Vittorio Coco
GIORNALISTA PER CASO I primi 60 anni
GIORNALISTA PER CASO Copyright © by Vittorio Coco Orchidea Pubblisng inc. - Toronto - Roma
Ai miei genitori per avermi messo al mondo ed insegnato il rispetto per il prossimo e di non essere mai iprocita, ma soprattutto essere umile. A Nancy per avermi sopportato per 60 anni e piÚ.A Vinicio l`unico erede, che nostante sia nato in Canada è rimasto saldamente legato alle nostre radici millenarie. Ai nipoti Christopher, Isabella e Gabriella, sostenitori assoluti del nonno e i miei bastoni per gli anni che il buon Dio, vorrà concedermi in questo, travagliato, a volte incomprensibile e allo stesso tempo meraviglioso mondo
Prefazione Da tempo mi frullava in testa, di raccontare attraverso le pagine di un libro in modo semplice e comprensibile, i sessanta e più anni, di giornalista e “personaggio pubblico della radio e televisione”. Francamente non sapevo minimamente dove iniziare e allora mi sono affidato alla tastiera del mio computer. All’ inizio mi è sembrato una vera e pura follia. Innanzitutto mi sembrava troppo pretenzioso raccontare fatti strettamente legali alla vita dei miei genitori, dei miei cari amici e dei personaggi incontrati e intervistati ne corso del tempo. Poi mi sono detto: “molti di loro non ci sono piu` e quindi non potrò essere redarguito. Speriamo che dall’ alto dei cieli sapranno perdonarmi”. Nel corso di questa avventura, parlerò di mio padre e le sue vicissitudini durante i suoi 11 anni di servizio militare agli ordini del Regio Esercito italiano. Parlerò anche della mia dolcissima ed adorabile mamma Irma e il suo tempo che strascoreva a pregare il buon Dio e che facesse tornare sano e salvo mio padre mandato a servire la Patria nella sciagurata guerra voluta da Mussolini. Mamma Irma, donna molto devota di Sant’Erasmo, patrono di Roccagorga, pregava affinché potesse intercedere e guidare il cammino del babbo verso casa. Racconterò episodi ed aneddoti legati a nonno Vincenzo, (detto Cenzo) della nonna Camilla (la diplomatica), degli zii, Ferdinando, Algimiro e Giuseppe. Non mancheranno le mie vicende vissute durante sessanta anni di vita in Canada. Per raccontare il tutto e con qualche difficoltà, ho cercato di riavvolgere il nastro intellettuale che ormai diventa sembra piu` fragile per focalizzare gli eventi che in qualche modo hanno cambiato la mia vita. Ho tentato di raccontare in modo sintetico, eventi storici, politici, culturali e sociali di un mondo in continua evoluzione. Un lungo capitolo l’ho voluto dedicare ai miei 45 anni di collaborazione con la Chin Radio and Television (unico lavoro dopo un breve periodo al Giornale di Toronto, nelle vesti di vice-direttore e inviato speciale). Insomma una maratona di cose, spero importanti, ma anche piccoli episodi che in qualche modo hanno cambiato e modellato il mio modo vi vedere il mondo. Ho voluto dedicare anche molti capitoli all’avventura di inviato al Festival di Sanremo (35 in tutto) alla politica, alla solidarietà, al contributo sociale della mia gente, la morte e la
rinascita della Federazione Laziale del Canada, e i dodici anni passati alla presidenza del sodalizio. Illustrerò in forma sintetica le amicizie di alcuni amiche che nel bene e nel male, sono stati i miei maestri di vita. E per concludere, un lungo capitolo l`ho dedicato alla musica che per 35 anni è stata la colonna sonora del programma radiofonico pluripremiato “Wake up Italian Style”. Il programma radiofonico in lingua italiana in Canada più seguito non soltanto dagli italo-canadesi ma, anche e soprattutto, da latino americani, portoghesi e canadesi. Nel corso della mia carriera giornalistica, ho avuto il privilegio di intervistare sia per la radio, sia per la televisione, oltre 2000 personaggi che spaziano dal dittatore Fidel Castro, all’ astronauta dell`Apollo 11 Buzz Aldrin che il 20 luglio 1969 atterrò sulla superfice lunare. Poi c`è il Presidente degli Stati Uniti Ronald Regan, il fratello di Bill Clinton, Gina Lollobrigida, star antipatica e presuontosa, Sophia Loren, dolce intellettuale e gran signora del cinema e tantissimi altri. Per oltre 35 anni, ho avuto il privilegio di essere stato inviato al Festival di San Remo dove ho avuto la fortuna di incontrare delle persone squisitissime e umili eon i piedi per terra, ma anche cantanti superbi, ignoranti e presuntuosi. Di San Remo ho comunque un bellissimo ricordo che mi piace ricordare: l`incontro con il redattore capo di Rai International, Augusto Milana. Augusto per due anni consecutivi, mi affidò la conduzione del Festival di San Remo per Rai International. Un privilegio che pochi possono vantare. Nel cammino della vita, si fanno amicizie, si incontrano personaggi pronti a sfruttarti, ma si incontrano persone con cui l`amicizia diventa sacra. Tra questi, mi piace annoverare, Johnny Lombardi, il figlio Lenny, sua moglie Grace eTeresa Lombardi. Loro oltre ad essere i miei datori di lavoro, sono diventati dei veri amici , con cui il lavoro diventa un fatto secondario. Infine un capitolo l`ho riservato al grande Pippo Baudo, intervistato in esclusiva in collaborazione con l’amico fraterno Ali Bidabadi (il cameraman scappato dall’ Iran insieme alla famiglia per rifugirai prima in inghilterra e poi il Canada). Alì è stato e rimane un compagno di mille avventure giornalistiche e una persona per bene.
Capitolo I Nascere in un momento complicato Mia madre mi raccontava che sono nato alle 2 e mezzo del mattino dell`11novembre, nella casa di famiglia in Via Rattazzi 11 a Roccagorga in provincia di Littoria. Un parto normale a detta dell`Ostetrica. Ad aiutare la “levatrice” al mio parto c`erano le zie Rosalia, Maria e nonna Camilla. Al mio parto mancava mio padre Ubaldo. Qualche mese prima della mia nascita, era stato richiamato dal ministero della guerra per partecipare alla campagna in Etiopia. Lo incontrerò per la prima volta al suo ritorno dalla prigionia in Africa. Avevo quasi sette anni. Gli anni di guerra e ancor prima come soldato, aveva fatto di mio padre Ubaldo, un uomo all’ apparenza duro e super-disciplinato, ma sotto quella scorza all’ apparenza dura, era un padre dolce, premuroso e protettivo della propria famiglia. Durante la campagna russa aveva imparato a caro prezzo come sopravvivere alle gelide temperature che di notte raggiungevano i meno -40 gradi, ma soprattutto come salvarsi la pelle dalla mano nemica dell’esercito russo. Il compito di mio padre era rifornire i viveri ai nostri soldati, usando i muli come mezzo di trasporto. I tristi ricordi della guerra, la prigionia in Africa e la morte di tanti suoi commilitoni, lo avevano indotto a tenerselo per se, ed aveva promesso a se stesso di non parlarne mai. Per il servizio reso gli venne conferita la croce d`argento. Era troppo doloroso, raccontare i lunghi anni passati a vedere morire tanti suoi amici e quindi non amava parlare dei suoi undici anni al servizio della Patria. Ma su mia insistenza qualche anno prima di morire, mi raccontò dettagliatamente la sua esperienza nel fronte russo e gli anni passati in un campo di concentramento in Africa. Innanzitutto ci teneva a precisare che non era mai stato un simpatizzante di Mussolini, piuttosto un servitore della Patria “Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che cricchiava sotto le scarpe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”. “Che fosse una spedizione iniziata sotto i peggiori auspici l’avevamo capito fin dai primi giorni”. Mio padre era nato il 9 settembre 1914, ed era inquadrato nella Divisione Julia, 3° Reggimento artiglieria da montagna. «Partimmo con la tradotta: passammo da Gorizia e poi, via Tarvisio, in Austria, Polonia e
Ucraina. Ma lì ci dovemmo fermare: in Russia i binari avevano una larghezza diversa ris petto al resto d’Europa. Scendemmo e ci accampammo per la notte, noi e il migliaio di automezzi al seguito della “Julia”, parcheggiati in ordine, pronti a partire il giorno dopo. Non ti dico le bestemmie in quei momenti. Con tutta la strada ancora da fare e il treno fermo lì, cominciavamo bene» «Il giorno dopo, all’ alba, ci preparammo a partire. Ma gli autisti, che erano stati i primi a salire sugli automezzi, avevano già scoperto che non si potevano nemmeno mettere in moto. Eravamo ancora in settembre ma durante la notte la temperatura si era abbassata a tal punto da far congelare i motori, dove nessuno si era preoccupato di mettere l’ antigelo.
Così, cambio di programma e via a piedi: marciammo per 5 giorni, facendo una quarantina di chilometri al giorno». Appena arrivato ho cercato di orientarmi in quei lunghi fossati profondi circa due metri che si intrecciavano tra di loro e terminavano in piccole caverne rivestite di tronchi, riempite con rudimentali letti a castello: le nostre “camere da letto”. Poi mi sono fatto coraggio e mi sono affacciato al bordo della trincea guardandomi attorno: eravamo piazzati nella steppa piena di neve, davanti c’era il fiume Don, tutto gelato. Quando arrivò l’imbrunire i russi cominciarono a mandare canzonette italiane a tutto volume: ci invitavano ad arrenderci illustrando la stupenda vita che facevano i prigionieri di guerra. Ma mi sono accorto davvero
di essere in trincea quando mi hanno dato un pezzo postazione da controllare e i russi hanno iniziato a sparare. A un certo punto le acque si sono calmate e mi hanno dato finalmente il cambio: sono entrato nel mio tugurio, mi sono spogliato e coricato a letto. A svegliarmi poco dopo sono state invece raffiche di fucili, grida e ordini. Ed è qui che ho imparato la mia prima grande lezione: mai togliersi i vestiti, neanche per riposare!». In Russia ci sono rimasto per 12 mesi, tra fame, freddo, pidocchi e marce interminabili a -40 gradi. Il rincalzo di 230 mila uomini è arrivato un anno dopo. La cosa che mi ha colpito quando siamo giunti nella terra degli zar è stato il mesto sorriso dei russi e, ovunque, i segni della miseria provocata dalla guerra». «Nel lungo viaggio verso casa ci fu anche chi fu costretto a rubare ai morti stivali e indumenti: i nostri non bastavano a respingere il freddo della steppa. Pativamo così tanto che per sopravvivere alla notte ci rifugiavamo nelle isbe russe dove cercavamo anche di racimolare quanto più cibo possibile. La maggior parte delle famiglie dava quel che poteva, forse perché avevano paura. Fatto sta che anche loro avevano ben poco di cui sfamarsi». «Quando si entrava nelle isbe si chiedeva “Khleba! Khleba!” che significa “Pane!”. Ma quei poveretti non ne avevano neanche per loro, figuriamoci per noi». Oggi che quelle pene sono lontane, questi uomini non la smetterebbero mai di raccontare, anche se costa loro fatica. «Morti durante il cammino ne ho visti tanti, troppi: a volte eravamo persino costretti a camminarci sopra. Non si poteva morire in quel modo: giovani di vent’anni lasciati lì, insepolti in terra straniera!» Si commuove mio padre. «Di loro ora ci rimane solo un ricordo flebile, ma ancora vivo: certo soffriamo ogni volta che lo strappiamo dal cuore per comunicarlo agli altri. Ma lo facciamo ugualmente perché solo così il loro sacrificio non andrà mai perduto». E a proposito delle divise italiane indossate dai nostri soldati e le “scarpe di cartone”. “Le nostre devise italiane e scarponi non erano di cartone, come oggi vogliono far credere chi non le ha mai indossate”. Nella tragedia della sciagurata guerra, mio padre fu uno dei fortunati. Dopo un anno gli fu dato il cambio e torno` in Italia e venne mandato in Sicilia, e fatto prigioniero dagli alleati ed inviato al campo di concentramento in Sud Africa, come «Prisoner on war», prigioniero della Seconda guerra finito fra il filo spinato degli inglesi in quel Sud africa che aveva accettato la cobelligeranza con il governo britannico. Mio padre mi raccontò le ‘‘sue’’ storie di guerra, di battaglie, di deportazioni, di sofferenze, ma anche di evasioni e di «complimenti a quel colonnello boero, Hendrick Frederik Prinsloo, che comandò il campo di concentramento con grande umanità»,- ricordando che poteva finire molto peggio dopo la cattura nei vari fronti di guerra africani: dalla Libia all’ Egitto, dall’ Algeria all’ Etiopia. Nella sua lunga permanenza in prigione mio padre imparò l`inglese (gli fu utile una volta emigrato in Canada nel 1958). Nonostante i complimenti rivolti al Colonnello Prinsloo,
comandante del campo di concentramento - Per lui ogni paio di braccia regalate agli inglesi erano come un fucile in più sulla testa degli italiani. All’inizio i prigionieri vivevano in tende, al freddo, senza scarpe, pochi vestiti...». I morti furono 252, 12 i suicidi, 12 i folgorati dai fulmini che entravano nelle tende attraverso i pali d’acciaio che le sostenevano. «Ma dal ‘43 le tende divennero baracche e si faceva sport: calcio, pugilato, atletica. C’erano anche i teatri. Nel tempo libero schiacciavo le scatolette vuote e rincorrevo i conigli selvatici «Nel campo di concentramento ho perfezionato l’inglese che poi mi è servito in Canada». Ci sarebbero molte altre cose da raccontare di mio padre... questo rimane un segreto che lascio in eridità ai miei nipoti i quali un giorno potranno raccontarlo ai loro figli e alle future generazioni. Prima di morire mi disse di smontare tutte le falsità dette negli ultimi 70 anni sulle scarpe di cartone indossate dai nostri soldati. 1) Quante volte abbiamo sentito, a scuola, all’università, in documentari televisivi o dalla voce di persone di nostra conoscenza, frasi come queste: “I nostri soldati avevano le scarpe di cartone!”, “Il nostro esercito era male armato!”, oppure “Noi avevamo il fucile 91, del 1800!”, o letto nelle classiche memorie del fronte russo di Nuto Revelli o Rigoni Stern: “Noi avevamo i muli, i tedeschi i carri armati” e persino recentemente l’autolesionismo patrio, in una Fiction riguardante uno degli eroi veri dell’Italia, Salvo d’Acquisto, è arrivato a un… “Guarda, i tedeschi hanno pure i caschi coloniali, e noi no!”, quando in realtà i soldati tedeschi dell’Afrika Korps preferivano le divise tropicali italiane o quelle inglesi catturate alle loro. “I nostri soldati avevano le scarpe di cartone!”. In realtà gli scarponcini militari italiani erano in cuoio e pelle di buona qualità, certamente quando si devono fare indumenti in milioni di esemplari si prendono delle scorciatoie produttive: quindi si usano fibre artificiali, etc. Gli stessi tedeschi già dal 1939 accorciarono i loro famosi stivali per risparmiare cuoio, dal 1941 distribuirono alle reclute solo degli scarponcini bassi da portare con le ghette, e iniziarono presto a usare filati artificiali come il rayon nei capi d’abbigliamento e a usare bachelite, carta pressata e resine per fare bottoni o parti di equipaggiamento. Lo stesso equipaggiamento invernale italiano, consistente in cappotto in panno, guanti in lana, etc., seppur purtroppo inadeguato per l’inverno russo, era esattamente pari a quello tedesco del 1941; solo nell’inverno successivo la Wehrmacht introdusse delle tenute imbottite per i suoi soldati. Di nota anche il fatto che al Btg. Monte Cervino, inviato in Russia, furono consegnati scarponi dotati delle modernissime suole in gomma VIBRAM, altro che “cartone”! Corollario: “Avevamo le pezze da piedi e le fasce mollettiere”. Le pezze da piedi erano considerate dai veterani come migliori e più durevoli delle calze, le fasce mollettiere erano, all’inizio guerra, adottate da molti dei contrapposti eserciti! “Noi avevamo il fucile 91, del 1800!” Una delle frasi dimostranti maggiore malafede: il fucile 91 fu in effetti adottato nel 1891… ma d’altronde i fucili usati nella seconda guerra mondiale delle altre nazioni erano molto più
recenti? Vediamo: Germania, Mauser K98k, adozione 1898, Inghilterra, Lee Enfield, 1900, Russia, Moisin-Nagant, 1891, Giappone Meiji-Arisaka, 1897, USA, Springfield 1903… 1903!
Il “vecchio” 91 era decisamente in buona compagnia! “Il nostro esercito era male armato!”. Certamente dopo il 1942-1943 il divario tecnologico e industriale con le potenze Alleate o la Germania si ampliò effettivamente in modo irreparabile per il sistema industriale-militare, sociale e politico italiano ma sino al 1941-1942, se per esempio compariamo armi e mezzi italiani con quelli inglesi in Nord Africa, uno dei teatri che videro il maggior impegno delle FFAA italiane nella seconda guerra mondiale, troveremo delle sorprese: nelle armi individuali sostanziale parità, e se gli inglesi avevano una eccellente mitragliatrice leggera, il Bren, noi schieravamo una ottima mitragliatrice pesante, la Breda 37. Una nota dolente riguarda poi il famoso moschetto automatico Beretta MAB 38 A, eccellente arma da fuoco automatica camerata per una potente munizione da 9 mm: prodotta in decine di migliaia di esemplari già nei primi anni di guerra, fu però distribuita solo a pochi reparti e in pochissimi esemplati a causa della mentalità retrograda degli Uffici Armi del Regio Esercito che vedevano nella celerità di tiro dell’arma solo uno “spreco di munizioni”. Il risultato fu che prima della Repubblica Sociale Italiana il MAB finì in numeri maggiori nelle mani dell’Esercito Rumeno (che ne acquistò molti esemplari) e della Wehrmacht che ne requisì a magazzini interi dopo l’8 settembre 1943 controllandone poi la produzione che in quelle dei militari regi
italiani. Nei corazzati, se noi allineavamo le giustamente vituperate “scatolette di latta”, i piccoli carri L3, anche gli inglesi non scherzavano con le loro “bare di fuoco”, i vari modelli di Light Tank (carri leggeri) armati di mitragliatrici; nei carri medi i nostri M13/40 e modelli M successivi tenevano bene, con il loro pezzo da 47 mm, contro il 40 mm dei carri Cruiser e Valentine inglesi, il cui cannone peraltro poteva sparare solo granate perforanti e non anche quelle esplosive, essenziali per ingaggiare a distanza i cannoni anticarro e la fanteria trincerata. I Matilda, carri pesanti inglesi, benché dotati di una massiccia corazzatura, erano pochi e lenti. E ad ogni modo, nelle azioni tattiche di corazzati sia gli italiani che gli inglesi sembrano dei novizi imbranatissimi al confronto dei tedeschi, capaci di sfruttare flessibilmente i loro Panzer appoggiati da aliquote di fanteria meccanizzata, artiglieria, genio e aviazione di supporto: anche in questo caso il confronto Italia-Inghilterra è quindi… pareggio! In effetti, quando inglesi e italiani si scontrarono in Nord Africa in condizioni di parità numerica, e senza i tedeschi di mezzo a rubare la scena, anche i Carristi italiani colsero degli allori, come la Divisione Ariete a Bir el Gobi il 19 novembre 1941, quando i suoi 130 carri M batterono i 150 carri Crusader della potente e esperta 22° Brigata Corazzata inglese, distruggendone 42 e perdendone 30. Sicuramente il nostro Esercito era però notevolmente inferiore nelle artiglierie controcarro, nelle comunicazioni, nella logistica e nelle forze meccanizzate, anche se in Nord Africa una buona parte delle unità di fanteria fu comunque dotata di automezzi, come pure le nostre Grandi Unità inviate in Russia con lo CSIR, che poteva allineare alcuni dei migliori reparti del Regio Esercito e dei Battaglioni M. Analizzando le performance di aerei e navi spesso arriviamo a un giudizio di non inferiorità dei nostri mezzi, per esempio anche l’utilizzo della Royal Navy del Radar e della decrittazione (non efficientissima, peraltro) dei messaggi italo-tedeschi nella guerra navale nel Mediterraneo, non deve mascherare gli incredibili errori tattici e la pavidità strategica degli Ammiragli italiani nel 1940-1943. Passando all’Aeronautica gli inglesi non avevano poi solo gli splendidi Spitfire: nel 1940-1941 i nostri antiquati biplani CR-42 erano coetanei dei biplani inglesi Gladiator, e gli Hurricane, una volta tropicalizzati per l’utilizzo in Nord Africa, avevano le stesse prestazioni dei nostri Macchi MC 200 Saetta… poi le famose “otto mitragliatrici” dei caccia inglesi, se paragonate alle sole due dei nostri caccia, potevano risultare superiori solo a chi non osservasse che le armi inglesi erano di piccolo calibro, 7.7 mm, mentre quelle dei nostri aerei erano le potenti Breda-SAFAT da 12.7 mm, sparanti proiettili incendiari di peso quadruplo rispetto ai proiettili inglesi. Il nostro Macchi MC 205 Veltro, inoltre, benché consegnato ai reparti in pochi esemplari nel giugno 1942, aveva caratteristiche pari ai più moderni aerei avversari. “Noi avevamo i muli, i tedeschi i carri armati”. Considerando che la Wehrmacht schierò contro la Russia nel 1941 più di centotrenta Divisioni e di queste solo una ventina erano Corazzate o Motorizzate, e tutte le altre appiedate e ippotrainate come nelle Campagne Napoleoniche… affermazioni come queste si possono spiegare solo con il ruolo “di parte” di scrittori come Revelli e Rigoni Stern nel dopoguerra. Le cattive prove di talune unità italiane nel periodo 1940-1942
non vanno quindi ricercate tanto nell’inferiorità dei materiali, ma nello scarso addestramento e coesione tra militari di truppa provenienti da regioni diverse, e non resi affiatati dai propri Ufficiali del Regio Esercito, i quali spesso si consideravano come superiori non solo di grado, ma anche di… casta, quindi incapaci di vincere il rispetto e guadagnarsi la fedeltà dei propri uomini. Inoltre gli Ufficiali Superiori stessi, spesso anziani, applicarono tattiche risalenti alla prima guerra mondiale in un contesto di guerra di movimento molto diverso, e invece di aggiornare le loro conoscenze d’arte militare preferirono dare la colpa dei loro fallimenti ai soldati o alle loro armi! La campagna italiana di Russia rappresentò la partecipazione militare del Regno d’Italia all’operazione Barbarossa, lanciata dalla Germania nazista contro l’Unione Sovietica nel 1941. L’impegno di prendere attivamente parte all’offensiva tedesca fu deciso da Benito Mussolini alcuni mesi prima dell’inizio dell’operazione, quando venne a conoscenza delle reali intenzioni di Adolf Hitler, ma fu confermato solo nella mattinata del 22 giugno 1941, non appena il dittatore italiano fu informato che quello stesso giorno le armate tedesche avevano dato il via all’invasione. Rapidamente divenne operativo un corpo di spedizione, forte di tre divisioni, precedentemente messo in allerta: denominato Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR), arrivò sul fronte orientale a metà luglio 1941. Inizialmente inquadrato nell’11ª Armata tedesca e poi nel Panzergruppe 1, il CSIR partecipò alla campagna fino all’aprile 1942, quando le esigenze del fronte richiesero l’invio di altri due corpi d’armata italiani che assieme allo CSIR furono riuniti nell’8ª Armata o Armata Italiana in Russia (ARMIR). Schierata a sud, nel settore del fiume Don, l’8ª Armata assieme alla 2ª Armata ungherese e alla 3ª Armata rumena avrebbe dovuto coprire il fianco sinistro delle forze tedesche che in quel momento stavano avanzando verso Stalingrado. I rapidi capovolgimenti al fronte cambiarono il corso della battaglia; dopo l’accerchiamento delle forze tedesche a Stalingrado, la successiva offensiva sovietica iniziata il 16 dicembre 1942 travolse il II e il XXXV Corpo d’armata italiano (ex CSIR), che facevano parte dello schieramento meridionale dell’8ª Armata, e sei divisioni italiane assieme a forze tedesche e rumene furono costrette a una precipitosa ritirata, che anticipò l’odissea che coinvolse il Corpo d’armata alpino nel mese seguente. Il 15 gennaio 1943 una seconda grande offensiva sovietica a nord del Don travolse gli Alpini ancora in linea, i quali, mal equipaggiati e a corto di rifornimenti, iniziarono una tragica ritirata nella steppa, incalzati dalle divisioni sovietiche e costretti a patire enormi sofferenze. La rotta costò alle forze italiane decine di migliaia di perdite e si concluse il 31 gennaio, quando la Divisione “Tridentina” raggiunse i primi avamposti tedeschi a Šebekino. Le operazioni di rimpatrio durarono dal 6 al 15 marzo e si conclusero il 24, ponendo fine alle operazioni militari italiane in Unione Sovietica[2].
Capitolo II Perchè l`Italia entrò in guerra a fianco di Hitler Mentre Hitler occupava la Francia, Mussolini, convinto di una prossima fine della seconda guerra mondiale, annuncia con notevole ritardo l’intervento italiano a fianco dell’alleato nazista. I motivi per cui l’Italia non era entrata in guerra prima (nonostante il patto d’acciaio) erano l’effettiva impreparazione dell’esercito e la carenza di materie prime. La velocità con cui la Francia era definitivamente crollata, però, aveva fatto cambiare idea non soltanto a Mussolini, ma anche al re, agli industriali, e ai gerarchi fascisti più moderati. Sembrava che l’Italia avrebbe ottenuto una vittoria gloriosa con sforzi minimi. Il 10 giugno del 1940, dal balcone di Piazza Venezia, a Roma, da cui era solito parlare al popolo, il duce annuncia alla folla l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale. I primi fallimenti italiani L’offensiva contro la Francia parte il 21 giugno, soltanto un giorno prima che Pétain avrebbe firmato l’armistizio con i nazisti, e non è il successo sperato: la penetrazione in territorio francese è molto limitata, e le perdite piuttosto alte. Nonostante questo, la Francia stremata chiede subito l’armistizio (firmato il 24 giugno), che prevede soltanto qualche piccola variazione nei confini e una limitata smilitarizzazione. Contemporaneamente Mussolini attacca gli inglesi nel Mediterraneo. La flotta italiana viene sconfitta in Calabria e nell’Egeo, mentre un’offensiva contro gli inglesi in Libia si ferma per la carenza di mezzi. Mussolini era convinto che l’Italia poteva combattere una propria seconda guerra mondiale, parallela ed indipendente da quella tedesca, e per questo, per il momento, rifiuta le offerte di aiuto tedesche in Nordafrica. La disfatta in Grecia e l’aiuto dei tedeschi Gli italiani attaccheranno la Grecia il 28 ottobre del 1940, scontrandosi ancora una volta con una resistenza al di sopra delle aspettative e dovendo ripiegare in Albania. A dicembre, gli inglesi conquistano la Cirenaica, ed è a questo punto che Mussolini deve accettare gli aiuti tedeschi per riconquistare la regione. Nel 1941 gli inglesi riusciranno a conquistare le colonie italiane in Africa orientale: Etiopia, Somalia, Eritrea. Ormai era chiaro che l’Italia non poteva farcela nella seconda guerra mondiale senza l’aiuto dei tedeschi, che nell’aprile del ‘41 interverranno anche nei Balcani ed in Grecia.
Capitolo III Lo sbarco in Sicilia: mio padre viene fatto prigioniero dagli inglesi Da due giorni la guerra in Africa è finita: gli Alleati vittoriosi celebrano la conclusione della campagna con una grande parata. Sfilano sul lungomare di Tunisi i soldati di cinque continenti: sono l’avanguardia di un grande esercito che, presa finalmente l’iniziativa, è riuscito a ottenere un primo successo decisivo. Dal novembre 1942 al maggio 1943 la situazione militare in Europa e in Africa s’è capovolta. Gli Alleati sono dappertutto all’offensiva. In Russia l’armata sovietica, sconfitti i tedeschi a Stalingrado, si prepara a cacciarli dall’Ucraina e a liberare l’intero territorio nazionale. Nel Nord Africa l’VIII Armata britannica del generale Montgomery, sfondate le linee italo-tedesche a El Alamein, ha avanzato in pochi mesi fin dentro la Tunisia collegandosi agli americani sbarcati in Algeria, al comando di Eisenhower, ai quali si sono aggiunti i contingenti della Francia libera. Tunisi è caduta il 13 maggio. Gli eserciti dell’“asse” sono sconfitti. Centocinquantamila prigionieri tedeschi, centomila italiani. Per i tedeschi è una replica di Stalingrado: per gli italiani è qualcosa di peggio, è la fine di ogni speranza. Per gli Alleati è semplicemente la prima fase di un’operazione più vasta che mira ad un attacco diretto alla fortezza europea. L’obiettivo più prossimo e naturale è l’Italia. È il terzo anniversario della dichiarazione di guerra. L’attacco all’Italia comincia dal punto più meridionale. Siccome le isole di Pantelleria e di Lampedusa sbarrano il canale di Sicilia, gli Alleati hanno deciso di occuparle. Dal 15 maggio Pantelleria è assediata; il rifornimento di viveri e d’acqua è quasi impossibile. Massicci attacchi aerei sconvolgono le difese dell’isola. Lo sbarco è affidato ad una Divisione di fanteria inglese, ma l’ideatore dell’operazione è il generale Eisenhower che vuole Pantelleria per il suo aeroporto, per le aviorimesse, e i ricoveri scavati nella roccia. Le poche batterie italiane ancora in grado di sparare sono ridotte in breve al silenzio. Finora gli italiani hanno creduto alla propaganda fascista che dipingeva Pantelleria come una fortezza imprendibile. Non conoscevano la potenza distruttiva dei bombardamenti aerei e navali. Il mattino dell’11 giugno, quando i primi soldati inglesi sbarcarono sull’isola, non trovarono opposizione. Giudicata impossibile ogni resistenza l’ammiraglio Pavesi, comandante della piazzaforte, aveva chiesto a Roma il permesso di capitolare. Mussolini l’aveva concesso subito. Così lo sbarco avvenne senza perdite. L’unica vittima da parte alleata, disse più tardi il generale Bradley, fu un soldato inglese morso da un asino.
Come in Tunisia, gli italiani si arrendevano non soltanto perché soverchiati dalla potenza militare avversaria, ma perché sapevano che ogni resistenza sarebbe stata priva di senso. Civili e militari, e non solo a Pantelleria, non consideravano più gli anglosassoni come nemici. Dopo Pantelleria fu la volta di Lampedusa. Attaccata dal mare, il mattino del giorno 12, l’isola si arrese poco prima di sera. La sua rapida caduta era attesa. Quando si è sulla china della disfatta, tutto ciò che abbrevia i tempi della sofferenza è accettato con sollievo. Salvo pochi fanatici che parlarono di tradimento, nessuno osò criticare l’ammiraglio Pavesi per la sua condotta. Più rapidamente del previsto gli Alleati avevano concluso le operazioni preliminari dell’attacco all’Italia. Pantelleria ne era stata la prova generale. Era il momento di attuare il piano già approvato in gennaio alla conferenza di Casablanca. La Sicilia doveva essere il primo obiettivo dell’invasione, ma intanto occorreva colpire direttamente tutta l’Italia per indurla ad uscire dalla guerra. Furono sei mesi molto duri per il nostro Paese. Gli italiani non possono ripensare a quel periodo senza riudire il segnale d’allarme delle sirene che annunciavano l’arrivo incontrastato dei bombardieri. Gli obiettivi preferiti erano le città del Mezzogiorno. Erano attacchi sufficienti a disorganizzare la vita di un Paese già provato, e ad abbatterne il morale. Gli italiani non avevano un ideale politico che li aiutasse a sopportare. Vedendo crollare le loro case avevano la sensazione della fine e si chiedevano: «perché?». Più gravi, agli effetti della continuazione della guerra, erano le distruzioni degli impianti: industrie, porti, stazioni ferroviarie, vie di comunicazione. Distruzioni che paralizzavano la macchina militare. In mezzo a tante rovine i vecchi “slogan” della propaganda fascista suonavano falsi. Il terrore spingeva decine di migliaia di persone a sgomberare le città maggiormente esposte agli attacchi. La situazione alimentare era gravissima, accentuata dalla crisi dei rifornimenti e dall’aumento dei prezzi. Gli stessi gerarchi fascisti ammettevano che i salari coprivano poco più di metà della spesa quotidiana. D’altra parte le razioni assicurate dal tesseramento si rivelavano sempre più insufficienti. La fame inaspriva il malcontento. Questo tra l’altro spiega il successo degli scioperi scoppiati in quei mesi nell’Italia settentrionale, che coinvolsero (solo a Torino) oltre centomila operai. Erano scioperi economici, che però avevano un fine politico. A vedere i soldati reduci dai fronti, specie da quello russo, si provava non ammirazione, ma pietà. Ci si chiedeva, ormai ad alta voce, che cosa si aspettasse a farli tornare tutti in patria e a por fine alla guerra. A fine giugno rimanevano all’Italia 59 Divisioni efficienti, 32 delle quali erano dislocate-
nei Balcani e nell’Egeo, cinque in Provenza, due in Corsica e quattro in Sardegna. Sulla penisola si trovavano soltanto 12 Divisioni. Sei erano nell’Italia settentrionale, assai disperse e lontane dai valichi alpini comunicanti con la Germania. Attorno a Roma erano concentrate 4 Divisioni. Due erano dislocate nel meridione. La VI Armata di Sicilia, che solo da pochi giorni aveva un nuovo comando, era formata da 4 Divisioni, mescolate e spesso in contrasto con i tedeschi. L’invasione era imminente, la macchina di propaganda continua a i cinegiornali ne traboccavano. Gran rilievo fu dato all’ultima visita del re in Sicilia. Ecco il commento del presentatore: «Il Re Imperatore sbarca in un porto della Sicilia iniziando il lungo ed interessante viaggio nell’isola, viaggio durato otto giorni durante i quali il Sovrano ha visitato gli apprestamenti bellici ed ha vissuto tra le truppe e la popolazione, trovando le une e l’altra animate da uno spirito altissimo e da un’indomita volontà di vittoria.
Il Sovrano ispeziona delle opere di difesa; visita un aeroporto che ospita reparti italiani e germanici. Ispeziona unità di camicie nere. Torna dal lungo e laborioso viaggio nell’isola tra le sue truppe, nell’atmosfera ardente d’entusiasmo e di spirito bellico in cui vivono i soldati di terra, di mare e del cielo che presidiano il territorio della Sicilia». Gli italiani si chiedevano perché si mettesse tanto in mostra quel re che aveva trascorso gli anni della guerra in un completo isolamento. Ma qual’era la reale situazione delle difese dell’isola? Cediamo la parola a uno storico che fu testimone diretto, il generale Emilio Faldella, capo di S.M. della VI Armata. «Alla vigilia dello sbarco c’erano per modo di dire delle fortificazioni in Sicilia; cioè c’erano delle piazze marittime, quelle di Augusta e Siracusa e di Trapani che erano fortificate con delle opere sufficienti, ma tutto il rimanente non si può dire che fosse effettivamente fortificato: vi erano delle postazioni in cemento per mitragliatrici, c’erano dei fossi anticarro, c’era un po’ di reticolati, c’era qualche zona minata, ma era stato impossibile fare un’organizzazione anche lontanamente paragonabile a quella del Vallo Atlantico perché mancava il cemento, mancava il ferro, mancavano le cupole corazzate. Queste organizzazioni difensive erano più che altro organizzazioni per la osservazione e per la difesa immediata delle coste contro gli attacchi di “commandos”. Parlare di artiglierie e di difesa costiera è molto improprio perché o erano delle artiglierie da campagna, che sparavano a tre, quattro chilometri, cinque, sei al massimo; oppure erano delle batterie antiquate che sparavano a nove, dieci chilometri; quindi nulla di paragonabile alle artiglierie navali. Le truppe, poi, destinate a questa difesa, erano: sulla linea costiera le Divisioni costiere le quali davano una sicurezza molto relativa sia per entità numerica dei reparti (il battaglione contava circa seicento uomini) sia per l’armamento, sia per la mancanza assoluta di mobilità sia della fanteria sia dell’artiglieria. Per dire poi quale fosse l’effettiva efficienza di queste Divisioni basta pensare che su un chilometro di fronte c’erano schierati trentasei uomini e due mitragliatrici. Ogni nove chilometri si aveva una batteria di quattro pezzi».
La situazione economica, sociale e morale della Sicilia era ancor più triste di quella militare. Tutti i mali di cui soffriva allora l’Italia, - miseria, carestia, disorganizzazione della vita civile -, qui erano inaspriti dallo stato di grave isolamento e dal martellamento massiccio dell’aviazione alleata. Il malcontento dei siciliani era aggravato dalla presenza dei tedeschi, che si abbandonavano frequentemente a violenze e ruberie. Era vivo il desiderio di uscire comunque dalla guerra. Di abbondante in Sicilia, a quell’epoca, c’erano solo le scritte inneggianti al duce e al regime, dipinte sui muri molto tempo prima. Sembrava che in tutti quegli anni il fascismo fosse stato capace di produrre soltanto parole. Anche i manifesti della propaganda che parlavano di «Sicilia eroica e fedele, trincea della civiltà europea» apparivano come una derisione. Realtà quotidiana erano le sanguinose indisturbate incursioni dell’aviazione alleata. Il 19 maggio l’offensiva aerea s’intensificò. Palermo fu la prima città ad essere colpita sistematicamente, soprattutto nel porto. In giugno cominciarono gli attacchi agli aeroporti. Fu una strage. Alla vigilia dello sbarco, soltanto 49 apparecchi italiani efficienti rimanevano in Sicilia. Anche l’aviazione tedesca subì perdite gravissime. Per ingannare i comandi dell’“asse” sulle loro intenzioni, gli Alleati concentravano gli attacchi ora su un settore ora sull’altro. Si colpivano le città e i porti contemplati dai piani di sbarco, ma anche quelli che ne erano fuori. Alla fine di giugno non c’era ormai un centro abitato di qualche importanza che non avesse sofferto. In ultimo la rovina si abbatté su Messina. Tutte le navi traghetto, meno una, vennero affondate; i rifornimenti si ridussero ancora e crebbe nell’isola la sensazione d’essere completamente abbandonati dal resto d’Italia. Il 5 luglio, quando la flotta d’invasione era ormai pronta a salpare, i giornali pubblicarono il testo del discorso che Mussolini, già perfettamente al corrente della situazione in Sicilia, aveva tenuto qualche giorno prima ai gerarchi fascisti. Mussolini fra l’altro dichiarò: «Il nemico deve giocare una carta. Ha troppo proclamato che bisogna invadere il continente. Lo dovrà tentare, questo, perché altrimenti sarebbe sconfitto prima ancora di avere combattuto. Bisogna che non appena il nemico tenterà di sbarcare sia congelato su quella linea che i marinai chiamano del “bagnasciuga”, la linea della sabbia. dove l’acqua finisce e comincia la terra. Se per avventura dovessero penetrare, bisogna che le forze di riserva, che ci sono, si precipitino sugli sbarcati, annientandoli fino all’ultimo uomo. Di modo che si possa dire che essi hanno occupato un lembo della nostra patria, ma l’hanno occupata rimanendo per sempre in una posizione orizzontale, non verticale». La più grande flotta che avesse mai solcato le acque del Mediterraneo si era data appunta-
mento nello stretto di Sicilia. A destra il convoglio che portava l’VIII Armata inglese del generale Montgomery puntava sulle coste sud-orientali dell’isola. A sinistra, diretto verso le coste meridionali, il convoglio che trasportava la VII Armata americana. Erano complessivamente quasi 1.500 navi da trasporto e oltre 1.800 mezzi da sbarco. 280 navi da guerra facevano da scorta ai due convogli che portavano 160.000 uomini, 14.000 veicoli, 600 carri armati, 1.800 cannoni; 4.000 aerei erano allineati nelle basi nordafricane. Comandava la VII Armata americana il generale Patton, una delle figure più caratteristiche della guerra. Il 9 luglio mattina, improvvisamente si levò un vento fortissimo e una violenta bufera sconvolse il Mediterraneo. Qualcuno propose di tornare indietro, ma l’operazione ormai era scattata. Quella sera, nonostante il maltempo, dagli aeroporti del Nord Africa, decollò l’LXXXII Divisione aviotrasportata americana. Nel settore della VII Armata i paracadutisti dovevano atterrare fra Niscemi e Gela per preparare una testa di sbarco alla fanteria. Ma la bufera, l’oscurità e una generale confusione dispersero i paracadutisti su un fronte di 100 chilometri. Nel settore inglese soltanto dodici alianti atterrarono vicino agli obiettivi di Siracusa e Pachino. Quarantasette caddero in mare e molti paracadutisti finirono sotto il fuoco dei difensori. L’operazione si risolse in un disastro. I paracadutisti furono in gran parte eliminati prima del mattino. Il mare intanto si era inaspettatamente placato e nel settore orientale le navi da guerra aprirono il fuoco. Gli inglesi dell’VIII Armata furono i primi a prendere terra. Un’ora dopo che le navi erano entrate in azione, le avanguardie del XXX Corpo sbarcavano dai mezzi d’assalto sulla penisola di Pachino. Seguivano a ritmo accelerato, fra Avola e le spiagge a sud di Siracusa, le prime ondate del XIII Corpo britannico. Ciò che stupiva gli invasori era la quiete che regnava su quelle coste. Le due o tre batterie che in certi punti avevano risposto al fuoco, erano subito state ridotte al silenzio dai tiri combinati delle navi. Perciò gli sbarchi avvenivano quasi ovunque senza combattere. Nelle prime ore del mattino, mentre sulle spiagge era un riversarsi continuo di automezzi, carri armati, cannoni, i reparti più avanzati marciavano già sulle strade dell’isola, diretti verso i paesi dell’interno. Intanto sulle coste sud-occidentali avvenivano gli sbarchi degli americani. All’alba presero terra, a Scoglitti, i fanti della XLV Divisione. Non trovarono alcuna resistenza. Il nome della prima città incontrata, Vittoria, era come un augurio. Ma sulla sinistra la flotta americana, che s’era avvicinata senza sparare per sorprendere i difensori, fu avvistata alle prime luci dell’alba e le batterie italiane aprirono il fuoco.
Sotto i colpi delle artiglierie navali, le postazioni italiane resistettero tenacemente fino all’esaurimento delle munizioni. Davanti a Gela gli sbarchi della I Divisione americana continuarono al riparo di cortine fumogene ma, stranamente, senza alcuna protezione aerea. Nelle deboli e isolate trincee, i reparti costieri italiani non potevano resistere a lungo. Presto la battaglia s’accese nelle strade della città, dove un contrattacco italiano fu respinto a fatica. Alle otto del mattino gli “Stukas” tedeschi piombarono sulla testa di ponte. Senza l’appoggio dell’aviazione e privi di mezzi corazzati e di artiglieria pesante, ancora a bordo delle navi, gli americani vennero a trovarsi in una situazione critica che peggiorò nel pomeriggio. La flotta subì gravi perdite, ma verso sera finalmente cominciarono a sbarcare i primi carri armati e i primi cannoni. Intanto le forze italo-germaniche si raggruppavano a nord di Gela per convergere sulla testa di ponte e ricacciare in mare gli americani. La Divisione “Livorno” attaccò il mattino dell’ 11 luglio. Allo scoperto, sotto il fuoco degli americani trincerati alla periferia della città, gli italiani avanzarono fin quasi alla spiaggia. La Divisione “Goering” partì più tardi, su tre colonne, con 60 carri armati. Quando gli americani ne udirono rombare i motori e sferragliare i cingoli, si sentirono tremare il cuore. Così confessarono loro stessi dopo la battaglia. Alle undici e mezzo la situazione era così critica che il comando della VII Armata americana mandò alla I Divisione l’ordine di tenersi pronti per il reimbarco. Il fuoco di sbarramento dell’artiglieria navale arrestò gli attaccanti. Quando il generale Patton scese a terra dopo il mezzogiorno, il momento critico era passato. Prima di sera italiani e tedeschi si ritirarono sulle colline dell’interno. Il generale Von Senger, futuro comandante dei tedeschi a Cassino, che aveva assistito alla battaglia da un’altura a 8 chilometri dalla città, si rese conto che la Sicilia era perduta. Quarantotto ore dopo lo sbarco, le teste di ponte dell’VIII Armata inglese, da Pozzallo a Capo Murro di Porco, e della VII Armata americana, da Scoglitti a Licata, erano ormai saldamente organizzate. Respinto a Gela il contrattacco delle Divisioni “Livorno” e “Goering”, la VII Armata si congiunse presso Ragusa con l’VIII, che nel settore orientale continuava ad avanzare senza difficoltà. Il generale Montgomery aveva due obiettivi: proseguire a ovest, d’intesa con gli americani, e avanzare a nord-est per impadronirsi dei porti della costa ionica, fino a Catania. Ad Avola gli inglesi incontrarono un gruppo di soldati americani col viso sporco di nerofumo. Erano i paracadutisti del lancio avvenuto la notte fra il 9 e il 10. Qui gli italiani avevano fatto un tentativo di resistenza, poi molti s’erano nascosti nelle case, altri erano stati fatti prigionieri.
Andarono ad ingrossare le file dei loro commilitoni catturati nei primi due giorni. Tutti venivano condotti ai porti e imbarcati sugli stessi mezzi serviti all’invasione. Nel Nord Africa li attendevano i campi di concentramento. Avanzando sulla sinistra verso la testa di ponte americana, gli inglesi occuparono Noto. In ogni città conquistata issavano la bandiera della vittoria e non avevano rapporti con gli abitanti. Le strade che vedevano passare le colonne di un esercito famoso erano quasi vuote. I siciliani stavano chiusi in casa, dietro le porte e le finestre sbarrate. Diffidavano di quegli sconosciuti e per il momento stavano a vedere. Siracusa era già stata occupata la sera del dieci. Prima che gli inglesi attaccassero la città, gli italiani avevano fatto saltare le batterie costiere e contraeree e incendiato i depositi di carburante. Poi s’erano arresi. La rapida conquista di Siracusa fu decisiva agli effetti delle operazioni perché gli Alleati poterono subito utilizzare il grande porto e le sue banchine. Anche ad Augusta il porto rimase pressoché intatto. Non appena le avanguardie della V Divisione inglese si avvicinarono alla piazzaforte, l’ammiraglio Leonardi fece saltare le difese, i magazzini e l’arsenale. Tutto diviene assurdo e confuso quando le cose volgono al peggio. Le catastrofi militari, sotto questo punto di vista, si somigliano. Il quarto giorno dell’invasione segnò l’inizio del disgelo fra soldati e popolazione. A Palazzolo Acreide gli inglesi della LI Divisione catturarono un treno carico di farina, che i tedeschi avevano razziato dai magazzini comunali e dalle fattorie, e che nella fretta della ritirata avevano dovuto abbandonare. Il comando ordinò di distribuirla alla popolazione. Per gli Alleati fu un colpo propagandistico. Da allora i siciliani cominciarono a mostrarsi meno diffidenti. Aspettavano l’arrivo delle truppe all’ingresso dei paesi, si raccoglievano in gruppi ai lati delle strade osservandone il passaggio, e quando una colonna si fermava in mezzo all’abitato, la circondavano con applausi e sorrisi. L’accoglienza era ancora più calorosa dove arrivavano gli americani, forse per il fascino del mondo nuovo che li accompagnava. Il 13 luglio, sulla strada di Augusta, il generale Gotti-Porcinari, comandante della Divisione “Napoli”, cadde con il suo Stato Maggiore nelle mani degli inglesi. Proprio quel giorno la Divisione aveva ricevuto l’ordine di contrattaccare nel settore di Augusta. Il Comando d’Armata si trovò quindi costretto a ritirarla prima che gli inglesi l’accerchiassero. I prigionieri furono ugualmente molti, ma il generale Guzzoni riuscì tuttavia nella manovra di raccogliere su una linea più ristretta le forze rimastegli. Così nella seconda metà di luglio, alle soglie della piana di Catania, l’impeto offensivo dell’VIII Armata urtò contro una resistenza inaspettata. Intorno al ponte di Primosole, sul fiume Simeto, fu combattuta la battaglia più violenta di tutta la campagna di Sicilia. Paracadutisti inglesi e tedeschi se ne disputarono per qualche giorno il possesso. Il ponte
passò più volte di mano. I tedeschi non riuscirono a farlo saltare e infine dovettero abbandonarlo. I famosi “diavoli verdi” che Hitler aveva mandato sul fronte siciliano per ricacciare in mare gli Alleati, si avviavano in gran numero verso i porti d’imbarco e i campi di prigionia. Catania non distava ora che 10 chilometri, ma per vari giorni il XIII Corpo dell’VIII Armata inglese non avrebbe fatto grandi progressi oltre il fiume Simeto. Sulla sinistra, intanto, il XXX Corpo britannico occupava Caltagirone e Piazza Armerina, mentre la VII Armata americana, vinta la resistenza delle truppe italiane davanti ad Agrigento, iniziava una rapida avanzata nella Sicilia occidentale. Il generale Truscott riassume così questa operazione: «Dopo che venne presa Licata ed Agrigento si decise che la VII Armata avrebbe protetto il fianco sinistro dell’VIII Armata inglese che stava facendo lo sforzo maggiore, ma avrebbe anche conquistato Palermo. Mentre la I Divisione americana occupava Caltanissetta il 18 luglio e l’LXXXII proseguiva lungo la costa sud-occidentale verso Trapani, la III Divisione di fanteria che io comandavo iniziava la marcia verso Nord. Credo che a noi tutti abbia fatto impressione l’evidente miseria dei villaggi siciliani, ma nessuno di noi dimenticherà le affettuose accoglienze che ricevevamo al nostro passaggio. I genitori e i nonni di molti dei nostri soldati erano emigrati dalla Sicilia negli Stati Uniti. Apparve evidente a tutti noi il sollievo dei siciliani all’idea che per loro la guerra era finita. Il generale Patton era ansioso di prendere Palermo dopo aver spazzato la Sicilia occidentale con i mezzi corazzati. In quel momento, tedeschi e italiani si stavano ritirando dalla zona, per cui il principale ostacolo incontrato dai reparti corazzati erano le zone minate sulle strade che dovevano essere percorse dai carri armati. Fu per questo che la mia Divisione, procedendo per cento miglia da Agrigento verso nord a marce forzate, poté arrivare a Palermo in meno di cinque giorni e prima dei mezzi corazzati». Il 22 luglio il comandante territoriale di Palermo, generale Molinero, andò incontro al generale Keys che era in testa alla colonna americana e offrì la resa della città chiedendo alcune garanzie per i suoi soldati. Keys insistette per la resa incondizionata. Una città vuota, stremata, accolse gli alleati. Palermo era la prima grande città europea conquistata dagli Alleati. E per la prima volta degli italiani li chiamavano «liberatori» nonostante l’occupazione formale. La visita del generale Patton al cardinale Lavitrano contribuì a rafforzare i rapporti amichevoli che scavalcavano quelli ufficiali dei due governi ancora in guerra. Qualche giorno dopo Patton diede ordine di liberare i prigionieri siciliani. Fu un gesto umano e nello stesso tempo di buona politica. La popolarità degli Alleati si accresceva. E dalla gioia dei siciliani si poteva misurare quanto scarsa fosse ormai la presa che il fascismo aveva sul popolo.
La rapida avanzata della VII Armata americana verso Trapani e Palermo non isolò completamente le truppe italiane che si trovavano nella Sicilia occidentale. Sfilando davanti alle avanguardie del generale Patton, reparti delle Divisioni “Aosta” e “Assietta” riuscirono infatti a congiungersi con le rimanenti forze italo-germaniche, che si ritiravano ordinatamente. Si poté così costituire, da Santo Stefano di Camastra alla piana di Catania, una prima linea di resistenza che per alcuni giorni rallentò l’avanzata angloamericana. Aerei italiani e tedeschi, dopo l’arresto di Mussolini del 25 luglio e il nuovo governo Badoglio, bombardarono il porto di Pantelleria che gli Alleati utilizzavano per i rifornimenti alla Sicilia. Doveva essere una prova che l’Italia teneva fede alle alleanze. In Sicilia la guerra continuava sul fronte di Catania. La manovra ritardatrice di Guzzoni sembrava riuscita. Ora gli inglesi attaccavano verso sinistra. Attorno alla stazione di Sferro, caposaldo della linea che sbarrava l’accesso alla piana di Catania, la battaglia durò 48 ore. Gli attacchi dell’VIII Armata britannica continuarono fino alla fine di luglio. Poi Montgomery decise di intensificare l’offensiva sulla sinistra, nel tentativo di prendere Catania per aggiramento. Il paese di Regalmuto alle falde dell’Etna venne occupato dai canadesi il 10 agosto. Centùripe era considerata il perno della linea di difesa per la sua posizione elevata. Cadde il 3 agosto. Dopo due giorni fu presa Paternò. La situazione dei difensori diventava sempre più insostenibile. Il 25 luglio aveva aggravato la crisi dei reparti superstiti della VI Armata italiana, mentre i tedeschi avevano avuto l’ordine di passare al più presto sul continente. Misterbianco era l’ultimo caposaldo a ovest di Catania: cadde senza resistenza. In Sicilia era difficile credere alle parole di Badoglio sulla continuazione della guerra. Tutti capivano che si trattava di una frase dietro la quale c’era la volontà di far la pace. Nei paesi liberati la gente cominciava a manifestare le proprie opinioni. Superate le ultime resistenze, il 5 agosto le avanguardie del XIII Corpo britannico entrarono a Catania da ovest e da sud. Per oltre venti giorni la città era stata la retrovia del fronte e ora, partite le truppe che la difendevano, le autorità aspettavano gli Alleati chiuse nella caserma dei carabinieri. Così a differenza di Palermo, Catania era in uno stato di grave disordine. La popolazione era esasperata dalle privazioni e dalla miseria. Mancava tutto: la carne, il latte, il pane. Il saccheggio era cominciato già prima della partenza dei tedeschi, e in molti casi erano stati i soldati della “Goering” a dar l’esempio rubando persino i materassi degli alberghi. Molte strade, fino a poco prima deserte, d’un tratto si riempivano di una folla vociante che dava l’assalto ai negozi e ai magazzini. Con Catania gli Alleati disponevano di un nuovo grande porto, ma per il momento esso serviva soprattutto per lo sgombero dei feriti, ch’erano stati numerosi tra le rive del Simeto e l’Etna. La campagna di Sicilia era praticamente chiusa. Entrambi gli eserciti ne uscirono molto
provati. In 38 giorni gli italiani avevano perso 140.000 uomini, in gran parte prigionieri; i tedeschi 37.000, in gran parte morti e feriti, gli alleati 31.000. Contrariamente a quella che divenne un’opinione diffusa, la campagna di Sicilia non fu una passeggiata militare. La battaglia di Catania era stata risolta dall’offensiva alla sinistra dello schieramento di Montgomery che aveva portato alla rottura anche della seconda linea di resistenza. Nello stesso tempo forti attacchi americani verso Troina e S. Agata di Militello avevano operato lo sfondamento a nord. Non c’erano più ostacoli sulla strada di Messina. Ormai il comando italo-germanico si preoccupava solo di riportare sul continente il maggior numero di truppe. Nel pomeriggio dell’11 agosto ebbe inizio la fase finale dello sgombero dell’isola. Su motozattere, traghetti e imbarcazioni di fortuna, sotto le bombe dell’aviazione alleata e il tiro dell’ artiglieria, i resti delle Divisioni italiane e tedesche riuscirono a riparare in Calabria. Ora per gli alleati arrivare a Messina era soltanto una questione di velocità. Il generale americano Truscott ci ricorda i particolari di quella corsa: «La presa di Messina avrebbe segnato la fine della Campagna di Sicilia, per cui era naturale che sia gli inglesi che gli americani tenessero molto ad avere il merito della conquista della città. Il generale Patton mi aveva detto un giorno che gli sarebbe proprio piaciuto arrivare a Messina prima di Montgomery, e non dubito che eguali fossero i sentimenti del generale Montgomery». Così si accese tra i due alleati una gara singolare. Lungo la strada costiera taorminese, stretta fra l’Etna e il mare, gli inglesi avanzavano con la prudenza che era propria della strategia di Montgomery, spesso tenendo in testa reparti di suonatori scozzesi. Il comandante inglese ci teneva ad entrare per primo a Messina e ordinò anche uno sbarco strategico a sud della città; ma il ritmo delle cornamuse non è il più adatto a una marcia veloce. Gli americani, a nord, ci misero uno spirito più sportivo. Pur incontrando distruzioni e intralci come gli inglesi, cercarono di spingere al massimo i loro mezzi corazzati. Avevano assimilato le idee sulla guerra mobile del loro comandante, il generale Patton, audace e spericolato come un “cow-boy”. Truscott ancora racconta: «Compiendo sforzi terribili, la III Divisione di fanteria riuscì a superare gli ostacoli delle demolizioni e l’opera di disturbo dei tedeschi lungo la costa settentrionale della Sicilia, e prese Messina parecchie ore prima dell’arrivo delle avanguardie britanniche. Il generale Patton ed io, con i componenti dei nostri Stati Maggiori, percorremmo la strada tortuosa che porta alla città il mattino del 17 agosto; ci accompagnò per tutta la strada il fuoco d’artiglieria tedesco, proveniente dall’altra riva dello stretto. Mentre conversavamo con le autorità civili nella piazza municipale, davanti al Palazzo di città, arrivò una pattuglia corazzata britannica che era
sbarcata sulla costa, a qualche chilometro di distanza. Naturalmente, furono delusi di trovare che gli americani erano arrivati prima di loro». La città sembrava in piedi ma in realtà dietro le facciate delle case c’era il vuoto. Come i garibaldini nel 1860, gli Alleati si trovavano ora in faccia alla penisola. E come loro, sapevano ben poco di ciò che li attendeva. Bibliografia: Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966
I cimiteri di guerra alleati in Sicilia e tedeschi in Italia - da «Patria indipendente» rivista dell’ANPI del 21 maggio 2006- Forze Armate degli Stati Uniti d’America Dal luglio 1943 al maggio 1945 le Forze Armate Americane hanno perduto circa 32.000 uomini in Italia tra morti in combattimento e morti a causa della guerra. La “American Battle Monuments Commission” ha provveduto alla raccolta e sistemazione delle salme rimaste in Italia in due grandi cimiteri monumentali di guerra, uno a Nettuno ed uno a Firenze. In Italia le tombe sono 12.264 ma altri 4.053 Caduti sono ricordati a parte perché le salme non sono state ritrovate o non è stato possibile identificarle. Per l’edificazione dei suddetti cimiteri lo Stato italiano ha concesso il libero uso delle aree di terreno. Regno Unito e Impero Britannico Nella campagna d’Italia il Regno Unito e le forze dell’Impero Britannico dal luglio 1943 al maggio 1945 persero 45.469 militari. L’Italia ha stabilito una convenzione con la Commissione Imperiale per le Tombe di Guerra (The Imperial War Graves Commission), la quale ha provveduto alla raccolta e sistemazione dei Caduti in 41 Cimiteri di Guerra. Occorre ricordare che oltre ai britannici, combattevano sotto la bandiera inglese le truppe dell’Impero, poi Commonwealth, (canadesi, indiani, sudafricani, australiani, neozelandesi, ecc.) e soldati di Paesi occupati dalla Germania, come polacchi, norvegesi, danesi, olandesi, belgi. Le aree di terreno sono state concesse gratuitamente dal Governo italiano. Il totale delle tombe è di 39.948; in alcuni cimiteri sono ricordati anche i Caduti non ritrovati e non identificati che ammontano a 5.511. Cimitero di Guerra Canadese di Agira Accoglie 490 tombe. Dopo la conquista della Sicilia, le tombe di tutti i canadesi morti durante le operazioni furono raccolte ad Agira, provincia di Enna. Questo posto fu scelto dal Comando canadese nel settembre 1943. Cimitero di Guerra di Catania Accoglie 2.135 Caduti. In questo cimitero sono raccolte le salme dei Caduti dell’ultima fase della campagna di Sicilia, soprattutto nei pesanti combattimenti condotti attorno a Catania e nella battaglia per la testa di ponte del fiume Simeto. Cimitero di Guerra di Siracusa Accoglie 1.060 Caduti. Il luogo in cui si trova fu scelto nel 1943 durante le fasi della conquista dell’Isola. La maggior parte di coloro che sono qui sepolti persero la vita negli sbarchi in Sicilia dal 10 luglio 1943 e nelle fasi della campagna della Sicilia. Un gran numero di tombe appartiene al personale aviotrasportato inglese che atterrò nei dintorni della città nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943. I dati sono stati ricavati dal volume di Livio Massarotti “Sintesi storica della Guerra di Liberazione 1943-1945. I Cimiteri di Guerra. Sacrari Militari della 2a Guerra Mondiale”, edito dalla Associazione Nazionale Combattenti della Guerra di Liberazione, Sezione di Udine, nel 2006. Forze Armate Germaniche La follia nazista ha travolto anche la Germania. Al di là di ogni considerazione, la Germania ed il popolo tedesco hanno pagato duramente questa follia e le violenze e distruzioni causate a tutti i Paesi dell’Europa. Dovrà passare molto tempo prima che tutto questo sia assorbito dalle coscienze europee. Le forze armate germaniche in Italia hanno avuto 120.000 Caduti. Di questi 100.043 sono stati raccolti in quattro cimiteri militari maggiori, che sono a Cassino, Costermano, Passo della Futa e Pomezia. I rimanenti 7.199 sono stati ripartiti in Cimiteri minori già esistenti in quanto raccoglievano i Caduti germanici della Prima Guerra Mondiale: Bolzano, Bressanone, Brunico, Cagliari, Feltre, Merano, Milis (Sardegna), Motta S. Anastasia (Sicilia), Pordoi, Quero.
Capitolo IV Mia madre: una donna dolce, bella e devota di Sant`Erasmo Mamma Irma, nasce a Roccagorga nel 1921. È La primogenita di Vincenzo Mancini e Camilla Palombi. Si sposa giovanissima con mio padre Ubaldo, nel 1938. Dal questo matrimonio che durerà per tutta la loro vita, nascono tre figli: Vittorio nel 1939, Leopolda nel 1948 e Domenico nel 1955. Io sono il primo deu trefigli. E sono anche quello che nasce in un momento complicato. Il 1° settembre 1939 , l’esercito tedesco rompe gli indugi e varca la barriera del confine polacco, dando il via al secondo conflitto mondiale; dietro questo evento si possono intravedere le cause che spinsero Hitler a concepire il disegno di occupare l’intera Europa sotto le insegne del nazismo tedesco La rottura degli equilibri del Trattato di Versailles è infatti la conseguenza più diretta degli eventi della Prima guerra mondiale, e la politica espansionistica della Germania hitleriana cavalca il malcontento della popolazione vessata dai debiti di guerra. Alle giustificazioni ideologiche sulla superiorità della razza ariana e sullo “spazio vitale” (Lebensraum) per il popolo tedesco, si sommano le esigenze pratiche, come la necessità di manodopera a basso costo per la poderosa economia di guerra allestita dal nazismo. All’altezza del 3 settembre (giorno in cui Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra ad Hitler), la politica estera europea vede allora da un lato le potenze Alleate e dall’altro le forze nazifasciste (strette tra loro nel Patto d’Acciaio del maggio 1939); nel mezzo, l’Unione Sovietica, che ha interessi strategici nell’Est Europa ma che al tempo stesso è ideologicamente distnate dal nazismo hitleriano. Da qui, il compromesso del “patto di non aggressione” dell’accordo Molotov-Ribbentrop (poi violata dai tedeschi con il lancio dell’Operazione Barbarossa nel maggio 1941). Il conflitto assume presto connotati e proporzioni di guerra totale, non risparmiando bombardamenti strategici e stragi di civili inermi: superata la Linea Maginot e sconfitta rapida-
mente la Francia (dove viene instaurata il governo collaborazionista di Vichy), Hitler mira a sottomettere anche la Gran Bretagna, il cui impegno nella Battaglia d’Inghilterra (luglio-ottobre 1940) ferma però l’ondata nazista. E quando lo sforzo bellico delle forze dell’Asse si arresta attorno a Leningrado, nel lunghissimo assedio subito dalla città russa, la Seconda guerra mondiale è davvero ad un punto di svolta. 1a)IL 10 GIUGNO 1940 L’ITALIA FASCISTA ENTRA IN GUERRA° Il 10 giugno 1940 l’Italia fascista entra in guerra. Così come era successo nella prima guerra mondiale, anche per la seconda l’Italia si trova in difficoltà a prendere al volo la situazione, per qualsiasi decisione. Dopo essersi dissanguata in guerre molto dispendiose e con poca tangibile remunerazione, almeno non all’altezza degli sforzi, l’Italia nel 1939, a settembre, quando Hitler invade la Polonia, e fa scattare così il conflitto mondiale, non può proprio seguire l’alleato. La guerra di Abissinia, quella di Spagna e la presa dell’Albania l’hanno fiaccata. Ma all’inizio delle operazioni militari ancora Mussolini si barcamenava tra la fedeltà all’alleato e la voglia di giocare un importante ruolo di paciere, a livello almeno europeo, così come era successo a Monaco l’anno prima. Ma la struttura capitalistica dell’Italia, molto inferiore a quella tedesca, aveva dato il bastone di leader della reazione europea a Hitler, che oramai decideva senza ascoltare ne consultare il suo alleato e maestro Mussolini. All’inizio del 1940 Mussolini stesso diceva “ per fare grande un popolo bisogna portarlo al combattimento magari a calci in culo. Così farò io”.(1) Con questa elegante propensione Mussolini si apprestava ad iniziare un periodo di indecisione politica verso il proprio paese e verso l’alleato Hitler, che lo terrà impegnato sino alla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. “Il 23 gennaio Mussolini fece presente ai suoi ministri che l’Italia non poteva rimanere neutrale per sempre senza divenire, sulla scena europea, una potenza di second’ordine. [] Qualche giorno dopo cambiò idea, dicendo che era meglio aspettare sino alla seconda metà del 1941.”(2) Ma indipendentemente dalle sue preferenze del momento, erano sempre le condizioni del materiale di approvvigionamento che avrebbero dovuto dettare legge. Ed i militari, qualcuno almeno, provava persino a farlo presente. In tutto questo periodo si distingue la figura ondivaga di Badoglio, sempre pronto a seguire l’onda pur di rimanere ai vertici dell’esercito. “Dopo una visita alle unità dell’esercito, De Bono gli riferì (a Mussolini) che una parte dei soldati possedeva solo un paio di stivali e una sola camicia, e qualcuno non aveva neppure un paio di pantaloni.”(3) Anche l’incontro con Hitler al Brennero, il 18 marzo, fece l’effetto di impressionare Mussolini sulle grandi capacità
dell’alleato. Anche se in quell’occasione Hitler esagerò le possibilità belliche della Germania. Il Duce, del resto, lo ripagherà della stesa moneta in altre occasioni, sempre prima dell’entrata in guerra. I successi delle armate naziste all’inizio del conflitto suggerivano comunque di fare presto. Naturalmente una volta deciso per l’entrata in guerra gerarchi e militari si accodarono subito ed anche la casa reale lo fece, salvo poi, sia Badoglio sia i Savoia, cercare di mescolare i ricordi per accreditarsi come pacifisti agli occhi dei vincitori sul fascismo nel dopoguerra. “In seguito il re e Badoglio insistettero entrambi sulla vigorosa opposizione da loro condotta contro l’entrata in guerra. Ed il secondo scrive di avere detto a Mussolini che si sarebbe trattato di un gesto suicida. E’ possibile che quando il duce osservò cinicamente che Vittorio Emanuele era preoccupato per le sorti dell’enorme fortuna personale depositata a Londra, avesse qualche ragione.”(4) Certo l’ennesima guerra del duce piaceva molto solo a lui. Nonostante la prosopopea di facciata anche il nostro alleato tedesco non aveva certo piacere di averci fra i piedi: “ il nostro alleato italiano – disse Hitler – ci ha creato difficoltà dappertutto.”(5) Il giorno dopo l’annuncio il Corriere della Sera esce con titoli a caratteri cubitali. In prima pagina si può leggere: “Folgorante annunzio del Duce. La guerra alla Gran Bretagna e alla Francia. Popolo italiano corri alle armi.” E naturalmente l’articolo di spalla si apre con il titolo classico: “Vinceremo”. Messaggi del Furher ed esortazioni varie chiudono il tutto. A pagina due figura pure “L’ardente entusiasmo del popolo d’Albania”, occhieggiano le moltitudini che acclamano sovrano e duce. A pagina tre vi campeggia “l’Ardente entusiasmo in Germania per l’intervento italiano.” Titoli che denotano anche un chiaro impoverimento d’inventiva. Sino a giungere ai titoloni dell’edizione del pomeriggio dello stesso giornale con il proclama di Vittorio Emanuele che cede a Mussolini, ufficialmente e pubblicamente “il comando delle truppe operanti su tutti i fronti”. La veloce ricostruzione dell’entrata nel conflitto aiuta in ogni modo a capire come sarà il suo svolgersi ed il suo epilogo. Morti inutili, incapacità di vincere, disfatta finale. Con una coda agghiacciante: l’uso della bomba atomica, nell’agosto del 1945, sul Giappone da parte degli USA che nelle due città colpite di Hiroshima e Nagasaki, causarono all’impatto 120.000 morti, ai quali vanno aggiunte le decine di migliaia di decessi che seguiranno nel tempo. Ma in fatto di morti è l’URSS di Stalin che pagò il prezzo più elevato con circa 20 milioni di vittime tra civili e militari. La Germania ne ebbe circa sette milioni, di cui quattro militari. Anche l’Italia ebbe molte morti, più di 400 mila. Cinque anni di tragedia al traino di progetti folli, quali quello di far congiungere in India le armate nazifasciste europee e quelle giapponesi, progetti che
Hitler andava vaneggiando (6). Probabilmente, guardando all’aspetto del materiale bellico e di appoggio alla guerra da produrre, sarebbe stato veramente difficile una vittoria dell’Asse. John Ellis, uno storico inglese infatti ricordava, in un suo libro del 1990, che la guerra fu vinta dai 2.400 mila camion che trasportavano ogni genere di merce che poteva servire allo scopo bellico. Ellis, citando Rommel, afferma infatti che “ la sorte di una battaglia è decisa dalla sussistenza prima ancora che qualcuno spari un colpo. Che te ne fai di eroi senza fucile, o di fucili senza munizioni, o di entrambe senza un mezzo di trasporto, o di tutta questa roba senza benzina?”(7) Allo sfacelo dell’Italia fascista risponderà, e per fortuna, l’Italia partigiana. Solo grazie alla Resistenza l’Italia potrà, a guerra finita, non essere tartassata nei trattati di pace. Non sarebbe bastato infatti l’apporto dell’esercito nazionale ricostituito. Fu in grande parte la guerra partigiana a dare all`Italia ancora la possibilità di giocare un ruolo non mortificante sullo scenario internazionale. Ma i morti, i feriti, i dispersi furono distribuiti su tutta la popolazione italiana: civili, militari e partigiani. Alcuni dati. “La Resistenza italiana fu composta probabilmente da centomila membri attivi [] e da parecchie migliaia di persone che dettero in qualche modo il loro aiuto. I morti furono 35.000, 21.000 i mutilati e 9.000 i deportati in Germania.[] senza le vittorie partigiane non ci sarebbe stata una vittoria alleata in Italia così rapida, così schiacciante, così poco dispendiosa.”(8) Ma altre cifre sono impressionanti anche per aspetti politici. “...circa 600 mila militari italiani sono stati catturati dagli anglo-franco-americani, circa 50 mila dai sovietici, circa 650 mila dai tedeschi dopo l’8 settembre. …lo scoramento generale viene aggravato dalla lentezza del rimpatrio: ancora nel febbraio 1946 sono più di 50 mila gli appartenenti all’esercito trattenuti negli Stati Uniti …fra il 1945 ed il 1947, approssimativamente un milione di ex difensori della “patria” raggiungono i loro luoghi d’origine ...sentendosi trascurati dai connazionali. Arrivano dall’India, dall’Australia, dal Nord Africa, dall’Inghilterra, dal Medio Oriente, dalla Germania, dalla Polonia…”(9). Conseguenze pesanti che sul piano economico vogliono dire miseria e fame per molta popolazione civile e per coloro che ritornano dalla guerra. Ricordiamo che il livello salariale del 1921 viene raggiunto di nuovo solo nel 1949. La situazione generale non è così spaventosa nell’industria, che era al nord, e difesa anche dalla maestranze, ma è soprattutto in agricoltura e nei trasporti che la situazione è veramente pessima. “…il raccolto del grano sarà il 70/75 % di quello del 1938 ma è il crollo di altri beni esenziali [ad impressionare] ...lo zucchero e la carne discendono rispettivamente al 10 ed al 25% dal livello dell’anteguerra. Grave inoltre è la situazione dei trasporti ferroviari (quasi due terzi di locomotive e di vagoni sono stati portati via dai tedeschi o resi inutilizzabili) che marittimi con la flotta mercantile ridotta al 10% del 1938”(10).
Un paese in condizioni molto diverse da quelle che Mussolini aveva vaneggiato all’inizio della sua ultima avventura militare.
1. Galeazzo Ciano, Diario, vol I°, pag. 219-220 2. Denis Mack Smith, Le guerre del duce, Laterza, Roma-Bari, 1976, pag. 273-274 3. Le guerra del duce, cit., pag. 276 4. Le guerra del duce, cit., pag. 290 5. Il testamento politico di Hitler, Milano, 1961. 6. A riguardo si vedano le Cronache di guerra di George Orwell, Leonardo, Milano, 1989. Resoconto degli interventi del noto romanziere inglese alla BBC con le quali commentava quello che stava accadendo sugli scenari di guerra mondiale. 7. John Ellis, Brute Force, Viking, 1990. Alcuni estratti in Claudio Castellacci, I 2.400.000 camion che vinsero la guerra, Il Corriere della Sera, 7 dicembre 1990. 8. Paul Ginsborg, Storia dell’Italia 1943-1996, Einaudi, Torino, 1998, pag. 80. 9. Silvio Lanaro, Storia dell’Italia Repubblicana, Marsilio, Venezia, 1992, pag. 11. 1aTiziano Tussi 10. Antonio Gambino, Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere DC, Laterza, Bari-Roma, 1975, pag. 57.
