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“L’OVO ViEN DAL BECO”

CUXiNA MARCHESiNi



Alla mia mamma, alla mia nonna.



Apro con la spiegazione del titolo di questo nostro primo quaderno. “l’ovo vien dal becco” è un adagio della mia carissima nonna Rosa e di conseguenza di mia madre, la “Iaia”. A me sembra così semplice e chiaro, ma capisco che per i non veneti il nostro dialetto possa essere leggermente complicato... comunque in Italiano potrebbe essere tradotto in “siamo quel che mangiamo”. Ma veniamo a questo nostro primo quaderno che racchiude alcune ricette tratte dal nostro blog CUXiNA.iT. Manco a dirlo parliamo di cucina, in effetti per chi non ci conoscesse o vivesse all’esterno del nostro amato Veneto, CUXiNA in dialetto significa proprio cucina. Risolto questo mistero sul nostro strano nome con la X passo immediatamente ad introdurvi i contenuti del libro e del blog di conseguenza. Sembrerebbe scritto a 4 mani, vista la dedica, e in effetti potrebbe definirsi tale in quanto io scrivo (Michele, il padre, il maschio latino di mezz’età...) e Mattia corregge le bozze nel suo italiano perfettino da splendido 18 enne studente della scuola di cucina Artusi di Recoaro. Qui come nel blog non troverete le ricette nel senso classico del termine, ma troverete dei racconti (i più gettonati del nostro primo anno di vita) di cucina semplice e genuina. Questi i cardini di tutto: la semplicità e la genuinità, non solo della materia prima, cosa fondamentale per noi Marchesini, ma anche nei procedimenti, nella fotografia e appunto nella stesura dei testi. Non mi resta, anzi, non ci resta che augurarvi una buona lettura e buonappetito.


LA BRUSTOLiNA DELLA ROSiNA

Il primo novembre, il giorno dei morti (che poi in verità è il giorno dei santi) ci si ritrova fra parenti a Valdagno, dopo il giro dei saluti ai cari defunti, a casa degli zii Renato e Renata. Qui ognuno arriva con torte di tutti i tipi (nei prossimi giorni ne pubblicherò alcune) ma il piatto forte è la Brustolina. Nessuno sa da dove arrivi questa ricetta, si sa solo che la versione della mia nonna Rosa era leggermente diversa da quella che riproduciamo noi adesso. Il lardo era tagliato più grosso e poi verso fine cottura passava un panetto di burro direttamente sulla crosticina fumante creando una doratura fantastica, a detta dello zio Renato. Vi scrivo sommariamente gli ingredienti più per curiosità e per dovere di cronaca: farina bianca, farina gialla, marofoli di maiale o ciccioli, lardelle, mele a pezzettini e un generoso pizzico di sale. Impastato il tutto e cotto alla griglia crea il piatto più antico della mia famiglia.

DUE NOVEMBRE



LA MiA PUTANA

Una vecchia ricetta dal nome stupendo giustificato da mille leggende. A Schio, città natale di mio padre, la si chiamava macafame, mentre nella vallata opposta, quella di Valdagno il macafame è una torta con farina di mais, salsiccia, salame e credo sangue di maiale, tutta un’altra cosa!!! Tornando alla putana, è una torta “svuota frigo/dispensa”, e io adoro le ricette di recupero, dato che odio gettare il cibo!!! Il procedimento sarà un po’ lungo, ma come dico sempre, cucinare deve essere un momento in cui ci prendiamo del tempo per noi, con il dolce pensiero che il risultato finale sarà un momento di convivialità con le persone care. Come prima cosa mettete in ammollo in un vino passito che vi avanza, una marsala, un porto o qualunque liquore che vi piace, l’uvetta e i fichi, questi ultimi tagliati a pezzettini. Prendete la buccia dell’arancia e fatela a pezzettini piccoli, sciogliete in una padellina dello zucchero con un goccio di liquore (io preferisco il grand marnier, essendo un liquore aromatizzato all’arancia) e fate caramellare le scorzette. Tagliate le mele a pezzettini e spadellate anche queste nella stessa padella delle bucce d’arancia (dopo averle tolte) fino a caramellarle leggermente, non servirà molto. Recuperiamo il pane vecchio che abbiamo in casa e mettiamolo in ammollo nel latte, io ultimamente uso il latte di riso o riso e mandorla che risulta più leggero. Non lascio troppo in ammollo il pane, mi piace trovare i pezzettini di varie densità mentre mangio la torta e di conseguenza non saprei darvi un tempo d’ammollo, dipende dal tipo di pane, da quanto è raffermo, insomma quando vedete che è ammollato abbastanza lo spezzettate con le mani, non troppo però altrimenti diventa una pappetta. In una ciotolina sbattete le uova con lo zucchero e incorporatele al pane, quindi l’uvetta e i fichi, le mele, le scorzette d’arancia, i due cucchiai di farina e un pizzico generoso di sale. Opss dimenticavo la vaniglia, prendete il bacello di vaniglia, schiacciatelo e dopo averlo inciso estraete i semini che finiranno anche loro nell’impasto. Imburriamo e spolveriamo l’interno di una teglia non troppo alta (in gergo casalingo: il Testo) con lo zucchero prima di metterci tutto il nostro impasto, quindi in forno a 180° fino a cottura ottimale: una bella crosticina dorata in superficie. Qui il test dello stuzzicadenti non funziona, quindi un po’ di attenzione ed ammore.

DUE NOVEMBRE



i TORDi E iL GRiLLO

I tordi in tecia sono una ricetta di mia zia Gianna detta grillo, sorella della Iaia, la mia mamma Liliana. Due sorelle che hanno segnato positivamente la mia passione per la cucina. Una cucina semplice, cresciuta nel freddo in quel di S.Quirico sotto la montagna spaccata e sopra Valdagno, mio paese natale. La cucina di mia nonna e degli zii, cacciatori per passione e per necessitĂ consisteva nelle cotture lente, il coccio o lo spiedo, il burro, le bacche di ginepro raccolte in montagna, sul Carega o durante le passeggiate tra le montagnole. In abbinata ai tordi (per chi non li conoscesse sono uccelli di grossa taglia) coppa di maiale, lardelle di una pancetta comprata presso una malga ai Larici di Asiago, salvia, olio e il burro. Come dicevamo, CUXiNA vuole essere uno spazio di sensibilizzazione al cibo, quindi se nella ricetta originale si richiedevano 250 grammi di burro, noi alleggeriamo ma senza togliere i sapori di un tempo.

SETTE NOVEMBRE



LA PASTA

E qui arriviamo alla mia preparazione preferita: la pasta all’uovo fatta in casa. Anche qui tutto torna: vedere mia mamma fare la pasta era sinonimo di giorni di festa. Forse sarà quindi questo ricordo che mi rende felice ogni volta che stendo le lasagne con la “mescola” sulla spianatoia di legno. La sensazione è quella di creare qualcosa dal nulla con le sole mani nude, è un ensemble di gesti, a volte strizzate energiche a volte semplici carezze per spolverare un po’ di farina sulla sfoglia che si espande ad ogni passaggio del mattarello (fatto da mio padre ed ereditato naturalmente visto che sono l’unico in famiglia a stendere ancora la sfoglia a mano). Gli ingredienti: farina, uova e sale. La farina questa volta sarà integrale di un nuovo mugnaio vicentino con un po’ di farina del tipo “1” sempre dello stesso produttore, le uova assolutamente “di casa”, fresche di pollaio, su questo non transigo e a volte vado direttamente a raccoglierle nel pollaio del mio amico Enrico. Il resto è lavoro e passione.

NOVE NOVEMBRE



L’OMBELiCO Di VENERE

I tortellini sono la massima espressione della pasta ripiena, sono piccoli gioielli fatti a mano, molto difficili da fare, anche qui l’ammmore è alla base di tutto. Domenica mattina: fuori la nebbia autunnale, in casa il camino acceso, buona musica e il profumo del brodo. Le premesse ci sono tutte, passiamo agli ingredienti, premetto che anche qui sono tortellini a modo mio e non seguo ricette precise. Per la sfoglia: farina di grano duro macinata a pietra tipo “1”, uova fresche di pollaio, sale. Per il ripieno: tastasale, mortadella, pancetta serba affumicata, grana padano, noce moscata. Della pasta all’uovo fatta in casa ne abbiamo già parlato: si prende la farina (100gr per ogni uovo), la si impasta o “doma” come si dice in dialetto. Il lavoro è proprio questo, “domarla” affinché diventi dura e resistente. Una volta fatto l’impasto lo metteremo a riposare avvolto nella pellicola per ½ ora affinché perda la sua elasticità. In questo caso useremo una macchina a rulli a manovella (io uso una vecchia “Ampia modello 150 lusso” di mia nonna, che potete vedere nella foto) per stendere le sfoglie a strisce abbastanza sottili. Le taglieremo a quadratini, a voi la scelta della misura, più piccoli i lati più difficile il confezionamento ma più bello il tortellino, noi abbiamo iniziato con un quadrato 2,5 per lato. Il giro sul dito è semplicissimo, una volta imparato, Mattia mi supera di gran lunga. Con i restanti rifili di pasta potete fare delle tagliatelle o delle fettuccine come abbiamo fatto noi! Lo chef Barbieri a Masterchef li ha definiti l’ombelico di Venere, “in verità anche i nostri potrebbero essere definiti ombelichi ma di una Venere di Botero”. Cit. Mattia

SEDICI NOVEMBRE



iL RiSOTTO Ai CARCiOFi

Qual è il modo giusto per fare un risotto? Non c’è, è semplicemente una questione di gusti. Qui vi presento il risotto a modo mio. Partiamo dalla scelta del riso, non ho dubbi: Carnaroli. Questa estate in una sagra a Gambugliano ho trovato un piccolo produttore, credo vicentino, che coltiva e vende un Carnaroli integrale spettacolare, peccato che ho perso il nominativo, se lo trovo vi aggiornerò. Altro cliché che non sopporto è il soffritto, trovo che crei una base di sapore uguale su tutti i risotti. Se faccio un risotto con i “rampussoli” o Raperonzoli, il loro sapore delicato viene sicuramente superato dalla cipolla (altro ingrediente che non uso quasi mai) e quindi preferisco non usarlo. Per questo risotto taglio i carciofi a fettine, vedi foto, aggiungo un paio di becche d’aglio in camicia schiacciate, 2 gambi di prezzemolo e una fettina di pancetta o guanciale tagliata a striscioline sottili. Spadello il tutto in olio extra vergine, sfumo con un po’ di salsa di soia, non li cucino molto: li lascio croccanti perché avranno tutto il tempo di cuocere assieme al riso. Tosto il riso a secco, lo lascio tostare fino a sentirlo croccante che “canta” nella pentola, a quel punto aggiungo i carciofi, ricordiamoci di togliere i gambi di prezzemolo e le becche d’aglio, e vado in cottura con il risotto aggiungendo con un mestolino un brodo vegetale bollente. Io uso un dado vegetale biologico senza glutine e con l’aggiunta di miso, un ottimo sostituto! Porto a cottura mescolando con calma e ammore, è un movimento rilassante, aggiungendo sempre un mestolino di brodo alla volta. Quand’è quasi cotto, spegniamo il fuoco e mettiamo un trito di prezzemolo fresco, non molto perché è molto forte, lasciamolo riposare così per 5 minuti e poi lo possiamo servire. Fare un risotto, alla sera dopo il lavoro, è distensivo ed è una cena completa, con i suoi carboidrati concilia il sonno, è economico, sano e in casa mia accomuna tutti.

