forti come movimento e di lettere deboli come intervalli; le lettere forti si ripetono regolarmente dopo quelle di intervalli, accompagnate da un’intensità crescente.

Uccello portatore di un messaggio al mistico Abdelqadar Jilàli.


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma islamico

Calligrafia in epoca mamelochi, Egitto, 1362. Le lettere tirate in alto producono un effetto cinetico

Narratività / Prospettività La prospettività è una tecnica specificamente occidentale; con la prospettiva si mira ad una organizzazione dello spazio che dà rilievo alla figura centrale dell’opera dipinta. Si può concepire la prospettività come la periferia nel suo rapporto con il centro e la sua funzione consiste nell’essere al servizio della figura, come un punto di fuga. Ma nell’arte orientale, tra cui l’islamica, il concetto della prospettiva viene rifiutato e negato. Gli artisti musulmani conoscono bene la funzionalità della prospettiva come mezzo geometrico, ma a questo concetto sostituiscono quello della “Non c’è altro Dio che Dio, e Mohammed è il messaggero di Dio”. Calligrafia Koufi geometrica in forma di moschea

narratività. Con la narratività si intende la configurazione dei cambiamenti di varie situazioni nella stessa opera, trasformando l’opera in una scena teatrale dove vengono narrati i vari livelli dell’evento del testo realizzato. Si suggerisce con questa narratività un sentimento dell’infinito, del «senza fine» che viene caratterizzato dall’ambizione di conquistare il mondo e avvicinarsi totalmente a Dio, Dio che sta al vertice in alto.


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Calligrafia Thoulthi, dove le parole sono ritmicamnente legate

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Lo spazio Il rapporto tra la forma spaziale delle lettere nere e lo spazio bianco che circonda le prime viene studiato con metodo e minuzia. Lo spazio bianco del foglio è modificato plasticamente dalla calligrafia, forma di espressione offerta allo sguardo e alla meditazione. Nella calligrafia il vuoto non esiste, non è che un piano nero o un piano bianco; ogni spazio, che sia nero o bianco, deve trovare la sua forza. Si può tratteggiare una comparazione fra la calligrafia e l’architettura; l’architettura esiste per definire uno spazio dove si vive, il vuoto è reale e importante in quanto muro. Lo spazio in calligrafia trova il suo valore nella relazione con le lettere nere, e viceversa. Quando compone un testo, il calligrafo tenta di trovare un equilibrio fra le lettere e lo spazio attorno. Il calligrafo adatta testi differenti a spazi diversi che cambiano la forma da un supporto all’altro.

Calligrafia Thoulthi di Majed Al Zouhd, 1960. Si vede come è riempito lo spazio con gli accenti per equilibrare la superficie.

Se ha un grande spazio da riempire, le lettere e le parole si allungano orizzontalmente o verticalmente, fino al limite della superfice data e questo dà la possibilità di aggiungere dei piccoli segni o accenti. Uno stile come Thoulthi è facilmente trasformabile al fine di occupare una superficie data, perché le lettere possono essere tirate o sovrapposte senza distruggere l’aspetto estetico. Altri stili hanno più disegni per la stessa lettera e questo offre più libertà al calligrafo che può scegliere le lettere necessarie allo spazio dato. Per l’altro stile come il Koufi, il calligrafo può permettersi di creare forme intrecciate, di infiorare o di prolungare le lettere per equilibrare lo spazio.


Calligramma di Massoudy ispirato a un proverbio arabo. Nell’altra pagina. Le frecce della Toughra indicano il percorso della canna. Toughra del Sultano Mohamoud Khan, calligrafata nel 1908 da Moustafa Raqim.

L’inchiostro Le lettere sono composte sintatticamente dall’inchiostro del calamaio. I calligrafi pensano che l’inchiostro sia la sostanza di tutte le lettere, cioè la sostanza dell’espressione; perciò si sono interessati della presa dell’inchiostro e della sua preparazione. Quando le lettere trovano la loro compiutezza nella fabbricazione delle parole, queste parole diventano per un calligrafo tradizionale una entità sacra, carica di sentimenti e di valori passionali. Per questo motivo l’inchiostro viene fabbricato con arte al fine di comunicare al flusso del calamaio la sua finezza nell’atto di trascrivere le lettere sulla carta.


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Il respiro La capacità del calligrafo di ritenere la sua respirazione si riflette nella quantità dei suoi gesti. Esiste una tecnica respiratoria. Mentre normalmente l’essere umano respira istintivamente il calligrafo tenta di dominare la sua respirazione approfittando della sosta che si produce nel disegno delle lettere per riprendere a respirare. Il movimento dello spingere o del tirare non sarà mai lo stesso, se lo si effettua inspirando o espirando. Quando il movimento è lungo, affinchè la linea resti pura, il calligrafo trattiene il respiro per intervenire sul gesto. Prima di calligrafare una lettera o una parola, il calligrafo sa già dove dovrà fermarsi ed avere la possibilità di riprendere il respiro e ricaricare la canna. Le soste sono precise e codificate e servono a rifare il pieno di aria e di inchiostro.

Il gesto La scrittura è il risultato materiale di un gesto fisico che consiste nel tracciare segni in modo regolare, cosicché possa essere stabilito un senso di questi segni. La scrittura è un tipo di comunicazione visiva, silenziosa e stabile, ma è anche un insieme di valori riguardanti ciò che è stato scritto; in essa è dato un fenomeno di esteriorizzazione delle idee in rapporto al loro emittente, la scrittura è un fenomeno di socializzazione del soggetto che consiste nel fare uscire la soggettività fuori di sé. Quando si scrive con la macchina la lettera (in quanto alfabeto tipografico) diventa prigioniera dello spazio fisso e arbitrario, mentre scrivere con la mano provoca un cambiamento nei rapporti udito/vista. Quando la mano scrive, produce vari gesti che tracciano delle figure su un supporto, creando un’intenzione, e fa dello scritto un sistema di segni e un produttore di significazione. Con la mano si imprime e si permette un contatto affettivo tra il destinatario e chi scrive-emittente.


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma islamico

La scrittura araba è un sistema di nodi complesso, è una scrittura scenica, in cui i significanti si intrecciano, si richiamano, avanzano e retrocedono sullo sfondo, come un gioco. Il fascino della scrittura araba si dichiara nell’arte della calligrafia, dove si vede il gioco con il significante, con le lettere con le parole, addirittura con le parole di Dio, per articolare un’intenzionalità o una passionalità verso Allah, che prende il ruolo del destinatario e del destinatore. Calligrafare è un atto assolutamente soggettivo, dove la materia soggettiva reagisce sulla scrittura, per esempio l’uso di canna, pennello, carta, inchiostro, la posizione del corpo, la forma, l’aspetto esteriore del carattere, l’angolo, la posizione della canna o della penna rispetto al foglio, il senso dell’iscrizione, il modulo e la dimensione delle lettere. Nella calligrafia come forma di scrittura si installa un valore nuovo: il movimento delle lettere. Qui la scrittura non è fondata logicamente (le lettere forti rilevate prima delle lettere deboli, la visione verticale ecc ... ), l’ordine delle lettere è variabile, guidato solo dai valori del ritmo (movimento). Le lettere non sono corpo di forme prive di senso in sé, ma concorrono al senso per le loro relazioni interne, combinazione, movimenti, in cui le lettere non sono una griglia di forme vuote ma una riserva di forme piene. Questi caratteri sono i tratti che danno all’arte della calligrafia araba la funzione di un atto destinato a produrre delle figure.

Lo spazio bianco del foglio è modificato plasticamente dalla calligrafia, forma di espressione offerta allo sguardo e alla meditazione. Attyah Issa Khassaf


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Fotogrammi di un film turco. Calligrafia di AmentÚ Gemisi. Storia di amore nella quale il protagonista tira con l’arco sugli animali che riescono a evitare la freccia ed egli finisce per colpire la sua beneamata.


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma in Occidente

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Il Calligramma in Occidente Testi visuali e sperimentazioni tipografiche

Carmi figurati classici A dimostrazione dei confini labili tra Oriente e Occidente, gli stessi calligrammi, arte sublime nell’Islam, in realtà fanno pienamente parte anche della nostra storia. Basti pensare che il termine “calligramma” è stato coniato da Guillaume Apollinaire per designare i suoi testi figurati ove i contorni di un disegno sono rappresentati, anziché dal tratteggio, da una linea di testo scritto. Giovanni Pozzi (“La parola dipinta”, 1981), ne amplia l’accezione presentandolo come una alterazione dei versus intexti, costituiti da acrostici che attraversano un testo soggiacente ovvero testo primo, riproducendo una figura. Togliendo il testo primo, quello portante, i versus intexti poggiano sul vuoto ovvero sul bianco della pagina. Queste opere documentano la persistenza di una pratica della poesia e della scrittura in cui parola e immagine, congiungendosi, tendono alla costruzione di un significato complesso e più alto. “Poesia in forma di figura, poesia per gli occhi, dove leggere e Uno tra i più antichi carmina crociata (carmi in forma di croce) Il modello originale risale con ogni probabilità al V secolo d.C. Nella pagina precedente. L’uccellino in negativo è una proposta di copertina discografica di Arline e Marvin Oberman, l’altro è un calligramma orientale impiegato da Egidio Bonfante nella Decorazione di una sala del Press Center Olivetti alle Olimpiadi di Tokyo 1964

guardare appartengono a un unico e medesimo istante... L’ideale di sfuggire ai limiti della parola, nella tensione di un’arte che mira a fondersi con un’altra arte, da parola a immagine, da un corpo a un altro corpo” (Claudio Parmiggiani). I carmi figurati sono testi a più dimensioni: il loro contenuto si articola in un messaggio verbale ed uno iconologico, sempre strettamente interdipendenti. È così già nei precedenti greci di questo genere poetico, che alla ricerca dell’innovazione sottolineano la simbologia del testo. Con i carmi latini si accentua la possibilità di uso del carme come oggetto. In questi casi la forma, cioè la figura, è anche il contenuto del testo letterario, la


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IL CALLIGRAMMA Il calligramma in Occidente

S. Lepsenyi calligramma a forma di rosa “Poesis ludens”, 1551.

sua motivazione e il suo fine. Figura, parole nella figura, e quin-

A destra. Versus Intexti, Porfirio Optaziano, Panegyricus Constantino dictus

non si cimentano con le contorsioni sintattiche, a cui lo scrittore

di serie verbale sono tre livelli del contenuto distinti. I lettori che è costretto dalle difficoltà della tecnica, si fermeranno al primo livello e si limiteranno a recepire il messaggio dato dalla sola illustrazione. Fra i molti possibili sensi del carme figurato c’è il superamento della sola interpretazione letterale del testo sacro, che è sempre insufficiente e può talvolta risultare addirittura fuorviante. Gli impatti grafici dati da questi carmi sono molteplici: il più immediato e facilmente riconoscibile è il calligramma che riproduce i contorni dell’oggetto a guisa di silhouette. Figura e testi della figura si intrecciano invece nella tecnica del versus intexti, in maniera organica al messaggio del carme e contribuiscono a


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definirlo. Intermediario tra testo e figura è il metro: canone della poesia era anche generatore della figura; da esso derivavano le caratteristiche del calligramma, l’esser poesia e l’essere immagine, e la sua notevole libertà, con le molte variazioni che erano concesse agli autori. Né Optaziano né Veneziano, per citare solo i due massimi teorici del versus intexti, si erano posti il problema di una priorità fra le due arti che concorrevano alla creazione di carmi figurati, se cioè i loro componimenti dovessero essere considerati delle poesie che, per alcuni accorgimenti grafici e per l’abilità compositiva dell’autore, riuscivano ad avere anche qualità e meriti pittorici, o piuttosto delle raffigurazioni visive che si servivano di una particolare materia e di un particolare tratto, secondo una tecnica che distribuiva il colore sotto forma di punti della misura di una lettera dell’alfabeto. Col procedere degli anni si fa più evidente e sentita l’esigenza di ribadire una priorità del testo sull’immagine, anche in seguito alle considerazioni pedagogiche che Agostino aveva inserito nelle confessioni a proposito del rapporto fra la parola come strumento di comunicazione della verità e le altre forme di arte che potevano più o meno utilmente accompagnarla. “Cose scipite” “di malvagissimo gusto” “pene inutili” “giucolini” sono tra i riserbi moralistici che eruditi esprimevano nei confronti dei carmi figurati: un guasto, una decadenza, un peccato contro la parola. Il Settecento neoclassico e poi romantico relegherà queste tecniche e questi artifici ai margini della letteratura e dell’arte, nel limbo dei curiosa.