Capito V Il servizio miltare di mio negli anni della Grande Guerra Mio padre dopo aver prestato servizio in Etiopia, nel 1938 si sposa con mia madre, e nella primavera del 1939 è richiamato dal Regio Esercito destinazione: la colonia italiana. La politica coloniale dell’Italia riprese slancio negli anni Venti, trovando una sua coerente giustificazione nell’ideologia fascista. Subito dopo l’avvento di Mussolini, la presenza italiana in Libia fu consolidata: fu ampliata l’occupazione della Tripolitania settentrionale (19231925) e della Tripolitania meridionale, mentre una dura repressione fu avviata in Cirenaica, guidata con successo dal generale Graziani. Tra il 1923 ed il 1928 fu inoltre completata la conquista della Somalia, fino a quel momento limitata alla parte centrale del Paese. In Etiopia, invece, il fascismo non ritenne, in questa prima fase, di modificare la situazione. Anzi, nel 1928 Italia ed Etiopia stipularono un patto di amicizia ed una convenzione stradale. La decisione di intraprendere una campagna militare in Etiopia iniziò a maturare a partire dal 1930. Il pretesto per l’avvio delle operazioni militari, i cui piani erano stati preparati già da tempo, fu offerto il 5 dicembre 1934 da un incidente presso la località di Ual-Ual, lungo la frontiera somala. L’imperatore d’Etiopia, Hailè Selassiè, preoccupato dai progetti italiani, si rivolse alla Società delle Nazioni, di cui il suo Paese era membro dal 1923. Ma Inghilterra e Francia, che non volevano alienarsi l’appoggio di Mussolini nel nuovo scenario politico d’Europa, impedirono di fatto che l’azione italiana fosse ostacolata. Solo in un secondo tempo, quando l’opinione pubblica internazionale iniziò a mobilitarsi contro la violenta aggressione dell’Italia, la Società delle Nazioni approvò una serie di sanzioni economiche contro l’Italia (ottobre 1935). Il 2 ottobre 1935, in un famoso discorso pubblicato il giorno successivo su tutti i giornali italiani, Mussolini annunciò l’inizio di una guerra provocata senza alcuna causa plausibile, rispolverando come giustificazione la bruciante sconfitta subita dall’Italia alla fine del secolo precedente: «Con l’Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!» L’esito della guerra era facilmente immaginabile considerato l’enorme dispiegamento di mezzi disposto dall’Italia. Il 3 ottobre le truppe italiane invasero l’Etiopia dall’Eritrea, occupando in breve tempo Adua, Axum, Adigrat, Macallè. A metà novembre la direzione delle operazioni fu affidata al generale Pietro Badoglio, che,
dopo aver affrontato la controffensiva etiopica, entrò ad Addis Abeba il 5 maggio 1936. Il 9 maggio 1936 Mussolini poté proclamare la costituzione dell’Impero italiano di Etiopia, attribuendone la corona al Re d’Italia Vittorio Emanuele III. Il soldato Ubaldo Coco, vi rimarrà sino a quando non sarà chiamato a partecipare alla campagna russa. Ma come se non bastasse, al ritorno in Italia viene mandato in Sicilia, abbandonato a se stesso insieme a tanti altri commilitoni. Quando si dice che la sfortuna ti perseguita, vale anche nel caso di mio padre. Recatosi da una famiglia di Palermo per chiedere aiuto per non farsi prendere prigioniero dai soldati inglesi è tradito dagli stivali indossati dai militari italiani. La famgilia siciliana gli da degli indumenti civili per non farsi riconoscere, ma come detto è tradito dagli stivali che non ha potuto sbarazzarsi. Fermato da una pattuglia di soldati inglesi, è fatto prigioniero e spedito in un campo di concentramento in Africa. Li vi rimarrà sino alla fine del 1945. Se le condizioni in campo di concentramento sotto il sole cocente dell`Africa erano deplorevoli e insopportabili, per mio padre, la nostra situazione in Italia non era certamente rosea. La casa dove abitavo con mia madre venne data alle fiamme, non sappiamo da chi, fatto sta che non avendo più casa fummo costretti a cercare alloggio presso i nonni materni. Non ho avuto la fortuna di conoscere i nonni paterni (Eleonora e Giulio), uccisi nel 1918 colpiti dalla cosidetta “spagnola”. Otre a mia mamma, i nonni avevano avuto altri quattro figli: Ferdinando, Clelia, Algimiro, e Giuseppe. Il nonno Vincenzo reduce della prima guerra mondiale era stato ferito da una pallottola vagante del nemico austriaco. Fumatore incallito, fumava il “trinciato turco”, ma in verità era un tabacco “Kentucky” fortissimo. Alto, calvo e di una gentilezza unica. Cattolico praticante, la domenica, prima di andare a messa passava dal barbiere per farsi pulire i quattro peli dietro la nuca. Nonna Camilla, era la diplomatica della famiglia: aveva una parola di incorraggiamento per tutti; mai una parola fuori luogo. È morta alla veneranda età di 85 anni. Non molto lontano, abitavano i miei bisnonni materni: nonno Domenico (morì all`età di 96 anni e nonna Luisa (deceduta all`età di 103 anni). Nonno Domenico faceva il pastore e passava molto tempo in montagna con il gregge e si
cibava eclusivamente di formaggio e ricotta. Una volta a settimana scendeva dalla montagna per “pranzare” con la moglie Luisa. Il menù era standard: polenta di granturco d`agosto (una varietà adatta al terreno arido e argilloso nel comune di Roccagorga) e senza fertelizzanti). All`imbrunire, io e zio Giuseppe ci godevano i fuochi d`artificio. Eravamo troppo piccoli per capire che l`Italia era stata invasa dalle forze alleate per liberarla dai nazi-fascisti. E quello che noi credavamo fossero fuochi d`artificio in effetti erano le cannonate che partivano dalle navi attraccate ad Anzio-Nettuno per colpire i tedeschi in ritirata nelle vicinanze di Cassino. La battaglia di Cassino, una delle più dure e irrazionali della Seconda Guerra mondiale. Costò migliaia di vite umane e la distruzione dell’abbazia di Montecassino fondata da San Benedetto. «Un faro della civiltà europea» l’aveva definita il presidente Ciampi, bombardata dagli alleati «per un tragico errore, frutto di una cattiva informazione». Il giornalista Roberto Rotondo in un articolo scritto per il 60simo anniversario della battaglia di Cassino racconta cosa accadde. “Nella calda mattina di primavera del 18 maggio 1944, i primi fanti polacchi entrano stremati tra le macerie deserte dell’abbazia di Montecassino. Le decimate truppe del generale Anders sono i primi soldati della V armata alleata ad arrivare fin lassù, facendosi largo tra i cadaveri in putrefazione sparsi per tutto il costone della montagna. Una delle più dure battaglie della Seconda guerra mondiale è finita. Del più antico monastero della cristianità, fondato nel 529 d.C. da san Benedetto e dove riposano le sue spoglie mortali, restano solo detriti e mozziconi di mura. È stato raso al suolo dal più imponente bombardamento della storia contro un singolo edificio, il 15 febbraio, a cui erano seguiti tre mesi di combattimenti feroci per sloggiare i tedeschi, che si erano trincerati tra le macerie dopo il bombardamento. Ma quando i soldati alleati arrivano a Quota Monastero, i pochi paracadutisti tedeschi, che continuavano tenacemente a resistere da febbraio, se ne erano già andati per evitare di essere accerchiati dai gurkha della divisione indiana del generale Francis Tuker, che ha attraversato i monti Aurunci rompendo il fronte nemico, tagliando fuori Cassino e aprendo agli alleati la strada per Roma. Un piano che lo stesso Tuker avrebbe voluto eseguire già a febbraio, d’accordo con il generale francese Alphonse Juin, capo delle truppe nordafricane, per evitare di attaccare i tedeschi frontalmente su Montecassino. Ma la strategia di aggiramento franco-indiana, che forse avrebbe risparmiato migliaia di vite umane oltre che le mura e gli affreschi rinascimentali dell’abbazia, era stata scartata dagli altri vertici della “multietnica” V armata alleata, formata da soldati di ben dodici nazioni diverse e comandata dallo statunitense generale Mark Clark. Quest’ultimo aveva deciso, anche sotto la spinta di sottoposti influenti come il generale neozelandese Bernard Freyberg, che bisognava insistere nell’attaccare frontalmente la linea Gustav (voluta dal feldmaresciallo Kesselring per fermare gli alleati che procedevano da sud verso nord) proprio nel suo punto cardine: la cittadina di Cassino e la montagna alle sue spalle, su cui sorgeva
l’antico monastero benedettino, e da cui si dominavano la Valle del Liri e quella del Rapido. L’abbazia di Montecassino, che nel dopoguerra fu ricostruita esattamente com’era, quest’anno ha ricordato con alcune manifestazioni i sessant’anni dal bombardamento e dalla tragica battaglia. Anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il 15 marzo, ha partecipato alle celebrazioni. È salito all’abbazia, dove si è raccolto in tre minuti di silenzio per ricordare le vittime dell’attentato terroristico di Madrid avvenuto cinque giorni prima, ha partecipato ad una messa e, poi, nella piazza di Cassino ha dedicato un discorso alle sofferenze di quelle terre durante l’ ultima guerra. Sofferenze che, nel dopoguerra, solo il libro e, poi, il film La Ciociara «hanno avuto il coraggio di raccontare», ha detto Ciampi. Aggiungendo: «Ci sono avvenimenti che rappresentano il male, che nessuna filosofia della storia riesce a mitigare. Nella Seconda guerra mondiale, purtroppo, ve ne sono stati molti. La distruzione di Cassino è uno di questi». Inoltre, ha continuato Ciampi, «nessuno potrà mai perdonare la distruzione di quello che per oltre mille anni è stato un faro della civiltà europea, l’abbazia di san Benedetto». E per ben due volte, il capo dello Stato, è tornato sul bombardamento del monastero benedettino: «Fu un tragico errore, frutto di una cattiva informazione». A settanta e di distanza anche Usa e Inghilterra ammettono che fu «un tragico errore». Ma come e perché si arrivò al bombardamento?
Capito VII Il bombardiere numero 666 Ricostruiamo la vicenda, che ha molte analogie con guerre e operazioni militari dei nostri giorni, cominciando proprio da quel 15 febbraio 1944, quando, alle ore 9 e 24 del mattino, l’abbazia di Montecassino è scossa da una tremenda esplosione, che interrompe la preghiera del piccolo gruppo di monaci benedettini nel cenobio mentre invocano l’assistenza della Madonna e recitano «et pro nobis Christum exora». Tra di loro c’ è l’abate ottantenne don Gregorio Diamare e il suo segretario dom Martino Matronola, che in seguito pubblicherà un diario, indispensabile per ricostruire quei drammatici giorni. Sulle loro teste e su quelle delle centinaia di profughi presenti nel monastero si è appena abbattuto il grappolo di bombe da 250 kg l’una sganciato dal bombardiere strategico numero 666, pilotato dal maggiore Bradford Evans, il quale, con un numero di codice così inquietante, guida la prima delle quattro formazioni di B-17, le fortezze volanti statunitensi, che hanno ricevuto l’ordine di distruggere il millenario monastero arroccato sul colle. Alle fortezze volanti seguono altre quattro ondate di bombardieri medi. Alle 13 e 33 è tutto finito, i monaci sono tutti salvi, ma diverse centinaia di profughi sono morti sotto le bombe, e sarà difficile, anche dopo la guerra, riesumarne i corpi e dare un nome alle lapidi. Una “fortezza volante” statunitense sorvola l’abbazia, il 15 febbraio 1944 Cambio di scena. Washington, ore 16 dello stesso giorno (in Italia sono le 22). Dopo circa dodici ore dall’inizio del bombardamento e il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt apre una conferenza stampa con queste parole: «Ho letto nei giornali del pomeriggio del bombardamento dell’abbazia di Montecassino da parte delle nostre fortezze. Nelle corrispondenze era spiegato molto chiaramente che il motivo per cui è stata bombardata è che i tedeschi se ne servivano per bombardare noi. Era un caposaldo tedesco, con artiglieria e tutto il necessario». Il presidente statunitense appare sicuro, come sicuri sono i giornali angloamericani: L’Air force colpisce i nazi su Montecassino, titola quel giorno il New York Times. Roosevelt forse non sa che sarà clamorosamente smentito dalla storia, ma non può non percepire che c’è qualcosa di strano in questa vicenda. Anche per un mondo in guerra da anni e per il quale morte e distruzione sono pane quotidiano. Infatti, mai i bombardieri strategici avevano avuto come obiettivo primario un monumento, peraltro in zona neutrale, una proprietà della Santa Sede, un monastero famoso in tutto il mondo cristiano, un luogo dove erano conservate inestimabili testimonianze storiche e artistiche. Inoltre stonava il dispiego di forze: 453 tonnellate di bombe scaricate, in otto ondate, da 239 bombardieri. Un’ enormità. Come l’avrebbero presa i cattolici statunitensi quando di lì a pochi mesi avrebbero dovuto votare per rieleggerlo presidente degli Stati Uniti? Infine «il bombardamento di un unico obiettivo più pubblicizzato nella storia», come lo definì Newsweek, era quel giorno il titolo di apertura dei giornali di mezzo mondo. Quali sarebbero state le conseguenze politiche, chi avrebbe vinto la battaglia della propaganda? Roosevelt fece distribuire ai gior-
nalisti anche una circolare del comandante supremo delle forze armate alleate in Europa, Dwight D. Eisenhower, rimasta fino ad allora riservata, in cui veniva spiegato che se nel corso dell’avanzata si fosse dovuto «scegliere tra la distruzione di un famoso monumento e il sacrificio dei nostri soldati, allora le vite dei soldati conteranno infinitamente di più». Ma, spiegava Ike, la scelta non era semplice. Perché dietro l’espressione “necessità militare” non dovevano nascondersi né convenienze personali, né rilassatezza o indifferenza. Ma era troppo poco per evitare una ricaduta negativa sull’opinione pubblica in Europa. Una sconfitta mediatica La propaganda nazista, infatti, stava per scatenarsi, sfruttando la notizia del bombardamento a suo favore. Nell’Europa in mano ai nazisti gli angloamericani saranno dipinti, nei giorni seguenti il bombardamento, come nuovi barbari che vogliono cancellare sistematicamente ogni traccia della «superiore civiltà europea». L’abbazia di Montecassino, che in passato era stata distrutta per tre volte dai barbari, dai saraceni e da un terremoto, ora era stata ridotta in polvere «dai giudei e dai filobolscevichi a Mosca, Londra e Washington». Ma non basta, perché l’intelligence nazista – che secondo i rapporti dell’ambasciatore britannico in Vaticano D’Arcy Osborne, già da tempo stava spargendo la notizia che c’erano loro truppe nell’abbazia, per provocare un bombardamento alleato – ha gioco facile anche nell’eleggere i tedeschi a difensori della civiltà: era stata infatti la divisione Hermann Göring a mettere in salvo in Vaticano, nel dicembre 1943, tutte le opere d’arte dell’abbazia trasportabili, insieme all’immensa biblioteca con i suoi inestimabili codici. In quest’operazione di salvataggio preventivo aveva influito soprattutto l’attenzione che il generale Frido von Senger, comandante del XVI Panzerkorps, aveva verso i benedettini e lo storico monumento. Senger, cattolico, legato da molti anni all’Ordine di san Benedetto, apparteneva a quella piccola aristocrazia della Germania meridionale contraria ai nazisti, ma obbediente agli ordini. Senger, che comandava l’intera linea Gustav, aveva anche fondamentalmente rispettato la neutralità del luogo e non aveva permesso alle sue truppe, sparse
su tutta la montagna, di appostarsi all’interno della cintura larga 300 metri che circondava le mura dell’abbazia e che delimitava la zona neutrale. La confutazione delle “prove inconfutabili” Roosevelt, come Winston Churchill da Londra, dopo il bombardamento decide quindi di difendere la bontà della decisione dei comandi alleati nel Mediterraneo. Non solo perché la situazione dell’avanzata verso Roma era in una fase delicatissima (le truppe alleate nella valle del Liri erano bloccate mentre nella zona di Anzio rischiavano di essere addirittura ributtate in mare), ma anche perché il generale inglese Henry Maitland Wilson, comandante supremo interalleato nel Mediterraneo, affermava di avere «prove inconfutabili» della presenza del nemico nell’abbazia prima del bombardamento. E, quando, il 9 marzo, il Foreign Office inglese chiederà a Wilson di poter fornire al Vaticano una spiegazione, supportata da fatti, sul perché il monastero fosse stato distrutto, nonostante le ampie garanzie date alla Santa Sede sul rispetto dell’abbazia, Wilson confermò di aver ben dodici «prove inconfutabili» sull’uso militare da parte dei tedeschi del monastero, ma suggerì anche di tenerle segrete, per impedire che i tedeschi costruissero in seguito false controprove. La promessa fu che le prove sarebbero state date al Vaticano a tempo debito. Tempo che non arrivò mai, tanto che, anche dopo la guerra, ci vollero inchieste e controversi studi storici sui documenti degli archivi militari, per concludere che si trattò di un errore. Una delle prove inconfutabili di Wilson fu fatta conoscere dopo la guerra da uno dei protagonisti, il capitano David Hunt, aiutante del feldmaresciallo britannico Harold Alexander, comandante in capo degli eserciti alleati in Italia. Hunt raccontò come, poco dopo l’inizio del bombardamento, gli venne passata la traduzione di un messaggio intercettato ai nazisti che diceva: «Ist Abt noch im Kloester?» e la risposta era «Ja». Abt era stato tradotto come abbreviazione di “reparto militare”, quindi la frase risultava essere: «Il reparto è nel monastero?». «Sì». Sembrò anche ad Hunt la conferma dei loro sospetti, la classica “pistola fumante” come sarebbe chiamata oggi. Ma “Abt” significa anche abate. E, racconta sempre Hunt, gli bastò continuare a leggere il testo dell’intercettazione per capire che i tedeschi parlavano dei monaci nel monastero e non delle loro truppe. Comunque, disse Hunt, era troppo tardi per fermare gli aerei in volo. Possibile un errore di questa portata? Bisogna anche tener conto che i servizi segreti molto spesso vedono e sentono quel che pensano faccia piacere a chi comanda. E così è stato anche in questo caso, basti pensare che, dopo l’inizio del bombardamento, il tenente Herbert Marks, del controspionaggio alleato, che osservava il monastero con un telescopio, pur essendo provato che non c’ erano tedeschi, affermò di averne visti una settantina correre dal portone dell’abbazia al cortile. E un messaggio della V armata delle ore 11, dopo la prima ondata di B-17, riferiva: «Duecento tedeschi fuggono dal monastero lungo la strada». .Non molto lontano dalla casa di nonno Vincenzo e nonna Camilla, c`e` ancora oggi una fontana ‘‘l`Arco’ In quel luogo i tedeschi ormai lasciati al loro destino furono accerchiati dalle forze alleate. I cannoni posizionati sulla strada che collega Roccagorga a Sezze Roma-
no, sparavano contro le postazioni tedesche e dal cielo aerei australiani sorvolavano il cielo a caccia di tedeschi. Poi la ritirata dei tedeschi verso il Nord Italia e l`arrivo degli alleati: americani, marocchini, polacchi e francesi. Nonostante gli americani ci avessero liberato, il comportamento di alcuni di loro non fu certamente esemplare. Ricordo ancora oggi una scena terrificante di un soldato americano. Con il mitra spianato contro mia nonna, le ordinò di consegnargli un pollo ruspante. Mia madre testimone del gesto poco “americano” e per proteggersi da qualche male intenzionato si procurò un coltello a serramanico. Io ero ancora piccolo per capire le male intenzionati degli adulti. Ricordo come un sogno un particolare che me lo porto con me sin da quel mese di maggio del 1944. Lo ricordo perchè dalle nostre parti era il tempo delle ciliege precoci. Nonostante il poco cibo che si aveva a disposizione, mia madre aveva un fisico da modella, capelli lunghi neri, alta un metro e 65 centimetri. La mamma era sul ciliegio, e io sotto l`albero in attesa che scendesse con il cestino pieno di quelle ciliegi variegate. Dall’ alto del ciliegio secolare, lei poteva osservare i movimenti dei soldati con i loro cavalli che si dirigevano verso Roma. Tutto sembrava tranquillo sennonchè ad un tratto da un bosco di castagni sbucò un soldato con i capelli biondi, con il fucile a tracollo, diretto verso il ciliegio. Non posso essere certo quali fossero le intenzioni del biondo soldato, fatto sta che la mamma preoccupata per la mia e sua incolumità lasciò il cesto pieno di ciliege, appeso a un ramo e come una saetta scese dall`alberto e sfodero` il coltello e con fare minaccioso intimò all’uomo di andar via. Il giovane soldato ubbidì e si dileguò nel nulla. Per nostra fortuna questo increscioso episodio finì a lieto fine. Se da una parte gli italiani erano felici di essere stati liberati dalle forze alleate, d’altra parte da i racconti fatti da tante donne, meno fortunate di mia madre, le cose andarono diversamente. Le atrocità commesse da alcuni soldati alleati a danno di mamme e giovani donne, non fecero onore ai soldati che si macchiarono di delitti commessi per il loro lurido piacere.
VIII
A
1L’ occupazione nazista di Roma
seguito della caduta del fascismo e della formazione del governo Badoglio, nella capitale erano confluite alcune divisioni dell’esercito regio. Contemporaneamente i partiti di sinistra, tornati allo scoperto e appena tollerati dal nuovo presidente del consiglio, iniziarono ad organizzare i primi nuclei militari composti da militanti antifascisti, coordinati da una Giunta militare nata alla fine d’agosto e diretta dai comunisti Luigi Longo, Giorgio Amendola e Mauro Scoccimarro; dagli azionisti Riccardo Bauer, Ugo La Malfa ed Emilio Lussu; dai socialisti Pietro Nenni e Giuseppe Saragat. Dunque, al momento dell’annuncio dell’armistizio, la sera dell’8 settembre, la possibilità di difendere la città dall’imminente attacco nazista non era da escludere. Ma all’alba del 9 il re Vittorio Emanuele III, Badoglio e le autorità militari abbandonarono Roma senza impartire nessuna direttiva precisa, lasciando l’esercito nella più assoluta incertezza. Sin dalla notte dell’8 settembre avvennero combattimenti alla periferia della capitale: i militari italiani ebbero la peggio e furono costretti a ritirarsi. La mattina del 10 una parte di questi si riunì intorno a Porta San Paolo dove li attendevano i civili giunti spontaneamente od organizzati dai partiti antifascisti. Nonostante la schiacciante superiorità numerica e d’armamento delle truppe tedesche comandate dal maresciallo Kesselring, Il fronte resistenziale riuscì ad attestarsi lungo le mura di Porta San Paolo, innalzando barricate e facendosi scudo delle vetture dei tram rovesciate. Nel primo pomeriggio tuttavia la resistenza fu travolta dai mezzi corazzati tedeschi e il capo di stato maggiore della Divisione «Centauro», Leandro Giaccone, firmò la resa a Frascati, presso il Quartier generale tedesco. Il comando italiano accettò la richiesta tedesca di cessare il fuoco e di trasformare Roma in una città aperta, presidiata solo da pochi soldati italiani. Subito dopo i tedeschi rinnegarono gli accordi e presero in pratica il controllo di Roma. Qualche giorno dopo il primo atto della appena proclamata Repubblica Sociale Italiana (RSI) di Mussolini fu di far disarmare le ultime truppe regie rimaste a Roma ed il controllo tedesco divenne totale. La battaglia di Porta San Paolo è considerata il vero e proprio esordio della Resistenza italiana e in lei si può misurare emblematicamente il comportamento dei vari protagonisti. Le
istituzioni, la cui assenza è ben rappresentata dalla fuga del re e del governo; l’esercito, diviso tra chi sceglie di combattere e chi, come il vecchio maresciallo d’Italia Enrico Caviglia, tratta con il nemico; gli organi politici antifascisti, che imboccano decisamente la strada della lotta di liberazione con la costituzione del CCLN; infine la popolazione, che, nonostante la paura, sceglie numerosa, almeno in questa occasione, la solidarietà antinazista contro l’indifferenza. 1) www.16ottobre1943.it
IX Roma liberata icordo con mente offuscata, quella fine di maggio e gli alleati diretti verso Roma. Il 4 giugno del 1943 g Roma viene liberata dalle forze naziste e mio zio Ferdinado è convinto che la guerra sia finita per davvero e finalmente si potra` tornare alla normalità quotidiana. *Due giorni dopo la conquista di Cassino e dell’Abbazia, nel settore meridionale del fronte, il II Corpo americano attaccava la linea «Hitler» presso Formia e in direzione di Fondi. Altrettanto facevano algerini e marocchini sui monti Aurunci, mentre nel settore settentrionale il Corpo britannico e quello polacco combattevano aspramente a Pontecorvo e Piedimonte. Cinque giorni dopo anche la linea «Hitler» era infranta e le Armate alleate potevano avviarsi verso Roma: l’VIII per la via Casilina e la V per la via Appia. Una Divisione americana si dirigeva lungo la costa verso la testa di ponte di Anzio, dove il VI Corpo angloamericano forte come un’ Armata, il 23 maggio aveva iniziato l’offensiva. L’attacco principale venne sferrato verso i Colli Albani e verso Velletri, occupata qualche giorno dopo, mentre Alexander aveva ordinato di tagliare la ritirata nemica sulla via Casilina puntando in forze su Valmontone. Clark invece preferì insistere in direzione di Roma, e Valmontone fu presa solo il 2 giugno, dopo che i tedeschi avevano completato il ripiegamento. La città di Littoria era stata liberata dall’unica colonna americana, appena un reggimento,
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che dalla testa di ponte di Anzio s’era diretta verso sud, incontro alla V Armata in arrivo dal fronte del Garigliano. Il ricongiungimento avvenne a Borgo Grappa il 25 maggio. Nella gioia dell’incontro si dimenticava ch’ esso si era fatto attendere quattro mesi più del previsto. Clark disponeva di una formidabile piattaforma per il lancio finale su Roma. È alla capitale che egli continuava a guardare, più che alla manovra di aggiramento chiesta da Alexander. Voleva arrivarci prima degli inglesi perché la nuova vittoria su Hitler portasse il suo nome. Per i tedeschi fu un colpo di fortuna. Essi non speravano che gli Alleati, per un motivo di prestigio personale, rinunciassero a cogliere, con un colossale accerchiamento, i frutti della vittoria. Scampati alla trappola di Valmontone, i tedeschi abbandonavano Roma con ogni mezzo, mantenendo sgombre le strade su cui si ritiravano le Divisioni di Cassino. Avevano perso molti uomini, ma avevano salvato l’esercito. Proprio l’ultimo giorno vollero lasciare un altro ricordo di sangue. Alle porte della città, in frazione La Storta sulla via Cassia, per alleggerire un automezzo, assassinarono 14 prigionieri politici fra cui il vecchio sindacalista Bruno Buozzi. Poi risalirono sui camion e ripresero più in fretta la ritirata verso nord. Il generale Clark rievoca il giorno della presa di Roma: «La maggior parte della gente non collega la data del 4 giugno (giorno in cui entrammo a Roma) con lo sbarco del generale Eisenhower in Normandia, ma le due operazioni erano coordinate, e mi era stato dato l’ordine di conquistare Roma, se fosse stato possibile, subito prima dello sbarco di Eisenhower. Sicché combattemmo con tutto l’impegno e ce la facemmo appena in tempo. Naturalmente, volevamo essere la prima Armata che liberava una delle capitali dell’«asse»; ciò avrebbe sollevato il morale degli Alleati e anche degli italiani. Sicché fu con profonda emozione che ci avvicinammo a Roma, e il giorno in cui vidi le mie truppe marciare verso la città, e fui testimone del modo cordiale con cui vennero accolte dalla popolazione, fu un giorno particolarmente felice. Il 5 giugno entrai anch’io in Roma con la mia “jeep” per la via Casilina. Non eravamo molto pratici della città; il generale Hume, che era con noi, aveva suggerito che il Campidoglio sarebbe stato il luogo adatto per incontrarmi con i miei comandanti di Corpo d’Armata. Nelle vie erano gaie folle, molti cittadini agitavano bandiere. I romani sembravano impazziti d’ entusiasmo per le truppe americane. Il nostro gruppetto di “jeep” errava per le vie, ma non riuscivamo a trovare il colle capitolino. Ci eravamo smarriti. A un tratto ci trovammo in piazza San Pietro e un prete si fermò accanto alla mia “jeep” e disse in inglese: “Benvenuto a Roma. Posso esservi utile in qualche modo?». «Gli chiesi la strada per il Campidoglio. Là intendevo discutere i nostri piani immediati. Volevamo spingerci immediatamente oltre
Roma per inseguire il nemico e prendere il porto di Civitavecchia. Quando fummo in piazza Venezia davanti al balcone dal quale Mussolini soleva fare i grandi discorsi, una folla plaudente ci bloccò. Finalmente ci aprimmo un varco e salimmo sul colle. Il portone del Campidoglio era chiuso; io bussai parecchie volte, non sentendomi molto conquistatore di Roma. Mentre si bussava, pensai che quella era per noi una giornata storica. Avevamo vinto la corsa di Roma per soli due giorni». Chi nella capitale ha dimenticato quel giorno? Era la libertà, dopo nove mesi di angoscia e di disperazione. S’affacciava un mondo nuovo, si ricominciava a vivere. A Roma l’appuntamento col Papa è una tacita consuetudine, quando accade qualcosa d’importante. Ma il pomeriggio del 5 giugno i romani andarono da Pio XII anche per un atto di gratitudine. Tutto in quei giorni era all’insegna della fede nell’avvenire. Ogni occasione era buona per affollare le piazze con bandiere, applaudire, gridare e sfilare in corteo proclamando i propri ideali. Gli Alleati assistevano sbalorditi, ed erano come travolti dall’urto caotico delle passioni politiche che esplodevano dopo tanto tempo. Nella confusione scoppiarono anche disordini. In Piazza Venezia, dove la gente si raccoglieva più folta che altrove, si sfondarono i cancelli del palazzo delle Assicurazioni Generali in cerca di franchi tiratori inesistenti. La polizia alleata fu costretta ad intervenire con bombe lacrimogene. Il 6 giugno la notizia dello sbarco in Normandia. È finalmente il secondo fronte, che porterà al tracollo della Germania; e intanto in Russia le Armate sovietiche incalzano. Di fronte alla grandezza degli avvenimenti, l’episodio dei franchi tiratori che, da una casa di via Appia Nuova, hanno aperto il fuoco contro i patrioti e i soldati americani, appare un inutile atto di rabbia e di vendetta. Ogni giorno nuove prove della violenza subita vengono alla luce. Finora Roma non sapeva ancora chiaramente delle Fosse Ardeatine, dove in marzo i tedeschi avevano massacrato per rappresaglia 335 detenuti politici. Adesso era un accorrere di parenti, di amici, di compagni di lotta. L’orrore era pari alla disperazione delle madri. Il Luogotenente, che intuiva la precarietà del momento, venne a Roma pochi giorni dopo la liberazione. Forse contava su qualche gesto di simpatia da parte dei romani. Ma la sua visita improvvisa passò quasi inosservata, e Umberto tornò a Napoli deluso. Come si era stabilito in aprile, il governo arrivava a Roma dimissionario, e a Badoglio subentrò Ivanhoe Bonomi che raccolse intorno a sé uomini designati dai sei partiti antifascisti. La lotta contro i tedeschi rimaneva il primo punto del programma di governo. Oltre Roma la guerra continuava senza slancio. Ma Alexander e Clark, tornati amici dopo la contesa per Valmontone, erano ottimisti. Alexander rivolse un proclama alle truppe: «Questa battaglia, di cui è terminata la prima fase, è stata un successo magnifico. Come dicono i francesi: “ Une belle victoire”. La conquista di Roma è in se stessa naturalmente un grande avvenimento. Ha un grande valore morale, un grande valore politico.
Capitolo X Fine della Seconda Guerra Mondiale ` 8 maggio 1945, alle ore 23,01 la guerra terminò in Europa. Sul continente terribilmente devastato, dai Pirenei al Don tornò il silenzio, dopo quasi sei anni: un silenzio pauroso, che copriva i milioni di morti e le città ridotte a distese di macerie annerite. Per l’Italia l’orrore della guerra era terminato pochi giorni prima, con la completa occupazione del nostro paese da parte delle truppe alleate e di quelle iugoslave del maresciallo Tito. Le condizioni in cui l’Italia usciva dalla guerra erano spaventose: i bombardamenti aerei avevano devastato le industrie, le ferrovie, i porti. I combattimenti violentissimi che erano stati impegnati su quasi tutto il territorio avevano raso al suolo città e villaggi, sconvolto le strade, le linee elettriche, demolito i ponti, devastato le campagne e le coltivazioni. Dovunque regnava lo squallore del dopoguerra. Erano morti più dì 400 000 Italiani. Tutto da rifare, dunque; bisognava ricominciare da capo, come accadeva in tutta Europa. I nuovi governi avevano davanti a sé i grossi compiti della ricostruzione e della pacificazione, poiché la divisione dell’Italia in due parti aveva portato anche alla divisione degli animi. Questo compito venne subito affrontato dal primo Ministero, creato il 18 giugno 1944 subito dopo la liberazione di Roma e presieduto da Ivanoe Bonomi. Già dal 5 giugno il vecchio re Vittorio Emanuele III aveva ceduto i poteri al figlio Umberto II, il quale era divenuto così « luogotenente del regno ». Durante la luogotenenza, a Bonomi successe il governo presieduto da Ferruccio Parri, uno degli organizzatori della resistenza antitedesca; dopo cinque mesi anche il governo Parri si dimise e il 10 dicembre del ‘45 il luogotenente affidò l’incarico del governo ad Alcide De Gasperi, un anziano parlamentare trentino. Questi tre governi erano sorretti dai sei partiti (liberale, democratico cristiano, democratico del lavoro, d’azione, socialista e comunista) che avevano fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale, il « governo » partigiano che aveva diretto la lotta di liberazione in rappresentanza del Governo italiano. Perciò, nonostante la loro vita fosse difficile, riuscirono a rimettere in moto la macchina dello Stato, a salvare la nazione dalla fame, a iniziare la rinascita economica, a riorganizzare i trasporti.
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Capitolo XI L`Italia Repibblicana Il nuovo governo De Gasperi affrontò subito la questione istituzionale. Il 9 maggio 1946 il vecchio sovrano Vittorio Emanuele III, dopo 46 anni di regno, abdicava al trono in favore del figlio. Il 2 giugno 1946 si tenne il grande « referendum », in cui tutti gli Italiani furono invitati a scegliere tra Repubblica e Monarchia; il referendum diede 12 717 923 voti alla Repubblica contro 10 719 284 alla Monarchia. La maggioranza degli Italiani aveva scelto la forma repubblicana, e l’Italia così divenne una repubblica: il 13 giugno Umberto II andò in esilio in Portogallo. Il 28 giugno un illustre napoletano, Enrico De Nicola, già famoso come giurista, fu eletto primo Presidente Provvisorio della Repubblica Italiana. IL TRATTATO DI PACE Un anno dopo, ai primi di luglio del 1947, si riunì a Parigi la conferenza a cui parteciparono i rappresentanti di tutti gli Stati vittoriosi, per preparare i trattati di pace (senza ammettere i vinti alla discussione). L’Italia fu solamente sentita, il 10 agosto, quando De Gasperi fece all’assemblea un nobile e dignitoso discorso. Il trattato fu accettato (o per meglio dire, subito) dall’Italia e il 6 settembre fu firmato dal Capo dello Stato italiano. Le sue condizioni furono dure: l’Italia perse tutte le colonie, nessuna esclusa, e la sovranità sull’Albania; dovette cedere alla Jugoslavia la regione a est della linea Gorizia-Tarvisio, l’Istria e i territori dalmati. Dovette inoltre consegnare alla Grecia il Dodecaneso, alla Francia alcuni territori alpini di confine (zone di Tenda, Monginevro, Valle Stretta nei pressi di Bardonecchia, Moncenisio, Piccolo San Bernardo). Inoltre l’Italia dovette consegnare alle potenze vincitrici alcune unità della flotta. Naturalmente, i beni italiani all’estero andarono completamente perduti. DUE GRANDI ITALIANI Le elezioni per il primo Parlamento della Repubblica Italiana furono tenute il 18 aprile del ‘48; in quelle elezioni il partito “della Democrazia Cristiana raccolse il maggior numero di voti. Alcide De Gasperi, capo del partito, divenne quindi praticamente l’uomo su cui venne a cadere la responsabilità di guidare l’Italia sulla via della rinascita; ed egli seppe portare questa responsabilità. Egli governò per otto anni l’Italia avvicinandola alle nazioni occidentali. Un altro uomo a cui l’Italia deve molto per la sua rinascita fu Luigi Einaudi, il quale fu eletto primo Presidente della Repubblica Italiana l’11 maggio 1948. Economista di fama mondi-
ale, Einaudi seppe indirizzare molto bene la rinascita economica del paese. Un formidabile aiuto per la nostra ripresa venne dal cosiddetto Piano Marshall (dal nome del segretario di Stato americano), in base al quale l’Italia e molti altri paesi, a partire dal 1948, ricevettero dagli Stati Uniti fortissimi aiuti in denaro, in beni, in commesse alle industrie. In ogni modo, è bene dire che il primo grande autore della rinascita dell’Italia fu il popolo italiano. Non solo in pochi anni furono ricostruite le industrie, le strade, le ferrovie, le centrali elettriche, ma furono create nuove grandiose opere pubbliche: una grande rete di autostrade, industrie; aeroporti; centrali e un numero enorme di piccole e medie industrie. LA NUOVA COSTITUZIONE Sempre durante il 1947, una assemblea di giuristi e di uomini politici (Assemblea Costituente) preparò la nuova Costituzione dello Stato Italiano, che avrebbe dovuto sostituire lo Statuto promulgato da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, e perciò chiamato Albertino. Il 31 dicembre 1947 lo Statuto cessò di avere valore e il 1° gennaio entrò in vigore la nuova Costituzione composta di 139 articoli. Bibliografia: Manlio Cancogni in AA.VV - Dal 25 luglio alla Repubblica - ERI 1966
I morti della seconda guerra mondiale Il numero dei morti della seconda guerra mondiale è il più alto di qualunque altra guerra della storia. Si calcola che le vittime di questo conflitto siano in totale 70 milioni e che il prezzo più alto lo abbia pagato l’Unione Sovietica con 23 milioni di morti. Numeri vicini a queste cifre li ha provocati solo un’altra grande catastrofe, la peste nera del 1347-1353 che in pochi anni uccise un terzo della popolazione mondiale. Le cifre non sono precise ma si stima che i morti causati dalla pandemia siano stati tra i 25 ed i 50 milioni. Qualche numero sui morti della seconda guerra mondiale: Unione Sovietica: 23 milioni Germania: 7,4 milioni - Giappone: 2,6 milioni - Inghilterra: 430.000 Italia: 450.000 - Francia: 620.000 - U.S.A.: 220.000 - Belgio: 100.000 - Olanda: 200.000 Norvegia: 12.000 -Checoslovacchia: 350.000 - Ungheria: 400.000 - Grecia: 160.000
XII L’Italia del 1946 Nel settembre 1943 si riunisce a Roma il CLN Comitato Centrale di Liberazione Nazionale. Da questo momento la vita politica si sviluppa su due poli: da un lato la Monarchia e il Governo del Sud diretto dal Generale Badoglio che ha firmato l’armistizio e che quindi agli occhi delle forze internazionali rappresenta la continuità dello Stato, dall’altro il CLN che riunisce i rappresentanti dei Partiti anti-fascisti. La forza del Re è legittimata formalmente, quella del CLN è puramente politica e morale. Il processo di rinascita della democrazia in Italia e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica si sviluppano nel conflitto fra questi due centri di potere. IL CLN formula il 16 ottobre contesta la legittimazione dl Governo del Re a guidare la transizione. In una dichiarazione scritta si legge che l’unità del Paese non può farsi sotto il Governo Badoglio bensì sotto un Governo straordinario che sia espressione delle forze politiche che hanno costantemente lottato contro la dittatura fascista. A questo Governo toccherà guidare la Guerra di Liberazione e assumere tutti i poteri Costituzionali dello Stato e al cessare delle ostilità convocare il popolo per decidere sulla forma Istituzionale dello Stato. Il Governo Badoglio da parte sua si muove col fine di salvaguardare l’Istituto Monarchico. Il 18-29 Gennaio del 1944 si riunisce il primo Congresso dei partiti antifascisti, viene approvata una mozione in cui si afferma come presupposto innegabile per l’unità Italiana è l’abidcazione del Re, responsabile delle sciagure del Paese, e si rivendica al Congresso l’espressione vera e unica delle forze della Nazione con la necessità di pervenire ad un Governo che veda la partecipazione di tutti i Partiti rappresentati al Congresso che abbia il compito di intensificare al massimo lo sforzo bellico per poi, cessate le ostilità, predisporre una Assemblea Costituente. La stituazione rimane bloccata fino al Marzo 1944 quando si delinea la possibilità di un compromesso. Il 12 Aprile il Re annuncia il suo irrevocabile ritiro a vita privata dopo la liberazione di Roma, la nomina il luogotenente Umberto e la convocazione di una Assemblea Costituente per decidere sulla forma istituzionale dello Stato e dare una nuova Costituzione al Paese. Il 22 Aprile si forma un nuovo Governo sempre presediuto da Badoglio ma del quale faranno parte anche i partiti del CLN. Il 4 Giugno 1944 le truppe alleate giungono a Roma. Badoglio accetta la richiesta pervenuta da parte del CLN e viene sostituito dal Presidente del Comitato stesso: Ivanoe Bonomi, primo ministro del Governo di Unità Nazionale. Adesso il CNL costituisce in tutto e per tutto il Governo. Il 25 Giugno il primo atto del Nuovo Governo che da forza di legge all’accordo di Salerno che stabilisce che appena compiuta la liberazione le forme Istituzionale saranno scelte dal Popolo Italiano che tramite elezioni a suffragio Universale segreto e diretto eleggerà l’Assemblea Costituente che dovrà dare una
nuova Costituzione al paese. Questa viene definita la prima Costituzione provvisoria. Secondo il luogotenente Umberto la scelta fra Repubblica e Monarchia debba essere fatta tramite referendum poolare e non decisa dall’Assemblea Costituente. Dato l’orientamento prevalentemente Repubblicano dei partiti antifascisti la decisione appariva scontata, l’unico modo per salvare la Monarchia sarebbe l’espressione diretta della volontà popolare. Nel Governo proprio Bonomi fa propria la proposta del luogotenente per i contrasti che questa proposta suscita presenta le sue dimissioni il 26 Novembre. Il luogotenente farà nascere un nuovo Governo Bonomi che vedrà diminuita la forza del CLN. Nel paese si stava facendo spazio una crescente ostilità per i partiti del CLN. Negli ambienti e nei partiti di Sinistra si temeva la consultazione popolare perché avrebbe avvantaggiato la forma Monarchica. Erano invece certi di una maggioranza Repubblicana tra i futuri eletti alla Costituente. DALLA LIBERAZIONE VERSO LA REPUBBLICA Alla fine della Guerra l’Italia era un paese ridtotto allo stremo: la produzione agricola e industriale in forte crisi, ben pochi servizi pubblici funzionavano, le strade e le ferrovie erano interrotte in più punti. Oltre 1/3 delle abitazioni private erano distrutte o sinistrate. Sventrati dai bombardamenti anche industrie e uffici pubblici. La Lira valeva sempre meno, l’inflazione alle stelle e il potere d’acquisto dei salari dimezzato rispetto all’anteguerra. Le casse dello Stato erano vuote. Dopo la liberazione dell’intero paese nell’Aprile del 1945 avviene l’ascesa di Ferruccio Parri, uomo della Resistenza, alla Presidenza del Consiglio. Ma il nuovo Governo appare subito inadeguato alla gestione dell’ordine pubblico. Per iniziativa del Liberali il Governo Parri entra in crisi. In una Conferenza stampa del Novembre 1945 Parri denuncia il pericolo per un ritorno al Fascismo. Nel Dicembre 1945 si forma il primo Governo De Gasperi che di fatto svolgerà al meglio la fase di transizione dalla Monarchia alla Repubblica guidando l’Italia Repubblicana fino al 1953. Nel dibattito pro e contro Referendum per decidere la forma dello Stato De Gasperi si schierò dalla parte del Referendum non perché a favore della Monarchia, il suo intento era quello di nascondere la frattura nell’elettorato Democristiano in gran parte di sentimenti monarchici e i quadri del Partito prevalentemente Repubblicani. Col decreto legislativo del Marzo 1946, definita la Seconda Costituzione Provvisoria, stabilisce le modalità di elezione dell’Assemblea Costituente che avrebbe avuto SOLO il compito di scrivere la nuova Costituzione e stabilì che la questione istituzionale sarebbe stata sciolta dal Popolo con un Referendum da celebrare insieme all’elezione della Costituente nella data
del 2 Giugno 1946. Seguirono mesi di intenso dibattito pubblico. La Democrazia Cristiana prende atto che la maggioranza dei suoi iscritti è per la Repubblica lasciando però piena libertà degli elettori nella scelta, di votare secondo coscienza. Dopo i rispettivi Congressi optano per la Repubblica i partiti di Sinistra, il Partito Liberale si dichiara per la Monarchia. In generale mentre da parte monarchica si insiste sul taso del “salto nel buio” se fosse prevalsa la prevalenza Repubblicana. Da parte repubblicana si insiste sulla responsabilità della Monarchia per quanto riguarda il ventennio fascista. Per chi aveva vissuto la resistenza la Repbblica era la forma naturale e necessaria dela Democrazia. Dall’altra parte giocavano, soprattutto al sud, sentimenti di attaccamento alla famiglia reale. A meno di un mese dal voto Vittorio Emanuele III rompendo la tregua istituzionale sancita dall’accordo di Salerno (prima Costituzione provvisoria) abdica in favore del figlio. Umberto da luogotenente divenne Re Umberto II presendandosi al popolo come possibile futuro sovrano. E’ un ultimo estremo tentaivo di salvare il Regno. Il Papa non prende posizione anche se alcuni parroci arrivano a predicare durante le messe a favore della Monarchia. Si vota il 2 Giugno dalla mattina alla sera e il Lunedì 3 Giugno al mattino, l’affluenza alle urne è altissima. Per la prima volta partecipano al voto le donne. Le elezioni si svolgono ordinatamente e senza incidenti ma i risultati si fecero attendere a lungo. I Monarchici denunciarono brogli elettorali del Ministro dell’Interno Romita in favore della Repubblica, un accusa mai confermata. Il pomeriggio del 10 Giugno la Corte di Cassazione riunita nella Sala della Lupa di Montecitorio comunica i risultati definitivi: la Repubblica ha ottenuto2 milioni di voti in più della Monarchia. Prima della proclamazione ufficiale si moltiplicheranno manfiestazioni da entrambe le parti, con morti e feriti. Nella notte fra il 12 e il 13 Giugno il Consiglio dei Ministri approva il passaggio della carica dello Stato dal Re al Presidente del Consiglio, De Gasperi diventa Capo provvisorio dello Stato, Umberto viene di fatto esautorato. Nel pomeriggio del 14 Giugno il Sovrano lascia l’Italia per l’esilio con l’aereo messoa disposizione dal Governo, non prima però di aver accusato il Governo di essersi arrogato una decisione illegittima che non gli sarebbe spettata. De Gasperi spedisce subito al mittente l’accusa difendendo le sue posizioni. Il 18 Giugno la Cassazione conferma l’esito della consultazione: 12 milioni di voti alla Repubblica, 10 alla Monarchia, 1 milione e mezzo circa le schede nulle. Respinto il ricorso di alcuni giuristi di Padova. Il risultato del Referendum che sarà contestato dai pro Monarchia per anni e anni, certifica una spaccatura fra Nord e Sud del Paese. Mentre al centro e al Nord il popolo compatto ha votato per la Repubblica, al Sud si è mostrato solido il consenso alla Monarchia. La vittoria della Repubblica è confermata dai voti per l’Assemblea Costit-
uente: i tre partiti di massa sono i vincitori della tornata elettorale e arrivano insieme quasi al 75%. La DC il partito più forte col 35%, i Socialisti col 21%, i Comunisti con 19%. Il 25 Giugno si riunisce l’Assemblea Costituente. Il Primo problema da affrontare è la scelta del Presidente della Repubblica: viene eletto Enrico De Nicola capo provvisorio dello Stato in attesa che la Costituzione chiarisca tempi e regole della sua elezione formale. Ora inizia il lavoro di scrittura della Carta Cstituzionale. Furono 18 mesi di dibattiti nel paese. La Costituzione viene approvata in via definitiva il 22 Dicembre 1947 col 90% dei voti favorevoli ed entrerà in vigore il primo Gennaio 1948. In tutto questo De Gasperi all’inizio del 1947 si era recato negli Stati Uniti da cui tornò con un assegno di 50 milioni di dollari a ricompensa della collaborazione degli Italiani durante la Liberazione e un presito di 100 milioni di dollari da una Banca americana. Nel Febbraio si insedia il terzo Governo De Gasperi. Si dimise il 13 Maggio per la rottura politica fra democristnai e socialcomunisti voluta dagli Stati Uniti.
XIII Il primo giorno di scuola Dalla partenza per la per la campagna russa, sino al rientro in Italia alla prigionia in Africa, di mio padre si erano perse le tracce. In paese ogni tanto arrivavano notizie di soldati dispersi o morti in Russia. Di mio padre nessuna novità. Mia madre, donna di fede profonda, non aveva mai perso la speranza, in cuor suo, era convinta che un giorno mio padre sarebbe tornato. Il 2 giugno a Roccagorga si festeggia il Patrono, Sant`Erasmo ma in quest`occasione, l`intensità emotiva di ogni devoto è più accentuata. Si prega, si fa il voto che presto tutti i soldati mancanti all’ appello possano riabbracciare le loro famiglie. Il 4 ottobre 1945 è il mio primo giorno di scuola. La maestra la signora Cotesta, figlia di un pastore, ha avuto la fortuna di studiare e prendere la licenza magistrale. Essendo io nato nel novembre del 1939, ero il più piccolo di tutta la scolaresca. Mi fanno sedere al primo banco vicino a Mario Ascani, il figlio del Brigadiere, comandante della stazione dei carabinieri. Da poco trasferito al comando con la famiglia a Roccagorga. Ricordo vivamente il nostro primo giorno di scuola. Eravamo tutti felici. Un paio di settimane prima dell’ anno scolastico, mia nonna Camilla, era andata al negozio di Mariettina a comprare la stoffa per il grembiule blue, il colletto bianco e nastro azzurro. La guerra era finita da poco e nonostante i miei nonni non avessero molte possibilità economiche, durante la lunga guerra la nostra famiglia non ha mai sofferto la fame. Ricordo il panino alla birra, profumato e imbottito di prosciutto, curato con cura dal nonno e rigorosamente stagionato di almeno dodici mesi. La stagionatura del prosciutto avveniva attraverso un processo antichissimo e segreto. Il tutto iniziava come un rito nel mese di gennaio. Ogni anno il mese di gennaio, nonno Vincenzo per non pagare il dazio, ammazzava il maiale di circa due quintali, clandestinamente. Per ottenere un buon prosciutto non era soltanto la lavorazione, di per se complicata, ma sopra tutto l’alimentazione dell’ animale. Il granturco d\agosto, ghiande di quercia e faggio, castagne e erba fresca. Io e zio Peppo (Giuseppe) eravamo i piu piccoli della famiglia ed avevamo un compito ben preciso. La raccolta della legna per la rituale fiaccolata, prima dell’ inizio delle operazioni. Sveglia alle ore 6.00, non voglio perdermi neanche un momento del rito. Una mattinata fredda e ventosa, all’ alba, con una luna piena ancora alta nel cielo. Sono pronto per assistere alla esecuzione sacrale del maiale. Nonno Vincenzo con zio Cataldo, sono già sul luogo del delitto dalle 4.00 del mattino: bisognava preparare i ferri necessari per l’operazione con l’acqua bollente che servirà a pulire il maiale. L’acqua bollente è ricavata da un vecchio scaldabagno sul quale è stata aperta una finestra, posto in orizzontale su una brace di “pennicilli” (fascine di legna sottile, potatura delle viti) e legna secca. Arrivo sull’ altare del sacrificio ben presto.
Il maiale, è allestito un patibolo permanente: una trave orizzontale sospesa circa 3 metri da terra, assicurata a pali verticali da cui penzolano delle corde ed una carrucola con ganci. È un’ esecuzione tradizionale. L’unico motivo di questa scelta è legato alla tradizione. Sicuramente più cruenta e decisamente più sonora, ma zio Ferdinado dice “lascia che tutta la zona senta le urla, così capiranno che in questa casa è entrata la grazia”. Omettendo, però, un dettaglio importante: giustiziare il maiale penzoloni a testa in giù favorisce la fuoriuscita del sangue che, diversamente, potrebbe guastare la carne facendola diventare scura. Il sangue viene raccolto in un recipiente per poi utilizzarlo per fare il sanguinaccio. Tutto è perfettamente pronto per l’esecuzione. Nonno Vincenzo , con una corda tra le mani, entra nella “rolla” (casiello) dove ci sono due maiali, ignari del destino che li attende. Fa passare il cappio nella bocca di uno dei due maiali e, una volta assicuratosi che questo è diventato una sorta di guinzaglio per la bestia, tesa la fune e costringe il suino ad uscire dal casiello. Cresce la tensione tra gli astanti, la concentrazione è massima. Appena uscito si chiude il cancello del casiello, si lega una delle zampe posteriori con una fune, le due anteriori con altre funi. Si issa il bestione mediante la fune legata alla zampa posteriore, mentre le altre due corde, legate agli arti anteriori, lo tengono fermo. A questo punto, al maiale quasi immobile e a testa in giù. Zio Cataldo, sferra un preciso fendente alla gola con un coltello affilato, il sangue sgorga copioso, nonna Camilla lo raccoglie in una bacinella. Pian piano il corpo del suino, che continua a dibattersi e a lanciare urla disperate, benché tenuto fermo con le corde, si svuota del sangue, si affievolisce, fino a diventare esangue. Nel frattempo si continua a rimestare il sangue con una canna per evitare che coaguli: il composto diventa spumoso, poi viene filtrato con un colapasta, messo in un recipiente e conservato in luogo fresco; servirà per il sanguinaccio, crema a base di cacao antesignana della più celebre Nutella e pinoli. L`uccisione del maiale, per noi era un rito annuale. Si inizia ad incidere partendo dalla zona anale con un taglio superficiale che arriva fino all’ organo riproduttivo, la lama ci gira intorno, poi lo recide: viene messo da parte servirà per ingrassare calzature per la campagna. Il taglio si fa più incisivo: si inizia dalla zona del codino, prima con coltello, poi con precisi quanto delicati colpi di mannaia. Si lega il retto anale, per evitare spiacevoli fuoriuscite, lo si taglia e lo si elimina. Si apre l’addome, spaccando anche il costato. Si recuperano tutte le interiora che vengono messe in una bagnarola, affidata subito a zia Maria che sa trattarle adeguatamente. Poi si estrae la coratella (o campanare), un unico grande pezzo di frattaglie formato da polmone, trachea, milza, lingua e fegato. La prima operazione consiste in un taglio verticale, si estrae la rete che ricopre lo stomaco (peritoneo) del maiale, che nel frattempo nonno ha recuperato dal groviglio di interiora e lavato accuratamente. Dal ventre si recupera un pezzo, prelibato bocconcino da gettare sulla brace, una delle cose
che si possono mangiare del maiale appena macellato. Una volta si poteva mangiare anche la coratella, fatta a pezzi e cotta nel classico “suffritto” con cipolla, foglie di lauro, tanto peperoncino e sfumata con il vino. Ma oggi norme sanitarie ne impongono la preventiva analisi. Tutte le interiora si lasciano a bagno in acqua fresca e pezzi di limone per due-tre giorni cambiando di frequente l’acqua. Le budella serviranno per insaccare le soppressate, mentre la trippa e` condita con olio, prezzemolo, aglio, limone e con l’immancabile peperoncino. Tutte queste operazioni svolte in meno di due ore. Non c’è che dire la squadra ha fatto un ottimo lavoro. Una squadra formata da giovani e meno giovani, tutti con un grande bagaglio di esperienza. I componenti sono il nonno, nonna, gli zii Cataldo e Ferdinando. I giovanissimi Algimiro, Giuseppe e loro padre Vincenzo, premuroso padrone di casa. Zio Cataldo il chirurgo, coraggioso, forte, trascinatore. Poi ci sono zia Clelia, mamma Irma. Infine, zio Peppe ed io che svolgiamo compiti marginali, non avendo né l’esperienza, né l’abilità per essere veramente utili in campo. La prima pratica è stata archiviata. Arriva zio Algimiro dal pagliaro delle galline, in mano quattro uova appena covate, ancora calde. È l’ideale per rifocillarsi in una fredda mattina sferzata da un vento di tramontana. Ne prendo una, pratico un forellino sulla sommità con un punzone e succhio. Oggi la cosa mi riporta indietro di almeno 75 anni, quando con altri bambini andavamo nel pagliaro di mia nonna a rubare le uova appena covate. A questo punto ci spostiamo nella grotta, adibita a cantina per le meritate e rituali operazioni di ristoro. Soprattutto perché bisogna festeggiare, suggellando con un brindisi, o forse più di uno, questa giornata di festa. Le ansie di nonno Vincenzo, che temeva di fare brutta figura se il prosciutto fosse uscito rancido o cattivo, vengono immediatamente allontanate al primo taglio, quando dal prosciutto si solleva un profumo che penetra nelle narici e conferma la grande abilità norcina del nonno. Le fette tagliate al coltello sono spesse, morbide, saporite, profumate, equilibrate di sale e di peperoncino e del vino snagiovese, stagionate al punto giusto. Accompagnate da un pane dalla mollica compatta. Il prosciutto a Roccagorga si produce per tradizione con l’osso. Le poche volte che si è provato a farlo senza l’osso, il prosciutto è andato perduto. Probabilmente le condizioni climatiche permettono una perfetta stagionatura del prosciutto con l’osso, un prodotto prettamente montano. La temperatura esterna è fredda, secca, ventosa, ideale per rassodare le carni dei maiali macellati. Tra ventiquattro o al massimo quarantotto ore si procederà a sfasciare le pacche appese. Ma questa è un’altra storia, da raccontare nel prossimo libro.
XIV Il trasferimento da Roccagorga a Pontinia A guerra finita, Roccagorga e` pronta a ripartire e nelle elezioni amministrative, nonostante la macchina di propaganda del partito comunista fosse ben oliata, anche dai fondi che arrivavano dalla Russia, vince la democrazia cristiana con Giulio Briganti. Sarà l`unica volta in piu` di 70 anni. Il primo anno scolastico fila liscio: la pagella parla chiaro: tutti dieci, tranne un otto in matematica. Nonna Camilla, è orgoglisa del risultato e a Natale mi regala 100 lire, mentre nonno Vincenzo nel mese di ottobre aveva raccolto l`uva fragola,nascondendola nella grotta per il regalo di Natale. L`anno successivo dal Municipio,sede provvisoria della scuala di prima elementare, ci spostiamo a Palazzo Barone, dove frequenterò sino alla quarta. Dalla seconda elementare alla quarta, il mio maestro è il signor Narzete. E1 un uomo tutto di un pezzo. Serio, disciplinato e soprattutto autoritario. Esige dagli alunni massimo rispetto e discilpina. Mi vuole anche bene. A scuola sono abbastanza bravo e i voti sono sempre alti. Uno dei difetti del maestro Narzete è il canto e ci impone a cantare ‘‘Bianco Fiore’’, l`inno e della Democrazia Cristiana. A fine anno scolastico, i miei genitori decidono di trasferirsi nel comune di Pontinia, dove hanno acquistato un pezzo di terreno e dove sognano di fabbricare una bella casetta. Per me il trasferimento da Roccagorga a Pontinia è traumatico. Per ragioni geografiche o forse per punizione sarò costretto a frequentare una scuola rurale lontana da Pontinia, nella zona della “Cotarda”. Per mia fortuna qui trovo degli insegnanti eccezionali e comprensivi i quali mi aiutano ad inserirmi nel nuovo contesto. Il direttore didattico, il professore Tasciotti. Una persona gentilissima e diplomatica che si prende subito personalmente cura di me aiutandomi ad integrarmi con gli altri alunni . Pontinia è popolata in maggior parte da famiglie provenienti dal nord Italia. É difficile conversare con i loro figli, i quali parlano un dialetto a me sconosciuto. Cionostante riesco a far amicizia con molti ragazzi che a distanza di oltre 70 anni manteniamo ancora il contatto. Non so il perche` ma ogni tanto gli insegnanti ci somministravano delle pillole di merluzzo, dicevano che facevano bene all’intestino. Per mantenere il contatto con i miei ex compagni di scuola di Roccagorga avevamo fatto un patto. Vederci tutto l`anno alla Fiera dei Prati a Roccagorga. Il 17-18 -19 agosto di ogni si teneva a Roccagorga c`era il tradizionale appuntamento con la
“ Fiera dei Prati – Sagra della Capra”. Nata su delibera comunale del 1948, la fiera fu voluta dall’allora Sindaco Luigi Mosca coadiuvato dal suo segretario Domenico Cicala, pensata come incontro annuale per poter esibire e scambiare merce e bestiame. Lo stesso Sindaco per incentivare la partecipazione copiosa degli allevatori e pastori di zona all’evento, istituì un premio in denaro che doveva essere assegnato al possidente del miglior capo di bestiame. Per l’occasione veniva costituita un’apposita commissione formata dal primo cittadino, dagli amministratori, dal comandante dei vigili e dal veterinario consorziato, i quali passavano attraverso le postazioni dei partecipanti per valutare il migliore tra i capi di bestiame esposti, benchè in realtà finivano il più delle volte con il ripartire la somma tra più allevatori, per premiarne l’adesione all’iniziativa. I festeggiamenti duravano un intero giorno iniziando la mattina del 18 agosto per terminare in tarda serata tra brindisi e cibo della tradizione locale tra cui la nota carne di capra. Negli anni a seguire la fiera fu spostata in diversi punti della zona prati (Via Prati,Via La Cona, Via della Pace) per poi approdare negli anni novanta nella più interna zona artigianale per problemi di viabilità. Dopo più di settant’anni la fiera dei Prati appare oggi con un volto completamente nuovo, trasformatasi in una vera e propria Kermesse nella quale il visitatore può trovare non solo un’occasione d’acquisto ma anche partecipare a momenti ludici, sportivi, gastronomici, e folkloristici, un’evoluzione questa connessa ai profondi cambiamenti dell’economia locale dell’ultimo cinquantennio. Un filo culturale oggi lega le tre giornate della fiera attraverso dibattiti giornalieri che si snoderanno in sequenza sui caldi temi caldi sul tema del rilancio e sviluppo della zona Prunacci.
XV Ambientarsi in un luogo sconosciuto Ambientarsi in un luogo che con conosci non è facile, crearsi nuove amicizie a volte richiede un lavoro certosino. Pontinia è una cittadina moderna, rispetto a Roccagorga. Fondata nel 1933 fa parte delle cinque città, volute fortemente da Mussolini per popolare l`Agro Pontino bonificato. Una vota ultimati i lavori di bonifica. Il governo Mussolini, costituisce una corporazione chiamata “Opera Nazionale Combattenti ” che ha il compito di assegnare le case e la terra ai contadini. La prassi per l`assegnazione delle case coloniche i cosiddetti poderi è semplice: terreno, case con gli attrezzi e mucche, vengono assegnate ai grandi invalidi di guerra, a contadini del Nord Italia che desiderano trasferirsi nell`Agro Pontino. Uno di questi poderi è assegnato a mio nonno Vincenzo, per aver combattuto nella prima guerra mondiale e rimasto ferito in modo abbastanza grave. Il nonno conosce molto bene la zona e per paura di contrarre la malaria, non ancora del tutto debellata, declina l`offerta e preferisce restare Roccagorga dove l`aria di montagna è salubre.
XVI Come nasce la grande bonifica dell’ Agro Pontino La bonifica integrale cominciò nel 1924, con la vendita allo Stato Italiano di un territorio di 20.000 ettari circa, di proprietà della famiglia Caetani, noto come Bacino di Piscinara (corrispondente in gran parte agli attuali territori comunali di Cisterna di Latina e Latina). Iniziarono così i primi lavori di bonifica con l’istituzione del Consorzio di Bonifica di Piscinara che avviò la canalizzazione delle acque del bacino del fiume Astura. Il giardino di Ninfa immerso nella sua palude, pochi anni prima della bonifica Nel 1926 fu varato un regio decreto, che istituì due consorzi: il preesistente Consorzio di Piscinara fu esteso su tutti i terreni a destra della linea Ninfa-Sisto, su un’area di 48.762 ettari e a sinistra della linea, il Consorzio di Bonificazione dell’Agro Pontino (26.567 ettari), un’area relativamente inferiore, ma costituita dai territori siti sotto il livello del mare e quindi dove la bonifica fu maggiormente complessa. I due Consorzi erano costituiti dall’unione dei latifondisti privati e dello Stato, ma in seguito alla legge Mussolini (Legge 24 dicembre 1928, n. 3134), i terreni improduttivi o abbandonati potevano essere espropriati quando i proprietari non avessero aderito ai Consorzi e ne avessero comunicato la cessione allo stato per il tramite della prefettura; quindi gran parte delle aree bonificate passò sotto il controllo diretto dello Stato, che lo delegò all’Opera Nazionale Combattenti. Fu un’opera immensa: dal 1926 al 1937, per bonificare l’agro, furono impiegate ben 18.548.000 giornate-operaio con il lavoro di cinquantamila operai, reclutati in tutto il Paese. Oltre al prosciugamento delle paludi, la costruzione dei canali, ci fu l’azione di disboscamento delle foreste e la costruzione dei nuovi centri, che sorgevano man mano nei nuovi territori. L’Opera Nazionale Combattenti si occupò della gestione dei terreni e dei poderi che venivano via via costituiti nei terreni bonificati, affidandoli in concessione a coloni provenienti per la stragrande maggioranza dalle regioni, allora povere e sovraffollate del Veneto, del Friuli e dell’Emilia. Al centro dei vari poderi, venivano costruite delle case coloniche (circa 4000), molte delle quali tuttora abitate dai discendenti dei “pionieri”. In seguito, il territorio fu suddiviso in
comprensori facenti capo ciascuno ad un borgo o ad un capoluogo comunale; i borghi, con una struttura urbanistica in molti casi simile, con la chiesa, la casa del fascio, il credito agricolo, la scuola avevano in origine la funzione di fare da centri di raccordo fra i vari poderi e di provvedere alla necessità dei coloni. Il primo borgo ad essere costruito fu Borgo Podgora, nel 1927, destinato ad appartenere pochi anni dopo al comune di Latina, creato inizialmente come villaggio operaio con il nome di Sessano (dal nome del vicino rudere della medievale torre di Sessano) e solo progressivamente convertito in borgo rurale; i primi centri invece concepiti e fondati direttamente come centri della colonizzazione e dell’appoderamento furono probabilmente Borgo Isonzo, Borgo Piave e Borgo Carso, costruiti a partire dal 1931. I borghi di nuova fondazione a partire dal 1933 furono battezzati o ribattezzati in gran parte con nomi ispirati ai principali luoghi di battaglia della Prima guerra mondiale. In alcuni casi invece fu adottato il nome “storico” della località (per esempio Doganella di Ninfa fra Cisterna e Sermoneta) oppure furono legati all’attività principale del borgo (Littoria Stazione, oggi Latina Scalo sorto come centro di servizio per i passeggeri dello scalo ferroviario di Latina). Di molti borghi si tramanda tradizionalmente anche una denominazione “preesistente”, che talvolta è indicata anche nella segnaletica stradale: tale denominazione in alcuni casi è la vera prima denominazione ufficiale del centro stesso edificato come villaggio operaio della bonifica (Sessano, Passo Genovese, Casale dei Pini, Villaggio Capograssa). In altri casi si riferisce invece a toponimi minori relativi ad antichi incroci, strade o casali situati nei pressi del centro del nuovo borgo, ma sostanzialmente disabitati prima della bonifica (Conca, Antonini, La Botte, Piano Rosso, Foro Appio), in tutti i casi nella documentazione storica sono spesso presenti entrambe le denominazioni, talvolta con qualche variante. Oltre ai borghi veri e propri, si procedette all’edificazione di nuove città concepite secondo i criteri dell’architettura razionalista: la prima ad essere fondata fu nel 1932 Littoria (oggi Latina), cui seguirono Sabaudia (così definita in onore dei Savoia), Pontinia, Aprilia e Pomezia. La bonifica idraulica, durata quindi undici anni, grazie ad un complesso sistema di canali, ebbe finalmente successo e fu esaltata dalla propaganda fascista come uno dei meriti più straordinari, forse il più straordinario, del regime. Nel dopoguerra si è valutata per lo più in modo negativo la bonifica in quanto distruttiva di un ecosistema unico al mondo, soprat-
tutto per le rarissime specie faunistiche che vi vivevano. Per tutelare gli ultimi lembi di habitat fu istituito il Parco Nazionale del Circeo nel comprensorio residuo della foresta demaniale di Terracina, risparmiata dalla bonifica sia su pressioni politiche locali che per motivi propagandistici legati alla mai effettuata esposizione dell’E42 (EUR), esteso anche alle paludi costiere rimaste, all’area del Circeo, alla spiaggia compresa tra Sabaudia e Capoportiere, all’isola di Zannone. Durante la seconda guerra mondiale, l’Agro era l’estremo lembo meridionale della Repubblica Sociale Italiana e a partire dal gennaio del 1944 si trovò stritolato fra ben tre fronti: la linea Gustav a sud, il fronte di Cassino a est e soprattutto lo sbarco, tentato dagli Alleati ad Anzio il 22 gennaio. I tedeschi riuscirono a sorpresa a bloccare gli Americani, e a predisporre una linea difensiva fra Aprilia, Cisterna di Latina e Littoria. Dopo due mesi di stallo, a marzo i tedeschi prepararono una massiccia offensiva costringendo la popolazione civile ad abbandonare la zona. Gli Alleati tuttavia reagirono con energia, conquistando Aprilia agli inizi di aprile. Il 23 maggio fu lanciata l’operazione Buffalo: gli Americani puntavano a sfondare la linea, puntando sull’abitato di Cisterna riuscendovi ad entrare solo dopo una battaglia durissima l’indomani, mentre i tedeschi che si erano rintanati nel cinquecentesco palazzo Caetani, (nel centro di Cisterna) si arresero solo nel primo pomeriggio. Il 24 maggio gli americani entrarono a Littoria, il 25 fu raggiunta Pontinia e le truppe alleate si ricongiunsero con i compagni che giungevano da Terracina. Il 29 maggio l’Agro era completamente liberato, la situazione generale era però a pezzi. I lunghi mesi di guerra avevano seminato ovunque dolore e distruzione, intere zone erano rase a suolo, buona parte della popolazione era stata allontanata forzatamente dalle proprie abitazioni. Inoltre i tedeschi nel tentativo di ritardare l’avanzata degli alleati, avevano volutamente danneggiato e distrutto molte opere di bonifica, provocando l’allagamento di ettari di terreno, causando in molte zone anche il drammatico ritorno della malaria. L’introduzione dell’Agro Pontino nelle zone sostenute dalla Cassa del Mezzogiorno e la notevole disponibilità di manodopera hanno favorito l’insediamento di numerosissime aziende, soprattutto chimiche, alimentari, farmaceutiche, sintetiche, concentrate in prevalenza nel triangolo Latina-Aprilia-Cisterna. La crescita industriale ha attratto numerosi immigrati dall’Italia centro meridionale. L’immigrazione ha avuto il suo massimo negli anni settanta e ottanta e le terre di maggior provenienza erano soprattutto Abruzzo, Campania e Sicilia che si è mescolata ai locali e ai coloni giunti dal Nord Italia. L’arrivo di gente da tutta Italia ha favorito, soprattutto nei centri maggiori, uno straordinario mescolamento di culture, modi di vivere, dialetti che ha fatto dell’Agro Pontino un caso di studio demo-sociologico nazionale.
XVII La festa di Sant`Anna a Pontinia C`eravamo trasferiti da poco a Pontinia. Era il mese di giugno, abituati alla brezza del mattino a Roccagorga, a Pontinia si respirava un`aria pesante e umida con temperature al di sopra dei 33 gradi. L`aria condizionata non esisteva e per rinfrescarci ci buttavamo nel canaletto di cemento con l`acqua che veniva dal fiume Ufente. Il canaletto passava davanti la nostra proprieta` acquistata l`anno prima. L`acqua era destinata ad irrigare i terreni, ma anche per rinfrescarci. La nostra proprietà dava sulla strada che collega la migliara 48 e 49. Andando verso sud si raggiunge la Cotarda, andando verso, ovest, Pontinia e il mare di Sabaudia. L`agricoltura primaria era il frumento e granturco. La mietitura del grano avveniva neil mese di giugno e i proprietari di piccoli appezzamenti di terreno della zona, a mietitura avvenuta portavano i cavoni di grano da noi per la trebbiatura. In cambio mio padre riceveva come compenso la paglia che poi avrebbe usato a fare il letto per le mucche. Il 26 luglio a Pontinia c`è la grande festa di Sant`Anna. Casa nostra dista circa sei chilomentri dal centro e allora per raggiungerla chi era fortunato di essere in possesso di una bicicletta, raggiungeva il Centro. Per l`acquisto del terreno, mio padre aveva contratto dei debiti e la bicicletta doveva aspettare tempi migliori. Di Sant`Anna nulla sappiamo dalla Sacra Scrittura. Le notizie, che la riguardano, ci sono tramandate dalla letteratura estracanonica dei primi secoli della Chiesa e dagli elogi che ne tessero gli scrittori sacri dei tempi posteriori. Citiamo, a questo proposito, il Protovangelo di Giacomo (Giacomo il Minore, fratello di Gesù), che, secondo i critici, dev’essere stato composto prima del 150 d. C. In esso si parla, con una certa abbondanza di particolari, di Gioacchino e Anna, che in età avanzata diedero alla luce la vergine Maria. Nel sec. VIII, S. Giovanni Damasceno pronunciò un discorso Sulla natività di Maria, in cui loda entusiasticamente i genitori della Vergine. La madre della Vergine, è titolare di svariati patronati quasi tutti legati a Maria; poiché portò nel suo grembo la speranza del mondo, il suo mantello è verde, per questo in Bretagna dove le sono devotissimi, è invocata per la raccolta del fieno; poiché custodì Maria come gioiello in uno scrigno, è patrona di orefici e bottai; protegge i minatori, falegnami, carpentieri, ebanisti e tornitori. Perché insegnò alla Vergine a pulire la casa, a cucire, tessere, è patrona dei fabbricanti di
scope, dei tessitori, dei sarti, fabbricanti e commercianti di tele per la casa e biancheria. È soprattutto patrona delle madri di famiglia, delle vedove, delle partorienti, è invocata nei parti difficili e contro la sterilità coniugale. Il nome di Anna deriva dall’ebraico Hannah (grazia) e non è ricordata nei Vangeli canonici; ne parlano invece i vangeli apocrifi della Natività e dell’Infanzia, di cui il più antico è il cosiddetto “Protovangelo di san Giacomo”, scritto non oltre la metà del II secolo. Questi scritti benché non siano stati accettati formalmente dalla Chiesa e contengono anche delle eresie, hanno in definitiva influito sulla devozione e nella liturgia, perché alcune notizie riportate sono ritenute autentiche e in sintonia con la tradizione, come la Presentazione di Maria al tempio e l’Assunzione al cielo, come il nome del centurione Longino che colpì Gesù con la lancia, la storia della Veronica, ecc. Il “Protovangelo di san Giacomo” narra che Gioacchino, sposo di Anna, era un uomo pio e molto ricco e abitava vicino Gerusalemme, nei pressi della fonte Piscina Probatica; un giorno mentre stava portando le sue abbondanti offerte al Tempio come faceva ogni anno, il gran sacerdote Ruben lo fermò dicendogli: “Tu non hai il diritto di farlo per primo, perché non hai generato prole”. Gioacchino ed Anna erano sposi che si amavano veramente, ma non avevano figli e ormai data l’età non ne avrebbero più avuti; secondo la mentalità ebraica del tempo, il gran sacerdote scorgeva la maledizione divina su di loro, perciò erano sterili. L’anziano ricco pastore, per l’amore che portava alla sua sposa, non voleva trovarsi un’altra donna per avere un figlio; pertanto addolorato dalle parole del gran sacerdote si recò nell’archivio delle dodici tribù di Israele per verificare se quel che diceva Ruben fosse vero e una volta constatato che tutti gli uomini pii ed osservanti avevano avuto figli, sconvolto non ebbe il coraggio di tornare a casa e si ritirò in una sua terra di montagna e per quaranta giorni e quaranta notti supplicò l’aiuto di Dio fra lacrime, preghiere e digiuni. Anche Anna soffriva per questa sterilità, a ciò si aggiunse la sofferenza per questa ‘fuga’ del marito; quindi si mise in intensa preghiera chiedendo a Dio di esaudire la loro implorazione di avere un figlio. Durante la preghiera le apparve un angelo che le annunciò: “Anna, Anna, il Signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua prole in tutto il mondo”. Così avvenne e dopo alcuni mesi Anna partorì. Il “Protovangelo di san Giacomo” conclude: “Trascorsi i giorni necessari si purificò, diede la poppa alla bimba chiamandola Maria, ossia ‘prediletta del Signore’”. Altri vangeli apocrifi dicono che Anna avrebbe concepito la Vergine Maria in modo miracoloso durante l’assenza del marito, ma è evidente il ricalco di un altro episodio biblico, la cui protagonista porta lo stesso nome di Anna, anch’ella sterile e che sarà prodigiosamente madre di Samuele.