VENTUNO NOVEMBRE



LA DOLCE DANiJELA

In Cuxina Marchesini i dolci non sono compito mio. Non mi piace prepararli e nemmeno tanto mangiarli, per fortuna!!!! Quindi queste dolcezze le lascio fare alla mia dolce metà o alle mie amiche. Credo che certi piatti abbiano una “sessualità”, tipo: la grigliata M, le torte F, le zuppe o creme di verdura F, lo spiedo M, il risotto M&F. Ecco quindi la ricetta di Danijela: torta di ricotta di Castelnovo e mele della Rosa, deliziosa. A colazione ne ho mangiate 2 fette, per fortuna che non mi piacciono i dolci!!! Cito testualmente: sbatti le uova con lo zucchero fino a montarle in una crema spumosa, aggiungi la buccia di un limone grattugiata e la ricotta. È il momento di aggiungere la farina unita al lievito e al sale. Noi usiamo solamente le farine di Chilometro Cinque: ¾ farina di grano duro “1” e ¼ di farina integrale, sono fantastiche e ne parleremo più avanti in un post dedicato. Amalgamiamo il tutto e aggiungiamo le mele tagliate per l’occasione da mia figlia Stella. Imburriamo la teglia e spolveriamo con lo zucchero di canna al posto della farina o del pane grattugiato, questo creerà un caramello delizioso che aggiunge carattere a tutte queste torte da credenza. Se avete bimbi queste torte sono un validisssimo sostituto delle merendine, per la colazione e per la scuola. 3 uova 180gr zucchero integrale 250gr farina Chilometro Cinque 300gr ricotta di Castelnovo 4 mele buccia di limone sale una bustina di lievito vanigliato in polvere

TRENTA NOVEMBRE



LE LASAGNE CHAYOTE

Domenica mattina e Mattia ai fornelli, la ricetta è: lasagne ai gamberi e chayote. Da parte mia lo ritraggo con la macchina fotografica, niente di più. Si parte dalle lasagne, come buona usanza di casa Marchesini, fatte in casa all’uovo con la nostra farina preferita Chilometro Cinque (80%intergrale e 20% tipo “1” ) un pizzico di sale rosa. Per tirare la sfoglia, lui userà la macchinetta a manovella invece che la mescola; il risultato è molto simile. Vellutata di gamberi ottenuta con i carapaci tostati, sfumati con brodo vegetale, il tutto legato da un roux (burro fuso e farina). Una volta ingegnatosi per sbucciare il terribile ortaggio munito di aculei da far invidia a un porcospino, privato dell’ ”osso” centrale e tagliato a cubettini da 1 cm, lo spadella con un filo d’olio. Arrivato a cottura della cucurbitacea ci aggiunge i gamberi a pezzetti, spadella il tutto e vi scola le lasagne direttamente con un filo d’acqua di cottura. La mantecatura è con la vellutata, il capolavoro è fatto. Delizioso e, oserei dire ruffiano! Il chayote è leggermente dolciastro e ben si sposa con il gambero. Bravo Mattia. Per i più curiosi, da Wikipedia: Il Chayote (Sechium edule) è una specie della famiglie delle Cucurbitacee, originaria del Sud America e coltivata nei paesi dell’area costiera del continente e nelle isole. Il maggior esportatore di Chayote è la Costa Rica. È conosciuto anche in Italia, dove è chiamato zucca centenaria, zucchina spinosa, patata spinosa, melanzana spinosa, melanzana americana, lingua di lupo: in realtà è corretto chiamarlo con il suo nome italianizzato dal nome scientifico Sechium Edule (quindi Sechio) oppure col nome spagnolo chayote, di origine atzeco (chayutli).

SETTE DiCEMBRE



iL CONiGLiO

Un post leggermente nostalgico: il coniglio (el conejo) cotto nella stufa a legna come lo cucinava la mia nonna Rosa. Cucinare il coniglio può suscitare qualche reazione negativa, ma come ho già detto, in questo blog raccontiamo la cucina generazionale quindi a voi la ricetta. Il nostro coniglio ha vissuto libero in una collina incantevole, nutrito in maniera assolutamente biologica, ne deriva un “prodotto” dal sapore fantastico. Niente cattivi odori di mangimi o altro. La preparazione è estremamente semplice: nella pancia mettiamo salvia, un rametto di rosmarino, qualche bacca di ginepro e qualche fettina di guanciale/pancetta/lardo salato, sale qb. La carne del coniglio è molto delicata e dolce, a mio parere eccessivamente magra, ecco il perché del guanciale. Un filo d’olio nel fondo del tegame, una generosa dose di sale e nient’altro. Se piace potete aggiungere del vino bianco, nel caso mio non ho aggiunto nient’altro e vi assicuro che è stato magnifico. La cottura nella mia stufa è molto approssimativa, tutto a occhio, non avendo un termometro. Quando presenta una colorazione aranciata è pronto, non esageriamo con i tempi di cottura per evitare che si asciughi troppo avendo come risultato una carne stopposa. La cottura è comunque lenta ed essendo affamati abbiamo fatto un aperitivo/antipastino con le frattaglie del coniglio: in una padella abbiamo messo gli stessi ingredienti usati per la cottura del coniglio: un filo d’olio, salvia, rosmarino e un battuto leggero di guanciale. 10 minuti sui cerchi della stufa ed è pronta una delle cose più squisite della nostra tradizione culinaria contadina. Per non sbagliare ho spadellato assieme anche qualche pezzetto di pane nero. Per contorno un’ insalata di spinacini freschi e croccanti, conditi con un filo d’olio nuovo siciliano, aceto di mele e un pizzico di sale: fantastici!

OTTO DiCEMBRE



iL MENÙ X

Noi di CUXiNA abbiamo preparato un menù leggero e sfizioso da mangiare seduti sul divano. Facile da preparare anche con largo anticipo: le crespelle di grano saraceno. Erroneamente questo “grano” viene collocato tra i cereali, ma appartiene invece alla famiglia delle polygonacee, è quindi privo di glutine ed indicato per i celiaci. La Maestra di queste crêpes è in assoluto una mia carissima amica e grande cuoca Franca Calgara, chef dell’Antico Guelfo per molti anni. Di lei ne parlerò in un post dedicatole più avanti. Franca era solita prepararla con il miele e formaggio bastardo del Grappa. Per il nostro menù, abbiamo ingaggiato la seconda regina delle crêpes, la mia moroxa Danijela. Il risultato è stato degno della sfida. Per l’impasto: 300 gr di farina di grano saraceno, 2 uova a temperatura ambiente e ½ litro di latte di riso. Lei non mette il sale per poterle abbinare sia al dolce che al salato. Amalgamate molto bene usando una frusta o una planetaria oppure uno sbattitore elettrico come ha fatto Danijela. Passate un pezzo di carta assorbente leggermente oliata su tutto l’interno della padella, versate con un mestolino il composto e cucinate a fuoco medio. Una volta formata una leggera crosticina e alzando amorevolmente i bordi con una forchetta in modo da staccarla dalla padella, è il momento di girarla. A voi la scelta: o fate i fighi e la lanciate in aria con una mossa da grande chef (attenzione a cappe aspiranti, lampadari posti sopra la vostra testa) oppure semplicemente la fate scivolare su un piatto e vi appoggiate sopra la padella girando poi il tutto. Spero d’essere stato chiaro, e comunque chi non ha visto in un film lo sfortunato cuoco per un giorno lanciare la frittata in aria e non vederla più tornare sulla padella?!? ahahah Fatti questi fantastici dischi soffici e appetitosi, non resta altro che farcirli con i più svariati affettati. Noi per la serata abbiamo scelto: cotto alla brace, crudo veneto, lingua (la adoro, non la conoscevo e dicono essere anche magra), una “salamona” (sembrava una sopressa rossiccia al peperoncino) piccante di cui ora non ricordo il nome. Per il piatto Franca style abbiamo abbinato un pecorino sardo a una melata di bosco, l’adorooooooo!!! Sono leggere, le possono mangiare tutti belli e brutti, celiaci e no, intolleranti al lattosio e non (eccetto quella al miele e pecorino ovviamente) grandi e bambini, questo piatto è un po’ come X FACTOR. Ps. Noi tifiamo per Ilaria e Fragola.