Paegnion alessandrino Atti degli Apostoli, X secolo Dopo secoli, in un manoscritto in greco del X secolo, “Atti degli Apostoli” (Bibliothèque Nationale, Parigi), troviamo circa un migliaio di piccoli paegnia a forma di vari oggetti, punte di lancia, pissidi, tabernacoli ecc., tra i quali la croce come forma più ricorrente


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La rottura della linearità delle avanguardie Con Un coup de dés, pubblicato sulla rivista internazionale Cosmopolis nel maggio 1897, Mallarmé compie la sua rivoluzione del linguaggio poetico Egli realizza una composizione tipografica, variando i caratteri, e interponendo dei “bianchi” tra segmenti di scrittura e tra una parola e l’altra. Il ritmo del testo è assicurato ora non principalmente dall’accento di parola o dall’accento di verso, ma dalla posizione della parola nella pagina. Si costituisce una nuova arte dello spazio, il testo è per l’occhio prima che per l’orecchio. La linearità è interrotta e dobbiamo compiere una lettura a distanza, in un’analogia con i Leitmotive musicali. Testi di questo genere sono di struttura aperta, mobile, non fissa, essi ammettono varianti compositive. Inoltre la novità è che gli elementi materiali della scrittura (corpi tipografici) e della pagina (i bianchi) diventano elementi costitutivi del testo, portatori di nuovi valori strutturali. Negli stessi anni in cui opera Mallarmé, negli ultimi decenni dell’Ottocento, altri due autori maggiori - Rimbaud e Lautréamont - apportano innovazioni fondamentali nella poesia moderna. L’epoca era quella del simbolismo. Filippo Tommaso Marinetti, Les mots en liberté futuristes, 1919 A destra. Francesco Cangiullo, Piedigrotta, calligramma futurista, 1916. Nella pagina a lato. Filippo Tommaso Marinetti, collage, Les mots en liberté futuristes, Milano 1915


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Nel simbolismo i segni diventano metafore, e le metafore simboli (metafore assolute). Ma nel Novecento maturano anche esigenze nuove, e in questa direzione si porranno le avanguardie del primo Novecento. Les mots en liberté futuristes del 1919 di Marinetti raccolgono gli scritti tecnico-teorici del futurismo del periodo 1912-14. Con questo programma Marinetti inaugura l’avanguardia agli inizi del nuovo secolo. Sue invenzioni capitali destinate a lasciare il segno anche al di là del futurismo sono l’asintattismo, la simultaneità, l’immaginazione senza fili, la rivoluzione tipografica, le parole in libertà, le tavole parolibere. Le parole in libertà sconvolgono l’ordine della pagina gutemberghiana e rappresentano una liberazione dalla sintassi, ma non ancora dalla centralità della parola. In esse il significato continua a predominare sulla lettera. Gli effetti tipografici sono indicazioni per una gesticolazione declamatoria. Ma la grande ambizione dei futuristi, e dell’avanguardia in generale, non è quella di rinnovare la letteratura, ma di uscire dalla letteratura. Di creare un linguaggio nuovo che attraversi i confini tra le arti, tra arte verbale e arte visiva, tra scrittura e rumorismo. Sonorità, rumori, materiali extralinguistici bruti entrano nella pagina. Le tre tavole parolibere di Marinetti mostrano un Cangiullo, Caffè concerto, alfabeto a sorpresa,una serie di numeri di caffè concerto realizzata interamente con le lettere dell’alfabeto e altri segni tipografici, uno spettacolo di pura mimica tipografica nel comporsi di immagini costruite con sapienti e spiritosi raggruppamenti di lettere. 1918

percorso verso la “verbalisation abstraite”. In tutti e tre i casi

Kurt Schwitters, Theo vad Doesburg, Poèmes et composition, 1922

a una nuova poetica, in cui l’attualità entra di pieno diritto nella

non dobbiamo cercare nella tavola parolibera un’illustrazione del titolo, ma la sua dissoluzione. Il codice logico-verbale e quello figurativo non si integrano, ma si disintegrano. Il senso non si chiude sull’oggetto, ma si apre all’oggetto, alla pluralità delle sue significazioni. Un poeta che ha in parte una storia analoga a quella di Marinetti è Apollinaire. Anch’egli ha inizi simbolisti, e anch’egli si volge poesia, e con essa la tecnica della simultaneità e della dissonanza (della sorpresa). Ma c’è nell’Apollinaire calligrammatico un poeta d’’’ordine’’. Se nel futurismo la figuratività compariva come fatto allusivo, talvolta appena accennato altre volte apertamente simbolico, nelle opere di Apollinaire la composizione diviene realmente figurativa; il carattere tipografico si sostituisce cioè


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VISUALITÀ TIPOGRAFICA “Tipografia”: in questo testo quattro gruppi di lettere e segni tipografici buttati alla rinfusa sulla pagina sono commentati da una sorta di inno all’arte delle stampa. Contributo alla iconicità verbale parolibera di Ardengo Soffici.

COMPOSIZIONE FIGURATIVA Guillaume Apollinaire, calligramma, Catalogo SurvageLagut, 1917. Nelle pagine seguenti. Guillaume Apollinaire, Il pleut, 1916. Carlfriedrich Claus, Testo Corale (in “Lautgedichten” 1965): l’urlo collettivo è puro espressionismo sonoro, mentre in altre prove Claus compone balletti vocalici seguendo schemi geometrici.

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al disegno manuale nel creare una forma facilmente e universalmente identificabile, e questo in vari modi. Con un testo che sia strettamente legato al soggetto illustrato, oppure sfruttando il disegno dei singoli caratteri, e la ripetibilità di tale disegno, o semplicemente usando dei ritagli di composizione come di un qualsiasi oggetto trovato, il quale, unito ad altri, aiuti a comporre, in maniera puramente formale, un’immagine autonoma. Il poeta di un calligramma come Il pleut (1916) si inserisce pienamente nell’antica tradizione dei Technopaegnia e dei Carmina figurata. Versi perfettamente lineari sono disposti dall’alto verso il basso lungo righe leggermente inclinate che raffigurano strisce di pioggia. La rivoluzione tipografica, da Mallarmé a Marinetti ad Apollinaire, tocca personalità di artisti profondamente diverse. Essa è un sintomo di una più generale modificazione della sensibilità che investirà tutto il Novecento. Il tempo della modernità non è più infatti un tempo sedimentato, che cresce su se stesso, ma un tempo di discontinuità e di rotture. Poeti e artisti sentivano la propria lingua usurata, in un’epoca in cui nuovi media (a cominciare dalla fotografia) venivano affermandosi e diffondendosi, e in cui quindi anche le rappresentazioni del mondo cambiavano. Viene meno il principio della rappresentazione e i linguaggi si scambiano le funzioni. La scrittura diventa anche un’arte dello spazio, e la pittura si carica di valenze letterarie. Si impone la necessità di un rinnovamento dei mezzi espressivi. Non solo si ridefinisce il campo dell’arte, ma lo si mantiene in permanente definizione. Gli artisti diventano gli sperimentatori del possibile. Il poeta, per la prima volta, proclama (e rivendica come concreta e immediata possibilità) la fattibilità dello straripamento del proprio fare nella vita e nella materia, al di là di ogni separazione, rivendicandoli come gli unici luoghi della propria attività. Ed ecco che il testo da una parte diventa una specie di spartito, traccia, guida per la declamazione, oppure è violentemente ridotto a composizione grafica, tramite un uso senza residui di una scrittura oggetto-tipografica.


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La poesia concreta Nel 1932 Marinetti pubblica la Litolatta, Parole in libertà olfattive tattili termiche realizzata in litografia a colori su fogli di latta. Alcune pagine precorrono la cosiddetta poesia concreta. L’espressione racchiude un’area molto vasta di sperimentazione che nasce in Svizzera ed in Brasile alla fine degli anni 50. La prima pubblicazione è del 1953 ad opera di Eugen Gomringer che dà alle stampe il libro Konstellationen constellations constelaciones; nel 1956 ha luogo a San Paolo l’“Esposizione Nazionale di Arte Concreta”. La sperimentazione “concreta” è così definita perché sposta l’attenzione dal significato del testo e dal suo contenuto ai suoi elementi costitutivi, che sono parole, sillabe, fonemi, lettere alfabetiche, di cui è esaltata la dimensione tipografica, variamente valorizzata a livello grafico mediante la disposizione sul foglio e anche su materiali molto diversi dalla carta. Tali elementi basilari della scrittura costituiscono, appunto, la materia prima, della scrittura stessa. L’intento è quello di penetrare nella materia prima del linguaggio, scomponendolo e ricomponendolo a livello visivo e sonoro. Infatti, anche la parola pronunciata subisce lo stesso processo di smontaggio, che giungerà ad esaltare il suono e il fonema, la dimensione anche fisiologica di questi, in relazione con mille modi di produrli, sia con la voce che con oggetti svariati e strumenti, via via anche tecnologici. Proprio Gomringer nei suoi poemi concreti inizia a usare lo spazio grafico come elemento strutturale: una sola parola crea il poema e lo spazio bianco centrale acquista il valore semantico dell’assenza. Nella grande area della poesia concreta si situano ricerche più specifiche e circoscritte, come la poesia visiva (che integra immagini e parola), la poesia sonora (che sperimenta con il suono e la voce), la poesia performativa, spesso legata alla poesia sonora, che vede il poeta in scena modulare variamente la voce e il gesto.