Gioacchino portò di nuovo al tempio con la bimba, i suoi doni: dieci agnelli, dodici vitelli e cento capretti senza macchia. L’iconografia orientale mette in risalto rendendolo celebre, l’incontro alla porta della città, di Anna e Gioacchino che ritorna dalla montagna, noto come “l’incontro alla porta aurea” di Gerusalemme; aurea perché dorata, di cui tuttavia non ci sono notizie storiche. I pii genitori, grati a Dio del dono ricevuto, crebbero con amore la piccola Maria, che a tre anni fu condotta al Tempio di Gerusalemme, per essere consacrata al servizio del tempio stesso, secondo la promessa fatta da entrambi, quando implorarono la grazia di un figlio. Dopo i tre anni Gioacchino non compare più nei testi, mentre invece Anna viene ancora menzionata in altri vangeli apocrifi successivi, che dicono visse fino all’età di ottanta anni, inoltre si dice che Anna rimasta vedova si sposò altre due volte, avendo due figli la cui progenie è considerata, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, come la “Santa Parentela” di Gesù. Il culto di Gioacchino e di Anna si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente (anche a seguito delle numerose reliquie portate dalle Crociate); la prima manifestazione del culto in Oriente, risale al tempo di Giustiniano, che fece costruire nel 550 ca. a Costantinopoli una chiesa in onore di s. Anna. L’affermazione del culto in Occidente fu graduale e più tarda nel tempo, la sua immagine si trova già tra i mosaici dell’arco trionfale di S. Maria Maggiore (sec. V) e tra gli affreschi di S. Maria Antiqua (sec. VII); ma il suo culto cominciò verso il X secolo a Napoli e poi man mano estendendosi in altre località, fino a raggiungere la massima diffusione nel XV secolo, al punto che papa Gregorio XIII (1502-1585), decise nel 1584 di inserire la celebrazione di s. Anna nel Messale Romano, estendendola a tutta la Chiesa; ma il suo culto fu più intenso nei Paesi dell’Europa Settentrionale anche grazie al libro di Giovanni Trithemius “Tractatus de laudibus sanctissimae Annae” (Magonza, 1494). Gioacchino fu lasciato discretamente in disparte per lunghi secoli e poi inserito nelle celebrazioni in data diversa; Anna il 25 luglio dai Greci in Oriente e il 26 luglio dai Latini in Occidente, Gioacchino dal 1584 venne ricordato prima il 20 marzo, poi nel 1788 alla domenica dell’ottava dell’Assunta, nel 1913 si stabilì il 16 agosto, fino a ricongiungersi nel nuovo calendario liturgico, alla sua consorte il 26 luglio. Artisti di tutti i tempi hanno raffigurato Anna quasi sempre in gruppo, come Anna, Gioacchino e la piccola Maria oppure seduta su una alta sedia come un’antica matrona con Maria bambina accanto, o ancora nella posa ‘trinitaria’ cioè con la Madonna e con Gesù bambino, così da indicare le tre generazioni presenti.Dice Gesù nel Vangelo “Dai frutti conoscerete la pianta” e noi conosciamo il fiore e il frutto derivato dalla annosa pianta: la Vergine, Immacolata fin dal concepimento, colei che preservata dal peccato originale doveva diventare il tabernacolo vivente del Dio fatto uomo.Dalla santità del frutto, cioè di Maria, deduciamo la santità dei suoi genitori Anna e Gioacchino.
XVIII Il miracolo italiano degli anni `50 e `60 e il grande esodo verso il Canada, Stati Uniti d`America e Brasile e Argentina ome per molta parte del mondo occidentale, anche per l’Italia gli anni ‘50 furono caratterizzati da profonde trasformazioni sia di ordine sociale, economico e culturale, che tuttavia non cancellarono i gravi e radicati squilibri accusati fin dal secondo dopoguerra. L’appartenenza all’alleanza atlantica e l’egemonia della Democrazia Cristiana costituirono la base da cui prese piede il decollo economico italiano. Il settore più interessato fu quello industriale (specie l’industria meccanica, elettromeccanica e siderurgica), mentre l’agricoltura perdeva progressivamente il peso che portò l’Italia degli anni ‘30 a caratterizzarsi come Paese essenzialmente agricolo-industriale. Nel boom del dopoguerra, a rimetterci di piu` sono i piccoli propietari di terra e quando si presenta la possibilita` di emigrare non ci pensano due volte. E` il caso di mio padre. Il fratello maggiore Bernadino era stato richimato dal cognato stabilitosi a Edmonton nel 1956. Zio Bernardino chiese a mio padre se volesse raggiungerlo in Canada. In un primo tempo mio padre disse no, anche perchè mia madre era contraria alla seconda separazione della famiglia. Gli undici anni passati nell`esercito italiano da mio padre erano stati troppi per lei: aveva consumato centinaia di fazzoletti per asciugarsi le lacrime. Ma viste le condizioni economiche del paese, a malincuore si lasciò convincere con un caviat: nel breve giro di un anno, massimo due , tutta la famiglia doveva essere ricongiunta in Canada. Ottenuto l`atto di richiamo da zio (Berardino, arrivato qualche anno prima in Canada), il mese di marzo del 1958 mio padre si imbarca a bordo della nave Raffaello, destinazione New York. Nel frattempo a Pontinia eravamo rimasti, io, mamma Irma, mia sorella Leopolda e l`ultimo arrivato in famiglia Domenico, nato nel 1955. Un direttore d`orchestra mancato Le aspirazioni dei miei genitori per me erano che un giorno diventassi un famoso direttore d`orchesrta . Sin dalla tenera` età, mi avevano iscritto a un corso di musica. Per le lezoni avevano assunto il direttore della banda musicale di Pontinia. Un uomo tutto d`un pezzo, veniva da Piacenza e da tempo dirigeva la banda musicale del paese. Quattro anni di teoria in solfeggio, poi l`inizio della pratica con una fisarmonica a 80 bassi di Castelfidardo. Nonostante non fossi inclinato alla musica, a dire la verita` non me la sentivo deludere le aspettative dei miei genitori, ma sin cuor mio, sin da ragazzo sognavo di fare il giornalista.
C
Il giornalismo, abbinato alla fotografia. Raccontare la cronaca, una storia, un evento straordinaro corredati da foto. La prima macchina fotografica, una Comet- Bencini: “Guarda il mondo con gli occhi, con il cuore, con tutti i sensi. Ma guardalo stringendo la mano di chi ti accompagna nella vita. Solo allora lo capirai anche”. Me la regalo` il nipote del dottor Iucci, signore d`altri tempi proveniente dalle Puglia. A Pontinia aveva acquistato una delle più grandi aziende agricole della zona. La macchina fografica usava un film 120 con otto scatti, ma aveva un dispositivo interno e come una magia, gli scatti diventavano 16. Fotografavo qualsiasi cosa si movesse. Nel 1959, ottengo l`atto di richiamto da mio padre e parto alla volta del Canada con a tracollo la mia Bencini. Del Canada conoscevo poco o nulla. L`unica cosa che avevo letto che in questo immenso Paese vivevano gli esquimesi. Il primo marzo 1959, accompagnato da mia madre, zio Ferdinando e nonno Vincenzo ci recachiamo a Napoli per prendere la turbo nave Olympia che mi avrebbe condotto ad Halifax. Otto giorni di odissea. Passato il Golfo Leone iniziano i guai. Il mare burrascoso, la nave anche se nuova di zecca, non e` attrezzata con gli stabilizzatori. Arrivo ad Halifax il 9 marzo 1959, poi tre girni di treno sino ad Edmonton. Alla stazione c`e il mio amico Vittorio Bonanni, emigrato con i genitori nel 1955. Dopo gli abbracci, mi aspetto che mi chieda come e` andato il viaggio, macche; mi da il benvenuto mostrandomi la sua automobile fiammante. La prima cosa che faccio, estraggo la macchinetta fotogafica e scatto tutto il rullino per immortalare la Dodge del mio amico. Ma torniamo per un momento in Italia. Gli imprenditori potevano avvalersi di una grande disponibilità di manodopera a basso costo, e, conseguentemente, la produzione poteva essere indirizzata verso i mercati esteri; infatti, il basso costo della manodopera consentiva di immettere sul mercato dei prodotti il cui costo risultava particolarmente competitivo sui mercati internazionali. La gran parte di questa forza-lavoro proveniva dal Sud del Paese: il Nord-Italia diveniva così meta ambita dell’emigrazione meridionale, andando così a sostituirsi al ruolo che fino a quel momento era stato appannaggio degli Stati Uniti e di alcuni altri Paesi europei. Simbolo del benessere che cominciava a diffondersi fra i ceti medi della popolazione diventarono, dalla seconda metà degli anni cinquanta, le automobili, gli elettrodomestici, il turismo di massa. Questi risultati raggiunti dall’economia italiana fecero subito parlare di «miracolo economico», anche se non mancarono i costi sociali: l’agricoltura, ormai estraniata dalla vita economica, non fu in grado di sostentare i bisogni di generi alimentari necessari (quali grano, carne e burro), col risultato che l’Italia si trovò a dover dipendere dalle importazioni stra-
niere; il fenomeno dell’emigrazione dal Sud verso il Nord del Paese portò al progressivo
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ome per molta parte del mondo occidentale, anche per l’Italia gli anni ‘50 furono caratterizzati da profonde trasformazioni sia di ordine sociale, economico e culturale, che tuttavia non cancellarono i gravi e radicati squilibri accusati fin dal secondo dopoguerra.
L’appartenenza all’alleanza atlantica e l’egemonia della Democrazia Cristiana costituirono la base da cui prese piede il decollo economico italiano. Il settore più interessato fu quello industriale (specie l’industria meccanica, elettromeccanica e siderurgica), mentre l’agricoltura perdeva progressivamente il peso che portò l’Italia degli anni ‘30 a caratterizzarsi come Paese essenzialmente agricolo-industriale. Nel boom del dopoguerra, a rimetterci di piu` sono i piccoli propietari di terra e quando si presenta la possibilita` di emigrare non ci pensano due volte. E` il caso di mio padre. Il fratello maggiore Bernadino era stato richimato dal cognato stabilitosi a Edmonton nel 1956. Zio Bernardino chiese a mio padre se volesse raggiungerlo in Canada. In un primo tempo mio padre disse no, anche perchè mia madre era contraria alla seconda separazione della famiglia. Gli undici anni passati nell`esercito italiano da mio padre erano stati troppi per lei: aveva consumato centinaia di fazzoletti per asciugarsi le lacrime. Ma viste le condizioni economiche del paese, a malincuore si lasciò convincere con un caviat: nel breve giro di un anno, massimo due , tutta la famiglia doveva essere ricongiunta in Canada. Ottenuto l`atto di richiamo da zio (Berardino, arrivato qualche anno prima in Canada), il mese di marzo del 1958 mio padre si imbarca a bordo della nave Raffaello, destinazione New York. Nel frattempo a Pontinia eravamo rimasti, io, mamma Irma, mia sorella Leopolda e l`ultimo arrivato in famiglia Domenico, nato nel 1955. Un direttore d`orchestra mancato Le aspirazioni dei miei genitori per me erano che un giorno diventassi un famoso direttore d`orchesrta . Sin dalla tenera` età, mi avevano iscritto a un corso di musica. Per le lezoni avevano assunto il direttore della banda musicale di Pontinia. Un uomo tutto d`un pezzo, veniva da Piacenza e da tempo dirigeva la banda musicale del paese. Quattro anni di teoria in solfeggio, poi l`inizio della pratica con una fisarmonica a 80 bassi di Castelfidardo. Nonostante non fossi inclinato alla musica, a dire la verita` non me la sentivo deludere le aspettative dei miei genitori, ma sin cuor mio, sin da ragazzo sognavo di fare il giornalista. Il giornalismo, abbinato alla fotografia. Raccontare la cronaca, una storia, un evento straordinaro corredati da foto. La prima macchina fotografica, una Comet- Bencini: “Guarda il mondo con gli occhi, con il cuore, con tutti i sensi. Ma guardalo stringendo la mano di chi ti accompagna nella vita. Solo allora lo capirai anche”. Me la regalo` il nipote del dottor Iucci, signore d`altri tempi proveniente dalle Puglia. A Pontinia aveva acquistato una delle più grandi aziende agricole
della zona. La macchina fografica usava un film 120 con otto scatti, ma aveva un dispositivo interno e come una magia, gli scatti diventavano 16. Fotografavo qualsiasi cosa si movesse. Nel 1959, ottengo l`atto di richiamto da mio padre e parto alla volta del Canada con a tracollo la mia Bencini. Del Canada conoscevo poco o nulla. L`unica cosa che avevo letto che in questo immenso Paese vivevano gli esquimesi. Il primo marzo 1959, accompagnato da mia madre, zio Ferdinando e nonno Vincenzo ci recachiamo a Napoli per prendere la turbo nave Olympia che mi avrebbe condotto ad Halifax. Otto giorni di odissea. Passato il Golfo Leone iniziano i guai. Il mare burrascoso, la nave anche se nuova di zecca, non e` attrezzata con gli stabilizzatori. Arrivo ad Halifax il 9 marzo 1959, poi tre girni di treno sino ad Edmonton. Alla stazione c`e il mio amico Vittorio Bonanni, emigrato con i genitori nel 1955. Dopo gli abbracci, mi aspetto che mi chieda come e` andato il viaggio, macche; mi da il benvenuto mostrandomi la sua automobile fiammante. La prima cosa che faccio, estraggo la macchinetta fotogafica e scatto tutto il rullino per immortalare la Dodge del mio amico. Ma torniamo per un momento in Italia. Gli imprenditori potevano avvalersi di una grande disponibilità di manodopera a basso costo, e, conseguentemente, la produzione poteva essere indirizzata verso i mercati esteri; infatti, il basso costo della manodopera consentiva di immettere sul mercato dei prodotti il cui costo risultava particolarmente competitivo sui mercati internazionali. La gran parte di questa forza-lavoro proveniva dal Sud del Paese: il Nord-Italia diveniva così meta ambita dell’emigrazione meridionale, andando così a sostituirsi al ruolo che fino a quel momento era stato appannaggio degli Stati Uniti e di alcuni altri Paesi europei. Simbolo del benessere che cominciava a diffondersi fra i ceti medi della popolazione diventarono, dalla seconda metà degli anni cinquanta, le automobili, gli elettrodomestici, il turismo di massa. Questi risultati raggiunti dall’economia italiana fecero subito parlare di «miracolo economico», anche se non mancarono i costi sociali: l’agricoltura, ormai estraniata dalla vita economica, non fu in grado di sostentare i bisogni di generi alimentari necessari (quali grano, carne e burro), col risultato che l’Italia si trovò a dover dipendere dalle importazioni straniere; il fenomeno dell’emigrazione dal Sud verso il Nord del Paese portò al progressivo spopolamento delle regioni del Mezzogiorno, acuendo ancor di più la cosiddetta «questione meridionale», tanto da far parlare di due Italie: quella industriale e benestante del Nord e quella povera ed agricola del Sud. Il modello di sviluppo che aveva prodotto il «miracolo economico», verso la fine degli anni ‘50 volgeva al termine; con l’aumento del numero delle industrie, tale da consentire la pro-
duzione delle quantità richieste dal mercato di beni, erano, conseguentemente, aumentati anche i lavoratori occupati, ma non era più così facile assumere manodopera a basso prezzo per la lavorazioni specializzate. Fu così che assumere un nuovo lavoratore cominciò a voler dire pagargli un salario più alto, e questo, a sua volta, significò, inesorabilmente, essere costretti ad aumentare il costo del prodotto finito. I prodotti italiani diventarono, via via, sempre meno competitivi, fino a che il vantaggio dell’industria italiana rispetto a quella dei Paesi industriali più avanzati andò progressivamente scomparendo. Le contraddizioni indotte nella società italiana dal modello di sviluppo del dopoguerra, si scaricarono sul sistema politico ed anche all’interno dei partiti. Il centrismo, affermatosi dopo le elezioni del 1948, non fu in grado di consolidarsi, e dentro il partito di maggioranza stesso si aprì lo scontro tra la corrente riformista, che faceva capo ad Amintore Fanfani ed a Giovanni Gronchi, e la corrente moderata capeggiata da Giuseppe Pella. Già nel 1953 lo schieramento conservatore, guidato dalla Democrazia Cristiana, perse alle elezioni la maggioranza assoluta, segno questo che il centrismo non era più in grado di esprimere e di rappresentare sul piano politico i processi di trasformazione che attraversavano la società italiana. Fu così che all’interno della Dc si imposero le forze riformiste, ora guidate da Aldo Moro, che, aprendo politicamente alla sinistra, in particolar modo al PSI, abbandonando i tradizionali alleati moderati, cioè il PLI e le componenti più conservatrici dello schieramento parlamentare, e, grazie anche all’apporto della Chiesa Cattolica, ora guidata da Giovanni XXIII, riuscì a formare, nel 1963, il primo governo di centro-sinistra, dallo stesso Moro presieduto e formato anche da ministri socialisti.
XIX Storia emigrazione italiana in Canada L’emigrazione italiana in Canada, come la maggior parte delle emigrazioni, ha avuto due momenti: il primo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 e il secondo dopo la Seconda Guerra Mondiale. I primi a giungere in Canada sono stati gli emigrati provenienti dal Veneto e dal Friuli, successivamente arrivarono tanti ragazzi provenienti dall’Italia Meridionale e Centrale. Tra questi c`ero anch`io. Non avevo ancora vent`anni.. Oggi gli italiani sono presenti in quasi tutto il territorio. Le mete più ambite dagli emigranti furono Montreal e Toronto, solo successivamente gli Italiani si trasferirono anche in altre città come Ottawa, Windsor, Edmonton, Vancouver. I primi emigrati che arrivarono in Canada, si occuparono della coltivazione delle terre; durante la prima emigrazione, era facile vedere intere famiglie che partivano per un futuro migliore altrove, verso le terre sconfinate del grande Canada. Il numero maggiore di emigrati arrivò in questo Paese durante gli anni ’50 del secolo scorso: erano giovani, cresciuti nella povertà più completa, che avevano visto l’orrore della guerra e che aiutati da amici e parenti, che già vivevano lì, erano partiti in cerca di futuro. Spesso il loro viaggio di andata era pagato dai loro cari in Canada perché questi ragazzi spesso non potevano permettersi neanche il biglietto del viaggio. Alcuni di loro invece arrivarono in Canada con un vero e proprio contratto di lavoro. In particolare, dopo il secondo conflitto mondiale, vi era bisogno di manodopera, che lavorasse per la ricostruzione e per la riqualificazione di diversi centri urbani e la richiesta di giovani lavoratori era alta. Il governo canadese richiese gli operai ai vari governi, tra i quali quello Italiano. I giovani venivano scelti tramite ufficio di collocamento e dovevano superare diverse prove per risultare idonei. Questi ragazzi partivano da soli, da Napoli o da Genova, e solo successivamente venivano raggiunti dai familiari, quando, in Canada avevano raggiunto la posizione economica sperata, quella stessa posizione economica che in Italia non avrebbero mai potuto avere. Abituarsi a vivere in Canada non è stato facile, per nessuno degli emigranti, sia della prima ondata, che della seconda; soprattutto il clima fu un gran problema all’inizio, un clima ben diverso dall’Italia, tanto più rigido, in particolare tanto freddo rispetto all’Italia Meridionale: in Canada faceva freddo, non c’era il sole italiano, e i noi dovevano lavorare quasi sempre all’aperto. I primi anni sono stati davvero duri, fatti di sacrifici e di pianti, ben presto, però quella tristezza ha fatto posto alla speranza, alla speranza di poter vivere dignitosamente e di poter offrire ai propri figli una vita migliore. C’è infine un altro dato da analizzare per quanto riguarda questa emigrazione, ovvero il fatto che essa non è mai completamente terminata. Ancora oggi infatti ci sono tantissimi giovani ricercatori e studiosi italiani, che si recano in Canada per costruire il proprio futuro, continuando a fare ciò che tanti Italiani hanno fatto prima di loro. C’è una differenza però
rispetto ai giovani Italiani che arrivavano in Canada, per lavorare i campi o per fare i muratori, i giovani di oggi hanno nelle loro tasche una laurea o un diploma, che in Italia non può garantirgli pari possibilità di carriera. Al termine della seconda Guerra mondiale, molti italiani hanno scelto il Canada come loro meta per emigrare via dall’Italia. Il Canada oggi ospita infatti circa 1.3 milioni di italo-canadesi, la sesta più grande comunità di Italiani al mondo e il quinto più grande gruppo etnico dopo Inglesi, Irlandesi, Francesi e Tedeschi. La comunità Italiana ha sempre avuto un ruolo molto importante in Canada tanto che, il 25 Ottobre 2012, Citizenship and Immigration Canada ha annunciato l’avvio di un progetto per le scuole elementari e medie per promuovere e riconoscere il grande contributo degli italo-canadesi nello sviluppo del paese. Il progetto si chiama “Italian Heritage in Canada Curriculum”. Secondo le statistiche nell’area di Toronto vivono circa 429,380 persone di origine Italiana, 225,000 nell’area di Montréal e 69,000 in quella di Vancouver. Alcune delle principali città canadesi come Vancouver, Cagary. Edmonton e Montréal hanno una loro Little Italy e Toronto haaddirittura due zone “italiane”: Little Italy su College Street e Corso Italia su St.Clair Avenue. Inoltre, interi paesi come Woodbrige, vicino a Toronto o Saint Leonard, nei dintorni di Montréal, sono stati soprannominati rispettivamente Ponte di Legno e Città Italiana a causa del grande numero di italo-canadesi che ci abita. Oltre al 1.3 milioni di residenti italo-canadesi, Citizenship and Immigration Canada ha stimato che nel 2011 in Canada erano presenti: 572 nuovi residenti permanenti di origine italiana. 1332 nuovi lavoratori temporanei dall’Italia (con permesso di lavoro) 373 nuovi studenti italiani (con permesso di studio) Inoltre ogni anno, grazie al programma International Experience Canada, circa 1000 ragazzi raggiungono il Canada.
XX Il problema della lingua
D
opo otto giorni di traversata atlantica a bordo della turbonave Olympia e 3 giorni di viaggio in treno da Halifax a Edmonton, riabbraccio mio padre. Al suo arrivo in Canada mio padre venne ospitato dal fratello Bernardino, nel frattempo mio cugino Tommaso con i risparmi aveva costruito una bella casa stile bangalow, con un seminterrato spaziosissimo e anche mio padre si era trasferito dal nipote. Tommaso era stato richiamato nel 56 dalla findanzata Lella. Orfano di padre e primogenito di zia Maddalena, sorella di mio padre, lavorava in una fonderia di ferro: la Nordwood Foundry. Invece, mio padre aveva trovato lavoro presso il comune di Edmonton, come custode e operaio in un cemitero cittadino. Ma questo lavoro durò poco, non gli piaceva scavare le buche per seppellire i morti. Quel lavoro gli ricordava i caduti in Russia durante il secondo conflitto mondiale. Aiutato dalla lingua inglese imparata durante la prigionia in Africa, decise di cambiare lavoro in un una società di idraulici. Qui fece amicizia con il capo di una società edile, il signor Don, proveniente dal Quebec, il quale gli offrì di collaborare con lui. Visto il flusso migratorio dall`Europa, e la scarsità di case, le società edililizie iniziarono a costruire interi quartieri. Mio padre era un uomo molto intraprendente. In poco tempo passò dalle dipendenze a “contrattore”. Prendeva a cottimo i pavimenti delle case e riusciva a finirne due in un giorno e guadagnava $70.00 invece del salario quotidiano che nel 1959 era di $12.00 per le otto ore lavorative. Forte della stima che era riuscito a conquistarsi con il foreman Don, da buon italiano gli chiese di assumere anche me nel cantiere. Certo io non avevo visto un chiodo in vita mia e così invece di aiutare mio padre venni impiegato a bruciare il legname inutilizzabile. Un lavoro noiso e senza futuro. Prima di partire per il Canada, mio padre fece la promessa a mia madre: entro due anni, la famiglia sarebbe stata riunita. A fine stagione, comme promesso torna in Italia per ricongiursisi con mia madre, mia sorella e mio fratello Domenico di 5 anni. Un po di tempo per espletare le pratiche consolari presso l`ambasciata canadese a Roma nell`aprile del 1960 la mia famiglia al completo è finalmente in Canada. Mia madre trova lavoro presso un ristorante gestito da una famiglia greca, mia sorella e mio fratello saranno iscritti alle scuole elementari. Nel novembre dello stesso anno mi raggiunge la donna che sposerò il 31 dicembre. del 1960 e nel 1963, Nancy ci regalerà l`unico erede: Vinicio. Finita l `avventura in cantiere, decido di tornare a scuola, inoltre mi iscrivo al Chicago School of Photografy per perfezionare il mio mestiere di fotografo, conseguendo il diplo-
ma di fotografo professionista. Fresco del diploma in tasca, inizio a lavorare prima con l`Edmonton Journal, il quotidiano locale. Nel frattempo avevo fatto conoscenza con Franco Morelli e insieme apriamo il primo studio fotografico gestito da italiani in Edmonton. Allo studio fotografico seguiranno altre attività: una agenzia di viaggi (International Travel Agencency)e una gioelleria con oro importato dall`Italia. Nonostante il successo e le soddisfazioni, in Alberta manca qualcosa di importante: un giornale edito in lingua italiana. Dal sogno iniziale, arriva l`idea concreta di fondare il primo giornale in lingua italiana in Alberta. Insieme ad alcuni docenti e giovani universitari, e senza un dollaro in tasca, fondiamo il “Messaggero delle Praterie”. Un`avventura che durerà meno di sei mesi, visto che non avevamo nemmeno i soldi per la macchina da scrivere, per non parlare come pagare per per la stampa. Accantoniamo l`avventura e attendiamo tempi migliori.
Il ritorno in Italia, di mio padre, mia madre e mio fratello Domenico Nell`agosto del 1966, dopo quasi sette anni in Canada, e il matrimonio di mia Sorella Leopolda, mio padre decide insieme a mia madre e mio fratello di far ritorno definitivamente in Italia. Io decido di accompagnarli in macchina sino a New York dove prenderanno la nave per L`Italia. Il viaggio da Edmonton a New Yok dura tre interminabili giorni con fermate intermedie a Fort Williams, Sudbury e Toronto. Un viaggio attraverso le praterie, i grandi laghi, Fort Erie, Buffalo, Siracuse, Rome vicino ad Albany ed infine New York. Arriviamo il giorno prima della loro partenza e prendiamo alloggio, presso l`hotel New Yorker, nel centro di Manahan, ci danno due stanze al sedicesimo piano. Dall`alto si può ammirare la Statua delle libertà e il porto di New York. Il mattino successivo ci rechiamo al porto per l` imbarco. Mio figlio Vinicio di tre anni e` molto legato ai nonni, in particolar a nonna Irma. Prima di partire per New York ebbi un permesso speciale dalla Compagnia di Navigazione Italia, per accedere a bordo della nave e così tutti e sei ci recammo a bordo per l`ultimo abbraccio. Vinicio in braccio alla nonna non voleva che lo asciasse, e siccome le partenze non sono mai piacevoli per chi rimane, ma anche per chi parte, per un pelo non partimmo anche noi con loro. Il viaggio fatto con tutta la famiglia, meno mia sorella, mi servì a capire quanto sia improtante l`unione e l`amore che si prova nello stare insieme. Nel frattempo Edmonton vive una sorta di boom economico e nasce anche il primo paneficio gestito da un friulano che vende il pane a domicilio con scarso successo. Le donne italiane sono ancora abituate a fare il pane in casa. Dopo il primo paneficio arriva anche
il primo negozio di generi alimentari. È l`idea di un napoletano reduce di una disavventura di lavoro nelle miniere d`oro nello Yukon. Si chiama Franco Spinelli. La sua decisione di aprire il negozio è dettata dall`impossibilità di lavorare in altri settori i per il grave infortunio accadutegli in miniera. Franco è un uomo con le idee chiare: per avere successo negli affari si deve essere onesti con i clienti. L`inbroglio non è nel suo dna. Da un piccolo negozio aperto su 97 street, ne segue uno più grande su 95 street, nelle vicinanze della Chiesa Santa Maria Goretti dove c`è la più alta concentrazione di emigrati italiani. Franco ed io diventiamo subito amici, ma anche concorrenti. Franco per pubblicizzare i prodotti del suo supermercato ha affittato un`ora di programma dalla stazione radio locale CHFA, una succursale della CBC. Il programma è fatto di canzoni, ma soprattutto di dediche e va in onda la domenica mezzogiorno. Lo presenta Lorenzo Bagnariol, un friulano giunto da poco dall`Italia. Intanto il primo tentativo di mantenere in vita il giornale “Il Messaggero Italiano delle Praterie” è stato un grosso schiaffo morale e si cerca quindi un`alternativa: nasce cosi l`idea di acquistare del tempo da qualche stazione radio e iniziare un`avventura radiofonica. Siamo nel 1967. Il Canada celebra l`Expo in Montreal e la *CBC cerca un lettore di notizie in lingua italiana dirette agli espositori provenienti dall`Italia. Il direttore della CHFA, la stazione che trasmette “Domenica Italiana” chiede a Bagnarol se nella comunità italiana ci fosse qualcuno preparato e disponile a questo incarico. Il buon Lorenzo fa il mio nome. Questa sarà la mia prima esperienza storica davanti a un microfono. Il giornale radio in 12 lingue va in onda tutte le sere dalle 19 alle 21. Il direttore della piccola stazione radio in lingua francese, nel presentarsi, mi dice che il radiogiornale internazionale è inserito nel palinsesto di Radio Canada e viene trasmesso in tutto il mondo via onde corte attraverso il servizio della CBC International e Radio Canada. Questa cosa mi lusinga molto. Non mi sembra vero che si chieda a un giovane emigrante appena sbarcato dall`Europa, di leggere le notizie per gli espositori di Montreal. Non lo nego, mentre la cosa mi alletta, d`altra parte la responsabilità mi fa davvero paura. Sarà l`incoscenza, la spericolatezza dell`età, a farmi accettare la sfida che durerà tutto il tempo dell`Expo 67. La stazione radio è ubicata al primo piano di un edificio su JasperAvwnue, nelle vicinanze dell`ospedale e il parlamento provinciale e per arrivarci devo cambiare tre autubus. Dopo l`esperienza dei notiziari, il direttore, che ama la nostra lingua, mi affida un`ora di programma al martedi sera dalle 20 alle 21. Nasce così la ‘Sedia Calda”. Un programma con ospiti in studio e dibattiti politici, di interesse comunitario e di gioventù. Il programma ha un grosso successo e durerà sino alla mia partenza per Toronto.
Breve storia della CHFA di Edmoton *CHFA-680 Edmonton, Alberta Broadcast area Alberta First air date 1949 Format Public broadcastingn CHFA- is a Canadian radio station, which broadcasts the programming of Radio-Canada’s Ici Radio-Canada Première network in Edmonton, Alberta. The station was launched in 1949 by a local non-profit consortium to bring French radio service to Edmonton, and was directly acquired by the network in 1974. The station serves the entire province of Alberta from its studios in Edmonton, although it also maintains a smaller bureau in Calgary. For most of its history, the station broadcast at 680 AM. On January 20, 2012, it was announced that Radio-Canada planned to close down CHFA’s AM transmitter at 680, with its nested FM repeater in Edmonton, CHFA-10-FM at 101.1 MHz, swapping places with the much-stronger Espace musique station CBCX-FM-1 at 90.1 MHz. Nasce il Settimanale Il Mondo L`esperienza radiofonica, serve a rinforzare l`idea del giornale. Nasce così “Il Mondo” e nel giro di un anno verrà pubblicato anche a Calgary, Winnipeg e Vancouver. Un`avventura editoriale senza precedenti, ma anche senza una lira in tasca. In redazione chiamo l`amico Tony Falcone, preside in una scuola cattolica ed altri collaboratori. Lavoriamo tutti gratis. L`unica persona renumerata è la segretaria di redazione. Facciamo tutto noi, dagli articoli, alle foto, all`impaginazione, alla vendita della pubblicità alla distribuzione nei vari negozi e anche la spedizione per gli abbonati. Il nostro giornale sarà il primo settimanale in lingua italiana nell`ovest canadese, ad essere fornito di telescriventi per rievere le notizie dell`Agenzia Ansa dall`Italia. Il successo è immediato. Nel 1968 siamo i primi a pubblicare la notizia della scissione del PSI di Pietro Nenni. Siamo giovani con tanto entusiasmo, ma anche poca esperienza alle spalle. Cionostante iniziamo a pubblicare editoriali e commenti che riflettono la presenza e le aspettative degli italiani in Canada. Il calcio è lo sport preferito dei giovani e meno giovani. Franco Spinelli ha messo in piede una squadra di tutto rispetto. L`Italia Soccer Club non ha rivali. Vince tutto quello che c`è da vincere. Non ha concorrenza. Nasce così un`altra squadra con giocatori che non trovano spazio nell`Italia di Spinelli. Io sono chiamato a fare il presidente, nasce così la squadra di calcio Blue Angels. Le partite si disputano all`Edmonton Stadium. Soltanto una riuscimmo a battare l`Italia per 4 a 1. Nel 1967 c`è il terremoto in Sicilia che il colpisce il Belice seminando distruzione e morte. Il nostro giornale si fa promotore di una raccolta fondi da destinare in Sicilia. Tony Falcone ha una brillante idea: tutto il ricavato delle vendite e della pubblicità verrà donato al primo nato post terremoto che ha perso il padre . L`idea è brillante, molto meno è la realizzazione del progetto. È come trovare un ago nel pagliaio. La nostra paura che i soldi raccolti venissero dispersi nel calderone delle raccolte. Il “genio” Falcone decide di inviare il denaro
raccolto all`ambasciata d`Italia in Ottawa, con preghhiera di trasmettere la somma alla prefettura di Caltanissetta con l`impegno di trovare il nato post terremoto con una postilla: si deve chiamare Salvatore. Dopo varie ricerche, un giorno ci arriva notizia dalla prefettura che era stato individuato il piccolo dal nome Salvatore, nato a Sambucadi Sicilia. Missione compiuta. Il matrimonio di mia sorella Leopolda Al il mio matrimonio, fece seguito quello di mia sorella Leopolada e così nel 1966, mio padre , insieme a mia madre e il piccolo Domenico, prese la nave da New York e fece ritorno in Italia. Il freddo del Canada, gli ricordava troppo le pene passate durante la guerra in Russia. Intanto a Edmonton il nostro giornale va abbastanza bene, l`agenzia di viaggi ha una bella clientela, ma non ha la lincenza della “Iata” e quindi vende i biglietti senza provvigione; lo studio fotografico soffre la concorrenza. Poi c`è la gioelleria aperta in società con un amico, e va a gonfie vele. Abbiamo un vasto assortimento di gioelli importati dall`Italia. Una clientela selezionata e disposta a spendere. La nostra cassa forte è un borsone. A fine serata i gioelli esposti si prelevavano e si portano a casa. L`incaricato del malloppo è il mio socio di cui nutro piena fiducia. Non penso lontamente di avere a che fare con una persona senza scrupoli. Una mattina, non si presenta alla giolleria e di lui si perdono le tracce. Per me è un colpo duro. Molti dei gioelli sono stati acquistati sulla parola e siccome sono l`unico ad avere la fiducia dei fornitori sarò costretto a pagare tutti i debiti ai fornitori. Una botta talmente forte che mi costringe a ripensare tutto il mio futuro e quello della mia piccola famiglia. Con $500.00 in tasca e qualche piccolo risparmio di Nancy decidiamo lasciarci alle spalle il brutto ricordo di Edmonton. Il giornale lo regalo a un vecchio amico, venuto dall`Argentina, l`agenzia la chiudo, lo studio fotografico lo svendo a un amico giunto dal Venezuela. Non riceverò mai un centesimo neanche da lui. Due giorni dopo, lasciamo Edmonton a bordo della mia Acadian: destinazione Italia, via Toronto. Siamo a ottobre del 1969.
XXI Prima vittoria degli italiani in Alberta: il vino fatto in casa
N
egli anni sessanta il governo dell`Aberta era governato da un Pastore evangelic: Ernest Manning nato a Carnduff, nel Saskatchewan, nel 1908 da immigrati inglesi, George Henry Manning (1872-1956) e Elizabeth Mara Dixon (1870-1949), e cresciuto in una fattoria. Devoto ascoltatore delle trasmissioni radiofoniche evangelistiche del futuro Premier William Aberhart, Manning si iscrisse all’Alghart’s Calgary Prophetic Bible Institute nel 1927, diventando il primo laureato di quell’istituzione. Nel 1930, Manning stesso iniziò a parlare delle trasmissioni radiofoniche di Back to the Bible Hour presso Prophetic Bible Institute. Le sue trasmissione erano dirette a vasto pubblico in tutto il Canada, una pratica come evangelista che tenne per tutta la vita anche in politica, inclusi i suoi termini come premier. Nel 1936, Manning sposò Muriel Aileen Preston, la pianista del Prophetic Bible Institute. Dal loro matronio ebbero due figli, Keith morto nel 1986, e Ernest Preston (comunemente chiamato Preston) il fondatore del Partito riformatore del Canada. Nelle elezioni provinciali del 1935, fu eletto all’Assemblea legislativa dell`Alberta nel partito del Social Credit nella circoscrizione di Calgary. I cosidetti “Socred” vinsero una inaspettatamente le elezioni, e Manning divenne il segretario provinciale e ministro del commercio e dell’industria. Nel 1940, venne eletto a Edmonton. Alla morte del Premier Aberhart. nel 1943, divenne dirigente e premier di Alberta. Nonostante Manning, fosse stato un leale sostenitore del suo precedessore non è chiaro perché fosse deciso di abbandonare l’ideologia tradizionale del suo partito. Una spiegazione probabile potrebbe essere stata pragmatica; molti degli obiettivi politici del Credito Sociale avevano violato le responsabilità riservate al governo federale ai sensi della legge britannica del Nord America. Tuttavia, Manning per due volte onorò la promessa del 1935 di Aberhart di con un certificato di prosperità per i residenti dell`Alberta. Nel 1957, il suo governo annunciò che avrebbe dato $ 20 per ogni cittadino residente in Alberta attraverso the “Oil Dividend” e l`anno successivo emise un dividendo di $ 17.. La politica di Manning venne ampiamente criticata e, l’anno successivo, Manning accetto` di utilizzare le roylatis del petrolio per opere pubbliche e programmi sociali. In quel periodo l’antisemitismo era stato a lungo un elemento fondamentale della retorica dei Socred, ma divenne meno di moda dopo la seconda guerra mondiale. Manning, tuttavia, continuò le politiche sociali conservatrici. Una delle leggi, certamente arcaiche e stupide. era proibito servire alcolici sugli aerei mentre sorvolavano la provincia. Tra le leggi assurde anche quella di non poter anadare a vedere le partite di football o calcio di domenica. Sotto la guida di Manning, l’Alberta divenne una provincia virtuale a partito unico. Tra il 1944 e
il 1967, ebbero vita facile con sette vittorie consecutive , con oltre il 50% del voto popolare. L’apice della sua popolarità arrivò nel 1963, quando i Socred fecero una campagna sotto lo slogan “63 nel ‘63”, cioè una spazzata pulita della legislatura degli allora 63 seggi. Non raggiunsero questo obiettivo, ma ridussero comunque l’opposizione a solo tre MLA: due liberali e uno che correva con il sostegno sia dei liberali sia dei conservatori progressisti. Manning approvata la legge sulla vinificazione privata Stufi delle leggi antiquate del governo Manning, nel 1964 un gruppo di italo-canadesi, guidati da Franco Spinelli (Frank), incontra il figlio del Premier, Preston, un giovane intenzionato a ricalcare le orme del padre in politica. I nuovi arrivati dall`Italia abituati a un buon bicchier di vino con il pasto e sentiti privati di questa millenaria usanza, chiedeno a Preston di parlare con il padre e di fargli emenadre la legge che autorizzi di fare vino in casa per uso domestico. In cambio di questo servizio agli italo-canadesi, gli aventi diritto al voto, avrebbero appoggiata la sua candidatura. Detto e fatto. Preston manenne la promessa e poco tempo dopo la provincia ligefero` a favore del vino fatto in casa. Preston Manning venne eletto anche con i nostri voti. Frank diventa famoso in Alberta anche per aver guidato il lobby per la legalizzazione del vino fatto in casa. Il gruppo di appassionati sostenitori del fino fatto in casa furono Tony Falcone, Vittorio Coco e Alberto Romano di Calgary. Frank e compagni avevano convinto il governo provinciale a rimuovere la restrizione dell’era proibizionista sulla produzione casalinga di vino. Una vittoria che non solo ci ha resi famosi in Alberta, ma ha aperto la strada a molte innovazioni da parte dei governi post Ernest Manning. La legge cambia nel 1964, e lo stesso anno Frank rileva la proprietà del nogozio di generi alimentari italiani. Il cambiamento è una grande spinta per il business; presto Frank diventera` il principale fornitore di uva della California (per alcuni anni Franck importa dalla Calfornia 40.000 casse d`uva fresca) nonche attrezzature per la vinificazione nel Canada occidentale.
XXII La Chiesa Santa Maria Goretti
60anni di fede razie alla massa di emigranti arrivati dall`Italia verso l`Alberta, nel 1958 si getta la prima pietra per la costruzione di un nuovo luogo di culto. Nel 1959 viene inuagurata la Chiesa Santa Maria Goretti di Edmonton. E in questa chiesa ci diremo si io e Nancy e nel 1963 battezzeremo il nostro unico figlio Vinicio. La bellisima Chiesa sorge nel cuore dii quello che una volta era un quartiere tutto italiano. Oggi le cose sono cambiate, non ci sono piu` sacerdoti italiani a dire messa. La Chiesa venne sovvenzionata con la raccolta fondi dei nuovi emigranti ma, soprattutto, il muto fu garantino dalla arcidiocesi cattolica di Edmonton che affonda le sue radici nel XIX secolo, quando quello che ora è il Canada occidentale era un vasto territorio controllato dalla potente Hudson Bay Company. Gli abitanti erano per lo più popoli aborigeni che si guadagnavano da vivere con la caccia, la pesca e la cattura. Fort Edmonton era il più importante tra gli uffici commerciali della Hudson Bay Company, e i suoi dipendenti erano generalmente cattolici di lingua francese, molti dei quali trasmettevano i rudimenti della loro fede ai loro figli Métis. Nel 1822, l’abate Norbert Provencher, missionario del Red River Settlement, divenne ausiliare del vescovo di Quebec e fu messo a capo di questo “Distretto del Nord”, un’immensa area che si estende a ovest dai Grandi Laghi alla costa del Pacifico e al nord nell’Oceano Artico. Nel 1838, due sacerdoti diretti verso la costa occidentale - Abbes Blanchet e Demers - si fermarono a Fort Edmonton, dove celebrarono la prima Messa, battezzarono bambini e benededirono matrimoni. Il loro buon rapporto con il vescovo Provencher portò alla fondazione della prima missione cattolica romana a Lac Ste. Anne nel 1843 e la costruzione della prima cappella, una piccola capanna di tronchi all’interno di Fort Edmonton, nel 1859. Nel 1861, padre Albert Lacombe, uno dei primi missionari in Occidente, fondò l’insediamento della missione di Sant’Alberto e costruì una cappella di tronchi per il ministero del Cree e del Métis. La cappella di Padre Lacombe, l’edificio più antico dell’Alberta, è ora un sito del patrimonio provinciale. Nel 1871 fu creata la diocesi di Sant’Alberto. Diversi fattori hanno reso necessaria questa mossa: la confederazione delle province canadesi con la promessa di una ferrovia transcontinentale; la rapida scomparsa del bufalo con la conseguente fame di persone delle Prime
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Nazioni e di Métis, il pesante afflusso di coloni bianchi di diverse origini e fedi etniche, il problema della terra e delle scuole per i popoli delle Prime Nazioni, la carenza di missionari, scuole e chiese per i nuovi arrivati. Nel 1889 la parte del Saskatchewan fu separata dall’enorme diocesi. Negli anni successivi le mandrie di bufali scomparvero completamente, e le prime nazioni che firmarono i trattati ricevettero tratte di terra e divennero reparti del governo. Le congregazioni religiose maschili e femminili arrivarono per aprire scuole per bambini, ospedali e manicomi aborigeni e colonizzatori per anziani. Hanno visitato famiglie sparse sul territorio, incoraggiando i nuovi arrivati a raggrupparsi nelle parrocchie. Si stima che il primo vescovo di Sant’Alberto, il Vescovo Vital Grandin, percorse 25.000 miglia con le racchette da neve mentre prestava servizio nell’immensa diocesi. Quando morì nel 1902, la diocesi aveva una popolazione di circa 18.000 cattolici in 30 parrocchie organizzate servite da 42 Padri Oblati e 10 sacerdoti secolari. Il 30 novembre 1912, la sede episcopale di Sant’Alberto fu elevata allo stato dell’Arcidiocesi di Edmonton e la sua parte meridionale fu rimossa per formare la diocesi di Calgary. L’arcivescovo Emile Legal divenne il primo arcivescovo di Edmonton: quando morì nel 1920, la popolazione cattolica dell’Arcidiocesi contava 38.400; c’erano 92 sacerdoti religiosi e 28 sacerdoti diocesani in servizio in 55 parrocchie e 58 missioni.
XXIII Frank Spinelli l`amico degli italiani dell`Alberta Franco Spinelli-Franco (Frank) Spinelli emigrò da San Pietro al Tanagro, vicino Napoli nel 1951. Figlio di un contadino del luogo ma non voleva lavorare la terra. Scelse di emigrare in Canada e lavorare nel territorio dello Yukon nelle miniere d’argento. Due anni dopo, si ruppe una spalla sul lavoro e la compagnia lo mandò a curarsi all’ospedale di Edmonton dove vi rimase in degenza per un anno e mezzo. Dopo la guarigione, per un certo numero di anni fece lavori occasionali. Nel 1959, comprò un piccolo negozio con Remiro Zalunardo, all’angolo tra la 95esima e la 108a Avenue. Il resto è storia. Intorno al 1964, Frank rilevò la quota di Zalunardo e oggi l’Italian Center Shop e` un impero commerciale. Vende prodotti all’ingrosso e rifornisce negozi e ristoranti nel Canada occidentale. La moglie, la figlia Teresa e il figlio, Pietro (morto tragicamente giovane poco dopo il suo 32 ° compleanno nel 1996) hanno tutti laorato nel negozio. Oggi, con spermercati in Edmonton e Calgary la gestone è passata nelle mani di Teresa, coadiuvata da esperti del settore alimentare. Frank otre ad essere stato un pioniere nel mondo degli alimentari, è stato anche un grande presidente della squadra dI calcio Italia di Edmonton, ma anche un filantropo. A lui la comunità a dedicato una statua eretta proprio di fronte al negozio che aveva fondato negli anni 60.
Antonio Falcone il presdide di ferro
Antonio (Tony) Falcone-Tony è nato nel 1935 a Celico, in Calabria, è emigrato in Canada nel 1959. Tony è stato prima insegnante (laureato nel 1953 dall’equivalente di Scuola Normale) ma che in Italia non era riuscito a trovare lavoro. Aveva (insegnato per un anno e mezzo come insegnante supplente). Ha anche scritto gli esami di servizio civile per diventare un impiegato di tribunale nel Dipartimento di Giustizia. È stato classificato al 550 ° posto su 11.000 persone che hanno sostenuto l’esame; dopo un’intervista orale, si classificò al 2.500 e questo avrebbe significato un’attesa di 3-5 anni per ottenere un lavoro; e così decise di fare le valige e emigrare in Canada.
L’immagine collettiva dell’immigrato italiano arrivato nei primi anni 60, in Nord America, in particolare in Alberta come un lavoratore manuale che trasporta una valigia di cartone legata con lo spago è comune. Questa è un’immagine che viene utilizzata sia all’interno della comunità italiana come parte del proprio folklore sull’immigrazione, sia all’esterno dai media e da altri. Mentre i possedimenti cotuditi all\interno della valigia di cartone potevano essere pochi, c’erano costumi e tradizioni che erano vecchi di secoli. Avevano anche variazioni regionali, basate sulla regione d’Italia da cui provenivano gli immigrati. Inizialmente, solo gli uomini venivano a lavorare. Trovando che potevano avere una vita gratificante qui, si sono sposati e hanno avuto figli. Sono queste famiglie che hanno lasciato il segno nella vita culturale dell’Alberta. Le usanze e le tradizioni della madrepatria erano un mezzo per rendere sopportabile il paesaggio alieno. Antonella Fanella scrive in With Heart and Soul: la comunità italiana di Calgary: Nel tentativo di attutire lo shock della vita nel nuovo paese, gli immigranti italiani hanno piantato alberi di fico nelle loro serre e viti nei loro cortili, suonato canzoni popolari preferite durante le riunioni sociali, cucinato cibi tradizionali e visitato amici e parenti durante il fine settimana.1 Le abitudini e le tradizioni sono radicate nella famiglia, sia essa nucleare o estesa, così come nelle istituzioni e organizzazioni della comunità. Le pratiche e le tradizioni tradizionali coinvolgono non solo la famiglia nucleare, ma anche i paesani [cittadini]. Gli intervistati del progetto di storia orale indicano che, poiché non c’erano parenti stretti, le persone della città natale formavano una famiglia allargata. Si sono riuniti per la compagnia e anche per riprodurre i costumi e le tradizioni di casa. Per gli uomini single, la pensione divenne la “casa lontano da casa”, ma quelli che erano fortunati ad essere sposati aprirono le loro case. Le riunioni sociali attenuavano la solitudine e la stranezza della vita in cui tutto era alieno: paesaggio, tempo, piante, lingua, cibo, modi di relazionarsi con gli altri e il posto di lavoro. La motivazione per gli incontri era laica, sacra o entrambe. La celebrazione dei matrimoni, delle nascite, dei nomi, degli anniversari e dei compleanni ha fornito un motivo per stare insieme. Il cibo era il veicolo per l’interazione sociale. Molte delle usanze e tradizioni della comunità italiana ruotano intorno a feste religiose stagionali che avevano tutti i loro cibi e rituali prescritti. Se le famiglie stanno andando in chiesa o no, se si collegano con le loro radici italiane, quindi, producono alimenti associati a queste feste. I portatori di queste tradizioni erano e rimangono gli anziani: i nonnos (nonni) e nonnas (nonne). Erano anche i custodi di ricordi e ciarlatani di storie che erano in grado di raccontare tutte le storie della città natale. Hanno tenuto traccia della geneaologia e chi era imparentato con chi. Al primo incontro, i nonni ti ridurranno in fretta e diranno: “Ah, tu sei così o figlia o figlio”. L’identificazione individuale era radicata nella famiglia e nella comunità ed era legata alla terra. Poiché molti dei costumi e delle tradizioni della comunità ruotavano attorno al sacro, è
sorprendente che le più grandi città dell’Alberta, Edmonton e Calgary, non avessero chiese italiane fino al 1958 per Edmonton e nel 1965 per Calgary. La colonia agricola di Venezia costruì una chiesa nel 1925 e aveva un prete dall’Italia, don Carlo Fabbris. Il libro di storia della comunità, Hylo-Venice Harvest of Memories note: Il primo grande evento che coinvolse la nuova parrocchia fu una visita del vescovo O’Leary nel luglio 1925 per confermare tutti i bambini idonei nella parrocchia. L’evento del 1925 fu caratterizzato da un’enorme celebrazione all’aperto. Tutti i parrocchiani si sono precipitati e i tavoli sono stati allestiti lungo l’attuale strada principale attraverso Venezia. Paul Michetti e Joe Tisi erano i principali cuochi. La signora Anne Biollo (moglie di O.J. Biollo) ha cotto tutte le torte per dessert. Questo evento è stato il precursore del famoso Picnic di Venezia Anche la comunità di Venezia ha costruito la sua scuola e ha creato un programma di lingua italiana con materiali inviati dall’Italia. I padri Scalibrini erano importanti nella vita della comunità italiana sia a Edmonton che a Calgary. Il loro ordine è stato istituito alla fine del 19 ° secolo in Italia per soddisfare le esigenze spirituali degli immigrati italiani nel Nord America. Venivano dal loro quartier generale nordamericano a Chicago e non solo contribuivano a costruire le chiese, ma anche a iniziare lo sviluppo delle società che avrebbero contribuito a preservare le tradizioni e le usanze italiane. Così, la lingua, la religione, le stagioni e i cibi speciali erano tutti interconnessi e la chiesa nella comunità divenne il veicolo per la continuazione delle tradizioni culturali, sia che gli individui fossero religiosi o meno. Ciò è stato particolarmente vero a Edmonton, dove i sacerdoti non solo hanno contribuito a fondare il club della gioventù e della gioventù del Santo Rosario, ma anche il programma radiofonico, il programma televisivo e una serie di altri raduni. La sala della chiesa era il luogo in cui i club si incontravano e la chiesa e la sala crescevano e crescevano. Le società, oltre 40 di loro solo a Edmonton, poi, divennero i veicoli per preservare e interpretare usi e tradizioni. Ad esempio, il Congresso nazionale degli italo-canadesi, il distretto di Edmonton, ha organizzato il padiglione italiano all’annuale Festival dei giorni del patrimonio di Edmonton. Inoltre, per un certo numero di anni, ha contribuito con una piccola mostra sulle tradizioni natalizie per la vetrina multiculturale natalizia del Museo Provinciale di Alberta. Il presepe (presepe) è stato preso in prestito dalla chiesa e allestito e la gamma di generi alimentari esotici tra cui i torroni [torrone] sono stati esposti. Un finto camino aveva l’immagine della befana [la brava strega che è l’equivalente di Babbo Natale nelle celebrazioni natalizie italiane] su di esso. Ogni regione d’Italia ha i suoi modi di preparare il cibo per le feste e le vacanze e, quando possibile, queste tradizioni sono state mantenute. A Edmonton, le società regionali sorsero e continuarono alcune di queste tradizioni. Le famiglie cercavano gli agricoltori che potevano fornire maiale fresco per la produzione di salsicce e agnelli per la torrefazione. Le uve
sono state importate per la vinificazione. Le donne hanno gareggiato per produrre le migliori versioni possibili di ricette tramandate da madre a figlia. C’erano pane pasquale speciale, tutta una serie di prodotti da forno per il Natale che coinvolgevano miele, mandorle, liquori e altri ingredienti golosi, così come il baccalà, che è la base del pasto della vigilia di Natale quando la carne non è mangiato. L’ondata migratoria del dopoguerra ha portato le famiglie in numero sufficiente a creare una domanda di prodotti alimentari importati dall’Italia. Sia Edmonton che Calgary hanno sviluppato negozi di alimentari italiani specializzati che si rivolgono non solo alla comunità più vicina ma a tutti gli amanti del cibo italiano. Mentre negli anni ‘50 il cibo italiano era considerato “puzzolente”, tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70, tutti cominciavano ad amare le cose italiane. L’Italian Center Shop, iniziato da Frank Spinelli, divenne il fornitore di questi prodotti. In Alberta, la nomina di Giovanni Bincoletto come primo vice console dall’Italia ha dato slancio a questa tendenza. Festival del vino novello (in particolare quello di Lake Louise), visita di chef italiani e una serie di altre attività promosse beni italiani. C’era una massa critica di edifici e quartieri per dare al centro di Edmonton un sapore italiano. La processione a Santa Maria Goretti a giugno e le attività sociali in quel giorno, così come il Festival Giovanni Caboto, hanno richiamato centinaia di persone nella zona. Mentre la maggior parte degli italo-canadesi non risiedeva più nel centro della città, entrarono per fare acquisti, per andare in chiesa, per celebrare matrimoni e battesimi e per addolorarsi durante i funerali in chiesa. La chiesa, per molti, è ancora il cuore della comunità. Calgary, anche se ha la popolazione per giustificare una “Piccola Italia”, non ha questo. Forse, il movimento delle famiglie verso la periferia avvenne troppo presto prima che una “Piccola Italia” potesse solidificarsi. L’amore per la terra e il giardinaggio era un altro aspetto della vita culturale della patria che era stata preservata. Mentre le condizioni di crescita erano notevolmente diverse dall’Italia, i giardinieri appassionati lo consideravano una sfida. Nei quartieri del centro città di Edmonton e Calgary negli anni ‘50 e ‘70, una famiglia italiana era riconoscibile dal rigoglioso giardino con i suoi pali alti sei piedi e sette metri su cui si arrampicavano i fagioli rampicanti. Righe e file di verdure - lattuga romana e radicchio, zucchine e cetrioli, fave, peperoni e melanzane esotiche, piselli e patate e pomodori pregiati (i pomodori Rom a forma di pera erano i preferiti) davano l’impressione di un paradiso terrestre. Queste formavano piccole oasi verdi in un paesaggio urbano. Mentre pochi italiani in Alberta diventarono orticoltori, il desiderio di prodotti freschi li spinse a cercare fonti direttamente nell’agriturismo e a frequentare il mercato cittadino. A Edmonton, hanno anche stimolato la famiglia Hole ad aprire i loro campi agli italiani che venivano a raccogliere piselli e fagioli. Mentre la comunità prosperava, la gente si allontanava dal centro città e ci sono sempre meno questi
giardini visibili. Il giardinaggio continua nelle località suburbane ora parte di una tendenza nazionale promossa da televisioni e riviste che promuovono il bozzolo. All’interno delle comunità italiane dell’Alberta, gli anziani che sono venuti all’inizio degli anni ‘50 e ‘60 sono ormai quasi tutti scomparsi e la sfida è quella di preservare queste tradizioni in modi che sono rilevanti per oggi. I programmi di lingua italiana sono radicati sia a Edmonton che a Calgary, ma rimane la sfida di conservare le tradizioni culturali. Una coppia intervistata ha dichiarato che sono stati i loro figli a insistere sul fatto che le madri imparano a fare i dolci natalizi italiani una volta morta la loro nonna. Forse la scoperta della cucina regionale italiana da parte degli chef nordamericani aiuterà a preservare quelle tradizioni alimentari nelle comunità di immigrati del Nord America. Ma i membri della comunità che guardano queste esibizioni rimangono puristi nel cuore. I vecchi modi, preferibilmente imparati alle ginocchia di nonna o madre, sono i migliori.
XXIV
Lavoro ed imprenditoria degli italiani in Canada, tra vecchie e nuove generazioni Il Canada per molto tempo ha costituito una delle mete preferite dell’emigrazione italiana. Nel grande paese nordamericano i nostri connazionali hanno saputo con il tempo dare vita a grandi ed influenti comunità ancora oggi in vita. Attraverso le diverse generazioni gli italiani hanno scalato posizioni sociali e sono arrivati nel tempo a fondare imprese di varia natura. Oggi il Canada è invece meta di un numero minore di italiani ma con professionalità molto elevate, secondo una tendenza da alcuni anni viva nel nostro paese. le analisi attraverso tre generazioni di emigranti che corrispondono a tre differenti periodi storici. La prima generazione è quella che comprende gli emigrati negli anni dall’Unità d’Italia alla Seconda Guerra mondiale, ovvero dagli originari pionieri alla nascita delle prime capillari comunità italiane. La seconda è quella del periodo post Seconda guerra mondiale, quando il “boom” migratorio dall’Italia portò ad un grande rafforzamento delle comunità italiane in Canada, nelle quali si mescolarono nuovi immigrati e figli delle vecchie generazioni. Infine la terza è quella della nuova emigrazione verso il Canada, formata da numeri decisamente più ridotti ma da professionalità più elevate.