UNDICI DiCEMBRE



ASPETTANDO MASTERCHEF

Aspettando la prima di MasterChef 4 ci siamo deliziati con un paio di bruschettine. Sono i miei momenti culinari preferiti, un po’ di buon pane nero, salumi di grandissima qualità, un paio d’acciughe del cantabrico, il kren, la mia marmellata di agrumi e i “pevaroni” sott’aceto. Un metodo classico in magnum ghiacciato, un po’ di jazz, la mia fedele macchina fotografica. Questi gli ingredienti di un piacevole aperitivo in famiglia. E pensare che è iniziato tutto da un’uscita di Mattia: “papà ho fame”. Io, stanco di una giornata lavorativa veramente pesante, per rilassarmi ho deciso di fare questa piccola degustazione degli ultimi acquisti fatti dalla mia amica Tiziana Nogara per il periodo natalizio. Per me non è Natale se non vado da lei ad approvvigionarmi di delizie gastronomiche, che solo in questo periodo arrivano nel suo atelier di Sovizzo. Allora, devo stringere!!! La prima: burro salato 1889 e anchoas del Cantábrico su pane nero ai 5 cereali. La seconda: marmellata di agrumi home made, speck d’anatra di Jolanda de Colò su pane, come sopra. La terza: lonzino Nogara con kren fresco. Il pane è sempre il solito, ho un filone e devo consumarlo. La quarta: pancetta affumicata serba con “pevaron” sotto aceto anche questo home made. Non insisto con il pane, verooo???? Fra un po’ passo la parola al mio compaesano Carlo Cracco, all’italoammmericano Joe e al dio del tortellino Barbieri.

DiCiOTTO DiCEMBRE



PUMPKiN PiE

Evviva le zucche, direbbe qualcuno. Il “piccolo chef” di CUXiNA MARCHESiNi si cimenta in un classico made in USA (la sua passione). A questo proposito: durante le nostre vacanze metteremo on line le traduzioni di tutti i nostri testi in inglese, by Matt. Ma torniamo ai fornelli, o meglio, al forno. Le zucche sono sempre quelle di Chioggia, prima o poi proveremo anche la varietà “butternut squash” quelle arancioni “bislunghe” per capirci ma per adesso tagliamo a spicchi le nostre zucchette verdi smeraldo e dopo averle private dei semi le passiamo in una teglia e dritte in forno a 180°C per ½ ora. Nel frattempo prepariamo una brisèe dolce con 100 gr di burro, per l’occasione 180 gr di semola di grano duro senatore Cappelli, 30 gr zucchero integrale e 1 cucchiaio di acqua ghiacciata. Impastiamo il tutto senza eccedere nelle coccole, più o meno come con una frolla, la lasciamo riposare in frigorifero per una ½ oretta e poi la stenderemo con il mattarello. Una volta cotta la zucca, andremo a spolparla con un cucchiaio e la andiamo a lavorare con 400 gr di ricotta, 2 cucchiai di zucchero nero (qui dipende molto dalla maturazione della zucca e quindi se più o meno dolce, assaggiamo e correggiamo se necessario) per finire una spolveratina di cannella e alcune gocce di “spremuta” di zenzero fresco (tagliuzzate finemente un po’ di radice, la mettete fra due cucchiai e schiacciate mooolto forte, ne usciranno poche gocce, anche qui, a voi la scelta del dosaggio) Una volta pronto il composto riponetelo nella tortiera foderata precedentemente con la vostra brisèe, ripiegatela alla fine se avanza, sembrerà più casalinga e piacevolmente imperfetta. Il forno a 180°C, per 45 minuti. Qui dipende dallo spessore della torta, guardatela e toccatela per capirne il grado di cottura. Il risultato è stato un misero assaggio, il resto della torta è finito in sala prove del gruppo “leggermente rock” che frequenta il mio dolce figlioletto.

VENTiTRE DiCEMBRE



iL NATALE Di CASA MARCHESiNi

Questo Natale i Marchesini vanno in trasferta al piano inferiore, sempre di casa Marchesini si tratta. Il menù: crostini con salmone affumicato su mousse di salmone, crostoni con pâtè di lenticchie e involtino di radicchio trevigiano con fontina e salame, tutti fatti da Silvia. Intingolo di fagiano di Franca, la mia tacchinella, cotechino con il musetto, lingua e contorni vari. Il tacchino non è il piatto ufficiale del Natale italiano, ma quest’anno va così!!! Era da tempo che vedevo sgambettare un gruppetto di tacchini neri/grigi nel colle del mio amico Sebastiano. Ho avuto l’onore di cucinarne uno, un’esperienza unica. Non avevo mai cotto nulla che fosse al di sopra dei 3 kg, questa meravigliosa tacchinella ne pesava addirittura 7,5!!!! Le abbiamo dato una leggera precottura ieri sera per 1 oretta senza grassi e oggi abbiamo concluso tutta la preparazione. Ho comprato delle spezie “maggiche” da un raccoglitore domenica mattina a un mercatino bio al Dal Molin a Vicenza, le ho tostate in padella (il profumo ha inondato piacevolmente tutta la casa) le ho sminuzzate e “impastate” con 100 gr di burro salato. Questo unguento l’ho spalmato e massaggiato con cura su tutta la pelle del volatile. Una volta massaggiata, l’ho avvolta con il reticello (radexelo) di maiale e rimessa in forno a 175°C per 3,5 ore bagnandola ogni tanto con un metodo classico, diciamo che dalle mie ricerche richiede ½ ora di cottura per kg. In una teglia a parte ho messo 3 carote, 2 scalogni, 1 finocchio, 2 patate, tutte tagliate a pezzetti, salvia, rosmarino, 1 foglia di alloro e le interiora della tacchinella, ho aggiunto il sughetto di cottura della tacchinella. Una volta cotto il tutto, ho frullato le verdure e creato la famosa gravy, la salsa che vedete nei film americani solitamente nel giorno del ringraziamento. Anch’io come il capofamiglia americano, ho affettato il petto con il forchettone e il coltello gigante. Penso sia stato l’arrosto più buono che abbia mai mangiato in vita mia.

VENTiCiNQUE DiCEMBRE



SFORMATiNi GOLOSi

Avendo comprato 18 uova al mercato abbiamo pensato bene di fare una ricetta con base uova. In questo piatto, fatto dal “piccolo chef” di casa Marchesini, abbiamo utilizzato 7 uova, 250 gr di ricotta freschissima 2 cucchiaiate di grana grattugiato, una copiosa macinata di pepe e sale qb. La ricetta arriva direttamente dalla cucina del glorioso istituto alberghiero Artusi di Recoaro Terme e più precisamente dal professor Lovato, docente di Mattia. Per insaporire il tortino abbiamo usato la tecnica svuota frigo di Cuxina. Il radicchio è sempre presente, e quindi va da se che ogni tanto un tuperware “scappa” ed eccolo che finisce in padella preceduto da un paio di fette di un salame troppo fresco per i nostri gusti. Sempre dai meandri del nostro frigo, sono spuntati anche 3 gambi di carciofi. Avevamo usato le teste per fare una deliziosa fritturina di “pessetti”, carciofi e sedano rapa accompagnati da una bollicina di Cava spagnolo ghiacciato, una deliziaaaaaaa!!!. Tornando ai gambi, una volta mondati con il pelapatate e sminuzzati, li abbiamo spadellati con un’altra fetta del fresco salame, poi per cuocere il tutto abbiamo usato un po’ d’acqua di cottura del chayote (il zucchino spinoso già citato in un altro post) che useremo per la salsa di accompagnamento. Per l’impasto usiamo la ricotta, i tuorli d’uovo, il sale e pepe e il parmigiano, il tutto amalgamato con una frusta fino ad ottenere un composto omogeneo e vellutato. Uniremo questa deliziosa amalgama alle nostre preparazioni di radicchio e carciofo. A parte abbiamo montato a neve gli albumi per poi in incorporarli delicatamente con una spatola o un leccapentole. Mi raccomando, con movimenti lenti sempre dal basso verso l’alto. Imburriamo gli stampini, in questo caso abbiamo usato quelli in alluminio molto cheap ma funzionali, e foderiamo l’interno con delle fettine di pancetta lasciandole sbordare un po’, inseriamo il composto fino a ¾ e poi richiudiamo con la pancetta in eccesso. In forno a 180°C per 20 minuti, o fino a fine cottura che si presenterà con una meravigliosa doratura. La salsa d’accompagnamento: chayote lessato e frullato, la cremina la ripassiamo in una padella dove avremo reso croccante della pancetta sminuzzata. Il tutto lo riportiamo sul bicchiere del minipimer per un ulteriore frullata. Provare per credere, sono da pauraaaaaaaaa!!!!!!

VENTUNO GENNAiO



FiNCHÈ C’È ZUCCA C’È SPERANZA

Ora tocca al risotto di zucca. La ricetta qui è molto semplice, il “lavoro” diff icile è sbucciarla, consiglio un coltello molto affilato e molta molta attenzione. Una volta pulita e tagliata a pezzetti più o meno regolari (io in cucina non adoro la precisione, anzi mi piacciono le cose istintive e grossolane, adoro trovare dei pezzetti più o meno cotti) la faccio rosolare con un filo d’olio, una grattugiata di noce moscata che trovo inseparabile dalla zucca e una generosa presa di sale fino. Dopo 5 minuti aggiungo un paio di mestolini di brodo vegetale caldo e la cuocio per altri 10 minuti. Non sarà cotta, anzi, la sua cottura finirà in compagnia del riso e del brodo. A proposito del riso: anche qui sono un abitudinario, uno, solo e unico, sua maestà il Carnaroli, tassativamente all’onda! A cottura quasi ultimata, spegniamo il fuoco e mantechiamo (lo si mescola velocemente con energici giri di mestolo) con 100 gr ricotta fresca. È stato un esperimento ottimamente riuscito, questo della ricotta, resta leggermente grumosa (se non si eccede con la mantecatura) e la cosa risulta molto gradevole!!! Impiattato in un elegante piatto nero che ne risalta il suo colore arancione, lo rifinisco giusto con tre o più fettine di speck d’anatra dell’inimitabile Jolanda de Colò che arriva direttamente dalla mia pusher di droghe per il palato, Tiziana della macelleria Nogara di Sovizzo. Buon appetito e buona serata.