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Distruzione della sintassi Immaginazione senza fili Parole in libertà

Filippo Tommaso Marinetti

Nella pagina a lato. Ferdinand Kriwet, Zuver spaetceteranfigurinnennens, 1962

Le forme della scrittura dagli anni ‘70 a oggi La tradizione occidentale ha elaborato una concezione della scrittura assai differita dal linguaggio visivo, per cui la visione della parola e del lettering hanno garantito in primo luogo la leggibilità, quindi la riproducibilità (manuale o tipografica) e poi una dimensione estetica avente funzioni distintive e ornamentali. Questo forte valore differenziale tra il verbale e il visivo ha contribuito a generare le tipiche diconomie di carattere ontologico e gnoseologico della cultura occidentale: ‘materia e spirito’, ‘corpo e anima’, ‘significante e significato’, ‘progetto e immaginazione’. La lettera, costruzione di delicati equilibri, è elemento non isolabile; non può essere vista in sé, ma va percepita come modulo di una trama, frammento di un tessuto (texture) che compone l’architettura base della pagina, la disegna. Ma soprattutto la lettera è una figura e compone figure. L’integrazione e la correlazione tra parola e immagine ha comportato, negli ultimi quarant’anni, fondamentali evoluzioni sul piano dei procedimenti creativi, delle comunicazioni di massa e contestualmente delle tecnologie per l’immagine e i media. Il segno verbo-visivo si impone nel ‘900 soprattutto per la sua qualità di sintesi informativa che lo rende essenziale nelle comunicazioni di massa. Pubblicità, propaganda, informazione non possono fare a meno della sintesi verbovisiva, e quindi si ‘industriano’ nella creazione di logo/grafie e di soluzioni comu-


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Immagine da un libro per ragazzi scritto da Yambo e pubblicato nel 1930. Esempio di come lettere e segni tipografici possano sostituirsi, con tutta la loro meccanica rigidezza, alla versatilità manuale per creare immagini nuove. A destra. Risultati di un neofigurativismo tipografico europeo. Il camaleonte è opera di Osterwalder e fa parte di una serie progettata per la pubblicità dello stabilimento poligrafico Colombi. Il personaggio è di Franco Grignani e fa parte di una famosa serie sperimentale per la Alfieri & Lacroix.

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Due cartelli di Egidio Bonfante realizzati dal Servizio Sicurezza sul lavoro della Olivetti.

nicative capaci di esprimere ad un tempo il senso evocativo

Metodo di figurazione basato sul ritaglio e sul collage. La tipografia, appositamente composta, non si adatta in questo caso a seguire un disegno o a formarlo, ma costruisce piuttosto una materia, una trama di fondo, con la continua ripetizione di frasi o sigle, nella quale sarà ritagliata la forma voluta. La riproduzione della sedia di Cassina è di Confalonieri

lavorano anche in forme sperimentali con gli strumenti della

dell’immagine e la determinazione informativa della scrittura. Base della nuova grafica, cioè di tutti i progetti grafici che oggi grafica informatizzata, è l’iconizzazione delle scritture. Qui la scrittura si fa essa stessa - o torna - immagine. È una risposta a un sistema comunicativo dove è prevalente lo strapotere delle immagini. Vi tornano improvvisamente, con la forza dell’attualità, modi della grafica che sembravano dimenticati. Tra questi forte rilievo ha la Tipografia Sperimentale. Non si tratta unicamente della ricerca di nuove forme di carattere, o il ridisegnare quelli classici, quanto piuttosto la spinta a comporre, disporre, tagliare o sovrapporre questi caratteri sino a ottenere un’immagine così inusuale da ritenersi sperimentale, cioè in fase di esperimento e passibile di sviluppi futuri. Così come nei caratteri alcuni disegni rasentano il limite della leggibilità. In una analoga prospettiva di sperimentazione creativa è assai significativo il libro di Robert Carter Experimental Typography, (2000). Il libro, corredato da una vasta serie di riferimenti visivi, evidenzia in modo particolare le straordinarie ‘possibilità digitali’ di “infrangere artisticamente” le regole classiche del carattere tipografico nell’ambito di una forte progettualità verbovisiva. In questo filone di ricerca, che comprende l’area del type design, della composizione e del lettering, il carattere si fa elemento base per strutture complesse, si moltiplica in forme


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cinetiche, gioca sugli effetti positivo-negativo, diventa nucleo minimale sul foglio vuoto o texture fittissima sull’intero spaziopagina. La texture, in altri casi, ‘riempie’ la lettera che si dispone a sua volta su un fondo di nuova texture, riproponendo un gioco di scale visive condotto all’estremo. E il montaggio avviene in forma digitale o, all’opposto, manualmente, lasciando visibili gli effetti matrici del ritaglio e del montaggio. Quella sulla composizione dei caratteri è una ricerca ‘mai finita’; una ricerca ancora più aperta se la si inquadra sul fronte delle tecniche miste, dove manualità, elaborazione digitale, trasferimenti di supporto, stratificazioni cartacee creano una forma circolare di intervento, una pratica ‘continua’ e mai finita. Affianco alle sperimentazioni tipografiche c’è un intero filone di

A destra. Ennio Lucini, grafica sperimentale, in positivo e negativo. Nella pagina seguente. Tommaso Colombo “sperimentazioni tipografiche”


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sperimentazioni di testi-pittografici. Il potenziamento iconico della scrittura è tipico dei linguaggi mediali e della sperimentazione artistica contemporanea. L’uso combinato di grafica raster e grafica vettoriale consente di trattare ‘testi verbali’ e ‘testi visivi’ attraverso metodologie progettuali ed esecutive più efficaci e più performative in una sperimentazione di immagini ad alta integrazione verbovisiva. In termini neurofisiologici si fa corrispondere all’emisfero cerebrale sinistro l’elaborazione dei testi visivi , e a quello sinistro l’elaborazione di testi verbali. Dunque, i linguaggi verbovisivi più sono ‘fusionali e integrati ‘ e più determinano un’attività cognitiva di sintesi. Lettere e parole quando sono intrise di iconicità assumono una particolare tridimensionalità sensoriale ed espressiva’. La semiotica tende a considerare l’immagine come una sorta di ‘testo visivo’, la cui ‘leggibilità’ è data da fattori figurativi (nel senso di maggiore o minore iconicità: dall’iperrealismo all’astratto) e da fattori plastici (forma, spazialità, cromaticità) (Greimas, Sémiotique figurative et sémiotique plastique, 1984). Un ‘testo pittografico’ esprime dunque una testualità integrata e simultanea tra testi visivi discreti - alfabeti e monogrammi con diversi gradi di leggibilità logico-letteraria - e testi visivi non discreti - cioè elementi pittorici con diversi gradi di iconicità. Le unità visive discrete posseggono a loro volta, quindi, una particolare espressività “figurativa” e “plastica”, in quanto sono esse stesse immagini e contribuiscono alla forma dell’immagine complessiva, in termini di struttura, spazialità, texture, cromaticità e iconicità. In tal modo il ‘testo pittografico’ ha una forte espressività ed è particolarmente capace di evocare idee, di offrire la ‘visione di un concetto’. La contaminazione e la sovrapposizione tra testi visivi e testi verbali ha una particolare capacità di evocare e di suggerire idee, poiché l’idea è nello stesso tempo visione e logos (l’etimologia di ‘idea’, dal greco e dal latino è riferita al ‘vedere’ cioè alla capacità di rappresentare immaginativamente e non solo logicamente un costrutto concettuale). Quanto sia ancora attuale la sperimentazione verbovisiva lo dimostrano i graffiti metropolitani e la grafica performativa on line.


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In alto. Danilo Seregni, Il grillo parlante, 2007 A destra. Joy Divison, Love will tear us apart, 2007

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III La tipografia nell’architettura occidentale La scrittura nello spazio Architettura e comunicazione Architettura di parole

“La parola, strappata alla carta, perde la sua bidimensionalità per diventare decorazone, luce, oggetto, elemento architettonico”


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La scrittura nello spazio Sperimentazioni grafiche e artistiche contemporanee

Sono numerose le sperimentazioni che negli ultimi anni coinvolgono la tipografia intendendola come intervento spaziale e non cartaceo. La parola e la scrittura perdono il carattere bidimensionale di segno cartaceo, per acquistare una solidità e una valenza tridimensionale nel nome di una rottura delle convenzioni e di una volontà di trasversalità tra le discipline. La parola acquista così una presenza fisica, si espande nello spazio fino ad avvicinarsi ad una forma architettonica. Un gioco che porta la lettera nello spazio ma che può anche, viceversa, far diventare lo spazio come delle lettere. Così, ad esempio, nel divertente esperimento di composizione fotografica di Lisa Rienermann, Type The Sky, le silhouette degli edifici creano col cielo forme di lettere. Questo carattere fisico della parola è poeticamente descritta Lisa Rienermann “Type the Sky”


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Le lettere sono cose, non immagini di cose

Eric Gill

Catherine Griffiths, Wellington writers walk, New Zealand.


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ne La forma solida del linguaggio di Robert Bringhurst “Lascia cadere una parola nell’oceano del significato e si formeranno delle increspature concentriche. Definire una singola parola significa cercare di catturare quelle increspature. Nessuno ha mani così veloci. Ora lascia cadere due o tre parole alla volta. Le increspature interferiscono tra loro, qui rinforzandosi, là cancellandosi a vicenda. Catturare il significato delle parole non vuoi dire catturare le increspature che queste provocano; significa catturare l’interazione tra quelle increspature.[...] La scrittura è la forma solida del linguaggio, il precipitato. La parola esce dalle nostre bocche, dalle mani, dagli occhi, in forma in qualche modo liquida ed evapora all’istante. Mi sembra che ciò faccia parte di un ciclo naturale: una delle Catherine Griffiths, Wellington writers walk, New Zealand. In basso. Lucinda Hitchcock, “Poetics of Space

modalità di formazione del tempo atmosferico sull’oceano del significato. Cos’altro sono le parole che lasciamo cadere come ciottoli in quell’oceano se non le goccioline generate dalla condensazione di un discorso evaporato, frammenti riciclati dell’oceano stesso?” La scrittura è astratta. Si possono creare immagini giocando con la scrittura, ma nella scrittura in sé non rimane alcun contenuto figurativo. Secondo la definizione di Eric Gill “...le lettere sono cose, non immagini di cose …” Tale concetto è stato colto da Catherine Griffiths. La sua proposta in qualità di designer-tipografa è formata da una forte attenzione per il contenuto e il significato, la parola scritta, l’immagine. Lo spazio, la luce i materiali e il paesaggio ambientale


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In basso. Lucinda Hitchcock, Poetics of Space Dirk Groeneveld The legible city