1. La prima generazione di immigrati (1861-1945)
Subito dopo l’Unità la giovane nazione italiana conobbe il fenomeno dell’emigrazione, un fatto in realtà non nuovo nella penisola, ma che ebbe il suo “boom” proprio dopo il 1861. Stime ragionevoli, ma non sicure, parlano di più di un milione di persone che avrebbero lasciato l’Italia tra il 1790 e il 1861, una porzione comunque notevole se si considera che la popolazione italiana al 1861 era di circa 27 milioni di abitanti. Le mete principali di questi movimenti migratori erano principalmente europee; a partire invece dalla seconda metà dell’Ottocento fece la sua comparsa l’emigrazione transatlantica verso le Americhe, in direzione di terre che divennero tra le destinazioni più tipiche per gli italiani. Ancora negli anni Settanta dell’Ottocento, Argentina e Brasile erano le nazioni in cui si emigrava maggiormente, mentre a partire dal decennio successivo il Nord America divenne una delle destinazioni più coinvolte. Città nordamericane come New York e Toronto videro così nel giro di pochi decenni crescere vistosamente la propria quota di popolazione italiana2. La grandissima espansione dell’industria nordamericana tra il 1880 e il 1920 dirottò parte dei flussi migratori italiani verso Stati Uniti e Canada. Il flusso alla volta di quest’ultimo paese, pur importante, rimase comunque più limitato rispetto a quello verso gli Stati Uniti. In termini numerici la presenza italiana in Canada crebbe in maniera notevole nei primi due decenni del Novecento. Anche se con numeri minori rispetto a Stati Uniti, Brasile e Argentina, il Canada rappresentò in questa fase una rilevante attrattiva per gli emigranti italiani. A partire dagli anni Trenta, però, le emigrazioni dall’Italia verso il Canada diminuirono
per la combinazione di differenti fattori: la stessa tendenza, del resto, si riscontra anche nei flussi verso altri paesi come gli Stati Uniti. Il primo fattore frenante fu costituito dalle due guerre mondiali che di fatto portarono ad un calo notevole delle partenze dall’Italia negli anni 1915-18 e 194045. Il secondo fattore fu la politica del governo italiano tra le due guerre in tema di emigrazione. In particolare durante il Fascismo l’esecutivo manifestò una forte ostilità verso l’emigrazione, considerandola pericolosa sia a livello economico che politico. Il regime in tal senso rispose in due modi, cercando da un lato di favorire l’insediamento di lavoratori italiani verso le colonie in Africa, e dall’altro sostenendo le associazioni di italiani all’estero. È molto difficile quantificare il numero degli italiani che effettivamente andarono a vivere nelle colonie durante il Ventennio. Studi recenti hanno però rivelato come, eccezion fatta per casi isolati come la città di Asmara in Eritrea, questa politica fu sostanzialmente fallimentare3. La politica di intervento verso gli italiani che vivevano oltreoceano diede invece frutti importanti. Paradossalmente, più di qualsiasi altro governante italiano, Mussolini cercò di rispettare e sostenere gli italiani all’estero, volendo che si sentissero parte di quella che veniva definita “stirpe italiana”. Allo stesso tempo il controllo sulle associazioni di italiani all’estero serviva anche a limitare il “peso” degli italiani che invece avevano lasciato il Paese come esuli politici4. In Canada il fascismo attuò una politica di graduale radicamento nella società italo-canadese per conquistare il consenso sia degli italiani emigrati sia delle autorità del dominion5. Il terzo fattore che frenò le migrazioni italiane tra le due guerre fu la politica che le nazioni destinatarie dei flussi migratori, Canada incluso, attuarono durante la Grande Depressione per porre un limite all’arrivo dei lavoratori stranieri. Questi elementi hanno così notevolmente influenzato tutto lo sviluppo dell’emigrazione italiana verso il Canada del periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Gli studi riguardanti l’emigrazione e la cultura italo-canadese hanno riconosciuto tre fasi di questo primo insediamento italiano nel paese nordamericano. La prima fase fu quella in cui i primi emigranti si stabilirono a metà Ottocento in maniera isolata nelle terre canadesi. Si trattava spesso di uomini singoli che avevano4 lasciato l’Italia con l’intenzione di farvi presto ritorno. La seconda fase, quella iniziata intorno al 1880, vide crescere notevolmente il numero degli italiani in Canada, i quali sempre più spesso furono raggiunti dalle famiglie con l’intenzione di stabilirsi a vivere definitivamente lì. Nacquero le cosiddette Little Italies, quartieri a forte presenza italiana, nelle quali l’espressione culturale più che sul senso nazionale ruotava intorno alle comunità locali di provenienza degli emigranti. Dopo il 1930, la stabilizzazione degli italiani arrivati nei decenni precedenti e la politica culturale fascista portarono alla creazione di una vera e propria cultura italo-canadese6. Questi elementi “culturali” influenzarono anche la condizione lavorativa degli italiani in Canada. Fu infatti soprattutto grazie alle reti sociali create dalla parentela, dall’amicizia o dall’appartenenza allo stesso paese, che gli italiani in Canada trovarono lavoro e diedero vita anche ad attività imprenditoriali. Se infatti da un lato la forte domanda di manodopera richiamò verso il Canada molti italiani,
fu la capacità di adattamento di questi a far sì che le comunità si sviluppassero, costituendo la base per la successiva fase di emigrazione del secondo dopoguerra. Negli anni Ottanta dell’Ottocento il Canada era un paese in piena espansione, che necessitava di grandi opere infrastrutturali in grado di unire il suo immenso territorio. La costruzione dei tratti ferroviari e dei canali generò quindi una crescente domanda di manodopera non qualificata per lavori stagionali. La presenza di lavoratori italiani in questi cantieri era talmente alta che spesso nei cantieri venivano messi a lavorare insieme emigrati della stessa regione o dello stesso paese, i quali, parlando lo stesso dialetto facevano meno fatica a capirsi7. I primi emigranti italiani lavoravano fuori dalle città svolgendo lavori pubblici stagionali ma tendevano a stabilirsi nei grandi centri urbani, in particolare a Montreal e Toronto, e in misura minore a Vancouver. Questa tendenza a preferire le province dell’Ontario e del Quebec continuò nel tempo perché erano quelle economicamente più sviluppate e che offrivano più possibilità di lavoro. Lo sviluppo dei centri urbani incominciato nel XX secolo creò infatti una forte domanda di lavoratori nel settore delle costruzioni e della manutenzione dei servizi cittadini, come le strade e le fogne. Allo stesso tempo la nascita dei grandi impianti industriali fece concentrare l’emigrazione italiana su quelle città in cui si richiedeva manodopera operaia. Il maggiore sviluppo delle città industriali nell’Ontario fece sì che si creassero differenti comunità anche in città più piccole rispetto alle metropoli Toronto e Ottawa. 5 Tra queste, nelle quali ancora oggi le comunità italiane sono molto sviluppate, ricordiamo Hamilton, Guelph, Windsor e Thunder Bay. Al contrario nel Quebec lo stanziamento italiano si concentrò soprattutto nella metropoli di Montreal. Oltre ai lavori da manovale e da operaio, le città offrirono agli italiani che avevano ambizioni imprenditoriali l’opportunità di incominciare piccole attività commerciali o di praticare quelle attività artigianali che erano state imparate nei villaggi natii. Alcuni italiani sopportarono anni di difficoltà e incertezza come lavoratori a giornata nella speranza di accumulare un piccolo capitale iniziale sufficiente ad aprire un’attività. Per alcuni di questi, il sogno divenne realtà: divennero barbieri, riparatori di scarpe, droghieri, fruttivendoli, panettieri o riuscirono ad occuparsi di altre attività di questo genere. Questi negozi iniziarono così a tratteggiare il panorama più comune dei quartieri italiani8. In alcuni casi quella che era un’attività aperta principalmente per clienti italiani, divenne un trampolino di lancio per imprese di livello nazionale: fu soprattutto il know-how portato dall’Italia, e innestato in una realtà economicamente molto dinamica a fare la differenza. Gli studi di John Zucchi hanno mostrato come gli immigrati della città siciliana di Termini Imerese avevano portato una conoscenza nel commercio della frutta tale che, una volta a Toronto, riuscirono ad introdursi facilmente in questo settore dell’economia cittadina fino ad ottenere una posizione di quasi monopolio9. Altri emigranti trovarono il modo di utilizzare le loro capacità agricole e adattarle al contesto urbano: a Montreal per esempio molti italiani furono in grado di trovare lavoro come giardinieri per famiglie benestanti10. Nella fase precedente alla Seconda guerra mondiale si posero le basi
per lo sviluppo dei meccanismi di emigrazione, che fece registrare un incremento dopo il 1945. I lavoratori italiani venivano introdotti nel mondo del lavoro canadese da agenti del lavoro italiani, spesso noti come padroni, i quali spesso erano emigrati in precedenza e conoscevano quindi molto bene la realtà e le lingue del Canada. Quello che accadeva nelle altre nazioni accadde anche per l’emigrazione verso il Canada. Già durante il XIX secolo molti emigranti pagavano gli intermediari e i reclutatori di manodopera, spesso emigranti di ritorno, perché facessero da tramite con i cantieri edili, le piantagioni, le miniere e le fabbriche. Alcuni agenti svolgevano il ruolo di mediatori in Canada, altri, dopo essere rientrati nei paesi d’origine, creavano la connessione per i futuri emigranti. Quando il numero di italiani emigrati si fece più grande e le nuove comunità divennero. 6 stabili, questo servizio fu di fatto svolto dalle reti famigliari e di amicizie. Dal XX secolo in poi parenti e amici iniziarono a fornire la maggior parte dei servizi, del denaro e dell’assistenza di cui avevano bisogno i nuovi migranti11. L’emigrazione degli italiani in Canada si sviluppò quindi secondo quelle che sono state definite le catene migratorie. La nozione di catena migratoria è stata introdotta, dagli studi sulle emigrazioni a livello internazionale, per spiegare i modi in cui venivano, e vengono anche oggi, decise le destinazioni degli emigranti. Tale concetto è stato per la prima volta introdotto dagli studi di John e Leatrice MacDonald sulla base dell’osservazione dei meccanismi di arrivo degli emigranti italiani in Australia. Quello studio mise in luce come gli italiani arrivati nel grande paese oceanico andavano in genere a formare degli aggregati omogenei secondo la provenienza. Emigrati della stessa regione, e spesso addirittura dello stesso comune, andavano ad abitare nelle stesse città, negli stessi quartieri, persino nelle stesse strade. Questo modello di insediamento era in realtà ben vivo anche in altre terre di adozione degli emigranti italiani, come per l’appunto il Canada, ed apparivano evidenti già all’inizio del Novecento. Ciò che però hanno fatto gli studi dei MacDonald è stato mettere in luce i meccanismi della catena migratoria. La catena infatti non descriveva soltanto il fenomeno dello stabilirsi di comunità locali nella stessa città o nello stesso quartiere, ma esprimeva anche i motivi e gli ingranaggi di tali spostamenti. La catena migratoria fu quindi definita come il meccanismo attraverso il quale i futuri emigranti venivano a conoscenza delle opportunità, erano messi in condizione di viaggiare e ottenevano la loro dimora iniziale e il primo impiego nella località d’arrivo; il tutto per mezzo delle relazioni sociali primarie con gli emigranti precedenti12. Il processo di adattamento alla nuova terra si svolse attraverso simili modalità ed i network sociali svolsero anche in questo caso un ruolo fondamentale. Centrale nei network italiani era sicuramente la famiglia, ma questo non rese impossibile lo sviluppo di istituzioni che, oltre ad avere lo scopo di mantenere in vita le tradizioni e il senso di identità italiani, fungevano da ufficio di collocamento per gli emigrati. Le prime forme di associazionismo facevano riferimento alle società di mutuo soccorso italiane secondo un modello conosciuto nella penisola ed esportato in Canada. Le società di mutuo soccorso furono importanti perché fornirono assistenza agli emigrati
italiani, i quali si 7 trovavano spesso in una posizione vulnerabile nel mondo del lavoro, anche per la difficoltà di accedere ai sindacati canadesi13. L’istituto famigliare svolse il resto del lavoro nel processo di stabilizzazione della comunità italiana. Furono in pratica le donne immigrate a rendere meno drammatico il passaggio da due realtà socioculturali così differenti. Le donne ricrearono nei luoghi di insediamento i vecchi modelli familiari, lavorativi e sociali facendo uso di valori e competenze tradizionali, facendo da mediatrici tra la comunità etnica e il paese ospitante. Spesso le donne arrivavano dall’Italia in un secondo tempo, dopo che i rispettivi mariti si erano insediati e avevano trovato lavoro, ricostituendo così il nucleo famigliare. Fu soltanto con l’arrivo delle donne che si superò la situazione descritta nel saggio di Robert Harney dal titolo evocativo Men without women14. Con il tempo le italo-canadesi superarono il classico ruolo di mogli e madri diventando anche imprenditrici. Le prime attività gestite da donne italiane furono i pensionati per uomini soli, luoghi nei quali alloggiavano gli emigrati appena arrivati. È stata soprattutto la letteratura italo-canadese di lingua inglese a mettere nell’angolo molti luoghi comuni sulla condizione della donna italiana che non sempre corrispondevano a verità. Non solo la donna emigrata non era necessariamente casalinga, ma anche la sua vita culturale non era completamente limitata alla sfera domestica e famigliare. È una tesi sostenuta anche negli studi dello storico Angelo Principe che ha messo in evidenza come prima della guerra il ruolo delle donne italiane fu centrale nel lavoro, negli affari e nell’attivismo politico pro e contro il fascismo15. 2. L’immigrazione di massa l “boom” migratorio dall’Italia verso il Canada si verificò a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale. La fine delle grandi ostilità in Europa significò la possibilità per migliaia di persone di riprendere il flusso migratorio oltreoceano, in un clima però profondamente mutato. A livello di politica internazionale la guerra aveva significato la fine del nazionalismo e del protezionismo economico, entrambi fattori frenanti per l’emigrazione. A livello economico la guerra aveva prodotto fratture8 profonde nel tessuto produttivo europeo, mentre le nazioni oltreoceano erano rimaste immuni dalle distruzioni belliche16. Il Canada in particolare si trovò nella condizione di poter favorire in vari modi l’immigrazione di forza lavoro europea, necessaria al grande sviluppo economico che già nella seconda metà degli anni Quaranta si stava prefigurando. Infine era anche cambiato il profilo tipico dell’emigrato italiano. Chi arrivò in Canada dagli anni Cinquanta in poi aveva spesso alle spalle un patrimonio di competenze lavorative maggiore, acquisito in precedenti migrazioni nel Nord Italia o in altri paesi europei. Ciò spiega come questa generazione ebbe molta più facilità a trovare lavoro nei grandi complessi industriali come le grandi acciaierie di Hamilton in Ontario17. Proprio perché partirono negli anni precedenti al “boom” gli emigranti italiani non conobbero in pieno i cambiamenti sociali ed economici in corso nel loro paese. Questo caratterizzò anche l’idea dell’Italia che si portarono dietro, guardarono così al loro paese in modo nostalgico, pensandolo come un luogo caratterizzato da povertà e sem-
plicità, tradizioni e senso di comunità18. Torniamo però all’aspetto lavorativo e osserviamo le statistiche canadesi che ci aiutano a comprendere la progressiva attrazione che il Canada esercitava sugli emigranti italiani. Guardando la tabella 1, che riassume il numero di italiani entrati in Canada nei principali periodi di emigrazione si riscontrano fondamentalmente due picchi storici. Il primo riguarda i primi venti anni del Novecento, il secondo gli anni cinquanta e sessanta. Non si hanno a disposizione valori affidabili per gli anni precedenti al 1900, ma attraverso la letteratura si può comunque ricostruire un fenomeno in netta crescita a partire dagli anni ottanta del XIX secolo in continuità con la successiva crescita del ventennio 1901 – 1920. Come si è detto il flusso migratorio verso il Canada conobbe una brusca discesa negli anni Venti e quasi un’interruzione a partire dagli anni Trenta. La ripresa del fenomeno fu fortissima negli anni Cinquanta e Sessanta e raggiunse livelli molto superiori a quelli precedenti alle due guerre mondiali.9 Tra il 1948 e il 1972 l’Italia fu seconda solo alla Gran Bretagna come fonte di immigrazione per il Canada. Tabella 1. Italiani emigrati in Canada (1901-1978) Anni Numero di italiani entrati nel paese Percentuale sull’immigrazione totale in Canada 1901-10 58.104 3.5 1911-20 62.663 3.7 1921-30 26.183 2.1 1931-40 3.898 2.4 1941-50 20.682 4.2 1951-60 250.812 15.9 1961-70 190.760 13.5 1971-78 37.087 3.1 1991-95 2.540 0.3 1996-2000 2.225 0.3 2001-06 2.270 0.2 Fonte: Statistics Canada. Tra i motivi principali per cui gli italiani dopo la guerra scelsero il Canada ci furono gli accordi bilaterali che annullarono le politiche restrittive registrate in precedenza. Questo fattore fu molto significativo tanto che tra anni Cinquanta e Sessanta i migranti che lasciavano l’Italia per stabilirsi in Canada superarono per numero quelli che negli stessi anni si recavano negli Stati Uniti19. Così come in precedenza, il boom migratorio fu favorito dalla combinazione di fattori istituzionali, come la precisa volontà del governo canadese di incentivare l’arrivo di forza lavoro straniera, e di fattori sociali, come i network italiani che ripresero con più forza la loro opera di solidarietà verso i nuovi arrivati. La straordinaria espansione del mercato del lavoro canadese del dopoguerra fece il resto, creando le possibilità per la nuova generazione di italiani di stabilirsi in Canada. La politica dei governi canadesi in favore dell’emigrazione si svolse attraverso lo strumento della sponsorizzazione. Secondo questa politica i candidati all’immigrazione avrebbero goduto di una particolare facilità nell’ammissione nel paese a condizione che i loro parenti già residenti in Canada avessero accettato di sponsorizzarli, occupandosi dell’alloggio e del loro primo sostentamento. Furono proprio gli italiani, grazie ai network creati prima del conflitto, ad approfittare maggiormente di questo sistema. Più del 90 per cento dei nostri connazionali che entrarono in Canada tra il 1946 e il 1967 furono sponsorizzati e quindi mantenuti e aiutati, da parenti già da tempo nel paese nordamericano. Il buon funzionamento in termini economici e sociali sia dei network che dei meccanismi di sponsorizzazione spiegano come mai le migrazioni verso il Canada siano continuate10 anche dopo la fine del boom migratorio dall’Italia,
quando cioè l’economia nazionale era già entrata in quella fase di crescita nota come Miracolo economico20. L’emigrazione italiana verso il Canada era un fenomeno complesso, alimentato anche da esperienze di tipo diverso, come quella dei giuliano-dalmati, che dopo la guerra furono costretti dagli eventi a lasciare definitivamente le proprie terre di origine. Intere comunità scelsero tra le nuove destinazioni anche il Canada: a distinguerle dalle altre comunità italiane restava però l’abbandono della terra di origine21. Un altro episodio interessante riguarda l’arrivo in Canada di migliaia di lavoratori italiani di passaggio dal Belgio, paese nel quale erano emigrati precedentemente. Un accordo tra i governi belga e canadese avrebbe dovuto favorire l’arrivo di emigranti di lingua francese per compensare il predominio degli immigrati “anglofoni”. Ciò che invece si verificò fu l’arrivo di lavoratori italiani ben intenzionati a lasciare il durissimo lavoro nelle miniere di carbone 22. Tornando al ruolo del governo federale di Ottawa nel favorire l’immigrazione straniera si devono sottolineare due aspetti importanti: la facilità nell’acquisire la cittadinanza e le politiche di welfare state in favore delle famiglie di emigranti. Il Canada, dopo la guerra, non cercava lavoratori temporanei ma nuovi cittadini in cerca di un paese in cui vivere definitivamente. Questo aspetto fu favorito principalmente dall’applicazione dello ius soli che in pratica permetteva ai figli nati in territorio canadese di diventare automaticamente cittadini. Questo aspetto fece sì che, a differenza dell’Europa, in Nord America si sviluppassero comunità molto più grandi e molto più coese. Nel multietnico Canada anche i discendenti italiani di terza generazione si dichiarano oggi italo-canadesi, anche se spesso non conoscono più la lingua dei loro avi. A questa generazione va però riconosciuto il merito di aver limitato i vecchi stereotipi sugli italiani, soprattutto grazie alla loro crescita professionale. Furono infatti moltissimi i figli di immigrati italiani che, sfruttando condizioni educative migliori, seppero migliorare la loro posizione professionale e sociale23. L’avanzato welfare state canadese del dopoguerra non dimenticò le famiglie degli immigrati ed anzi, attraverso i suoi strumenti, contribuì a favorire il senso di11 appartenenza dei nuovi arrivati alla grande e variegata nazione nordamericana. Molti studiosi canadesi hanno messo in luce come il welfare state sia stato usato come un mezzo per mantenere la coesione nazionale in uno stato in cui al contrario mancano simboli nazionali forti, anche tra le comunità più antiche. Allo stesso tempo fu utilizzato per favorire l’arrivo e l’insediamento di famiglie di immigrati. Nel 1950, quando il numero degli immigrati conobbe una piccola stasi, Ottawa cambiò il programma degli assegni famigliari (family allowances) includendo nei pagamenti, con uno speciale assegno, anche le famiglie degli immigrati, fatto che negli stessi anni poteva essere registrato soltanto nel Regno Unito e in Australia24. I nuovi emigranti e le seconde generazioni continuarono, nonostante tutto, ad essere legati alla madrepatria. Non era un legame facile e scontato visto che chi era partito anche dopo la guerra aveva ancora un’idea del paese lontanissima dalla realtà attuale; inoltre le seconde generazioni spesso non parlavano l’italiano ma il dialetto imparato dai genitori. Nonostante ciò in Canada, così come in molte altre comunità italiane
extra-europee, il senso di italianità è ancora ben vivo e si basa sulla centralità della famiglia, sull’importanza dei legami intergenerazionali e su certi riti importati dall’Italia come la vendemmia, la distillazione degli alcolici e i pranzi “all’italiana”25. Nel dopoguerra l’imprenditoria italiana in Canada conobbe la fase più matura, che portò a risultati in un certo senso sorprendenti. In generale l’imprenditoria degli italiani all’estero si espresse in tanti campi, dagli strumenti musicali alle manifatture tabacchi, fino alle aziende vitivinicole, impiantate anche nel Nord America. Si tratta di quelle produzioni definite “etniche” fatte cioè principalmente per andare incontro alla domanda degli emigrati e solo in un secondo tempo destinate a penetrare il mercato “indigeno”. Vari studi sull’argomento hanno sottolineato come nelle produzioni etniche il rischio d’impresa, che rientra nella logica imprenditoriale, viene in un certo senso limitato da una base garantita, la domanda degli immigrati, che rende questo rischio meno simile ad un salto nel buio. A questo si aggiungeva una rete di protezione costituita dal sistema di clientelismo su base etnica che si esprimeva – soprattutto in Nord America – in vari modi: nella maniera più ufficiale con le camere di commercio 12 italiane all’estero nate negli ultimi decenni dell’Ottocento, in quelle città, come Toronto e New York, in cui era forte la presenza italiana26. Per comprendere l’evoluzione sino ai giorni nostri del processo di formazione d’imprese “italiane” in Canada abbiamo utilizzato un recente censimento fatto da Team Italia, associazione di imprenditori italo-canadesi. Si deve innanzitutto sottolineare come i dati raccolti non siano completi in quanto analizzano principalmente la provincia dell’Ontario ed in particolare la GTA (Grand Toronto Area), l’area metropolitana di Toronto. Nonostante ciò i risultati mettono in luce da un lato il percorso che abbiamo sinora mostrato basandoci sulla letteratura esistente, e dall’altro elementi nuovi. Se si guarda infatti alla tabella 2, nella quale sono riassunti in percentuale i settori nei quali maggiore è la presenza di imprenditori d’origine italiana, si vede come questi abbiano abbondantemente superato il modello dei prodotti “etnici”. Quasi un quarto delle imprese (22 per cento) è infatti impiegato nel settore delle finiture per la casa. Seguono ad una certa distanza altri settori come i servizi, l’industria e l’edilizia e “soltanto” il 12 per cento è nel settore alimentare, tipico terreno dell’imprenditoria etnica, non solo italiana. Tabella 2. Aziende di origine italiana nell’area di Toronto (dati in percentuale su una campionatura di 1.683 aziende) Servizi casa (mobili, porte, finestre, allarmi) 22 Uffici, servizi e altro 14 Industria 13 Edilizia 13 Alimentari 12 Lavorazioni (legno, metallo, carta) 10 Elettronica 8 Distribuzione e vendita 6 Alberghi e Turismo 2 Fonte: Team Italia, Gli imprenditori canadesi di origini italiane, Toronto, [s.e.], 2008 Nella tabella 3 sono invece riassunte le percentuali relative ad un campione, ben più piccolo, riguardo gli anni d’arrivo e di fondazione delle imprese. Pur nella limitatezza del dato, la tendenza appare chiara: la gran parte degli imprenditori è arrivata nel ventennio 1950-1969 ed ha fondato le proprie aziende nel ventennio successivo e cioè tra il 1970 e 1989. 13 Tabella 3. Periodi d’arrivo in Canada degli imprenditori italiani e di fondazione delle
aziende (dati in percentuale su una campionatura di 120 imprenditori) Periodo Arrivi Fondazione Prima del 1940 11 5 1940-49 3 0 1950-59 45 11 1960-69 32 13 1970-79 5 24 1980-89 3 30 1990-99 1 16 2000-06 0 1 Fonte: Team Italia, Gli imprenditori canadesi di origini italiane, Toronto, [s.e.], 2008 Si coglie così un’evoluzione del dopoguerra che riflette in pieno il percorso sinora illustrato. Gli italiani sono arrivati in massa alla fine del conflitto, sfruttando le reti sociali e parentali create nei decenni precedenti, hanno spesso iniziato con lavori umili ed hanno saputo con il tempo conquistarsi nuovi spazi nel mondo delle professioni e dell’imprenditoria: in quest’ultimo campo allontanandosi con il tempo anche dai settori più tipici per gli emigranti. La grande fase di emigrazione verso il Canada si esaurì alla fine degli anni Sessanta quando il governo introdusse una nuova politica sull’immigrazione, limitando proprio il meccanismo della sponsorizzazione. Il multiculturalismo del primo ministro liberale Pierre Elliott Trudeau portò ad una certa chiusura verso l’esterno ma anche alla rivalutazione delle comunità etniche di origine, tra le quali quella italo-canadese era tra le più numerose27. 3. La nuova generazione di emigranti (dagli anni Novanta ad oggi) Il flusso di emigrazione dall’Italia verso il Canada esiste a tutt’oggi in maniera più limitata rispetto al passato e con dinamiche che riflettono la situazione economica dei due stati. L’emigrazione in Italia è ancora un fenomeno attuale e gli italiani sono al primo posto tra i migranti dell’Unione Europea. Quasi 4 milioni di italiani risiedono all’estero, anche se la maggior parte vive e lavora negli stati comunitari. Rispetto al passato sono però cambiati i profili professionali, oggi tra i nuovi emigranti si14 riscontrano infatti numerosi tecnici e operai specializzati, imprenditori e ricercatori28. D’altra parte il Canada continua ad essere anche oggi una meta di immigrazione. La politica seguita dalle autorità canadesi relativamente all’immigrazione qualificata ha prodotto un sistema di assegnazione di un punteggio al potenziale immigrante che varia con l’età, il livello di formazione, il tipo di occupazione e l’esperienza acquisita. Tale sistema consente di orientare e modificare i criteri di accettazione privilegiata per ambiti occupazionali, al variare della domanda del mercato del lavoro. Il Canada tende soprattutto ad attrarre personale altamente qualificato in aree che risultano carenti di personale locale, in particolare nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione29. Tra vecchi e nuovi elementi la spinta dell’emigrazione italiana verso il Canada si è modificata. Tornando alla tabella 1 si nota come la fase discendente parta dagli anni Settanta e tocchi il suo minimo negli anni Novanta, quando l’emigrazione italiana si è stabilizzata verso un numero abbastanza basso ma regolare. È soprattutto diminuito in termini percentuali il peso degli immigrati italiani sul totale, un elemento che ha portato a ridimensionare in parte l’importanza della comunità italica rispetto ad altre comunità in crescita, come quella cinese. Un dato simile si legge anche nella tabella 4, basata sui dati dell’emigrazione italiana degli ultimi decenni in Canada in confronto al totale e agli altri paesi dell’Unione Europea. Anche in questo caso l’Italia ha perso la sua posizione predom-
inante in particolare a partire dagli anni Ottanta. Tabella 4. Emigrazione italiana in Canada in rapporto ai paesi dell’Unione Europea (dati in percentuale) Prima 1961 1961-70 1971-80 1981-90 1991-2001 Italiani in rapporto al totale 46,7 38,3 10,3 2,8 1,8 Italiani in rapporto a emigrati UE 39,2 27,2 17,4 9,1 7,0 Fonte: Statistics Canada Nonostante il calo numerico di entrate, la comunità italiana resta comunque stabile nel panorama canadese: lo provano alcuni dati raccolti dall’istituto statistico federale nell’ultimo censimento del 2006. Il primo è quello che registra una presenza di 1.445.330 persone di origine etnica italiana, circa il 4,6 per cento su una popolazione15 complessiva di 31.241.030. Sempre nel 2006 venivano registrate 296.850 landed immigrants italiani, il 4,8 per cento su un totale di 6.186.950. Per landed immigrants si intendono quelle persone che hanno goduto del diritto di vivere in Canada permanentemente dalle autorità per l’immigrazione. Un altro elemento interessante è la dichiarazione della lingua madre. Nel 2006 455.040 cittadini canadesi, l’1,5 per cento del totale, hanno dichiarato l’italiano come lingua madre. Se si considera che il gruppo cinese, un milione di persone circa, è in realtà formato da differenti idiomi, l’italiano risulta in pratica la prima lingua straniera parlata in Canada30. Da un lato la comunità italo-canadese si mantiene ancora numerosa, grazie ai vecchi flussi migratori; dall’altro il Canada negli ultimi anni è diventato meta di un tipo di emigrazione sostanzialmente differente dal passato, alimentato da persone con alte qualifiche universitarie e lavorative, un fenomeno spesso riassunto con il nome di Brain drain31. Questa tendenza appare chiara se si guarda ai dati del livello educativo degli italiani che si sono spostati a lavorare in Canada a partire dagli anni Novanta. Nella tabella 5 abbiamo riassunto i valori in percentuale relativi ai landed immigrants italiani con titolo universitario a partire dal 1980, si nota in tal senso come il peso dei titoli superiori (master e dottorati) sia cresciuto in maniera notevole dal 1980 al 2002, una tendenza che si nota anche guardando i dati dell’Unione Europea ma con variazioni minori per quanto riguarda i titoli di dottorato. Dall’Italia verso il Canada si sono spostate così in questi ultimi anni alte professionalità in cerca di un ambiente economico dinamico in cui spendere i titoli ottenuti in patria, o arricchire il proprio curriculum nelle università canadesi32. Tabella 5. Titoli universitari dei landed immigrants italiani in Canada, in rapporto ai landed immigrants dell’Unione Europea (dati in percentuale) Italia UE 1980 1990 2002 1980 1990 2002 Bachelor 80 67,6 46,8 70,1 63,5 44,6 Master 14,5 20,6 34,0 20,4 23,4 41,0 Doctorate 5,5 11,8 19,2 9,5 13,1 14,4 Fonte: Department of Citizenship and Immigration Canada, Immigration Statistics 1980-19902002, Ottawa, [s.e.], 1980, 1990, 2002. Lavoro ed imprenditoria degli italiani in Canada, tra vecchie e nuove generazioni 16 I settori maggiormente coinvolti sono quelli scientifici che riguardano l’elettronica, l’informatica e i media e, più in generale, le tecnologie specializzate (vedi tabella 6), mentre altre professioni altamente qualificate, come i manager e i docenti universitari, sono comunque
ben rappresentate. Tabella 6. Settori lavorativi dei lavoratori temporanei italiani con titolo universitario (dati in percentuale) 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Elettronica, media, informatica 50.5 49.4 49.9 50.0 53.7 49.1 Alte tecnologie e ingegneria 34.3 40.2 42.3 43.8 40.3 39.4 Management 10.2 8.1 5.0 4.2 3.4 6.9 Docenti universitari 5.0 2.3 2.8 2.0 2.6 4.6 Fonte: Department of Citizenship and Immigration Canada, Immigration Statistics 1980-19902002, Ottawa, [s.e.], 1980, 1990, 2002. L’emigrazione verso il Canada ha “mutato pelle” in termini professionali ma anche per quel che riguarda i metodi di arrivo e di ambientamento nel nuovo paese. Hanno così perso d’importanza le catene migratorie e sempre meno spesso la partenza viene vissuta come un ricongiungimento famigliare. Gli italiani non hanno però smesso di fare rete tra loro, nell’era di internet sono i blog e i siti specializzati a dare consigli, informazioni e a raccogliere testimonianze degli italiani andati a lavorare in Canada. E’ un qualcosa che si è diffuso molto negli ultimi anni anche nelle altre tradizionali mete di emigrazione italiana33. Il sito Voglioviverecosi.it, composto dai racconti di chi ha lasciato l’Italia e ne ha fatto una scelta di vita, raccoglie anche varie testimonianze di chi s’è trasferito con la propria famiglia a lavorare in Canada. La dinamicità economica e produttiva, la qualità dei servizi e la tranquillità della vita, anche nelle metropoli, sono elencati tra le ragioni principali per chi negli ultimi anni ha scelto di trasferirsi nel grande paese del Nord America. A volte alla soddisfazione per il raggiungimento del nuovo paese si aggiunge anche un senso di polemica verso l’Italia, considerato da molti un paese “immobile” e con poche opportunità per chi ha capacità professionali ed imprenditoriali. È cambiato17 anche il rapporto con le comunità italiane: se prima in queste ci si rifugiava per trovare lavoro e per ritrovare le tradizioni della madrepatria, oggi invece i nuovi migranti si dimostrano più indipendenti e, anche se intrattengono rapporti con i connazionali emigrati, socializzano maggiormente con i canadesi e con le persone di altre comunità34. Conclusione L’emigrazione degli italiani in Canada nei 150 anni della storia unitaria nazionale ha espresso un percorso economico e sociale ben preciso, che ha portato gli italiani a costituire comunità fondamentali allo sviluppo del grande paese nordamericano. Il progressivo miglioramento delle condizioni lavorative ed educative degli italo-canadesi e l’inserimento nella realtà imprenditoriale testimoniano perfettamente l’esistenza di un processo di integrazione che ha avuto sostanzialmente successo. Per le prime generazioni di fondamentale importanza furono le catene migratorie attraverso le quali gli italiani seppero costruire network diffusi di solidarietà e lavoro. Si creò così quel legame necessario tra Canada e Italia che diede vita ad un modello di successo. La storia politica ed economica dei due paesi ha infatti condizionato negli anni l’evoluzione del fenomeno. Da un lato il Canada con la sua ciclica domanda di manodopera, e con la corrispondente attenzione del governo
di Ottawa a favorire l’immigrazione, ha costituito una grande attrazione per gli emigranti italiani. Dall’altro lato l’Italia, con la sua abbondanza in termini demografici e le costanti crisi agricole ha costituito per molti decenni un fornitore di offerta lavorativa per il Canada. Se non si considera però l’efficienza dei legami sociali intessuti dalle comunità italiane non si riesce a comprendere come gli italiani e i loro discendenti siano riusciti nel mondo lavorativo canadese a conquistare un’importante posizione. Gli italiani partendo da lavori umili seppero conquistarsi posizioni nel campo dell’imprenditoria, uscendo anche da quei settori “etnici” tradizionali (come il settore enogastronomico) che la storiografia aveva sinora sottolineato come portanti nell’imprenditoria italo-canadese. Oggi l’emigrazione verso il Canada è mutata, così come sono cambiati i due paesi protagonisti del34 fenomeno. Sia le politiche d’immigrazione del Canada, mirate ad attirare categorie specializzate di lavoratori, sia la nuova emigrazione italiana, costituita da alte professionalità, hanno fatto sì che oggi il fenomeno sia diminuito in termini numerici ma sia costante e da non sottovalutare. Sulla nuova emigrazione italiana “vigilano” le vecchie comunità italo-canadesi diffuse nel territorio e, nonostante tutto, rafforzate nelle vecchie tradizioni. Bibliografia 2 MESSINA, Nunzia, «Considerazioni sull’emigrazione italiana dopo l’unità (1876-1879)», In ASSANTE, Franca, Il movimento migratorio italiano dall’unità ai giorni nostri, Napoli, [s.e.], 1976, pp. 247-251 e GABACCIA, Donna R., «L’Italia fuori d’Italia», In Storia d’Italia Annali 24. Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, pp. 226-230. 3 Ci si riferisce in particolare a PODESTÁ, Gian Luca, «I censimenti nei domini coloniali italiani come fonte per la storia sociale», relazione al convegno Società Italiana di Demografia Storica, I censimenti fra passato, presente e futuro. Le fonti di stato della popolazione a partire dal XIV secolo, Torino (4-6 novembre 2010). 4 GABACCIA, Donna R., Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, Torino, Einaudi, 2003, pp. 189-191. 5 BRUTI LIBERATI, Luigi, Il Canada, l’Italia e il fascismo, 1919-1945, Roma, Bonacci, 1984, pp. 73-89. 6 STELLIN, Monica, Bridging the ocean. Italian literature of migration to Canada, Udine, Forum, 2006, pp. 16-19. 7 Ibidem. 8 RAMIREZ, Bruno, The Italians in Canada, Ottawa, Canadian historical association, 1989. 9 ZUCCHI, John, Italians in Toronto. Development of a national identity, 1875-1935, Kingston (Ontario), Mc Gill-Queen’s University Press, 1988. 10 RAMIREZ, Bruno, The Italians in Canada, cit., 1989 11 AUDENINO, Patrizia, TIRABASSI, Maddalena, Migrazioni italiane. Storia e storie dell’Ancien régime a oggi, Milano, Bruno Mondatori, 2008, pp. 43-48 e GABACCIA, Donna R., «L’Italia fuori d’Italia», cit., pp. 233-239. 12 AUDENINO Patrizia, TIRABASSI, Maddalena, Migrazioni italiane, cit., 2008, pp. 43-48; STURINO, Franc, «Italian Emigration: Reconsidering the Links in Chain Migration», in PERIN, Roberto, STURINO, Franc, Arrangiarsi. The Italian Immigration Experience in Canada, Montreal, Guernica, 1992, pp. 63-64. 13 RAMIREZ, Bruno, The Italians in Canada, cit., 1989, pp. 15-20. 14 HARNEY, Robert F., «Men without women. Italian migrants in Canada, 1885-1930», Canadian Ethnic Studies, XI (1979), pp. 29-47. 15 PRINCIPE, Angelo, «Glimpses of Lives in Canada’s Shadow: Insiders, Outsiders, and Female Activism in the Fascist Era», In GABACCIA, Donna R., IOVETTA, Franca, Women, Gender, and Transnational Lives. Italian Workers of the World, Toronto, University of Toronto Press, 2002, p. 349-351 e GARRONI, Susanna, VEZZOSI, Elisabetta, «Italiane migranti», In Storia d’Italia Annali 24. Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, pp. 449-465. 16 Vedi tra i tanti le considerazioni di GINSBORG, Paul, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica 1943-1988, Torino, Einaudi, 1989, pp. 293-295; SAPELLI, Giulio, Storia economica dell’Italia contemporanea, Milano, Bruno Mondatori, 1997, pp. 45-52 e ZAMAGNI, Vera, Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 205210. 17 Sullo sviluppo economico canadese successivo alla Seconda guerra mondiale vedi in particolare: BUMSTED, Jack M., A History of the Canadian Peoples, Don Mills (Ontario), Oxford University Press Canada, 2007, p. 365-371 e NORRIE, Kenneth, OWRAM, Douglas and EMERY, Herbert
J. C., A History of the Canadian Economy, Toronto, Thomson – Nelson, 2008, pp. 361-431. 18 STELLIN, Monica, Bridging the ocean, cit. 2006, pp. 151-154. 19 GABACCIA, Donna R., L’Italia fuori d’Italia, cit., p. 243. 20 BOYD, Monica, «Family and Personal Networks in International Migration: Recent Developments and New Agendas», International Migration Review, Vol. 23, 3, Autumn 1989, p. 638-670 e CANCIAN, Sonia, «Intersecting labour and social networks across cities and borders», Studi emigrazione, anno XLIV, aprile giugno 2007, n. 166, 2007, pp. 313-326. 21 BURANELLO, Robert, I giuliano-dalmati in Canada. Considerazioni ed immagini, New York, Legas, 1995. 22 MACCARI-CLAYTON, Marina, «From “watchdog” to “salesman”: Italian re-emigration from Belgium to Canada after the Second World War», in Studi emigrazione, anno XLIV, aprile giugno 2007, n. 166, p. 327-336. 23 GABACCIA, Donna, R., L’Italia fuori d’Italia, cit., 2009, p. 245-248. 24 BUMSTED, Jack M., A history of the Canadian peoples, Oxford (UK), Oxford University Press, 2007, p. 394-405, BLAKE, Raymond, From Rights To Needs. A History of Family Allowances in Canada 1929-1992, Vancouver-Toronto, UBC Press, 2009, p. 13-22, MARSHALL, Dominique, The Social Origins of the Welfare State. Québec Families, Compulsory Education and Family Allowances, Waterloo (Ontario), Wilfrid Laurier University Press, 2006, p. 184-188. 25 ZIEGLER, Suzanne, «The Family Unit and International Migration: The Perceptions of Italian Immigrant Children», International Migration Review, Vol. 11, n. 3 (Autumn, 1977), p. 326-333 e BIANCO, Carla, ANGIULI, Emanuela, Emigrazione : una ricerca antropologica di Carla Bianco sui processi di acculturazione relativi all’emigrazione italiana negli Stati Uniti, in Canada e in Italia, Bari, Dedalo, 1980. 26 ANSELMI, William, HOGAN, Lise, «L’emigrazione italiana in Canada nell’era globale tra aspetti culturali e risvolti economici», Memoria e Ricerca, n. 18, 2005, pp. 61-78 e MARTELLINI, Amoreno, «Emigrazione e imprenditoria», In Storia d’Italia Annali 24. Migrazioni, Torino, Einaudi, 2009, pp. 285-301. 28 AUDENINO, Patrizia, TIRABASSI, Maddalena, Migrazioni italiane. Storia e storie dell’Ancien régime a oggi, cit., p. 170-174. 29 AVVEDUTO, Sveva, «La mobilità delle alte qualifiche in Europa, Canada e USA» in Studi emigrazione, anno XLI, dicembre 2004, n. 156, p. 889-910. 27 Sul multi-culturalismo dei governi di Pierre Trudeau (1968-79 e 1980-84) e sull’influenza che il Quebec ebbe nella politica canadese negli anni sessanta e settanta vedi: SAYWELL, J., Quebec 70: A documentary Narrative, Toronto, University of Toronto Press, 1971 e HANDLER, Richard, Nationalism and the Politics of Culture in Quebec, Madison (Wisconsin), Wisconsin University Press, 1988. 30 Statistics Canada, Census 2006, Ottawa, [s.e.], 2007. 31 BRANDI, Carolina M., «L’emigrazione qualificata e la formazione all’estero», In Fondazione Migrantes, Rapporto italiani nel mondo 2006, Roma, IDOS, 2006 e CUCCHIARATO, Claudia, Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi, Milano, Bruno Mondadori, 2010. 32 AVVEDUTO, Sveva, «La mobilità delle alte qualifiche in Europa, Canada e USA», cit., pp. 896-901. 33 TIRABASSI, Maddalena, «Gli italiani sul web», In BEVILACQUA, Piero, DE CLEMENTI, Andreina, FRANZINA, Emilio, Storia dell’emigrazione italiana, volume II Arrivi, Roma, Donzelli, 2002, pp. 717-738. Per le testimonianze on-line sul Canada vedi in particolare «In Canada senza rimpianti», 2/3/2010: URL: < http://www.voglioviverecosi. com/index.php?italiani-che-vivono-negli-stati-uniti-e-incanada_340/trasferirsi-a-vivere-e-lavorare-in-canada-toronto_126/ > [consultato il 12 novembre 2010] e «Una famiglia italiana a Vancouver», 27/5/2010: URL: <http://www.voglioviverecosi.com/index.php?italiani
XXV Il viaggio in automobile attraverso 3 province canadesi che cambierà la mia vita per sempre Non è mai facile lasciare i tuoi amici, i parenti e le persone care, nonche anni di lavoro e sacrifici, per costruire il futuro della tua famiglia, ma il danno economico subito per mano di una persona alla quale avevi dato fiducia, affidandogli i tuoi risparmi, in forma di gioelli e il patrimonio della nostra società, ti porta a ragionare in cerca del perchè, un amico possa essere così cattivo e cinico sino a perpretrare un vero e poprio furto ai danni della mia famiglia. Un furto commesso da una persona che credevi fosse un amico sincero, è come una pugnalata che trafigge il cuore e per rimarginare la ferita ci vorranno anni, ma la cicatrice rimarrà visibile per sempre. La porterai con te per il resto della tua esistenza. La decisione di tornare in Italia, è puramente basata sul disastro economico subito e la perdita di tutti i nostri risparmi. Non esiste più ragione quindi restare in un luogo che non ti appartiene più. D`altronde sono giovane e posso ricominciare da zero. Così a bordo della mia Acadian, io, Nancy e Vinicio iniziamo il lungo viaggio attraverso l`interminabile Canada. La distanza traLa distanza tra Edmonton e Toronto è di 3.477 chilometri (2.161 miglia) È un lungo viaggio che richiede almeno 36 ore di guida, piu le soste. Per rendere il viaggio meno stressante, la Canadian Automobile Association Pertanto, ci suggerì di interrompere il viaggio in tappe , prolungando la durata del viaggio a 4 giorni per raggiungere Toronto. Partiamo il 16 di settembre del 1969 alle 9 del mattino e il 20 settembre siamo a Toronto. A Toronto vive mia cugina Onorina con il marito Carlo e i tre figli trasferitosi da Edmonton qualche anno prima. Una volta sistematosi in Toronto, Carlo, il marito di Onorina, aveva trovato lavoro presso il comune di Toronto come autista e operatore ecologico. In attesa di partire per l`Italia, Carlo e Onorina ci ospitatorno nella loro casa, su Coquette Street, nelle vicinanze di Jane e Wilson. Carlo iniziava il lavoro ben presto e finiva il turno alle tredici. Vuoi per mestiere, vuoi per curiosità la prima cosa che chiesi a mio cugino di procurarmi dei giornali in lingua italiana. Lui era abbonato a Il Giornale di Toronto, un settimanale nato qualche anno addietro. Mentre scorrevo le pagine del giornale gli occhi mi caddero su una pubblicità che pubblicizzava un libro dal titolo “The Italians” dell`autore Giuseppe Spada di Montreal . Il costo $10.00 e si poteva prenotare oppure acquistare presso Il Giornale di Toronto. Ricordo che era un giovedì e chiesi a Carlo se gentilmente mi accompagnasse in redazione
per acquistarne una copia. Arrivammo alla direzione del giornale si trovava su Ramsden e Dufferin poco a nord di Eglinton, verso le 14. La porta era aperta ma gli uffici erano vuoti. Dopo aver bussato per una decina di volte, da fondo del palazzetto uscì un signore alto, corposo e calvo. Mi presentai chiedendo se fosse possibile acquistare una copia del libro reclamizzato sul giornale. Il signore con un forte accento genovese disse: “io sono Aurelio Malvisi, il direttore e editore - e lei - , cosa fa nella vita”. “Piacere sono Vittorio Coco - risposi - faccio il giornalista, sono di passaggio, sono in attesa del biglietto per tornare in Italia” Sulla sua scrivania c`erano molti ritagli di giornali italiani, un paio di biro e un borsone. Ci scambiammo alcune parole, chiese come andava il giornale e quanti giornalisti erano nell`organico. Malvisi inizia a parlare. Sembrava una mitraglietta. In cinque minuti mi racconta vita e miracoli del suo giornale e degli italiani residenti in Ontario. Poi fa una pausa e mi chiede: “io ho bisogno di una persona come lei” “Grazie dell`offerta direttore, ma sono in partenza per l`Italia. Ho una moglie e un figlio e presto dovrò iscriverlo alla scuola”. “Senta Coco - pensaci - vediamoci domani a pranzo. La notte porta consiglio”. Il giorno dopo alle 14 in punto ci incontriamo presso il Ristorante Camarra su Dufferin Street. Nel corso del pranzo (presente anche mio cugino Carlo), il direttore Malvisi, pur di convincermi ad accettare di collaborare con il suo giornale, si spinge sino ad offrirmi il ruolo di vice-direttore con mansione di responsabilità editoriale. La cosa mi alletta, ma ormai ho deciso di tagliare ogni rapporto con il Canada e se con qualche dubbio, declino l’offerta. Mentre uscisciamo dal ristorante, Malvisi fa un ultimo tentativo e mi chiede se prima di partire per l`Italia, possiamo sentirci almeno per telefono. Passano 24 ore e squilla il telefono. E` Malvisi, che con un modo, direi molto diplomatico mi invita ancora una volta a un incntro conviviale e mi assicura che non parleremo di lavoro. Per non deluderlo accetto di incontrarci. E` un sabato sera. Ad accompagnarmi è sempre mio cugino. Malvisi, Carlo ed io cin incontriamo in un ristorante nella zona di Eglinton, nelle vicinanze del giornale. Malvisi ha estremamente bisogno di un collaboratore ed é preparato a tutto. Nel corso della serata torna a parlare di come gli sia nata l`idea di fondare un giornale per fare concorrenza al Corriere Canadese, unico quotidiano in lingua italiana in Canada. Aurelio Malvisi, prima di fondare il Giornale di Toronto, era stato direttore commerciale della Grimaldi Line, una società di navigazione. Ma prima ancora era stato direttore, addetto alla pubblicità per una grande società tedesca ed aveva una certa esperienza nella vendita
di pubblicità, anima di una giornale per la sopravvivenza. “ Non posso curare il giornale e allo stesso tempo procurare pubblicità per pagare gli stipendi dle personale e le spese di stampa e distribuzione - ho bisoogno di una persona giovane ed energetica a capo della redazione e lei Coco è l`uomo che cerco, non può dirmi di no. Le progondo quindi di nominarla vice-direttore responsabile del Giornale con uno stipendio base di $ 185.00 lordi la settimana, in più $200.00 al mese per il rimbordo carburante. L`offerta era davvero allettante e gli chiesi se potevo pensarci, (avevo bisogno di metabolizzare il tutto e parlarne con Nancy). Tornati a casa, ne parlo con mia moglie, Onorina mia cugina e con Vinicio anche se era molto piccolo. Il responso fu unamine , l`offerta di lavoro del signor Malvisi poteva cambiare per sempre il corso della mia vita. E così accettai di entrare a far parte della famiglia del Giornale di Toronto. Il 2 novembre del 1969, varco la soglia della direzione del giornale. Il formato “lenzuolo” del settimanale a nove colonne richiedeva un approfondimento e così proposi di cambiare la veste grafica con meno articoli in prima pagina e più fotografie. Nel giro di due mesi riuscimmo a raddoppiare le vendite. Malvisi calvanizzato dal successo per ricompensare il mio lavoro mi regalò una 124 Fiat Sport Coupè acquistata (pagata con la pubblicità) da Trento Motor, concessionario Fiat su Dupont e Dufferin. In redazione c`era il professor Egidio Marchese esperto in diritto di lavoro e sindacati, Sandra e Lena addette alle macchine da scrivere, io, Malvisi e diversi collaboratori esterni, compresa la giovanissima studentessa universitaria, Luciana Marchionne, sorella del compianto ad Fiat, Sergio Marchionne, che curava le notizie locali. Negli anni 70 lo sport in Toronto era una cosa seria, e così mi inventai una squadra di giornalisti del calcio nominando tutti gli allenatori corrispondenti. Dopo l`incontro inviavano al giornale commenti e risultatti delle partite. Questo modo di fare giornlismo arricchì le pagine del giornale e aumentò la vendita del giornale. Dalle 15,000 copie vendute prima del mio ingresso in redazione, la vendita delle copie dopo un anno aveva raggiunto la iperbolica cifra di 43,000. La pagina dei motori era curata da Mario Roia, morto tragicamente durante il Gran Premio di Spagna del 1978. Come spesso accade, il successo a volte porta scompensi e malumori in seno a una struttura editoriale. La mia avventura a capo del Giornale di Toronto, dura circa due anni. Malvisi ha quasi raggiunto gli ottanta anni, e decide di vendere le sue quote a Piero Mori, socio in minoranza, il quale pubblicava un giornale in lingua italiana in California che preparava a Toronto poi spediva i flani a San Francisco per la stampa.
Mori era un uomo introverso, chiuso e conservatore, tutto quello che appariva sul giornale doveva essere visto e corretto, mettendoci del suo, a volte stravoglendo il significato degli articoli. Mori come suo braccio destro aveva nominato il suo amico Pino Didon direttore responsabile del settimanale Pino era l`opposto di Piero, estroverso e megalomane. Firmava i fondi di prima pagina, usando titoli cubitali che a volte non riflettavano il corpo dell`articolo. Con l`arrivo di Mori e Didon arriva anche l`usterità. Gli stipendi vengono dimezzati, niente spese per l`automobile, niente più spese per trasferte. Questa esperienza alle dipendenze di Mori non fu molto proficua e cosi` decisi insieme alla mia famiglia di tornare in Italia. A bordo della Fiat 124 facemmo il viaggio da Toronto a Montreal dove ci imbarcammo sulla nave “Empress of Canada”, destinazione Liverpol. Il viaggio durò cinque giorni. Al nostro arrivo in Inghilterra, ritirammo l`automobile pwe iniziare l`avventura attraverso la Gran Bretagna. Attraversammo parte dell`Inghilterra da Liverpool a Manchester, per raggiungere Londra.e quindi il porto di Dover, dove prendemmo il traghetto per raggiungere Calais in Francia. Il nostro viaggio ci portò, verso Lione, Parigi e poi il traforo del Monte Bianco sino a raggiungere la Val D`Aosta. Questa esperienza della piccola famiglia a bordo di una macchina sportiva, fu molto utile sia a noi adulti sia per mio figlio che aveva circa 9 anni. Attraversare quattro nazioni, inclusa la Svizzera e poter apprezzare le diverse culture, mi servì a capire che tutto sommato alla fine non c`è motla differenza tra inglesi, francesi, svizzeri o italiani. Dopo cinque giorni di viaggio e soste nelle varie città, e all`insaputa dei miei genitori, arrivammo a Pontinia. Nonostante i miei genitori non sapessero nulla del nostro arrivo, furono felicissimi rivederci. Non è esagerato dire che la nostra breve permanenza in Italia, fu una brutta esperienza. I primi problemi sorsero quando andammo ad iscrivere Vinicio alla scuola elementare di Roccagorga. La maestra, memore di una esperienza con uno scolaro tornato dall`Australia, ci consigliò di mettere Vinicio un anno indietro rispetto agli alunni italiani. A seguito della decisione della maestra di far perdere un anno di scuola a Vinicio, decidemmo di iscriverlo in una scuola di Latina, dove insegnavano maestri che parlavano inglese. Iniziò così un`odissea che durerà quattro mesi. Riflettendoci sopra, il nostro ritorno in Italia, era stato mal concipito e non avevo fatto i
onti con la situazione economica e politica del nostro paese. Un giorno ero andato a Roma per fare un servizio giornalistico di politica con Giorgio Almirante segretario del Movimento Sociale . Durante l`intervista parlammo del più e del meno, e quando gli raccontai del problema che avevo avuto con la scuola pubblica in Italia....mettendomi una mano sulla spalla mi disse: “figlio mio torna in Canada, qui da un giorno l`altro comanderanno i comunisti”. L`incontro con Almirante avvenne nelle vicinanze di via Bissolati a Roma, dove c`erano anche gli uffici della compagnia aerea canadese Canadian Pacific. Dopo il saluto con Giorgio Almirante entrai negli uffici della Canadian Paicfic Airlines e acquistai un biglietto di solo andata per Toronto, e, pochi giorni dopo tornai in Canada, mentre Nancy e Vinicio rimasero in Italia sino a primavera. Intanto al Giornale di Toronto, erano stati assunti altri giornalisti. Tra questi, Gianni Grohowaz, una penna pungente e conoscitore della comunità italo canadese. Gianni era stato nominato redattore capo da Mori, mentre alla direzione, c`era ancora Pino Didon. Nonostante Pierino Mori non avesse gadita la mia partenza per l`Italia, al mio ritorno mi riprese alle dipendenze del Giornale, come redattore delle notizie locali. Il tortuoso viaggio da Toronto a Coppa dei Campioni Juventus 0 - Ajax -1
Piero Mori è tifoso della Juventus e nel maggio del 1973, la sua squadra è finalista contro l`Ajax. La finale si gioca a Praga. Questa credo, sia stata l`unica esperienza positiva che ho avuto durante la sua gestione al giornale. In concerto concordiamo di coprire l`evento ed entrambi partiamo per Belgrado. Il grande evento, di disputa allo stadio Stella Rssa di Belgrado. La finale della Coppa dei Campioni del 1973 si gioca il 30 maggio sul tappeto erboso dello Stadio Stella Rossa di Belgrado. La Juventus perde per 1-0. con gol di Johnny Rep al quarto minuto del primo tempo. Per l’Ajax che ha conquistato la sua terza Coppa europea consecutiva, ha il privilegio di mantenere il trofeo in modo permanente. La Juventus, tuttavia, si vendica 23 anni dopo battendo l’Ajax nella finale del 1996 a Roma. Per Mori la sconfitta è una grossa delusione, per me un`esperienza indimenticabile. Ricordo di aver perso l`aereo da Praga per Roma e la fortuna volle che c`era l`aereo della Juventus con posti vuoti così mi imbarcai sul loro aereo e per Milano. La mia collaborazione con il Giornale di Toronto, terminerà nell`aprile del 1974 A Toronto nasce “Il Faro” il primo mensile politico
Nel 1972 un gruppo di amici politicamente impegnati fonda il primo mensile poltico di destra in Canada. Il comitato di redazione e` composto da Giuseppe Derin, Vittorio Coco con mansione di direttore editoriale ed altri collaboratori. Sfortunatamente, questa avventura giornalistica avra` vita breve. Dopo un anno e mezzo per mancanza di fondi, cessa le pubblicazioni.
XXVI La mia vita alla Chin Agli inizi degli anni settanta, l`ondata migratoria dall`Italia è ormai alla fine, Toronto vive un momento magico. Nel centro della città iniziano a costruire grattacieli, condomini. Mentre nella zona periferica, il verde fa spazio a case unifamiliari. Centinaia di ettari di terreno di porprieta` di agricoltori, passano mano e presto sorgeranno migliaia di case costruite in gran parte da emigrati italo-canadesi. L`economia sotto il governo di Pierre Eliott Trudeau fiorisce ovunque. Il sabato sera, ci sono le feste organizzate dalle associazioni, che nascono come i funghi. Ogni piccolo paese, ma anche rioni di paese ha la propria associazione. Ed è proprio in una di queste feste, che incontro Jonny Lombardi, il mio futuro datore di lavoro. La mia colllaborazione con la sua azienda durerà quasi 50 anni. Avevo conosciuto Johnny Lombardi a Edmonton, era venuto ad accompagnare Claudio Villa per un concerto organizzato da Frank Spinelli. Ricordo che indossava uno smoking con una cravatta a farfalla nera, molto piccola, e parlavava un italiano maccheronico con un un marcato accento del sud Italia. Durante la sera in quella festa organizzata da uno dei tanti club , ebbi la fortuna di rincontrare il mitico Johnny Lombardi. Nel nostro ambiente avevo già sentito parlare della Chin, ma della programmazione non sapevo molto. La mia storia con la Chin ha inizio durante il terremoto avvenuto in Messico, a Ciudad De Cerdan nel 1970 (i morti furono 7,000). il giornale mi aveva inviato nel luogo del sisma per raccontare la tragedia ai nostri lettori. La Chin mi aveva chiesto di fare dei servizi telefonici anche per loro. Il sisisma aveva distrutto tutto, comprese le linee telefoniche e per collegarmi con Toronto mi avvalevo dei telefoni dell`esercito messicano. Nonostante Lombardi non mi conoscesse personalmemte, fu egli stesso a presentarsi. Ricordo che stava bevendo un bicchiere di gin. “fa bene alle reni- disse”. Così rompemmo il ghiaccio e il discorso, inevitabile, si incentrò sul mio lavoro al Giornale di Toronto. Tra un boccone e un gin, Lombardi mi chiede se avessi voglia di cambiare lavoro e passare a collaborare con la CHIN in via definitiva. La sua richiesta, mi sembrò genuina e mi riservai di pensarci. A quell`epoca un mio carissimo amico giornalista lavorava nel reparto pubblicità e sarà proprio lui a combinare l`incontro decisivo con Jonny Lombardi che porterà alla mia as-
sunzione. Il problema era come terminare la collaborazione con il Giornale di Toronto. Nonostante Piero Mori, non fosse cosÏ simpatico, non me la sentivo di abbandonarlo senza un preavviso. Dopo varie discussioni, raggiungemmo un accordo amichevole. Siccome il programma affidatomi da Lombardi iniziava alle 5 del mattino, durante il giorno avevo il tempo necessario, per collaborare anche con il giornale. Il mio primo giorno di lavoro alla Chin inizia il primo novembre del 1973 Il mio ultimo giorno di collaborazione con il Giornale di Toronto, terminerà tre mesi dopo. Va ricordato che qualche mese piÚ tardi, il giornale viene rilevato da un altro carissimo amico: Sergio Tagliavini, al quale dedicherò un capitolo a parte.
XXVI Una collaborazione che dura quasi mezzo secolo Alle tre e mezzo del mattino del primo novembre del 1973, mi presento al 637 College Street, nel cuore della Little Italy di Toronto, dove ci sono gli studi e gli uffici della Chin. È un palazzetto a due piani. Al pianterreno c`è un negozio di generi alimentari di proprietà della famiglia Lombardi, gestito dalla sorella di Johnny, Carmela. Mentre nel seminterrato c`è la “Bravo Records”, un negozio di dischi. Gli studi radiofonici (CHINAM 1540 e CHIN FM 1007), la direzione, gli uffici di contabilità, di ingegneria, pubblicità, libreria dischi e uffici dei vari direttori, sono ubicati al primo piano. Per fare spazio al mio arrivo si crea un piccolo ufficio che condivido con i collaboratori dell`uffico creatività. Eccezion fatta per alcuni, quasi tutti i dipendenti sono fumatori. Augusto Saccucci, è capo ufficio pubblicità. È un fumatore incallito ma soprattutto una persona perbene. Lo chiamavamo l`ambasciatore per il suo modo garbato e diplomatico. Mai una parola fuori posto, aveva una buona parola e un consiglio spassionato per tutti. Avevo conosciuto Augusto poichè abitavamo nello stesso palazzoò un condominio all`avanguardia per quegli anni. Prima che arivassi alla Chin Augusto, si era licenziato per incompatibilità con il direttore dei programmi ed era tornato al Corriere. Fu Lombardi ad incaricarmi di parlare con Saccucci e convincerlo di tornare a collaborare con noi. Non desidero prendermi il merito, ma dopo avergli parlato un paio di volte, si convinse e tornò dai noi, vi rimarrà sino alla morte prematura causata da un male atroce. Aveva 59 anni. Al mio arrivo alla Chin, gli annunciatori erano Fiorella, Franco Valli e il mitico Nico Navarra. Le notizie erano curate da Enzo Di Mauro, lo sport da Alfonso Ciasca. Lombardi aveva affidato la direzione dei programmi in lingua italiana a Umberto Manca anche lui proveniente dal Corriere Canadese. Oltre alla lingua italiana le due stazioni radio trasmetteno in oltre 30 lingue. A dirigire la complessa gestione, della stazione, Lombardi aveva assunto scelto Carl Redhead, profondo conoscitore dei problemi legati al multiculturalismo. Io ero l`ultimo degli arrivati e non lo nego, la mia presenza non fu molto gradita dai titolari delle varie trasmissioni. L`ultimo dell`anello deve pagare il pedaggio per essere accettato. Ed io pagai a caro prezzo. Nonostante la resistenza di alcuni, sono stato fortunato perchè l`unico che aveva fiducia nei miei mezzi intelettuali era proprio Johnny Lombardi. Il primo novembre del 1973, dunque inizia il primo programma in lingua italiana del mattino sulla Chin Fm 100-7. Inizio alle 5 del mattino sulla CHIN 100.7 FM. Un orario insolito. Il programma ha la du-
rata di 2 ore. Si chiama “Little Italy”, in onore dei primi emigranti arrivati su College Street. La trasmissione si articola su temi sociali, musica e commenti. Il direttore della stazione Carl Redhead, ha il compito di giudicare i mio operato e la qualità dei contenuti del programma. Dopo un mese arriva il primo verdetto di Redhead: “L`idea del contenuto è discreta, ma c`è spazio per migliorarlo”. L`indice d`ascolto non è misurabile. Prima di conoscere i risultati del sondaggio bisognerà attendere almeno sei mesi. Intanto continua la guerra di parole: “un programma al mattino non ha alcun senso e deve essere sospeso”, sentenziano i denigratori. Nonostante il coro sia abbastanza stonato, continua la battaglia distruttiva nei miei confronti. Fortunatamente dalla mia parte ho uno sponsor e ascoltatore priveligiato in Johnny Lombardi. La decisione di assumermi è insindacabile. Dopo sei mesi, arrivano i dati di ascolto del programma “Little Italy”. Con stupore di tutti ma soprattuto da coloro che volevano a tutti costi la soppressione del programma , i dati sdi ascolto sono molto incorraggianti. Sull`onda del successo, Johnny Lombardi, da disposizione ai programmatori di aumentare le ore della trasmissione, passando dalle 2ore a 4 il programma va in simultanea su tutte e due le frequenze della Chin. Con il nuovo orario si decide di dare un nuovo impulso alla trasmissione cambiando il nome da “Little Italy” a Wake up Italian Style”. La Chin come tutte le radio commrciali nel mondo, non riceve finanziamenti governativi e per sopravvivere vende pubblicità ai commercianti. Il prezzo è stabilito a seconda dell`oraio di programmazione. Nonostante il mio programma non abbia precedenti di misuramento, si stabilisce che il prezzo della pubblicità fosse il più alto di tutte le altre trasmissioni. Ma per convincere i potenziali acquirenti, i nostri produttori avevano bissogno di prove concrete di gradimento di ascolto. Così il direttore commerciale si inventò insieme a Gus Saccucci, una sorta di survey, attraverso la partecipazione degli ascoltatori di tutti i programmi in onda su radio Chin. Il titolo del survey era intitolato: “Quale e` il tuo conduttore e programma preferito sulla CHIN”.. Il concorso ha la durata di quattro settimane e alla fine per mia sopresa, “Wake Up Italian Style” risulta il più seguito, con uno scarto del 95% rispetto al secondo condotto da Fiorella, seguito da Nico Navarra. Franco Valli, si classifica ultimo, mentre Alfonso Ciasca nonostante avesse sgoscitato un sistema con gli alunni di alcune scuole dove insegnava, non ebbe gran fortuna.
Per questo insapettato successo, la direzione della Chin mi regalò due settimane di vacanza tutto compreso a Miami Beach, in Florida. Di fronte all`evidenza che la formula del programma è vincente e porta benessere economico alla Chin con le inserzioni pubblicitarie, i miei detrattori, che all`inizio si erano coalizzati per far sospendere la trasmissione, ora devono rassegnarsi all`idea di aver sottovalutato l`idea di una novita` assoluta, ma soprattutto di aver creato un polverone inutile. Durante la mia gestione il programma “Wake Italian Style” vince molti premi, ma quello che rimarrà nella storia è il premio di soldi in contanti, promosso dal quotidiano Toronto Sun. Ricordo con stupore la reazione degli annunciatori dei programmi del mattino in lingua inglese. Essere il programma più seguito e popolare del mattino, sbarazzando la concorrenza di altre dieciassette stazioni radio con i programmi del mattino in lingua inglese a Toronto non è cosa da tutti i giorni. Nel corso degli anni l`altro quotidiano il Toronto Star dedicò un`intera pagina, mentre la rivista Business Today, dedicò quattro pagine a colori, mentre Il Canale televisivo 47 realizzò un lungo servizio nel palinstesto del telegiornale. Nel 2006, dopo l`avventura politica, in concerto con Lenny Lombardi, che aveva assunto la presidenza dopo la morte del padre, decisi di passare il testitomone al giovane Edoardo, assumendo la posizione di direttore politico e affari sociali della Chin Radio and TV International. Nel corso degli anni ho scritto circa 2600 editoriali intitolati “Coco Report”. Dal 2012 al mio ultimo giorno di collaborazione con la CHIN, sono stato responsabile dei giornali radio. Una carriera, la mia, piena di soddisfazioni, ma anche di tanto duro lavoro e dedizione verso l`azienda che mi ha sostenuto per quasi 50 anni.
XXVII Conciliare il lavoro aToronto e i servizi dall`estero Nel periodo che va dal 1970 alla metà del 1972 l`editore, Aurelio Malvisi, oltre ad avermi nominato vice-direttore responsabile del settimanale, mi aveva anche affidato l`incarico di inviato speciale. Tra i servizi realizzati in quel lasso di tempo, ricordo lo storico servizo realalizzato in Messico: l`avventura della Nazionale di calcio italiana in quella che è stata come l`epica partita del secolo, contro la Germania, che aprì le porte alle finale contro il Brasile. IL CAMMINO DEGLI AZZURRI IN MESSICO 3 giugno, ore 16.00 / Toluca, stadio “La Bombonera“ Italia – Svezia 1-0 (Domenghini al 10mo 6 giugno, ore 16.00 / Puebla, stadio “Cuauthemoc”, Italia – Uruguay 0-0 11 giugno, ore 16.00 / Toluca, stadio “La Bombonera“ Italia – Israele 0-0 ‘ 14 giugno, ore 12.00 / Toluca, stadio “La Bombonera” Italia – Messico 4-1 (Gonzalez al 13` aut. Pena al 25`, Riva al 63`, Rivera al 70` Riva al 76`) 17 giugno, ore 16.00 / Città del Messico, stadio “Azteca” Italia – Germania 4-3 (Boninsegna all’8, Schnellinger al 91`, Muller al 94`, Burgnich al 98`, Riva al 104`, ‘ Muller al 110`, Rivera al 111` Una targa esposta allo stadio Azteca recita: “Qui si svolse Italia Germania 4-3, la partita del secolo”. 21 giugno, ore 12.00 / Città del Messico, stadio “Azteca” Italia – Brasile 1-4 (Pelé al 18`, Boninsegna al 37`, Gerson al 66`, Jairzinho al 71`, Carlos Alberto al 86`
Tripudio Italia: ha segnato Rivera, è il 4-3. La Germania è battuta
I favori del pronostico vedono gli Azzurri nettamente sfavoriti contro le stelle brasiliane, che hanno superato per 3-1 l’Uruguay in semifinale vendicando l’onta subita vent’anni prima. Inoltre, un certo appagamento si insinua in un ambiente poco avvezzo a sopportare simili pressioni. Si spera che Facchetti e Rosato possano riuscire a contrarre Jairzinho e Tostao, mentre la marcatura della “Perla Nera” Pelé viene affidata in prima battuta a Bertini e, in seconda, specie sui calci da fermo, a Burgnich. Al diciottesimo minuto, su centro dalla sinistra di Rivelino, si vede Pelé librarsi in aria, rimanervi sospeso per alcuni attimi, come privo di peso, e poi indirizzare di testa alle spalle di Albertosi, nonostante il disperato tentativo di intervento di Burgnich, che racconterà: “Siamo saltati insieme, ma quando io sono sceso a terra ho visto che Pelé si manteneva sospeso in aria”. È un gran gol, che però non demoralizza gli Azzurri che prontamente reagiscono. Prima Riva si rende pericoloso su punizione, poi, su errato disimpegno del difensore carioca Piazza, Boninsegna si invola verso la porta difesa da Leao e, dopo aver evitato anche il compagno di squadra Riva, di interno sinistro firma la rete del pareggio. La partita ha altri due sussulti nel finale di tempo: un gran colpo di testa di Riva che termina di poco a lato, e una pericolosissima azione dei brasiliani vanificata dall’arbitro tedesco Glockner, che fischia la fine del primo tempo, con grandi proteste da parte dei carioca. Nella ripresa Rivera rimane inspiegabilmente negli spogliatoi. Valcareggi decide di puntare su Mazzola e non dà seguito alla staffetta fra i due giocatori utilizzata nelle precedenti due partite. I calciatori italiani perdono via via lucidità e, a metà tempo, nel giro di cinque minuti, subiscono due gol. Prima Gerson, con un gran tiro mancino da fuori area, poi Jairzinho, rapido nell’anticipare Facchetti a pochi passi da Albertosi dopo un prezioso assist di testa di Pelé, chiudono, di fatto, la gara. A sei minuti dal termine Rivera entra in campo sostituendo Boninsegna, giusto in tempo per vedere tutta la squadra brasiliana toccare la sfera senza che nessun azzurro possa intervenire, fino a quando Pelé libera al tiro Carlos Alberto che, da destra, in diagonale, sigla il definitivo 4-1. Pelé portato in trionfo a fine partita. Il Brasile è nuovamente campione del mondo È la fine del sogno per l’Italia che, viste le premesse, si è forse sentita appagata dopo la prestigiosa vittoria sui tedeschi in semifinale. Troppo superiori i carioca, che esibiscono una delle Nazionali più forti di sempre, con un attacco stellare composto da quattro numeri dieci, stelle indiscusse nelle rispettive squadre di club, e massima espressione di spontaneità creativa di quei tempi. Gli Azzurri, esausti, riescono a opporsi per più di un’ora e, nell’insieme, si rendono protagonisti di un Mondiale ben al di là delle aspettative iniziali.
XXVIII La partita del secolo Quella del 17 giugno fra Italia e Germania Ovest, la partita del secolo, immortalata da una targa commemorativa apposta all’esterno dello stadio Azteca. Una notte di gioia incontenibile per l’intero Paese, l’ultima epopea di una generazione di campioni che hanno fatto parte della Belle Epoque del calcio: i romantici anni Sessanta. L’attesa è altissima; il fuso orario determina l’inizio del match a mezzanotte. Evento di costume dai contorni favolistici da tramandarsi di generazione in generazione, rimarrà per sempre nella memoria condivisa di una intera nazione generando una sorta di catarsi collettiva. Saranno scritti libri e verranno girati film. Come scriverà Gualtiero Zanetti sulla prima pagina della Gazzetta dello Sport: “Non è stato soltanto un incontro di calcio“, ben interpretando i sentimenti che pervasero gli italiani che assistettero ai centoventi minuti più folli della storia dei Mondiali. Tutto è stato già detto e raccontato a proposito di quell’epico incontro. Il grande primo tempo degli azzurri, culminato con il gol di Boninsegna. Le sofferenze della ripresa, con i nostri giocatori asserragliati davanti la porta dell’ottimo Albertosi. L’immagine del difensore del Milan Karl Schnellinger, che si materializza al novantunesimo nella nostra area e, in scivolata, di piatto destro, segna la rete del primo momentaneo pareggio tedesco. Il campione del Bayern Monaco Beckenbauer costretto a giocare col braccio bloccato da una fasciatura a seguito di infortunio. Il clamoroso malinteso fra Albertosi e il difensore granata Poletti, appena entrato a sostituire Rosato, che consente a Muller di portare in vantaggio la Germania Ovest all’inizio del primo tempo supplementare. Il telecronista Nando Martellini che, affranto, commenta: “che amaro finale”. Uomini (e calciatori) d’altri tempi L’imperturbabile sagoma di Tarcisio Burgnich, “la roccia“, piazzata nel cuore dell’area di rigore tedesca che, riprendendo una corta respinta di Held dopo la punizione di Rivera, batte prontamente di sinistro segnando la rete del 2-2. Il “Riva, Riva, Riva, tiro ed è gol!“, con il quale Martellini accompagna la terza segnatura degli azzurri. E poi il pareggio tedesco, con la furente arrabbiatura di Albertosi, appena prodigatosi in una grandissima parata su colpo di testa di Seeler; sul susseguente calcio d’angolo, il nostro numero uno vede la sfera sfiorata di testa da Muller avviarsi sul palo alla sua sinistra, dove è appostato Rivera, che pare addirittura scansarsi, nella convinzione che il pallone termini la sua lenta corsa a lato; e invece è il gol del 3-3. Lo stesso Rivera che, a capo chino, raccoglie il pallone portandolo sulla linea di centrocampo per la ripresa del gioco; e l’azione che ne segue: da De Sisti a Facchetti, da questi a Boninsegna, che si lancia sulla sinistra vanamente inseguito da Shultz e che, dalla linea di fondo, rimette la palla a centro area dove è proprio Rivera a presentarsi all’appuntamento con la storia per calciare di piatto destro il pallone del definitivo 4-3 alle spalle di Maier. E
ancora Martellini, con quel famoso: “non ringrazieremo mai abbastanza i nostri giocatori per queste emozioni che ci offrono“. Pier Paolo Ormezzano scriverà: “nessun incontro ha inciso così profondamente i pensieri e le credenze nazionali“. Un match storico, che smentisce l’inferiority complex che da sempre patiamo nei confronti dei tedeschi, e che ha permesso all’orgoglio nazionale di emergere e, almeno per una notte, urlare al mondo intero la propria gioia. Vinciamo, vinciamo, vinciamo! Chi fu l’autore di quella triplice manifestazione di irrefrenabile gioia distintamente udita in televisione subito dopo il gol del 4-3 di Rivera durante Italia-Germania? Non ho mai pensato di fare ricerche in merito. Sarebbe stato come profanare il ricordo di quel “vinciamo” ripetuto tre volte, che rimarrà per sempre scolpito nella memoria di un giovane giornalista che assistette, con altri trenta milioni di italiani, alla partita del secolo. La quiete prima della tempesta Disposti in un canonico 4-2-4 i brasiliani presentavano i seguenti undici: Felix, portiere del Fluminiense, forse l’elemento meno rappresentativo di quell’undici. Carlos Alberto, terzino destro del Santos, che prosegue la tradizione dei grandi laterali brasiliani che, da Djalma e Nilton Santos, continuerà negli anni con i vari da Zè Maria, Francisco Marinho, Nelinho, fino a Cafù e Maicon. Everaldo, terzino del Gremio, l’unico vero marcatore della squadra. Piazza, del Cruzeiro, capitano, carriera da ala, reinventato difensore da Zagalo. Brito, del Flamengo, centrale difensivo di grande sicurezza. Gerson, del San Paolo, il metronomo del centrocampo, l’elemento equilibratore della squadra. Clodoaldo, del Santos, ventenne, il giocatore più giovane della Selecao; dotato di gran classe, garantisce la necessaria copertura al favoloso quartetto d’attacco. Jairzinho, del Botafogo, ala destra dalle movenze feline, grande tecnica, rapido, imbattibile nello scatto breve, un tormento per tutti i difensori, compreso il nostro grande Giacinto Facchetti. È l’erede nella sua squadra di club come nella Selecao del grande Garrincha. Segna sette reti su sei partite giocate. Purtroppo una lunga serie di infortuni ne condizionerà la carriera. Tostao, del Cruzeiro, dal fisico gracile ma dotato di gran classe, oggi sarebbe considerato un “falso nueve”; nel suo club gioca con il numero 10; tecnico e rapido, di un’intelligenza calcistica unica, dovrà ritirarsi dal calcio giocato a soli ventisei anni a causa di una pallonata che gli procura il distacco della retina. Rivelino, regista del Corinthians, figlio di emigranti molisani, funambolico e rissoso, irridente e provocatorio, dotato di un tiro mancino fortissimo – i messicani la chiamano “la patada atomica” – e ideatore del “flip flap”, la finta a elastico con la quale, vent’anni prima di Ronaldinho, sbeffeggia i difensori spostandosi la palla dall’esterno all’interno dello stesso piede a velocità supersonica. ni del 1958 e 1962 e, successivamente, anche da assistente tecnico nell’edizione del 1994. Riesce nell’impresa di far coesistere in quella Nazionale quattro numeri dieci, regalando al mondo una delle squadre più forti di sempre.
pensato di fare ricerche in merito. Sarebbe stato come profanare il ricordo di quel “vinciamo” ripetuto tre volte, che rimarrà per sempre scolpito nella memoria di un bambino che assistette, con altri trenta milioni di italiani, alla partita del secolo. 1Maurizio Fierro
La gaffe del telecronista piu famoso d`Italia Nicolò Carosio, classe 1907, palermitano elegante nel tratto e nel portamento, è la colonna sonora del calcio italiano. Inizia la carriera radiofonica nel Capodanno del 1933 in occasione di una amichevole Italia-Germania terminata 3-1 per gli azzurri, e quella televisiva durante i Mondiali giocati in Svizzera nel 1954. Indimenticabile il suo incipit: “Amici sportivi in ascolto e davanti ai teleschermi, qui è Nicolò Carosio che vi parla e vi saluta“. Il suo stile è sobrio ma può accendersi all’improvviso diventando enfatico e drammatico, specie durante le partite della Nazionale. Inventa una vera e propria arte di stare al microfono, e le sue narrazioni contribuiscono a far diventare il calcio un fenomeno popolare. In quel Mondiale viene rimpiazzato da Nando Martellini a partire dai quarti di finale a causa di una improvvida gaffe durante la telecronaca di Italia-Israele. All’ennesimo inesistente fuorigioco sbandierato dal segnalinee etiope che, nell’occasione, impedisce a Riva di portare in vantaggio l’Italia, Carosio pronuncia una frase irriguardosa che suscita le proteste dell’Ambasciata della nazione africana. La Rai gli impone dapprima l’immediato rientro in Italia e, successivamente, anche a seguito delle vibranti proteste dei giornalisti e telecronisti presenti in Messico, gli viene concesso di rimanere come secondo telecronista ma con il divieto di commentare le partite della nazionale italiana. In realtà, come si riuscì ad appurare tempo dopo ascoltando l’audio della registrazione della partita, Carosio non pronuncia alcun commento irriguardoso verso il
guardalinee etiope. Un caso montato sul nulla, quindi. Fatto sta che in Messico si conclude la carriera televisiva del telecronista palermitano e inizia lâ&#x20AC;&#x2122;epopea di Nando Martellini, che proseguirĂ ininterrottamente per sedici anni.
XXIX 1974: il mio primo San Remo da inviato della Chin Nella primavera del 1974, Johnny Lombardi contro il parere di tutti, decise di affidarmi l`incarico di inviato speciale della Chin. Il mio primo incarico fu il Festival di San Remo.Dopo anni di successi, per il Festival della canzone italiana iniziava la stanca. Il 1974 è un anno difficile. In Italia già dal dicembre del 1973 è in vigore un regime di Austerity che limita la circolazione delle auto private a targhe alterne e addirittura impedisce a chi parte per un viaggio all’estero di portare con sé più di 20 mila lire. Come dire che oggi non puoi andare a Londra con più di 40 euro. Questo per arginare la crisi tutta italiana di produzione e crollo dei consumi. Inoltre continua il regime terroristico in mano alle associazioni di stampo fascista, tanto che verranno fermati dei furgoncini con materiale esplosivo utile per organizzare nuovi attentati. Altro elemento sociale, che sfiora il Festival, è il primo referendum abrogativo nella storia della Repubblica. A maggio si va a votare chiedendo ai cittadini se vogliono l’abrogazione della legge che tutela le separazioni e i divorzi, legali dal 1970, con un netto passo indietro rispetto ai diritti conquistati. Addirittura il Governo impone alla RAI di non mandare in diretta l’Eurofestival poiché il pubblico avrebbe potuto sentirsi condizionato verso il voto dato che Gigliola Cinquetti, poi arrivata seconda con 2 soli punti di differenza dagli ABBA, vincitori in quell’edizione, portava in gara il brano SI. Il problema maggiore però per il Festival non è legato all’aspetto sociale e politico, come fu per la fine degli anni Sessanta. A minacciare la manifestazione è il totale disinteresse da parte della RAI e le ingerenze sempre più forti delle case discografiche che cercano di tutelare i nomi importanti a cui concedono di partecipare, soprattutto dopo le eliminazioni eccellenti dell’edizione precedente. Proprio per paura che le case discografiche muovano proteste e contese preliminari, memori della situazione difficile in cui ci si è trovati dopo le eliminatorie dell’anno precedente. Per evitare quindi eventuali scioperi o ritiri, l’organizzazione si piega totalmente al volere delle case discografice, senza però ottenere nulla in cambio, vedendo gli sforzi organizzativi praticamente annullati. Il risultato di questa prostrazione è data dal fatto che i cantanti in gara saranno divisi in due categorie: la categoria B, che raccoglie i Big della musica italiana, direttamente in finale (come da richiesta esplicita delle case discografica); la categoria A, come Aspiranti, che raccoglie al suo interno cantanti che aspirano ad una notorietà tale da farli immettere nel mercato musicale italiano, a rischio eliminazione, di cui solo 4 raggiungeranno la finale. Tra gli aspiranti però troviamo nomi importanti che non avrebbero dovuto essere in quella
categoria come ad esempio Riccardo Fogli, cantante del gruppo musicale dei Pooh fino a un anno prima e quindi decisamente conosciuto e apprezzato dal pubblico, o l’Orchestra Casadei, nota da anni e Piero Focaccia che all’inizio degli anni sessanta aveva ottenuto un grande successo, mantenendolo inalterato per almeno un decennio grazie ad ospitate televisive. Ma aspirano a farsi conoscere dal grande pubblico anche Franco Simone, che riuscirà a sfondare proprio col brano sanremese, e Donatella Rettore, sicura di sè anche se giovanissima. Di fatto questa categorizzazione diventa una norma, saltata solo nel 1975, 1977, 1978 e 1979 per ragioni di rilancio e soprattutto perché in gara non troviamo nomi davvero importanti che riempirebbero la categoria B, anche se nel corso della serata finale gareggiano tutti per la vittoria in un unico concorso, prima della separazione dei concorsi che avverrà esattamente 10 anni dopo l’inserimento di questa categoria. Inizialmente il Festival del 1974 è definito il Festival dei Giovani, ma di fatto sono solo loro ad essere inseriti nel tritacarne mediatico, ottenendo dure critiche e vedendo le eliminazioni solo per loro, con il 72% dei partecipanti eliminato. Le canzoni che vengono inviate alla commissione selezionatrice sono 126, per la maggior parte interpretate da cantanti poco o assolutamente non conosciuti. È proprio per questa ragione che le case discografice pretendono la divisione in categorie. Inizialmente le canzoni in gara sarebbero dovute essere 30, 14 direttamente in finale, nella categoria B, e 16 inserite nella categoria A, tra cui 6 sarebbero state promosse per la serata finale. Ma poco prima della conferenza stampa di presentazione viene annunciata la modifica con la riduzione delle aspiranti, non variando però il numero dei brani eliminati. Il regolamento prevede sempre l’esibizione della metà delle canzoni in concorso durante ogni serata eliminatoria, i brani della categoria B non saranno sottoposti a nessuna votazione, mentre quelli della categoria A vengono votati e decimati, vedendo 2 brani accedere alla finale e 5 eliminati. Quest’anno, con cantanti in finale di diritto, ha visto i brani migliori fuori dalla finale per favorire nomi noti e questo continuerà ad essere il trend ancora per un po’. Le giurie sono 14 sparse su tutto il territorio italiano, ognuna composta da 30 giurati, per un totale quindi di 420 potenziali giurati. Potenziali perché ogni sera vengono estratte a sorte 6 giurie che verranno prese come esempio di gradimento, un po’ come funzionano i meter con l’auditel (perché diciamocelo: non valgono assolutamente a nulla e se un programma ha successo tra loro non è detto che chi non ha il meter lo guardi con lo stesso interesse). In questo modo però ci saranno giurati il cui voto non verrà mai preso in esame e altri che verranno selezionati per ogni serata, compresa la finale. Ormai però il Festival di Sanremo è uno dei tanti varietà musicali e persino il non evento annuale di Canzonissima (non evento in quanto di una durata classica da varietà) ha maggiore successo e riscontro pur non proponendo brani inediti o esordienti.
Proprio per questa ragione la RAI è totalmente disinteressata e manda in onda la finale solo per responsabilità di contratto, oltre che per aver venduto i diritti per l’Eurovisione, che verrà trasmessa a colori per il mercato estero, rappresentando il primato della prima trasmissione italiana a colori, ben 4 anni prima della programmazione a colori ufficiale. Come l’anno precedente, solamente TeleNapoli riesce a mandare in onda via cavo tutte e tre le serate del Festival e lo fa a “colori” dando uno smacco a quella che è la tecnologia della Rai. La stampa non ne vede più la necessità e riduce drasticamente i suoi inviati, tanto che solo rispetto all’anno precedente c’è il dimezzamento degli inviati e i discografici non vedono più nel Festival il mercato sicuro che rappresentava solo qualche anno prima.
XXX Il battesimo di fuoco nella sala stampa del Casinò di San Remo Io sono alle prime armi e i miei colleghi più smaliziati me ne combinano di cotte e di crude. In sincronia con gli agenti di sicurezza del Casinò, fanno sparire il mio borsello con tutti i documenti e contanti. Lo riavrò dopo un paio di giorni pagando un pegno costosissimo: colazione a base di cappuccino e briosche per tutti i miei colleghi. A condurre il Festival di Sanremo è una coppia ormai affiatata e abituata al varietà musicale. Corrado e Gabriella Farinon sono i padroni di casa al Disco per l’estate e riescono a dare un ritmo interessante nonostante il disinteresse da parte della RAI e del pubblico. Tra le motivazioni della crisi però non ci sono solamente le ingerenze discografiche o il disinteresse da parte della Televisione. Elemento importante da non sottovalutare è dato dai contrasti tra le tre teste riunite a fini organizzativi. Torna Gianni Ravera, abituato a fare tutto secondo le sue regole, sentendosi ben superiore al regolamento, autoritario e con piglio “dittatoriale”, che si scontra con Vittorio Salvetti, eclettico, sempre attento alle richieste del pubblico, abituato a guardare il mondo e il mercato per capire come creare qualcosa. Tra loro si pone Elio Gigante, troppo ligio alle regole e aziendalista, anche per aziende che non sono le sue. La giuria di Benevento decide le sorti di tutto il Festival regalando un blocco di 28 punti a Ciao, Cara Come Stai? che fino a quel momento era al centro della classifica. Questa assegnazione di voti, e la conseguenza data da 8 punti divisi per altre 7 canzoni, la porta ad arrivare prima. La terza vittoria per la Zanicchi, record per un’interprete femminile, e lo sdoganamento per Cristiano Malgioglio come autore di serie A.
XXXI Sconfitta senza appello per gli Azzurri in Germania Dopo l`epica partita contro la Germania e la sconfitta (4-1) contro il Brasile a Citta` del Messico, nel 1970, l`Italia ci riprova nel 1974 proprio in Germania con poca fortuna. Dopo il Festival di Sanremo vinto da Iva Zanicchi, ritorno a Toronto per condurre ‘Wake Up Italian Style”. A giungo sono inviato a rappresentare la Chin ai mondiali di calcio in Germania. Il mio compagno d`avventura nella terra degli albioni e` un carissimo amico che lavorava in un giornale concorrente: Nicola Sparano. La prima tappa e` Francoforte. Al mio arrivo in albergo prenotato per noi dall`organizzazione del Mondiale, forse per errore era stato “overbooked” cioe` le stesse stanze erano state offerte a più clienti. Per risposarmi dovetti andare in mansarda. Non fu certo una bella esperienza dopo otto ore di volo. Il giorno successivo con Nicola Sparano ci traferimmo a Monaco di Baviera, per la partita tra Italia e Haiti vinta dagli Azzurri per 3 – 1 È da notare che negli anni `70 gli italiani residenti in Germania, non erano visti di buon occhio, e molti avevano perso il lavoro. Consapevoli della situazione, quando andavo al ristorante , Nico ed io per non farci riconsocere, adottavamo una strategia: mai parlare in italiano. Per ordinare puntavamo i dito sul menu e per oltre due settimane ci abbuffammo di “Wien Schnitzel!”, una sorta di cotoletta alla viennese. Dopo Monaco , la Nazionale italiana va in ritiro a Stoccarda, dove giochera` contro l`Argentina (1 – 1) e Polonia (2 – 1). L`uscita anzitempo dal mondiale dell`Italia, crea problemi anche agli inviati che sono richiamati in sede. Il problema per moti è`trovare un volo in partenza dalla Germania. Il mio compagno d`avventura, Nicola Sparano trovò un passaggio di fortuna di un amico e si diresse verso Napoli. Nella disavventura, io ebbi la fortuna di incontrare nella hall dell`albergo, un inviato della Gazzetta dello Sport. Si chiamava Vittorio Nattarnicola, inviato per la “rosa” per seguire gli azzurriin terra sossonica. Alle dieci e mezzo del mattino era già ubriaco. Gli chiesi come si era organizzato per tornare in Italia. “ Siamo stati avvisati dal segretario della Federazione Calcio Italiana che ci sono posti sul DC9 che riportera` la Nazionale a Milano”. Se vuoi approffitarre - mi disse - vieni con me in aeroporto o poi si vedrà”. Il decollo da Stoccarda era previsto per 13. Il problema che ora si poneva era come convincere Nattarnicola che era troppo brillo a lasciare l`albergo.Non riusciva neanche ad alzarsi dalla poltrona del lobby. Memore di atre esperienze, lo presi con forza dal sofà , presi la sua valigia e chiamai un taxi per l`aerporto.
Al nostro arrivo allo scalo ad aspettari i ritardatari c`era il segretario della lega calcio italiana. “Sbrigatevi perchè l`aeromobile e` già con i motori accesi” - disse con modo minaccioso, il funzionario. Naturalmente, entrambi eravamo sprovvisti del bigietto d`imbarco. Quando ci fu chiesto di esibire la carta di imbarco Nattarnicola con modo garbato e sornione rispose: “do not worry pays the Italian Federation”. Così con un po di fortuna, ci imbarcammo per Milano, ma ignari, di quello che ci sarebbe successo al nostro arrivo all`aeroporto della Malpensa. Il volo da Stoccarda a Milano, durò uno ra e ventiquattro minuti. All`arrivo alla Malpensa l`aero parcheggiò lontano dagli occhi indiscreti I giocatori con la delegazione azzurra scesero dall`aereo, mentre un pulman parcheggiato al lato dell`aeromobile era in attesa di condurli alla sede della Lega. Ricordo che l`aeroporto era stato invaso da tifosi inferociti che chiedevano la testa dei giocatori e di Valcareggi. Fummo avvisati che il pulman sarrebbe uscito da una stradina secondaria chiamata la strada dei “morti”. Il campionati di Germania 74 (noto anche come WM 74) è stata la decima edizione del campionato mondiale di calcio per squadre nazionali maggiori maschili, organizzato dalla FIFA ogni quattro anni. Dopo la definitiva assegnazione della coppa “Jules Rimet” al Brasile al termine del campionato del mondo 1970, la competizione assunse infatti il nome di “Coppa del mondo FIFA” (ingl. FIFA World Cup, fr. Coupe du Monde FIFA).