VENTiNOVE GENNAiO



E NOi Si FA LA RiBOLLiTA

L’ho sempre sentita nominare, sono quei piatti che senti raccontare e per qualche motivo non ti capita mai di assaggiarli. E allora abbiamo deciso di cucinarla noi. Devo dire che è leggermente elaborata e lunga da preparare e la si cuoce il giorno prima per l’indomani, appunto ribollita. Gli ingredienti ci sono nella foto, eccetto i fagioli, ho usato quelli surgelati di questa estate che erano relativamente brutti da vedere, quindi metto a lessare questi fagioli direttamente dal freezer in abbondante acqua salata e un pezzo d’alga kombu che è anti fermentativa e rende i fagioli più leggeri. Ok lo devo ammettere, mentre scrivo volevo saltare questo particolare ma siccome il nostro blog è un “real life” devo dire tutto, ebbene sì nei fagioli ho messo anche una striscetta di grasso presa quando ho sgrassato un lonzino affumicato. La mia nonna era solita cucinarli con la “coessa del mas-cio” che tradotto vuol dire la cotica del maiale, quindi... L’abbondante acqua dei fagioli vi servirà per la cottura della ribollita, quindi non buttatela dopo averli scolati. Mentre si lessano i borlotti, noi iniziamo: in una casseruola (sarebbe bellissimo avere un coccio alto e capiente) mettiamo una base d’olio buono e le carote a pezzettini, a seguire i pomodori privati della pelle (vanno bene anche dei pelati) la patata, lo scalogno, il porro, le biete, il cavolo verza e il cavolo nero, il tutto sminuzzato non proprio regolare. A metà cottura prendiamo metà delle verdure e le passiamo al minipimer o al passaverdure per poi rimetterli assieme, la stessa cosa con i fagioli metà frullati e metà no e tutto nella casseruola. Lasciamo finire la cottura a fuoco lento, sarebbe magnifico cuocerla su una cucina economica a legna, comunque lo spargifiamma sul fornello a gas va benissimo. Il giorno dopo l’ho fatta ribollire sul coccio, ho tostato del pane toscano/ciabatta (nella ricetta madre andrebbe il pane raffermo, essendo questa una ricetta povera di recupero e che la si poteva gustare tutta la settimana) e grattugiato del parmigiano. L’impiattamento: crostone sotto, sopra la zuppa, una generosa dose di formaggio grattugiato, un filo d’olio buono e una macinata abbondante di pepe nero. Come ho già detto, a me non piacciono né la cipolla né le verze e i cavoli, ma vi assicuro che questa ricetta è una vera libidine. Come potete vedere dalle foto, è un po’ laboriosa ma il risultato vi ripagherà, è certo!!!

QUATTRO FEBBRAiO



GiURiN GiRELLO ALLA BiRRA

Il girello fa parte della coscia del bovino, su wikipedia dicono essere una parte pregiata e molto magra. Sinceramente essendo un autodidatta in fatto di tagli di carne, non sono proprio così ferrato, sorrrry. Ma comunque, ne avevo uno in congelatore e ho quindi deciso di sacrificarlo per la cena domenicale. Il secondo ingrediente principe della nostra ricetta è “la BiRA”, homemade dai MARCHESiNi. Sotto la supervisione dell’amico Danilo, la viglia di Natale abbiamo iniziato l’avventura di “mastri birrai” e oggi abbiamo aperto la nostra prima birra. Ovviamente con la passione che ci unisce, oltre al sangue, io e mio figlio abbiamo deciso di impiegarla in una ricetta (dopo averla assaggiata). Ed ecco quindi il “giurin girello alla BiRA”. Steccato con della pancetta austriaca e legato assieme a della salvia del nostro terrazzo (potete osservare l’attacco di qualche insetto misterioso che ce l’ha mangiata quasi tutta ma ci ostiniamo a non mettere antiparassitari visto che dopo va a finire sui nostri arrosti) l’abbiamo messo su una teglia di ferro sulla fiamma con qualche chiodo di garofano, un paio di spicchi d’aglio e un paio di peperoncini. Una volta ben sigillato lo passiamo al barbecue sempre nella teglia, in modo da creare un effetto “forno” e lo bagnamo con la nostra birra. Il risultato? Non ne ho assolutamente idea, la cena è per questa sera, magari faremo un aggiornamento di questo post in tarda serata. Per ora, buona domenica.

OTTO FEBBRAiO



EL SPEO

Il post maximum, ovvero la massima espressione, a nostro avviso, della CUXiNA MARCHESiNi. La mia storia parte da qui, da mio padre e dal suo mitico spiedo nella sua altrettanto mitica taverna in uno splendido 70’s style. Da piccolo il mio compito era di raccogliere la salvia per fare le “gardiele” (fettine sottili di lardo accoppiate alla salvia). Durante la serata i commensali dicevano che lo spiedo era speciale perché la salvia era stata raccolta in maniera perfetta, tralasciano i gambi e usando solo la foglia, io mi inorgoglivo. È tenero pensare a come mi prendevano in giro, ma l’effetto era bellissimo, ho ancora il ricordo vivido come fosse ieri. La colonna sonora: Fausto Papetti, Gigi Botto, Frank Sinatra, rigorosamente in vinile. Ma bando ai sentimentalismi e torniamo allo spiedo. Gli ingredienti sono: coppa di maiale, puntine di braciole, che sarebbero il finale della braciola una volta tolto il carrè, alcuni pezzi di fegato avvolti per l’occasione in fettine di lardo sottilissimo, anche se la morte sua sarebbe avvolgerlo nel reticello di maiale. Ultimi, ma non per importanza: gli uccellini, “el bocon del prete”, il boccone più buono. Lo so è un po’ cruento ma la nostra storia, Veneta, è fatta anche di questo. Mio nonno, i miei zii e mio fratello sono tutti cacciatori. È una tradizione ed è così che la vivo. Sale, olio d’oliva e tante coccole, continuando ad ungerlo con l’olio e i grassi che si depositano sotto lo spiedo nella leccarda. Ed è proprio da questo elisir di grassi saturi che nasce la compagna indissolubile dello spiedo, la polenta onta. Fritta in abbbbondante olio d’oliva (qui l’extra vergine non è la miglior cosa) con grande pazienza per far si che si formi una crosticina croccante e profumata. C’è sempre la battuta durante l’abbuffata: “non so se sia mejo el speo o la polenta” è davvero una cosa stupenda. Tutto qui! I tempi? Ognuno ha le sue teorie, chi dice 3 - 4 - 6 - 8 ore, nel nostro caso e nel camino che ha costruito mio padre, occorrono 3 ore, minuto più minuto meno.

QUiNDiCi FEBBRAiO



i BiSCOTTONi AMERiCANi

Inizio con l’anticipare il fatto che sono Mattia (alla tastiera), qui per raccontarvi questa mia personale esperienza con i dolci. Né io né mio padre adoriamo cucinarli, mangiarli sì ma cucinarli, anche no!! Quindi: Era una domenica pomeriggio, la noia assaliva il piccolo chef di CUXiNA, ma da tempo aleggiava l’idea di fare dei biscotti, quelli grandi, cicciotti, con le gocce di cioccolato, come quelli americani. 180gr di farina 120gr di burro 120gr di zucchero di canna 2 uova 90gr di gocce di cioccolato/una tavoletta di cioccolato spezzettata un pizzico di sale 4gr di lievito chimico Inizio prendendo il burro morbido, unendolo alla farina, lo zucchero, il lievito e il sale e con le mani lo schiaccio finche non si sarà unito completamente, formando un composto sabbioso. A questo punto unisco le uova e il cioccolato, e continuo ad amalgamare con le mani. Prendo una teglia e metto un foglio di carta forno, sul quale dispongo l’impasto, a forma, appunto, di biscotto. Inforno tutto a 180°C per circa 15 minuti, dipende anche dalla grandezza del biscotto, i miei erano dei bei biscottoni, ci sono voluti quasi 20 minuti di cottura. Sono venuti benissimo, rimangono soffici al centro e fragranti all’esterno ed emanavano un meraviglioso profumo di burro e cioccolato che inondava tutta la casa. Ringrazio ancora una volta la mia amica Anna per la buonissima ricetta!! Fate un giretto anche sul suo blog, i dolci lì la fanno da padrona! Di seguito il link ;-) www.dolcizziamoci.blogspot.it

DiCiANNOVE FEBBRAiO



iL GUANCiALE Di GiORGiONE

Noi Marchesini da una decina d’anni seguiamo il Gambero Rosso, il primo canale tematico sul cibo. In questi ultimi tempi è apparso quello che è diventato un nostro mito: Giorgione. Un buon uomo, sempre di buon umore, che nella sua cucina con a fianco la sua stufa economica, prepara un sacco di manicaretti. Abbiamo un po’ la stessa filosofia: passione, istinto e materie prime naturali. Come me lui si rifornisce da contadini, direttamente dal produttore e si alleva un po’ di animali da cortile (io però non ho gli animali). Nelle sue ricette, che oserei dire quanto più lontane dal mondo vegano, usa spesso il guanciale. Lo ha appeso ad un gancio in bella vista in cucina, quando taglia le fette, ogni dannata volta, io e Mattia ci guardiamo e ci scambiamo delle occhiate sognanti. Ho fatto un po’ di ricerche e mi sono rivolto alla mia consulente di fiducia in fatto di carni, Tiziana Nogara, già citata nel nostro blog. Bene oggi mi ha preparato un guanciale intero, fresco, messo solo sotto sale e spezie. “Co te lo porti casa, via el sacchetto e te lo metti su un piatto in frigo”, si è avverato un sogno! Questa mattina, nei miei giri ai mercati, il mio caro amico Erio mi ha venduto un kg di “pissacan” o tarassaco, raccolti ieri, puliti e con i piccoli boccioli dei fiori. Quale morte migliore per il nostro guanciale, il test è scattato immediatamente. Ne taglio una fetta e preparo delle striscioline, un filo d’olio Siciliano, una becca d’aglio, un peperoncino e i “pissacan” tagliati grossolanamente. Una generosa presa di sale grosso, un filo d’acqua e 7 minuti di cottura. Uno spettacolo! 150 gr della solita farina dell’amico Schiavo Chilometro5, 40 gr d’olio extra vergine d’oliva e 60 gr di acqua, sale e un pizzico di spezie miste, il tutto impastato a creare una base per una torta salata. Per il “ripeno” ovviamente i “pissacan” spadellati, 250 gr di ricotta e una spolverata di parmigiano per la gratinatura finale.