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sono gli elementi essenziali dei suoi recenti lavori, in particolare nelle serie di Typography in the landscape, testi tridimensionali scolpiti nel cemento, situati lungo il litorale della città. Ogni scultura è posizionata in modo imprevisto: sospesa in acqua, distesa sul prato o sugli scogli, come detriti lavati dal mare. Tali sperimentazioni, al limite tra esperienza di design e artistica, sono associabili alle scritte di Lucinda Hitchcock, che, nelle opere come Poetics of Space, mostra il suo interesse nei confronti dei rapporti tra visual design e letteratura. Queste sperimentazioni sconfinano le separazioni Oriente-Occidente, come è dimostrato dal parallelismo tra Sex and Typography del 1964 di Robert Brownjohn e Wall del 2006 di Shahrzad Changalvaee, in cui la parola abbandona la sua bidimensionalità per diventare figura, corpo, movimento. L’installazione The legible city di Dirk Groeneveld ci introduce al tema delle scritte-edifici che sviluppo nei capitoli successivi. In questo caso però si tratta di una installazione computer-grafica che, pur dialogando con strumenti propri dell’architettura, resta nel campo artistico. Il visitatore guida una bicicletta attraverso la simulazione di una rappresentazione di una città costituita da lettere tridimensionali generate al computer che formano le parole e le frasi lungo i lati delle strade. Utilizzando le effettive planimetrie di città reali - Manhattan, Amsterdam - l’attuale architettura di queste città è completamente sostituita dal testo creato. Nel campo prettamente artistico si collocano invece le opere di Lawrence Weiner. Artista visivo, Weiner insieme a Sol LeWitt, Dennis Oppenheim e Joseph Kosuth, è tra gli esponenti principali dell’Arte concettuale. Dall’inizio degli anni settanta Weiner realizza grandi installazioni a parete con l’uso, appunto, solo della scrittura. Sempre artista concettuale, ma più legato alle tendenze di arte pubblica si pone l’artista statunitense Jenny Holzer. Il suo campo di intervento è costituito dal posizionamento di brevi testi nello spazio urbano attraverso l’utilizzo di vari supporti (cartaceo, LED luminosi, pietre incise, video). Complessivamente si tratta di un’operazione di defamiliarizzazione del paesaggio mediatico più consueto che mima e ribalta i dispositivi pubblicitari. I testi, tipograficamente privi


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Sex and Typography 1964 di Robert Brownjohn Wall 2006 di Shahrzad Changalvaee


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di ogni accento calligrafico, sono costituiti in prevalenza da brevi enunciati relativi alla quotidianeità, al potere, alla giustizia ai rapporti umani e, con maggiore insistenza negli anni più recenti, alla morte e alla guerra. Parlando di arte pubblica il miglior esempio di reale apertura dell’arte contemporanea alla città resta il progetto della nuova linea metropolitana di Napoli, in cui ogni stazione è caratterizzata da installazioni di arte contemporanea e viene liberata così dalla definizione di Non-luogo. In questo contesto acquistano ancora più forza le celebri opere di Joseph Kosuth, la serie di opere intitolate Ex libris,composizioni al neon con brevi citazioni di scrittori noti. Joseph Kosuth ha dichiarato quanto segue sul suo uso del neon: “Ho iniziato ad usare il neon a metà degli anni sessanta. Mi piaceva l’idea di utilizzare un materiale usato per la segnaletica, che in un certo senso lo altera per l’arte. Al tempo stesso volevo preservare una sottile relazione con l’idea di pubblicità della cultura di massa. […] Il neon ha una fragilità che lo rende più simile alla scrittura. Non è permanente. Ha una diversa dimensione della permanenza.” Uno sguardo prettamente di designer è invece quello di Ginette Canon creatrice dell’identità visuale di WA, sistema d’ufficio della Knoll International, in cui i giochi di grafica e del logo si sono riproposti poi a livello spaziale nella suggestiva installazione durante le promozioni del sistema di oggetti. Al di fuori di qualsiasi definizione di categoria sono le opere di Writing and Graffiti Art. È un campo vastissimo e in continua

In basso. Lawrence Weiner al Whitney Museum. Nella pagina seguente. Jenny Holzer, installazione al Guggenheim, 2008


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trasformazione per la sua stessa natura ed è comunque una dimostrazione di come la scrittura, perdendo i requisiti formali di leggibilità, si trasformi in intervento ambientale, che va a caratterizzare lo spazio pubblico. Tra i mille esempi possibili ho trovato un interessante riferimento per il mio progetto nelle opere di L’Atlas. Artista parigino, L’Atlas parte dall’arte di strada e, dopo 10 anni trascorsi a realizzare graffiti in arabo su “tutti i supporti che la In basso. Joseph Kosuth Queste cose visibili, Metropolitana di Napoli, stazione Dante. Nella pagina seguente. Ginette Canon, Identità visuale di WA, sistema d’ufficio della Knoll International. Performance di Street art di L’Atlas, Parigi, 2006

città poteva offrirgli”, ha intrapreso percorsi per nuovi tipi di materiali conservando l’interesse per la città, le sue strade, le mappe mentali necessarie per abitarla. Il titolo della mostra a lui dedicata “d’un monde a une autre” rendono evidente l’interessante carattere di questo artista: un percorso tra la street art e le performance di arte pubblica, tra le tendenze grafiche contemporanee e la tradizione dei calligrammi arabi.


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Architettura e comunicazione Tendenze contemporanee di archigrafica

Architetture comunicative Quando l’energia elettrica comparve nella scena urbana alla fine del secolo scorso divenne, anzitutto, forma di comunicazione di se stessa perché quell’elemento di modernità urbana era metafora e propaganda della trasformazione (moderna , appunto) di ogni casa e di ogni luogo di lavoro. L’energia elettrica venne presto utilizzata per le comunicazioni commerciali notturne trasformando i paesaggi urbani interessati in gigantesche pagine con scritte e figure fisse o in movimento da leggere e osservare. La comunicazione commerciale urbana luminosa si integrava con la produzione seriale dei grandi manifesti commerciali a stampa, possibili grazie alle nuove Robert Venturi. Duck e Decorated Shed. 1966 The Big Duck e il Football Hall of Fame.

tecnologie tipo-litografiche che trasformavano le strade in contenitori di infiniti policromi e giganteschi messaggi. Il neon è divenuto uno strumento per disegnare e scrivere con la luce, monocroma o policroma, statica o intermittente, ormai indispensabile in qualunque paesaggio urbano in qualunque


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parte del mondo. Una nuova tecnologia luminosa tende a una più complessa modificazione dei nostri paesaggi urbani non solo di sera o di notte. Durante la grande manifestazione Tsukuba Expo del 1985, la ditta Sony espose il prototipo sperimentale di un grande schermo di quaranta metri per quarantotto per la comunicazione televisiva (Sony highdefinition television system). Simili sperimentazioni, anche se non così avanzate tecnologicamente, interessavano già il volto urbano delle grandi città nelle quali i grandissimi edifici divenivano, la sera, giganteschi monitor per comunicazioni (in movimento) che stravolgevano l’immagine stessa della città tradizionale (diurna). La tecnologia televisiva applicata alle macrodimensioni (con sperimentazioni avanzate anche nel campo dei cristalli liquidi) permette la proiezione su questi schermi degli stessi programmi dei network televisivi, di immagini e filmati di qualunque tipo, gestiti da calcolatori che permettono di guidare qualunque programma. Le più avanzate tra queste tecnologie permettono inoltre la comunicazione anche diurna, anche se sullo schermo si riflettono i raggi solari. Nella grande città giapponese contemporanea e in qualunque città del mondo del prossimo futuro la macrocomunicazione luminosa e in movimento diverrà protagonista del paesaggio urbano lasciando alla stessa architettura (prevalentemente usata come supporto fisico di quelle comunicazioni) una funzione secondaria nella formazione di quei paesaggi e rispetto al loro consumo imposto a chi si muove nella città. Così la stessa


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città, l’intera parte centrale del manufatto urbano, diviene uno strumento di comunicazione. La città è una città prevalentemente notturna nella quale la comunicazione luminosa dei segni urbani e delle sue architetture è più importante di quella dei manufatti e degli edifici. Robert Venturi e i suoi coautori si domandavano, “dopo l’orgia di architetture, di grandi segnali di richiamo, di sovrapposizione notturna di gigantesche insegne luminose anche intermittenti”, quale fosse la forma più efficace di comunicazione. L’esempio problematico era quello di un piccolo edificio e di una gigantesca insegna che indicava cosa si offriva nell’edificio. Ovvero, prendendo un esempio reale di Long Island, quello di un chiosco a forma di piccolo papero per la vendita degli hot dog, Venturi si chiedeva se non fosse più efficace far coincidere (in antitesi ai canoni della cultura architettonica corrente) il simbolo/segno con l’ edificio stesso (che avrebbe avuto la forma relativa al nome o marchio dell’azienda). Osservando l’immagine di Las Vegas è evidente che nel paesaggio urbano non sono protagoniste le architetture ma queste gigantesche e complesse insegne architettonico-scultoree che prevedono scritte in movimento e luminose. L’eclettica accumulazione linguistica di questa continua comunicazione è la semantica della città. Come si pone oggi il tema della comunicazione applicata all’architettura? Le contemporanee tendenze di Media Building, archigrafie e architetture effimere mostrano una reale necessità di interdisciplinarietà tra costruzione e comunicazione in un’ottica che va da fini commerciali di imposizione di nuove immagini nella attuale società dell’immagine che viviamo a una volontà di sperimentare, nel caso degli esempi da me scelti, unendo diversi linguaggi per porre l’uomo, il passante al centro dell’attenzione del progetto. Architetture non impositive, ma che cercano il dialogo con la città.


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Imparare da Las Vegas,quando di notte gli edifici sono invisibili e i segni brillano con chiarezza Robert Venturi

Collage di immagini di insegne al neon. Piccadilly Circus, famoso esempio di luogo dove la comunicazione prevale sull’architettura.


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Media building Gli edifici comunicano continuamente la loro funzione e lo status attraverso un linguaggio di segni visivi. Una croce sul tetto in generale significa una chiesa, un grande arco commemora un trionfo, facciate in acciaio e vetro di solito ci indicano uffici e una forma di anatra o hot-dog di solito LASER GRAFFITI Il Graffiti Research Lab mettendo insieme un potente proiettore, alcuni componenti del computer e una camera, ha creato uno strumento che, tracciando la scrittura di un laser verde da 60mW sul lato di un palazzo di Rotterdam, proietta il movimento come fosse un graffito.

significa che sono in vendita il pollame o gli hotdogs. Una pioneristica “pelle vivente” è il progetto Blinkenlights, nel quale il più grande gruppo di hacker europeo ha trasformato un edificio nella Berlino Est in una lavagnetta grafica e tastiera da gioco notturna e pubblica. Il sistema è estremamente semplice: il Chaos Computer Club (CCC) ha installato una lampada da 150 watt montata su un treppiedi dietro ognuna delle 144 finestre degli otto piani più alti. Ogni finestra diventa un pixel con un valore on/off controllato


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da un software sviluppato sotto GNU/Linux. È come un “progetto pubblico su terreno pubblico”: i passanti possono scrivere mail o telefonare in semplici animazioni e giocare a Pong con l’altro che sta chiamando, usando un’applicazione web-based “blinkentools” sviluppata dai programmatori. Superato il confine, in Austria, è stata sviluppata una “pelle vivente” più “curva” per la nuova Kunsthaus Graz progettata da Peter Cook (cofondatore di Archigram) e Colin Fournier con Spacelab.UK per ospitare un museo d’arte per la città di Graz La nuova Kunsthaus si presenta come l’insolita composizione formata da un edificio in ghisa e vetro e da un volume biomorfiChaos Computer Club, progetto Blinkenlights. Toronto

co lucido e bluastro composto dal sistema Bix. Il sistema Bix, sviluppato dal gruppo berlinese realities:united, 930 tubi circolari fluorescenti da 40 Watt ciascuno integrati nell’intercapedine esterna, muta il colore di questa membrana in un megaschermo a bassa risoluzione capace di proiettare semplici sequenze di immagini pulsanti e flussi di testo. Ogni


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anello di luce ha la funzione di un pixel e può essere controllato da un elaboratore. L’organicità dell’oggetto non si ferma alla sola forma: il materiale costruttivo diventa un’interfaccia comunicativa, epidermide sensibile e mutevole nel tempo. Con il progetto seguente, intitolato “SPOT”, Edlers ha sviluppato una matrice di 1800 lampadine per i vetri della facciata di un edificio esistente in Potsdamer Platz a Berlino. Questa volta un programma di mostre mirate assicurano nello stesso momento un livello di performance continuativo. Una delle opere d’arte, intitolata 33 domande per minuto, dell’artista messicanocanadese Rafael Lozano-Hemmer, invitava i passanti a digitare una domanda personale su un terminale vicino alla facciata, per vedere le loro parole scritte in grandi dimensioni sull’edificio. Grazie anche a questi esperimenti il futuro dell’architettura sembra attraente malleabile e sempre più collaborativa. Ovviamente, gli architetti non possono creare edifici che si trasformino in risposta a dei feed di dati senza un’intensa collaborazione con artisti, designers, programmatori e ingegneri. E per questi collaboratori, l’edificio offre una tela decisamente pubblica sulla quale possono vedere le proprie creazioni diventare realtà.