Si tenne in Germania Ovest dal 13 giugno al 7 luglio 1974. Furono 9 le città i cui impianti ospitarono gli incontri del torneo: Amburgo, Berlino Ovest, Dortmund, Düsseldorf, Francoforte sul Meno, Gelsenkirchen, Hannover, Monaco di Baviera (sede anche della finale per il 1º posto) e Stoccarda. Il titolo fu vinto dai padroni di casa della Germania Ovest. Le favorite della vigilia sono il Brasile, campione del mondo in carica, l’Italia vice campione, che ha ben figurato nell’anno precedente a questi mondiali, durante il girone di qualificazione, e nelle amichevoli successive, con vittorie di spicco in casa, coi “campioni brasiliani” ed a Wembley, contro i “maestri inglesi”, in quella ch’è la prima vittoria dell’Italia in casa dell’Inghilterra, e la Germania padrona di casa; outsiders l’Olanda del “calcio totale”, e la stessa Polonia, oro olimpico due anni prima e guidata da Grzegorz Lato e Kazimierz Deyna. Gli azzurri abbandonano presto la kermesse; il CT Ferruccio Valcareggi, mantiene per larga misura la stessa rosa di quattro anni prima, molti elementi erano presenti anche alla disfatta del mondiale del 1966, per non parlare della convocazione di Gianni Rivera, già presente anche ai mondiali del 1962 in Cile; ma i giocatori sono logori, ed i pochi nuovi innesti non cambiano le sorti di una squadra stanca e prevedibile. Fra i nuovi convocati in azzurro si sperava nell’apporto di Giorgio Chinaglia, capocannoniere e campione d’Italia con la Lazio, ma il suo mondiale resta legato solo al famoso gestaccio con cui manda a quel paese Valcareggi, dopo essere stato sostituito in Italia-Haiti.
XXXII Un Festival snobbato - Cosa è accaduto nel 1975? Il 4 aprile del 1975 Bill Gates fonda la Microsoft: «Nel futuro vedo un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa». Così il giovane Bill Gates s’immaginava il domani nel momento in cui dava vita alla sua “gallina dalle uova d’oro”. Finisce la guerra in Vietnam: «Questa è un sporca guerra crudele ma spero che voi a casa riusciate a capire perché la combattiamo». Furono le ultime parole indirizzate da un soldato americano alla sua famiglia, prima di morire. Nasce il videogioco domestico: I videogames entrano nel quotidiano di milioni di ragazzi con la prima versione domestica di un videogioco. Si tratta di Pong, un simulatore di pingpong sviluppato da Atari, già noto ai giovanissimi. Delitto Pasolini: «Abbiamo perso un poeta, e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono solo tre o quattro dentro un secolo. Quando sarà finito questo secolo Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno. Flavio Montrucchio: Attore e personaggio televisivo nato a Torino, è diventato famoso dopo aver vinto la II edizione del Grande Fratello, il più famoso reality show di Mediaset. Fino al 2001 lavora in banca come promotore. Il malessere del Festival continua. Prima di partire per Sanremo, il direttore alle vendite mi aveva procurato una telecamera per riprendere (abusivamente) parte del Festival per poi trasmetterlo sul programa televisivo “Festival Italiano di Johnny Lombardi”. Mentre ero bravo come fotografo come cameraman mi ritenevo assolutamente un dilettante. Durante la finale, ripresi alcuni momenti della manifestazione , ma la qualità lasciava molto a desiderare. Scriveva Mike nel suo libro uscito nel 2007: “Nel 1975 il Rischiatutto era ormai finito, ma la RAI ritenne di farmi presentare il Festival con Sabina Ciuffini. Eravamo una coppia molto affiatata e funzionammo alla grande, anche se quell’edizione ebbe i soliti problemi organizzativi e politici che la martoriarono. In quella circostanza l’organizzazione era stata rivendicata dal Comune, senza l’appoggio dei professionisti del mondo della musica e delle case discografiche. L’industria del disco in segno di protesta aveva dunque deciso di snobbare il Festival. Il risultato fu un’edizione con dei partecipanti quasi sconosciuti al grande pubblico”. In effetti, l’edizione del 1975 da esperti in materia quali Gianni Borgna e Gigi Vesigna venne reputata come la peggiore. Problemi organizzativi incisero pesantemente sul Festival, affidato al Comune e, in particolare, all’assessore al Turismo, tale Napoleone Cavaliere. Il pugno di ferro di Napoleone, come qualcuno la definì, riuscì a guastare il prestigioso traguardo dei 25 anni del Festival, onorato per l’occasione con ospiti d’onore di tutto riguardo,
come il presentatore storico Nunzio Filogamo e il maestro d’orchestra per eccellenza Cinico Angelini: le due colonne di Sanremo. Vincitrice risultò Gilda con “Ragazza del sud”; al secondo posto Angela Luce con “Ipocrisia”; terza Rosanna Fratello con “Va speranza va”. L’edizione del 25° fu definita il Festival degli sconosciuti dato che la maggior parte dei trenta cantanti in gara era ignota al grande pubblico; anche la Rai contribuì a ridimensionare Sanremo, trasmettendo unicamente la serata finale ma interrompendola prima della proclamazione del vincitore. Di quel Festival si scrisse di tutto e di peggio, come ad esempio TV Sorrisi e Canzoni che così registrava: L’industria del disco segue l’onda e ritiene superato il Festival. Anche la TV segue l’onda e improvvisamente si vergogna di assecondare l’animo canterino degli italiani. E Stefania Miretti, in una retrospettiva sul Festival, aggiunge: Scandalosa viene giudicata la vittoria, nel ‘75, di una sconosciuta cantautrice di nome Gilda. Siccome la canzone non pare granché e la voce nemmeno, i più insinuano che Gilda debba la sua fortuna al fatto di aver simpatizzato con l’assessore al Turismo Napoleone Cavaliere, vero padrone del Festival.
XXXIII 1976: Il porno Festival - Il 14 gennaio, nasce il quotidiano “la Repubblica” Nell’Italia degli anni di Piombo debutta in edicola il quotidiano la Repubblica, che fin dal primo numero si propone di far riflettere sui fatti, più che raccontarli. 1° aprile - Jobs e Wozniak fondano la Apple: Metti due Steve appassionati di informatica in un garage della California, con pochi dollari in tasca e pochi componenti da assemblare: il risultato è l’inizio di un’avventura imprenditoriale senza precedenti. Il 10 luglio - la nube tossica di Seveso: Odore acre e forte bruciore agli occhi: i sintomi che annunciano alla popolazione di Seveso e di zone limitrofe della Brianza, l’arrivo di una nube tossica carica di diossina, sostanza tra le più tossiche. Il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti nomina come ministro del Lavoro Tina Anselmi, insegnante ed ex sindacalista. È la prima donna a diventare ministro nella storia d’Italia. Paolo Meneguzzi: con due milioni e mezzo di dischi venduti nel mondo, è un cantautore della generazione del secondo millennio tra i più amati dagli adolescenti. 1° marzo - Valerio Vermiglio: Nato a Messina, è un pallavolista, di ruolo palleggiatore. Debutta in Serie A nel 1994 con la Sisley Treviso e in Nazionale il 28 maggio 1999. Gioca a Treviso, Salerno, Falconara, Padova, Parma, Macerata e, in... Simone Inzaghi: Nato a Piacenza, è un ex calciatore italiano, tecnico della Primavera della Lazio fino al 3 aprile 2016, quando ha sostituito l’esonerato Stefano Pioli sulla panchina della prima squadra. Le Olimpiadi invernali 1976: I XII Giochi Olimpici invernali, svoltisi a Innsbruck (Austria), si concludono con l’ormai consueto predominio sovietico. L’URSS, infatti, primeggia con 27 medaglie (di cui 13 ori), conquistate nelle 37 competizioni. Le Olimpiadi di Montreal 1976: Con la cerimonia di apertura iniziano i XXI Giochi Olimpici. A Montreal 1976 non partecipano i paesi africani per protestare contro l’Apartheid in Sudafrica. Le competizioni previste sono 198. Il 18 dicembre - L’Italia vince la Coppa Davis: Storico successo dell’Italia nella 65ª edizione della Coppa Davis, il più importante torneo per le Nazionali di tennis maschile, che per la prima volta è stata vinta dagli azzurri.La situazione italiana sembra stabile e tranquilla, dopo l’anno nero vissuto nel 1975.
Una tranquillità esclusivamente fittizia dato che molti sono i momenti di forte contrasto con il mondo occidentale, o addirittura fortemente anacronistici, come l’accusa verso il film “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci, tacciato di vilipendio verso la morale (se l’avete visto capirete bene di quale baggianata si tratti) e condannato al rogo. A salvare quello che non è un capolavoro, ma pur sempre un’importante manifestazioni della grandezza del nostro cinema, è un decreto del Ministero della Giustizia (Grazia e Giustizia) che affida 3 copie alla cineteca nazionale. Questo fa capire bene in realtà l’atmosfera illiberale che si respirava in Italia in quel periodo, che porterà ad una nuova breve stagione di riforme e contestazioni alla fine degli anni settanta. Si fanno inoltre evidenti i casi di Tangenti per politici, che esploderanno facendo saltare un bel po’ di teste solo 15 anni dopo, e a causa di un’accusa verso il quasi ministro Luigi Gui, designato ma subito dimissionario, che esplode Cossiga, proprio a partire dal ruolo di Ministro degli Interni, per poi essere eletto addirittura Presidente della Repubblica solo pochi anni dopo. Tutte le innovazioni prese in carico, decise e approvate nel corso dell’anno precedente, entrano in vigore, tra cui la più importante è la riforma scolastica, che stravolge quasi completamente la scuola dell’obbligo, all’epoca fino alla terza media, eliminando l’esame di mezzo percorso in seconda elementare, l’insegnamento di economia domestica, sostituendolo con educazione musicale e soprattutto abilitando il diploma di scuola media per l’accesso a tutti i percorsi di studio, abolendo gli ulteriori esami attitudinali e gli esami di riparazione.
Privando inoltre gli studenti dello studio del Latino, che rimane materia di studio solo nei licei. In pratica quella che ci troviamo davanti è una società che dedica sempre meno tempo e importanza alla cultura, rimandando ad altre sedi la falciata che frena, corrotta e bigotta, pronta a quell’individualismo che sarà motivo di una nuova crisi economica e dei valori da lì a breve. È in quest’ottica che si costruisce uno spettacolo musicale, del Festival di Sanremo del 1976 cercando di renderlo nuovamente appetibile per cantanti e case discografiche, godibile per il pubblico e interessante per la televisione. Il primo passo è rivoluzionare tutto! Bisogna correre ai ripari dopo la catastrofe messa in scena nell’edizione precedente. Tanto è forte l’odore di flop che la RAI manda in onda la manifestazione controvoglia, nonostante tornino in gara i big della musica italiana, di cui 10 hanno la finale assicurata, nonostante la sperimentazione di una gara a squadre, prima che individuale e nonostante l’avvento degli ospiti stranieri, fortemente voluti dal patron Vittorio Salvetti, padre della rinascita, fautore di un rilancio inaspettato. A vincere sarà, il racconto di uno spogliarello interpretato con mestiere da Peppino di Capri, che con “Non lo faccio più” è alla sua seconda affermazione sanremese, mentre secondi arrivano Wess e Dori Ghezzi , la coppia musicale di maggiore successo in Italia all’epoca, e con la Ghezzi fresca fidanzata di Fabrizio de André che preferisce non mostrarsi in pubblico, restando chiuso in albergo, ma pur sempre presente e sostenitore delle scelte della sua compagna. Tra gli ospiti stranieri arrivano sul palco di Sanremo due big europei. Julio Jglesias, che arriva a Sanremo dopo la bocciatura di qualche anno prima, e questa volta calca il palco come ospite d’onore, regalando al pubblico italiano “Se mi lasci non vale”, brano che contribuisce a renderlo anche in Italia il cantante romantico di maggiore successo a cavallo tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Adamo, che già dalla metà degli anni sessanta riscuote un notevole successo in tutta Europa, ma soprattutto in Italia e in Francia, sua terra d’adozione. Tra i concorrenti ci sono Gli Albatross sono un complesso stumentale che si costruisce intorno a Totò Cutugno che attraverso il complesso ha modo di farsi conoscere come interprete e autore di alto livello, ricco di verve e capacità. Oltre a lui, del gruppo fanne parte Lino Losito, Roberto Cutugno, Massimo Viganò e Tonet Cicio. La loro canzone “VoloAZ 504” suscita polemiche in quanto parla di aborto proibito in Italia ma legale in alcuni paesi europei.
XXXIV L’edizione del Festival n° 27 . Enzo Di Mauro in veste di cameraman All`edizione del Festival del 1997, non sono solo. Mi accompagna Enzo Di Mauro in veste di cameraman. Enzo aveva appena acquistato un nuova telecamera 16 millimetri, e per la prima volta riusciamo a fare interviste e realizzare anche un video con gli “Homo Sapiens”, vincitori con la canzone “Bella da morire” A quell`epoca non era difficile trovare alloggio. E per la prima volta Enzo ed io viviamo il Fesstival a due passi dall`Ariston. Alloggiamo presso l`albergo Globo in piazza Colombo a due passi dal teatro. l 3 marzo 1977 per la prima volta il Festival della Canzone Italiana venne trasmesso interamente a colori. Un’altra novità caratterizzò questa edizione. Dopo 26 anni nella storica sede del Casinò, il Festival di Sanremo dovette traslocare per lavori di ristrutturazione dell’edificio, e quindi nel 1977 fu scelto il teatro Ariston, che divenne la nuova sede del Festival -fatta eccezione per l’edizione del 1990, che si tenne al Palafiori. Le dodici canzoni proposte per la manifestazione, furono, ritenute tutte finaliste, le prime due serate non ci fu l’eliminazione. I cantanti si esibirono sei per sera. Ognuno di loro fu accompagnato sul palco del teatro Ariston da un artista, che gli fece da padrino o madrina. La giuria fu formata dal pubblico presente in sala, con l’abbonamento a tutte e tre le serate. La manifestazione come sempre fu seguita e diffusa dalla radio, la televisione riprese solo la serata finale, fu trasmessa a colori anche in Eurovisione. Debuttanti: Collage, Daniela Davoli, Il Giardino dei Semplici, Homo Sapiens, Matia Bazar, Umberto Napolitano, Santo California. Campioni: Albatros, Leano Morelli, Donatella Rettore, Santino Rocchetti Al primo posto, gli Homo Sapiens con “Bella da morire”. Al secondo posto, i Collage con “Tu mi rubi l’anima” e al terzo posto, i Santo California con “Monica” Gli ospiti d’onore furono: Marina Fabbri Duilio Del Prete,Barry White, Domenico Modugno, Iva Zanicchi, Jhon Miles, Chocolats, Wess e Dori Ghezzi, Daniel Sentacruz Ensemble, July & Julie, Rick Dees,
Marcella, Asha Puthly, Gigliola Cinquetti, West Machines. La manifestazione per la prima volta fu vinta da un gruppo musicale gli “Homo Sapiens”, fu l’anno dei complessi, secondi, infatti, arrivarono i “Collage” al terzo posto si classificò un altro gruppo, i “Santo California”. La manifestazione fu traslocata presso il Teatro Ariston, a causa dei lavori di ristrutturazione del Casinò che riguardò proprio il Salone delle Feste del Casinò. Il Teatro conta 1800 posti a sedere. La designazione del Patron del Festival, invece fu, decretata dal Consiglio Comunale che votò per Vittorio Salvetti, con 23 voti su 32. La cantante Donatella Rettore, nella sua rappresentazione, distribuì caramelle al pubblico presente. Fu un’edizione fortunata rispetto alle precedenti, tanto che gli organizzatori decisero di elevare la gara come quella dei “campioni di domani”, infatti, i big quell’anno umiliarono la gara. Fu un anno movimentato quello del Festival del 1977, infatti, il regolamento fu cambiato di corsa, dopo una riunione che si svolse a Villa Zirio, tra Comune, organizzatori, e rappresentanti della Federazione Unitaria dello Spettacolo. Decisero di modificare la composizione dei giurati, i 25 membri, infatti, furono sorteggiati così; 16 dai possessori dell’abbonamento delle tre serate suddivisi per categoria, e nove estratti tra i nominativi dell’abbonamento al telefono del distretto Sanremese. “Lady Festival” del 1977 fu Daniela Davoli. L’intero gruppo dei cantanti che presero parte al Festival, subito dopo la gara partì in tournée, e si esibirono in ben 15 città Italiane.La Televisione di Stato mandò in onda solo l’ultima serata del Festival, per la prima volta a colori. l 3 marzo 1977 per la prima volta il Festival della Canzone Italiana venne trasmesso interamente a colori. Un’altra novità caratterizzò questa edizione. Dopo 26 anni nella storica sede del Casinò, il Festival di Sanremo dovette traslocare per lavori di ristrutturazione dell’edificio, e quindi nel 1977 fu scelto il teatro Ariston, che divenne la nuova sede del Festival -fatta eccezione per l’edizione del 1990, che si tenne al Palafiori.
XXXV 1978: Al Festival di Sanremo torna la legalità e le belle canzoni Le Brigate Rosse sequestrano e uccidono Ado Moro A Sanremo ritornano le belle canzoni, vincono a sorpresa i Matia Bazar con “E dirsi ciao”, ma a superare la prova del tempo saranno “Gianna” di Rino Gaetano e “Un’emozione da poco” di Anna Oxa. Il ventottesimo Festival della canzone italiana, in scena dal 26 al 28 gennaio 1978 presso il Teatro Ariston di Sanremo, è stato presentato dal comico Beppe Grillo affiancato dall’annunciatrice televisiva Maria Giovanna Elmi, l’attrice Stefania Casini e il patron Vittorio Salvetti, direttore artistico di questa edizione. Quattordici le canzoni in gara affidate alle voci numerosi e interessanti esordienti, da Anna Oxa a Rino Gaetano, passando per Marco Ferradini, Laura Luca, Dora Moroni, Anselmo Genovese, i Beans, Donato Ciletti, Ciro Sebastianelli, i Schola Cantorum e Roberto Carrino, oltre alla presenza di soli tre veterani: i Daniel Sentacruz Ensemble, Santino Rocchetti e i vincitori Matia Bazar, che conquistano il titolo con la loro “E dirsi ciao”. Tra gli ospiti musicali di questa edizione, ricordiamo: Bonnie Tyler, Grace Jones, Loredana Bertè, Fred Bongusto, Julio Iglesias, Gigliola Cinquetti, Patty Pravo e Riccardo Cocciante. Dopo qualche anno in sordina, la kermesse canora torna a suscitare l’attenzione del pubblico, riuscendo anche nel lungimirante e difficoltoso compito di consegnare alla storia della musica leggera alcuni indimenticati evergreen. Le vere superstar dell’edizione del 1978 sono, senza ombra di dubbio, Anna Oxa e Rino Gaetano: due artisti tra loro così diversi ma così unici che conquistarono letteralmente pubblico e critica. Entrambi esordiscono al Festival per la prima volta e ne escono da assoluti vincitori, forti di una grandissima popolarità e consenso. Gaetano arriva in Riviera dopo il colossale successo del 1975 “Ma il cielo è sempre più blu” per cercare un’assoluta consacrazione che, di fatto, ottenne con una nuova hit come “Gianna”. Mattatrice vera fu, però, Anna Oxa che, appena sedicenne, debuttò come cantante con un brano di Ivano Fos-
sato e Guido Guglielminetti. Apparsa in una veste punk con un look straordinariamente fuori dal comune e con un grandissima carica interpretativa e di presenza scenica la Oxa, da allora, presenziò a Sanremo per altre 13 volte proponendosi in ogni occasione in una veste completamente inedita e sorprendente. Ad imporsi nelle classifiche di vendita all’indomani del Festival, oltre alla canzone vincitrice “E dirsi ciao” dei Matia Bazar, sarà soprattutto “Gianna” di Rino Gaetano, il primo brano nella storia del Festival a parlare esplicitamente di sesso. Un grande riscontro lo ottiene anche “Un’emozione da poco“, composta da Ivano Fossati e proposta in gara dalla sedicenne Anna Oxa. Tra gli altri 45 giri degni di nota ricordiamo: “Domani domani“ di Laura Luca, “1/2 notte“ dei Daniel Sentacruz Ensemble, “Armonia e poesia” di Santino Rocchetti e “Il buio e tu” di Ciro Sebastianelli. Non convincono molto, invece, “Ora” di Dora Moroni e “Quando Teresa verrà” di Marco Ferradini, che otterrà un grandissimo successo commerciale tre anni più tardi con “Teorema”. Intanto, il 16 marzo del 1978, viene sequestro Moro: un agguato sanguinario. La tormentata prigionia. La condanna a morte. Tutto in 55 giorni, i più lunghi della storia della Repubblica italiana, che segnarono il passaggio tra due epoche e il tramonto di un progetto... Il 9 maggio la mafia uccide Peppino Impastato: «Arrivai alla politica nel lontano novembre ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè dalla mia esigenza di reagire ad una condizione familiare divenuta ormai insostenibile». L`8 luglio - Pertini, Presidente della Repubblica: Al voto sul nuovo Capo dello Stato si presenta un Parlamento spaccato in due, frutto dei nuovi equilibri disegnati dalle elezioni politiche del 1976. Il 26 agosto elezione di Giovanni Paolo I: Un Papa in anticipo sui tempi, di almeno 35 anni, la cui spinta riformatrice fu arrestata da un destino avverso. Il 16 ottobre - Wojtyla è eletto Papa: «Anche non so se potrei bene spiegarmi nella vostra... la nostra lingua italiana. Se mi sbaglio, mi corrigerete!». Sono le prime parole da papa di Karol Wojtyla, eletto con il nome di Giovanni Paolo II. ... Il 29 dicembre - La Costituzione spagnola entra in vigore: Dopo la firma del Re, la Costituzione spagnola viene pubblicata nel bollettino ufficiale ed entra formalmente in vigore. Inizia una nuova storia per la Spagna, che diventa una monarchia parlamentare.
XXXVI Mondiale: il 1978 Italia da applausi 1Quarta ma capace di un gran gioco, vincono i padroni di casa Non lo vincemmo, quel Mundial in salsa argentina ma grazie a uno splendido quarto posto fu un campionato da consegnare con orgoglio alla storia azzurra. Era il 1978 e l’ultimo ricordo dall’altra parte dell’oceano non era ancora invecchiato, nonostante fossero passati già otto anni dallo splendido secondo posto messicano dietro a un imbattibile Brasile e dallo storico 4-3 con la Germania Ovest. Sì, l’italico calcio cambia strada, si stacca dall’antico – e, si badi bene, fruttuoso – modulo che ci vota al contropiede e all’estero ci vale il dispregiativo titolo di catenacciari. Il merito è da spartire in parti eguali fra la coraggiosa testardaggine che impersona la guida di Enzo Bearzot e la feroce applicazione dei suoi ragazzi. Ed è per questo che si comincia a parlare tatticamente coi numeri, 4-4-2, raramente 4-5-1, il più delle volte, 4-3-3, e insomma diventa, sorprendentemente e obbligatoriamente. squadra d’attacco. Allora il regolamento era un po’ diverso da quello di oggi e, dopo la prima fase, un altro girone qualificava direttamente la prima alla finalissima e la seconda alla finalina di consolazione. Un meccanismo più equo avrebbe promosso le prime due e nella semifinale avremmo potuto rimediare alla sconfitta per 2-1 con l’Olanda che ci aveva escluso dalla finale solo per differenza reti. La finalina (persa 2-1) con il Brasile ormai contava poco. Nel girone della fase finale avevamo pareggiato 0-0 con la Germania Ovest e battuto 1-0 l’Austria (gol di Paolo Rossi), poi l’Olanda ci aveva rimontato il gol iniziale e grazie alla differenza reti, roba di un misero gol, ci aveva spediti nella finalina. Eravamo stati stupendi all’approccio con tre vittorie di fila nel girone: 2-1 alla Francia, nostra la rimonta con Paolo Rossi e Renato Zaccarelli; 3-1 all’Ungheria, ancora Pablito, poi Roberto Bettega e Romeo Benetti e 1-0, gol di Bettega, ai padroni di casa dell’Argentina che poi avrebbe vinto il titolo in finale contro l’Olanda: 3-1 con doppietta di Mario Kempes, gol di Daniel Bertoni e Dick Nanninga. Avremmo meritato molto di più. E infatti parlano in nostro favore, prima di tutto la strana formula del torneo (anche nell’altro girone la finalista è stata decisa per differenza reti) e poi i nove pali colpiti e i due famosi gol da lontano subiti contro l’Olanda da un Dino Zoff non al massimo che sarà accusato di miopia e per questo segnalato da chi era miope sul serio per l’anticipato e comunque ingiusficato ritiro; fino all’infortunio di Zaccarelli e alle squalifiche di Benetti e Marco Tardelli che ci avrebbero costretti in formazione rimaneggiata nella finalina col Brasile. Ma fu proprio in Argentina che cominciammo a costruire i l successo di quattro anni dopo in Spagna. Non solo avevamo visto affermarsi due campioni assoluti come Pablito Rossi e il Bell’AntonioCabrini,ma era nato anche il nuovo modo di far calcio dell’Italia. Diciamo dell’Italia targata Bearzot che in Spagna avrebbe saputo vendicare i propri progenitori. Ma quella è tutta un’altra storia. 1Vinicio Saltini
XXXVII Il campionato del mondo di calcio del 1978 e la politica argentina
Lo scrittore Jimmy Burns l’ha definito “il circo sportivo più politicizzato dai tempi delle Olimpiadi del 1936”. Un mese di follia collettiva, negli stadi a due passi dalle camere di tortura e con i soldati armati alle porte. E’ una vittoria dello sport, o la sconfitta di un popolo?
LA CRISI POLITICA DEGLI ANNI ’70 Rivolte studentesche, furti, rapimenti e uccisioni si succedevano con quotidiana regolarità nell’Argentina degli anni ‘70. L’11 marzo 1973 si tennero, a 10 anni dalle ultime, libere elezioni. Fu eletto presidente Hector Campora, un peronista di sinistra. Il presidente richiama Juan Peron dall’esilio in Spagna. Peron atterra all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires il 20 giugno 1973. Ad accoglierlo oltre tre milioni di persone. Tra questi alcuni terroristi fedeli a Josè Lopez Rega, ex segretario personale di Peron, che lo aveva accompagnato durante l’esilio, che guidava la falange di destra dello schieramento fedele a Peron. All’aeroporto Ezeiza si scontrarono due gruppi terroristi: i Montoneros, di sinistra, che credevano di incarnare la visione social-rivoluzionaria del peronismo autentico, e la “Allianza Anticomunista Argentina”, o “Tripla A”, di Rega, di cui faceva parte anche Stefano Delle Chiaie, che aveva lavorato all’Operazione Gladio, ed è accusato di aver avuto un ruolo nell136attentato di Piazza Fontana. La versione ufficiale parla di 13 vittime, ma il conto potrebbe essere più salato, anche se non è mai stata aperta un’inchiesta ufficiale sui fatti. Nel luglio 1973 Campora si dimette, permettendo a Peron di vincere le nuove elezioni. Ma il suo regno dura solo un anno. Juan Domingo Peron muore d’infarto il primo luglio 1974; gli succede sua moglie, Isabela, su cui Josè Lopez Rega esercita un’influenza politica deter-
minante. La democrazia ha i giorni contati. Isabela Martinez Peron viene rovesciata il 24 marzo 1976 da una giunta militare guidata dal generale Jorge Rafael Videla. E’ l’inizio della dittatura militare, il “Processo di Riorganizzazione Nazionale”. A tre mesi di distanza dalla presa del potere, la giunta militare argentina si incontrò ufficialmente con il segretario di Stato americano Henry Kissinger. Quest’ultimo diede il suo sostanziale appoggio alla cosiddetta “guerra sporca”, la politica di repressione e uccisione dei dissidenti politici messa in atto dalla giunta.I dissidenti politici, o sospettati tali, così come semplici cittadini che si ritenesse avessero idee anche blandamente di sinistra, venivano rapiti e sparirono per sempre. Indagini ufficiali parlano di novemila “desaparecido”, ma il numero è certamente più alto: molti casi non furono infatti denunciati, e i registri sono stati distrutti. Come ogni dittatura, anche la giunta guidata da Videla impose uno stretto regime di censura sulla stampa, imponendo fortissime restrizioni alla libertà di parola. All’incontro con Kissinger partecipò il ministro degli Esteri argentino, l’ammiraglio Cesar Guzzetti, che nell’agosto del ’76 dirà all’Assemblea Generale dell’Onu: “La mia idea di sovversione è quella delle organizzazioni terroristiche di sinistra. Il terrorismo di destra non è la stessa cosa. Quando il corpo sociale di una nazione è contaminato da una malattia, forma degli anticorpi. Non si possono considerare questi anticorpi allo stesso modo dei microbi”. Guzzetti e Kissinger si incontrarono il 10 giugno 1976, all’Hotel Carrera di Santiago del Cile. All’epoca già oltre mille persone erano sparite per sempre. Santiago è un’altra città simbolo: all’epoca il Cile era dominato dalla dittatura di Pinochet, e migliaia di dissidenti venivano torturati, massacrati e uccisi nello stadio della capitale. In quello stesso stadio dove pochi mesi dopo, a dicembre del 1976, l’Italia avrebbe conquistato la sua prima e unica Coppa Davis di tennis. Una spedizione, quella degli azzurri in Cile, molto avversata da Pci e Psi, che volevano imitare quanto fatto dall’Unione Sovietica per le semifinali, e boicottare la trasferta in una nazione sotto una dittatura golpista. La sede della federazione italiana di tennis fu devastata dai protestanti al grido “non si giocano volée contro il boia Pinochet”. Allo stadio di Santiago, per l’occasione addobbato con fioriere e le bandiere di tutte le nazioni partecipanti alla competizione, l’Italia alzò al cielo l’insalatiera. Panem et ET Circenses A Buenos Aires Videla aveva ereditato un compito prestigioso e faticoso, organizzare i campionati del mondo di calcio del 1978. L’Argentina aveva ottenuto la candidatura nel ‘66, ma in dieci anni il contesto politico era decisamente mutato. L’evento sportivo sarebbe diventato uno strumento politico, per allargare le basi del consenso e legittimare l’immagine della nazione agli occhi dell’opinione pubblica interna e internazionale.Il Processo di Riorganizzazione andava avanti. I salari erano congelati, i sindacati aboliti, torture e uccisioni proseguivano; i giornali, sotto stretta sorveglianza, appoggiarono sostanzialmente il regime. L’unica forma di opposizione era quella, silenziosa, che si ripeteva ogni giovedì sera davanti
al palazzo presidenziale di Plaza de Mayo, a Buenos Aires. Lì, sotto la Casa Rosada, si riunivano le madri dei desaparecidos, che per mezz’ora percorrevano in cerchio, in silenzio, il perimetro della piazza. Per intimidirle, i militari avevano assoldato anche hooligans scelti tra i tifosi più violenti delle curve, le barras bravas. Ma l’opposizione silenziosa, iniziata il 30 aprile 1977, continuava, e il mundial si avvicinava. La nazione fu invasa da manifesti con lo slogan “25 milioni di argentini giocheranno la Coppa del Mondo”; il mondiale era l’occasione per distogliere il mondo dalle violenze e dalle violazioni dei diritti umani. Il generale Omar Actis, a capo del comitato organizzatore della manifestazione, assunse una società americana di pubbliche relazioni, la Burson & Marsteller, per mostrare al mondo la faccia migliore possibile della nazione. A pochi mesi dal fischio d’inizio venne lanciata l’Operazione “El Barrido”. Furono rasi al suolo i quartieri malfamati alla periferia di Buenos Aires, e gli abitanti evacuati nella provincia di Catamarca. A Rosario, lungo il viale principale, per nascondere la povertà delle periferie, venne eretto un muro con immagini dipinte di belle case. Argentina-Peru è una delle partite più contestate di tutta la storia del calcio. I primi sospetti di combine emergono già alla lettura delle formazioni. In porta per il Peru c’è infatti Ramon Quiroga, detto “el Loco”, il pazzo. Quiroga in realtà è argentino, è stato naturalizzato peruviano un anno prima del mondiale, ed ha giocato tra il 1969 e il 1973 per il Rosario Central, nello stadio in cui si disputa la semifinale. L’Argentina vince 6-0 e si qualifica alla finale contro l’Olanda. Anni dopo Quiroga ammetterà la combine, ma i lati ancora da chiarire sulla vicenda sono ancora molti. Negli anni seguenti uno dei giocatori chiave della nazionale peruviana Josè Velazquez, aveva portato alla luce strani episodi che avevano animato la vigilia, compresa la visita negli spogliatoi del capo di Stato argentino, il generale Jorge Videla, in compagnia del segretario di Stato americano Henry Kissinger. Visita alla quale fece seguito la scelta del tecnico di reintrodurre in formazione il portiere Quiroga, inizialmente escluso. Inoltre, il giornalista Tim Pears, in un dettagliato articolo apparso su “The Observer Sport Monthly” rivela che prima della partita il governo argentino argentino regalò un milione di tonnellate di grano al Perù e venne aperta una linea di credito di 50 milioni di dollari. Da chi arriva quel denaro? Stando alla confessione del figlio di un boss, dal cartello dei narcotrafficanti colombiani di Cali. Nel suo libro “El hijo del Ajedrecista 2” (“Il figlio dello Scacchista 2”), Fernando Rodriguez Mondragòn, figlio di Gilberto Rodriguez Orejuela, aggiunge altre tessere al puzzle della partita. Suo padre, uno dei boss più potenti della narcomafia colombiana, assieme allo zio Miguel, avrebbero portato una quantità imprecisata di denaro alla squadra peruviana, per corromperla garantendo la qualificazione alla finale della nazionale di casa. Ci sono ottantamila persone stipate sulle tribune dell’Estadio Monumental di Buenos Aires il 25 giugno del 1978. E’ il giorno della finale del campionato del mondo. In tribuna d’onore
Videla e la sua giunta, i “militari che si fregiarono con cimiteri di croci sul petto”. Accanto a loro Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, di cui era membro anche Lopez Rega, e il cui “Piano di Rinascita Democratica” riecheggiava molto da vicino “El Proceso” di Videla. Ma Menotti ai suoi giocatori, prima di entrare in campo, chiede di non voltarsi verso i generali, chiede di guardare verso i macellai, i panettieri, gli operai, i tassisti, verso tutta la gente che aspetta il trionfo. E trionfo fu, anche grazie alla direzione contestata dell’italiano Sergio Gonella, che dopo quella partita scelse di non arbitrare più. Finì 3-1 per l’Argentina dopo i tempi supplementari, Videla aveva vinto. Anche i voli della morte, con cui i detenuti politici venivano gettati giù da un aereo, nudi, in pieno oceano. I condannati festeggiavano i gol come una catarsi, ma al 90’ l’orrore riprendeva come se niente fosse successo. Ci sono davvero 25 milioni di mani sulla coppa con le ali, oltre a quelle dei giocatori che fecero l’impresa e che avevano amici o parenti nella lista dei desaparecidos. C’erano anche le mani delle madri di Plaza de Mayo, che hanno rivelato a Simon Kuper, autore di Calcio e potere: “Grazie al mondiale tutto il mondo ha conosciuto la nostra storia”. Si è realizzato almeno in parte l ideale dei Montoneros, che avrebbero voluto trasformare il mundial in una gigantesca conferenza stampa per informare il mondo delle sofferenze del popolo argentino. 1Alessandro Mastroluca
XXXVIII L`anno dello sconosciuto Mino Vergnachi e la mia gaffe nel pronunciare il suo cognome La crisi nera della politica italiana sembra superata, anche se in effetti semplicemente si tratta di una quiete non realistica. Infatti la stabilità è lungi da arrivare e nella prima metà dell’anno ci sono degli avvenimenti decisamente gravi che vedono protagonisti gruppi politicizzati di estrema destra. Durante i giorni del Festival, ad esempio, c’è l’assalto ad una emittente privata romana, che in quel momento andava in diretta, con la vandalizzazione degli studi e l’aggressione delle redattrici presenti in sede. Non da meno sono le associazioni estremiste di sinistra, come le Brigate Rosse che l’anno prima hanno rapito e ucciso Aldo Moro e che si macchiano di un altro omicidio importante, con l’assassinio di un esponente di spicco del sindacato di sinistra CGIL. La crisi di governo si risolve con un nuovo scioglimento delle camere, il quarto in pochi anni, con elezioni anticipate, che hanno dimostrato come i cittadini abbiano registrato la paura di questo decennio difficile, dando il voto a chi, secondo loro, avrebbe potuto dare stabilità e una nuova rinascita. La Democrazia Cristiana ha una schiacciante maggioranza che la porta a poter rinunciare agli accordi con le minoranze, ma soprattutto si afferma il PSI guidato da quel Craxi che sarebbe poi stato costretto ad un esilio forzato per evitare l’arresto per corruzione e per tangenti incassate da lui e dal suo partito. Ad una crisi politica che lascia il Paese allo sbando, si va ad aggiungere una ben più complessa da gestire che vede il tracollo della banca privata più importante d’Italia (la Ambrosiana) e un terremoto interno alla Banca d’Italia, che vede gli arresti dei vertici sostituiti da Lamberto Dini e Carlo Azeglio Ciampi, che saranno nomi fondamentali in futuro per la nostra politica. Questa situazione difficile e instabile si traduce con un’inflazione alle stelle, vedendo raddoppiati i prezzi praticamente di tutti nel giro di pochi mesi, e soprattutto con lo sdoganamento ufficializzato – il Governo ne è consapevole, il Ministro delle attività produttive e dell’industria, Romano Prodi, lo dichiara addirittura in un’intervista che nonostante i dati allarmanti gli italiani non se la passano male – del lavoro a nero, che portano un indotto sommerso che regge in piedi l’Italia intera, evitando di crollare ai livelli dei paesi del Terzo Mondo (come dichiarava L’Espresso a inizio anno). In questa situazione ambigua, fatta più che altro di mistificazioni e prosciutti sugli occhi, viene organizzato il varietà italiano, che vede sempre più spazio dato ai grandi nomi che si sono fatti conoscere nei decenni precedenti (come i varietà affidati a Sandra e Raimondo o a Ciccio e Franco), portando però sempre delle novità capaci di imporsi accanto a nomi imprescindibili, come il debutto di Heather Parisi che dopo una piccola parentesi, diventa
prima ballerina dello show del sabato sera Luna Park, condotto da Pippo Baudo con Tina Turner, grande star della musica mondiale, come ospite fissa, in realtà quasi co-conduttrice. Quando la situazione sociale si fa dura, il ruolo della televisione, e dei media in generale, è sempre stato quello di buttare un po’ di fumo negli occhi, celando quello che è il brutto, dando motivi e modi di svago generale. In questa ottica viene anche organizzato il Festival di Sanremo, che ritorna ai privati, con Gianni Ravera nuovamente nel ruolo del Patron, dopo i 3 anni in crescita di Vittorio Salvetti. Questo cambio di direzione, e dunque di rotta, non ha affatto giovato, e all’anno dei record appena vissuto, si contrappone un anno che fa a gara con il 1975 quanto all’insuccesso sul mercato dei brani in concorso, che tra ironia estremizzata e disco music, vede pochi brani interessanti in gara. Sulla carta l’edizione del 1979 avrebbe dovuto decretare il definitivo rilancio, anche se lo spettro della chiusura ormai è ben lontano, ma nonostante il ritorno al privato e di Gianni Ravera (o forse proprio a causa sua, che era fermo alla sua idea di creare lo spettacolo, che si era rivelata fallimentare nelle ultime edizioni a lui affidate), che aveva contribuito a fare grande il Festival negli anni Sessanta, la XXIX edizione del Festival non ha la forza di imporsi e di ingigantirsi, come si era sperato, questo anche a causa del gusto musicale degli ultimi anni Settanta che induce la commissione selezionatrice a lasciare fuori i brani realmente rivoluzionari accettando solo quelli che vanno bene a loro, anche se le canzoni innovative (tra funky, surrealismo, ironia, e discomusic) non mancano; purtroppo sono portate sul palco dell’Ariston da sconosciuti e questo ne limita il successo. Con la speranza di un nuovo successo, il regolamento cambia nuovamente, facendo aumentare i brani in concor-
so, saliti a 22, e dunque introducendo nuovamente le serate eliminatorie. Queste serate non sono mandate in diretta televisiva, ma almeno, al contrario di quanto avvenne nel 1978, vengono trasmesse in diretta radiofonica, avvalendosi addirittura di uno speciale televisivo, in seconda serata, turante il quale viene mandato in onda un riepilogo dei 6 brani ammessi in finale. Io personalmente avrei optato per uno speciale dedicato ai brani esclusi, anche perché tra la disco music, con una coreografia con 40 ballerini degli Ayx, o la 500 Fiat guidata da Marinella sul palcoscenico, prima di scendere e cantare il suo stralunatissimo brano, lo spettacolo era più che assicurato. Il vincore risulta MINO VERGNAGHI che arriva a Sanremo dopo una lunga gavetta, spinto anche e soprattutto da Iva Zanicchi che lo vede come una scommessa su cui puntare per la Ri-Fi. Dopo la vittoria la sua vita non è cambiata molto, tanto che nel corso di una candid camera ha l’amara sorpresa di non essere riconosciuto da nessuno come vincitore dell’edizione del 1979 del Festival, ad un solo anno dalla sua affermazione. Dopo aver vissuto a Londra per affinare la sua tecnica, soprattutto autorale, torna e rientra di diritto nell’entourage di Zucchero, diventando suo collaboratore fisso, firmando ad esempio “Di sole e d’azzurro”, portata al successo da Giorgia. Una curiosità sul samremo del 1978. Il giovane Lenny Lombardi mi accompagna a Sanremo in veste di cameraman. Prima di partire si era procurata una telecamera super8 che sarebbe servita alla realizzazione di alcuni servizi. Ma durante la settimana sanremese sembrava che tutto fosse contro di noi: neanche un servizio in cassetta niente. Delusi e desolati,a fine festival, incontrammo sul palcoscenico dell` Ariston il vincitore. Il suo cognone non era certamete musicale, e vedendo la mia difficoltà nel pronunciare i suo cognone, con garbo mi disse dai:faccio io togliendomi la castagne dal fuoco.
XXXIX 1980: Il ritorno al successo La situazione politica e sociale non è certo migliorata dopo gli attentati terroristici degli anni precedenti. Infatti il 1980 si apre con l’omicidio, per mano della mafia, del presidente della Sicilia Piersanti Mattarella. Ma l’ombra del terrorismo interno si fa lunga in più occasioni, tanto che il Presidente della Repubblica, a Padova, dichiara che il Quirinale è avanposto per la lotto al terrorismo e che lui, da ideale bersaglio, lotta in prima persona, come faceva da partigiano contro il Fascismo. Ultimo gravissimo attentato italiano è quello che in agosto crea caos e paura alla stazione di Bologna. Anche la situazione economica è in fase di forte crisi, anche se inferiore rispetto a 10 anni prima. L’inflazione è alle stelle, le tasse aumentano, la paura di un crollo finanziario è forte, anche a causa della disaffezione verso l’industria, legata anche alle numerose proteste sindacali, che appoggiano la più grande industria italiana (la FIAT) che protesta per un accordo che la vede in secondo piano, minacciando chiusure di stabilimenti. Meno clamore, ma decisamente importanti, sono gli scandali legati alle banche, con 38 grandi direttori arrestati per peculato, con un terremoto interno al sistema bancario che fa paura all’economia dell’intera Europa. A seguito di questo, si raffornzano i controlli fiscali e per mesi i ristoratori scioperano ad oltranza per l’entrata in vigore dell’obbligo della ricevuta fiscale. In effetti, nonostante la crisi evidente, i conti in banca degli italiani vedeva una crescita dell’ammontare dei conti che non aveva riscontro nei dati di occupazione e guadagno. Questo può voler solo dire che ancora, come del resto per tutti gli anni precedenti, a mantenere in pieni la nostra Nazione è stato il lavoro nero, tutto il sommerso non riconosciuto dal PIL. Gravissimo invece è l’abbattimento di un aereo di linea, con poco meno di 100 occupanti, da parte di un missile americano, sui cieli di Ustica. Un attentato che crea allerta internazionale, attorno alla quale si erge un muro di gomma inattaccabile. Di una gravità assoluta anche il terremoto che distrugge decine di comuni in Irpinia, mostrando la coperta corta del nostro Governo, e provocando 3000 morti e la distruzione totale di un patrimonio irecuperabile, fatto di tradizioni, oltre che di arte e architettura medievale rimasta invariata nel tempo. Esattamente come quest’anno nei due sismi dell’Italia centrale. In quell’occasione nasco io. La situazione mondiale non è certo migliore. Tra l’occupazione dell’Afghanistan da parte delle truppe sovietiche, gli scontri tra Iraq e Iran, il rischio di colpo di stato in Turchia, che tiene in allarme anche i servizi segreti italiani che sottolineano il rischio un’invasione turca, le proteste anti-sovietiche che partono dalla
Polonia, inizialmente represse, ma che porteranno da lì a meno di un decennio, allo sgretolamento di un impero inespugnabile fino a quel momento. Anche nel mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento più leggero ci saranno delle rivoluzioni. Nel calcio ad esempio scoppia il primo caso di calcio scommesse, che porterà il Milan in Purgatorio, facendolo ripartire dalla serie B. Ma soprattutto, deta importante per gli appassionati di televisione, diventa nazionale una televisione privata. Mike Bongiorno, volto simbolo della televisione nazionale, e della RAI, tra i primi volti ad apparire sullo schermo, lascia la RAI, a cui resta temporaneamnete legato per contratto, per TeleMilano 58, su cui conduce I Sogni Nel Cassetto. Da TeleMilano 58 (poi Canale 58 per pochi mesi) a fine anno nasce ufficialmente CANALE 5, prima emittente privata che riesce a raggiungere la diffusione nazionale, grazie alla tenacia e alla passione in questo lavoro, di Berlusconi, che creerà una degna alternativa al monopolio raista, poi rovinato da scelte sbagliate negli anni 2000, facendo in modo che le produzioni appaiano meno sobrie di quelle RAI. A vincere è SOLO NOI di Toto Cutugno, mentre i più applauditi dalla critica sono Pupo, Alberto Cheli e Francesco Magni, come già detto vincitore del premio da loro assegnato. Anche questa edizione è ricca di ospiti che figurano in classifica meglio delle canzoni in gara. Però il mercato nel 1980 è decisamente più clemente con i partecipanti al Festival e nella top 10 arrivano i Decibel, Cutugno, Pupo e Bobby Solo,
mentre tra le più trasmesse in radio, oltre a queste, troviamo anche Enzo Malepasso e Leano Morelli con le loro proposte. Grande soddisfazione regala la prova di Morandi che, pur non brillando in classifica, ha riconquistato l’affetto del pubblico dopo oltre 6 anni distante dalle classifiche, grazie all’importante collaborazione con Lucio Dalla, Francesco de Gregori e Ron. Tra gli ospiti di questa trentesima edizione del Festival di Sanremo troviamo BILLY PRESTON & SYREETA, DIONNE WARWICK che torna dopo aver partecipato alla gara negli anni sessanta e soprattutto dopo essere diventata una delle regine indiscusse della scena musicale mondiale, SHEILA & BLACK DEVOTION, SYLVESTER James una delle stelle della disco music, GLI STATUS QUO e SUZI QUATRO. A loro si aggiungono anche DANIEL ZED, l’uomo robot, anche se ha avuto la stessa utilità di Federica Pellegrini che balla al Festival 2012, PIPPO FRANCO, che dopo l’enorme successo ottenuto “Mi scappa la pipì” torna con La Puntura, ancora una volta rivotla al pubblico dei bambini.
L Sanremoo: 1981 – 31° Edizione Arriva il rilancio definitivo. Debutti eccelenti. il ritorno di Nilla Pizzi Prima di iniziare con la storia del Festival del 1981, inserendelo in un contesto storico che ne mostra le contraddizioni, credo sia doveroso fare un piccolo excursus di quello che è stato, riassumendo in poche righe i fatti salienti della prima fase della manifestazione, dalla nascita al boom, fino alla decadenza e alla risalita. Nel 1981 è come dare una nuova linfa, un nuovo battesimo della manifestazione, una netta separazione con il periodo precedente, anche se in linea con il Festival del 1980. Con l’esordio nel 1951 si ha la nascita di una manifestazione unica nel suo genere, tanto che pian piano tutto il mondo comincia ad imitarla. Nascono i primi divi della musica italiana, che si discostano dal precedente modo di fare musica e diventano personaggi richiesti e invidiati in tutta Europa, riuscendo a centrare l’obiettivo del successo anche oltre oceano. Si impongono nomi come Nilla Pizzi, Claudio Villa, Gino Latilla o Domenico Modugno, che ancora oggi sono riconosciuti tra i più grandi interpreti della nostra tradizione. Perché è inevitabile, dopo aver creato un evento che diventa appuntamneto imprescindibile, riuscire a dare un volto alla musica tipicamente italiana, associarla a dei nomi rassicuranti. Dopo aver dato un volto riconoscibile alla musica italiana, ed aver visto il suo primo emulo ottenere il grande successo (Eurofestival), il Festival di Sanremo si prefissa di esportare la musica Italiana, diventando internazionale. Accanto ai più importanti nomi della nostra discografia, sono presenti nomi memorabili della scena mondiale, che contribuiscono a fare di Sanremo un grande evento seguito in tutto il mondo, con interesse e costanza. Accanto a nomi già affermati, all’apice della loro carriera, però, si susseguono una serie di nomi nuovi che resteranno indelebili sulla scena: Milva, Tony Renis, Sergio Endrigo, Gigliola Cinquetti, Celentano, Bobby Solo, Little Tony, Lucio Dalla, Caterina Caselli, ecc. ecc. Tantissimi nomi lanciati dal Festival che resteranno in maniera imperitura nella nostra storia musicale. Si impongono, grazie all’esperienza sanremese, anche nomi non di primo piano, che si muovono nel dietro le quinte, come autori (Mogol), organizzatori (Ravera), o direttori d’orchestra (Morricone). Nel corso dei primi 20 anni si sono raggiunti livelli elevatissimi di qualità e di importanza. Ma, dopo le ingerenze sindacali che si oppongono alla presenza di artisti internazionali prima, e alla doppia esecuzione che toglie il primato ad alcuni nomi, si comincia a perdere smalto e la stampa e la televisione cominciano a disertare la manifestazione. La crisi si fa nera fino al rischio chiusura. Fino al 1970, Sanremo ha rappresentato l’unica proposta unicamente musicale della tel-
evisione pubblica e nei primi anni Settanta si lascia schiacciare da trasmissioni che, pur esistendo già da qualche anno, iniziano a rappresentare il meglio per il pubblico italiano. Questo passaggio porta aria di crisi a Sanremo, che si fa sempre più evidente nel 1973, l’ultima edizione “forte”, per vedere quasi la chiusura della manifestazione nel 1975, quando sia i mercati che la televisione rifiutano la kermesse. Sarà Vittorio Salvetti nel 1976 a prendere in mano le redini del concorso musicale, riuscendo nella difficile impresa di risollevarne le sorti, avvicinandolo alla manifestazione estiva da lui ideata e foriera di soddisfazioni: il Festivalbar. Tutto è rivoluzionato, dai regolamenti alle esibizioni, si sperimenta l’assenza dell’orchestra, si attinge all’estero per ottenere super ospiti fuori gara, utili per richiamare il pubblico giovane, si chiama nella competizione la novità sia in quanto nome che genere musicale. È in questo decennio che si arriva a disegnare il percorso definitivo del Festival: Teatro Ariston, ospiti internazionali, big e nuove proposte (aspiranti), comici che coadiuvano la conduzione… praticamente il festival che conosciamo! Nomi importanti si affermano, e si confermano in questo decennio di crei, dal Nada a Rosanna Fratello, già debuttanti pochi anni prima, passando per i debutti importanti dei Ricchi e Poveri, Gilda Giuliani, Roberto Vecchioni, Drupi, Franco Simone, Riccardo Fogli. I Matia Bazar, Toto Cutugno, Ivano Fossati, Anna Oxa… E non sono certo stati nominati i grandi nomi che erano già affermati quando sono passati sul palco festivaliero, come Patty Pravo, Ornella Vanoni o Lucio Battisti. Un’altra grandissima novità, che contribuisce non poco al rilancio del Festival, è l’avvento del colore. Alcune nazioni europee hanno cominciato le emissioni a colori già nel 1969, e l’Italia stessa ha abbandonato le registrazioni in bianco e nero per i programmi in eurovisione, già dai primi anni settanta, ma per il territorio italiano è il Festival di Sanremo la prima trasmissione prodotta in Italia ad andare in onda colorata. Era doveroso, almeno per me, stilare una sinossi essenziale degli eventi passati, per sottolineare quanto questo nuovo rilancio, questa nuova nascita, sia effettivamente grande. Prima però di parlare del Festival del 1981, bisogna inserirlo in un quadro storico, politico e sociale, che ne sottolinea le aderenze con la realtà di quel momento, per capire se è specchio fedele della nostra società, o uno specchio deformante, che si dimostra distante per allietare da momenti bui. La situazione italiana è ancora difficilissima, ricca di eventi tragici, da attentati ad omicidi, ad opera di grupopi estremisti di destra o di sinistra. Il popolo è chiamato a dare la sua opinione su argomenti differenti, come ad esempio l’aborto, argomento di due referendum opposti tra loro, che fanno riferimento alla legge che determina il regolamneto in merito all’interruzione di gravidanza. Due referendum tra l’altro proposti da due fazioni opposte: ProVita e i Radicali. Importante per la storia della musica è la nascita del walkman. Moltissime esagerazioni
vengono costruite attorno a questa evoluzione tecnologica, ma effettivamente centrano il punto: portano ad una alienazione e ad un distacco dalla realtà. In questo contesto, difficile e drammatico, viene costruito un altro Festival di puro intrattenimento, con nomi eccellenti, debutti memorabili e soprattutto il ritorno della musica di qualità. Finalmente a Sanremo il percorso di rinascita è completato. Dopo i tre anni di Salvetti e il biennio Ravera che ha introdotto lo spettacolo negli anni Ottanta, finalmente il Festival torna grande. Salvetti era riuscito a ridestare l’interesse da parte dei giovani chiamando gli ospiti stranieri e portando eccellenti debutti, Ravera ha riportato i big in gara facendo sì che le vendite tornassero elevatissime (cosa tra l’altro già vera nel 1978). Il segno di questa rinascita l’abbiamo anche nel fatto che la RAI torna a trasmettere tutte le serate in diretta, cosa che non avveniva da almeno un decennio. Ma bisogna tener conto del fatto che il Festival è tornato l’unico evento musicale che propone debutti ed inediti, mentre l’altro evento musicale, il Festivalbar, premia brani già di successo, talora provenienti proprio da Sanremo. Come già sperimentato nel 1974, e confermato nel 1980, i cantanti in gara si dividono in due gruppi, anche se aumentano i cantanti con diritto di accesso alla finale, gruppo B, passando da 10 a 12. Ma a questo aumento corrisponde una diminuzione del numero dei componenti del gruppo A da 20 a 16, per far si che la metà acceda alla serata finale. Tra i debutti del gruppo A troviamo nomi che poi diventeranno importantissimi per la scena italiana, come Luca Barbarossa, Fiorella Mannoia, Eduardo de Crescenzo (foto sotto) e Michele Zarrillo, mentre sorprende la retrocessione dopo 15 anni di carriera e grandi successi di Orietta Berti, che riesce a raggiungere la finale, e di Umberto Napolitano e degli Opera, per far spazio tra i big di gruppi stranieri che il successo lo cer-
cano, invece di consolidarlo, partecipando al Festival. A vincere sarà ALICE con un brano sicuramente bello, ma di difficile ascolto, che, a causa del fatto che sia una proposta intellettuale di successo, si vede ostracizzata dalla stampa. La vittoria di Alice porta ad una vera rivoluzione. Una proposta intellettuale, che porta la firma di Franco Battiato, era impensabile che si imponesse anche solo l’anno prima. Ma è soprattutto una vittoria per l’interprete, che cambia casa discografica, perchè si sentiva sminuita dalla CGD che, a sua detta, puntava quasi esclusivamente sulle sue evidenti qualità estetiche. Anche nel 1981, durante la serata del sabato, una buona parte del tempo era destinata alla partecipazione di un comico, non come conduttore che si lascia andare ai monologhi, ma direttamente come ospite, come avviene ormai da fine anni ottanta, con regolarità.
XXX 1981: Dalle canzonette di Sanremo all`incontro con Fidel Castro ll`inizio del 1981 chiedo al Consolato di Cuba in Toronto di rilasciarmi il visto per Cuba. La mia presunzione, perchè di presunzione si tratta, è una intervista esclusiva televisiva con il Lider Maximo, Fidel Castro. La mia è pura utopia. Prima di allora nessun giornalista dall`occidente era riuscito ad ottenere il lasciapassare per una intervista con Castro. Sorpresa delle sorprese. Dopo molti mesi, immagino di investigazioni sul mio passato politico,e giornalistico, il ministero degli esteri, mi concede l`autorizzazione per un incontro con Fidel. All`epoca, le relazioni tra il Canada e Cuba erano erano molto buone e i tour operators iniziavano tiepidamente ad organizzare pacchetti turistici nell`isola caraibica. Tra le prime ad organizzare viaggi, l`Alba Tours gestita da agenti di viaggio italo-canadesi. Nonostante l`infusione di ingenti somme da parte dei russi, le condizioni dei cubani nel 1981 erano molto precarie. Le strutture alberghiere non erano certamente all`avvanguardia. A Varadero, centro balneare per eccellenza per la meta degli americani sotto la dittatura di Fulgendio Batista, erano pressapoco rimaste le stesse. I vecchi casinò avevano fatto spazio a strutture aberghiere. Mentre la voce primaria restava la produzione dello zucchero di canna, il turismo iniziava a farsi spazio. L`albergo usato dall`Alba tours è Villa Cuba, ristruttorato alla meglio. Ma torniamo al Consolato cubano in Toronto. Un mattino mentre sono in onda con il programma “ Wake up Italian Style”, arriva la telefonata di un dirigente del consolato cubano, chiedondi di recarmi immediatamente negli uffici per una comunicazione urgente. Niente di piu`. Immaginate la mia trepidazione. Penso: “Forse vogliono comunicarmi che non mi e` stato concesso il visto e per loro sono una persona non grata”. Per mia sorpesa la notizia da comunicarmi era che il passaporto con un visto speciale autorizzato dal Ministero degli Esteri dell`Avana era pronto. In preparazione per l`incontro con Castro, faccio tutte le ricerche possibili sulla sua vita e preparo dodici domande per il Lider Maximo. Il viaggio mi porta da Toronto con cambio aereo a Montreal per l`Avana via Varadero. Il
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mio amico e cameraman George, un portoghese arrivato in Canada da poco non e` molto convinto di questo viaggio. Il suo paese ha combattutto contro i cubani in Angolia ed è preoccupato per la sua incolumità una volta messo piede a Cuba. Lo convinco che tutto andrà nel milgior dei modi e così, partiamo. Da Montreal ci aspetta un aereo russo, un Tupoled di vecchia generazione ragalato a Castro dai russi. In fondo all`apparecchio si vede un buco. La cosa non ci rincuora, ma ormai siamo a bordo e nulla può per cambiare la nostra sorte. Dopo circa 3 ore di volo atterriamo a Varadero. Ad attenderci sotto la scaletta c`è il ministro dell`infromazione, il ministro della cultura, due interpreti e l`autista. Dopo il benvenuto di rito, il ministro dell`informazione, un giovane sui 40 anni, mi presenta un dossier di 64 pagine scritto i inglese, italiano e spagnolo. Contiene alcune norme importantissime: Cosa possiamo riprendere durante la nostra permanza a Cuba e di quello che è assolutamente proibito. Niente riprese a navi attraccate in porto, soldati, aeroporti, militari. Dall`aeroporto ci conducono all`albergo Hotel Club Kawama. Più tardi ci racconteranno che sotto la dittatura di Batista questo hotel era adibito a casinò.
L`intervista durerà in tutto 26 minuti. A fine registrazione, i tecnici consegneranno al mio cameran tre nastri. A luci spente Castro il quale parla un ottimo italiano mi chiede della mia famiglia, del perche` sono emigrato in Canada. “Il Canada è un paese amico e Pierre Trudeau, è un amico di famiglia - dice - Castro”. Lo ringrazio del suo interessamento e per avermi concesso il previlegio di essere il primo giornalista occidentale ad intervistarlo. Ci salutiamo. Quando arrivo alla macchina, l`interprete, la signorina Rosa, mi dice: “in macchina c`è una sopresa per te: “ cinque scatole di sigari Churchill, omaggio del “Líder Máximo”. La nostra visita a Cuba durerà due settimane e si concluderà al Tropicana con una cena in onore della nostra visita a Cuba, offerta dal ministero dello spettacolo. Si può essere in dissaccordo con la politica autoritaria di Fidel Castro, ma Cuba è un paese meraviglioso. Le sue spiagge, il calore del suo popolo e le sue bellezze naturali non si discutono. Dopo l’incontro con Castro sono tornato a Cuba una trentina di volte. FIDEL CASTRO, 50 ANNI DI POTERE ASSOLUTO *Il dittatore cubano volle incarnare l’idea stessa di rivoluzione mondiale. Per questo giocò un ruolo politico internazionale spesso assai più ampio rispetto alla reale dimensione geopolitica dell’isola di Cuba. Fidel Castro (1926-2016) ha governato Cuba dal 1959 al 2008. Ponendosi sin dai primi giorni della caduta di Fulgencio Batista come l’incarnazione della rivoluzione, il cosiddetto Lider maximo riuscì a concentrare nelle sue mani, in soli sei mesi, poteri amplissimi. Nominato primo ministro ed avendo sospeso la Costituzione e l’habeas corpus, Fidel avrebbe governato per decreti, influenzando con tutto il suo peso la giustizia. L’INA (Istituto Nazionale della Riforma Agraria), appena creato e totalmente sottomesso al dittatore, divenne una formidabile leva di riforma della società. La popolarità del capo era grande; il decreto che ridusse del 50% gli affitti delle case urbane fece parte di questi provvedimenti.
Entro il 1960, in poco più di un anno, Castro e i suoi diedero forma e sostanza a un potere totalitario reso possibile da una quadruplice dinamica. La moltiplicazione dei “comitati di appoggio al processo rivoluzionario” consentiva di mobilitare gli entusiasmi popolari in favore del nuovo potere. L’infiltrazione sistematica delle istituzioni tramite uomini sicuri, spesso provenienti dal partito comunista, contribuì a emarginare le altre componenti del movimento ostili a una svolta dittatoriale. In questo contesto l’appello all’epurazione, lanciato dal Lider maximo subito dopo l’insediamento non colpì solo i fautori di Batista ma anche tutti i possibili oppositori del neonato regime. La società venne divisa in “rivoluzionari” e “contro-rivoluzionari”. Se nel 1959 l’epurazione si era conclusa con 553 esecuzioni capitali, il loro numero raggiunse i 1330 nel 1960. L’esplosione nel marzo 1960 di un cargo belga carico di armi nel porto dell’Havana, che provocò 100 morti e 400 feriti, venne denunciata da Castro come un sabotaggio della CIA. Contro qualsiasi liberalizzazione del regime L’ostilità degli Stati Uniti spinse il governo cubano ai sovietici, giunti in delegazione all’Havana nel febbraio 1960. Come conseguenza, il presidente degli Eisenhower avrebbe autorizzato nel marzo dello stesso anno la CIA a preparare gli esiliati anticastristi per una operazione armata. Dopo il fallito sbarco nella Baia dei Porci nell’aprile 1961, Castro, ormai forte del supporto di Mosca, proclamò il carattere socialista della rivoluzione e rimandò sine die le elezioni. Gli anni 1961 e 1962 furono quelli di una caccia sistematica agli oppositori. Ai fedeli del vecchio regime si aggiunsero tutti i cubani restii all’irreggimentazione da parte dello Stato: cattolici, protestanti, santeros (adepti di un credo sincretico locale), artisti, sindacalisti. Perseguitati senza pietà, essi furono imprigionati o costretti all’esilio, aggiungendosi così ai 200mila già espulsi nel primo anno. Seguiranno i partigiani dell’Escambray, diretti da vecchi capi rivoluzionari. Creati a partire dal 1960, definiti “banditi” secondo la terminologia ufficiale, essi vennero definitivamente schiacciati nel 1967 dopo una contro insurrezione particolarmente brutale. Dal 1961 al 1968 Fidel Castro impiegò i mezzi forniti dai sovietici per radicalizzare le lotte di decolonizzazione nel Terzo mondo e al contempo promuovere la rivoluzione in America latina. Castro pretendeva di inventare un nuovo socialismo, pur accettando, alla fine, di piegarsi agli accordi fra americani e sovietici in occasione della crisi dei missili del 1962. Sul piano interno, seguì quindi il momento dell’irrigidimento nei confronti degli “antiso-
La nostra permanenza a Varadero durera` tre giorni. Ci faranno vedere, tutto quello che a noi interessa poco o niente. Visitiamo la Casa Dupont, Hotel International e la Cueva, una sorta di night club e l`immancabile fabbrica dei sigari cubani. Durante la visita al night, succede una cosa stranissima. Ci sono più ragazze che ragazzi. Mentre sto parlando con Rosa l`interprete, si avvicina una ragazza giovanissima e mi chiede di ballare. Gentilmente declino l’invito. Passa poco tempo e arriva un`altra giovane: stesso rito e mio stesso no. Il mio gesto sembra non piacere al mistro delle comunicazioni e con fare garbato mi sussura qualcosa all`orecchio. “Tu non vuoi ballare - dice - perchè pensi che le ragazze minorenni sono esca per gli stranieri e le proponiamo algi ospiti per incastrarvi. E se pensi, che io oltre ad essere ministro sono anche un poliziotto dei servizi segreti, non ti sei sbagliato, ma questa sera siamo qui per farvi divertire.” Non gi dico nulla ma preferisco tornare in Canada, sano e salvo. Non voglio finire in galera e marcire per i prossimi 50 anni in una cella cubana. Il primo round me lo aggiudico io e George. Il trabocchetto cubano non ha funzionato. Dopo una serata abbastanza movimenta torniamo in albergo. George ha più paura di me e svita tutte le lampadine delle stanze per vedere se ci sono delle pulci che registrano le nostre conversazioni. Dopo tre giorni, ci trsfericono alla capitale Avana sede del governo cubano. Allogiamo all`albergo Capri, una volta Hilton. Il giorno seguente tre funzionari del ministero degli interni e uno del ministero dell`informazione ci conducono al palazzo del governo. Ci fanno attendere in una stanza attigua. Il cuore batte mille all`ora. Fra non molto incontrerò Fidel Castro. Io e George, siamo pronti per la grande avventura. Ma non abbiamo fatto i conti con gli imprevisti e la furbizia dei dittatori. Uno dei funzionari ci confisca letteralmente la video camera, adducendo che nessuna telecamera esterna può essere usata per le risprese con “El Jefe de gobierno”. Di fronte questa situazione imprevista, facciamo tutti gli scongiuri. George rimane nella cameretta attigua ed io sono scortato da due poliziotti in borghese da Fidel. Non lo nego, le gambe mi tramano e il sudore del caldo umido di ottobre ha preso il sopravvento. Il capo gabinetto mi intodruce al “Líder Máximo”. Una stretta di mano forte tra un umile giornalista italo-canadese e l`uomo più temuto dagli americani. Intanto i cameran cubani hanno già posizionato le loro 3 telecamere nello studio di Castro. Mi microfano e ci sediamo su due potrone stile Luigi XV. Le domande che avevo sottoposto non serviranno a nulla. Castro mi dice di andare a braccio e di non preoccuparmi. Secondo Fidel, io sono ospite del popolo cubano e gli ospiti, in special modo gli italiani e canadesi vanno trattati bene.