VENTUNO FEBBRAiO



LA CRESPELLA Di BASSANO

Se potessi avere mille lire al mese, citava una vecchia canzone. Oggi per la nostra Mystery Box avevamo come budget 5 euro per fare la spesa, in effetti non sono poi così tanti, ma come ha detto il maestro Barbieri a MasterChef giovedì sera, se ne possono fare di cose con “zinque” euroooo!!!! Ed eccoci quindi alla nostra piccola sfida per solleticare i palati dei giudici. L’abbiamo battezzata “Crespella di Bassano”. Chi mi conosce mi ha detto che ultimamente sono in fissa con il broccolo di Bassano, in effetti è un po’ vero. Lo adoro, o meglio non amo i broccoli ma questo mi piace moltissimo. Qui abbiamo utilizzato le foglie per una bella spadellata con il guanciale, aglio, olio e peperoncino. Alcuni preferiscono pre-lessarli, io preferisco al limite aggiungere un goccio d’acqua in cottura per ammorbidirli. In 15 minuti (dipende anche dalla freschezza) sono pronti! I fiori (credo si possano chiamare così) li ho sbianchiti (acqua bollente salata, ci si tuffa il prodotto e alla ripresa del bollore il gioco è fatto) per 2 minuti e poi li ho passati al minipimer con un cucchiaio di ricotta e un filo di latte per creare una deliziosa cremina, dolce e profumata che ha fatto da base al nostro fagottino. Fagottino fatto con una crêpe di grano saraceno e farina Chilometro Cinque in parti uguali, al suo interno la spadellata di broccolo e per chiuderlo un “filo” di cipollotto. L’effetto scenico è un po’ orientaleggiante e il sapore molto elegante.

DUE MARZO



i MUFFiNS

Mi ritrovo a casa da solo, una domenica mattina, un po’ per apatia, un po’ perché nel pomeriggio sarei uscito con gli amici. Papà, Danijela e Stella sono a Gambugliano a godersi questo primo sole che preannuncia l’arrivo della primavera. Io, spaparanzato sul divano, guardo “Nigella feasts”, uno dei miei programmi culinari preferiti, Nigella è una cuoca veramente brava, in ogni puntata prepara dei banchetti da leccarsi i baffi semplici e golosi. In questo episodio preparava i “chocolate chip muffins”. Preso da un impulso di golosità mi precipito al supermercato a comprare gli ingredienti e nel pomeriggio ho preprarato i miei primi muffins. Gli ingredienti sono pronti, il forno è acceso, un po’ di sano e vecchio ska-punk per rallegrare il tutto e partiamo. La ricetta di Nigella prevede: 250ml di latte 230gr di farina “00” 160gr di gocce di cioccolato 150gr di zucchero 1 uovo 10gr di cacao amaro 5gr di bicarbonato un pizzico di sale Prendo tutti gli ingredienti secchi, quindi farina, zucchero, cacao, cioccolato, bicarbonato e sale e li unisco in una terrina, dopodichè aggiungo il latte e l’uovo e mescolo finchè non si incorpora tutto ben bene. Prendo dei pirottini, li imburro e li riempio a ¾ o a metà (non fino all’orlo come ho fatto io, piccolo errore) con l’impasto, buonissimo anche crudo, infine metto tutto in forno a 200°c per circa 25 minuti. L’aspetto è stato un po’ deludente a causa di alcuni errori commessi, ma abbiate pietà, era la mia prima volta ;-) Il gusto però era eccezionale, una vera bomba di cioccolato!!

SETTE MARZO



SPAZiO NADiR ALLA CiME Di RAPA

Che cos’hanno in comune una cucina economica a legna e una vecchia poltrona da barbiere? Nadir è la risposta, se poi ci aggiungiamo il maestro None il gioco è fatto. Un nuovo progetto, che prenderà corpo in primavera, ad Aprile, presso lo SpazioNadir in contrà S.Caterina a Vicenza, che vedrà coinvolta CUXiNA e i MARCHESiNi in un “corso di cucina” dal titolo curioso CO CU CU (COrso di CUcina per CUccare). Sarà un “corso di cucina” in stile MARCHESiNi, quindi non puramente tecnico, bensì emozionale, culturale, il tutto impastato con tanto ammmore. Piatti semplici e carini appunto mirati alle coccole in cucina. Per single e quindi per fare colpo, per mariti o mogli per riaccendere certe serate o pranzi lontani dai ristoranti. Le stagionalità saranno le protagoniste assieme al rispetto per le varie correnti di pensiero, carne/pesce/vegetariano. Le 4 serate: gli antipasti, i primi, i secondi e i dessert, il tutto accompagnato sapientemente ai consigli e gli abbinamenti enologici (e non solo) del maestro NONE. Il tutto è comunque in divenire e prossimamente saremo più precisi. Il nostro pranzo di lavoro è stato condito con delle magnifiche orecchiette alle cime di rapa, uno dei miei piatti preferiti!!! Adesso è il momento migliore per le cime di rapa, (che non sono le foglie delle rape come erroneamente pensavo). Olio, aglio, peperoncino e i filetti d’acciuga, il tutto con la padella inclinata per aromatizzare bene in immersione senza bruciare niente. Le foglie o i gambi più coriacei delle cime li butteremo, sminuzzati, nell’acqua di cottura della pasta, il resto nella padella a saltare per 5 minuti con tutto il “soffritto”. Le orecchiette, tassativamente di semola di grano duro, quelle ruvide e chiare per capirci, scolate direttamente nella padella, lasciate “risottare” aggiungendo man mano dell’acqua di cottura. Servite con una grattugiata di parmigiano o pecorino o comunque un formaggio stagionato, dal gusto pungente. Riassumendo il tutto: filone di pane ai 5 cereali con alici sott’olio e peperoncino, 500 gr di pasta ben condita e N.2 bottiglie di ottimo vino, spettacolareeeeee!!!!!!

NOVE MARZO



i CROSTONi

Prime domeniche di sole, tanta voglia di scampagnate a raccogliere le prime erbette spontanee. Per ora abbiamo trovato solo l’aglio orsino, il suo nome pare che derivi dal fatto che gli orsi, al loro risveglio dal letargo, si abbuffino di questa erbetta per purificarsi. Quindi oggi non si cucina, facciamo solo degli spuntini. Crostini con i fegatini che abbiamo avanzato dallo spiedo, una ricetta tanto semplice quanto saporita!!! Si prendono dei fegatini di pollo di buonissssima qualità, (il fegato è una sorta di filtro, quindi tutte le sostanze derivanti dall’alimentazione dell’animale o eventuali farmaci vanno a influire sulla qualità dell’ingrediente. Chiusa la piccola parentesi scientifica) li tagliamo in piccoli pezzetti, li mettiamo in una pentolina, dell’olio buono, uno scalogno con infilzate due brocche di garofano, un paio di filetti d’acciuga e un peperoncino. La cottura è breve, 15 minuti è il gioco e fatto!!! Con questo “ragù” si possono fare cose fantastiche, una lasagnetta all’uovo, un risotto, nel brodo di carne e appunto semplicemente su una fetta di pane tostato accompagnato, come nel nostro caso, con un bicchiere di ottimo vino rosso. Il secondo crostino è semplicemente un grande classico dell’Alto Adige: speck e cren. Un abbinamento che non mi stancherà mai, un crostino che puoi mangiare a qualunque ora del giorno, alla mattina per una merenda, come antipasto prima di pranzo, o nel caso nostro, come pranzo “leggero” domenicale. Anche questo chiama un buon rosso corposo o una gran birra ben strutturata. Ritornando all’aglio orsino, lo metteremo in un sugo di cime di rapa (come avrete capito, uno dei miei ortaggi preferiti) e poi faremo un crostino, olio peperoncino e aglio orsino, tutto a crudo, battuto al coltello e appoggiato su una fetta di pane integrale ai 5 cereali.

QUiNDiCi MARZO



LA GALLiNA DI UN ANNO E 3/4

Sabato mattina al mercato un mio amico mi ha fatto dono di una sua gallina. “La ga un anno e 3/4, la so morte la xe in brodo ma la ga da ‘ndare lenta per almanco do orette”. Carote, uno scalogno con infilzati due chiodi di garofano e acqua fredda, compongono il “bagno” che ho preparato per la super gallina di 2,5 kili. Questa mattina (il giorno dopo) togliendo il grasso dorato dal brodo, mi è venuta in mente una “ricetta” per recuperarlo. Non l‘ ho mai fatto prima per principio ma oggi, dopo aver letto un po’ il libro del maestro Artusi mi sono deciso. Ho tagliato le patate, le ho messe in un sacchetto di plastica per alimenti con 3 cucchiate di grasso di gallina, le ho sbattute per bene così da “ingrassarle” in maniera omogenea. In una padella ho fatto scaldare della salvia con altre 2 cucchiaiate del grasso e per finire ho fatto rosolare il tutto per una trentina di minuti (poi dipende dalle patate e dalla grandezza dei pezzi) fino a vedere una crosticina dorata su tutte le patate. La gallina l’abbiamo tagliata a pezzi e passata anch’essa a rosolare in padella con salvia e tutte le carote del brodo schiacciate a formare una cremina, all’occorrenza l’abbiamo bagnata con un po’ del suo brodo, ma non molto, lei è già cotta e quindi con questa ripassata deve solamente rosolare e caramellare. Vi assicuro che il risultato è stato incredibile!!! La gallina felice era buonisssssima, nulla a che vedere con le altre assaggiate prima. Continuiamo a diffondere il nostro messaggio di mangiare carne felice, ovvero animali allevati in maniera tradizionale, con rispetto, in questo caso aveva vissuto letteralmente libera e nutrita con mais e ritagli di tarassaco e radicchio in generale.