E’ una scrittura tridimensionale e non unilineare che esplode nel piano e nello spazio con multimedialità di mezzi di espressione.

Mohamed Sijelmassi

Edlers, Spot, Potsdamer Platz, Berlino. Kunsthaus Graz Peter Cook e Colin Fournier con Spacelab.


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Exhibition design Il tema degli allestimenti delle mostre pone ancora una volta il problema del rapporto fra architettura e grafica perché negli allestimenti l’architettura si fa davvero idea dell’architettura, e insieme si appiattisce in un sistema grafico che costruisce pareti, spazi, luoghi fittizi. La comunicazione tridimensionale si inserisce fra architetture esistenti o ne costituisce una componente di progetto. In alcuni casi la comunicazione si fa architettura con l’intento di esaurirsi in tempi assai rapidi o di collocarsi in maniera quasi permanente, dai padiglioni in esterno alla totemistica, alla nuova concezione del punto vendita. Gli anni Venti hanno segnato una svolta nella comunicazione bidimensionale e gli anni Trenta in Italia, con la Quinta Triennale di Milano del 1933, vedono nascere una “nuova grafica”. Negli anni Ottanta il campo si sposta sulle tre dimensioni. Gli investimenti in allestimenti fieristici, come attività promozionale, non bastano più, così si investe in allestimenti più durevoli, i punti vendita, che quotidianamente affrontano un contatto diretto con la gente. Si scoprono analogie fra l’immagine coordinata della carta Studio BBPR, Albe Steiner, Sala dei nomi, Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale. Carpi 1973 Giovanni Pintori, Olivetti, Costruzioni Pubblicitarie, 194748


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Studio Origoni Steiner, “Italia Oggi”, 1986, Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele, Milano

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stampata e l’immagine tridimensionale del punto vendita, si trovano sinergie fra investimenti pubblicitari su budget e modi e temi di presenze nelle fiere. Oggi i negozi devono avere questa nuova funzione di comunicazione e non più solo quella tradizionale espositiva. Hanno un compito aggiuntivo che è quello di comunicare fino in fondo l’ideologia, i valori della marca, gli stili di vita, la sua cultura, i suoi orientamenti di valore. Lo Studio Origoni Steiner da anni affronta il rapporto tra architettura e comunicazione nei propri allestimenti con interventi progettuali definibili archigrafici, come ad esempio l’intervento del 1986 nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele a Milano in occasione dell’uscita del nuovo quotidiano Italia Oggi. La soluzione trovata nasceva dal disegno della pianta dell’Ottagono e il flusso del pubblico veniva indirizzato verso un’edicola circondata da quattro maxischermi per la proiezione di immagini posti al centro della struttura. Quest’ultima, alta cinque metri, era costituita da pareti sottilissime con i bordi di finitura specchianti per accentuare una sorta di “effetto carta”. L’intervento era scandito da quattro isole informatiche, collocate all’esterno, che prevedevano anche un collegamento diretto con la Borsa, al fine di mostrare il Quotidiano nelle sue caratteristiche di alta qualità tecnologica.


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Architettura di parole Il testo come elemento architettonico

Una disciplina intrinsecamente progettuale come l’architettura non ha potuto evitare di servirsi sempre e largamente delle parole, dando alla scrittura un ruolo insostituibile, complementare a quello di altri linguaggi rappresentativi, e paragonabile a quello della stessa costruzione, soprattutto nel determinare specifiche direzioni di ricerca. La situazione contemporanea, nonostante e grazie all’esplosione delle tecnologie di diffusione dell’informazione, ha ulteriormente intensificato il ruolo della scrittura. La “percezione distratta” alla quale, secondo Benjamin, è condannata l’architettura, affonda le sue radici nell’invenzione della stampa, evocata da Victor Hugo come causa del declino delle cattedrali, e riguarda inaspettatamente tutta la comunicazione visiva. Per quanto pervasive e onnipresenti, le immagini chiedono oggi di essere spiegate (nei musei, la maggior parte dei visitatori passa più tempo a leggere le didascalie che a guardare quadri e sculture) o di essere integrate, se non sostituite, dalle parole, ad esempio nei territori sottoposti alla percezione veloce (la Las Vegas da cui “imparava” Robert Venturi così come le nostre aree commerciali suburbane) dove all’articolazione volumetrica dell’architettura si sostituisce la grafica superficiale e immediata del messaggio scritto. L’architettura, ovviamente, comunica se stessa ma, a volte, è anche un media capace di esprimere simbologie e poteri, e molto spesso lo fa appunto attraverso l’uso della scrittura. Il concetto affonda le radici nella storia, anche molto antica. Un esempio è la Colonna Traiana. La colonna ha acquistato un forte valore semantico nelle vicende del linguaggio classico in architettura: fu utilizzata in forma autonoma e autosufficiente anche per finalità non costruttive ma onorarie, commemorative,

Font progettato da Frank Lloyd Wright nel 1922. Dimostrazione di come tipografia e architettura abbiano sempre dialogato.


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Public Lettering. Collage di dettagli di iscrizioni su edifici.

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decorative, religiose. La Colonna Traiana, inaugurata da Traiano nel 113 d.C., può essere considerata come un monumento/ documento. Era decorata su tutto l’altissimo fusto da un fregio a bassorilievo a spirale che descrive, come fosse una storia figurata che si svolge a rotolo, le guerre daciche di Traiano. Si tratta di una narrazione scultorea, una riproduzione in marmo di un vero rotolo illustrato (ovviamente illegibile per quella colonna che imponeva ventitre giri completi e una vista sempre più acuta per osservare le parti alte). Ma in generale nella città romana erano presenti molte scritte. L’elevato grado di alfabetizzazione del popolo romano e della classe dirigente di ogni parte dell’Impero permetteva di considerare la scrittura applicata agli edifici (lapidaria e monumentale) come una forma di diffusa comunicazione di massa. Lo dimostrano le epigrafi, scritte onorifiche e dedicatorie, che imponevano alla memoria collettiva fatti e date, personaggi mitici e storici. L’estensione dell’uso murale/urbano della scrittura è documentato, inoltre, dalla quantità di scritte per fini politico-elettorali o commerciali ritrovate a Pompei: le mura di ogni strada apparivano come fogli sui quali chiunque poteva apporre il proprio messaggio gridato. La città medievale invece era una città abitata prevalentemente da analfabeti. Le necessità della comunicazione venivano soddisfatte dall’uso dei simboli che trasformavano l’insieme urbano in una macchina comunicativa. Simboli dichiaravano l’appartenenza a un casato o a una corporazione, simboli inoltre indicavano le diverse attività manifatturiere o commerciali. Johann David Steingruber, Edifici tipografici, Settecento. Nella pagina successiva. Designed by Architecture+, Ponatahi House, Wellington, New Zealand

Durante il Settecento, nel quadro delle curiosità scientifiche e bizzarre, sono proposti nuovi rapporti tra scrittura e architettura. Ad esempio l’architetto Johann David Steingruber progettò un’intera serie di edifici le cui piante, molto complesse dal punto di vista dei rapporti funzionali dei diversi ambienti, erano contenute (calligraficamente) all’interno del perimetro che disegnava le varie lettere dell’alfabeto dalla A alla Z. Facendo un balzo in avanti nel tempo arriviamo alle sperimentazioni di scrittura e architettura futuriste. La ricostruzione futurista dell’universo prevedeva un progetto globale, megalomane e generoso, intellettualmente convincente,


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Depero Esemplare realizzazione del concetto di architettura pubblicitaria realizzato per la ditta Campari nel 1930. Padiglione del libro per le case editrici Bestetti, Tuminelli e Treves 1927

di rifigurazione del mondo, tramite un impegno e una tensione artistica originale anche all’interno delle avanguardie per il livello di creatività inserita in ogni programma e in ogni opera. È scritto nel manifesto: «Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente. Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile e all’imponderabile, all’impercettibile. Troveremo gli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell’universo, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra ispirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto». Depero era pittore e grafico, scultore e architetto, letterato e operatore della comunicazione visiva. Il fatto che non si fosse specializzato in un settore artistico tradizionalmente definito era proprio dell’ansiosa convinzione futurista che fosse possibile


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gestire mutamenti globali per attuare i quali un artista era costretto ad operare all’interno di diverse discipline. Si deve a Depero l’invenzione di un’architettura costruita plasticamente da grandi lettere che formano scritte promozionali per la nuova comunicazione architettonica. Nel 1927 progetta e costruisce il padiglione editoriale Bestetti-Treves-Tumminelli. In questa architettura tipografica le grandi lettere non sono meramente decorative ma parte organica della struttura plastica dell’edificio (a suo modo architettura simbolica, tra scultura e architettura), in una proposta di comunicazione diretta e globale. Nel 1924 Depero aveva progettato, prima di questa architettura, un altro padiglione a chiare lettere: quello dedicato alla sua Casa d’Arte Futurista, con la grandissima scritta DEPERO che strutturava tutta l’architettura. Nel 1930 Depero proporrà un altro padiglione pubblicitario, analogamente a chiare lettere, con la scritta CAMPARI.


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Due disegni di Goethe del 1808.

TV-AM Building, Hawley Crescent, Camden, Londra, 1983, Terry Farrell & Company Nella pagina precedente. Philips Arena in Atlanta, Arquitectonica (ARQ) / HOK Sport + Venue + Event. Neutelings riedijk architects, edificio univesitario ‘Minnaert’, Utrecht 1994/97 Ando, edificio in Fort Worth, pilastri a Y.