ciali”, inviati alla rieducazione in unità militari di aiuto alla produzione. La monocultura della canna da zucchero ritornò in auge nel contesto della divisione socialista del lavoro. Tutte queste strategie sulla via del “socialismo reale” si sarebbero accentuate nel corso degli anni 1970-80. La persecuzione del poeta Heberto Padilla alienò a Fidel il sostegno dell’intellighenzia mondiale, da Jean Paul Sartre a Jorge Mario Vargas Llosa. Fu solo negli anni Ottanta che Castro scelse la strada della realpolitik: riallacciò relazioni con numerosi paesi sudamericani, compreso il Cile, e successivamente con i paesi europei e asiatici. Non venne meno, invece, il sostegno militare per iniziative militari e insurrezionali in Africa e, in maniera più discreta, in America centrale. La perestrojka e la fine dell’URSS si tradussero in un irrigidimento all’interno del regime cubano. Castro si oppose a qualsiasi liberalizzazione, come dimostrò l’incredibile processo contro il possibile rivale rappresentato dal generale Arnaldo Ochoa Sanchez, condannato a morte e giustiziato nel 1989 con altri ufficiali superiori. La Costituzione, adottata nel 1992, riportò in auge il pensiero degli eroi dell’indipendenza nazionale, come José Martì Perez, e dunque non più solamente il marxismo-leninismo. La fine dell’aiuto sovietico provocò gravi difficoltà economiche, parzialmente compensate dall’arrivo al potere di Hugo Chavez in Venezuela: il nuovo leader della sinistra venezuelana permise infatti un rifornimento di petrolio a buon mercato a vantaggio di Cuba. Anche l’amicizia con Mosca riprese vigore, questa volta sotto lo sguardo compiaciuto di Vladimir Putin. Da quel momento, fino al suo ritiro dalla scena politica nel 2008, Castro moltiplicò i finti gesti di apertura. Giovanni Paolo II (nel 1998) e Jimmy Carter (nel 2011) giunsero in visita a Cuba. Le condizioni per il ritorno degli esiliati furono rese più agevoli. Fu permesso ai cubani di possedere dollari. Ma gli oppositori civili, specialmente quelli che nel 1988 tentarono di istituire il diritto alla libera associazione e alla libertà d’espressione, finirono in gran parte in prigione. Le condizioni di salute di Fidel Castro obbligarono nel 2008 il passaggio di poteri al fratello Raul. Ma saranno sempre le ceneri di un capo di Stato quelle che verranno sepolte a Santiago de Cuba nel 2016. * Max Trimurti S. Raffy, Fidel Castro, una vita, Rizzoli, 2016 Armando Valladares, Contro ogni speranza. 22 anni nel gulag delle Americhe. Dal fondo delle carceri di Fidel Castro, Spirali, 2007 F. Castro e I. Ramonet, Autobiografia a due voci, Mondadori, 2006
XXXII 1982: L’ultima volta di Claudio Villa, l’affermazione dei coniugi Al Bano & Romina la vittoria di Riccardo Fogli e della nazionale di calcio in Spagna Con il grandissimo successo dell’edizione del 1981, sui mercati, come in tv, per non parlare delle discussioni da bar, i successi degli album, i concerti e l’esportazione dei brani all’estero, soprattutto per qualcuno, il Festival di Sanremo può dichiararsi finalmente rinato. Le idee di Gianni Ravera, che nel 1979 hanno fatto crollare la credibilità da poco riconquistata, sono invece risultate lungimiranti. Voleva riportare i grandi nomi, inizialmente come una forma di richiamo al passato, come fosse un revival, ma poi ha aggiustato il tiro convincendo i grandi nomi del momento a partecipare, con qualche tuffo nel passato, prediligendo chi ancora avesse successo e riportando in gara, anche se tra chi ancora anela il successo, vecchie glorie appannate. Questa scelta si rivela però clamorosa nel 1982, con la retrocessione tra gli aspiranti del cantante che più ha vinto a Sanremo, insieme a Domenico Modugno. Della versione di Salvetti ha mantenuto la geniale idea di chiamare ospiti internazionali per richiamare il pubblico giovane, ha saputo scegliere bene i conduttori e il cast degli aspiranti, regalando ogni anno nomi che resteranno indelebili per la storia della musica, ma nel 1982 si supera. Dopo il grande trionfo del 1981, ci sarà un calo qualitativo dei brani in concorso, ma allo stesso tempo sarà il punto più alto del successo personale di Gianni Ravera. La situazione sociale si va alleggerendo, non ci saranno attentati terroristici, che hanno caratterizzato il clima italiano per tutti gli anni settanta, comprendendo anche i primissimi anni ottanta. Anzi, nel 1982 si comincia l’anno con un arresto importante, il capo delle Brigate Rosse, che dopo l’arresto dichiara di aver progettato un attentato, ormai saltato, al congresso nazionale della DC. Superata, quasi, la stagione terroristica italiana, si apre un capitolo buio invece dal punto di vista finanziario, con la scoperta della loggia massonica P2, all’interno della quale milita anche uno dei più importanti giornalisti televisivi, tra i padri della televisione moderna: Maurizio Costanzo. Il processo si protrarrà a lungo e porterà alla luce molti scheletri, che torneranno nell’armadio per venire scoperti poi a cadenze prestabilite. C’è però da sottolineare come però i problemi italiani siano ormai stati messi alle spalle, e quelli che ancora ci sono non vengono percepiti come prioritari, così il popolo riesce a dedicarsi facilmente ad altro. Sui quotidiani troviamo moltissimo spazio dedicato alle emittenti televisive private, che rientrano nelle scelte editoriali di grandi editori. Troviamo la neonata Italia 1, che comincia le diffusioni sotto il marchio di Antenna Nord, di proprietà di Rusconi, o Rete 4, di proprietà di Mondadori, che comincia a farsi strada. Entrambe le emittenti saranno poi acquisite da Berlusconi che le unirà sotto lo stesso marchio, aggiungendole alla ormai diffusa Canale 5, che con i suoi circuiti ha raggiunto i 10 milioni di spettatori complessivi (non aveva un canale nazionale, veniva distribuita come Odeon TV, su canali
regionali che rientravano nel circuito di Canale 5). Per ridare definitivamente l’ottimismo a tutti gli Italiani, inoltre è risultato fondamentale l’apporto della vittoria ai Mondiali, ottenuta però con una bella botta di fortuna iniziale, dato che non avremmo potuto ottenere un girone più semplice (eravamo con Polonia, Perù e Camerun). Il gruppo dell’Italia, guidata da Enzo Bearzot, capitata insieme a Polonia, Camerun e Perù, si rivelò il vero gruppo di ferro. Gli azzurri giunsero in Spagna fra mille polemiche ed incognite, non ultimo un Paolo Rossi reduce dalla squalifica di due anni per il noto scandalo del calcio-scommesse. Bearzot era inoltre contestato dalla stampa per aver escluso dalla rosa Beccalossi e Pruzzo. In particolare, i giornali romani premevano per un più marcato utilizzo dei giocatori della Roma, data la visibilità che la squadra aveva raggiunto sotto la presidenza di Dino Viola. Bearzot rimase però fedele al blocco-Juventus, che già gli aveva dato soddisfazioni nel precedente Campionato del Mondo. L’11 luglio 1982 andò dunque in scena la finale fra Germania Ovest e Italia. Bearzot dovette riadattare la squadra in seguito alla indisponibilità di Antognoni e all’infortunio, dopo appena otto minuti di gioco, occorso a Graziani a causa di uno scontro con la rude difesa tedesca. Predominanza italiana nel primo tempo, anche se Cabrini perse l’occasione per passare in vantaggio sbagliando un rigore. La ripresa vide un calo della squadra tedesca, di cui approfittò per primo Rossi su cross di Gentile. Dopo un tentativo di pareggio di Hrubesch, gli azzurri raddoppiarono con un tiro dal limite dell’area di Tardelli, il cui urlo di gioia divenne una icona di quei Campionati del Mondo e delle successive avventure della nazionale italiana. Altobelli segnò la rete del 3-0, seguita dal punto d’onore di Breitner. Altobelli fece poi posto all’88º a Causio, ricompensato con la passerella mondiale per i suoi meriti. L’enfasi del telecronista italiano non fu casuale, in quanto scandì proprio per tre volte consecutive la proclamazione del terzo titolo di campione del mondo della Nazionale italiana. Le immagini televisive che giunsero da Madrid mostrarono l’arbitro brasiliano Coelho inseguire il pallone nelle ultimissime fasi di gioco, fino a ghermirlo e sollevarlo con le braccia in alto mentre emetteva il triplice fischio finale. Altre immagini di quel mondiale che rimangono tuttora impresse nella memoria sono, oltre al citato urlo di Tardelli, Zoff che prende la Coppa del Mondo dalle mani del re di Spagna e la alza fiero (Guttuso ne farà poi un quadro), il Presidente della Repubblica Pertini che esulta con incontenibile entusiasmo a ogni rete degli Azzurri, lasciandosi scappare un “non ci prendono piu’” dopo il gol del 3-0, e lo stesso Presidente che gioca a scopa in coppia con Zoff contro Causio e Bearzot, durante il viaggio di ritorno in Italia assieme alla Coppa. Un contesto decisamente più leggero, quello in cui si va ad inserire il Festival di Sanremo del 1982. La formula della XXXII° edizione del Festival di Sanremo è la stessa che dal 1980 caratterizza la struttura della gara: la divisione in 2 gruppi. Ad indovinarlo c’è anche GIUCAS CASELLA, chiamato sul palco all’inizio della prima ser-
ata per consegnare la busta sigillata con la sua premonizione. (SOBH!) A condurre il Festival viene chiamato, per la terza volta, Claudio Cecchetto che, dopo il successo di Gioca Jouer dell’anno prima, vorrebbe essere l’interprete della sigla, onore che ancora una volta non gli sarà concesso, questa volta senza una ragione plausibile, dato che mentre nel 1981 gli viene preferito un brano elegante e raffinato, nel 1982 la sigla è un richiamo a Hamelin, scelta appositamente per richiamare il pubblico di bambini, come vedremo più tardi, tra gli aneddoti. In una intervista in esclusiva rilasciatami nell`atrio del Teatro Ariston, prima dell`esibizione Cladio Villa, mi confessò che senza la sua partecipazione, il Festival della canzone italiana non aveva senso. Tra gli altri veterani in gara, ricordiamo: Anna Oxa, i coniugi Al Bano Carrisi e Romina Power (per la prima volta insieme), Bobby Solo, Mal, Drupi, Jimmy Fontana, Orietta Berti, Riccardo Del Turco e Michele Zarrillo, oltre ai numerosi e validi esordienti: Mia Martini, Vasco Rossi, Zucchero, Fiordaliso, Christian, Stefano Sani, Mario Castelnuovo, Elisabetta Viviani, Giuseppe Cionfoli, Le Orme, Plastic Bertrand, Julie, Lene Lovich, Milk and Coffie, Rino Martinez, Marina Lai, Piero Cassano (al debutto da solista ma già protagonista con i Matia Bazar), Roberto Soffici e Viola Valentino, reduce dal grandissimo successo riscosso con la hit “Comprami”. Ad aggiudicarsi il titolo, ironia del destino, l’ex marito di quest’ultima: Riccardo Fogli, con il brano “Storie di tutti i giorni”. Una vittoria annunciata dalla stampa dell’epoca ma anche da Giucas Casella, che aveva predetto il trionfo alla vigilia della kermesse. Il 1982 verrà ricordato come l’anno dell’istituzione del Premio della Critica, attribuito dalla sala stampa a Mia Martini, che si presentò per la prima volta in gara con “E non finisce mica il cielo”, scritta per lei da Ivano Fossati. Dal ’96, un anno dopo la sua prematura scomparsa, questo riconoscimento verrà intitolato alla memoria dell’indimenticata ugola di Bagnara Calabra. Ad imporsi nelle classifiche di vendita all’indomani della manifestazione, sarà soprattutto “Felicità” della coppia (sul palco e nella vita) composta da Al Bano Carrisi e Romina Power, che superò persino la canzone vincitrice “Storie di tutti i giorni” di Riccardo Fogli. Tra gli altri 45 giri degni di nota, ricordiamo: “Soli“ di Drupi, “Tu sai“ di Bobby Solo, “Sei la mia donna“ di Mal, “Io no“ di Anna Oxa, “Una sporca poesia“ di Fiordaliso, “Romantici” di Viola Valentino, “Lisa” di Stefano Sani, “Sette fili di canapa“ di Mario Castelnuovo e il tormentone francese “Ping Pong” del belga Plastic Bertrand. Decisamente sottotono, invece, i debutti di Zucchero con “Una notte che vola via” e Vasco Rossi con “Vado al massimo”,
storicamente poco fortunati in riviera, oltre a Michele Zarrillo con “Una rosa blu”, uno dei brani meno compresi di sempre, che sarà rivalutato negli anni a venire diventando uno dei cavalli di battaglia del cantautore romano. Quello del 1982 fu, in un certo senso, il primo vero Festival di grande successo della storia della kermesse dal punto di vista musicale. Dopo aver visto sfumare (alcune volte per sua stessa volontà) la possibilità di partecipare al Festival per ben 4 volte Mimì debutta finalmente a Sanremo e si aggiudica quel premio della critica che fu istituito proprio quell’anno dopo le polemiche montate da Claudio Villa che si era mostrato avverso al giudizio espresso dalle giurie popolari. Il premio, però, non fu mai concretamente fatto avere a Mia Martini e fu, invece, consegnato alla sorella Loredana Bertè dopo 26 anni, durante il Festival di Sanremo del 2008 quando Pippo Baudo volle compiere questo gesto in prima persona. Tra i nomi destinati a farsi ricordare troviamo Fiordaliso, Michele Zarrillo, Vasco Rossi e Zucchero, per tempi duraturi, oltre che Giuseppe Cionfoli, Stefano Sani ed Elisabetta Viviani per una breve ma ricchissima serie di successi. La voglia di essere nuovamente a Sanremo, dopo un lungo periodo lontano dalla scene, a parte poche apparizioni televisive in giro per il mondo, e frequenti sedute in tribunale, tra una causa di paternità e l’altra, ha fatto sì che Claudio Villa partecipasse in qualità di aspirante, cosa inconcepibile pensando che Viola Valentino è in finale di diritto. In realtà in conferenza stampa, Gianni Ravera aveva dichiarato che tutto è nelle sue mani: la scelta dei cantanti, delle canzoni, dei giurati. Claudio Villa mette in discussione che esistano davvero le giurie, dato che ogni volta che Ravera ha diretto un Festival, queste sono sempre risultate misteriose e segrete. Va avanti per vie legali e chiede di poter visionare i verbali delle giurie, ma l’organizzazione del Festival non fornisce materiale sufficiente. Questo lascia i presupposti perché lui possa vincere la sua battaglia contro Ravera, c’è il rischio che salti definitivamente tutto, e quando se ne rende conto cerca di patteggiare, facendo in modo che un sorteggio faccia arrivare in finale almeno un altro dei brani eliminati. La sensazione di combine e di risultati pilotati è forte già da qualche anno e Gianni Ravera non aiuta la sua causa dichiarando che se qualcuno gli desse 80 milioni penserebbe alla possibilità di attribuirgli la vittoria. Vasco Rossi preferisce provocare, e lo fa anche uscendo dal palco, quando si porta via il microfono mettendoselo in tasca, ma poi lo fa cadere mandando in panico i fonici per l’assenza di una possibilità di sostituzione immediata e un fischio fastidiosissimo in diretta. GIUSEPPE CIONFOLI è uno dei vincitori del concorso di Domenica In “Due voci per Sanremo” e accede sul palco dell’Ariston proprio grazie a questo. Si presenta come “Padre” e desta l’interesse del pubblico in questo modo, ma in molti mettono in dubbio che abbia effettivamente preso i voti. Nella classifica non ufficiale risulta essere quarto. JULIE esordisce appena 14enne nel 1962, ma è negli anni settanta che conosce la notorietà
prima come voce femminile in alcuni brani dei Santo California, e poi come componente del duo JULI & JULIE, grazie al quale raggiunge i buoni risultati che la portano al Festival di Sanremo, dove però non riesce a raggiungere la finale. Alla conclusione della manifestazione, la CLASSIFICA FINALE risulta essere la seguente, con il podio ancora occupato esclusivamente da cantanti del gruppo B: 1 – Storie di tutti i giorni (Riccardo Fogli, Guido Morra e Maurizio Fabrizio) Riccardo Fogli 2 – Felicità (Cristiano Minellono, Gino De Stefani, Dario Farina) Al Bano e Romina Power 3 – Soli (Drupi, Gianni Belleno e Vittorio De Scalzi) Drupi 4 – Solo grazie (Giuseppe Cionfoli) Giuseppe Cionfoli 5 – Un’altra vita un altro amore (Mario Balducci) Christian
XXXIII Gli italiani di Toronto: “We are number One” Riccardo Lo Monaco
La storia degli italiani di Toronto, così come quella delle altre comunità di immigrati in questa città, potrebbe essere raccontata come una lunga serie di lotte e sacrifici. I tempi duri sono ricorsi così spesso nel passato degli immigrati che è facile trascurare i momenti di gioia. Ma a volte, però, la storia di un trionfo è così importante che non può essere dimenticata. A Toronto, dove gli immigrati italiani per molto tempo hanno dovuto sopportare discriminazione e una crisi di identità, la vittoria italiana ai Mondiali di calcio del 1982 ha fornito un’ occasione importante per esaltare la propria identità e riaffermare la loro parificazione a tutte le altre comunità canadesi. La celebrazione della vittoria per le strade di Toronto rimane uno dei momenti più importanti nella storia degli italiani di questa città. I “New Canadians” come spesso venivano descritti gli italiani, dovettero fronteggiare numerose difficoltà e sopportare varie forme di discriminazione razziale e intolleranza, durante il loro sforzo di integrazione. Molti arrivarono in Canada credendo di trovare tutte le risposte ai loro problemi, senza aspettarsi di avere a che fare con una disoccupazione diffusa, mancanza di case e problemi linguistici. Le aziende canadesi avevano una serie di aspettative per gli immigrati che assumevano: li volevano impegnati, docili e pronti a lavorare sodo. Gli italiani si trovarono presi tra un desiderio conflittuale di conservare la loro identità nazionale ma al tempo stesso di assorbire la cultura canadese così come veniva loro chiesto. Entro il 1961 più di metà della popolazione italiana in Ontario si era stabilita a Toronto, facendo diventare la zona di College Street fra Ossington e Bathurst così fittamente popolata di italiani che ben presto in città la si cominciò a chiamare Little Italy. Questa piccola area urbana dava alloggio a 16.000 italiani, che si servivano presso i negozi, i bar e i club italiani della zona, i quali avevano rimpiazzato i precedenti negozi. In quei bar gli italiani continuavano a interagire con altri italiani, giocando a carte e discutendo con loro i problemi di tutti i giorni, quasi sempre in lingua italiana. Toronto Star, Lunedì, 12 luglio, 1982
Negli anni 50 si sviluppò una seconda area italiana, grande il doppio di Little Italy, a ovest di quest’ultima, all’incrocio fra St. Clair Avenue West e Dufferin Street. L’area, conosciuta come Corso Italia, ricordava simbolicamente la famosa strada romana di Via del Corso, che corre per 1 chilometro e mezzo nel cuore della Capitale d’Italia. Oltre all’italianità di vetrine e facciate, questo collegamento ideale con Via del Corso aiutò a dare un ulteriore pennellata
tricolore in questo spazio peraltro canadese. Costituì un luogo di raduno per la comunità italiana in Ontario durante eventi particolari, come la processione del Venerdì Santo e altre celebrazioni casuali, come la vittoria nei Mondiali del 1982. Nel 1982 una serie di fattori concomitanti contribuì a costituire un rinnovato senso di fiducia in se stessi per gli italiani che vivevano in Canada. L’introduzione della legge sui diritti umani, la Canadian Charter of Rights and Freedoms ha garantito a molti canadesi dei diritti che prima on avevano. Molti italiani hanno ottenuto in Canada il successo economico guadagnando una sempre maggiore stabilità in termini di condizioni di vita, lavoro e istruzione. Molti di questi progressi sono stati merito delle minoranze etniche che si sono battute per il riconoscimento di una serie di diritti umani dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi e sono riusciti a eliminare le leggi discriminatorie in Canada. Al tempo stesso questo crescente accettazione del pluralismo culturale ha permesso agli italo-canadesi di sentire che potevano festeggiare spontaneamente per le vie della città quando la squadra azzurra ha conquistato la coppa del mondo. L’11 luglio 1982 circa 300.000 persone si riversarono per le vie del quartiere italiano di Toronto per celebrare la prima vittoria italiana nel campionato mondiale dopo 44 anni dall’ultimo successo. Una folla così grande, etnicamente connotata o meno, non si era mai vista a Toronto per celebrare un evento sportivo. Per dare una prospettiva a questi numeri, possiamo dire che il Toronto Sun aveva definito “eccezionale” la folla che si era riunita a Queen’s park pochi giorni prima per festeggiare il Canada Day, composta da 30.000 persone. Gli italiani continuano a vantare il fatto che una celebrazione così immensa sia avvenuta in modo del tutto pacifico, rispettoso e non violento, dando quindi una dimostrazione della grandezza dell’Italia. Esaminando l’evento più in profondità, si può dire che abbia costituito una svolta epocale nella cultura del tifo sportivo. Il calcio è stato tradizionalmente collocato nella sfera delle attività ricreative maschili, con gli uomini che si riuniscono nei bar o nei pub per guardare le partite su circuiti chiusi televisivi provenienti dall’Europa. Nel 1982, per la prima volta in Canada la rete nazionale canadese CBC decise di trasmettere in diretta gli incontri del Mondiale di calcio. Da quel momento la gente poteva seguire le partite
direttamente da casa propria. Questo incoraggiò donne e bambini a seguire gli incontri e a partecipare ai festeggiamenti successivi. Uno sport quasi esclusivamente dominato dalla presenza maschile si era quindi trasformato in un avvenimento per la famiglia, contribuendo a disinnescare la violenza e il caos che contraddistinguono la cultura del tifo a prevalenza maschile in molte parti d’Europa. Nel 1982 gli italiani diedero alla loro celebrazione anche un senso politico. Le zone in cui si tenne la grande manifestazione di gioia erano quelle stesse dove negli anni 60 e 70 gruppi di italiani si riunivano, all’esterno dei bar, per ascoltare meglio all’aperto le radiocronache calcistiche dall’Italia tramite radioline a transistor e la polizia li disperdeva credendo che stessero partecipando ad attività criminali. Riprendersi quelle stesse strade per celebrare la vittoria ai Mondiali è stato un modo efficace per gli italiani di reclamare una parte dello spazio pubblico per se stessi, trasformandolo in uno “spazio italiano”, asserendo la presenza culturale italiana a Toronto come una delle più importanti nel panorama cittadino. La realizzazione del contributo italiano alla società canadese è stata ancora più evidente quando alcuni tifosi hanno condotto un camion ricoperto di bandiere italiane su e giù per St. Clair Avenue West. Poi l’hanno parcheggiato al centro della strada, dove un fiume di gente l’ha circondato impedendo ogni altro tipo di traffico per tutta la notte. Il camion non è servito soltanto come piattaforma eccellente per sventolare tricolori giganti ma ha anche simbolizzato la fiorente industria delle costruzioni edili nella quale tanti italiani lavorano. Ha raccolto attorno a sé un enorme orgoglio per la consapevolezza che hanno gli italiani di aver contribuito in così larga parte allo sviluppo urbano della città di Toronto. I giornali italo-canadesi non hanno mancato di prendere spunto da questo evento sportivo per celebrare l’eccellenza italiana e il successo del multiculturalismo. Ma anche la stampa canadese ha rappresentato gli italo-canadesi in modo positivo e ha sottolineato l’attrattiva rappresentata dalla politica multiculturale del premier Trudeau. Hanno notato l’eccentricità della manifestazione, i meravigliosi colori, la gioia, il rumore della festa e, soprattutto, il senso di benessere generale. Sono stati riportati anche piccoli incidenti avvenuti quando ci
sono stati contatti fra gruppi culturali diversi che i giornalisti italo-canadesi probabilmente non hanno notato, tutti presi com’erano nel discutere animatamente sul senso di pace e di gioia della manifestazione. Nonostante la prospettiva con cui si è guardato all’avvenimento, andrebbe ricordato che il giorno esatto in cui avvenne fu il 12 luglio 1982 e non l’11 che è il giorno della conquista della coppa del mondo, ma evidentemente questo è un dettaglio che non influisce sull’importanza delle rimembranze e delle celebrazioni di quell’evento che si sono succedute negli anni seguenti come un ricordo mitico. Una memoria collettiva che è scaturita da questo processo e ha sostituito la cronaca esatta degli avvenimenti. E’ stato vissuto dall’intera comunità italo-canadese e rimane uno dei momenti più importanti nella sua storia. La coppa del Mondo FIFA del 1982 costituisce una pietra miliare della comunità italiana a Toronto. Segna il punto in cui gli italiani si sono resi conto del proprio valore nel mondo e nella società canadese. Ha dato anche vita a una serie di celebrazioni che hanno avvicinato gli italiani gli uni agli altri mettendo in luce il loro carattere pacifico, civile, laborioso e dignitoso, gente orgogliosa, integra e indispensabile per Toronto e per la nuova società multiculturale del Canada. In questo caso, la celebrazione è stata più importante dell’evento celebrato. Al fischio finale della partita al Bernabeu di Madrid, Johnny Lombardi mi chiese di organzzare un grande evento musicale al parco Earlcourt di St. Cair aui parteciparono tutti gli artisti italo-canadesi. Un`evento che durò sino alle prime ore del 13 luglio. Da quel giorno, Toronto non è stata più la stessa. Ora le bandiere sventolano ogni 4 anni in occasione della Coppa del Mondo, non solo per l’Italia ma per tutte le nazioni partecipanti che hanno una loro comunità in Canada. Bibliografia Riccardo Lo Monaco - Heritage Toronto Frank Colantonio, From the Ground Up: An Italian Immigrants Story, (University of Toronto Press, 1993). Nicholas DeMaria Harney, Eh Paesan!, Being Italian in Toronto, (University of Toronto Press, 1998) Franca Iacovetta, Such Hardworking People: Italians in Postwar Toronto, (McGill-Queens University Press, 1993) Jordan Stanger-Ross, “An Inviting Parish: Community without Locality in Postwar Italian Toronto”, Canadian History Review, 87, 3 (September 2006), pp. 381-407.
XXXIV Il 1983 segna l’ascesa definitiva del Festival tra gli eventi televisivi d’eccellenza. Sulla scia dei mondiali di calcio, dell`anno precedente, le vendite dei cantanti in gara sono in crescita, gli ascolti (per quanto non ancora ufficialmente registrati) sono in crescita, i guadagni dalle entrate pubblicitarie rappresentano un lauto guadagno e, soprattutto, i cantanti e le case discografiche vedono nuovamnete Sanremo come un elemento imprescindibile per la carriera di un cantante. Tornano tutti i grandi di oggi, vengono lanciati i grandi di domani, e ci si preoccupa di fare lavoro di qualità, sia musicalmente che televisivamente, ma continuando a ritenere prioritario l’aspetto musicale, perché è per tutti, ancora, la vetrina più importante della musica leggera italiana. Una situazione di stasi, che lascia tutti tranquilli, quindi. Come tranquilla, a parte dei momenti di marginale tensione per la città di Roma, è la situazione sociale e politica italiana. Solo la nomina del nuovo presidente ENI smuove il Parlamento, mettendo in crisi Fanfani. Anche le notizie dall’estero, anche terribili, come l’inasprirsi del conflitto tra Iran e Iraq, e il rischio di una guerra allargata, dato che tutti i Paesi mediorentali sono coinvolti (avendo dato l’appoggio all’Iraq di Saddam Hussein), sembrano non preoccuparci. L’Italia ha riconquistato l’ottimismo perso da almeno 15 anni, e affronta tutto con sicurezza e dignità. In questa fase di stabilità e tranquillità, anche il Festival di Sanremo vuole evitare polemiche e inutili rischi e si comincia da subito a cercare di rendere inattaccabile l’intero meccanismo. Il Festival di Sanremo del 1983 parte mettendosi subito al riparo dalle polemiche che l’anno precedente ha rischiato di far chiudere i battenti alla manifestazione. Così la Publispei di Gianni Ravera invita tutti i comuni a candidarsi per ospitare una giuria e, su 500 che hanno risposto, ne vengono scelti 60. Ogni giuria è composta da 25 persone, anche se solo in 20 votano, mentre i restanti 5 sono “supplenti”. Una delle discussioni nate intorno al Festival di Sanremo, è relativa alla presenza dell’orchestra, che ormai manca da qualche anno, sostituita dalle basi, ma purtroppo il direttore artistico è perentorio e dichiara l’impossibilità del ritorno dell’orchestra per il costo che questa avrebbe per l’organizzazione, e all’opposto invece si concede spazio al playback che quest’anno è una possibilità scelta da quasi tutti i cantanti in gara, tranne che da Gianni Nazzaro, Gianni Morandi, Toto Cutugno e Amii Steewart. Per continuare a rincorrere i piccoli, che saranno a breve ascoltatori e acquirenti di dischi, si decide per qualcosa che possa entrare nelle case in maniera costante e duratura, meglio di una sigla, ascoltabile solo per tre giorni. Quindi per la prima volta il Festival di Sanremo ha una mascotte, il SUPERLEO, che è anche protagonista della sigla d’apertura di questa edizione.
A condurre il Festival, viene chiamato Andrea Giordana, attore molto popolare per alcune sue interpretazioni molto apprezzate, a cui vengono affiancate la modella Isabel Russinova e le giovani conduttrici di Discoring Aanna Pettinelli e Emanuela Falcetti, che quindi portano avanti l’esperienza della conduzione radiofonica inaugurata e mantenuta in auge da Claudio Cecchetto per i tre anni precedenti e soprattutto esplosa sulle televisioni commerciali. A loro 4 si vanno ad aggiungere anche i padroni di casa del Casinò sul cui palco si esibiscono, come durante l’anno precedente, gli ospiti: Daniele Piombi e Roberta Manfredi. Prima del Festival, la Chin per promuovere la musica italiana in radio e avvicinare i giovani all`ascolto dei nostri programmi, organizza un viaggio a Sanremo per gli ascoltatori. Alla nostra proposta, vi parteciperanno 40 ragazzi e ragazze, capitanati da Peter Maiuri, vincitore del Festival della Canzone italiana a Toronto. A Franco Valli, viene dato il compito di giudare la comitiva. Johnny Lombardi ed io arriviamo un paio di giorni prima a Sanremo per visionare la logistica, mentre Franco Valli e i ragazzi arrivano a Sanremo via Milano in pulman. Gli organizzatori sono entusiasti di questa nostra iniziativa e l`uffico stampa della Rai, mi chiede di partecipare alla serata finale in veste di ospite d`onore, risarvandomi la prima fila del teatro Ariston. Durante la trasmissione, la giornalista Manuela Falcetti, conduttrice del Festival mi chiede di dare un parere sul Festival e di come e` percipito all`estero. Quando racconto che il Sanremo in Canada è talmente seguito e per dimostrarlo abbiamo portato 40 ascoltatori della Chin, la platea scoppia in un applauso da stadio. Per me è un momento d`orgoglio essere intervistato dalla Rai, ma soprattutto un riconoscimento al nostro lavoro di giornalista. Intanto il motivo principale che porta l’organizzazione a dare la possibilità ai cantanti in gara di avvalersi del playback è dato dal fatto che a Sanremo è arrivata un’ondata di influenza che ha colpito molti dei partecipanti al Festival, anche se principalmente, per la forza con cui questa è esplosa, Dori Ghezzi e Barbara Boncompagni, che già all’epoca era una sconosciuta raccomandata perchè figlia di Gianni, già pezzo grosso in RAI. Già nel 1955 la registrazione arriva sul palcoscenico, mentre nel 1964, a causa del playback, Bobby Solo su escluso dalla finale. Ma dal 1983 il playback diventa un’opportunità per non rischiare di mandare all’aria tutti un lavoro a causa dell’emozione o di altro. Quella che sembra una conquista per le case discografiche, rappresenta invece un nuovo rischio per l’intera manifestazione, in quanto va a tradire l’essenza di una manifestazione musicale. In effetti è l’anti-Sanremo che si appresta a conquistare il palco del Festival. La serata finale è dunque all’insegna del “facciamo finta di cantare”. Dei 26 cantanti in gara solo in 4 decidono di esibirsi dal vivo e sono: Gianni Nazzaro, Gianni Morandi, Toto Cutugno ed Amii Stewart. Anche chi potrebbe contare su un’ottima tecnica vocale, va sul sicuro, come ad esempio i Matia Bazar (foto sotto), che non sono stati convinti del troppo scivolare in falsetto della Ruggiero durante la prima esibizione di Vacanze Romane. Infatti inizialmente anche loro optano per l’esibizione del vivo, ma la paura che la tensione non
permettesse la giusta resa, li porta a decidere infine per il disco di fondo e le labbra che si buovono, mentre le mani fanno finta di suonare. Nella prima fase, tutti i cantanti si esibiscono e ottengono un punteggio che li mette in graduatoria. Da questa si dividono gli appartenenti ai due gruppi in gara e si qualificano al girone finale, la “finalissima” i primi tre classificati del girone A e i primi 3 del girone B.
Gli altri si piazzeranno in classifica in base al punteggio ottenuto e dunque alla posizione che avevano raggiunto nella prima graduatoria. Nella seconda fase, si esibiscono nuovamente i primi sei classificati, che saranno dunque tre aspiranti e tre campioni. Ma il podio sembra certo già dalle prime esibizioni, dato che Tiziana Rivale e Donatella Milani sina dalle prime votazioni delle semifinali per gli aspiranti, ottengono il punteggio più alto. SARÀ QUEL CHE SARÀ si impone per le giurie demoscopiche. È la prima volta, da quando c’è l’accesso in finale diretto per alcuni cantanti, che a vincere è un componente del gruppo degli aspiranti, ma in questa edizione non ci sono dubbi! Nel
1980 un aspirante è arrivato secondo, mentre sia nel 1981 che nel 1982 si sono fermati alla medaglia di legno arrivando quarti. A causa dell’affermazione di TIZIANA RIVALE come vincitrice assoluta e di DONATELLA MILANI come seconda classificata, davanti alle più quotate canzoni presentate da Dori Ghezzi, Matia Bazar e Toto Cutugno, dall’anno dopo verrà istituita una gara nella gara, dando vita alla sezione NUOVE PROPOSTE. In realtà, il fatto che proprio nell’anno in cui si sia chiesto di rendere note da subito le giurie, con tanto di bando pubblico, fa destare sospetti maggiori sulla gestione precedente da parte di Gianni Ravera. Per la prima volta si sperimenta il voto popolare, in realtà una sperimentazione la si era già fatta negli anni sessanta, ma senza dare un’ufficialità al voto del pubblico. Invece nel 1983 si chiede ai giocatori del TOTIP di indicare, accanto alle loro giocate abituali, la loro canzone preferita del Festival. Quella che ne verrà fuori sarà una classifica informale, ma dato il successo della proposta, il metodo di voto verrà adottato per tutti i restanti anni ottanta, permettendo quindi l’acclamazione del vincitore solo qualche giorno dopo, per il conteggio dei voti. Per far risaltare i fiori, il palcoscenico atto alle esibizioni è posto rialzato rispetto al resto del palco. Questo espediente scenico, voluto per una clausola che permette al Comune di Sanremo di vedere riconosciute le sue bellezze, con una effettiva valorizzazione durante il Festival, fa nascere polemiche tra gli organizzatori e i fotografi, i quanli sciopereranno fino alla possibilità di essere messi in condizioni tali da poter svolgere il loro lavoro. Altre polemiche sorgono per la composizione dei due gruppi in gara. Anche FABRIZIO DE ANDRÈ è presente all’Ariston. Aveva già accompagnato la sua fidanzata Dori Ghezzi a Sanremo nel 1976, ma restando in albergo. Questa volta invece è in platea, si fa vedere a teatro, ed esprime ammirazione verso i cantanti che partecipano al Festival di Sanremo, dicendo: “I veri eroi della canzone sono loro, non io, i Dalla, i De Gregori, i Bennato, che facciamo i baroni della canzone nella nostra Torre d’Avorio. Chi ha il coraggio di venire qua in questo macello perché non ha altro modo per lanciare il suo lavoro è da ammirare veramente!” Gli ospiti in questa edizione saranno tanti. Tra loro RAFFAELLA CARRÀ, I COMMODORES, JOHN DENVER, K.C. & THE SUNSHINE BAND, I SAXON, FRIDA, ex componente degli ABBA che si sono sciolti da poco, i celebri pianisti polacchi MAREK & VACEK (foto sotto), PIPPO FRANCO con un divertente brano sulla scia dei suoi precedenti successi, TOQUINHO che presenta uno dei brani più popolari, per quanto tra i più semplici e banali, del suo repertorio (ACQUERELLO), DOMENICO MODUGNO, per la terza volta ospite fuori concorso al Festival e unico tra gli ospiti a scegliere di esibirsi dal vivo, sarà la sua ultima presenza a Sanremo, che 25 anni prima gli ha regalato fama e successo internazionale, prima che per un problema di salute lo porti via dalle scene nel 1984.
Il 1983 dunque, per il Festival di Sanremo, rappresenta un anno di transizione. A cavallo tra il passato e il futuro della manifestazione, ma incline a quello che sarà. Vede l’affermazione definitiva di Vasco Rossi, il successo di Zucchero e di Fiordaliso, il debutto di Amedeo Minghi, l’arrivo sul palco della musica elettronica, soprattutto utilizzata senza parsimonia dai Matia Bazar che non si sono mai limitati nella sperimentazione. È l’ultimo anno in cui sono ammesse alla gara canzoni in una lingua diversa dall’italiano (o da uno dei dialetti italiani) e l’ultimo con un solo vincitore (tranne che per il 2004). Il premio della critica comincia ad essere un’abitudine, utile per contrastare il giudizio del pubblico, andando a evidenziare quella che è la scelta della giuria composta invece da esperti nel settore. Si comincia quindi ad assegnare il premio al vincitore che viene scelto dalla stampa e dalla critica specializzata, che raramente corrisponderà al giudizio delle giurie (la prima volta tra i big sarà nel 1995, poi nel 2001, 2007 e infine nel 2011). TOTO CUTUGNO è tra i favoriti per la vittoria con un brano patriottico che richiama lo spirito italiano e che molti riconducono alla vittoria ai mondiali dell’estate del 1982. Nonostante le giurie demoscopiche lo lascino al quinto posto, si rifarà grazie al voto popolare, che lo vede primo con circa 550 mila voti, e anche con l’apprezzamento della critica che pone l’italiano al secondo posto per l’attribuzione del premio della critica. Dopo il Festival di Sanremo del 1976, DORI GHEZZI sposa Fabrizio de André e nel 1979 vive la tragica esperienza del sequestro durato 4 mesi e che la porta per un breve periodo ad allontanarsi dai riflettori. A Sanremo torna nel 1983 e dopo una volata riesce a superare i favoriti Matia Bazar e Toto Cutugno e risulta prima nel girone B, anche se nella classifica finale sarà solo terza. Vasco Rossi si schiera nettamente a favore della liberalizzazione dell’eroina e delle droghe pesanti perché “si potrebbe evitare a migliaia di giovani di rubare, di prostituirsi e spesso morire per mantenere le organizzazioni criminali dello spaccio.”
XXXV Il 1984 ha regalato a Sanremo una bellissima edizione. Molte delle canzoni che hanno partecipato sono entrate, e rimaste, nell’immaginario collettivo e impresse indelebilmente nella memoria, anche di chi all’epoca nemmeno era nato, o era troppo giovane per ricordarsi di averle ascoltate da qualche parte: semplicemente quei brani adesso fanno parte della nostra cultura. Però è da dire che l’esito del Festival ha scontentato tutti. Le case discografiche in primis. La vittoria di due cantanti partite dal nulla e che nel nulla sono poi ricadute, quasi subito, ha acceso un segnale d’allarme per chi investe denaro per cantanti ben più affermati, e una certificazione come la vittoria al Festival di Sanremo (cosa che accade anche oggi), permette di aumentare i cachet per le serate, aumentare i prezzi dei biglietti, e soprattutto permette una promozione battente senza troppi sforzi. Anche la RAI e il Comune di Sanremo hanno ritenuto che questa situazione potesse ledere l’immagine della manifestazione e farle perdere l’appeal che si era riguadagnata sul campo. Proprio per ovviare alla situazione difficile ed evitare di ricadere nell’oblico, come un decennio prima, l’organizzazione corre ai ripari. Le case discografiche hanno vinto: avrebbero rinunciato ad inviare nomi noti e di maggiore successo se non fosse stata assicurata loro la “bella figura”. Il Festival viene visto da loro, e anche dai cantanti in gara, come una passerella televisiva, un ulteriore modo per promuovere il loro lavoro, e deve quindi essere a prova di errore. Diventa così obbligatorio il playback, senza distinzione tra cantanti in gara e ospiti, senza possibilità di scelta, come fu nel 1983, e si inaugura l’era del “far finta di cantare”. Già da qualche anno si erano debellate le orchestre a favore delle basi musicali, che in più occasioni hanno creato scompiglio e favorito l’eliminazione di canzoni date come sicure finaliste (vedi Sibilla e Daniela Goggi nel 1983). Il motivo per cui si opta verso il mimare le canzoni sta nel fatto che le case discografiche non vogliono rischiare e vogliono presentare al pubblico il prodotto finito, senza che ci possano essere sorprese. Inoltre, come già accennato prima, il regolamento si trasforma e nascono due concorsi separati. Già in passato si era provato a mantenere due sezioni separate nella gara festivaliera, con due vincitori, ma nel 1957 ad essere divisi erano gli autori, e dunque le canzoni. Nel 1984, nasce così la sezione NUOVE PROPOSTE che raccoglie gli aspiranti cantanti che intendono affermarsi sulla scena nazionale. Nel 1984 troviamo tra loro Eros Ramazzotti, giovane debuttante che si era fatto notare a castrocaro; Marco Armani, Giorgia Fiorio e Flavia Fortunato, già tra gli aspiranti nel 1983, raggiunsero la serata finale ma non il successo sul mercato; Canton; Valentino; Ivano Calcagno; Fabio Vanni; Dhuo; Giampiero Artegiani; Luigi Sutera; Santandrea; Rodolfo Bacchelli; Richter, Venturi e Murru; Trilli; Collage, in-
giustamente retrocessi tra le nuove proposte, dopo il secondo posto ottenuto nel 1977, un quarto posto nel 1980 e l’ottimo riscontro ottenuto sul mercato dalla metà degli anni settanta, e per giunta eliminati. Naturalmente nel corso degli anni si proverà ancora a unire nuovamente le categorie nel 1998, ritrovandosi come nel 1983; nel 2004 anno di transizione come fu il 1975; e nel 2005 e 2006 ma solo formalmente, oltre che a riabilitare la categoria degli aspiranti, tra i cantanti presenti nelle nuove proposte l’anno prima, ripresentando però poi la stessa situazione del 1983, con Giorgia che supera Gianni Morandi nel 1995 e i Jalisse che superano Anna Oxa nel 1997. Il padrone di casa della XXXIV edizione del Festival di Sanremo è Pippo Baudo, alla sua seconda presenza sanremese dopo il 1968, ma volto di punta della RAI. Accanto a lui chiama 4 vallette: 2 modelle e 2 attrici. Si tratta di Elisabetta Gardini, che aveva debuttato l’anno prima a Domenica In, Iris Peynado, modella e attrice di origine dominicane, Tiziana Pini, già a sanremo nel 1976 e Edy Angelillo attrice che ha debuttato nel 1979 e che si sta facendo conoscere e apprezzare in quel periodo sotto più aspetti. A loro inoltre saranno affiancate anche due bambine già note al pubblico per essere testimonial in alcuni spot: Isabella Rocchietta e Viola Simoncioni. Dal teatro del Casinò ci sarà ancora Daniele Piombi per presentare gli ospiti che si esibiranno da quel palco. MINA TORNA A SANREMO, anche se solo come interprete della sigla d’apertura. La sua ultima partecipazione a Sanremo risale al 1961, mentre alcune volte è stata presente tra il pubblico. Il settimanale TV SORRISI E CANZONI è partner ufficiale della manifestazione canora e promuove la nuova modalità di voto attraverso le sue pagine. La voce passa al popolo grazie alla gara del Totip che l’anno prima aveva portato oltre 4 milioni e mezzo di voti, non ufficiali però. Il vincitore sarà quindi decretato esclusivamente dai voti che perverranno grazie al TOTIP, come già successe nel 1961 e nel 1962 con l’enalotto. Naturalmente questo metodo di voto porta delle polemiche già note alle gare canore (famosi i casi di accuse di gara truccata a canzonissima) poichè si ritiene che chi ha il budget più alto possa votare per il cantante della propria casa discografica, e anche i cantanti stessi possono investire su loro stessi, come Al Bano che dichiara di aver giocato al Totip per inviarsi 100mila voti degli oltre 2 milioni che ha ricevuto. Per la sezione NUOVE PROPOSTE a vincere sarà SANTANDREA con LA FENICE, mentre per la gare principale, per la sezione Big italiani e stranieri, a vincere è PATTY PRAVO con PER UNA BAMBOLA. Ieratica ed eterea, Patty Pravo ha conquistato tutti con la sua eleganza, con un’interpretazione impeccabile e con la padronanza scenica che nessun altro può vantare. Torna a Sanremo dopo 14 anni da quando proprio per lei fu istituito il premio di “miglior interpretazione” che non sarà più attribuito (a parte nel 1997 per premiare Alex Baroni e
Domino), e a volerla in gara è anche Caterina Caselli. La serata finale non vede molto movimento, a parte una carrellata di ospiti che promuovono i loro successi televisivi o discografici e l’inizio con i metalmeccanici, che svilupperò meglio tra gli aneddoti. A vincere, grazie ai voti del Totip, resi noti solo il giorno dopo durante Domenica In, saranno AL BANO E ROMINA POWER, seguiti da TOTO CUTUGNO e da CHRISTIAN. Il trionfo del populismo fa anche pensare che i timori della gara truccata (investimenti si chiamavano allora) fossero fondati, dato che i primi due classificati appartengono alla BabyRecord, che investe miliardi ogni anno per la promozione dei suoi cantanti. A trionfare facile tra le Nuove Proposte è EROS RAMAZZOTTI che viene votato da 1/3 dei giovani che fanno parte delle giurie. Durante le eliminatorie queste giurie potevano scegliere tre brani, ma in finale erano obbligati a dare il nome del loro preferito. Così sarà Terra Promessa ad avere la meglio su brani scritti da Ron, Luca Carboni, Enrico Ruggeri o Riccardo Cocciante, oltre che su nomi già noti come Giorgia Fiorio o i Collage. Dopo il Festival per Ramazzotti è il trionfo anche sui mercati che si fanno conquistare facilmente sia in Italia che nei paesi ispanici. Importante comincia ad essere anche la scenografia, che rende il Festival sempre più un evento televisivo. La scenografia del Festival comincia ad avere in sè degli elementi che diventano distintivi per quasi tutte le successive edizioni, come la SCALINATA che occupa quasi la metà del palcoscenico, che a volte viene usata solo come elemento di decoro, altre volte per accedere al palco. Al Festival di Sanremo viene sdoganata definitivamente la starsystemizzazione del Festival e della scena musicale italiana. Più che alle canzoni si comincia a prestare attenzione a chi
è lo stilista che veste le cantanti in gara, da chi si fanno accompagnare, cosa dicono le star più in vista. Nasce quindi il divismo strumentale anche in Italia, quello che alimenta solo il gossip e che soddisfa la voglia di spettegolare e il voyerismo che abbiamo visto esplodere anche in alcuni salotti televisivi. Questo però si sviluppa togliendo spazio alla qualità, che spesso viene dimenticata a favore della meno importante immagine del divo da promuovere e su cui puntare per un periodo spesso breve. AL BANO e ROMINA POWER sono sposati ormai da quasi 14 anni, e da qualche anno girano il mondo in coppia offrendo al pubblico entusiasta concerti che li vede duettare e proporre insieme anche il repertorio singolo di entrambi. Dopo il secondo posto ottenuto nel 1982 ci riprovano e riescono a sbaragliare la concorrenza ottenendo oltre 2 milioni e 100 mila voti Totip e doppiando il secondo classificato. Ormai hanno centrato una cifra stilistica che riesce a mettere in evidenza le doti vocali di entrambi e a conquistare il pubblico più popolare in Italia come nel resto d’Europa. Grazie a questa vittoria saranno scelti dalla RAI per rappresentare l’Italia all’Eurofestival nel 1985. CHRISTIAN riesce a raggiungere, grazie al voto popolare, il terzo posto a Sanremo con questa che a mio parere è l’unica canzone ascoltabile del suo repertorio. TOTO CUTUGNO, dopo i trionfi sui mercati esteri (soprattutto dell’est) e italiani, grazie alla canzone che ha presentato a Sanremo nel 1983, spera in una sua seconda vittoria e rimane deluso per il secondo posto, attribuendo alla casa discografica un mancato interesse a farlo affermare. Sarà per lui la prima di ben 6 volte al secondo posto come interprete. RICCARDO DEL TURCO torna a Sanremo interrompendo la fortunata esperienza con Jimmy Fontana, Nico Fidenco e Gianni Meccia temporaneamente. Dopo la partecipazione a Sanremo, l’ultima, si rituffa nel revival e nella sua nuova missione di talent scout e produttore. DRUPI torna a Sanremo dopo il terzo posto del 1982 e soprattutto dopo aver sbancato il mercato dell’est Europa dove, proprio in quegli anni, è diventato popolarissimo. Al suo terzo Festival consecutivo e dopo il successo personale che questi anni le hanno regalato, FIORDALISO partecipa finalmente alla gara inserita tra i big della canzone, presentando quello che sarà il suo più grande successo e che segnerà anche la sua carriera, restandole incollato indelebilmente, anche a distanza di oltre 30 anni da quando l’ha cantato la prima volta.. PUPO arriva a Sanremo in corsa per sostituire Loretta Goggi che decise di ritirarsi dalla gara poco prima dell’inizio della manifestazione, tanto che erano già state stampate le schedine. Questo vuol dire che per votare per Pupo bisognava segnare Loretta Goggi. Arriverà quarto, ma durante una trasmissione del 1992 ha dichiarato di aver investito 75 milioni di lire per raggiungere il quarto posto.. in pratica si è votato da solo. ENRICO RUGGERI torna a Sanremo dopo l’esperienza entusiasmante dei Decibel che lo
vide raggiungere la finale nel 1980. Solo qualche mese prima ha inaugurato la sua carriera solista ottenendo da subito un grande successo e con questo suo nuovo inizio si ritroverà a percorrere una strada costellata di successi, affermazioni e premi. Gaetano Curreri, Ricky Portera, Giovanni Pezzoli, Marco Nanni e Fabio Liberatori sono gli STADIO. Nati in occasione del Banana Republic Tour per accompagnare Dalla e De Gregori, mantengono la formazione anche dopo la conclusione dell’esperienza live. Firmano qualche colonna sonora ed esplodono nel 1982 raggiungendo un grande successo. Gli anni ottanta sono per loro ricchi di soddisfazioni e in questo periodo cominceranno a collaborare anche con altri grandi nomi della musica italiana, come ad esempio Vasco Rossi. IVA ZANICCHI torna in gara, dopo aver partecipato come ospite per due edizioni di fila nel 1978 e nel 1979, a distanza di 10 anni dalla sua ultima presenza, con vittoria. Ammette di aver gestito male la sua carriera musicale, ma ormai si appresta a diventare un personaggio televisivo dando priorità all’aspetto della conduzione a quello della musica. Anche le nuove proposte hanno qualcosa di buono in serbo:. EROS RAMAZZOTTI esordisce a Castrocaro nel 1981 e dopo un paio d’anno interlocutori arriva a Sanremo dove stravince e si afferma come scommessa vinta da parte di Gianni Ravera che sin da Castrocaro ha puntato su di lui. Con il brano che gli ha fatto vincere la sezione nuove proposte comincia a conquistare il mercato spagnolo e sudamericano e le partecipazioni sanremesi successive lo aiutano a consolidare il ruolo di spicco che da subito si è ritagliato nella scena mondiale.
XXXVI Il 1985 per Sanremo è stato un trionfo sotto tutti i fronti. FESTIVAL ARCOBALENO. L’ERA DELL’IMMAGINE. LA SUPREMAZIA DEL FARAONE Sono stati accontentati tutti: il pubblico in primis, dato che le proposte musicali sono state variegate e interessanti; poi vincitori sono usciti anche i cantanti e le case discografiche che si sono viste accettate pian piano ogni richiesta lanciata. Prima l’orchestra, vista come superflua e inutile ai fini della presentazione del prodotto, poi il playback, per evitare le sbavature di cantanti evidentemente buoni solo con l’autotoon che aggiusta la voce, e invine con la separazione delle gare tra campioni, spesso meno importanti e capaci, e le nuove proposte, che devono sgomitare per un posto nell’olimpo musicale italiano. Però anche loro, i giovani, possono rallegrarsi dato che il superamento delle eliminatorie li porta a poter vincere proprio un premio da poter inserire nel proprio curriculum artistico. Il Festival di Sanremo continua ad essere un veicolo promozionale non indifferente. Francesco Di Giacomo de Il Banco dice che venire a Sanremo equivale a fare dieci volte di fila Domenica In. Ci sono cantanti che sanno già in partenza che non vinceranno mai (Il Banco, Ivan Graziani, Mimmo Locasciulli, Garbo, Eugenio Finardi) ed altri che ci sperano (New Trolls, Drupi, Riccardo Fogli, Marco Armani). Altri invece che hanno più che una speranza (Ricchi & Poveri, Christian, Fiordaliso, Anna Oxa, Eros Ramazzotti, Matia Bazar, Gigliola Cinquetti). Altro non fosse che per l’esperienza delle ultime edizioni dove si è visto trionfare un genere nazionalpopolare. Per questo motivo, nonostante le ritrosie verso la manifestazione, anche chi si è sempre trovato ad essere titubante e restio verso la kermesse ne prende parte, come Eugenio Finardi che dichiara: “Sedici anni fa se avessi partecipato a Sanremo al mio ritorno mi avrebbero picchiato con le spranghe o sparato”. Ma Sanremo, come sempre accade, non è fine a se stesso: può anche non far vendere dischi, ma comunque assicura perlomeno nove mesi di serate e ospitate televisive che non è cosa da poco. Tutti parlano male di Sanremo, salvo poi tornarci l’anno successivo. Fa parte delle grandi ipocrisie italiane. Vanno di moda due paragoni sfruttatissimi e diventati ormai luoghi comuni: la DC, a sentire gli italiani, non la votava nessuno e comunque era sempre la più votata; Orietta Berti non la poteva vedere nessuno, se non le massaie di Mondovì, e
invece ogni anno era in finale in qualche manifestazione grazie alle cartoline del pubblico. Vincono i Ricchi & Poveri con SE M’INNAMORO, una canzone festivaliera adatta alla competizione anche se non certo la migliore del trio. Al secondo posto Luis Miguel con NOI RAGAZZI DI OGGI: brano parecchio orecchiabile e ruffiano, come tutte le canzoni del suo autore (Toto Cutugno). Coautore di entrambe le canzoni è Cristiano Minellono che quindi tra le polemiche riesce a piazzare una doppietta, bissando anche la vittoria dell’anno precedente. Al terzo posto un altro disco targato Baby Records, casa discografica al centro delle polemiche per l’investimento miliardario che fa per far risaltare i brani interpretati dai cantanti posti sotto contratto con lei, che infatti trionfano facilmente, CHIAMALO AMORE di Gigliola Cinquetti. Tutti gli addetti ai lavori malignano su questo doppio podio della Baby Records che a quanto pare ha investito talmente tanto sul TOTIP, da aver vinto qualche 12 e anche 4 delle sei auto messe in palio dal concorso, ma sulla Cinquetti nessuno osa dire nulla. Le malignità sono riservate al solo Naggiar e ai Ricchi & Poveri nonostante questi abbiano dimostrato per anni il loro valore. Ma è proprio questo a far nascere polemiche: fanno vedere qualità elevatissima e poi vincono con la loro canzone più brutta? Al quarto posto uno spento Riccardo Fogli, al quinto un raccomandatissimo Christian, al sesto Eros Ramazzotti. Anche lui all’epoca aveva tutti contro e quasi nessuno spendeva parole positive nei suoi confronti che pure, nonostante la vittoria legata alla sua amicizia con Ravera l’anno prima, ha fatto tacere tutti i maligni trionfando sul mercato. – Poi c’è Cristiano De Andrè, figlio d’arte, già “Tempi Duri”, che se non fosse stato figlio di Fabrizio probabilmente non sarebbe stato riciclato come solista nei giovani, dato il mezzo fallimento con il complesso. Canta BELLA PIÙ DI ME, della quale è coautore e che vincerà il premio della critica per la categoria giovani. – Passiamo a Silvia Conti, che è stata richiamata al Festival dopo l’esclusione dell’anno precedente a causa del fatto che il brano proposto non risultava essere indedito. Porta una canzone scritta da Aldo Tagliapietre delle Orme: LUNA NUOVA. – Ed ecco il Valentino dei poveri, Rodolfo Banchelli, che porta una canzone meno brutta dell’anno precedente; si chiama BELLA GIOVENTÙ, ma non raggiunge nemmeno questa volta la finale. – E per concludere il giovane meno giovane di tutti che stranamente è stato inserito in questo girone, Mango. Beh, non dimentichiamoci che nel 1982 tra i giovani c’erano anche Claudio Villa, Orietta Berti e Michele Zarrillo! Comunque Mango, cantante da circa una decina di anni con all’attivo parecchi album; canta IL VIAGGIO.
PIPPO BAUDO è per la terza volta padrone di casa al Festival. nere un basso profilo, componendo musica utile quasi esclusivamente al consumo entro i confini nazionali. SE M’INNAMORO dei RICCHI E POVERI è canzone vincitrice di questa edizione del Festival di Sanremo. Banalotta e scopiazzata, rappresenta per il gruppo, nato 15 anni prima, una conferma del successo che da quando sono diventati un trio stanno riscuotendo. Seconda arriva NOI, RAGAZZI DI OGGI cantata da LUIS MIGUEL, assoluta rivelazione della 35° edizione del Festival e nessuno avrebbe scommesso in realtà su di lui. Il giovane italo-messicano conquista (per qualche mese) l’Italia, interpretando le “soffuse” e “poco appariscenti” musiche di Toto Cutugno e la “profonda” natura poetica di Cristiano Minellono. Meno male che poi ha cambiato rotta, mantenendosi sul pop, ma di più ampio respiro. A chiudere il podio troviamo CHIAMALO AMORE di GIGLIOLA CINQUETTI, che torna al Festival dopo un’assenza di dodici anni. Il delicato brano, firmato da Antonio Cassella e Dario Farina, viene ben interpretato da una sofisticata e misurata Cinquetti, tra l’altro, particolarmente apprezzata per l’eleganza ed il fascino. Terzo posto meritato anche se nelle intenzioni della sua casa discografica era lei la vincitrice designata, poi superata dai più popolari presso il pubblico dei totip. È importante però sottolineare che la musica ha cambiato modo per essere prodotta e consumata. Sanremo ha visto l’evoluzione del modo di fruire della musica, passando dagli spartiti acquistati per lo più dalle varie orchestre che si esibivano in radio dal vivo, alla diffusione dei microsolchi, poi i 78 giri, poi i 45, i 33, i JukeBox, i grandi divi che assumono talmente tanta importanza che un brano è bello se cantato da quel cantante piuttosto che da quell’altro. Da qualche mese la musica ha trovato un nuovo modo per diffondersi. In passato alcuni artisti hanno girato filmati per accompagnare le loro canzoni e già negli anni sessanta in Italia con gli sketch musicali e i musicarelli si era pensato ad associare l’immagine alla musica, ma è nel 1984 che questo diventa un nuovo business capace di decretare il successo o meno di una canzone. È l’era delle immagini (come canterà 12 anni dopo Silvia Salemi) e alcuni artisti vengono snobbati dai giovani perchè non hanno un video in programmazione nelle televisioni musicali nata proprio per questo scopo. Lo stesso Baudo, che presenta Sanremo, dà molto più risalto agli ospiti stranieri (che sono noti, ma l’importanza che gli attribuiamo noi italiani non gliela dà nessuno in nessuna nazione!) che ai concorrenti italiani. L’enfasi che spende per gli Spandau Ballet e i Duran Duran non ha gli stessi toni di quando deve annunciare Anna Oxa o Fiordaliso. Il 1985 è anche l’anno di un caso mediatico non indifferente che segna la vita e la carriera di una delle più grandi artiste italiane di tutti i tempi. Nel 1982 Sanremo ospitava MIA MARTINI e la stampa specializzata e la critica facevano nascere il premio della critica (appunto) per tributare a questa splendida interprete un pre-
mio che la facesse risaltare tra gli altri finalisti. Poi però qualcosa è cambiato. Nel mondo musicale e dello spettacolo si comincia a diffondere la voce che Mia Martini portasse sfiga, e fu così allontanata da tutti, lasciandola nel silenzio e portandola alla depressione dalla quale non uscirà più nonostante il rinnovato successo arrivato nel 1989. Nel 1985, Mia Martini inviò la sua candidatura con “Spaccami Il Cuore” scritta da Paolo Conte. Ma la commissione selezionatrice si rifiuta di ascoltarla dicendo “se la ammettiamo va a finire che crolla il Festival”. Uno scempio. UNO SCHIFO! Nonostante le apparenze e lo spazio risicato l’asciato per l’ascolto dei giovani, dal Festival di Sanremo del 1985 parte un’inversione di marcia che porterà all’affermazione proprio dei gusti dei giovani. Vuoi perchè ormai il Festival è solo una grande vetrina, vuoi che la presenza degli ospiti internazionali rende goloso il pubblico più giovanile e meno raffinato, ma la presenza di Garbo, Finardi, Graziani, Fioraliso, Ramazzotti, Luis Miguel e altri tra i big, segna il passaggio di testimone, lasciano alle vecchie glorie solo lo spazio per potersi esibire e la possibilità di qualche altra bella ospitata televisiva. Nel 1985 uno dei tabù della televisione di stato italiana, e anche di parte della stampa italiota, viene rotto: si parla esplicitamente di omosessualità! Ma non si deve decisamente credere che sia stato sdoganato l’argomento. Certo, anche in passato a Sanremo sono arrivati cantanti dichiaratamente omosessuali o è stato dato risalto ad autori omosessuali (pensiamo ad esempio a Umberto Bindi o a Cristiano Malgioglio), e anche alcuni degli ospiti di questa edizione erano già stati a Sanremo. Ma dall’inizio degli anni ottanta qualcosa è cambiata e il dibattito sulla questione omosessuale si fa più grande e pressante. Nel 1980 nacque il primo circolo Arcigay a Palermo e nel 1982 diventa un’associazione di importanza nazionale con sede a Bologna. Grazie all’organizzazione associativa, il dibattito si amplifica e arriva su più fronti, e per la prima volta la stampa associa il movimento omosessuale anche al Festival di Sanremo. Dopo l’exploit dell’anno precedente, il 1985 per EROS RAMAZZOTTI è l’anno della conferma e torna al Festival con un accattivante brano, ben scritto da Adelio Cogliati e Piero Cassano. Si piazza al sesto posto ma conquista le hit parade italiane ed estere.
XXXVII Sanremo: 36° Si torna a cantare . Il caso Bertè. I primi anni ottanta hanno relegato il più importante festival della canzone italiana, e tra i più importanti del mondo, ad una manifestazione macchiettistica che fungeva esclusivamente da vetrina di prodotti confezionati, anche se ancora inediti sul mercato, privando il pubblico delle emozioni e delle bellezze di una gara. Nel 1986 molte delle certezza (negative) che dalla fine degli anni settanta hanno fatto perdere valore e credibilità sulla scena musicale, decisamente peggio di quello che avvenne agli inizi dei ’70 con il rischio chiusura nel 75, legato più che altro alla concorrenza interna tra i varietà della RAI, che fecero disamorare le case discografiche, spariscono e si torna finalmente a qualcosa di musicalmente degno. Solo l’anno prima i discografici si dichiaravano restii all’idea che a Sanremo si potesse tornare a cantare dal vivo, anche se le dichiarazioni più forti le lasciarono alla possibilità del ritorno dell’orchestra, che comunque tornerà da lì a poco. Ma nel 1986 il regolamento prevede il ritorno delle voci dei cantanti sulle basi musicali, e addirittura il divieto che in esse ci fossero voci guida e coretti, tanto che alcuni hanno dovuto registrare nuovamente la base per evitare la squalifica, mentre altri si sono fatti accompagnare da coristi sul palco (come Loredana Berté che si fa accompagnare da Aida Cooper, nota corista che non riuscirà, nonostante le qualità a intraprendere la strada solista). Non sono poche le polemiche. Secondo alcuni la RAI non possiede i mezzi tecnici per esibizioni dal vivo, risollevando la questione dell’inadeguatezza tecnica della nostra televisione di Stato, problematica spesso richiamata anche in tempi recenti; secondo altri è una mattanza per i cantanti che avrebbero molti rischi in più cantando in diretta, anche se è più divertente, poiché non li si ritiene all’altezza di una manifestazione dal vivo, anche se poi li si elogia durante i loro tour Dopo due edizioni con la gara parallela delle nuove proposte, e il debutto di nomi importanti (all’epoca) come Eros Ramazzotti, Flavia Fortunato, Cristiano De Andrè e Mango, nel 1986 questa sezione non offre grandi sorprese, almeno a breve termine. I nomi che si faranno notare sono entrambi fuori dalla finale. Paola Turci e Gigi (Gatto) Panceri sono gli unici nomi che otterranno successo a partire da questa edizione, che però vede tra i partecipanti anche Aleandro Baldi, vincitore della sezione giovani nel 1992 e del Festival nel 1994. Del resto poche sorprese e poche canzoni che resteranno nella memoria collettiva in questa sezione che perde sul nascere l’importanza che stava cominciando ad avere, anche se poi negli anni ’90 la riconquista. Nel 1986 a vincere questo ambito riconoscimento è ENRICO RUGGERI, esordiente a Sanremo nel 1980 ma ormai richiesto autore e raffinato interprete, con RIEN NE VA PLUS. Questo per quanto riguarda la sezione principale della Gara, mentre tra i giovani delle nuove proposte a vincere, dopo la doppia premiazione del 1985, è LENA BIOLCATI con GRANDE GRANDE AMORE, anche vincitrice della sezione, facendo sì che per la prima volta critica e giurie vadano d’accordo.
A vincere è EROS RAMAZZOTTI, come già si vociferava da mesi grazie al suo exploit in Italia e all’estero. Ma durante la proclamazione, Renzo Arbore, arrivato secondo, non aspetta l’annuncio da parte della conduttrice (alza la mano di Eros subito dopo la proclamazione del terzo premio) e così nasce il sospetto che il vero vincitore sia in realtà lui e che, come aveva precedentemente detto, non volendo vincere avesse ceduto la vittoria. Mentre terza si piazza un’ottima Marcella. ANNA OXA offre al pubblico un look trasgressivo che mette in evidenza la sua femminilità. Non credeva di scandalizzare la stampa e il pubblico mostrando l’ombelico a Sanremo, dato che era stato sdoganato anni prima dalla Carrà nel corso di uno dei Varietà più seguiti della storia della televisione italiana, ma evidentemente i ben pensanti ritenevano Sanremo un tempio della bigottaggine e quindi scoppiò un caso che però venne messo in silenzio da un altro ben più grande. LOREDANA BERTÉ è la protagonista del caso dell’anno. Solo qualche anno prima aveva dichiarato che non sarebbe mai andata a Sanremo, partecipando come ospite fuori gara in una serata non strettamente associata a Sanremo, quasi un decennio prima. A distanza di poco tempo, eccola in gara con la sua forza espressiva e interpretativa che non si limita alla voce. Decide di portare sul palco i tre stadi principali della vita di una donna:
– durante la prima serata si presenta con un finto pancione, accompagnata da ballerine anche loro fintamente gravide. Alla polemica scoppiata risponde “volevo solo fare spettacolo sfruttando la fase più animalesca della femminilità, la gravidanza, dando l’immagine inedita della donna incinta aggressiva, forte, dinamica, sicura. volevo scioccare e volevo farlo proprio a Sanremo”, ma poi in un certo senso ridimensiona le sue dichiarazioni affermando “Perché il mio pancione è di cattivo gusto e il clarinetto no? io volevo lanciare un messaggio perché la gravidanza per una donna non è un momento di empasse né una ghettizzazione”. L’Europa dell’Est non è più un tabù, e dopo l’interesse mostrato dalle televisioni russe e dal pubblico dell’est, anche Sanremo si trasferisce lì. Ad appena 2 mesi dalla fine del Festival una delegazione di cantanti partirà per l’Unione Sovietica per un tour di Sanremo. Per ZUCCHERO questa quarta presenza sanremese sarà anche l’ultima. Sin da quando ha esordito tra gli aspiranti, ha sempre presentato brani raffinati che hanno raggiunto il successo ma che la classifica sanremese vedeva relegati al ventesimo posto o giù di lì. E se prima aveva bisogno di una grande platea per promuoversi e farsi conoscere, adesso non ha più questa necessità e si appresta a conquistare i mercati di tutto il mondo. Durante il Festival di Sanremo ha luogo un concorso collaterale, dedicato esclusivamente a cantanti stranieri, chiamato SanremoVideo. Sono in gara i videoclip che accompagnano i brani musicali del momento. Il vincitore è Absolute Beginners. ANCHE DAVID BOWIE HA VINTO SANREMO. Tra polemiche, scandali e musica la classifica finale è la seguente: 1 – Adesso tu (Eros Ramazzotti, Piero Cassano e Adelio Cogliati) Eros Ramazzotti- 2.667.284 voti 2 – Il clarinetto (Claudio Mattone e Renzo Arbore) Renzo Arbore- 2.185.692 voti 3 – Senza un briciolo di testa (Gianni Bella, Mogol e Geoff Westley) Marcella- 2.170.986 voti
XXXVIII 1987: Come diventa speciale e indimenticabile un Festival di Sanremo? L’ultimo saluto al reuccio Bastano le canzoni di successo in gara? E la morte di un grande della musica annunciata in diretta? Sono sufficienti i grandi ospiti internazionali? Ecco il caso del 1987, quando tutte queste cose acdero nella stessa edizione, la più seguita di sempre. Sanremo è quell’evento mediatico il cui successo è commisurato alla dose di curiosità suscitata nel pubblico. La curiosità sovente prescinde dalla qualità ed è per questo motivo che al Festival non c’è niente di scritto e prevedibile, tutto è vittima degli eventi. Il fatto che oggi, parlando della storia della kermesse, si citi la minaccia di un tentato suicidio in diretta come uno degli eventi simbolicamente più forti della storia di questa manifestazione, fa intendere come non vi sia una formula inattaccabile, una ricetta che generi la riuscita di un’edizione e non sia soggetta a migliaia di variabili. Nella storia recente, quella in cui Sanremo ha consolidato sempre più la sua reputazione di evento televisivo più acclamato e discusso dell’intera stagione televisiva e musicale, c’è stata una particolare edizione nella quale la qualità televisiva e delle canzoni in gara è coincisa con una dose consistente di imprevisti, complici ad aver creato un’aspettativa inattesa, quindi un’attenzione mediatica enorme. Si tratta del festival del 1987, quando il Muro di Berlino, sebbene vacillante, non era ancora caduto. Alla conduzione c’era Pippo Baudo, il Trio Solenghi-Lopez-Marchesini e Giorgio Faletti gli facevano da spalla comica e dal PalaRock era collegato in diretta Carlo Massarini, uno dei più esperti giornalisti musicali d’Italia. La morte di Claudio Villa, Patsy Kensit a nudo Furono molti i piccoli inconvenienti capaci di generare la necessaria dose di “hype” sul Festival di Sanremo 1987, altro che la sfortunata disavventura di Gabriel Garko, con l’esplosione della villa dove alloggiava a pochi giorni dal Festival di Sanremo 2016. Si tratta, appunto, di imprevisti di per sé irrilevanti che, mettendo in discussione la regolare riuscita della manifestazione restituiscono il senso del bello della diretta, l’idea che in quei giorni tutto quanto accada sia inesorabilmente irreversibile nei suoi effetti sulla manifestazione. Si iniziò dal ricovero improvviso del direttore del palcoscenico a pochi minuti dal debutto della prima serata, accompagnato dalla diserzione delle prove di Romina Power a causa della sua gravidanza, oltre che dall’influenza per lo stesso Baudo. Si aggiunse anche Patty Pravo che, venuta a conoscenza della somiglianza della sua canzone “Pigramente signora” con “To the
Morning di Dan Fogelberg”, misticamente svenne per l’emozione. A mettere una spunta sulla sezione “hot” ci pensò Patsy Kensit, che durante la sua esibizione perse una spallina dell’abito ritrovandosi così a seno nudo e, come se non bastasse Adriano Celentano venne invitato come ospite per cantare una canzone sulla pace, proposta che fu costretto a declinare per le proteste da parte di alcuni concorrenti in gara. Completava il quadro la notizia tragica giunta nell’ultima serata di quel festival, quando Pippo Baudo annunciò in diretta la morte di Claudio Villa, il “reuccio” della canzone italiana. Perché tanti imprevisti condizionarono in positivo il seguito di quel Sanremo? Perché essenzialmente la curiosità è un sentimento che prevale su qualsiasi altro, più duratura persino dell’indignazione. Quello che certamente non manca è l’emozione. Non solo date dalla Gara, dalla polemiche, dai dibattiti accesi e dalle premiazioni. Le emozioni maggiori vengono offerte da eventi non strettamente legati al Festival, come la morte di Claudio Villa, che segna le esibizioni di quasi tutti i cantanti in scena nella serata finale, o almeno quelli che si sono esibiti dopo l’annuncio che avviene comunque in ritardo, ma the show must go on! Il problema vero è che l’organizzazione del Festival non ha memoria per gli avvenimenti importanti e, nel ventennale della morte di Luigi Tenco, proprio a Sanremo, nessuno l’ha ricordato. Non un cenno, non un memoriale. Ma è cosa poco grave se si pensa che si tratterebbe di un tributo e non di una commemorazione per un decesso recente nel tempo, come quello del Patron Gianni Ravera, Deus Ex Machina per decenni, morto pochi mesi prima, che viene solo citato. Stessa cosa sarebbe avvenuta per Claudio Villa. Noi giornalisti accreditati in sala stampa, sempre pronti a criticare e mormorare su ogni piccola cosa, rimaniamo muti quando Pippo Baudo non segue piuù i testi che gli autori hanno preparato e così il mercoledì, a inizio serata, lo saluta annunciando che non versa in buone condizioni e che è stato ricoverato in un ospedale di Padova, mentre interrompe momentaneamente la gara il sabato, verso le 23, per annunciare la morte del grande cantante che ha fatto la storia della manifestazione, nel bene e nel male. A trionfare sarà l’esperimento, che sembra destinato ad avere un lungo seguito, del trio Ruggeri-Tozzi-Morandi, con oltre 5 milioni e mezzo di voti. Secondo, a sorpresa, invece sarà Toto Cutugno, anche lui con oltre 5 milioni di voti, mentre Al Bano e Romina Power si ritrovano terzi dopo aver visto le loro quotazioni salire decisamente durante tutta la giornata di sabato. Proprio questo porta Al Bano a restare amareggiato per la mancata affermazione. La felicità della vittoria è smorzata dall’annuncio della morte di Claudio Villa con cui Gianni Morandi ha più volte diviso il palcoscenico nelle varie canzonissime o cantagiri durante gli anni sessanta. Bibliografia music.fanpage.it/
XXXIV Sanremo amarcord, 1988 Massimo Ranieri trionfa con “Perdere l’amore” Un brano entrato nella storia della musica. La Mannoia vince il premio della Critica, “Andamento lento” quello delle discoteche. Biscardi scatena polemiche col suo Processo al Festival, Tomba lo fa interrompere col suo slalom. Grandi canzoni, grandi interpreti, grandi polemiche, grande spettacolo. Fu un Sanremo tutto da seguire quello del 1988 anni fa si celebrò in pompa magna sul palcoscenico del teatro Ariston di Sanremo. Uno dei pi riusciti di quegli edonistici anni 80 tutte spalline esagerate e capigliature cotonate che andavano di moda in quei tempi. Organizzato dal sempiterno Ravera, aveva una schiera di presentatori al suo servizio, Miguel Bosè e Gabriella Carlucci sul palco, Carlo Massarini in collegamento dal Palarock con i vari ospiti e Kay Sandwick, Lara Saint Paul, Memo Remigi e Valerio Merola per i contributi dal Casinò. Un numero eccessivo ma necessario perché gli artisti che andarono ad esibirsi nel vero e proprio spettacolo a margine del festival, furono tantissimi. Nomi importanti della scena internazionale come gli ex Beatles Paul McCartney e George Harrison, che rincontrarono dopo anni l’amico e compagno di serate da sconosciuti musicisti ad Amburgo Mino Reitano, i New Order, Bon Jovi, Art Garfunkel, Joe Coker, Terence Trent D’Arby, Chris Rea, Suzanne Vega, Rick Astely, per ricordarne qualcuno, artisti di grande spessore che da soli costituivano un evento nell’evento festivaliero. C’era poi una sorta di Dopofestival particolare con Aldo Biscardi che portò in riviera la sua acclamata trasmissione reintitolandola “Processo al Festival”, che verrà ricordato per l’atmosfera altamente rissosa che lo contraddistingueva, tanto che alcuni cantanti come Barbarossa e l’attore Francesco Nuti versione chansonier con la sua “Sarà per te” decisero di abbandonare il programma in diretta, in polemica con il giornalista che non riusciva a tenere a bada i suoi colleghi scatenati nel punzecchiare i cantanti e proferire giudizi sulla validità delle canzoni. Mino Reitano che portava “Italia” di Umberto Balsamo, pezzo che in seguito sarà accolto molto bene dai nostri connazionali all’estero, rimase impavidamente e ingenuamente e venne massacrato. Lo dico con delicatezza e rispetto, ma nonostante il brano di Reitano fosse un pezzo patriottico, non gli fece giustia. In questo contesto di “tutto quanto fa spettacolo” applicato a Sanremo, c’è da segnalare anche il mezzo ammutinamento del pubblico del Palarock che chiese di poter seguire in diretta la seconda manche dello slalom speciale dei Giochi olimpici invernali di Calgary, richiesta insolita ma comunque accettata con la messa in onda della gara vinta poi da Alberto Tomba e la conseguente interruzione della serata finale del festival.
Sì, perché il festival intanto andava avanti con 26 big ed altrettante canzoni che dovevano essere votate tramite le schedine del Totip come gli anni precedenti. Molte da dimenticare (“Io” della Bertè, “Nella valle dei Timbales” dei Figli di Bubba” ,“Nascerà Gesù” dei Ricchi e Poveri ad esempio), molte altre belle, alcune veramente belle. Pezzi come i melodici “Mi manchi” del veterano Fausto Leali e “Inevitabile follia” del bravo e professionale Raf, il delicato “Il mondo avrà una grande anima” dell’ex enfant prodige Ron, l’accattivante “Quando nasce un amore” della sensuale Anna Oxa, il coinvolgente “Emozioni” di Toto Cotugno, il drammatico “L’amore rubato” di Luca Barbarossa sulla storia di una violenza, argomento purtroppo attuale allora come oggi. Molti i futuri “saranno famosi” al debutto nella categoria Nuove proposte: Biagio Antonacci, Bungaro, Mietta, Stefano Palatresi con Paola Turci e Mariella Nava alla loro seconda volta sempre fra i giovani. A vincere con il brano “Perdere l’amore” fu Massimo Ranieri che con 7 milioni e 327mila 347 voti distanziò di oltre due milioni e mezzo di voti il favorito ed eterno secondo Toto Cotugno, Fiorella Mannoia invece vinse il premio della critica con “Le notti di maggio”, mentre il primato delle vendite dei singoli fu appannaggio di Tullio De Piscopo con “Andamento lento”, pezzo partito in sordina nel corso del festival, ma che divenne un tormentone nelle discoteche e nelle radio fino all’estate per il suo ritmo accattivante. Particolare la storia di “Perdere l’amore”. Il brano composto dall’ex tastierista dei Semiramis di Michele Zarrillo, Giampiero Artegiani e dal navigato Marcello Marrocchi, era stato inciso da Gianni Nazzaro ma il provino non venne accettato dalla commissione selezionatrice del festival 1987. La casa discografica Wea, proprose allora all’ex della Pfm Lucio Fabbri di riarrangiarlo per affidarlo a Massimo Ranieri, da tempo fuori dal giro perché impegnato in teatro con successo. Fabbri costruisce così una versione orchestrale raffinata, ispirata agli ultimi lavori di Barbra Streisand e la propone a Ranieri, che dopo averci riflettuto a lungo accetta di presentarla al Festival. Sono quattordici anni che l’ex scugnizzo che cantava per i ristornati napoletani per guadagnarsi la giornata manca dalla scena musicale, venti da Sanremo, perché ha intrapreso la carriera di attore teatrale con testi impegnati ed anche più leggeri di grande successo. “Perdere l’amore” è nelle sue corde, è la canzone giusta per tornare al suo primo amore, in questo pezzo sente riaffiorare antiche emozioni, quel testo poi che sa raccontare la rabbia, il dolore e il vuoto che accompagnano la fine di una storia quando non si è più giovani, lo convince e lo sente suo: “Perdere l’amore, quando si fa sera, quando fra i capelli un po’ di argento li colora, rischi di impazzire, può scoppiarti il cuore, perdere una donna e avere voglia di morire…”.