VENTiDUE MARZO



LE ERBETTE

Il grande professor Berrino, consiglia di cibarsi delle erbette spontanee che si trovano sui campi e durante le passeggiate di primavera. Sono ricchissime di omega tre e depurano l’intestino dopo il carico di grassi dell’inverno. Quindi noi, tra passeggiate nella nostra Gambugliano o nelle visite ai banchi del mercato, adoriamo cibarci di queste primizie. Il costo al mercato è relativo così come lo sforzo nel raccoglierle in natura. Ma veniamo al nostro risottino di erbette, in questo caso ho comprato dei bruscandoli e i carletti. I primi sono i germogli del luppolo selvatico e si trovano lungo le “maxiere” che sono le murature che affiancano i sentieri in collina o in campagna. I secondi li si trovano a terra, hanno la foglia esile e fanno un fiore a trombetta. Da raccogliere assolutamente prima della fioritura, come quasi tutte le erbette spontanee. La tostatura del riso è solo con un filo d’olio, no soffritto please: a tostatura avvenuta aggiungo il trito delle erbette precedentemente saltate con olio aglio e peperoncino per 10 minuti. Brodo vegetale bollente, aggiunto un po’ alla volta con un mestolino e tanto ammmoreee. Non amo mantecare i risotti, ma in questo caso farò un’ eccezione e mantecherò con un pezzettino di burro e una manciata di stravecchio entrambi di malga profumatissimi che ben si sposano con il sapore delle erbette.

VENTiQUATTRO APRiLE



L’AMABiLE PEPERONATA

È arrivato il momento della peperonata e la mia preferita è quella che mangio al ristorante “Da Amabile” a Monte San Lorenzo, nel comune di Gambugliano alle porte di Vicenza. Questo locale è senza dubbio nei primi posti della mia top ten dei ristoranti. Gli ingredienti: io l’ho sempre fatta con peperoni, zucchine, carote, cipolle e melanzane. Dalla cucina del colle mi consigliano di non mettere le zucchine e nemmeno le carote. Altro errore: io ho sempre cotto tutto assieme o come ultimamente, prima le carote, poi i peperoni, le zucchine e per ultime le melanzane. Sempre dall’amabile cucina, mi consigliano di partire con la cipolla, poi le melanzane e per ultimi i peperoni. Fuoco vivo, niente brodi lunghi, padella larga e evitare le montagne di verdure, quindi magari la faremo più spesso, ma non mettiamo troppa verdura che finisce per lessare il tutto. L’olio, di semi e non d’oliva, io non l’avrei mai detto, ma vi assicuro che effettivamente risulta più leggera, mi raccomando di trovare degli olii di semi biologici spremuti a freddo! Calda appena fatta, riscaldata forse meglio, tiepida in un panino o su una bruschetta, è fantastica e salutare, abusiamone pure!!

VENTiSEi MAGGiO



LE FRiTOLE CON i FiORi

L’orto di casa è un posto magico, fin da bambino mio padre mi ha sempre coinvolto in questo rito famigliare. Da piccolo lo facevo malvolentieri, ma crescendo è cresciuto anche il mio interesse. Ora che il mio papà non c’è più tocca a me coinvolgere i miei figli. Si vanga, si tira ben bene la terra e la si prepara per la semina e la messa a dimora delle piantine. Anche andare all’agraria a scegliere le sementi e decidere cosa piantare è un momento divertente e importante per la loro formazione (a parer mio). Ma veniamo al momento più magggico, il giretto mattutino a raccogliere i frutti, questa mattina ho trovato dei meravigliosi fiori di zucchina e quindi ho deciso di “impastare do frittole”. Dalla mia nonna materna, la Rosina, nei pomeriggi d’estate ricordo con enorme piacere questa frase “Che impastemo do frittole?” e quindi o erano appunto i fiori di zucchina oppure la maresina (non vi anticipo nulla della mia erbetta preferita, seguirà un post dedicato). Allora: 1 uovo fresco di pollaio, un po’ di farina e un po’ di latte. Decisamente non conosco le dosi, mai sentite nominare né dalla nonna, tantomeno dalla mia mamma: “ahh mi vò a ocio” tradotto per i non veneti, io vado a caso/naso, insomma l’istinto della massaia!!! Quindi sbatto un uovo con un po’ di zucchero, aggiungo un paio di cucchiai di farina e poi latte fino ad ottenere una pastella di media densità. A questo punto sminuzziamo i fiori, tutto pistilli compresi, e li mettiamo all’interno del composto. Opss, dimenticavo una presina di sale e un po’ di vaniglia, NON VANILLINA!!

DiCiOTTO GiUGNO



LA CENA D’ARGENTO

Con la nascita del nostro blog, sono aumentate considerevolmente le richieste di inviti a cena/pranzo/colazione. Se l’invito è a casa di amici, ovviamente dobbiamo cucinare noi, se a casa nostra invece, IDEM ;) Noi adoriamo cucinare per pochi intimi, e questa è stata la volta di un paio di vecchi clienti (tra i primi della mia carriera, da prima vetrinistica e successivamente di art director, attualmente ancora il mio lavoro principale). Paolo e Marco Fraboso in abbinata ad un amico comune Graziano Macà. Cena per soli uomini e tassativamente di solo pesce!! A noi piace sperimentare ricette nuove e i nostri commensali sono le nostre cavie (a detta loro piacevolmente cavie). Quindi oggi vi illustro sommariamente il menù, così da stimolare la creatività di tutti. Qualora vogliate delle delucidazioni, non esitate di chiederci lumi, saremo ben lieti di illuminarvi, il blog servirebbe un po’ a questo ;) Allora: Cruditè di salmone selvatico e scampi dell’Adriatico, conditi con un filo d’olio buono, un non nulla di sale di Cervia e due gocce di salsa di soia. A me le cruditè piacciono molto al naturale: zenzero, rapanelli, frutto della passione, ecc. non fanno per me. Ceviche a modo nostro di gamberoni su finocchio croccante. Capasanta piacevolmente avvolta nel lonzino affumicato croccante su crema di ceci. Capasanta al forno come piace a noi Raviolo di pasta integrale “Chilometro Cinque” ripieno di pesce misto e ricotta di malga conditi con una pommarola fresca tiepida. San Pietro al limone al forno. Il tema capasanta è stato espressamente richiesto dal mio amico Marco, innamoratosi a un’altra cena di pesce a casa mia delle mie capesante. In quell’occasione dal pescivendolo ne trovai solo 1 a testa e quindi da quella cena gli rimase la voglia. Sfortuna vuole che ogni volta che preparo questa delizia per lui, trovo soltanto le cape nostrane e quindi molto piccole, diversamente dalle francesi che sono di gran lunga più grandi!!! Il sapore non si discute, non c’è gara, le nostrane vincono in partenza!!! Gli amici hanno pensato al bere, e che bere!!!! Una bottiglia di Ca’ Del Bosco per aperitivo e per pasteggiare Friulano di Joe Bastianich (in omaggio per il padrone di casa anche una bottiglia di Vespa sempre Bastianich). Che dire, una piacevole serata all’ insegna dei ricordi e della buona tavola in compagnia di un temporale che ci ha costretti a spostare la cena dalla terrazza all’interno, unica nota dolente della serata ;(

VENTUNO GiUGNO



Ai LARiCi I Larici sono, sia un tipo di pino, sia un posto incantevole a 1600 metri d’altitudine vicino ad Asiago. In questa cima vi sono 4 malghe, un rifugio (rifugio Larici dal mitico Alessio, ormai sostituito egregiamente dal figlio) e il nuovo locale Val Formica che non abbiamo visitato (troppo chic per i nostri gusti). Sdraiati sulla terrazza da Alessio abbiamo tutta l’intenzione di prendere un po’ di sole vista la bellissima giornata, ma una serie di nuvoloni grigio neri perennemente sopra la nostra zona solarium, ci hanno spinti a fare un giro delle maghe a comprare un po’ di cose buone e scoprire le loro differenze. Il gioco per noi sarebbe stato quello di prendere un Asiago fresco da ogni malga e confrontarli ma visto che ci vuole minimo un mese per farlo ci siamo “adattati” con dei formaggi vecchi e stravecchi, caciotte, burro e lardo affumicato. Di seguito troverete delle immagini, alcune scattate con l’iphone e altre scattate a casa con relativa degustazione. La prima visita è stata alla malga Porta Manazzo ed è stato appunto lì che “il Toni” (malgaro doc da più di 40 anni) ci ha spiegato che non avevano il formaggio fresco essendo loro in alpeggio da meno di un mese, ma uno stravecchio di due anni meraviglioso. Già che c’eravamo abbiamo comprato anche 1 kg di burro fresco di giornata. In questa malga stanno partecipando al progetto di recupero della vacca Burlina autoctona Veneta. La seconda malga è Laste di Manazzo, con le sue mucche di razza Rendena. Questa mucca produce poco latte ma questo è molto proteico e aromatico. Qui abbiamo trovato il formaggio dell’anno scorso e una caciotta fresca. A lato della malga c’è un piccolo porcile: (non è raro trovare dei porcili nelle malghe) con il siero e lo scoro del formaggio (i resti della caseificazione detto anche latticello) vengono alimentati appunto i maiali, dando “vita” a dei salami, sopresse e salsicce di ottima qualità, per questi ci si vedrà più avanti. La terza Malga Dosso di Sotto ospitava il guru del formaggio e del burro Tarquinio, venuto a mancare poco tempo fa, (come vedete dalle foto) amico del noto regista Ermanno Olmi che propio sopra a queste malghe ha girato l’ultimo suo film dedicato alla grande guerra “Torneranno i prati”. Il loro formaggio anche questo del settembre scorso, l’ultimo della stagione d’alpeggio, è molto diverso dagli altri. Il gusto dell’erba e dei fiori spicca molto e un favoloso retrogusto amarognolo persiste alla fine dell’assaggio. Anche qui il burro fresco di giornata, di un colore giallo intenso, dal colore dei fiori che invadono il pascolo in questi giorni. Ultima: nella strada del ritorno la Malga Larici. Qui ci siamo sbizzarriti, è forse la malga che diversifica di più i loro prodotti. Qui le caciotte sono favolose: al cumino, al pepe nero, alla salvia, al rosmarino e al peperoncino. La ricotta affumicata, il lardo affumicato, il salame e le sopresse, tutto incredibilmente fantastico!!!! Il formaggio è anche qui vecchio dell’anno scorso. Per tirare le somme, diciamo che la qualità è spettacolare su tutte quattro le malghe. La passeggiata è molto bella da fare e l’incontro con le marmotte e qualche rapace rende il tutto veramente fantastico e rilassante. Consigliamo la visita meglio non durante il week end.