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L’uso della tipografia in architettura si scontra qui con la doppia possibilità di presentarsi come decorazione applicata, come aggiunta, o elemento dell’architettura stessa, quindi realmente integrata in essa. Gli esempi riportati nelle immagini indagano questo sottile confronto. A volte, come per il New York Times, il museo di Modern Art in Linz (the Lentos) o South African Constitutional Court la parola, pur essendo caratterizzante dell’edificio, in realtà continua ad assumere quel carattere bidimensionale di superficie applicata. È una tecnica utilizzata soprattutto nei casi più commerciali, come “il Bergamin” di Gino Valle. La pubblicità, rappresentata dalla visibilità onnipresente delle imprese, delle marche, della comunicazione, invade lo spazio pubblico. Ciò che prima si esprimeva con la dimensione, l’ordine, l’ornamento, oggi si esprime attraverso il marchio. La traduzione di messaggi viene affidata a simboli visivi dall’immediatezza comunicativa. L’involucro è una “scatola” segnata da una suddivisione

Wales Millennium Centre, 1996, Percy Thomas Partnership Nella pagina successiva. Dettaglio della facciata del South African Constitutional Court, Sud Africa. Edificio del The New York Times, Renzo Piano. 2007 Gino Valle, Bergamin, Portogruaro (1992-94)


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modulare del rivestimento e dalla grafica del marchio che avvolge l’edificio su tutti i lati. In altri esempi, come l’edificio di Ando in Fort Worth, l’Atlanta Airport, il Minnaert Building, il Wales Milleniunm Center o il Marion Domain Cultural Centre, i confini tra tipografia e architettura diventano sfumati. Si tratta infatti di casi in cui colui che guarda, cercando di leggere le parole e la semantica dell’edificio, arriva poi a leggerne la struttura stessa.

Marion Cultural Centre in Australia, ARM + Phillips/ Pilkington. “g” at Sherman Oaks Galleria, Los Angeles, California


CASI STUDIO Ruedi Baur

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RUEDI BAUR


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Progetto di segnaletica e Visual Identity del Centre Pompidou, 1998

CASI STUDIO Ruedi Baur


CASI STUDIO Ruedi Baur

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Trattamento grafico della facciata e degli interni della Mediathèque di Strasburgo, 2008


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IIlisible, mais tellement beau! Ruedi Baur lavora su progetti bi e tri-dimensionali in svariati campi della comunicazione visiva: identità, orientamento e programmi di informazione, mostre di design, design urbano. I suoi progetti mi sono stati di riferimento non tanto per gli stimoli formali o estetici, quanto per la visione metodologica e la sua posizione in merito al tema della grafica. Dalle sue analisi sulla società contemporanea arriva a spiegare come il nostro sguardo si sia trasformato, come si sia trasformato anche la nostra maniera di percepire le cose, gli avvenimenti, le informazioni. Noi non vediamo più come i nostri Esisar Valence. 1997 Ecole superieure d’ingenieurs en systemes industriels avancés rhone-alpes. Trattamento grafico della facciata. Architetti: Lipsky e Rollet

antenati, non leggiamo più come loro. Siamo una generazione cresciuta nel quadro del iper-consumismo, all’inizio dell’oggetto, poi più avanti verso la fine degli anni 70, dell’immagine, dell’infomazione. Il nostro spazio-tempo ha preso l’aspetto di una concentrazione importante di oggetti/segni, di qualità generalmente molto mediocre, destinati in qualsiasi momento a catturare il nostro sguardo e il nostro interesse. L’immagine, l’oggetto o il segno servono da nutrimento per il nostro sistema nervoso sovrastimolato e perdono inoltre la loro funzione primaria, quella di creare senso. Così Baur mostrerà come anche la tipografia stessa si sia trasformata in immagine. La questione è di sapere se il passaggio tra la visione e la lettura avviene veramente, o se non ci si trova davanti a questa scelta insormontabile tra il testo che sarà visto, anche se illeggibile, e il testo che non sarà neanche considerato, anche se potenzialmente perfettamente leggibile. « Proprio come l’architetto, che deve prendere in considerazione la città per la progettazione delle sue costruzioni, così il designer deve integrare l’insieme dell’ambiente visuale nel suo progetto. » « Immaginiamo per qualche istante che tutto il mondo sappia che il mestiere del grafico consista nel creare e nel generare l’insieme dei segni, temporanei o permanenti, d’interesse pubblico o privato, aventi per funzione l’identificazione, l’orientamento e l’informazione del cittadino, in pratica la comunicazione visiva. Possiamo dire dunque che sia logico che il grafico


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possa avere un posto importante nella costruzione delle nostre città. Al fianco di architetti e urbanisti, poiché è chiaro anche che la città contemporanea non sia più definita solamente dal costruire. La megalopoli, la città o il villaggio globale non sono forse nodi di comunicazione ancora prima di essere costruiti, di essere tangibili? » Quindi una reale collaborazione a tutti i livelli tra architetti e grafici, e questo dall’inizio del progetto, permette di sviluppare un processo di creazione che oltrepassa la somma delle due competenze. I momenti più appassionanti di un tale incontro sono quelli dove le frontiere cadono, dove il progetto diventa unico e comune, dove ciascuno si permette di intervenire nelle competenze dell’altro per introdurci il suo modo di vedere. Queste sue teorie Baur le applica nei numerosi progetti di segnaletica urbana. Per lui la segnaletica non è un valore aggiunto ma bensì, per l’architettura, uno dei punti di collegamento essenziale tra lo spazio e il suo uso cosciente o incosciente, tra il contenitore e il contenuto, tra il definito e il quotidiano. Ma soprattutto è evidente il superamento della separazione tra grafica e architettura nei progetti in cui le sue scelte tipografiche vanno sensibilmente a caratterizzare lo spazio, dagli interni del Centre Pompidou, alle facciate di numerosi edifici come l’Esisar o La médiatheque di Strasburgo.


CASI STUDIO Hagia Sophia

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HAGIA SOPHIA


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CASI STUDIO Hagia Sophia


CASI STUDIO Hagia Sophia

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La Moschea di Santa Sofia o Hagia Sofia (Aya Sofia in turco) è uno dei principali monumenti di Istanbul. Risale al sesto secolo e fu originariamente costruita come basilica per l’imperatore romano Giustiniano. Fu chiesa per 916 anni, moschea per altri 482; sconsacrata per ordine di Atatürk, oggi è museo. Durante la trasformazione da chiesa a moschea le immagini dei santi, in nome delle regole aniconiche musulmane, vennero eliminate: ridipinte, scrostate o ricoperte dai medaglioni. Sono appunto tali grandi medaglioni, con le scritte in arabo del nome di Allah e dei quattro califfi, che vanno a caratterizzare lo spazio. L’eccezionale malleabilità delle lettere, il movimento ritmico delle composizioni, l’armonia dei segni conferiscono forza ed eleganza a tutto l’edificio. I calligrammi sono iscritti in cornici che evidenziano simmetricamente i punti strutturali dell’edificio, che reggono la gigantesca cupola. Posti in alto, appaiono incombere solenni nello spazio e, pur richiamando le linee curve della cupola e dello spazio, acquistano una loro autonomia espressiva. Il rapporto in questi medaglioni fra il cerchio e le lettere si fissa in un rapporto gerarchico, nel quale il cerchio è sottoposto alla composizione delle lettere, perché sono loro che lo costruiscono, e le lettere a loro volta si sottopongono al cerchio, perché è il loro spazio, la cornice, il supporto che le ospita, nel quale si articola la loro dimensionalità. Il colore di questi medaglioni, con la scritta in oro su fondo blu, crea un intenso splendore spirituale. L’uso dell’oro, infatti, utilizzato spesso negli arabeschi in architettura, è definito, quando abbinato con il blu, “estasi d’oro”. La ricchezza di toni e il felice contrasto di colori danno l’illusione di un medaglione illuminato dai raggi solari. La tipologia di calligramma, in un sinuoso stile naskhi e non in un rigido kufico, appare un gigantesco gesto di scrittura nello spazio. Richiama le modalità gestuali dell’action painting con una pittura su legno caratterizzata dal segno, dalla pennellata, presentata in un campo che annulla la relazione figura-sfondo. Lo spazio si avvale di una forte carica espressiva grazie a questi medaglioni, simili a “pianeti”, solenni punti di riferimento all’interno dello spazio.


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IV Progetto calligrafico nella moschea in Bovisa La moschea dagli ornamenti d’oro L’area preghiera I calligrammi La matericità della parola Il tappeto Il minbar La calligrafia sull’esterno

“L’espressione materica della calligrafia all’interno, nell’area preghiera, luogo di concentrazione sulla parola, e all’esterno, sul gasometro, luogo di comunicazione dell’Islam a Milano”


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La moschea dagli ornamenti d’oro Progettare un luogo di spiritualità islamico all’interno di un gasometro ha comportato numerosi vincoli e spunti progettuali. Innanzitutto il doversi confrontare con un edificio industriale dismesso di alto valore ha comportato la scelta di lasciare il suo carattere inalterato pur stravolgendone gli interni. Lo spazio, fortemente caratterizzato dalla forma circolare, appare avere delle forze concentriche che, nel progetto, sono state rotte dalla linea di direzione della Mecca, verso la quale avviene la preghiera e che quindi è alla base degli ordini costruttivi della moschea. Lo spazio di una moschea è uno spazio fluido, totalmente organico. In base a questi requisiti abbiamo creato i due percorsi , secondo il rito spirituale e la regola di separazione tra uomo e donna, si svolgono, intrecciandosi, dall’ingresso, allo spazio per le abluzioni, salendo con delle rampe fino all’area della preghiera. Contrapposto a questo percorso di ascesa spirituale c’è un ingresso che porta invece alla Madrasa. L’intero spazio della moschea è un’architettura vuota, priva di presenze che possono distrarre dalla concentrazione sulla preghiera. Soprattutto, come spiegato nel paragrafo sull’aniconicità islamica, vi è una totale mancanza del’immagine, sostituita invece da un sistema decorativo che tende a smaterializzare l’architettura per elevarla al divino. Il tema della smaterializzazione è ciò che ha portato alla creazione della cupola. Infatti, come un foglio di carta intagliato che poi si apre a origami, la cupola nasce come struttura compatta, per poi aprirsi nel suo splendore geometrico il venerdi, giorno di preghiera collettiva e di massima spiritualità. Il movimento è permesso tramite il meccanismo originale dei gasometri, le cui pareti si alzavano per contenere il gas. Ora si alzano il venerdi


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PROGETTO CALLIGRAFICO NELLA MOSCHEA IN BOVISA

+ 7.00

MADRASA

+ 4.00

+ 4.00

ABLUZIONE DONNA + 3.00

+ 2.00

+ 2.00

ABLUZIONE UOMO + 0.00

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Pianta dello spazio con evidenziati i due percorsi dell’uomo (percorso più scuro) e della donna (percorso più chiaro) Dalle rampe si accede poi al piano preghiera, posto sopra la madrasa. Nella pagina precedente. Esercizio di collegamento tra griglie modulari diverse. Hochschule fur Gestaltung, Ulm

+ 0.00


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Vista dall’ingresso. Lo spazio è tagliato dalla parete decorata che separa il percorso dell’uomo e della donna. La parete della Quibla in alto, segna la direzione della Mecca e si apre al centro a creare il Mirhab.