Ormai il Festival di Sanremo ha assunto le dimensioni di una corazzata. Da alcuni anni è in costante crescita, sia sotto l’aspetto organizzativo che pensando all’evento televisivo. Non è certo da meno il peso che comincia ad avere sul mercato, che lo riporta ai fasti degli anni sessanta, con i brani sanremesi che primeggiano anche nelle classifiche di fine anno, cosa che attualmente risulterebbe un’eccezione straordinaria. Ma l’escalation che la manifestazione sta seguendo ha una virata esagerata nel 1989, passando da un grande evento al superfestival con le dimensioni di un vero Kolossal. Con il passaggio dalla PUBLISPEI alla OAI, il Festival cambia radicalmente forma e lo fa trasformandosi in un Kolossal senza precedenti. Le serate vengono portate dalle 4 delle ultime due edizioni a 5, aumentano anche le categorie in gara per dare spazio anche a coloro che non possono essere definiti “campioni” della musica italiana, ma nemmeno novità, che in questo modo possono portare il loro repertorio sul palco dell’Ariston. Quello che viene messo in piedi dal nuovo direttore artistico, Adriano Aragozzini (nella foto sopra), è un vero motore mediatico, che pur riservandosi di essere tutto incentrato sulla musica, strizza l’occhio al pubblico televisivo e soprattutto fa in modo che anche il target giovane si appassioni al Festival, grazie alla presenza in qualità di ospiti in primis, ma anche come cantanti in gara, di alcuni dei beniamini dei giovani e giovanissimi, accanto a nomi di sicuro appeal per i loro genitori e anche nonni. Ma non è tutto qui, perché la settimana sanremese è anticipata da un mese e mezzo di preparativi pubblici, da sfilate di carri fioriti, parte integrante del carnevale di Sanremo, con l’intento di invitare tutti ad assistere al Festival e dalla nascita di un concorso per selezionare i cantanti che andranno a gareggiare nella categoria Emergenti. Il cast del Festival di Sanremo del 1989 vede in gara tutta la musica italiana dell’epoca, dal demenziale al jazz raffinato, dal cantautore impegnato alla canzonetta furbetta e populista, comprendendo anche il rap fatto male e la stonatura senza rimedio. Ma è un cast che accontenta tutti senza lasciare nessun amaro in bocca. Vediamo un duo inedito formato da Fausto Leali con Anna Oxa, lui tornato al successo da qualche anno, lei nei suoi tempi d’oro, che sbaragliano ogni concorrenza, gli habituè della competizione come Toto Cutugno, Al Bano e Romina, i Ricchi e Poveri, Fiordaliso, Peppino di Capri, ma anche debutti sanremesi interessanti ed eccellenti come quello di Renato Carosone ed Enzo Jannacci. Non mancano i ritorni come quello della Vanoni, di Gino Paoli e di Mia Martini. La conduzione ha dato non pochi problemi. Fino a poco prima della messa in onda era quasi sicura la presenza di Renato Pozzetto, che invece avrebbe preteso un cachet troppo esoso, portando la produzione a cercare di rimpiazzarlo, ma dopo i rifiuti già incassati di Enrico Montesano e di Renzo Arbore, non era possibile chiamare qualcuno con un anticipo di sole due settimane. Così i 4 conduttori per caso, scelti per annunciare gli ospiti dal Palabarilla, vengono promossi sul palco princi-
pale, lasciando basiti un po’ tutti a causa delle loro gaffes senza freno. Si tratta di: ROSITA CELENTANO, figlia di Adriano e Claudia Mori, in cerca di una sua strada, ha provato a fare l’attrice e adesso si diletta in tv. È la figlia meno volenterosa della coppia: almeno gli altri 2 fanno qualcosa. Giacomo canta, fa concerti nelle piazze, prova a sfondare da mille anni, Rosalinda è attrice e anche brava. Lei? La showgirl che non fa nulla. GIANMARCO TOGNAZZI, figlio di Ugo Tognazzi, attore che sente forte le critiche che arrivano dalla stampa e risponde a tono: “se uno non è mai andato in barca a vela è ovvio che non sappia andare in barca a vela”. È comunque il più brillante tra i 4 figli d’arte. Simpatico il modo in cui esordisce, portando un punteruolo alla Dominguin, per rompere il ghiaccio. PAOLA DOMINGUIN, figlia di Lucia Bosè e di Dominguin, nonchè sorella di Miguel Bosè. È una modella che cerca di farsi strada nello spettacolo, ma si rivela un vero disastro. DANNY QUINN, protagonista dello sceneggiato I PROMESSI SPOSI, attore, figlio di Anthony Quinn, molto attivo soprattutto in Italia. A trionfare è l’inedito duo formato da FAUSTO LEALI e ANNA OXA, che viene sfruttato dalla RAI anche in occasione dell’Eurovision Song Contest. La loro è stata una rincorsa verso la vittoria, eppure la meriterebbero sia perché rappresentano la qualità della musica leggera italiana, che perché hanno segnato il tempo. Dietro di loro il Populismo di Toto Cutugno, che all’epoca aveva molto successo, e il populismo buonista ecologista di Al Bano e Romina Power (secondo brano che racconta l’inquinamento, ma a confronto di “L’arca di Noè” questa sembra una prova di dilettanti). Adriano Aragozzini è il nuovo patron del Festival di Sanremo, che organizza per l’occasione un Superfestival. Ripropone il “Corso Fiorino” e soprattutto dà vita ad una nuova gara musicale per scegliere i concorrenti della categoria emergenti, proprio come fu fatto nel 1956 per scegliere i cantanti in gara e come farà Baudo negli anni novanta. Gli Anni Ottanta per il Festival di Sanremo sono stati fondamentali. A decretarne il successo è soprattutto l’abbinamento al TOTIP, che porta tutto il pubblico a dare la loro preferenza e quindi a sentirsi parte integrante della gara. Decine di milioni di voti sono stati inviati decretando di volta in volta vincitori popolari che hanno visto bissare la vittoria sanremese con un successo sul mercato. Nel corso dei 6 anni durante i quali questa modalità di voto è stata utilizzata, molte sono state le polemiche e le ricerche di soluzioni. Nel 1989 inoltre i voti non sono stati dati in base ai gusti e alle canzoni preferite dal pubblico, ma in base a quello che ci si aspettava. In pratica non sono stati votati i brani più belli, ma quelli che ci si aspettava nei primi posti.
Questo perché il premio associato alla classifica indovinata era davvero ambito. A causa di ciò sarà l’ultimo anno del Totip e dal 1990 si tornerà alle giurie demoscopiche. Il 1989 è l’anno della presenza massiccia dei personaggi televisivi e pseudo tali. Ce ne erano già stati in passato, come Gino Bramieri, Enrico Beruschi, Loretta Goggi, Renzo Arbore e Francesco Nuti, ma mai tutti insieme. Tra quelli presenti alla XXXIX edizione del Festival, MARISA LAURITO è il personaggio con la storia più interessante e ricca, avendo lavorato in Teatro anche con il grande Eduardo de Filippo ed essendo stata una delle maggiori interpreti del teatro napoletano per anni. Nella stagione televisiva 1988/1989 è anche al timone della Domenica della RAI, dandole un bacino d’utenza di molti milioni di spettatori toccando anche punte di 8 milioni. E la canzone ha anche quel tocco di simpatia e ironia che non la rende affatto spiacevole. La stampa paragona Sanremo ad un supermercato in cui si trova tutto, spiegando con questo il successo ottenuto: “al Festival c’è tutto. Ci sono l’anziano e il giovanissimo, gli sposi e le sorelle, il non vedente e il ciccione, la cugina dell’attore e il figlio d’arte, i napoletani e i milanesi, la melodia, la droga, Gesù, il buco nell’ozono, l’effetto serra, le mamme, il sesso, la prima volta, la droga e il maiale”. Il capo struttura RAI, parlando della scelta per la conduzione dice: “La scelta fatta continua ad essere imbarazzante.. pardon, interessante.”. Dichiara inoltre che sono loro un elemento attrattivo per il pubblico, in attesa di scoprire se ce l’avrebbero fatto ad arrivare a fine serata o semplicemnete a scoprire quale sarebbe stata la gaffe successiva. Gigi Marzullo è il responsabile dei collegamenti con l’Abacus e durante un collegamento li definisce “Figli di…”. Tognazzi stizzito comincia a dargli del lei per sottolineare che loro sono solo ragazzi con tutta la possibilità di crescere e migliorarsi. Gli ospiti si esibiranno quasi tutti in Playback, ad eccezione di Ray Charles con la Bridgewter, Buarque, Serrat e Aznavour. È annunciata anche la presenza di Henry Belafonte che però annuncia il suo forfait solo all’ultimo momento. La stampa definisce Jovanotti “un implacabile rappresentante dell’idiozia che adulti furboni hanno trasformato in un mito istantaneo pronto a logorarsi in non più di un anno”. Il XXXIX Festival di Sanremo ha toccato il punto più alto dal punto di vista dello spettacolo, essendo stato progettato a monte come kolossal, ma allo stesso tempo anche il punto più basso parlando di conduzione e concessioni al pubblico televisivo, accettando in gara tra i big ben 3 personaggi principalmente del piccolo schermo. 1 – Ti lascerò (Franco Fasano, Fausto Leali, Franco Ciani, Fabrizio Berlincioni e Sergio Bardotti) Fausto Leali e Anna Oxa -5.851.574 voti 2 – Le mamme (Toto Cutugno e Stefano Borgia) Toto Cutugno -1.969.704 voti 3 – Cara terra mia (Albano Carrisi, Romina Power e Vito Pallavicini) Al Bano e Romina Power -1.188.172 voti Bibliografia
aromadi80.wordpress.com/2015/02/16/festival-di-sanremo-1989/
XL 1990: Il miglior Sanremo di tutti i tempi SANREMO: Torna l`orchestra e tornano gli abbinamenti con i cantanto stranieri e spopola la lambada. Il 1989 è stato un anno incredibile. Il nuovo Patron, è riuscito a creare un evento talmente imponente che anche i mille difetti sono passati inosservati, anche quelli ingombranti come la terrificante conduzione dei 4 figli d’arte. Un fiume in piena! Ospiti internazionali di grande respiro, un cast di cantanti in gara, anche tra i giova volendo, che non delude nessuno e uno spettacolo televisivo che rappresenta davvero un evento imperdibile. Si torna a vedere il Festival esattamente come negli anni Sessanta. Proprio partendo da questo presupposto e in vista dei suoi primi quarant’anni, la macchina organizzativa si fa mastodontica. Il Festival di Sanremo raggiunge un traguardo importantissimo, che solo gli eventi sportivi avevano raggiunto prima, oltre al concorso di Miss Italia. Per questa ragione il Patron Aragozzini organizza un’edizione che rappresenta un vero kolossal rispetto a tutti gli altri eventi televisivi, rappresentando un vero e proprio ritorno all’importanza e al prestigio che il Festival aveva assunto nei primi anni della sua esistenza. Il regolamento viene nuovamente stravolto, dopo i cambiamenti radicali dell’edizione precedente. Le categorie in gara tornano da 3 a 2, vedendo confermate le categorie “Campioni” e “Novità”, mentre viene soppressa la categoria “Emergenti” che pure ha ottenuto un buon successo e in cui avrebbero potuto gareggiare i Future (foto sotto), vincitori della categoria nuovi nel 1988, costretti a tornare in gara tra le nuove proposte. Tornano l'orchestra dal vivo e le giurie popolari per tutti i cantanti in gara. È il primo Festival, dal 1977, che non viene svolto al Teatro Ariston (chiuso per lavori di ristrutturazione). La manifestazione si trasferisce in un capannone del Mercato dei Fiori, per l'occasione denominato "Palafiori" (da non confondere con l'attuale Palafiori situato nel centro della città a Sanremo, in seguito alla ristrutturazione del vecchio Mercato dei Fiori), situato in località Valle Armea, sempre nel comune di Sanremo. Il Teatro Ariston era in ristrutturazione dall’estate del 1989 e così non poteva essere utilizzato per la XL edizione del Festival di Sanremo. L’organizzazione decise così di sfruttare una struttura, appena completata, che però si trovava a circa 8 km dalla città. Il PALAFIORI, destinato alla fiera della floricoltura, rappresenta sulla carta il luogo giusto, il più indicato. Non sono dello stesso avviso i commercianti, i ristoratori e gli albergatori sanremesi che vedono così ridotto il successo della settimana sanremese. L’atmosfera del Mondiale Italia ’90, che di lì a qualche mese avrebbe accentrato tutti i media italiani, aleggia anche su Sanremo che così, per la prima volta, si ritrova ad avere una mascotte, REMINO, rappresentato da una chitarra che vede il manico concludersi con un fiore. Per rendere il tutto un po’ più antropomorfo e simpatico alla chitarra vengono aggiunte anche braccia e gambe. I giurati, che per la serata finale sono 2000, votano nel corso
del pomeriggio, dopo aver riascoltato le canzoni. La stampa è fortemente indignata a causa degli esiti del festival, ampiamente previsti anche da alcune trasmissioni dell’emittente concorrente (su tutti Striscia La Notizia). Per la prima volta in tutta la sua carriera ormai quindicennale, la stampa e la critica sono a favore di Toto Cutugno che riesce a far parteggiare per sé, anche per merito della fortunatissima accoppiata con Ray Charles che ha dato alla sua GLI AMORI un tocco di qualità in più. A vincere, rispettando tutti i pronostici è il gruppo dei POOH, in attività da 25 anni circa. Leggenda narra che abbiano accettato di partecipare al Festival solo perché è stata garantita tra i campioni la presenza di Lena Biolcati, vincitrice tra le nuove proposte nel 1986, e protetta dal gruppo, e tra le novità delle Lipstick, eliminate però dopo il primo ascolto. Loro non smentiscono, e anzi affermano: “Non ci sembra disdicevole sfruttare il nostro successo per lanciare artisti in cui crediamo”. Ai Pooh è affiancata DEE DEE BRIDGEWATER, affermata cantante americana che ha raccolto ovazioni grazie alla collaborazione con Ray Charles. Proprio lui, RAY CHARLES, è l’artefice della seconda posizione raggiunta da Toto Cutugno che rappresenta un record essendo la quinta volta che raggiunge la piazza d’onore al Festival. Il ritmo dell’anno è quella LAMBADA che i Kaoma hanno portato al successo nel 1989. Loro affermano di suonare quel ritmo da un decennio, ma è solo dall’estate precedente che è diventato un caso mondiale. Anche il Festival di Sanremo si adegua e sono ben 4 i brani che vengono costruiti su ritmo di lambada tra quelli presentati nel 1990. – EVVIVA MARIA è costruita su sonorità latino-americane; – LA LAMBADA STROFINERA è ironica e molto meno sensuale, ma è pur sempre su ritmo lambada; – UNA STORIA DA RACCONTARE si apre con un giro che sembrerebbe clonato proprio dalla lambada dei Kaoma; – DONNA CON TE invece prende le sembianze della lambada proprio in quanto interpretata dai Kaoma nella versione internazionale. Come aveva promesso Aragozzini l’anno precedente, dopo l’esibizione di Grillo, non ci furono comici a Sanremo, ma interventi comici sì. Furono affidati a RENATO POZZETTO, registrati e preventivamente ascoltati prima di essere mandati in onda, portando il disinteresse da parte del pubblico in sala che approfittava dell’intervento comico per lasciare il loro posto e tornare quando la gara stava per riprendersi. Anche gli applausi e le risate erano registrate e questo fa tanta, tanta tristezza. Per la seconda volta, e a distanza di 34 anni da quando l’avvenimento bloccò l’italia, LA NEVICATA DEL 1956 segna il Festival di Sanremo. Lo fece nel 1956 quando una canzone dall’incedere allegro e ottimista vinse proprio come atto di rinnovata speranza dopo mesi di gelo che strinse nella sua morsa l’intera nazione. A distanza di 34 anni invece non è la speranza che tutto si risolva il prima possibile
ad assegnare il premio della critica alla canzone interpretata da Mia Martini, ma la qualità del brano che riesce a riportare i ricordi verso quel tragico evento. Alla sua decima partecipazione al Festival di Sanremo, TOTO CUTUGNO ha già in tasca una vittoria, 4 secondi posti e 1 terzo posto, a cui andrà ad aggiungersi la quinta medaglia d’argento proprio nel 1990, grazie soprattutto alla versione che della sua canzone fa Ray Charles, tanto da fargli guadagnare la stima anche dei critici, sempre ostili verso di lui. Grazie al secondo posto a Sanremo può partecipare all’Eurofestival, dove, grazie alla notorietà raggiunta all’estero, riesce a vincere l’unico trofeo che gli mancava. Sceglie di essere associato a RAY CHARLES, tra i pionieri della musica soul, seppe coniugare sonorità diverse, dal rhythm and blues alla musica country. Nel 1990 partecipò, classificandosi al secondo posto, al Festival di Sanremo dove interpretò in coppia con Toto Cutugno la canzone Gli amori. Il suo ultimo contributo alla musica è stato la produzione di un disco di duetti con Elton John, Norah Jones e Johnny Mathis. Comincia ad incidere senza mai smettere di incassare successi in tutto il mondo. Clamorose sono alcune delle gaffes di Gabriella Carlucci durante la serata del venerdì, quando ad esempio chiede un applauso di solidarietà per Nicolette Larson, dicendo “anche se non la conoscete, fatele un applauso”, oppure quando fa una domanda a Jorge Ben e traduce la risposta con “non ci ho capito niente, ma tanto non ci importa”. La struttura del PALAFIORI però non è ancora stata completata e risulta difficile far traslocare intere colonie di pipistrelli che durante la serata svolazzano sulla platea, tanto che la Carlucci, disturbata da questo svolazzare, dice allegramente, per sdrammatizzare, “Aragozzini non si è fatto mancare niente, ha invitato anche Batman!”. A Sanremo del 1990 avrebbe dovuto partecipare anche PATTY PRAVO. Il brano che le fu proposto e che lei presentò alle selezioni è DONNA CON TE, che però non la convinceva troppo. Lo trovava in forte dissonanza con il suo personaggio, avrebbe dovuto cantare di una donna che si “sottomette” al volere del suo uomo quando invece il suo personaggio negli ultimi 15 anni ha preso la strada dell’indipendenza, affermando una forza femminile che non ha certo bisogno di un uomo al suo fianco. Patty Pravo partecipa ugualmente alle prove, rassicurata dal fatto che avrebbero cambiato i versi che non la convincevano, ma quando le fu detto che non sarebbe stato possibile, affermò: “Io ho dato la mia parola e l’ho mantenuta, ma anche voi avreste dovuto mantenere la vostra. Un brano così non lo canto”. E solo pochi giorni prima del Festival fu fatta una selezione per attribuire la canzone ad una nuova interprete. In lizza c’erano LORELLA CUCCARINI, LINA SASTRI e FIORDALISO, ma alla fine, alla vigilia del Festival, il brano fu assegnato ad ANNA OXA che ne fece uno sei suoi più grandi successi. Molti abbinamenti tra cantante in concorso e artista straniero saltano a causa di problemi incorsi o semplicemente di forfait dell’ultimo minuto.
XLI Nel 1991 vince la canzone d`autore con Riccardo Cocciante Il Festival torna al Teatro Ariston. Nonostante le perplessità iniziali, lo scenografo Uberto Bertacca trova lo spazio per i 44 musicisti e gli 8 coristi dell’orchestra. Rispetto all’edizione precedente cala il numero delle canzoni in gara, da 48 a 36. Viene mantenuto l’abbinamento dei Campioni con gli interpreti stranieri, ma la guerra del Golfo, appena iniziata, blocca negli Stati Uniti gli interpreti più attesi: Bee Gees, Stevie Wonder, Al Jarreau, Manhattan Transfer. In compenso, arrivano Grace Jones, Gloria Gaynor, la tedesca Ute Lemper e l’israeliana Ofra Haza. Dopo i Pooh, Adriano Aragozzini porta in gara un altro pezzo da 90, Riccardo Cocciante. E con lui Renato Zero (in cerca di un rilancio dopo cinque anni di crisi) che arriva a Sanremo accompagnato da migliaia di «sorcini». Ci sono anche Enzo Jannacci, Pierangelo Bertoli, Umberto Tozzi e Raf oltre agli immancabili Fiordaliso, Al Bano e Romina Power (per l’ultima volta insieme al Festival) e ai vincitori morali del 1990, Amedeo Minghi e Mietta. Le prime tre serate mettono in luce la qualità dei brani di Jannacci (« La fotografia»), Zero (« Spalle al muro», scritta da Mariella Nava) e Bertoli (« Spunta la luna dal monte» con i sardi Tazenda), mentre fa discutere il testo di « Perché lo fai?», canzone di Marco Masini sul dramma della droga. Poco amata dai giornalisti, diventerà il più grande successo di questa edizione. Intanto, Paolo Vallesi vince tra i Giovani con la malinconica « Le persone inutili». Nella serata finale, la performance più applaudita è quella di Renato Zero. La sua canzone, poetica descrizione del lento declino di un uomo anziano, commuove il pubblico dell’Ariston che la vorrebbe vincitrice. Trionfa invece come da pronostico, Riccardo Cocciante, davanti a Zero e a Masini. Pierangelo Bertoli, anche lui applauditissimo, si piazza al quinto posto dopo Tozzi. Il Premio della Critica va a Jannacci e, tra i Giovani, ai Timoria (« L’uomo che ride»), band bresciana fondata da Omar Pedrini e Francesco Renga. Nelle classifiche di vendita trionfa Marco Masini: il suo album « Malinconoia» è tra i più venduti del 1991, secondo dietro « Benvenuti in paradiso» di Antonello Venditti e davanti a « Gli altri siamo noi» (6°) di Tozzi e a « Cocciante» (11°) del vincitore. SANREMO 1991
XLII 1992, niente cantanti stranieri abbianati ai cantanati in gara Il mio pronostico: vincerà Luca Barbarossa. Gli artisti furono divisi in due gruppi, Sezione “Big” e sezione “Nuove Proposte” Vinse la 42a edizione Luca Barbarossa con “Portami a ballare” Per la sezione “Nuove Proposte, vinsero Francesca Alotta e Aleandro Baldi con “Non amarmi” Nell’edizione del 1992 non ci furono i cantanti stranieri per la doppia esecuzione dei brani. Lista degli artisti della sezione “Big”: Luca Barbarossa, Pierangelo Bertoli, Peppino di Capri e Pietra Montecorvino, Drupi, Giorgio Faletti e Orietta Berti, Riccardo Fogli, Formula Tre, Flavia Fortunato e Franco Fasano, Enzo Ghignazzi, Fausto Leali, Matia Bazar, Mia Martini, Paolo Mengoli, Mariella Nava, New Troll, Nuova Compagnia di Canto Popolare. Massimo Ranieri, Mino Reitano, Ricchi e Poveri, Lina Sastri, Scialpi, Tazenda, Paolo Vallesi, Michele Zarillo. Lista delle “Nuove Proposte”: Aeroplanitaliani, Aleandro Baldi e Francesca Alotta, GianPaolo Bertuzzi, Alessandro Bono e Andrea Mingardi, Patrizia Bulgari, Alessandro Canino, Irene Fargo, Rita Forte, Andrea Monteforte, Gatto Panceri, Stefano Polo, Aida Satta Flores, Tomato. Luca Barbarossa vinse a sorpresa, con la canzone “Portami a ballare” un brano per la sua mamma. Gli affermarono che era un mammone, ma il brano andò bene, ebbe poi un discreto successo. Il Festival del 1992 ha la sua tragedia di casa, con relativa psicosi del mostro. Nei primi giorni febbraio una donna di mezza età fu trovata assassinata nel suo appartamento in Corso Degli Inglesi vicino all’ex Hotel Savoy Teatro del suicidio di Luigi Tenco. Si trattò di un giallo. Dopo pochi giorni fu rinvenuto un altro cadavere di donna, in zona S.Martino sempre a Sanremo. Non si parlava d’altro, dei due delitti. La sera del 27 febbraio, il presentatore Pippo Baudo aveva appena finito d’annunciare l’ultimo cantante in gara quando, nella vicina Arma di Taggia fu rinvenuto il terzo cadavere di una donna di 79 anni. La scia di sangue, non s’interruppe, dopo pochi giorni si tolse la vita il capo dei necrofori del Cimitero di Vale Armea, era il responsabile dei delitti, non c’entrava invece con l’ultima donna uccisa a Arma di Taggia, era stato il fidanzato della figlia un giostraio. Il Festival del 1992 è anche ricordato come l’anno di “Cavallo Pazzo” il suo vero nome è Mario Appignani. Pippo Baudo era da poco salito sul maestoso palco dell’Ariston, quando “cavallo pazzo” gridò nel microfono –questo Festival è truccato- fu subito bloccato dal servizio d’ordine. Pippo Baudo smorzò subito le polemiche dicendo “adesso diranno che l’ho pagato io”, in ogni modo, qualcuno gli aveva dato il biglietto per entrare quindi pensarono che fosse stata una scena preparata, invece, gli ascolti da record della manifestazione, diedero ragione al presentatore. Fra i tanti episodi c’è da ricordare che il cantante Peppino di Capri, fu chiamato in Tribunale a Sanremo, in veste di testimone, nell’ambito dell’indagine sulle -tangenti Festival- uno scandalo che vide indagati politici locali e lo stesso Patron del Festival.Mia Martini fu mi-
rabile nell’interpretare la sua canzone “Gli uomini non cambiano”. Bravi anche, Aleandro Baldi e Francesca Alotta, con “Non amarmi” la canzone fu ripresa poi in più lingue ebbe un gran successo.Da ricordare anche Paolo Vallesi con “La forza della vita” una bella canzone che gli portò fortuna. Canzone vincitrice: “Se stiamo insieme”, cantata da Riccardo Cocciante/Sarah Jane Morris- Divertente antefatto: una settimana prima del Festival, Radio Rai manda in onda il Festival delle ipotesi. Imitatori dei veri cantanti in gara si esibiscono in simpatiche parodie utilizzando come tema il titolo originale della canzone in gara– La querelle Aragozzini: il patron viene accusato di aver sborsato quasi un miliardo per aggiudicarsi la direzione del Festival. Sarà assolto e completamene scagionato, ma dovranno passare anni perché riesca a far valere la verità - Il caso: Marco Masini è il fenomeno dell’anno con la sua Perché lo fai. Il tema della canzone è il dramma della tossicodipendenza, ma stavolta è lei che si buca e lui vuole salvarla. Il brano sale al primo posto nell’hit parade e l’album che lo contiene, Malinconoia, si rivela uno dei più sorprendenti successi discografici dell’anno – Ripetuta la fortunata formula dell’accoppiata artista italiano – big straniero: tra gli altri Amedeo Minghi con Bonnie Tyler, Gianni Bella e Gloria Gaynor, Grazia Di Michele con Randy Crawford, Renato Zero con Grace Jones e Royal Philarmonic Orchestra (si classifica secondo con Spalle al muro) – Icona del Festival: le minigonne di Sabrina Salerno e Jo Squillo, in coppia con Siamo donne – Tra le altre canzoni del Festival: Spunta la luna dal monte (Tazenda con Pierangelo Bertoli),Gli altri siamo noi (Umberto Tozzi), Nenè (Amedo Minghi), Io ti prego di ascoltare (Riccardo Fogli) – La categoria “Nuove Proposte” è vinta da Paolo Vallesi con Le persone inutili
XLIII Il “Mistero di Enrico Ruggeri Nel 1993, vince la 43a edizione Enrico Ruggeri con “Mistero” Per la sezione “Nuove proposte” si aggiudica il primo premio, Laura Pausini con il motivo “La solitudine” Presentano: Pippo Baudo con Lorella Cuccarini Fa il grande ritorno: il Maestro Bruno Canfora torna a dirigere l’Orchestra del Festival. Nel 1961, proprio a Sanremo, aveva diretto Mina in Le mille bolle blu– Il casus: Angela Baraldi canta “A piedi nudi”, ma un telespettatore si accorge di averla già sentita alla radio. Angela Baraldi l’aveva interpretata in occasione di un particolarissimo concerto tenuto a casa di Lucio Dalla e trasmesso appunto dalla radio. La Baraldi esegue comunque la canzone senza essere squalificata, riuscendo addirittura ad ottenere il Premio della Critica – Famiglie a Sanremo: durante la prima serata le sorelle Mia Martini e Loredana Bertè interpretano “Stiamo come stiamo”. – La polemica: epici gli alterchi tra Baudo e la Parietti, conduttrice insieme al Pippo nazionale del Dopo Festival – Debutti eccellenti: vince la categoria Nuove Proposte una sconosciuta Laura Pausini che, con il suo brano La Solitudine, scalzerà dal primo posto in hit parade l’Ave Maria di Renato Zero – Tra i debutti di quest’anno ricordiamo anche Geraldina Trovato con “Ma non ho più la mia città” e Nekc on “In te”. Il Festival del 1993, fu l’anno di Enrico Ruggeri che a sorpresa vinse lasciando stupiti coloro che avevano ipotizzato un’altra vittoria. Ruggeri con “Mistero” è il primo Rockettaro incoronato a Sanremo. La canzone, affermò lo stesso cantante, fu una delle migliori che avesse fatto. Ruggeri Milanese del 1957, aveva preso parte ai festival del 1984, 86, 87. Ruggeri insieme con Gianni Morandi Umberto Tozzi, formarono un Trio nel 1987, e vinsero con la canzone “Si può dare di più” la 37a edizione. Il primo gruppo che Ruggeri formò nel 1974, si chiamava “Champagne Molotov” poi verso la fine degli anni settanta mise su un altro gruppo intitolato: “Decibel” e con questi si presentò al Festival del 1980. Secondo arrivò Cristiano de Andrè con “Dietro la porta”, la sua prima “vittoria” importante, come figlio d’arte. Una canzone non facile, si trattava di una ballata, con un buon testo con una melodia che fece presa. Al terzo posto, invece la coppia Rossana Casale –Grazia di Michele, con “Gli amori diversi”. Laura Pausini vincitrice per la sezione “Nuove proposte” con il suo motivo “La solitudine” fu subito battezzata la “nuova stella” del gara canora. La sua semplicità, giovane cantante “fresca”, che racconta degli amori, sui banchi di scuola, interpretando magnificamente queste emozioni, e la voglia della canzone tutta Italiana, forse furono questi gli ingredienti del segreto del suo successo. Milva la “ros-
sa” soprannominata “la pantera di Goro” fu eliminata con la sua canzone “Uomini addosso”. Debuttò nel 1957 col nome Sabrina. Il Nome anagrafico, Maria Iva Biolcati. Nell’edizione n°43 le sorelle Loredana Bertè e Mia Martini si esibirono insieme per la prima volta, ma si capì subito che non erano affiatate. Un altro bel personaggio fu Geraldina Trovato, che si aggiudicò il secondo posto, “dopo la Pausini”, piacque per quell’aspetto ribelle, irruente e forte. Fu sicuramente un grande Festival quello del 1993, organizzato bene, e nonostante le classifiche dei dischi le canzoni di Sanremo, funzionarono bene. Da ricordare il grande Roberto Murolo che alla veneranda età di 80 anni si rimise in gioco. Per lui la canzone è vita. Renato Zero, portò una canzone dal titolo: “Ave Maria”, era il favorito. Ci furono polemiche anche per la canzone di Nek affermarono che era anti-aborto, dal titolo “In te” parlava di uno spermatozoo…
XLIV Sanremo 1995: l`uomo che voleva buttarsi giù dalla Galleria ell`Ariston L’edizione del Festival targato n°44 fu caratterizzata, da due vittorie alquanto singolari. Furono due bravissimi cantanti non vedenti Aleandro Baldi per i Big, e Andrea Boccelli per le “Nuove Proposte” i veri protagonisti. Secondo l’opinione di alcuni critici, le probabilità che i due giovani cantanti vincessero erano a dir poco utopiche. Andrea Boccelli, portò un brano”Il mare calmo della sera” che tutti sottovalutarono, invece si sbagliarono, il pezzo ancora adesso è spesso fatto ascoltare. La capacità di Boccelli di trasformarsi, da cantante di musica leggera, in tenore lirico è straordinaria. Fu Caterina Caselli (esperta di talent-scout) a credere nell’artista e lo portò a Sanremo. I bene informati, affermarono che prima della premiazione i due cantanti, furono tenuti separati dai loro accompagnatori per non farli incontrare, pare che non si sopportassero. La canzone di Baldi era veramente bella, quindi alla gara canora c’erano delle belle canzoni. Ad esempio “Strani amori” di Laura Pausini alla fine fu quella che riuscì a vendere più dischi. Per alzare i dati Auditel– Giovedì, terza serata del Festival, ore 23: un uomo minaccia di buttarsi giù dalla galleria dell’Ariston. Interviene Pippo in prima persona, scavalca il parapetto, lo raggiunge e… lo salva! Roberto D’Agostino ribattezza il Festival come il Festival di… San Pippo! – La novità: Fiorello, il re del karaoke, con Finalmente tu. Su questa partecipazione al Festival gira un aneddoto: si racconta che Fiorello abbia accettato soprattutto per una sorta di scommessa con il padre. Questi gli avrebbe infatti detto nel corso degli anni: “Finché non ti vedo a Sanremo non sei nessuno!”. Dato per vincitore da molti, si classificherà al quinto posto – La curiosità: ad hoc per il Festival si forma un gruppo molto particolare, la Riserva indiana. Capeggiato da Sabina Guzzanti, vede nomi prestigiosi come Sandro Curzi, David Riondino, Antonio Ricci – Al primo posto nelle “Nuove Proposte”, con Le ragazze, trionfano i Neri per Caso: un gruppo di ragazzi salernitani che cantano a cappella – Il record: Peppino Di Capri (che interpreta “Ma che ne sai”… con Gigi Proietti e Stefano Palatesi), raggiunge quota tredici presenze al Festival. Un record che condivide con Milva – Per la prima volta la canzone vincitrice assoluta della manifestazione (“Come saprei” di Giorgia) conquista anche il Premio della Critica – Il “DopoFestival” è condotto da Serena Dandini con Fabio Fazio, Luciano De Crescenzo e Gianni Ippoliti – Tra le altre canzoni del Festival: In amore (Gianni Morandi e Barbara Cola), Gente come noi(Ivana Spagna), Con te partirò (Andrea Bocelli).
XLV SANREMO 1996 Commuovo la canzone “Vorrei incontrarti fra cent’anni”, cantata da Ron e Tosca Nell’edizione festivaliera del 1996 non mancarono i colpi di scena, fu proprio la troupe di “Striscia la notizia” a realizzare lo scoop, e poi furono Enzo Iacchetti ed Ezio Greggio, a rivelare tramite un acrostico, il nome del vincitore in altre parole Ron. Tra il presentatore ed il responsabile di “Striscia la notizia” Antonio Ricci, ci furono “dispetucci”. Ricci mandò in onda un’intervista con Pino Pagano, colui che voleva suicidarsi l’anno prima, quando minacciò di gettarsi dalla balaustra del teatro, il quale affermò che Baudo era al corrente della sua scena. Baudo a sua volta la sera dopo attaccò in diretta sul palco dell’Ariston, la Tv concorrente mostrando al pubblico un manifesto listato a lutto dove si annunciava la sua scomparsa fatto affiggere sui manifesti in città. Tutti si aspettavano che vincessero Elio e le Storie Tese, col brano “La terra dei cachi” furono sorprendenti, lasciarono stupiti un po’ tutti quando salirono sul palco vestiti di grigio metallizzato dentro delle tute spaziali, dall’ampio mantello, e la testa dipinta luminosa rigorosamente grigia metallizzata. L’edizione n°46 si aprì con un grand‘ospite internazionale, ci fu un brivido, quando apparse sul palco dell’Ariston l’Aureo Bruce Springsteen che cantò, “ The Ghost of Tom Joad” si trattò dell’interpretazione d’una poesia struggente. Il cantante napoletano Federico Salvatore, con la sua canzone “Sulla Porta” cantò subito dopo, lasciò un velo di polemiche, con alcuni passaggi del teso del brano sollevò il problema dell’omosessualità. Il gruppo straniero più ricercato dalle ragazzine in quei giorni “neanche a dirlo” i Take That, ospiti a Sanremo per la seconda volta. I quattro ragazzi di Manchester avevano annunciato che presto si sarebbero separati, così un giornale, pubblicò l’appello di quattro ragazze, con la richiesta che la partecipazione al festival non fosse davvero l’ultima. Sabrina Ferilli, -affermarono i bene informati- che chiese alla direzione dell’albergo dove alloggiava di far sparire dalla parete, appeso sopra il letto, un quadro di Romano Mussolini, figlio del Duce Benito. Un po’ di malinconica fu la presenza di Al Bano che tornò a cantare da solo senza Romina, dopo la tragedia della scomparsa della figlia Ylenia. La canzone autobiografica arrivò al settimo posto.Il presentatore subito dopo l’edizione si fece ricoverare per problemi alla gola alla gola.Tv e giornali ne parlarono per un po’.Le due bellezze che lo affiancarono, per la presentazione dei cantanti una modella, l’altra attrice, furono una cornice perfetta alla manifestazione, tanto chiacchierata, che quest’anno diventò la prima tra le più blindate. Presentano: Pippo Baudo con Sabrina Ferilli e Valeria Mazza Canzone vincitrice: “Vorrei incontrarti fra cent’anni”, cantata da Ron e Tosca- È l’edizione più lunga nella storia del Festival. Si inizia addirittura il lunedì con “Arriva il Festival” – Al Bano canta “È la mia vita”, canzone con risvolti amaramente autobiografici dopo la scomparsa della figlia Ylenia. Al termine della canzone Al Bano è sommerso da applausi e
mese Umberto Bindi – Polemiche a non finire tra Baudo e Striscia la notizia e non solo: Baudo minaccia di dimettersi dalla carica di Direttore artistico – Il brano “Bello amore” di Ornella Vanoni è squalificato una settimana prima dell’inizio del Festival perché già eseguito in pubblico, seppure con un testo differente. Viene sostituito da”L’amore è un attimo” di Enrico Ruggeri – La rivelazione: Elio e le Storie Tese e La terra dei cachi, dissacratorio brano su usi e costumi degli italiani. Si classificherà al secondo posto – Che confusione per le strade di Sanremo: al Festival ci sono i Take That, la boyband del momento – Il DopoFestival è condotto da Baudo, affiancato da Gianni Ippoliti, Ambra, Luciano De Crescenzo e Roberto D’Agostino – La categoria delle Nuove Proposte è vinta da Syria con Non ci sto. Al terzo posto si piazza Marina Rei con Al di là di questi anni – Tra le altre canzoni del Festival: Strano il mio destino (Giorgia), Se adesso te ne vai (Massimo Di Cataldo), L’elefante e la farfalla (Michele Zarrillo)
si inginocchia commosso a ringraziare il pubblico– Dopo 35 anni torna sulla scena sanre– XLV SANREMO 1997 Gli sconosciuti Jalisse c incono on un “Fiumi di parole” Presentano: Mike Buongiorno, con Piero Chiambretti e Valeria Marini Canzone vincitrice: “Fiumi di parole”, cantata da Jalisse- Polemica in conferenza stampa: Mike dice che in Tv c’è troppa pornografia, e Busi replica che anche le sue pubblicità sui prosciutti sono pornografia.– La prima serata si apre con Piero Chiambretti nelle vesti di angelo che svolazza a mezz’aria – Il casus: Al Bano torna al Festival dopo la separazione con la moglie e la sua apparizione sul palco arriva subito dopo una pausa pubblicitaria. Lui è quasi sul punto di andarsene – La bellezza: la suggestiva canzone di Patty Pravo, E dimmi che non vuoi morire, scritta da Vasco Rossi – La censura: torna Loredana Bertè dopo la morte della sorella. Il verso iniziale della sua canzone “Vaffan… luna” diventa “Occhiali neri, luna”. – Vedo nudo!: Valeria Marini si presenta in scena con un abito effetto nudo. In una delle serate Piero Chiambretti le solleva la gonna svelando il suo didietro ai telespettatori – Il Festival lo vincono a sorpresa i Jalisse, e molti non sono d’accordo – La rivelazione: pur non piazzandosi tra le prime tre posizioni, Laura non c’è di Nek diventa uno dei successi discografici dell’anno, piazzandosi subito al primo posto dell’hit parade – La categoria delle Nuove Proposte è vinta dalle sorelle Iezzi, Paola e Chiara, con Amici come prima. Al secondo posto la bellissima Cambiare di Alex Baroni -Tra le altre canzoni del Festival: Storie (Anna Oxa), A casa di Luca (Silvia Salemi), Capelli(Niccolò Fabi)
XLVI SANREMO 1998 L`ex concorrrente a Miss Italia, Annalisa Minetti sbanca con “ Senta te o con te” Presentano: Vianello con Eva Herzigova e Veronica Pivetti Canzone vincitrice: “Senza te o con te”, cantata da Annalisa Minetti- Elemento distintivo di questa edizione è l’umorismo elegante e disincantato di Raimondo Vianello – Le prime tre classificate della categoria Nuove Proposte sono promosse alla finale insieme ai 14 campioni (che invece giungono alla finale di diritto), portando a 17 i finalisti di Sanremo 1998 – La giovane Annalisa Minetti, unico caso nella storia del Festival, vince sia la categoria Nuove Proposte che quella dei Big con Senza te o con te – Vengono premiati e resi noti soltanto i primi tre classificati. La graduatoria completa delle 17 canzoni finaliste sarà resa nota alcuni giorni più tardi – Tra gli ospiti internazionali spiccano i Backstreet Boys e Ricky Martin: migliaia di adolescenti in delirio invadono Sanremo – Il DopoFestival, presentato da Piero Chiambretti e Nino D’Angelo con uno scatenato Aldo Busi, va in onda da una sorta di ristorante allestito per l’occasione: il “Sanremo t’amo da morire” – Tra le altre canzoni del Festival: Amore lontanissimo (Antonella Ruggiero), Sempre (Lisa), Sei tu o lei, quello che voglio (Alex Baroni)
XLVII SANREMO 1999 Anna Oxa vince con “Senza pietà” Presentano: Fabio Fazio con Laetitia Casta e Renato Dulbecco Canzone vincitrice: “Senza pietà”, cantata da Anna Oxa- La novità di quest’anno é la Giuria di Qualità: dieci esperti o personalità del mondo dello spettacolo e della cultura al posto delle giurie popolari. I giurati hanno a disposizione voti dall’uno al dieci e la loro preferenza riguarda solo i Big– Il Premio Nobel Renato Dulbecco, ottantacinque anni, annuncia canzoni e cantanti del Festival. Con ironia e senza mai impaperarsi. Al pubblico si presenta così con una frase di Galileo Galilei: “Sono venuto qui per fare esperienze” – Da ricordare lo storico incontro, proprio sul palco dell’Ariston, tra due premi Nobel: lo stesso Dulbecco e Michael Gorbaciov – Da ricordare il ballo di Renato Dulbecco con la francese Laetitia Casta sulle note de La vie en rose – Per la prima volta viene realizzata fuori dell’Ariston la passerella per i cantanti. Tutti gli artisti sfilano su un maestoso tappeto rosso, tra ali calore di pubblico. Il più acclamato é Gianni Morandi, tra i super ospiti – Teo Teocoli si presenta sul palco in mutande nell’imitazione del sindaco di Milano, Albertini – Anna Oxa, vincitrice del Festival, stupisce come e più di sempre per il suo look: corpo completamente cosparso di olio e slip che fa capolino fuori dai pantaloni – Il DopoFestival è condotto da Orietta Berti e Teo Teocoli con Fabio Fazio – La categoria Nuove Proposte è vinta da un giovane cantautore romano, Alex Britti con la suaOggi sono io. Qualche anno più tardi questa canzone verrà incisa anche da Mina – Tra le altre canzoni del Festival: Non ti dimentico (Antonella Ruggiero), Guardami negli occhi(Nada), Alberi (Enzo Gragnaniello e Ornella Vanoni), Senza giacca e cravatta (Nino D’Angelo)
XLVIII Festival di Sanremo 2000 Gli Avion Travel, viaggiano mille all`ora Il primo Festival di Sanremo del nuovo millennio, il secondo ed ultimo - così assicurò Fabio Fazio. Tra i presentatori “Big Luciano” . Lo stesso tenore, ha detto d’aver accettato di venire al Festival con Fazio e &, per uno scopo ben preciso e di natura benefica. Lo stesso tenore, fu protagonista della sigla, cantò “Nessun dorma” mentre scorrevano le immagini dei vincitori delle passate edizioni. Ines Sastre la bella modella, affermò di aver chiesto consigli a Raffaella Carrà. Ines Sastre, donna di cultura, Spagnola, ambasciatrice Unicef, 27 anni, tra i suoi hobby, gioca a Golf, le piace cavalcare, correre e nuotare. E’ stata definita la “bella senz’anima”. Una delle tante polemiche riguardò Umberto Tozzi, che criticò, duramente i super ospiti fuori gara, Lucio Dalla, Jovanotti, Venditti, Mannoia. Il Comune di Sanremo, con una bella trovata, ha voluto regalare il Festival alla città, facendo redigere una passerella davanti al Teatro Ariston, l’apparizione dei cantanti che sfilarono per la registrazione del documento Rai per l’apertura del Festival mandò in delirio la folla, (oltre mille persone) ed i fotografi, che sprecarono pellicole per immortalare i vips. Il più acclamato fu Gianni Morandi. Artisti e folla si sono riconosciuti in un caldo abbraccio, in una festa da sogno. La canzone “Innamorato” scritta da Eros Ramazzotti, e da Claudio Guidetti, furono tutti concordi nell’ affermare che era un bel motivo e Gianni Morandi la cantò meglio del solito, molto calorosamente. Da ricordare gli ospiti: Bono, Sting, Tina Turner, Aqua…. I Vincitori “Avion Travel” furono strepitosi, la canzone davvero bella, una linea melodica, armonizzante, ha conquistato subito il gran pubblico, una marcia brechtiana, che ricorda vagamente la musica popolare napoletana. Bellissimi e straordinari i Matia Bazar con “Brivido caldo”, dedicarono la loro canzone con un po’ di commozione, al bassista del gruppo scomparso qualche tempo fa, Aldo Stellita. Alice fu sorprendente ed un’interprete grandiosa. Carmen Consoli, con il suo motivo “In bianco e nero” rievocò la figura della madre. Protagonista a Sanremo è sempre la musica con l’Orchestra ed i suoi 48 elementi con otto coristi.
XLIX Festival di Sanremo 2001 Elisa, da Monfalcone alla città dei fiori per vincere La prima edizione del terzo millennio fu vinta da Elisa, che per Sanremo iniziò a cantare in Italiano. Originaria di Monfalcone 22 anni, si presentò con il suo primo brano in Italiano, dopo due successi internazionali in lingua Inglese. Fantastica invece la canzone di Giorgia “Di sole e d’azzurro” brano che fu scritto per lei da Zucchero Fornaciari. Giorgia ha cantato magnificamente si tratta di una canzone molto difficile, “ ammette la stessa cantante” – parte da una strofa bassa e poi sale. – Meritava di vincere!. Su quel brano Giorgia, sul palco dell’Ariston ha messo tutta la sua voce… La manifestazione festivaliera più chiaccherata del tempo, non poteva che essere presentata dalla “signora della televisione” Raffaella Carrà. Le incursioni di Massimo Ceccherini in sala però che delusione!. Ci pensò poi Fiorello, reduce da una serie di puntate di successo su Rai Uno, a far salire i dati Auditel della Carrà. Deludente e criticato da tutti anche Enrico Papi al Dopo Festival. La Rock Star Brian Molko, sul palco si comportò male, oltre a mostrare il dito medio della mano, conclude l’esibizione sfasciando la chitarra contro un amplificatore, il pubblico in sala non apprezzò e lo fischiò. Povera “Raffa” imbarazzata si scusò per l’intemperanza del gruppo ospite. L’ospite Italiano Piero Pelù, invece fu applaudittissimo. Lo stesso artista poche ore prima in conferenza Stampa, affermò che non prenderebbe mai parte al Festival come concorrente, perché ogni canzone ha la sua storia e non ha valore a paragonarla ad altre. Per la sezione Giovani s’imposero i Gazosa un gruppo di ragazzini, molto bravi. Gli ospiti Internazionali, furono molto graditi, a mandare in delirio la folla ci pensarono Ricki Martin, ed il ragazzo “cattivo” Eminem. Il rapper, trasgressivo, in quei mesi, infatti, si era reso protagonista di una serie di polemiche a causa dei testi delle sue canzoni definite “politicamente scorrette”. Da non dimenticare gli “Areosmith”. La biondissima Faith Hill, anche lei reduce da un gran successo, cinque milioni di dischi venduti, definita la “Regina del Country” fu gradita. Un’altra grande apparizione fu anche “Anastacia” paragonata alla Tina Turner per la voce “soul”. Un altro ospite da non dimenticare fu Antonio Banderas. Una delle cinque serate della gara canora, a causa dell’ evento sportivo, saltò e fece riposare il Festival. Da rivelare che, non si sentì la mancanza dell’ex presidente d’Amerca Bill Clinton perché ci penso il “bravissimo” Teo Teocoli, ad immedesimarsi nei suoi panni, circondato da una decina di guardie del corpo. ..Il resto è storia….
L Festival di Sanremo 2002 Vince Silvia Mezzanotte con i Matia Bazar La manifestazione si svolse dal 5 al 9 marzo Presentarono Pippo Baudo Manuela Arcuri e Vittoria Belvedere L’Organizzazione generale del 52° Festival della Canzone Italiana è stata affidata dal Comune di Sanremo alla Rai. Radiotelevisione Italiana S.P.A. Alla gara parteciperanno 32 cantanti così suddivisi: Sezione Giovani: 16 cantanti selezionati dalla commissione artistica. Sezione Campioni 20 cantanti, invitati dalla commissione artistica su indicazione del direttore artistico. La prima serata si esibirono 20 Campioni, con votazione della giuria Demoscopica. Seconda serata, ci fu l’esibizione di 8 Giovani e di 8 Campioni, con votazione, per entrambe le sezioni, della Giuria Demoscopica. 3a serata esibizione degli altri 8 Giovani e degli altri 8 campioni, con votazione, per entrambe le sezioni della giuria Demoscopica. Quarta serata ci fu l’esibizione finale dei 10 Giovani rimasti in gara con votazione della Giuria Demoscopica e con votazione palese dei singoli componenti della Giuria di Qualità. Quinta e ultima serata con sibizione finale dei 20 campioni con votazione della giuria Demoscopica. La manifestazione, si è conclusa a tarda notte, con la vittoria dei Matia Bazar, il gruppo rinato tre anni fa e che nelle precedenti edizioni è andato vicino alla vittoria. La cantante Silvia Mezzanotte, è stata davvero deliziosa, di gran classe, vestita di bianco, e che voce, davvero una bella voce. Molto applauditi. Dall’ultima vittoria, per la precisione nel lontano 1978 i Matia Bazar si sono confermati solidi e brillanti. La rinascita del gruppo con Silvia ed il tastierista Fabio Perversi insieme ai veterani Giancarlo Golzi Sanremese, e Piero Cassano Genovese, fin dall’inizio della manifestazione hanno raccolto lodevoli consensi. La gara canora, ha visto al secondo e terzo posto altri due personaggi Liguri. Alexia di La Spezia, si è aggiudicata il secondo posto è stata davvero travolgente, un vero ciclone, e per la kermesse ha cantato in Italiano, il motivo “ Dimmi come...”La giovane cantante è famosa per aver già venduto 5 milioni di dischi nel mondo, ed è riuscita con la sua simpatia ed una canzone con ritmo da discoteca a conquistare il pubblico Italiano. Il Genovese “d’adozione” Gino Paoli, con il brano “Un altro amore” al terzo posto, ha ottenuto lunghi applausi in platea. C’è rimasto male per non aver vinto, infatti, ha lasciato subito il teatro e si è diretto al suo Yacht disertando la conferenza stampa. Il vero mattatore dell’ultima serata del Festival è stato l’attore Roberto Benigni premio Oscar. Il Toscanaccio, ha saputo farsi amare dal pubblico, infatti, accade raramente che si alzino in piedi per lanciare fiori.Il Festival n° 52 è stato ad appannaggio della Regione Liguria, e del soprannominato “Super Pippo”, o come lo chiamano alcuni giornalisti “Sua Pippità”. Come ripete ormai una frase storica “Sanremo e Sanremo” la gara canora si conferma trampolino di lancio per i brani dei cantanti. La giovanissima Anna Tatangelo di Sora in Provincia di Frosinone, fu la
vincitrice della sezione “Sanremo Giovani” .E così è calato il sipario sull’edizione, numero 52 della gara canora più chiacchierata in assoluto di tutti tempi, e che oltre ai vincitori ha avuto una conclusione stravolgente con i suoi 20 milioni di telespettatori, per il presentatore e le sue due ancelle. Ora sua “Pippità” sta già pensando all’edizione festivaliera del 2003.....perchè Sanremo, con i suoi vincitori e non, che se ne dica bene o male, non finisce mai..............Il Festival Targato n° 52 di Pippo Baudo, si è aperto con la straordinaria partecipazione dello showman Fiorello. Sotto la maestosa scenografia di Gaetano Castelli, Fiorello è riuscito a catalizzare il pubblico delle grandi occasioni, dominando nello stesso tempo la scena della prima serata vicino al presentatore-direttore artistico della manifestazione. Belle, eleganti, brave, e un pochino emozionate la bruna, Manuela Arcuri e la bionda, Vittoria Belvedere. Una gara canora entrata nella normalità con l’esibizione poi dei cantanti i 20 big. Tra le tante curiosità c’è da segnalare un furto avvenuto nell’Albergo dove è ospitata una cantante, Filippa Giordano, pare che il ladro abilmente sia riuscito a sottrarle gioielli per una valore di 100 mila euro.
Il 31 ottobre il terremoto distrugge la scuola di San Giuliano di Puglia Un devastante sisma distrusse l’intero edificio che ospitava la scuola elementare di San Giuliano di Puglia, in via Giovanni XXIII. In quel momento nell’Istituto c’erano otto insegnanti, due bidelli e 58 bambini. Per tutto il giorno continuarono a scavare Vigili del Fuoco, volontari della Protezione Civile e persone del posto anche a mano, a causa della difficoltà, ovvia, di adoperare mezzi meccanici. Ancora la sera furono estratte persone vive dalle macerie. La mattina seguente i Vigili del Fuoco comunicarono di non sentire più voci provenire da sotto le macerie. Sotto la scuola “Francesco Jovine” si registrò il tributo di vite umane più pesante: 26 bambini (frequentanti la scuola elementare) e un’insegnante Il ventisettesimo bambino morì all’ospedale Bambin Gesù di Roma in data posteriore il 31 ottobre. I bimbi più piccoli che persero la vita erano nati nel 1996: da allora San Giuliano di Puglia non ha dunque più la leva del 1996. Diverse vittime si erano riparate sotto i banchi al momento del sisma, ma morirono. Un giovane alunno si salvò avendo puntato d’istinto una finestra e uscendone pochi secondi prima del crollo.[senza fonte] La scuola elementare fu l’unico edificio a crollare del tutto a San Giuliano di Puglia. Altre due donne rimasero vittime della caduta di detriti e calcinacci. Il dono della Fondazione Don Luigi Sturzo del Canada Fondazione don Sturzo, incasso ai terremotati del Molise Toronto- (La Gente d`Italia)Tutto esaurito all`inaugurazione della “Fondazione Don Luigi Sturzo Canada”. Presenti il Console d’Italia, Riccardo Zaninni, il sindaco di Vaughan, Micheal Di Biase, l`onorevole Mario Sergio, Padre Luigi e tanta gente comune. Dall`Italia sono arrivate le felicitazioni del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, del Presidente della Camera, Pier Ferdinado Casini, quelle del vice-presidente del Consiglio Gianfranco Fini e del sottosegretario ai beni culturali Nicola Bono. Originariamente la festa era stata organizzata per celebrare la Fondazione e raccogliere fondi per borse di studio da assegnarsi a studenti italo-canadesi, laureandi in scienze politiche e sociologia. Un`iziativa che il Comitato organizzatore ha deciso di rimandare dopo la notizia del terremoto del Molise e così decidendo di devolvere l`intero ricavato della serata a beneficio degli alunni della scuola di San Giuliano di Puglia. Come si ricorderà, il terremoto ha distrutto la scuola elemetare di San Giuliano di Puglia, seminado morte e distruzione. Ventisei bimbi della prima elementare, classe 1996, sono riasti seppelliti sotto le macerie. L`intero ricavato della raccolta sarà perciò interamente devoluto ai 32 bambini delle altre classi elementari. Nel suo intervento Donina Lombardi (nella foto in basso) madrina della serata e presidentessa della Com-missione borse di studio ha sottolineato come l`iniziativa delle borse di studio seguirà in futuro come, allo stesso tempo, nei momenti difficili, come quelli che stanno attraversando in Molise, la Fondazione e sarà sempre pronta ad aiutare.
“L`aiuto nel Molise é urgente - ha detto Donina Lombardi- e la nostra organizzazione é pronta a fare la propria parte”. E la propria parte l’ha fatta anche il foltissimo pubblico in sala che ha trasformato la serata in una gara di solidarietà. Tra lotteria, asta, donazioni dei presenti in sala, moltissimi I delegati di associazioni I club comunitari, sono stati raccolti oltre $ 27,000 che verranno divisi in trentadue vaglia internazionali di $ 900.00 ciascuno . Tanti sono gli alunni della scuola di San Giuliano di Puglia. Una delegazione composta da Tony Porretta, coordinatore della Fondazione Luigi Sturzo, Rocco D`Ambrosio, chairman della serata, Pino Cea, consigliere dell`UDC Canada, Ignazio Gatto, presidente della Fondazione e Vittorio Coco, segretario politico del Comitato Nazionale UDC Canada e direttore esecutivo della Fondazione, è andata a proprie spese in Molise per deporre una corona d`alloro nel cimitero dove risposano “i piccoli angeli” e per consegnare personalmente il ricavato della serta alle autorità locali. Visibilmente commosso, Vittorio Coco (nella foto a destra), nel suo discorso agli invitati ha fatto rilevare quanto sia importante essere uniti e pronti a dare una mano a chi soffre. “Se é vero che il Comitato UDC in Canada rappresenta un movimento politico-ha detto Coco- é altrettanto vero che noi non facciamo soltanto politica. Il nostro lavoro deve essere ampliato nel promuovere iniziative come quella di questa sera e questo spiega anche la nascita la nascita della Fondazione Don Luigi Sturzo, uomo di profonda fede cristiana, fondatore del Partito Popolare Italiano, e artefice del primo movimento democratico cristiano in Italia. La Fondazione Don Luigi Sturzo Canada - ha continuato Coco - intende sviluppare molte delle sue attivita` in collaborazione con istitutuzioni nazionali e internazionali. Come ha avuto modo di ricordare precedentemente la presidentessa della Commissione Borse Donina Lombardi siamo stati chiamati a a fare un piccolo sacrificio, portare soledarietà ai bimbi delle scuole elementari di San Giuliano di Puglia in Molise.Da lassù Don Luigi Sturzo, sarà senz`altro felice di noi convenuti in questa sala: aver raccolto l`appello dei dirigenti del Comitato Nazionale Biancofiore Canada(UDC) e della Fondazione a lui intitolata. Fare del bene a chi soffre. I bambini della scuola della Seconda,Terza, Quarta e Quinta elementare, di San Giuliano di Puglia (quelli della prima classe sono rimasti seppelliti sotto le macerie) sono
senza un tetto e l’iverno incombe nel piccolo paese di San Giuliano.” Il vostro contributo – ha concluso Coco - é andato oltre le nostre aspettative. Il nostro é lavoro di organizzatori é stata una piccola goccia d`acqua nell`oceano il vostro, carissimi amici, é stato un atto di bontà cristiana”. La Gente d`Italia (Miami USA)
Una raccolta di fondi a favore dei terremotati del Molise tra le prime iniziative di solidarietà avviate dalla neonata Fondazione “Don Luigi Sturzo Canada”
Terromoto Molise : Consegnati al preside della scuala di San Giuliano di Puglia i fondi raccoltati dal Comitato UDC Canada e Fondazione Don Luigi Sturzo (19 dicembre 2002)\ aise\ - La cerimonia nel prefabbricato costruito dal Corriere della Sera e Canale 5 e adibito a scuola è stata breve, ma commovente: alla presenza dell’assessore alla cultura, Antonio Serecchia, di Carlo Volpio del Corriere della Sera e di vari esponenti dell’amministrazione regionale e scolastica, la delegazione canadese - composta dal tesoriere del Comitato Nazionale UDC Canada, dal coordinatore della Fondazione Don Sturzo, Antonio Porretta, e dal segretario politico UDC Canada, Vittorio Coco - ha consegnato al dottor Giuseppe Colombo, preside della scuola elementare distrutta dal terremoto, 33 vaglia internazionali del valore di oltre 32mila dollari, una cartolina di Natale e un poster firmato da tutti i partecipanti alla raccolta fondi. Una raccolta fondi alla quale la comunità italo-canadese ha partecipato con il cuore. <<Sono commosso e riconoscente del vostro gesto di generosità per i bambini delle elementari di San Giuliano>>, ha detto con voce incrinata dall’emozione il preside Colombo. Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Carlo Volpio: <<Sono queste le iniziative che vanno applaudite. In questo modo non c’è dispersione: il gesto nobile degli italo-canadesi deve essere di insegnamento a tanti>>. È seguita, poi, la visita al cimitero dove sono sepolti il 27 bimbi rimasti uccisi sotto le macerie quel triste 31 ottobre scorso e dove è stata deposta, a nome degli italo-canadesi, una corona di fiori. <<È una ferita aperta il ricordo delle vittime del sisma che ha distrutto San Giuliano di Puglia, che ha strappato i bimbi all’affetto dei propri cari e che ha lasciato tantissime famiglie senza casa>>, ha affermato Vittorio Coco del ComitatoUDC canadese. Gli abitanti del paese, intanto, stanno trascorrendo l’inverno ormai iniziato nelle tendopoli allestite alla periferia: i militari perlustrano la zona notte e giorno. Ma nonostante il grande dolore, la gente di San Giuliano è pronta a rimboccarsi le maniche e a ricostruire il proprio paese in questo angolo del Molise. <<Ci si augura che l’inverno, ormai alle porte, sia clemente con i sopravvissuti>>, ha dichiarato ancora il Comitato Pro Molise. (aise) Una tragedia annunciata La tragedia fu così pesante che seguirono subito le polemiche: si cominciò a parlare della cattiva qualità della costruzione[4][5], tra l’altro ristrutturata ed ampliata da poco. Vennero
così avviate indagini per determinare le responsabilità del crollo: le indagini stabilirono che, nonostante la scuola avesse subito rimaneggiamenti e persino una sopraelevazione, bambini e maestre vi erano stati fatti entrare senza neppure un collaudo. Il procuratore Magrone nella sua requisitoria nell’aula del processo di primo grado sottolineò che la vicenda della scuola di San Giuliano rappresenta l’Italia peggiore, «quella delle violazioni, del sistematico calpestamento delle leggi e delle normative». «Se è vero - disse - che il sisma del 31 ottobre 2002 fu l’evento scatenante della tragedia, è anche vero che, se le norme fossero state rispettate quando si decise di sopraelevare l’istituto scolastico, quella scossa da sola non sarebbe bastata a far crollare l’edificio, e prova ne sia che nel resto del paese ci furono crolli e danni anche gravi a case e palazzine, ma nessun edificio implose come la scuola, fino a polverizzarsi». Mancanza dei calcoli necessari, mancanza dei collaudi, mancato rispetto delle norme e mancato adeguamento alla riclassificazione sismica del 1998: queste, secondo l’accusa, furono le vere cause della morte dei bambini e della loro maestra. Il 13 luglio 2007, nonostante la mole di elementi portati dall’accusa nell’aula di udienza, i sei imputati nel processo per le morti conseguite a quel crollo - costruttori, progettista, tecnico comunale e sindaco - furono assolti in primo grado dal giudice monocratico Laura D’Arcangelo. Il 15 gennaio 2008 cominciò il processo di appello. Il 26 febbraio 2009 la corte di appello di Campobasso affermò le responsabilità di cinque imputati - due costruttori, il progettista, il tecnico comunale e il sindaco - infliggendo loro pene tra i due e i sette anni[6]. Nel 2012, nel decennale della tra-
gedia e in occasione della “Giornata della Memoria” di San Giuliano di Puglia che si celebra il 31 ottobre di ogni anno, è stato dedicato un libro dal titolo: “C’era una volta per sempre - una favola che non dovrebbe mai essere raccontata”, Bibliografia (4 5) Robin Edizioni, autrice Nadia Giannoni.
LI Festival di Sanremo 2003 Vince Alexia La manifestazione si è svolta dal 4 all’8 marzo presso Il Teatro Ariston di Sanremo Organizzazione Rai E’ la Spezzina Alexia con la canzone “Per dire no” a vincere il Festival di Sanremo 2003 ( 24.248 voti). Alexia ha dedicato la sua vittoria al papà che non c’è più. 2° posto: Alex Britti ( Romano) con il brano “7000 caffè” ( voti 23.298) 3° posto: Sergio Cammariere con “ Tutto quello che un uomo”( voti 21.919). Le Giurie, curate dalla CRIM, due, una demoscopica -popolare- e l’altra composta da esperti del settore. Anche quest’anno i cantanti in gara sono stati giudicati da una giuria popolare, cui è stata abbassata l’età, consumatori però di musica che nell’ultimo anno hanno acquistato almeno 4 dischi ed assistito a due concerti ed un’altra di qualità per il 25% di giudizio.Quella di qualità è stata variata ogni sera con la partecipazione di radiofonici e da personaggi dello spettacolo. Tra questi Carlo Conti, Red Ronnie, Amanda Lear, Vanessa Incontrada, Andrea Salvetti, Natasha Stefanenko,Valerio Mastandrea, Mara Venier, Amadeus, Carlo Verdone, Lorella Cuccarini. La Passerella: lunghi applausi per gli artisti in gara, che come vuole la tradizione hanno sfilato sulla passerella; l’uscita in rigoroso ordine alfabetico. Saltata però la “O” Anna Oxa: che ha confermato un forfait annunciato. Sono state le due co-presentatrici affiancate da Pippo Baudo, Serena Autieri e Claudia Gerini le novità del Festival di Sanremo, brave, belle e padrone della situazione, soprattutto del palco del Teatro Ariston. Il Festival 2003 è stato quello della svolta, due presentatrici con la (P) maiuscola, e gli ascolti in calo. ( Il Festival, infatti, ha registrato gli ascolti più bassi degli ultimi dieci anni). Con un messaggio di pace Pippo Baudo ha aperto il 53° Festival di Sanremo. All’inizio della manifestazione Vittorio Agnoletto e Don Vitaliano della Sala si sono presentati all’interno dell’Ariston con la bandiera della pace; ecco quanto ha detto Pippo Baudo in diretta dal Teatro Ariston “Sanremo ha portato bene, la guerra non c’è siamo contenti - (un lungo applauso del pubblico) - e se veramente Sanremo portasse bene, facciamolo tutto l’anno” Brave anche le due bellissime donne in veste di presentatrici che hanno affiancato Baudo. Luciana Littizzetto esplosiva con un lungo bacio sulla bocca con Pippo Baudo dopo un ballo lento. L’Orchestra Sinfonica di Sanremo è questa è una novità, di recente è stata trasformata in Fondazione, e quasi al completo è stata diretta dal Maestro Pippo Caruso, che ha accompagnato nell’esibizione i cantanti. La gara canora del 2003 ha registrato il calo degli ascolti, ed il record di polemiche, come la partecipazione di Alina 12 enne: la più giovane cantante nella storia dei Festival
di Sanremo. La polemica è stata sollevata dal presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori, Antonio Marziale, per l’inserimento della piccola, ed anche di Verdiana 16 enne, che si sono trovate – ha detto – in un contesto stressante. Un particolare che forse è sfuggito ai telespettatori e che Iva Zanicchi, forse perché non più abituata ad esibirsi dal “vivo”, per ricordare il testo della sua canzone “Fossi un tango” si è scritta sulla mano sinistra le parole e con abile disinvoltura le ha lette durante l’esibizione. I critici e non solo, si sono lamentati per la lunghezza del programma, invece hanno apprezzato i minishow che hanno dato attenzione ai cantanti: versione varietà con l’approvazione dei discografici, addetti ai lavori, giornalisti e gli stessi artisti in gara. Ogni cantante si è esibito in un piccolo show prima di presentare il brano in gara. La canzone di Enrico Ruggeri & Andrea Mirò “Nessuno tocchi Caino” è stata accompagnata da un video: Ruggeri, infatti, si è ispirato alla vicenda di un condannato a morte, rimasto 19 anni nel braccio della morte e poi graziato lo scorso mese di gennaio. E’ la storia di Leroy Orange. Condannato ingiustamente per un reato che non aveva commesso. Il brano folk-ballad accompagnato da una fisarmonica ha fatto emergere il dramma di lui boia e di lei sua imminente vittima. Non sono invece passati inosservati i tatuaggi in testa a Giuni Russo: la testa tatuata della cantante Siciliana ha superato, in tema di bizzarrie, tutti gli altri artisti con look giudicati trasgressivi. Tra le altre situazioni che dire del bacio sulla bocca, che la Littizzetto ha dato a Baudo? Peter Gabriel che ha voluto cantare dentro una bolla gigante? La Top Model Carla Bruni con il doppio passaporto? diversi gli interrogativi....Una manifestazione che, ascolti in calo a parte, per giorni e giorni ha fatto parlare di sé, decine di programmi televisivi Rai e Mediaset, Radio e Tv private che hanno speso parole; centinaia e centinaia di commenti con diversi personaggi del mondo dello spettacolo, con dirette, interviste, e siti web, che hanno fatto parlare dell’evento televisivo in tutto il mondo. Critiche o non critiche: il Festival è anche un modo per far conoscere al grande pubblico i mali del paese; non sono mancati i cortei, dei pacifisti, Gay, dei lavoratori Frontalieri, un mare di persone che puntualmente si “servono” della settimana Festivaliera per avere visibilità è questo sembra l’obiettivo principale.
Nel 2003 Nelle vesti di Commissario di UDC Canada, nomino il Comm. Angelo Balsamo AD del Comitato Nazionale UDC Canada Sfumate le elezioni degli italiani all`estero, ci prepariamo per il 2006 e nei giorni di gennaio del 2003 una riunione straordinaria, nomino Angelo Balsamo ad del Comitato Biancofiore Canada, il cui compito è mettere in campo una squadra di simpatizzanti dello Scudo Crociato. La squadra comprende Ignazio Gatto, Pino Cea, Rocco D`Ambrosio, Sam Ciccolini, Paola Generoso, Domenico Angaran, Linda Tarntino, Carlo Tersigni, Mario Di Pede, Filippo Gravina e Tony Porretta. Durante l`inaugurazione della sede dell`UDC Canada, tenutasi al Veneto Centre, Angelo isniem al suo board mi nominano ufficialmente segretario del partito in Canada e candidato ufficiale alle elezioni politiche che verranno indette nell`aprile 2006. Angelo Balsamo, è originario di Barrafranca, in provincia di Enna, ma è arrivato in Canada nel 1963. Si sposò due anni dopo con la deliana Lina Bancheri, divenendo da allora membro attivo della comunità deliana. Fervente cattolico praticante e da sempre democristiano doc, insieme ai componenti la struttra, raccoglie fondi, organizza feste, incorraggia gli amici ad aderire all`UDC. Angelo è anche proprietario di un importante laboratorio fotografico professionale: The Color Network Lab Inc., specializzato nello sviluppo e nella stampa di immagini di qualsiasi tipo, e impiega nella sua azienda oltre 120 dipendenti. Oltre ad essere ben conosciuto negli ambienti italiani di Toronto in virtù del suo lavoro, Balsamo si è distinto in opere caritatevoli e umanitarie, ricevendo vari riconoscimenti onorifici ufficiali, tra i quali il titolo di Cavaliere e Commendatore al merito della Repubblica italiana, e il titolo di Cavaliere di san Gregorio Magno, la più alta onorificenza civile concessa dal Vaticano. Su mia insistenza crea la Federazione Siciliana del Canada con treta associazioni. Da molti anni, Angelo Balsamo si occupa prevalentemente della festa religiosa di Santa Rosalia, lasciando la responsabilità delle attività sociali del Club al nuovo presidente Angelo Barone, il quale collabora allo stesso tempo all’organizzazione della Festa di Santa Rosalia, che viene sempre celebrata la prima domenica di settembre. In tale occasione oltre 2 mila persone – ma il numero aumenta ogni anno – si riuniscono per festeggiare la loro protettrice nella chiesa di St. Clare of Assisi, a Woodbridge. Per alcuni anni, il parroco di Delia, don Giuseppe Riccabene, o il vescovo di Caltanisetta, monsignor Alfredo Maria Garsia, venivano apposita-
mente dall’Italia per portare la reliquia di Santa Rosalia che è conservata a Delia. Da qualche anno, però, tramite l’intervento del nunzio apostolico in Canada, monsignor Paolo Romeo, una reliquia della santa è stata inviata dal vescovo di Palermo. La reliquia è conservata permanentemente nella Chiesa di Santa Chiara di Woodbridge, dove è esposta alla venerazione dei fedeli un’artistica statua di Santa Rosalia, ottenuta tramite il diretto intervento del parroco della parrocchia, padre John Lucio Borean. Varie volte ha anche ottenuto dei fondi per viaggi di ritorno di adulti nella sua Sicilia. Sofferente di diabete, e una salute sempre precaria dil 23 febbraio del 2011 ci lascia. Non riuscirò neanche a dargli l`ultimo saluto in quanto inviato al Festival di Sanremo. Negli ultimi anni il suo viaggio è stato lungo e coraggioso affrontando sentieri irti e insormontabili. Angelo è morto pacificamente circondato dalla sua amorevole famiglia all’Ospedale Centrale di York, lasciando la sua adorata e devota moglie Lina (nata Bancheri) di 46 anni, suo figlio Salvatore e la nuora Leslie, la figlia Maria Stella e il genero Gabriel e i suoi 5 bellissimi e nipoti Jessica, Victoria, Joseph, Felicia e le sue nipotine Tiffany e Angelica. Con la morte dell`amico Angelo, la comunità siciliana e in generale quella italiana del Canada ha perso un uomo illuminato, filantropo, sincero, schietto e intelligente della nostra generazione. Mi mancheranno i suoi consigli, il suo umore, la fraterna amicizia.
LII Festival di Sanremo 2004 È l`anno di Marco Masini La manifestazione si è svolta dal 2 al 6 marzo. Sede Teatro Ariston. Direttore Artistico Tony Renis. Presentatori: Simona Ventura, con Paola Cortellesi, Gene Gnocchi, con la partecipazione di Maurizio Crozza. Organizzazione Rai. Scenografia Gaetano Castelli. Regia Stefano Vicario. Vincitore della 54a edizione Marco Masini con “ L’uomo volante”. 22 cantanti in gara:(unica gara) DB Baulevard con Bill Wiman e Terry Taylor; DJ Francesco, Danny Losito con Las ketchups; Marco Masini, Paolo Meneguzzi; Andrea Mingardi con The Blues Brothers Band, Morris Albert con Mietta; Neffa; Stefano Picchi; Mario Venuti e Veruska. Piotta, Andrè, Daniele Groff, Pacifico, Mario Rosini, Adriano Pappalardo, Simone, Bungaro, Linda, Omar Pedrini, Massimo Modugno con Gipsy Kings. I cantanti che si sono esibiti nel corso delle cinque serate, sono stati accompagnati dall’Orchestra di Musica leggera e dall’Orchestra Sinfonica di Sanremo per un totale di 81 elementi. Il Dopo - Festival con commenti e dibattiti con Bruno Vespa, presso il Teatro del Casinò di Sanremo, a “Porta porta - Speciale Sanremo”. Nuovo il meccanismo di votazione: a stabilire il vincitore dell’edizione 2004 del Festival sono stati i telespettatori, con il televoto. E’ stata la somma dei voti raccolti dagli artisti nel corso delle cinque serate a definire la classifica finale. Al termine, infatti, sono stati sommati tutti i voti raccolti da ogni canzone e la prima classificata è stata proclamata vincitrice del Festival. Ospiti prima serata: Black Eyed Peas, le Cirque du Soleil, Raul Bova. Nel corso della serata è stato riconosciuto il Premio alla Carriera a Gino Paoli. Cirque di Soleil, (saltinbanco). Ospite d’onore seconda serata sul palco del Teatro dell’Ariston, l’attore Dustin Hoffman, gli Aventura, Roberto Bolle, Haiducii. Ospite quarta serata Natalie Cole. Quinta serata ospite: Lionel Richie e Dolores O’Riordan ex The Cranberries. Super ospite a sorpresa la serata finale: Adriano Celentano. La serata di venerdì, ha visto salire sul palco dell’Ariston cinque ospiti Italiani, artisti simbolo di Sanremo e della sua lunga storia: Al Bano, Marcella Bella, Toto Cutugno, Mino Reitano, Bobby Solo. I Big si sono mescolati ai cantanti in gara, esibendosi in una rivisitazione delle canzoni che hanno fatto la storia del Festival. E’ Marco Masini, con “L’uomo volante” il vincitore della 54a edizione del Festival di Sanremo, targato Tony Renis. Secondo, Mario Rosini, in “Se la vita mia” terza Linda, con “Aria sole terra e mare”. A Mario Venuti il premio della critica Mia Martini. Mario Venuti “crudele” ha vinto con 38 voti il Premio della Critica “Mia Martini” al secondo posto Pacifico, “Solo un sogno” con 31 voti, al terzo Mario Rosini, “Sei la vita mia”, con 9 voti. La Commissione Artistica composta da Flavia Cercato, Elio Cesari, (in arte Tony Renis), Leonardo
De Amicis, Massimo Guantini, Davide Lucaferri e Maurizio Molella, ha giudicato quale miglior testo: ex aequo Marco Masini e Omar Pedrini; miglior musica: Pacifico e Bungaro; miglior arrangiamento: Leonardo De Amicis con menzione speciale per la serata di venerdì; miglior produttore: Mauro Ferrucci per i DB Boulevard. Il premio Sala Stampa Radio Tv private, lo hanno vinto in ex aequo Marco Masini e Mario Venuti, con 17 voti; al terzo posto Bungaro con 12 voti. Hanno votato 88 accreditati. Un Festival decollato con successo, la prima serata ha registrato un ascolto superiore, rispetto a quello precedente ma con una tendenza in flessione la seconda serata, mentre la serata di venerdì dedicata alla vecchie glorie, ha fatto registrare un’impennata di ascolti. La compilation del Festival invece in soli due giorni, aveva già venduto circa 200 mila copie, praticamente il triplo delle vendite dell’anno scorso nell’arco dei dodici mesi. (Simpaticissimi, Simona e Gene, nel prendere in giro Tony Renis, sulle sue presunte amicizie mafiose. Bravissimi anche nel governare la situazione sul palco più prestigioso d’Italia. Tony Renis, amareggiato per la rinuncia di alcuni super ospiti, aveva dato dei “cagasotto” alle star, invece è stato ricompensato da Adriano Celentano, che la serata finale, si è presentato sul Palco dell’Ariston, con un incredibile fuori programma, prima si è complimentato con l’amico Tony, dicendo che il Festival gli è piaciuto, poi con la conduttrice Simona Ventura, per la sua bellezza, ed infine, il molleggiato, ha improvvisato un rock’n’roll. Mister, “Quando quando”, Tony Renis, ha chiamato il suo amico regista Louis J.Horvitz, per la consulenza sul Festival. Il Conduttore di “Porta a Porta -Speciale Sanremo”, Dott. Bruno Vespa, ha concluso la settimana Festivaliera portandosi a casa, un 45% di share. Il Direttore d’Orchestra M° Massimo Morini, (Genovese) ha segnato un record di presenze al Festival ben 21. Il M° Morini al Festival 2004, è stato Direttore tecnico di Andrea Mingardi, Neffa, Marco Masini, Dj Francesco, Mario Venuti e Danny Losito e per il cantante. Sanremo 2004: il primo Festival da quando Sandro Ciotti ci ha lasciato. Nel corso dell’ultima serata, quella di sabato, si è verificato un incidente diplomatico, vale a dire, doveva esibirsi il ballerino Joaquim Cortès: esibizione in scaletta alle ore 22.00, invece è slittata a causa della inaspettata presenza di Adriano Celentano. Cortès dopo aver atteso per circa due ore, abbastanza infuriato ha lasciato la città dei fiori e delle canzoni senza salire sul prestigioso palco dell’Ariston. Paesi collegati al Festival: Sono venti le emittenti televisive e radiofoniche di 16 Paesi europei che hanno trasmesso - in diretta o in differita - il 54° Festival della Canzone Italiana. Collegate l’Albania (Alrtvsh), la Bosnia Erzegovina (NTV Hyatt, RTVbih, Bajsbh), la Bulgaria (Rfi, Radio Bella, Kanal 2001), la Croazia (Hrt), la Finlandia (FiYLE), la Germania (Deutsche Welle), il Kossovo (Rrk), la Lituania (Lrt) la Macedonia (Sky Net), la Romania (Tvr), la Russia (NTV Plus), la Serbia Montenegro (Ujrt), la Slovenia (Sirtvs), la Svizzera (Tsi), la Turchia (Trt), l’Ucraina (Ntu),CHIN radio and TV International (Canada).