VENTiSETTE GiUGNO



i GNOCCHi CON LA FiORETA

In vacanza non si lavora, in effetti non abbiamo postato più di tanto ma la nostra ricerca non finisce mai. In una passeggiata sull’Altopiano dei 7 comuni abbiamo conosciuto Paolo, casaro dall’anno della mia nascita. Da prima in caseificio e negli ultimi 20 anni in malga Zebio. il suo fisico ben si è adattato alla passione e alla sua attività di casaro. La sua sagoma è curva più o meno a 90 gradi. I suoi bei capelli e baffi bianchi ben si intonano agli stravaganti stivali di plastica, anche questi bianchi che usa per fare il formaggio. Ci racconta che una volta la cagliata la si otteneva mettendo i cardi nel latte, infatti cardo in Cimbro, dialetto dell’antico popolo dei Cimbri, si dice Bisakäse, che significa “formaggio dei prati” . In altopiano non è molto usata la fioretta, nome dell’ultimo affioramento della caseificazione prima della ricotta, mentre dalle nostre parti, nella vallata dell’Agno, viene usata spesso per fare gli gnocchi. Fioretta, qualche cucchiaio di farina, un uovo, sale e l’impasto è pronto. La consistenza non dev’essere troppo densa, per la preparazione/cottura si usa il cucchiaio (in vendita troverete i cucchiai con il manico allungato) che diventerà la dose che definirà la grandezza dello gnocco. Il condimento principe è il burro di malga, noi ieri abbiamo comprato quello della malga Dosso di Sotto di cui abbiamo già narrato in precedenza. La salvia o la pancetta sono i gregari del signor condimento montano, mentre la ricotta affumicata, lo stravecchio di malga e la noce moscata, separatamente, sono le rifiniture di un fantastico piatto estivo del nostro territorio.

UNDiCi AGOSTO



i CUBANOS iN CUXiNAS

Per questo post le parole non servono, o quasi. Andate sul nostro blog, cercate alla voce iCUBANOS e cliccate per ascoltare il soave suono della fragranza di un sandwich cubano dorato dal burro. Commentate pure (sul nostro blog) se volete avere delle info in pi첫.

UNDiCi AGOSTO



i TRE SALMONi Dal mio amico Ricki Mar ho trovato un salmone selvaggio di un magnifico colore rosa acceso. Ricki mi racconta che la colorazione non è sempre sinonimo di freschezza o di bontà, infatti in moltissimi allevamenti somministrano dei mangimi ricchi di coloranti per far risultare la polpa di quel bellissimo rosa tipico del mio pescione preferito! Ho anche da poco letto di certi scandali su al nord Europa di allevamenti trovati in condizioni indicibili, caso strano, dato che i miglior salmoni vengono proprio da quelle zone. Come diciamo sempre noi di CUXiNA, preferiamo cibarci di animali “felici”, allevati nel più ampio rispetto della specie. Qui siamo di fronte a un salmone selvaggio, pescato in mare, il top! Quando sono arrivato a casa ho pensato di diversificare la cottura di questo magnifico trancio. Per iniziare, la mia “ricetta” preferita, per semplicità e sapore: Il carpaccio: io lo adoro con un po’ di pepe e sale, un filo d’olio e due gocce di salsa di soia o in alternativa due gocce di limone/lime. Oggi ho voluto abbinarlo ad un avocado ben maturo tagliato anch’esso a fettine sottili, trovo che ben si sposi per grassezza e dolcezza al nostro bel salmone. Non ci resta che tostare del pane per fare dei crostini e il mio aperitivo/antipasto preferito è pronto. La seconda versione è sempre molto light, la cottura è al vapore, il trancio lo appoggiamo sulla parte della pelle, a piacere nell’acqua sottostante potete mettere dei profumi, spezie, bucce di agrumi, io qui non ho messo assolutamente nulla, giusto una manciata di sale dolce di Cervia. Per il tempo di cottura, vi potete orientare con il colore, quando diventa di un rosa chiaro più leggero è pronto. Essendo un pesce di prima qualità non sarà mai un problema se risulterà “rosa” all’ interno visto che come abbiamo detto è fantastico anche crudo. Questo periodo è la stagione dei funghi, ho quindi pensato di abbinare dei finferli o “xaletti” anch’essi al vapore. La consistenza è risultata simile ai funghi sott’olio. La prossima volta, per cambiare, proverò a saltarli in padella, magari con due striscioline di speck per renderli croccanti e contrastare la morbidezza del pesce. Come base, giusto perchè il tutto fin’ora era troppo salutare, una maionese emulsionata con un filo d’olio buono e un battuto di basilico limoncello (o almeno così me lo hanno venduto al vivaio all’ inizio dell’estate), per rendere il piatto ruffiano e veramente eccezionale! Terza e ultima interpretazione è alla griglia, anche qui dapprima appoggiato solo sul lato della pelle per 10 minuti, successivamente un paio di minuti dai lati per rendere il tutto croccante e ben segnato dalla griglia. In abbinamento, sempre in tema di fughi, sua maestà il porcino! Semplicemente tagliato a metà e messo ai ferri per una decina di minuti, solo sul lato del taglio. Un filo d’olio extra vergine d’oliva unito a un pesto di basilico rosso o viola. Qui il salmone credo esprima al massimo il suo sapore, i grassi ben si rosolano con il calore violento della brace, e di conseguenza l’aroma si sprigiona nella croccantezza dorata delle sue carni. Non mi resta che augurarvi buon appetito, buon appetito e buon appetito ;)

VENTiCiNQUE AGOSTO



i TRE CALAMARi

La specie è per la precisione Molluschi cefalopodi, e come tutti i molluschi sono da mangiarsi con parsimonia in quanto sono ricchissimi di colesterolo. Anche qui pescati 8 ore prima, mi facevano l’occhiolino dal banco del pesce ed ho pensato bene di comperarli e di farne tre piatti diversi. La prima ricetta è di una semplicità unica, una volta puliti (se non avete dimestichezza il vostro pescivendolo sarà ben felice di pulirveli per bene in un secondo) li ho messi alla griglia per una decina di minuti (il tempo è sempre relativo, nel senso che non sapendo che pezzatura avranno i vostri calamari, quanto fuoco avete sotto la griglia, o quante braci, è davvero difficile stabilire un tempo) o fino alla cottura ottimale che vi ricordo non dev’essere eccessiva, piuttosto crudi che troppo cotti, altrimenti risulteranno gommosi. Nella stessa griglia ho messo in cottura delle melanzane Slim Jim, lunghe e sottili che ben si presteranno nell’infilarsi all’interno del nostro cefalopode grigliato. È davvero semplice, ma di un sapore fantastico. Ovviamente aggiustate di sale e pepe, un filo d’olio buono, magari con un battuto di prezzemolo fresco e uno spicchio d’aglio in infusione, daranno al piatto una marcia in più! La seconda versione del mollusco, al vapore: anche qui il tempo è un po’ ad occhio, nel senso che quando tastando con le punte della forchetta queste si infileranno nella carne senza grande resistenza, è cotto. Sarà la sua forma, è una tasca perfetta, ma mi invoglia di riempirlo. Questa volta ho fatto un insalatina con un po’ di foglioline gentili verdi, un po’ di rucola, dei pomodorini dolci tagliati a pezzettini molto piccoli, dell’avocado (ci vedrei bene anche del cetriolo ma non lo avevo in casa) il tutto condito con olio, sale e limone. Farcite la tasca naturale, aggiustate di olio sale e pepe all’esterno, mi raccomando che il pepe sia appena macinato la differenza è colossale!!! Il risultato anche qui è assicurato, un piattino very light è pronto in 15 minuti. Ultima versione, spadellato con un filo d’olio. Qui abbiamo utilizzato anche le teste degli altri che non avevamo usato prima, qui la tempistica è davvero veloce, sminuzzato sottile il tutto, 5 minuti a fuoco vivace e poi spegnete, se vi piace un paio di becche d’aglio in camicia e un peperoncino possono dare ancora più sprint al piatto, ma vi assicuro che già così è davvero mooolto saporito. In abbinamento, un friggitello che ho grigliato (visto che avevo il barbecure acceso per il resto) oppure lo potete anche spadellare prima con un filo d’olio nella stessa padella. Qui i sapori forti la fanno da padrona! È incredibile che la stessa materia prima, gestita in tre versioni differenti porti a dei risultati così tanto diversi. È un gioco davvero curioso, ve lo consiglio come tema magari per una cena con gli amici.