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per permettere l’elevazione e l’apertura della cupola. La ripetizione, infine, dei gesti rituali dell’abluzione o della preghiera la si ritrova anche nella ripetizione di moduli decorativi architettonici che creano così una texture. La ripetizione all’infinito ha la funzione di far perdere la fisicità per elevarsi a Dio. Il tema di questa decorazione, non applicata, ma essa stessa architettura, è ciò che ha definito il concept del progetto. Da questa idea nascono le decorazioni, create da un modulo ripetuto all’infinito, delle pareti di separazione lungo il percorso o della Quibla. Pareti che si vanno a contrapporre al blocco apparentemente compatto di marmo che crea le rampe e i blocchi dell’abluzione.




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Nella pagina seguente. Fotografie del modello creato in scala 1:100. L’intaglio e la lavorazione diretta della decorazione delle pareti è ciò che ha trasmesso la poesia della preziosa tradizione artigianale islamica nel progetto del nostro spazio.

Nella pagina precedente. Area per le abluzioni lungo le rampe del percorso per l’uomo. La decorazione delle pareti, non è applicata, ma diventa essa stessa architettura, creando filtri visivi e andando a smaterializzare lo spazio per elevarlo al divino. Contrapposto a tale leggerezza c’è il marmo delle rampe, apparentemente un blocco unico tagliato solo da effetti di luce.

In alto. Piccola area posta in cima alle rampe, prima dell’accesso all’area preghiera. Il gesto del fedele di togliersi le scarpe per accedere “senza impurità” nello spazio della preghiera è accolto nel progetto dal cambio materico sia del pavimento che delle pareti.


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Nella pagina precedente. In alto. Vista della rampa del percorso delle donne per accedere all’area preghiera, in primo piano lo spazio per le abluzioni. Al centro. Vista dello spazio della madrasa dalla rampa, sono visibili gli effetti di ombre creati dalla decorazione all’interno dello spazio. In basso. Vista della madrasa dall’ingresso. Il bosco di pilastri,il tappeto e le forme degli archi richiamano le tradizionali architetture islamiche.

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In alto. Dettaglio dello spazio per le abluzioni nel percorso dell’uomo. In contrasto con la smaterializzazione della parete decorata, la fontana per le abluzioni appare essere un tutt’uno con la rampa: un unico blocco che si taglia e si apre con il passaggio dell’acqua o di effetti di luce.


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L’area preghiera Nella pagina seguente. Vista della cupola dall’area preghiera

Dopo l’approfondimento teorico del tema dell’arte calligrafica islamica come decorazione, ho scelto di intervenire nel luogo della moschea dove maggiormente c’è la presenza della Parola e la concentrazione su di essa: l’area preghiera. Nella riprogettazione di questo spazio, la scelta è stata di preservare il carattere vuoto ampio e neutro, per conferire ancora più forza agli elementi che creano la spiritualità dello spazio. La direzione verso la Mecca è segnata dalla parete della Quibla, la cui decorazione è una trama che gradualmente si perde fino a sparire nel pieno. Al centro la parete si piega e si apre creando il Mirhab. Qui il riferimento alla parola avviene tramite la forma della parete che rimanda simbolicamente a un libro aperto. Il Mihrab, generalmente una nicchia di piccole dimensioni, sancta sanctorum della moschea, è qui invece segnato da un taglio di luce. L’altro elemento che crea il movimento di ascesa spirituale verso l’alto, e quindi verso il divino, è la cupola: una trama dorata smaterializzata che filtra la luce e permea lo spazio. In riferimento a questi due forti elementi, l’intervento si è mosso seguendo scelte cromaticamente neutre. Coerentemente alla smaterializzazione della cupola e della decorazione della Quibla, le mie opere calligrafiche sulle pareti e sul tappeto seguono il principio della sottrazione. Tale teoria della sottrazione come processo di design è stato portato avanti da Ruedi Baur, precedentemente citato come riferimento per l’uso della scrittura nello spazio. In questo modo, preservando la qualità fluida e l’atmosfera dello spazio, ho segnato, tramite cambi materici, la Sakina, la presenza di Dio, che è il fulcro del luogo di culto. Secondo il culto islamico infatti Allah si presenta tramite la recitazione, quindi tramite la sua Parola.


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Vista della area destinata alle donne all’interno dell’area preghiera. In primo piano il disegno del tappeto. Sulla parete in fondo si notano i calligrammi con scritti i nomi di Allah.

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Vista della area preghiera. La simmetria dello spazio rafforza la percezione della direzione verso la Mecca, segnata dal Mirhab, taglio all’interno della parete dorata della Quibla. Sulla destra, in continuità con la parete, si nota il Minbar, il pulpito dal quale il Khatib rivolge la predica del venerdi.


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Sezione dell’area preghiera Nella pagina seguente. Vista dell’area preghiera. Alla destra della parete della Quibla, addossato alla parete con i calligrammi, c’è il Minbar. La parte rivolta all’interno riporta il nome di Allah: “il Misericordioso”.

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Primi calligrammi da me creati nel novembre 2008 dopo gli insegnamenti di Hicham Chajai. Sono tutte composizioni nate dalla ripetizione della trascrizione del mio nome in arabo. Si nota la libertà che il calligrafo ha di scomporre e di trasformare le lettere a seconda dell’estetica voluta. Nel fiore in alto il mio nome è ripetuto 7 volte, nel cigno 5 volte, nel fiore a destra 4 volte.


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I calligrammi L’incontro con il calligrafo Hicham Chajai, a Roma nel novembre 2008, è stato sicuramente un momento fondamentale per il mio apprendimento dell’arte calligrafica. Dalla lezione base di come tenere in mano il calamo, mi è stato spiegato il processo di creazione di un calligramma. In rapporto allo stile scelto (nel mio caso un Diwani geometrizzato) si decide l’angolazione del calamo; questa determinerà quali linee saranno sottili e quali spesse a seconda se il movimento è longitudinale o trasversale rispetto alla punta piatta. Nel mio caso i calligrammi all’esterno nascono tenendo il calamo in verticale: in questo modo sono più spesse le linee angolate di 45°, a richiamare le linee degli incroci della trama del gasometro. All’interno, invece, cercando un’armonia con i “nastri” che compongono la trama della cupola quando è sollevata, ho inclinato il calamo di 45° segnando maggiormente i tratti verticali. Per la Lam e l’Alif iniziale invece, non utilizzando il calamo ma la spatola, il segno acquista una forza espressiva sia per lo spessore, che per l’evidente rottura dello schema di angolazione a 45°. Il Lam-Alif infatti ha una grossa importanza estetica, specialmente a livello ritmico. Ma ancora più della posizione della mano, e quindi degli angoli, A destra. Hashem Mohammed Al Baghdadi, Regole della calligrafia araba, Baghdad, 1961 Nella pagina seguente. Quattro dei calligrammi creati per la parete dell’area preghiera. Riportano i seguenti nomi di Allah, dall’alto verso il basso: Colui che veglia, il Custode, il Generoso, il Compassionevole

è il vuoto a segnare la geometria di questi calligrammi.


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PROGETTO CALLIGRAFICO NELLA MOSCHEA IN BOVISA


PROGETTO CALLIGRAFICO NELLA MOSCHEA IN BOVISA

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A sinistra. Composizione della lettera B. In contrapposizione alla libertà che il calligrafo ha nella composizione delle lettere, ci sono strette regole per le angolazioni e le proporzioni del tratto. In basso. Creazione del calligramma del nome di Allah: l’Immenso


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Opere del calligrafo iracheno Hassan Massoudy, inchiostro su tela, 2006 In basso i codici della calligrafia di Ibn Moqla. Nella pagina seguente. Varie figure costruite sull’intreccio della Lam-Alif. Il Lam-Alif ha una grossa importanza estetica nella calligrafia araba, specialmente a livello ritmico. Tale principio è rispettato nel mio progetto in cui la Lam-Alif iniziale è segnata da un diverso segno rispetto il tratto usato nel calligramma.

L’equilibrio tra il tratto e lo spazio interstiziale è ciò che più di ogni cosa crea la bellezza della composizione. I calligrammi riportano 10 dei 99 nomi di Allah sulla parete dell’area preghiera, altri tre nomi compongono il Minbar. La composizione del nome si basa sulla decostruzione e ricomposizione della parola, ma senza ripeterla, come si usa invece per la creazione di calligrammi a specchio o figurativi. A differenza dei calligrammi figurativi creati con Hicham, nelle moschee, come egli stesso mi ha spiegato, il calligramma segue regole diverse: la composizione è più astratta, i tratti verticali sono maggiormente accentuati per creare un senso di elevazione e, dato che questi testi religiosi sono appresi a memoria dai musulmani, bastano pochi tratti per richiamare il significato nella mente dei fedeli.


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AL-QAHHÂR COLUI CHE DOMINA

Creazione di uno dei calligrammi della parete. Il segno forte della Lam-Alif iniziale (creato usando una spatola) è poi completato dal resto del calligramma (creato utilizzando il calamo)

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La matericità della parola Questi calligrammi nascono in riferimento a un intervento spaziale e non cartaceo che intendo creare. Guardando Hicham Chajai all’opera nella creazione di un callligramma, si nota come il segno di inchiostro sia un tratto molto più materico di un semplice tratto di penna. Ciò è dovuto in primo luogo al gesto che la scrittura araba ha in sé. Scrivere da destra verso sinistra anziché da sinistra verso destra stipula un diverso equilibrio tra mano, calamo e carta. Il gesto di spingere il calamo da destra, per tracciare una lettera, crea un gesto di pressione sulla carta molto più della scrittura latina da sinistra che invece “tira” la penna e quindi, metaforicamente, è in levare. Il segno dell’inchiostro, quindi, già su carta ha evidente il suo carattere tridimensionale e materico. Cementi diversamente rifiniti. Combinando diversi trattamenti dello stesso materiale possono nascere decorazioni dalla forte espressività materica.

Questo segno di pressione e di matericità è ciò che mi ha portato a creare i calligrammi sulla parete, non come dei disegni dipinti o applicati, ma come segni scultorei nell’architettura. L’intervento non cromatico ma materico non è solo una scelta estetico-formale dettata dai requisiti della scrittura e dello spazio, ma è anche un riferimento alla ricerca di spiritualità e tendenza all’infinito. Infatti, dice Klein, il colore è “lo spazio sensibile puro” e “ lo spazio monocromo” è la via d’accesso “nel tutto, nella incommensurabile sensibilità pittorica”. Questo tipo di spazio e di ricerca di infinito sono immagini ricorrenti nelle ricerche di alcuni artisti: per Manzoni l’ “infinibilità è rigorosamente monocroma”, per Castellani la “superficie monocroma”, modulata da un “ritmo indefinitamente ripetibile”, assegna all’opera una “concretezza d’infinito”. In particolare la personale versione del monocromo di Manzoni, l’Achrome, è un riferimento importante per la sua ricerca di uno spazio totale, di una luce pura e assoluta.