TRE SETTEMBRE



LO SPADA ALLE CALANDRE

Il pesce fa bene! Il pomodoro anche! E quindi capita che da una cena avanza un trancetto di pesce spada piccolino. Io per scelta tendo a non mangiare i pesci di grossa taglia, nella loro lunga vita pare assimilino una grande quantità di mercurio. In verità il mio amico Rikymar me lo avrebbe consigliato per il crudo, ma la cena di ieri sera era già abbondante. Abbiamo sigillato i tranci di pesce in una padella con un filo d’olio, in un’altra padella abbiamo fatto profumare dell’altro olio con 3 spicchi d’aglio fresco, e ci abbiamo tuffato il contenuto di un barattolo di pomodorini regalato in una serata alle Calandre dal mitico chef Alajmo. Il tempo di restringere il sughetto ed ecco il matrimonio tra pomodoro e pesce, 10 minuti di fuoco vivace e il piattino è pronto. Ma veniamo in velocità a raccontarvi la serata di eri, siamo partiti leggermente in ritardo con la preparazione e quindi non abbiamo documentato nulla a livello fotografico. Qualora lo vogliate, potete scrivermi che vi passo le ricette. Una cena di pesce non la si può definire tale se non parte da un piattino di crudo. Scampi e gamberoni rossi siciliani conditi con un filo d’olio buono e pepe macinato al momento, eviterei il sale. La piovra è ormai di casa in CUXiNA, bollita e servita con le “savate del Papa” anche loro lessate in acqua leggermente salata. Opss forse non conoscete le “ciabatte del Papa”, sono dei fagioli piatti e molto grandi, vedi foto, il loro sapore è molto simile alla castagna. Le capesante sono un altro must di una cena di pesce e quindi le nostre le abbiamo cotte in forno con olio aromatizzato all’aglio fresco e una spruzzatina di Grand Marnier, pepe e sale qb. Il primo piatto, un raviolo ripieno di sgombro e semi di finocchio serviti su un fondo di stracciatella fredda e conditi con una passata di pomodoro home made. Come secondo piatto, un branzino di 2kg netti pescato a Pila nel “rovigotto” cotto al forno con le foglie fresche di lemongrass direttamente dalla nostra terrazza e pomodorini ciliegino. Saltiamo la lista delle bevande ma segnaliamo solo uno strepitoso Nocino di Gambugliano 2015 e un fantastico liquore di “ErbaLuisa” sempre dello stesso comune e annata ;)

VENTISETTE SETTEMBRE



iL GERMANO E iL ROSARiO

Ho dovuto documentarmi per capire la tradizione, devo dire che non ho trovato il nesso con l’anitra e la Madonna del Rosario, pare si festeggi l’apparizione della Madonna alla fine di una battaglia contro i Turchi, ma dell’anatra nessun segno. Magari se qualcuno dei nostri lettori ci illuminasse ;) Comunque le tradizioni si devono rispettare, ed eccoci come ogni anno a cuocere l’anitra per i famosi “bigoli co’ l’arna”! Quest’anno faremo un piccolo cambiamento rispetto agli anni scorsi, useremo delle lasagne al posto dei bigoli. L’altra sera abbiamo fatto dei ravioli con la zucca ed abbiamo avanzato un po’ di sfoglie, tagliate a lasagne oggi saranno perfette. Uova direttamente dal pollaio del mio amico contadino, farina ormai assolutamente Chilometro Cinque integrale mescolata con una bio numero 2, mix perfetto per i nostri gusti! Ma veniamo all’anatra, nel nostro caso 2 maschi di germano reale, cacciati nelle foci del Po, credo verso Rovigo. Lì arrivano a milioni durante la migrazione, atterrano per mangiucchiare qualcosa appunto nelle foci per poi riprendere la loro migrazione. L’abbinamento principe dell’anatra è con gli agrumi, e così i nostri germani li abbiamo abbinati a un agrume misterioso, nel senso che non mi ricordo più il nome, assomiglia a un incrocio tra arancio e limone. Per la cottura abbiamo usato il tajin Marocchino, diciamo che sostituisce ottimamente la nostra “tecia de terra” direttamente appoggiata sui cerchi della stufa economica a legna. Quindi: 4 bacche di ginepro, 2 chiodi di garofano, 1 carota a pezzetti e appunto 2 agrumi da prima spremuti e poi lasciati in cottura con i volatili. Anche all’interno del germano ce ne metteremo uno spicchietto con una presa di sale grosso. Per il resto, come dico sempre, il tempo, la calma e la pazienza faranno da ingrediente principale. Una volta cotti andranno spolpati, con le ossa restanti faremo un fondo bruno tostando le ossa in una pentola per poi metterci un po’ d’acqua e ghiaccio, una volta ristretto il tutto lo si filtrerà e lo si unirà al sughetto per i bigoli, o come nel nostro caso, le lasagne!!! Buona domenica del rosario, a tutti!

QUATTRO OTTOBRE



iL POST DEL POST, iL BUSSOLAO Un po’ di farine di vario tipo in frigo e il forno acceso per la cottura dei fantastici peperoni ripieni (post a seguire), un blocco di cioccolato avanzato dalle crêpes, insomma, voglia di recuperare e non buttare il cibo!!! Faccio una torta, il che non è da me, io e la pasticceria non andiamo molto d’accordo. Diciamo che se la cucina è pura creatività ed istinto (parlo per me, da autodidatta e assolutamente non da chef che è tutt’altra storia) la pasticceria è l’assoluta espressione della precisione e della tecnica. Per velocità e solo per la pasticceria, mi tuffo su google e cerco una ricetta per fare un bel ciambellone, come quello che mi faceva la mia nonna. Digito il nome sulla barra di ricerca, nel nostro dialetto Veneto: Bussolao. Il mio stupore, la meraviglia, il piacere, la sorpresa, nel vedere che alla seconda voce appariva: “il bussolao di CUXiNA MARCHESiNi ”. Per la prima volta faccio una mia ricetta! In verità la ricetta è della mia zia Natalina, l’avevamo pubblicata nel primo post, il giorno dei morti, agli albori del nostro blog. Ho fatto alcune modifiche alla ricetta originale: le farine sono nell’ordine di grano saraceno, semola di grano duro, integrale “Chilometro Cinque” e grano tenero “00”, lo zucchero è il solito integrale Moscobado, il lievito è sostituito dal bicarbonato di sodio. Per il resto tutto uguale, anche leggermente bruciacchiato come quello della Natalina. Dimenticavo, anche lo zucchero di rifinitura non era quello giusto, la zia e la nonna usa/usava lo zucchero in grani ;( Parliamo ancora di cucina generazionale con questo dolce, semplice ma non banale. La mia nonna faceva solo questa torta, il bussolao o Ciambellone. Adoravo il contrasto del dolce dell’uvetta e dello zucchero in grani con il sale che cristallizzava sulla crosta. È un buon dolce da credenza, nel senso del mobile e non religioso. Adesso a tramandare questa dolcezza è la mia zia Natalina, l’unica capace di replicare la ricetta della Rosina. Per prima cosa, far fondere a bagnomaria il burro, farlo raffreddare, unirlo alla farina e allo zucchero, aggiungere il latte tiepido, sbattere le uova e aggiungerle al composto che continuerete a mescolare con una frusta o una forchetta. Aggiungere il lievito, infine l’uvetta e il sale. Essendoci il lievito chimico il composto non deve riposare, in quanto questo tipo di lievito agisce in cottura, essendo un insieme di elementi chimici (Bicarbonato di Sodio e Cremor Tartaro) l’aggiunta di questo lievito dà una maggiore volumetria all’impasto, rendendolo soffice e fragrante. Imburrare una forma per ciambella e cospargerla di farina, in modo tale da non far attaccare il dolce in cottura. Infornare a 180ºC per circa 30 minuti. 400 gr farina 00 - 250 gr zucchero - 3 uova - 100 gr burro - un bicchiere di latte - lievito per dolci - sale - uva passa

SEI OTTOBRE



TANTI AUGURi A NOi Oggi, giusto un anno fa iniziavamo questa bellissima avventura, padre e figlio ai fornelli. Un’idea nata dalla mia passione per la cucina, la fotografia e la scuola alberghiera di mio figlio Mattia. Ad oggi siamo sempre più felici di questa scelta e gratificati da un sacco di persone che ci seguono e apprezzano il nostro stile e il nostro pensiero. Per l’occasione riparliamo, come l’anno scorso, di zucca e quindi vi lascio con il post della torta di zucca. Siamo a fine Ottobre ed è il periodo di dolcetto/scherzetto, “aulin” come lo definisce la Iaia, la mamma e nonna di casa Marchesini. Ammetto che le festività d’oltreoceano non mi fanno impazzire, ma avevamo mezza zucca in frigo e quindi il piccolo chef Mattia ha deciso di sfruttare il nuovo mezzo entrato in cuxina, la planetaria, per fare una torta. “La zucca margherita” questo è il suo nome di battesimo, inventato mentre scrivo. Per l’occasione vi elencherò gli ingredienti: 600 gr di zucca pulita 4 uova 100 gr di burro 150 gr di zucchero semolato 350 gr di farina 00 1/2 bustina di lievito (8 gr) 80 ml di latte Pulire la zucca da semi e buccia è sempre ardu (per la scorza intendo) usate sempre molta cautela. Cuocetela al vapore o in padella con un goccio d’acqua fino a renderla morbida al punto da poterla ridurre in purea con una forchetta, l’importante è che risulti bella asciutta e non acquosa. Montate i tuorli con lo zucchero fino a che non saranno gonfi e spumosi, unite il burro morbido, la zucca e poco alla volta la farina che avrete unito al lievito e a un mix favoloso di spezie che più vi aggradano (noi cannella, noce moscata e all spice) e una volta amalgamato bene il tutto aggiungete il latte tiepido. Montate a neve gli albumi con le fruste o con una bellissima planetaria rosso fuoco metallizzato ed incorporateli al tutto dal basso verso l’alto. Siate delicati in questo passaggio, è importante che gli albumi si incorporino e rendano il tutto soffice e spumoso, leggero. Imburrate la teglia, cospargetela con farina o con zucchero di canna, e tuffateci la vostra creatura cremosa e profumata. Non resta che infornarla per 50 minuti a 180°, pazientare e ammirarla in tutto il suo splendore che lievita in forno. Controllate con lo stuzzicadenti, se lo estraete bello asciutto è il momento di sfornarla. Lasciatela raffreddare e gustatevi questa torta sana e poco calorica. Di nuovo, BUON COMPLEANNO A NOI

VENTINOVE OTTOBRE



Alla fine di ogni libro che si rispetti, “due” righe di ringraziamento ci sono sempre. Anche questo, che vorrebbe essere un libro di ricette ma che in realtà è solo un simpatico quaderno che raccoglie alcuni post del nostro blog, si conclude con i ringraziamenti rigorosamente in ordine alfabetico. Il primo grazie va sicuramente alla mia compagna Danijela, che ci supporta in tutte le nostre preparazioni, specialmente dal punto di vista logistico. Di seguito tutti gli altri/e: Alfredo, Andrea, Cecco, Chiara, Danilo, Erika, Erio, Gianfranco, Giulia, Grazia, Marco, Marta, Matteo, Mattia, Nadia, Nadir, Paolo V., Paolo Z., Riky, Sebastiano, Stella, Tiziana. Un ringraziamento speciale alla famiglia Saccuman & C.

Finito di stampare nel Dicembre 2015 presso Segnoprint



WWW.CUXiNA.iT


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