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Nella pagina precedente. Verso del Corano inciso su pietra. Moschea di Isfahan, Iran. A destra, in alto. Rilievo in metallo con iscritto un verso del Corano. A destra, in basso. Rifinitura Spatulata, il disegno di decorazione è ottenuto solo attraverso un cambio di trattamento della superficie, lasciata più liscia o più ruvida In basso. Piero Manzoni, Achrome 1959, superfici ricoperte di gesso grezzo, caolino, su quadrati di feltro

Architettonicamente questa ricerca si traduce in un trattamento della superficie. I pannelli di travertino che rivestono le pareti dell’area preghiera sono acidati in corrispondenza delle scritte. L’acido, lasciato più minuti nei punti che si vogliono più incisi, corrode il marmo, lo rende ruvido e scavato, creando la decorazione sulla superficie liscia. In questo modo l’effetto è di un graffio, una pressione nel marmo, un cambio di scala del gesto e del tratto che un calligrafo compone su carta.


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Nella pagina precedente. Immagine del calligramma sulla parete. I pannelli di travertino che rivestono le pareti dell’area preghiera sono acidati in corrispondenza delle scritte.

ESPERIMENTI SU CRETA In alto e nella pagina seguente. L’incisione del calligramma su creta mi ha permesso di comprendere al meglio il significato della creazione di un segno materico. La creta, infatti ha una forte “sensibilità” a ogni minimo segno di pressione (già l’impronta del dito crea un segno).

Disegnare il calligramma sulla creta, quindi, permette di verificare l’espressività materica della Parola. Nell’esempio il calligramma è composto dalla parola “Pace”, che è anche uno dei 99 nomi di Allah.


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Il tappeto Il tappeto riveste un ruolo fondamentale nella preghiera musulmana: il suo compito è quello di impedire il contatto diretto tra il suolo, impuro, e il fedele impegnato nella preghiera. Assistendo al rito si nota che i gesti e il modo di disporsi dei fedeli segue delle geometrie precise. I fedeli non tendono a disporsi casualmente o in modo dispersivo nello spazio, ma man mano che arrivano, si pongono avanti, uno vicino all’altro, seguendo le linee del tappeto. Lo spazio, all’interno del quale compiono i movimenti e le genuflessioni rituali è di dimensioni segnate. Per questo motivo, pur decidendo di mettere un tappeto continuo per tutta l’area, ho comunque segnato i punti corrispondenti ai quattro angoli dello spazio dove disporsi. Tali punti sono creati tramite l’utilizzo dei sumbuli, ovvero delle lettere isolate che compongono dei monogrammi. Anche il calligramma che va a decorare l’intera area, tramite un bouclé a rilievo nella trama del tappeto, in realtà è una composizione In alto. Disegno illustrativo delle fasi della preghiera secondo il rito musulmano A destra. Il tappeto della Moschea Suleymaniye, Istanbul. Coerentemente con i gesti del rito, il tappeto della moschea segna le aree dove il fedele andrà a disporsi.


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di lettere isolate. La scritta quindi arriva a una totale astrazione, diventando pura geometria, infatti sarebbe stato ritenuto blasfemo porre scritte sacre sul tappeto, rendendo calpestabile la Parola di Allah. Tale calligramma caratterizza, con le sue linee ascendenti e orizzontali, lo spazio. Ho accentuato infatti le linee verticali della Lam e dell’Alif in corrispondenza del centro, per accrescere la centralità e la direzione del Mirhab. Il forte segno orizzontale, a circa un terzo dell’area, segna invece l’area destinata alla donna, riparata dallo sguardo dell’uomo nel momento dell’accesso all’area. La sovrapposizione di questo calligramma con la trama creata dai sumbuli, crea un intreccio vicino a un altra forma di calligramma, questa volta occidentale: il versus intexti (letteralmente “versi intrecciati”), una forma particolare di carme figurato del III sec. d.C. Tutti i segni seguono l’ideale di intervento materico, ma cromaticamente neutro, per permettere la concentrazione nella parola e conferire maggiore espressività alla Quibla e alla cupola.

In alto. Versus intexti, Publilio Optaziano Porfirio, III sec. d.C. A destra. Vista dello spazio con in primo piano il disegno del tappeto


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Pianta dell’area della preghiera. Il disegno del calligramma si svolge lungo il centro a segnare la direzione della Mecca, più uno sviluppo orizzontale in corrispondenza della separazione tra l’area destinata all’uomo e alla donna.

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Nelle pagine seguenti. Dettaglio dello spazio preghiera, si nota il trattamento materico del tappeto, dove i monogrammi e il calligrammi a rilievo tracciano lo spazio. A destra. Disegno a inchiostro di alcuni sumbuli utilizzati per la creazione della trama del tappeto


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Il Minbar Il Minbar è l’elemento della moschea che in arabo indica un pulpito che, con un numero variabile di gradini (originariamente tre), conduce a una piattaforma, spesso sormontata da un baldacchino. Dall’alto del minbar una persona, chiamata khatib, rivolge all’assemblea degli oranti della salat del mezzogiorno del venerdì una allocuzione che può commentare un passaggio del Corano o fornire indicazioni di valore etico. Il progetto riporta la struttura originaria di tre gradini, in accordo all’evoluzione dei minbar contemporanei, che hanno perso l’aspetto solenne con i baldacchini. Nella pagina precedente. Disegni dei tre prospetti. Vista del Minbar nello spazio In alto. Modellazione del Minbar, foto del modellino in scala 1:100

Essendo per eccellenza il luogo della predica, e quindi della parola, la scelta è stata di costruirlo interamente partendo dalle lettere. Il retro, forato, riporta il nome di Allah: la Pace. I due lati, in lamiera intagliata laccata bianca, sono costruiti utilizzando unicamente le lettere e i punti diacritici che compongono gli altri due nomi di Allah: Il Misericordioso (sul lato sinistro) e il Giusto (sul lato destro). Rispetto allo spazio, il Minbar si distacca dalla magnificenza della Quibla e del Mirhab e si pone come elemento in continuità con la parete, sia cromaticamente che fisicamente. Infatti è accostato alla parete, a seguire e a chiuderne la curva. Unica discontinuità è il rapporto pieno-vuoto: se nella parete i calligrammi sono tagli e sottrazione da uno spazio pieno e continuo, qui i rapporti si ribaltano facendo diventare la parola il pieno, le lettere e il segno gli elementi costruttivi del Minbar.


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La calligrafia sull’esterno Nella pagina precedente. Viste sull’esterno del gasometro. Il lato rappresentato è quello che dal portale si sviluppa verso destra, quindi riporta la frase in italiano

Progettare un moschea a Milano comporta dover affrontare

In basso. Disegno della composizione delle due frasi e della trama creata dal prolungamento delle lettere. La frase in arabo e in italiano recita: “La parola di Allah è scritta su carta, preservata nei cuori, recitata per la pace”

dubbio tali dibattiti sono stati il punto di partenza per i miei

tematiche sociali e politiche di forte attualità. Sappiamo infatti come in questi anni problematiche e polemiche siano nate, intorno a tale tema: dalle scelte amministrative come il caso di Viale Jenner ai gesti di intolleranza e di criminalizzazione. Senza ragionamenti su come potrebbe comunicare una moschea con il territorio. Il mio intervento all’esterno del gasometro si pone a metà tra l’intervento formale e decorativo e il gesto invece di voler comunicare all’esterno un messaggio di pace e di tolleranza necessario per l’incontro delle due comunità. La frase, estrapolata da un testo di sufismo, recita: “La parola di Allah è scritta su carta, preservata nei cuori e recitata per la Pace”. Ma, coerentemente alle teoria di creazione di un calligramma, la frase aggiunge alla sua funzione comunicativa un


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In alto. Prospetto esterno del gasometro con il disegno della frase applicata sulla base in cemento. A sinistra. L’incisione dei pannelli esterni è ottenuta con le matrici speciali LOGO che permettono di imprimere nel getto di calcestruzzo partendo da un disegno. Viene dapprima fresato un modello in conglomerato medium density, sul quale verrà colata la gomma liquida PURELASTOMER. Una volta indurito l’elastomero, è pronta la matrice su cui gettare il calcestruzzo.


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valore simbolico figurativo. La parola diventa infatti una trama che avvolge e unisce. Tale trama è creata prolungando le estremità delle lettere; il gesto è un’incisione nel cemento, un richiamo al trattamento materico della scrittura applicato all’interno. L’effetto si ottiene tramite delle matrici che permettono di imprimere scritte, marchi, pittogrammi, ecc. nel getto di calcestruzzo. Realizzate partendo da un disegno, viene dapprima fresato un modello in conglomerato medium density, sul quale verrà colata la gomma liquida PUR-ELASTOMER. L’angolazione di 45° delle linee e della scrittura è per creare un effetto di continuità grafica con la trama della struttura del gasometro. L’esterno del gasometro quindi, pur preservando il suo carattere brutalmente industriale, diventa un’interfaccia grafica verso l’esterno, in linea con le tendenze archigrafiche contemporanee. Ma a differenza dei lavori presentati nel capitolo III, io applico le teorie futuristiche di rottura della linearità della scrittura e le sperimentazioni tipografiche moderne create su carta, riportando però l’intervento a scala architettonica. Dettaglio dell’effetto di tagli nel cemento in italiano e in arabo.

Essendo il gasometro a pianta circolare ed essendoci due

Nella pagina seguente. Viste dell’esterno con gli incipit di entrambi le frasi: in arabo a sinistra e in italiano a destra. Le due frasi iniziano in corrispondenza del portale e si svolgono sui lati del gasometro a specchio, grazie alle direzioni opposte di scrittura, per concludersi in corrisponza dell’ingresso della Madrasa con la parola “pace”.

di riportare la stessa frase simmetricamente, da una parte in

entrate nei punti diametralmente opposti del cerchio, ho scelto arabo e da una parte in italiano. Poiché la prima scrittura si svolge da destra verso sinistra e la seconda da sinistra verso destra, le due frasi appariranno specchiate iniziando entrambe dal lato del portale d’ingresso. In questo modo richiamo l’utilizzo frequente dello specchio nella composizione dei calligrammi. Queste composizioni a specchio sono molto equilibrate e sono spesso utilizzate dai calligrafi Sufi. La stessa idea dello specchio si ritrova nella formula del saluto: a “la pace su di te” segue la risposta “su di te la pace”. Tale saluto, questa volta tra uno spazio spirituale islamico e la città di Milano, è ciò che ho cercato di ricreare nelle frasi a specchio all’esterno della moschea.





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Grazie a... Ringrazio l’intero studio Magut, in particolare grazie ad Andrea e grazie a Dodo, per l’aiuto e per tutto ciò che mi stanno insegnando. Ringrazio Franco Origoni e Anna Steiner, punti di riferimento nel mio percorso archigrafico. Grazie a Damiana, Pietro e Chiara per aver condiviso questo percorso inTesiti. Grazie a Fedra, compagna di viaggio per Parigi, Istanbul e per... (dove andiamo?) Grazie a Giulia, che mi ha aiutato più di quanto immagina, e soprattutto grazie a Teo, che mi ha aiutato e sostenuto più di quanto potessi immaginare. Infine ringrazio Livia, per la razionalità, l’aiuto e la filosofia. E ringrazio Enrico, perché non può pensare che non sia anche colpa sua.


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