LIII Festival di Sanremo 2005 Francesco Renga vince con il suo “Angelo” La manifestazione si è svolta dal 1 al 5 marzo. Sede Teatro Ariston. Presentatori: Antonella Clerici Paolo Bonolis e Federica Fellini Direttore Artistico e musicale, Paolo Bonolis insieme a Gianmarco Mazzi. Organizzazione Rai Vincitore della 55a edizione Francesco Renga con “Angelo” Premio critica: a Nicola Arigliano Il Festival 2005 ha visto la modifica del regolamento, vale a dire, i Big sono stati divisi in categorie, uomini, donne, gruppi, classic, e dopo alcuni anni sono state reintrodotte le eliminazioni.Quindi il vincitore della kermesse canora è stato concertato dal televoto proprio fra i 4 vincitori della categoria dei Big insieme al vincitore della categoria giovani. Da rilevare che dopo diversi anni, l’Orchestra, in questo caso è l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, fu spostata nella buca per permettere la presenza degli ospiti seduti sul palco. tian Lo Zito Modà Negramaro. Note: Fu il conduttore Paolo Bonolis la sera del 1 marzo, in diretta tv, ad annunciare la morte di Alberto Castagna, causata da un’emorragia interna. Mentre la serata del 4 marzo, fu menzionato Nicola Calipari agente del Sismi, ucciso a Baghdad mentre scortava la giornalista Giuliana Sgrena, all’aeroporto appena liberata dai sequestratori. Dell’edizione del 2005 del Festival va ricordato il debutto di Paolo Bonolis con ascolti boom già dalla prima serata, 16 milioni di spettatori, ascolti così non se ne vedevano da anni. Senza dimenticare che sul palco dell’Ariston è salito Mike Tyson. L’esibizione del boxeur però è avvenuta dopo le 22.30 per rispettare la fascia protetta. Uno show che ha visto l’ex campione cantare “New York New York” e “Volare” per un compenso di 150 mila euro, rispondendo però alle domande di Bonolis, sull’esperienza in carcere. Com’è da tradizione non sono mancate le polemiche, vale a dire, le proteste del Telefono Rosa e delle parlamentari per la presenza giudicata inopportuna
fuori luogo e offensiva per le donne, di Tyson al Festival. Bonolis è così accusato di pensare solo agli ascolti. Polemica anche per il trattamento speciale riservato a Povia, cantante esordiente ma fuori gara, che si è presentato con una canzone bellissima “ I bambini fanno ho” servita per lanciare una campagna pubblicitaria benefica per il Darfur. I Complimenti per i presentatori sono giunti puntuali, un trionfo! Poi l’attesa per Will Smith accompagnato dalla sorella, dalla mamma, diversi assistenti e body guard. E contro la pirateria proprio a Sanremo, e, in pieno svolgimento della kermesse canora è stato siglato un accordo intersettoriale stipulato in Europa per lo sviluppo dei contenuti digitali in rete, denominato “Patto@ di Sanremo”: per siglare le firme sono giunti i Ministri Maurizio Gasparri, Lucio Stanca e Giuliano Urbani. E che dire delle minacce terroristiche, l’Ariston fu presidiato e blindato, a seguito degli attentati di Genova e Milano e l’annuncio di una quinta bomba posta nella sede dell’Ariston dalla sedicente Federazione Anarchica Informale. Del resto l’annuncio di una minaccia non ha scosso la città di Sanremo alle prese con incontri, concerti in piazza ed altre manifestazioni collaterali. Del resto lo show deve andare avanti. Le canzoni sono belle, piacciono al grande pubblico che è sovrano, e, le serate del Festival però sono come un cartoon con la firma di Bonolis. Sanremo - dicono - nella versione Walt Disney. Ammirabile e simpatica Antonella Clerici, con i suoi voluminosi abiti, ma è un’ottima spalla per Bonolis, mentre la giovane valletta, Federica Fellini, è stata paragonata a Paperina. Puntualmente è giunta anche la polemica sui fiori. I coloratissimi fiori di Sanremo c’erano sul palco più famoso del mondo, peccato che le telecamere della Rai non li hanno mai inquadrati. Sanremo è Sanremo anche per questo!
LIV Festival di Sanremo 2006: A sopresa ince Povia Presentatori: Giorgio Panariello Ilary Blasi e Victoria Cabello - Vincitore Povia con “Vorrei avere il becco” Ospiti:John Travolta; Nazionale italiana di Curling; Francesco Totti; Giorgio Faletti; John Cena; Silvio Muccino; Maria Grazia Cucinotta; Dolce & Gabbana; Orlando Bloom; Arnoldo Foà; Virna Lisi; Carlo Verdone; Leonardo Pieraccioni. Ospiti cantanti :Because You Live - Jesse McCartney - Laura Pausini - Laura Pausini - Eros Ramazzotti e Anastacia - Eros Ramazzotti - Andrea Bocelli - Andrea Bocelli e Christina Aguilera - Andrea Bocelli - Giancarlo Giannini - Gavin DeGraw - Shakira - Hilary Duff Eros Ramazzotti e Laura Pausini Nel blu dipinto di blu - La kermess è stata suddivisa in categorie: Uomini, Donne, Gruppi, da 6 interpreti ciascuno e 12 Giovani. I brani hanno gareggiato nella sua categoria, alla Finalissima sono arrivate solo due canzoni per categoria. Tra le canzoni vincitrici di ogni singola categoria, il pubblico ha poi decretato il vincitore assoluto. Vincitore del Festival 2006 Povia :vincitore categoria Uomini; seconda “Dove si va” dei Nomadi, vincitori Gruppi; terza “Essere una donna” di Anna Tatangelo, vincitrice Donne; quarta “Sole negli occhi” di Riccardo Maffoni, vincitore Giovani. Nel 2006 è stata abolita la categoria “Classic”, istituita nell‘edizione del 2005. Sanremo, che difficile decollo per il Festival di Panariello, la sala dell’Ariston al buio, ed il comico che ci scherza sopra! Ed il monologo che dire? E poi sempre i fiori al centro dell’attenzione. Panariello l’ha fatta veramente grossa sbandierando i fiori di Pescia ha fatto infuriare i floricoltori del ponente Ligure. Ilary Blasi e Victoria Cabello si sono impegnate, e nemmeno il super ospite Jhon Travolta con l’incontro ravvicinato con Victoria, ed il massaggio, chissà magari invidiato da alcune signore, risolleva la serata. La manifestazione del Festival del 2006 è stata una delle edizioni più criticate e discusse degli ultimi anni: al centro della polemica, gli ascolti tv, che sono visibilmente diminuiti rispetto alla manifestazione del 2005. Delle canzoni si è detto sono le solite! Tornando alle critiche, c’è cascata Anna Oxa, la sua è stata una interpretazione provocatoria, un brano folle e troppo lungo per Sanremo era scalza in penombra, ed ha rischiato di essere squalificata. Da ricordare la serata finale, i negramaro hanno ricevuto il premio Siae.
LV Il 2006 un anno di profonda tristezza e di grandi soddisfazioni Il 2006 è un anno per alcuni versi, entusiasmante, per altri molto triste. Per la prima vvolta nella storia, dell`Italia Repubblicana, gli italiani all`estero sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti a Roma. Il 19 marzo, in piena campagna elettorale, mi arriva una telefonata dall`Italia che non avrei mai voluto ricervere. Dopo aver combattuto sino l`ultimo giorno, come una leonessa, prima contro un male atroce e e poi la rottura del femore la mia adorata mamma ci lascia per andare a riabbracciare mio padre in cielo. Il 12 aprile ci sono le elezioni politiche e nonostante facessi parte di un piccolo partito (UDC) sfior la vittoria al Senato, ottenendo il 44% dei voti a Toronto, ma sono sconfitto in America, dove vince il candidato del Centro Sinistra. Nello stesso anno, L’Italia vince la sua quarta Coppa del Mondo. Nella finale di Berlino, gli azzurri battono ai rigori la Francia. Zidane, poi espulso nei supplementari, porta in vantaggio la Francia al 7’. Pareggio di Materazzi al 19’. Ai rigori è decisivo l’errore di Tre I rigori ridanno all”Italia quello che le avevano tolto. A 12 anni dalla sconfitta con il Brasile, l”Italia conquista la sua quarta Coppa del Mondo battendo nei tiri dal dischetto la Francia e torna campione del mondo a 24 anni di distanza dal trionfo di Madrid. La notte di Berlino diventa improvvisamente magica e il sogno, che sembrava tale fino a un mese fa, è diventato realtà. Azzurri sul tetto del mondo nell”ultima, triste notte di Zinedine Zidane, che ha
chiuso la sua carriera nel peggiore dei modi, facendosi cacciare per una leggerezza imperdonabile che rimarrà una macchia indelebile in fondo a una carriera costellata di trionfi. Lippi e Domenech danno fiducia alle formazioni vittoriose in semifinale. Toni unica punta, supportato da Totti. Camoranesi confermato a destra a centrocampo. Quarta formazione uguale schierata dal ct francese, che dagli ottavi non ha più cambiato l’undici di partenza. Pronti via e dopo un minuto Henry, affrontato da Cannavaro, cade male e rimane stordito per qualche istante. Al 5’ Helizondo assegna un rigore discutibile alla Francia, con Materazzi che entra in maniera scomposta ma ritrae la gamba al momento giusto e Malouda che sembra tuffarsi. Dagli undici metri va Zidane che tenta il cucchiaio, la palla tocca la traversa e rimbalza oltre la linea di porta. Un po’ di fortuna per Zizou, che in maniera rocambolesca porta in vantaggio i transalpini. L’Italia non accusa il colpo e si rigetta subito in avanti nel tentativo di riequilibrare la partita. Il tempo c’è, la testa anche. Sugli sviluppi di una punizione Thuram rischia l’autogol per anticipare Toni al 14’. Il gioco aereo è la principale risorsa degli azzurri e così al 19’, su corner di Pirlo, Materazzi sovrasta Vieira e di testa non dà scampo a Barthez. Secondo gol in questo mondiale per il difensore dell’Inter, che si fa perdonare per il precedente fallo da rigore, che rimane tuttavia molto dubbio. L’azione di ripete al 28’, ma stavolta Materazzi trova la respinta sulla linea di Thuram e il fischio di Helizondo per un fallo su Vieira. Il gioco è abbastanza frammentato, nonostante l’arbitro sia abbastanza permissivo. Al 35’ Gattuso, in versione assistman, serve Toni che incrocia sul secondo palo ma Thuram lo chiude alla disperata. Sul corner successivo il bomber azzurro è ancora più sfortunato, vedendosi respingere dalla traversa il colpo di testa a Barthez battuto. Il gran movimento di Henry e gli inserimenti di Malouda non bastano a mettere in apprensione la difesa azzurra, che per tutto il primo tempo non rischia più dalle parti di Buffon. Allora ci prova da solo l’attaccante dell’Arsenal a scardinare la retroguardia italiana, dopo 36 secondi della ripresa, con un’azione da &lsquoTitì’: progressione nella trequarti e slalom tra due avversari, ma la conclusione è debole e non fa paura a Buffon. Henry ci riprova al 50’, passando pericolosamente tra Grosso e Materazzi, ma nessuno segue l’irresistibile azione del francese e sul cross Zambrotta si rifugia in angolo. La Francia prende coraggio e cresce col passare dei minuti. L’Italia concede qualche spazio e Zambrotta rischia il rigore al 53’ su Malouda, innescato da Zidane. I Bleus perdono Vieira al 56’ per problemi alla coscia. Al suo posto entra Diarra. Lippi ridisegna l’Italia inserendo la seconda punta, Iaquinta, al posto di uno spento Totti. Dentro anche De Rossi, al rientro
dopo la lunga squalifica, e fuori Perrotta. Al 61’ Grosso direttamente su punizione pesca Toni, che di testa trova l’angolo alla destra di Barthez. Ma il guardalinee segnala un fuorigioco millimetrico e annulla la segnatura. Un minuto più tardi Henry disorienta Materazzi e impegna Buffon con un diagonale sul primo palo. Al 77’ Pirlo sfiora il palo con una punizione tagliata sul primo palo. Zidane è dolorante alla spalla ma stringe i denti L’Italia cala fisicamente e concede spesso l’iniziativa ai francesi. Lippi gioca l’ultimo carta inserendo Del Piero al posto di Camoranesi. Ma gli azzurri non hanno più la forza di attaccare e non possono fare altro che puntare ai supplementari. Al 9’ del primo tempo Ribery si libera al tiro e sibila il palo alla sinistra di Buffon. Domenech capisce che il momento è favorevole e inserisce Trezeguet proprio al posto del cursore del Marsiglia. La Francia continua ad attaccare e al 14’ Buffon vola per alzare un colpo di testa di Zidane, smarcato a centro area dal cross di Sagnol. All’inizio del secondo tempo supplementare Zizou decide di mettere fine alla sua carriera con un atto di ordinaria follia, colpendo con una testata sul petto Materazzi. Helizondo si consulta con l’assistente e mostra un cartellino rosso spietato e sacrosanto. Ma l’Italia, pur giocando dieci minuti buoni in superiorità numerica, non ha la forza di approfittarne. Si va ai rigori. L’errore decisivo lo commette Trezeguet, che calcia sulla traversa nella seconda serie. Per il resto non sbagliano Pirlo, Materazzi, De Rossi e Del Piero, così come Wiltord, Abidal e Sagnol dall’altra parte. Il peso dell’ultimo rigore è sui piedi di Grosso, che non risente minimamente dell’enorme pressione e spedisce alle spalle di Barthez con tutta tranquillità il pallone che laurea l’Italia Campione del Mondo.
LV Sanremo 2007 L`anno di Simone Cristicchi Presentano: Pippo Baudo e Michelle Hunziker . Scenografia Gaetano Castelli Regia Gino Landi Novità: al termine delle 4 serate il Dopofestival, è trasmesso dal Roof dell’Ariston direttamente dalla sala Stampa. Presenta Piero Chiambretti Vince la 57a edizione: sezione campioni Simone Cristicchi con il brano “regalerò una rosa”Categoria Giovani: Fabrizio Moro con il brano “Pensa” Cristicchi vince anche il premio critica intitolato Mia Martini. Per la categoria giovani e Fabrizio Moro a vincere il premio Critica. Il logo del Festival di Sanremo 2007 è stato creato dal pittore Emanuele Luzzati. Per omaggiare l’artista, scomparso di recente Pippo Baudo ha chiesto al Comune di Sanremo di mantenerlo anche per le prossime edizioni.Al Maestro Armando Trovajoli il premio Creatività della Siae, autore di mille brani, destinati ai generi di vari dello spettacolo, ha creato e imposto, coniugando elementi espressivi tradizionali e nuovi, una originale linea melodica italiana, che ha riscosso e continua a riscuotere anche all’estero, il massimo apprezzamento. Anche il Premio Città di Sanremo è stato assegnato al M° Trovajoli. La scenografia era caratterizzata da videowall e animazioni. Un’altra novità è che l’orchestra è tornata nuovamente sul palco. -Il premio città di Sanremo nel corso della serata di venerdì 2 marzo è stato consegnato al compositore e musicista Armando Trovaioli. Il grande Mike Bongiorno in veste di ospite invece ha aperto l’ultima serata del Festival. I fiori: la prima sera ranuncoli e ginestre; la seconda margherite, anemoni, calendule; la terza garofani e mimose; la quarta i papaveri; la quinta le rose. La bellissima e bravissima Michelle Hunziker ha anche cantato alcune canzoni: Adesso Tu, esibendosi in musical “Tutti insieme appassionatamente e Cabaret“. i.
Il Festival che ha visto il ritorno di Pippo Baudo è stata una buona edizione e gli ascolti hanno retto. Brillante e spigliata Michelle Hunziker. La rivelazione del Festival 2007 è Fabrizio Moro, già dalla prima sera sul palco più temuto, dice di fare il facchino in un albergo. Un trionfo per il cantante romano, che è contro ogni forma di violenza. Tra i comici sono stati molto graditi Ficarra e Picone, mentre gli ospiti italiani della sera di venerdì sono piaciuti molto al grande pubblico che da casa hanno seguito il Festival. L’omaggio alla musica italiana voluto da “sua pippità” è stata una carta vincente. La bellissima Michelle, e le 500 rose rosse, che le sono state regalate in diretta tv hanno suscitato curiosità, insomma bisognava scoprire chi le avesse spedite. Da sottolineare che nelle storie dei festivals, da anni, per la precisione 17, non succedeva che la seconda serata avesse più audience della prima. La bestemmia in diretta, ed ecco che la polemica incalza: Un tecnico, che non trova il microfono, sbotta qualche attimo prima dell’esibizione di Elsa Lila, che risponde “sono musulmana” smorzando così ogni possibile critica. Per il fatto increscioso, la Rai si è subito scusata con la cantante.
LVI Gio’ Di Tonno & Lola Ponce: Dal Musical Notre Dame de Paris a Sanremo Lo strappo fra UDC e PDL In gennaio, esplode in Campania l’emergenza rifiuti. Napoli sommersa dai rifiuti e la popolazione che insorge. Intervento del governo. Picco di morti a causa delle valanghe in nord Italia, ben 5 in meno di 48 ore. Il Ministro della Giustizia Clemente Mastella si dimette dall’incarico governativo dopo essere stato indagato per concorso esterno per delinquere e concorso in concussione. Anche alla moglie Sandra, presidente regionale della Campania, tocca la stessa vicissitudine. Alla fine del mese cade il governo Prodi. Il Kenya è sull’orlo di una crisi civile a causa delle contestate elezioni. Cinquanta persone, di cui molti bambini, arse vive all’interno di una chiesa. Inizia la corsa per l’elezione presidenziale negli USA. Tra i democratici si mette in evidenza Barack Obama. Nell’arcipelago venezuelano di Los Rocques un aereo cade in mare a causa di un guasto a 20 miglia dalla destinazione. Trovano la morte 14 persone, di cui 8 italiani. Il presidente del Senato Franco Marini rinuncia al mandato conferitogli dal presidente della Repubblica Napolitano per formare un nuovo governo. Questo causa lo scioglimento del Parlamento e elezioni anticipate per il 13 e 14 aprile. Blitz antimafia congiunto Italia/USA per colpire alcune “famiglie” collegate a Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo. Strappo politico fra l’UDC di Casini ed il PDL di Berlusconi e stessa sorte fra il PD di Veltroni con l’estrema sinistra. I 2 partiti correranno alle elezioni di aprile da soli. A Gravina di Puglia nel barese in un pozzo abbandonato durante il salvataggio di un tredicenne caduto all’interno, vengono ritrovati i corpi dei fratellini Pappalardi. Bill Gates si vede respingere una maxi offerta di 44,6 miliardi di dollari per l’acquisizione del secondo più importante motore di ricerca di internet del mondo, Yahoo!. Nozze tra il presidente francese e l’ex modella e cantante italiana Carla Bruni. Agguato in Afghanistan, non lontano da Kabul, contro una pattuglia di militari italiani impegnati nella distribuzione di viveri alla popolazione. Muore il maresciallo Giovanni Pezzullo. Con una proclamazione unilaterale nel Parlamento di Pristina, nasce il Kosovo indipendente, settimo Stato dopo la dissoluzione della Jugoslavia. Dopo 19 mesi di malattia, l’ottantaduenne Fidel Castro annuncia di ritirarsi dalla guida di Cuba dopo 49 anni, incaricando il fratello Raul. In campioni di mozzarella prodotta nel casertano viene rilevata diossina in valori superiori la soglia. Chiusi 80 allevamenti ed indagate più di 100 persone. Suscita scalpore il battesimo di Magdi Allam (vicedirettore del “Corriere della sera” dopo essersi convertito al cattolicesimo. ) da parte del Papa durante la veglia di Pasqua. Giò di Tonno e Lola Ponce, con “Colpo di fulmine”, si aggiudicano il 58° Festival di Sanre-
mo. Il “delfino” del presidente Putin, Dmitri Medvedev, viene eletto alla guida del Cremlino con il 70% dei voti. Nel principale collegio rabbinico di Gerusalemme vengono uccisi 8 studenti e 7 rimangono feriti da un assalto di un terrorista palestinese, poi giustiziato. Il socialista Josè Luis Zapatero riconfermato premier spagnolo con il 43% dei voti. A pochi mesi dall’inizio delle Olimpiadi di Pechino, in Tibet viene repressa duramente la protesta guidata dai monaci buddhisti contro l’occupazione cinese. Decine le vittime. A pochi giorni dalle elezioni e di fronte al rifiuto da parte dei sindacati, si arena la trattativa con Air France per l’acquisizione di Alitalia che salterà definitivamente nelle settimane successive. Netto successo del centrodestra, capeggiato da Berlusconi, ai danni del centrosinistra di Veltroni alle elezioni politiche. Berlusconi, alleato con la Lega Nord, ottiene il 45,9% dei voti alla Camera ed il 46,8% dei voti al Senato. Svolta anche al comune di Roma per la nomina del nuovo sindaco, dove il candidato per il centrodestra Gianni Alemanno ha la meglio sull’avversario del centrosinistra, e già 2 volte primo cittadino della capitale, Francesco Rutelli con il 53,6% dei voti al ballottaggio. Dopo 7 anni di bando per lo scandalo “mucca pazza”, L’Unione Europea riammette la fiorentina con l’osso sulla tavola degli italiani. Dure contestazioni a Londra per il passaggio della torcia olimpica. A Parigi, il giorno dopo, essa verrà spenta per scongiurare disordini con i dimostranti. Durante il viaggio negli USA di Benedetto XVI pronuncia una scomunica contro i preti pedofili. Choc in Austria, dove Joseph Fritzl, di 73 anni, viene arrestato con l’accusa di aver tenuto sotto sequestro per 24 anni la figlia 42enne Elizabeth, costringendola a rapporti incestuosi in cui sono nati 6 figli. La torcia olimpica raggiunge la vette del mondo, il monte Everest. A 3 mesi dall’inizio delle Olimpiadi, un terremoto con intensità di 7,9 gradi della scala Richter, devasta la zona del Sichuan, ai confini col Tibet. 68.000 morti e 20.000 dispersi il bilancio. Al senatore Ted Kennedy gli viene diagnosticato un tumore al cervello che non fermerà il suo impegno per Barack Obama. L’uragano Gustav colpisce gli Stati americani di New Orleans e Louisiana causando danni ed allagamenti. A Ginevra viene inaugurato il più grande acceleratore di particelle al mondo che vuole simulare il Big Bang. Con la crisi sui mutui ed il fallimento della banca Lehmann Brothers, negli USA, scatena una vera e propria bufera nei mercati finanziari, non solo americani. Le Borse di tutto il mondo ne risentono.
A Sanremo per 5 serate la musica e spettacolo va in diretta su Rai Uno in Eurovisione. Coordinamento e direzione musicale Pippo Caruso.Dopofestival, è stato trasmesso dal Teatro dell’Opera del Casinò di Sanremo. Presentato da Elio e le Storie Tese con la partecipazione di Lucilla Agosti e Lucia Ocone.Vince la 58a edizione:del Festival di Sanremo 2008 Sezione Campioni con il brano “Colpo di fulmine” Gio’ Di Tonno in coppia con Lola Ponce. Al 2° posto Anna Tatangelo con il brano “Il mio amico” mentre al terzo posto si è classificato Fabrizio Moro con il motivo “Eppure mi hai cambiato la vita”.Categoria giovani: hanno vinto i fratelli veronesi Luca e Diego Fainello “Sonohra” con il motivo “L’amore”. 2° gradino La Scelta con il brano “ Il nostro tempo” mentre al 3° posto si è classificato Jacopo Troiani con il motivo “Ho bisogno di sentirmi dire ti voglio bene”. Sul palco dell’Ariston hanno eseguito, in anteprima assoluta, “Insieme“, lo spettacolare numero finale del musical, conosciuto, nel film originale, con il titolo ‘Together’. L’ospite comico è stato Carlo Verdone che ha presentato il suo ultimo film ‘Grande Grosso e Verdone’. Uno sketch con l’attore romano vestito da scout con lui sul palco Geppy Cucciari. In apertura della prima serata uno strepitoso Gianni Morandi ha incantato la platea del Teatro Ariston con la canzone di Domenico Modugno, “Nel Blu dipinto di Blu”. Un omaggio straordinario a Mimmo: una sorpresa di Pippo Baudo. Con questo brano Modugno vinse il Festival 50 anni fa. Il ritorno dei Duran Duran ed ancora Lenny Kravitz, il bambino prodigio Marc Yu; Yael Naim Il Musical di Riccardo Cocciante “Giulietta e Romeo” ed ancora i Pooh, Jovanotti, Giorgia, Fiorella Mannoia. (Il 22 febbraio scorso ci ha lasciato all’età di 80 anni Nunzio Gallo, un grande protagonista della musica napoletana. Gallo, ricordiamo che vinse il Festival di Sanremo nel 1957 in coppia con Claudio Villa. Cantarono il brano “Corde della mia chitarra”. E’ mancato a Telese Benevento) Il bouquet della serata finale che è stato regalato sul palco del palco del Teatro Ariston è stato composto dalla regina dei fiori: la rosa fiore
sinonimo di eleganza, proposta nella bellissima nuance crema. Il bouquet regalato alle vallette Andrea Osvart e Bianca Guaccero e agli ospiti del Festival è molto scenografico, sia per le circa 50 rose profumate impiegate, sia per lo stile decorativo formale, compatto con cascate di medeola il cui effetto finale è una forma a medusa realizzata con la tecnica a spirale. Anche quest’ultimo bouquet, così come tutti quelli sul palco del Teatro Ariston della 58ma edizione del Festival della Canzone, sono stati creati dal sanremese Alessandro Maglio. Con la vittoria di Gio’ Di Tonno e Lola Ponce con il brano “Colpo di Fulmine” si pone la parola fine alla 58a edizione del Festival di Sanremo. Di Tonno e Lola Ponce sono famosi per aver interpretato la versione italiana del musical di Riccardo Cocciante “Notre Dame de Paris”. Al 2° posto Anna Tatangelo con “Il mio amico” mentre al 3° posto si è classificato Fabrizio Moro con il brano “Eppure mi hai cambiato la vita”. La kermesse canora condotta da Pippo Baudo, Piero Chiambretti con Bianca Guaccero e Andrea Osvart è stata caraterizzata da polemiche per il calo degli ascolti e poi per la canzone di Loredana Bertè dal titolo “Musica e parole” scritta da Alberto Radius negli anni 70, risultata invece edita ed è stata eliminata dalla gara. Va detto che però Loredana Bertè si è aggiudicata il premio della Sala Stampa Radio e Tv private.
LVII Festival di Sanremo 2009 A Marco Carta la palma d`oro Il 59° Festival della Canzone italiana si è svolto presso il Teatro Ariston di Sanremo dal 17 al 21 febbraio 2009. Vince Marco Carta 23 anni. Presenta Paolo Bonolis con la partecipazione del M° Luca Laurenti...Con una bellissima bambina di 7 anni di nome Beatrice, (foto) a fianco del conduttore Paolo Bonolis, si è aperta la 59esima edizione del Festival di Sanremo. Paolo Bonolis visibilmente emozionato ha raccontato alla bimba la storia della musica. Poi come per magia ecco il video trasmesso dal grande palco, con la meravigliosa voce di Mina, che ha intonato le note di “Nessun Dorma”, dalla Turandot di Giacomo Puccini, a far rabbrividire la pelle. La gara è stata divisa in cinque serate, trasmesse in diretta su Raiuno e, a differenza delle edizioni precedenti, senza “Dopofestival“.I cantanti partecipanti sono stati suddivisi in due categorie Artisti e Proposte.I 16 brani della categoria Artisti sono stati scelti fra 104 richieste di partecipazione.Fra le 10 canzoni ammesse per la categoria Proposte, 8 sono state selezionate fra 146 domande d’ammissione, mentre altre 2 sono interpretate da Arisa e Simona Molinari vincitori di Sanremolab.E per la prima volta il Festival si affaccia a internet ed è un successo: 90 video partecipanti alla competizione on-line denominata Sanremofestival.59, che si è svolta dal 14 gennaio al 19 febbraio , sono stati prescelti fra i 470 inviati alla commissione artistica del Festival. E’ Ania la vincitrice della categoria Sanremo Web. Ania, con il brano “Buongiorno Gente”, ha sbaragliato il Sanremo Web 2009. Ania, Napoletana di origini e Milanese d’adozione, è una cantautrice pop-rock con all’attivo due album e prestigiose collaborazioni con Mina, Lee Ryan e Antonino.Curiosità: tra i direttori d’Orchestra vi è Federica Fornabaio 23 enne:è la più giovane musicista nella storia del festival che abbia diretto l’orchestra. La vera novità di questo Festival è il M° Luca Laurenti. Divertenti le scenette preparate con Bonolis: ed è un’ottima spalla per il conduttore. Ma la sua voce, sbaraglia chiunque, l’interpretazione delle canzoni è straordinaria. E’ lui il vero protagonista di questo Sanremo. Gli “Artisti” 16 e le 10 “Proposte 2009”che hanno preso
parte alla 59a edizione del Festival di Sanremo. Conduce Paolo Bonolis coadiuvato dal direttore artistico musicale Gianmarco Mazzi. Premio della Sala Stampa Radio-TV Categoria Proposte: con Sincerità - vince Arisa. Premi speciali Premio Emanuele Luzzati: consegnato da parte della Regione Liguria ad Arisa, vincitrice della categoria Proposte. Nel corso della finale del Festival di Sanremo targato Paolo Bonolis, sabato 21 febbraio, è stato conferito dalla città di Sanremo il Premio alla Carriera a Mino Reitano, venuto a mancare poche settimane fa.Il Premio Citta’ di Sanremo, è stato ritirato da Patrizia, la moglie. La vedova visibilmente commossa, sul Palco del Teatro Ariston ha ricordato l’amore di Mino Reitano per la musica: io immagino questa sera mio marito su questo palco, immagino la sua gioia stasera. Il Premio è stato consegnato dal commissario Prefettizio del Comune di Sanremo, Umberto Calandrella. “Grazie a chi ha pensato di dedicare un premio a mio marito a pochi giorni dalla scomparsa,- ha detto Patrizia-. Mino aveva un rapporto straordinario con il pubblico. Io credo abbia avuto tre amori: la famiglia, la musica e il pubblico”. A Reggio Calabria, nel frattempo, l’ Associazione Memorial Paolo Musolino ha deciso all’unanimità di intitolare una borsa di studio al “Grande Uomo Mino Reitano”. Riconoscimento che sarà consegnato il 2 Agosto a Bianco (RC) ad un bambino delle scuole elementari locali. È il secondo Festival che vede alla conduzione Paolo Bonolis , che è anche direttore artistico. Il direttore musicale è Gianmarco Mazzi, che aveva ricoperto questo ruolo già nel 2005 e 2006, al fianco di Bonolis prima e di Giorgio Panariello dopo. Due mesi prima dell’inizio del Festival, la stampa ha raccolto le polemiche riguardo la canzone presentata da Povia, dal titolo “Luca era gay“, su un ragazzo che, divenuto omosessuale per problemi familiari, diventa per amore etero. Le associazioni LGBT, considerandola una propaganda alla Terapia intensiva del movimento degli ex gay, sono insorte ed hanno programmato proteste a Sanremo nei giorni della kermesse.In sala entra il vulcanico Roberto Benigni, che ha ironizzato su Berlusconi, prendendo in giro la politica! Poi è intervenuto sulla partecipazione in video di Mina al festival, toccando anche la polemica dei manifesti sui Bus di Genova: sulla giustizia, Veltroni, e la canzone di Iva Zanicchi scherzando sul testo. Il punto sulla crisi. Il premio Oscar ha conquistato quello che è sempre stato definito, un pubblico ingessato quello dell’Ariston al Festival. Dopo aver chiamato vicino a se Bonolis, tocca il tema degli omosessuali: citando infine una lettera d’amore di Oscar Wilde. Presidente di Casinò Spa, Donato Di Ponziano-” e dall’altra per partecipare in maniera più diretta ad esaltare la cultura musicale italiana. Il premio a Lelio Luttazzi è il riconoscimento a chi ha saputo interpretare e cambiare, ma anche indirizzare i gusti musicali del Paese, scrivendo pagine .e pagine di spettacoli e di televisione, contribuendo alla Storia musicale nazionale. Anche questo premio si inserisce nella nostra tradizione culturale e nel nostro profondo legame con il territorio e con i suoi eventi.”A Lelio Luttazzi, con i suoi ottantacinque anni, mancava solo l’esperienza del Festival di Sanremo. Paolo Bonolis, direttore artistico e conduttore dell’edizione 2009, lo ha convinto ad
intervenire come padrino di una delle “giovani promesse”, Arisa.Questa la motivazione del Premio Casinò Sanremo alla Musica a Lelio Luttazzi:per aver contribuito in maniera determinante alla storia della musica e del costume italiano, ricercando modi sempre nuovi e sempre autentici di vivere il rapporto tra le canzoni e il pubblico, tra gli artisti e la realtà riuscendo a scrivere pagine indimenticabili della cultura musicale italiana.Lelio Luttazzi ha ringraziato:” Non ho mai avuto un’accoglienza così calorosa e con tanti fotografi e giornalisti neppure quando ero in piena attività. Forse ho il fascino di chi ha abbandonato le scene, il fascino del “passato. Hugh Hefner, patron e le playmate di Playboy non si era mai visto prima: evento unico nella storia del Festival di Sanremo; le conigliette italiane di Play Boy, calcare il palcoscenico del Teatro Ariston nel corso della serata del Festival della Canzone italiana. Sulle note di Like a Virgin sono apparse Sarah Nile, Micol Ronchi, Cristina de Pin, playmate dei primi tre numeri del rinnovato Playboy Italia. La porno-star Laura Perego nel corso della serata ha invaso il palco dell’Ariston , quando Bonolis intervistava il patron di Play Boy. La donna è stata presa ed allontanata, con la massima cautela dagli uomini del servizio di sorveglianza dell’Ariston.
Sanremo History, il 2010. L’ anno della Clerici e la protesta dell`orchesta L’edizione sanremese numero 60, già prima di avviarsi, registrava le immancabili polemiche, anzi: bufere! A qualche giorno dall’inizio, Morgan, cantante e giurato di X Factor, confidava al mensile Max di curare la propria depressione con la droga. Apriti cielo! Si scatenò un vero ciclone su Morgan e, indirettamente, sulla manifestazione canora. Giornali, tv e mezzi di informazione amplificarono il caso, accendendo i riflettori su Sanremo. Ovviamente ce n’era per tutti! Lo scrittore e critico letterario Lorenzo Mondo, nella sua rubrica Pane al pane di domenica 21 febbraio non risparmiava pesanti critiche: Ma la cultura, si sa, non entra neppure di sbieco nel carrozzone sanremese. Lo ha dimostrato il caso di quel Morgan, ‘l’artista maledetto’, che, giustamente escluso dal Festival per la sua pubblica promozione della droga come antidepressivo, ha trovato tuttavia a Sanremo una plateale cassa di risonanza. La presentazione del Festival 2010 era affidata ad Antonella Clerici, quarta donna nel ruolo di conduttrice principale della rassegna canora dopo Loretta Goggi, Raffaella Carrà e Simona Ventura (Stefania Casini conduttrice “ufficiosa” di Sanremo 1978). Il metro di paragone per l’edizione numero 60 era Bonolis: sarebbe riuscita la bella e prorompente Clerici a raggiungere e superare l’audience del Festival precedente? Accanto ad Antonella, “valletto” d’eccezione un calciatore assai amato e discusso: Cassano, prototipo di italiano (raccontò di aver letto un libro, il suo!). L’importante, diceva, erano e sono i soldini. Chiaro il concetto: calciatori e veline sono da ritenersi il massimo dell’Italia e un sicuro punto di riferimento. Nella edizione n° 60, Antonella riusciva nella grande impresa di conquistare pubblico e critica. Era lei la ‘vera’ vincitrice del Festival. Così Alessandra Comazzi su La Stampa di domenica 21 febbraio: Fenomeno Clerici, l’antivalletta che piace alle donne. Molti non sarebbero stati disposti a scommettere più di un copeco sul successo di Antonella Clerici, soprattutto
se confrontato al Festival di Bonolis. (…) Pure grazie a lei, del Festival si è tornati a parlare nei bar e nelle piazze, le ragazze discutevano dei suoi vestiti, ne commentavano l’andatura. Probabilmente il personaggio è molto più costruito di quanto non si voglia far credere, ma il suo caracollare sui sandali è comunque un richiamo molto importante alla donna comune. Una bionda che barcolla su un tacco 12 con quel tocco di ‘retro’ da chiamare gli spot ‘réclame’. Una donna che piace alle donne. Ma tornando “all’essenza” del Festival, dal 16 al 20 febbraio, sul palcoscenico del teatro Ariston, ecco venticinque interpreti a proporre altrettanti brani, suddivisi in due sezioni: Artisti (quindici noti cantanti), e Nuova Generazione (dieci debuttanti o quasi). Ad aggiudicarsi la vittoria nella sezione Artisti, alla sua prima apparizione al Festival, era Valerio Scanu con il brano Per tutte le volte che. Nella categoria Nuova Generazione si imponeva la canzone Il linguaggio della resa di Tony Maiello. Il vincitore delle terza edizione del talent show di Rai due X Factor, Marco Mengoni, veniva ammesso di diritto nella sezione Artisti. Valerio Scanu, vincitore con il brano Per tutte le volte che, idolo dei fans della trasmissione Amici, così commentava il primo posto: Sono venuto qui perché è il palco più importante del nostro paese e se vuoi fare il mestiere del cantante non puoi fare finta che non esista. Per quanto riguardava l’audience (ormai l’unico metro di giudizio per consacrare i vari Festival) la prima serata aveva avuto ascolti più o meno uguali a quelli dell’anno di Bonolis, fra l’altro superospite della Clerici. Ottimo anche il risultato della seconda serata grazie alla presenza della regina Rania di Giordania. Nella terza serata, con la celebrazione di alcuni fra i più grandi brani del passato e con l’attesa per il risultato finale, gli ascolti si impennarono. Scriveva Luca Dondoni (La Stampa di lunedì 22 febbraio): Con 12 milioni 462 mila telespettatori e uno share del 53,21% il festivalone di Antonella Clerici anche nella serata finale è riuscito a fare ottimi ascolti e un picco alle 23,13 di ben 15 milioni e 195 mila spettatori. Una sorpresa per chi, ed erano tantissimi, era convinto che dopo Bonolis ci sarebbe stato il baratro. Il Festival serata per serata. La gara, divisa in due categorie, Artisti (in passato chiamati
anche Big o Campioni) e Nuova Generazione (i cosiddetti Giovani o Nuove Proposte), prevedeva un sistema di votazione misto. L’Orchestra, come nell’edizione 2009, era infatti una vera e propria giuria a garanzia della “qualità” delle canzoni. Esclusa la fase finale, il suo voto incideva per il 50% (l’altra metà era affidata al televoto). Quasi per non smentirsi, il Festival si concludeva con un’altra polemica, questa volta relativa al televoto. Quanto infatti aveva inciso il sistema di votazione sulla vittoria di Scanu e sul secondo posto del trio (Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici)? Probabilmente il televoto era riuscito a ribaltare un risultato diverso. Così Luca Dondoni (La Stampa di lunedì 22 febbraio): E qui sta il problema: perché quanto davvero abbia inciso il televoto sulla vittoria di Valerio Scanu, e soprattutto sul secondo posto del trio Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici, non s’è capito. Tanto che gli orchestrali hanno inscenato la loro clamorosa protesta. Loro avevano votato Simone Cristicchi e Malika Ayane. Come il televoto, che influisce per il 50%, sia riuscito a ribaltare il loro giudizio, è un mistero. Fischi e forti contestazioni, infatti, vennero riservati al trio composto da Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici. Il culmine, nella serata finale del 20 febbraio, alla proclamazione dei tre finalisti; gli orchestrali, a cui era stato riservato pure il ruolo di giuria, all’annuncio dell’esclusione delle canzoni interpretate da Malika Ayane, Cristicchi e Noemi protestarono vivacemente accartocciando gli spartiti, in segno di disaccordo.
LVIX Festival di Sanremo 2011 Il regalo di Morandi a Roberto Vecchioni La 61esima edizione Festival della Canzone Italiana. (Edizione Record di ascolti) Cinque serate in onda su Rai1, in Eurovisione e in prima serata, dal 15 al 19 febbraio. A condurre Sanremo 2011, una squadra d’eccezione guidata dal “capitano” Gianni Morandi e formata da Belen Rodriguez, Elisabetta Canalis, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. Direttore artistico, per la sesta edizione, è Gianmarco Mazzi. Vince il Festival di Sanremo 2011 Roberto Vecchioni 2° Modà con Emma 3° Al Bano Numerose le novità di questa edizione, a partire dagli ARTISTI in gara - 14 in totale – che si sono esibiti per la prima volta con due canzoni, una nuova e una “storica” per il 150° anniversario dell’Unita d’Italia al quale è stata dedicata la serata di giovedì 17 febbraio, a un mese esatto dal 17 marzo, giorno dell’Unità d’Italia. Un appuntamento intitolato “NATA PER UNIRE”, con un duplice riferimento all’Italia e alla musica che, per sua natura, affratella. I cantanti della categoria ARTISTI, per questa occasione, hanno preparato quattordici versioni di canzoni famose di ispirazione per raccontare un po’ della storia di noi italiani. La serata-evento, inoltre, è stata legata a una raccolta fondi a favore della Fondazione del professor Attilio Maseri “Per il tuo cuore-ONLUS” che opera per ridurre i problemi derivanti dalle malattie cardiovascolari attraverso la prevenzione. SANREMO GIOVANI 2011, con i due vincitori del concorso AREASANREMO (Roberto Amadè e Gabriella Ferrone), sono approdati sul palco dell’Ariston. Ulteriore novità di quest’anno è l’introduzione, nel meccanismo di voto, della golden share, il possibile correttivo - riconosciuto alla stampa - che consiste nell’attribuzione di un voto secco dato a un solo artista in grado di modificare significativamente le classifiche fino a quel momento decretate dai due sistemi di voto principali: la giuria demoscopica e la combinazione orchestra+televoto.Numerosi, inoltre, gli ospiti che si sono alternati sul palcoscenico del Teatro Ariston: Antonella Clerici per un “passaggio di testimone” con Gianni Morandi. Sempre nella prima puntata la Nazionale italiana di Ritmica è stata protagonista dei “quadri” coreografici con Daniel Ezralow. Altri ospiti, il ballerino di Tango Miguel Angel Zotto, Andy Garcia, Roberto Benigni, i Take That (Gary Barlow, Howard Donald, Jason Orange, Mark Owen, Robbie Williams), Robert De Niro e Monica Bellucci, Massimo Ranieri, Avril Lavigne.La direzione d’orchestra del 61° Festival della Canzone Italiana è del Maestro Mar-
co Sabiu, la regia di Duccio Forzano. Ad accompagnare gli artisti, in diretta, la Sanremo Festival Orchestra composta da 61 elementi e da 6 coristi.La scenografia è stata ideata e realizzata da Gaetano Castelli. Le coreografie sono di Daniel Ezralow e Franco Miseria, che cura i balletti di Belen Rodriguez e Elisabetta Canalis.Elenco Artisti: Luca Madonia con Franco Battiato, con “L’alieno”; Anna Oxa con il brano “La mia anima d’uomo” Davide Van De Sfroos: “Yanez”; Roberto Vecchioni : “Chiamami ancora amore”; Max Pezzali : “Il mio secondo tempo”; Tricarico: “3 colori”; Al Bano: “Amanda è libera”: Nathalie: “Vivo sospesa”; Emma con i Modà, “Arriverà”; Patty Pravo “Il vento e le rose”; Giusy Ferreri: “Il mare immenso”; Anna Tatangelo: “Bastardo”; La Crus (Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti): “Io confesso”; Luca Barbarossa con Raquel Del Rosario: “Fino in fondo”.I giovani: Serena Abrami con ”Lontano da tutto”; Roberto Amadè con ”Come pioggia”; Anansi con ”Il sole dentro”; Btwins con ”Mi rubi l’amore”; Gabriella Ferrone con ”Un pezzo d’estate”; Raphael Gualazzi con ”Follia d’amore”; Marco Menichini con ”Tra tegole e cielo” e Micaela con ”Fuoco e cenere”. Vince Sanremo Giovani 2011, Raphael Gualazzi, 29 anni, di Urbino, che con i suoni jazz e un po’ swing di “Follia d’amore” ha conquistato tutti, critica e pubblico ha anche vinto il premio della critica Mia Martini, Premio Sala Stampa, il Golden Share e il Premio “Luzzati” della Regione Liguria.I Big eliminati sono Tricarico e Max Pezzali. Premio speciale anche del Comune di Sanremo. PATTY PRAVO con MORGAN - Il vento e le rose (esclusa)
LX FESTIVAL 2012: Finalmente Emma Marrone La 62a Edizione del Festival della Canzone Italiana si è svolta dal 14 al 18 febbraio. Vince il Festival della Canzone Italiana 2012 Emma Marrone con il brano “Non è l’inferno” Sede Teatro Ariston di Sanremo. Presenta Gianni Morandi, Rocco Papaleo e la modella ceca Ivana Mrazova Ospite d’eccezione Adriano Celentano La direzione artistica è stata curata da Gianmarco Mazzi; la regia da Stefano Vicario; la scenografia da Gaetano Castelli; le coreografie di Daniel Ezralow e Franco Miseria; l’Orchestra è stata diretta dal maestro Marco Sabiu. La conduzione della kermess canora all’inizio doveva essere affidata a un quartetto composto da Morandi, Papaleo, Mrazova e Tamara Ecclestone; quest’ultima è stata poi rifiutata dal Direttore Artistico Mazzi poiché ritenuta troppo capricciosa e poco disponibile alla preparazione dell’evento. La modella ceca, Ivana Mrazova, invece, non ha preso parte alla prima serata del Festival a causa di una cervicalgia, che la vede costretta a portare un collare, ed i medici le consigliano assoluto riposo, è stata “sostituita” da Belen Rodriguez e Elisabetta Canalis, conduttrici del Festival 2011. Dopo l’esibizione di tutti i cantanti in gara dovevano essere eliminati 2 dei 14 Big ma, a causa di un guasto tecnico, non sono stati giudicati dalla giuria demoscopica presente in sala e di conseguenza sono stati ammessi tutti di diritto alla seconda serata. La presenza del super ospite Adriano Celentano e della sua predica durante il quale il cantante ha attaccato duramente la Stampa Cattolica oltre che la Corte Costituzionale, ha poi scatenato duramente tante polemiche. Questo comportamento ha provocato forti reazioni da parte di CEI, FNSI e FIEG, fino al punto che la Rai decide il giorno successivo di “commissariare” il Festival, inviando il dirigente Antonio Marano, sfiduciando la produzione indipendente di Rai1 e della direzione artistica del Festival. Anche gli interventi ricchi di parolacce ha destato clamore. Oltre al molleggiato, e le conduttrici del Festival dell’anno precedente, gli ospiti sono stati: Luca e Paolo e Pupo. Gli ascolti però ci sono stati: picchi di 17 milioni da primato! Nella seconda serata si sono esibiti i quattordici Artisti in gara e la giuria demoscopica ha eliminato 4 cantanti, cosicché hanno continuato la gara i primi dieci classificati. Si sono esibiti poi gli otto giovani della sezione Sanremosocial, abbinati in sfide a due a due (deter-
minate secondo la classifica di Sanremosocial Day - La sfida, con votazione determinata per il 50% dal televoto e per il restante 50% da una giuria tecnica composta dai musicisti della Sanremo Festival Orchestra: i quattro cantanti più votati della sezione Sanremosocial sono stati dunque ammessi alla quarta serata. Durante la serata, uno sketch comico di Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli (I Soliti Idioti) nei panni di una coppia Gay ha scatenato dure reazioni da parte delle principali associazioni LGBT. Ospiti: Belen, Elisabetta e Martin Solveig. La terza serata, intitolata Viva l’Italia! un evento dedicato alla storia della canzone italiana nel mondo, i 14 Artisti hanno partecipato interpretando una canzone storica della canzone italiana accompagnato da un grande artista internazionale.Si sono inoltre esibiti i quattro Artisti non ammessi nella seconda serata, due dei quali sono stati ripescati in gara dal televoto.Nella quarta serata si sono esibiti i dodici cantanti della categoria Artisti rimasti in gara, interpretando una versione rivisitata del brano accompagnati da ospiti al termine delle esibizioni sono state eliminate due canzoni con votazione per il 50% del televoto e per il restante 50% da una giuria tecnica composta dai musicisti della Sanremo Festival Orchestra. Inoltre si sono esibiti i quattro giovani della sezione Sanremosocial rimasti in gara, e ne è stato proclamato il vincitore con un sistema di votazione misto: 50% i voti della giuria dei musicisti della Sanremo Festival Orchestra e 50% i voti del pubblico attraverso il sistema del televoto, con due golden share affidate alla giuria delle radio e agli utenti di Facebook.Durante la serata, è emerso il sospetto che il brano Respirare fosse stato eseguito da parte di Loredana Bertè con un parziale playback andando quindi teoricamente contro il regolamento del Festival e rischiando la squalifica.Classifica finale I duetti del festival della quarta serata: sono delle rivisitazioni dei brani in gara ascoltati nei giorni precedenti. Le due rivisitazioni più votate hanno accesso alla serata finale del Festival di Sanremo 2012: Emma vince Sanremo 2012 la seguono Arisa e Noemi. La vincitrice ha poi dovuto immediatamente affrontare una piccola polemica con Francesco Silvestre, autore della sua canzone, il quale l’ha attaccata su Facebook poiché non è stato ringraziato da Emma subito dopo la vittoria. Gli ospiti: Geppi Cucciari; Adriano Celentano; Luca e Paolo; The Cramberris, Alessio Boni, Bianca Guaccero; Dajana Roncione, Caterina Misasi, Ell ì&Nikki.Rappresentante italiano all’Eurovision Song Contest è Nilla Zilli scelta da una giuria guidata da Gianni Morandi. Il Festival della Canzone Italiana 2012 è stato il Festival di Celentano e Morandi. La rivelazione di questo Festival l’attore Rocco Papaleo. La morte di Witney Houston l’11 febbraio, a poche ore dall’inizio della gara: Witney fu ospite di due diverse edizioni a Sanremo: nel 1987, vinse Morandi con Ruggeri e Tozzi. Addio A Witney “Voce di Dio” e definita infelice regina.
LXI 63° Festival della canzone italiana: Vince Mangoni Dal talentsshow a Sanremo la strada è stata breve Evento chiamato Sanremo Story: eseguite, senza votazioni, da parte dei 14 Campioni delle canzoni della storia del Festival; i cantanti sono stati accompagnati da altri artisti famosi. Ospiti: Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi; Pippo Baudo; Stefano Bollani e Gaetano Veloso.Ospiti quinta serata:Andrea Bocelli, la modella Bianca Balti e l’attore Claudio Bisio. Inoltre alla finalissima del 63°Festival, sempre come ospiti, sono intervenuti la cantautrice e pianista inglese Birdy, 17 anni, il rugbista Martin Castrogiovanni e Lutz Förster, famosissimo ballerino internazionale e Daniel Harding che ha aperto la serata con la Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Antonio Maggio è il vincitore della sezione Giovani del 63° Festival di Sanremo: seconda classificata Ilaria Porceddu, terzo Renzo Rubino, che si consola con il premio della critica, e quarti i Blastema. Il Premio Sergio Bardotti (autore tra gli altri di tante canzoni famose di Sergio Endrigo) è andato a Il Cile per la canzone “Le parole non servono più”. Boom di ascolti per tutte le cinque serate della gara canora. Un successo importante per Sanremo. Con la vittoria di Mengoni, che era tra i favoriti è stato così rispettato il pronostico che lo voleva vincitore. Per quanto riguarda la prima serata, Maurizio Crozza è stato contestato da alcune persone
che in sala non hanno gradito la sua performance quando ha imitato un noto politico. Polemiche preventive anche per Carla Bruni ospite di Fazio e Luciana; le due donne poi hanno duettato in maniera spiritosa sul palco dell’Ariston. Le altre serate sono trascorse all’insegna della buona televisione e della musica di qualità. E’ stato anche il festival della spending-review, ma il conduttore ligure è riuscito a portare ugualmente a Sanremo ospiti importanti come la modella Bar Fefaeli e il pallone d’oro Roberto Baggio. Il Festival 2013 ha riscattato Luigi Tenco. La famiglia di Tenco, infatti, ha ringraziato Marco Mengoni che nella serata di venerdì, “Sanremo Story” quella dei duetti, ha portato il brano “Ciao Amore Ciao”. Toccante interpretazione del cantante: applaudito caldamente dal pubblico in sala. Il Festival della Canzone Italiana targato N°63 è stato vinto da tutti: dai presentatori Fazio e Littizzetto, quest’ultima soprannominata “Lady Sanremo”: edizione che ha registrato ascolti record, che non si vedevano dagli anni 2000; dagli stessi artisti in gara, assoluti protagonisti e ancora da tutti gli ospiti che hanno arricchito il maestoso carrozzone festivaliero....
LXII Arisa a Sanremo in “Controvento” E’ Arisa la vincitrice del Festival di Sanremo 2014. La cantante trionfa con il brano “Controvento”. Arisa è arrivata in finale con Renzo Rubino e Gualazzi & The Bloody Bethroots. Nata nel 1982 Arisa aveva trionfato nel 2009 nella categoria Nuove Proposte con Sincerità. L’autore del brano è Giuseppe Anastasi. Il premio Mia Martini è andato invece a Cristiano de Andrè che si è anche aggiudicato il Premio Bardotti per il miglior testo.Premio per il miglior arrangiamento assegnato a Renzo Rubino per la canzone “Per sempre e poi basta” Il Festival di Sanremo 2014 è stato condotto da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Rocco Hunt vince tra le Nuove Proposte! Il rapper salernitano, 19 anni, ha trionfato con “Nu juorno buono”, brano dedicato alla Terra dei Fuochi. A Zibba il premio della critica Mia Martini. I Perturbazione hanno invece vinto il Premio della Critica Sala Stampa tv-radio-web “Lucio Dalla” nella sezione Campioni. hanno ricevuto il premio direttamente dall’Attrice Claudia Cardinale. Oltre al meccanismo della gara con i 14 big e le 8 nuove proposte, quest’anno c’è stato un prefestival e un dopofestival in diretta esclusiva sul web condotto da Filippo Solibello e Marco Ardemagni. Oltre al Festival vero e proprio, ecco la novità del prefestival con un occhio anche al web e ai giovani. Ogni serata del Festival è stata infatti aperta da una speciale “anteprima” scritta, realizzata e curata da Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, in qualità di testimone speciale della kermesse. Il regista e interprete del fortunato film “La mafia uccide solo d’estate”, che quest’anno comp-
ie 42 anni, ha percorso una strada tutta sua per conquistare il cuore del pubblico, soprattutto quello giovanile. La quarta serata, quella del venerdì è stata dedicata all’evento ‘Sanremo Club’ con l’interpretazione esecuzione, senza votazione, da parte dei 14 artisti campioni, di canzoni della storia della musica italiana. Rigorosamente in diretta su Rai1 dal Teatro Ariston, è la modella francese Laetitia Casta’. Poi l’anniversario dei 60 anni della Rai che sono stati celebrati con una carellata di ospiti, quindi sono saliti sul palco del Teatro Ariston anche Claudio Baglioni, Raffaella Carrà, Renzo Arbore, Gino Paoli, Franca Valeri, Enrico Brignano e l’astronauta Luca Parmitano che ha raccontato i sei mesi a bordo della stazione spaziale. Durante una delle serate, quella di giovedì 20 febbraio, è stato fatto un omaggio al maestro Claudio Abbado con l’esibizione di alcuni musicisti dell’Orchestra Mozart. All’interno del cast di Sanremo, Rufus Wainwright, Stromae, Paolo Nutini, Damien Rice e Yusuf Islam già celebre come Cat Stevens, cantautore simbolo degli anni 70. Grande interpretazione di Ligabue tra i superospiti del Festival di Sanremo 2014. Per il cantautore emiliano si è trattato della prima apparizione sul palco dell’Ariston. Ma veniamo ai 14 big in gara: Arisa, Antonella Ruggiero, Cristiano De Andrè, Francesco Renga, Francesco Sarcina, Frankie Hi-nrg MC, Giuliano Palma, Giusy Ferreri, Noemi, Perturbazione, Raphael Gualazzi & The Bloody Beetroots, Renzo Rubino, Riccardo Sinigallia, e Ron. Anche quest’anno sono stati due giornalisti per testata a votare per scegliere uno dei due brani in gara che hanno proposto i campioni nelle serate di martedì e mercoledì. Le 8 nuove proposte sono: Bianca, Diodato, Filippo Graziani, Rocco Hunt, The Niro, Vadim, Veronica De Simone e Zibba. Quattro di loro si sono esibiti nella seconda serata e quattro nella terza. I quattro più votati sono passati alla quarta serata in cui è stato proclamato il vincitore. La scenografia è stata realizzata da Emanuela Trixie Zitkowsky .La scenografia ha interpretato con la sensibilità della scenografa il tema centrale di questa edizione: la bellezza. E la declina rappresentando un palazzo italiano del Settecento solo apparentemente abbandonato, dove ancora abitano armonia, eleganza e ricordi di fasti lontani.
LXIV I raggazzi del Volo, si aggiudicano il Festival del 2015 L’edizione 2015 del Festival della Canzone Italiana, è stata presentata da Carlo Conti, Arisa, Emma Marrone e Rocìo Munioz Morales. Direttore Artistico Carlo Conti “Il Volo”, trio conosciuto anche come i tre tenorini, composto da Gianluca Ginoble, Piero Barone e Ignazio Boschetto, con il brano dal titolo “Grande Amore” ha vinto l’edizione n°65 del Festival della Canzone Italiana. Secondo Nek con la canzone “Fatti Avanti amore” e terza Malika Ayane, con “Adesso e qui”. Sanremo giovani è stato vinto da Giovanni Caccamo, con il brano “Ritornerò da te”. Tutti cantano Sanremo. È questo lo slogan scelto da Carlo Conti per il suo Festival: cinque serate di diretta, dal 10 al 14 febbraio. 20 cantanti in gara: Big I Big scelti dalla Commissione da 16 inizialmente previsti dal regolamento, gli artisti della categoria sono diventati 20. OSPITI Prima serata:Al Bano Carrisi e Romina Power, a 24 anni di distanza dalla loro ultima esibizione. L’attore comico Alessandro Siani, non sono mancate le incursioni dei I Boiler, il trio comico lanciato da Zelig Off. Prima serata con la maxi famiglia Anania di Catanzaro, considerata la più numerosa d’Italia: i due genitori sono saliti sul palco ospiti di Carlo Conti con al seguito i16 figli. Conti ha anche incontrato Fabrizio Pulvirenti, il medico italiano colpito dal virus dell’Ebola e poi guarito. Ospiti seconda serata: Biagio Antonacci, Charlize Theron,Vincenzo Nibali, Marlon Roudette, Conchita Wurst, Angelo Pintus, e la Compagnia di danza Pilobolus Ospiti terza serata: Spandau Ballet, Saint Motel, Luca e Paolo, Massimo Ferrero. Collega-
mento con Samantha Cristoforetti dalla stazione spaziale internazionale però registrato nel pomeriggio. Ospiti quarta serata: Giovanni Allevi, che ha presentato in anteprima tv il suo nuovo brano “Loving you”, Avener, produttore e dj francese che ha presentato il disco di debutto “The Wanderings of The Avener”,Virginia Raffaele e Antonio Conte Ospiti quinta serata: Gianna Nannini, ha proposto il suo nuovo singolo L’immensità. avrebbe dovuto esibirsi anche in un duetto con Massimo Ranieri sulle note di ‘O sole mio, saltato a causa dell’influenza che ha costretto il cantante a letto. Sul palco dell’Ariston anche la PFM per un’esibizione speciale, una rilettura del Nabucco di Giuseppe Verdi con la banda dell’Esercito italiano. Enrico Ruggeri per un omaggio ad Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e Giorgio Faletti con il brano Tre signori. Giorgio Panariello, il cast dell’opera moderna Romeo e Giulietta. Ama e cambia il mondo e gli attori del casta di Braccialetti Rossi 2. Ospite internazionale musicale il cantautore britannico Ed Sheeran ed ancoraWill Smith con Margot Robbie per promuovere il film Focus – Niente è come sembra, nelle sale dal 5 marzo 2015. La giuria di qualità ha cambiato nome in giuria di esperti. Scelte otto persone che hanno un legame speciale con la musica. Claudio Cecchetto, Carlo Massarini, Massimo Bernardini, Andrea Mirò, Camila Raznovich, Marino Bartoletti, Paolo Beldì e Giovanni Veronesi. Investimenti: sono stati registrati 15,7 milioni di euro di costi e ricavi per 21 milioni di euro. I circa 700mila euro provenienti dalla vendita dei biglietti portano ad un resoconto finale di 6 milioni di euro. Da evidenziare che l’età media registrata ha fatto scendere sensibilmente il target, arrivando alla media di 53 anni. Mentre c’è stato un incremento del target dei 15-24 anni che ha ottenuto il 53%, sceso di molto rispetto al 65% del 2014. Rai1 è riuscita ad avvicinare il pubblico giovane! FESTIVAL 2015 edizione da record del Festival di Sanremo. “La più vista degli ultimi 10 anni”così ha scritto con un Twitter il direttore di Rai1 Giancarlo Leone. Il Festival ha registrato il 48,64% di share medio. La finale, vale a dire l’ultima puntata, il giorno di San Valentino, ha registrato: 11,8 milioni di telespettatori in media con uno share del 54.21%. Vale a dire che più di un italiano su due che aveva accesa la televisione stava guardando l’ultima serata del Festival.
LXVI Il 2016 è l` anno degli Stadio Il Festival della Canzone Italiana 2016 si è svolto dal 9 al 13 febbraio. E’ stato presentato per la seconda volta da Carlo Conti affiancato da Gabriel Garko, Madalina Ghenea e Virginia Raffaele. L’edizione del Festival n°66 è stata vinta a sorpresa da gli Stadio con il brano “ Un giorno mi dirai” al secondo posto Francesca Michielin, con “Nessun grado di separazione” e al terzo posto la coppia Deborah Iurato- Giovanni Caccamo con “Via da qui” Sanremo Giovani è stato vinto da Francesco Gabbani con il brano “Amen” 28 artisti tra Campioni e Nuove Proposte Novità il ritorno del “Dopo Festival”, in onda dopo le serate del Festival. Padroni di casa, Nicola Savino, La Gialappa’s e Max Giusti Gli ospiti del 2016. Prima serata Elton John, Maitre Gims, Laura Pausini, Aldo, Giovanni e Giacomo. Seconda serata Ezio Bosso, Nino Frassica, Ellie Goulding, Eros Ramazzotti, Salut Salon. Terza serata i Pooh, il cantautore irlandese Hozier, Guglielmo Scilla e Marc Hollogne. Quarta serata Elisa, J Balvin, cantante colombiano autore della hit “Ginza”, il dj e producer belga Lost Frequencies e gli attori Enrico Brignano, Alessandro Gassmann e Rocco Papaleo. Quinta serata apre la serata Roberto Bolle, a seguire Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni, (Beppe) Giuseppe Fiorello, Renato Zero e, a furor di popolo Cristina D’Avena Grande novità è cresciuto lo share rispetto alla scorsa edizione, è aumentato il pubblico giovane. Sanremo è sempre più social! Boom di ascolti per tutte le serate della kermesse canora. “E’ la prima volta che il Direttore Generale Raimi chiama per complimentarsi” - ha detto Carlo Conti-. Superba l’interpretazione dei vari personaggi della talentuosa Virginia Raffaele che con le sue imitazioni ha conquistato tutti! Gli Stadio vincitori di Sanremo 2016, (gruppo formato da Giovanni Pezzoli, Roberto Drovanti e Gaetano Curreri), hanno conquistato tutti, ma hanno rinunciato a favore di Francesca Michielin, di rappresentare l’Italia all’Eurovision Contest. Aldo, Giovanni e Giacomo hanno ricevuto il premio città di Sanremo per i 25 anni di carriera.
LXVII Francesco Gabbani vince a sopresa il Festival di Sanremo 2017 Il festival della Canzone Italiana si è svolto dal 07 all’11 febbraio. La kermess canora è stata condotta per la terza volta consecutiva da Carlo Conti. Il presentatore toscano ha voluto al suo fianco nella conduzione delle cinque serate in diretta dal Teatro Ariston, Maria De Filippi. L’edizione del Festival n°67 è stata vinta da Francesco Gabbani seconda Fiorella Mannoia e terzo Ermal Meta. La sezione delle nuove proposte è stata vinta dal 20 enne Lele (Raffaele Esposito) con il brano “Ora Mai” Anche per questa edizione si è svolto il Dopo Festival con Nicola Savino e la Gialappa’s Band. Il festival della Canzone Italiana si è svolto dal 07 all’11 febbraio. La kermess canora è stata condotta per la terza volta consecutiva da Carlo Conti. Il presentatore toscano ha voluto al suo fianco nella conduzione delle cinque serate in diretta dal Teatro Ariston, Maria De Filippi. Eliminati 4 grandi nomi in gara: Giusy Ferreri, Ron, Al Bano e Gigi D’Alessio“ Ospiti: Tiziano Ferro e Carmen Consoli, Paola Cortellesi e Antonio Albanese“ Ricky Martin, Mika, Giorgia, Robbie Williams, Clean Bandit, Biffy Clyro“, Marica Pellegrinelli, ed ancora Keanus Reeves, Francesco Totti, LP. Mika, Zucchero. Ladri di Carrozzelle, band di musicisti diversamente abili. Alvaro Soler, ma sul palco dell’Ariston anche Carlo Cracco, Enrico Montesano e Geppi Cucciari. Maurizio Crozza ospite fisso. Curiosità Carlo Conti ha superato se stesso. Ogni serata record assoluto di ascolti.
LXIX Il Festival di Sanremo 2018 è l`anno di Ermal Meta e Fabrizio Moro Conduce Claudio Baglioni in veste anche di Direttore Artistico - Michelle Hunziker Pierfrancesco Favino. Vince l’edizione n°68 Ermal Meta e Fabrizio Moro con il brano:”Non mi avete fatto niente” Per questa edizione sono in gara:Annalisa – Il mondo prima di te (venerdì duetta con Michele Bravi)Decibel – Lettera dal Duca (venerdì con Midge Ure) Diodato e Roy Paci – Adesso (venerdì con Ghemon) Elio e le Storie Tese – Arrivedorci (venerdì con i Neri per Caso)Enzo Avitabile e Peppe Servillo – Il coraggio di ogni giorno (venerdì con Avion Travel e Daby Touré) Ermal Meta e Fabrizio Moro – Non mi avete fatto niente (venerdì con Simone Cristicchi) Giovanni Caccamo – Eterno (venerdì con Arisa) Le Vibrazioni – Così sbagliato (venerdì con Skin) Lo Stato Sociale – Una vita in vacanza (venerdì con il Piccolo Coro dell’Antoniano e Paolo Rossi) Luca Barbarossa – Passame er sale (venerdì con Anna Foglietta) Mario Biondi – Rivederti (venerdì con Ana Carolina e Daniel Jobim) Max Gazzè – La leggenda di Cristalda e Pizzomunno (venerdì con Rita Marcotulli e Roberto Gatto) Nina Zilli – Senza appartenere (venerdì con Sergio Cammariere) Noemi – Non smettere mai di cercarmi (venerdì con Paola Turci) Ornella Vanoni con Bungaro e Pacifico – Imparare ad amarsi (venerdì con Alessandro Preziosi) Red Canzian – Ognuno ha il suo racconto (venerdì con Marco Masini) Renzo Rubino – Custodire (venerdì con Serena Rossi) Roby Facchinetti e Riccardo Fogli – Il segreto del tempo (venerdì con Giusy Ferreri) Ron – Almeno pensami (venerdì con Alice) The Kolors – Frida (mai, mai, mai) (venerdì con Tullio De Piscopo e Enrico Nigiott
LXXX Sanremo 2019, vince l`italo-egiziano Mahmood E’ Mahmood con il brano “Soldi” il vincitore della 69esima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo. Secondo posto per Ultimo con il brano “I tuoi particolari”, terzi i ragazzi de Il Volo con la canzone “Musica che resta”. «Ragazzi è pazzesco, non ci sto credendo. E’ incredibile, devo ringraziare tutti quelli che mi hanno sempre sostenuto, chi ha scritto con me il pezzo, mia madre, e voi conduttori», ha detto Mahmood commentando a caldo la vittoria. Guarda il video esclusivo di RaiPlay con le prime reazioni di Mahmood subito dopo la vittoria >> Durante la serata finale sono stati assegnati, come da tradizione anche altri premi: il Premio della Critica “Mia Martini” - assegnato dalla Sala Stampa Roof dell’Ariston - va a Daniele Silvestri con il brano “Argentovivo”, che si aggiudica anche il Premio della Sala Stampa “Lucio Dalla” - assegnato dalla Sala Stamapa Radio-Tv-Web del Palafiori -; il Premio “Sergio Endrigo” per la migliore interpretazione - assegnato congiuntamente dalle Sale Stampa Roof dell’Ariston e Radio-Tv-Web del Palafiori - va a Simone Cristicchi con il brano “Abbi cura di me”, il Premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo - assegnato dalla Giuria d’Onore - va ancora a Daniele Silvestri per il brano “Argentovivo”; il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la migliore composizione musicale - assegnato dall’Orchestra del Festival - va ancora a Simone Cristicchi per il brano “Abbi cura di me”. Infine il Premio TIMmusic per il brano più ascoltato sulla app omonima viene assegnato a Ultimo per il brano “I tuoi particolari”.
LXXXI Tutte le canzoni vincenti del Festival di Sanremo La storia di Sanremo inizia nel lontano 1951. La prima vincitrice della storia del Festival è stata Nilla Pizzi con “Grazie dei Fiori”. La kermesse si teneva nel Salone delle Feste del Casinò di Sanremo e soltanto nel 1977 si sarebbe spostato al vicino Teatro Ariston. Fin dalle prime edizioni, ci sono sempre state grandi ospiti internazionali, una consuetudine che dura ancora oggi. Tra cambi di regolamento, polemiche, esecuzioni dal vivo e in playback, la storia di Sanremo, piaccia o no, è la storia della nostra canzone. Grazie alla fiducia riservatomi dalla dirigenza della Chin, mi ritengo onorato essere stato inviato alla kermesse per oltre 35 anni. In questo lasso di tempo ho potuto osservare il cambiamento delle mode, del modo in cui gli organizzatori si sono succeduti alla giuda della manifestazione canora, cambiando di volta in volta, il reglamento per favorire un cantante piuttosto che un altro. Tra tutti gli organizzatori, il più lungimirante credo sia stato Adriano Aragozzini, che aveva portato sul paco dell`Ariston, la canzone d`autore. Ecco l’elenco di tutti i vincitori dal 1951 fino a oggi. 1951 Nilla Pizzi “Grazie dei fiori” 1952 Nilla Pizzi “Vola colomba” 1953 Carla Boni, Flo Sandon’s “Viale d’autunno” 1954 Giorgio Consolini, Gino Latilla “Tutte le mamme” 1955 Claudio Villa, Tullio Pane, “Buongiorno tristezza“ 1956 Franca Raimondi “Aprite le finestre“ 1957 Claudio Villa, Nunzio Gallo “Corde della mia chitarra“ 1958 Domenico Modugno, Johnny Dorelli “Nel blu dipinto di blu“ 1959 Domenico Modugno, Johnny Dorelli “Piove (Ciao ciao bambina)“ 1960 Tony Dallara, Renato Rascel “Romantica“ 1961 Betty Curtis, Luciano Tajoli “Al di là“ 1962 Domenico Modugno, Claudio Villa “Addio… addio“ 1963 Tony Renis, Emilio Pericoli “Uno per tutte“ 1964 Gigliola Cinquetti, Patricia Carli “Non ho l’età (Per amarti)“ 1965 Bobby Solo, New Christy Minstrels “Se piangi se ridi“ 1966 Domenico Modugno, Gigliola Cinquetti “Dio come ti amo“ 1967 Claudio Villa, Iva Zanicchi “Non pensare a me“ 1968 Sergio Endrigo, Roberto Carlos Braga “Canzone per te“ 1969 Bobby Solo, Iva Zanicchi “Zingara“ 1970 Adriano Celentano, Claudia Mori “Chi non lavora non fa l’amore“ 1971 Nada, Nicola Di Bari “Il cuore è uno zingaro“ 1972 Nicola Di Bari “I giorni dell’arcobaleno“ 1973 Peppino Di Capri “Un grande amore e niente più“ 1974 Iva Zanicchi “Ciao cara come stai?“ 1975 Gilda “Ragazza del Sud“ 1976 Peppino Di Capri “Non lo faccio più“ 1977 Homo Sapiens “Bella da morire“
1978 Matia Bazar “…e dirsi ciao!“ 1979 Mino Vergnaghi “Amare“ 1980 Toto Cutugno “Solo noi“ 1981 Alice “Per Elisa“ 1982 Riccardo Fogli “Storie di tutti i giorni“ 1983 Tiziana Rivale “Sarà quel che sarà“ 1984 Al Bano, Romina Power “Ci sarà“ 1985 Ricchi e Poveri “Se m’innamoro“ 1986 Eros Ramazzotti “Adesso tu“ 1987 Gianni Morandi, Enrico Ruggeri, Umberto Tozzi “Si può dare di più“ 1988 Massimo Ranieri “Perdere l’amore“ 1989 Anna Oxa, Fausto Leali “Ti lascerò“ 1990 Pooh “Uomini soli“ 1991 Riccardo Cocciante “Se stiamo insieme“ 1992 Luca Barbarossa “Portami a ballare“ 1993 Enrico Ruggeri “Mistero“ 1994 Aleandro Baldi “Passerà“ 1995 Giorgia “Come saprei“ 1996 Ron, Tosca “Vorrei incontrarti fra cent’anni“ 1997 Jalisse “Fiumi di parole“ 1998 Annalisa Minetti “Senza te o con te“ 1999 Anna Oxa “Senza pietà“ 2000 Avion Travel “Sentimento“ 2001 Elisa “Luce (Tramonti a nord est)“ 2002 Matia Bazar “Messaggio d’amore“ 2003 Alexia “Per dire di no“ 2004 Marco Masini “L’uomo volante“ 2005 Francesco Renga “Angelo“ 2006 Povia “Vorrei avere il becco“ 2007 Simone Cristicchi “Ti regalerò una rosa“ 2008 Giò Di Tonno, Lola Ponce “Colpo di fulmine“ 2009 Marco Carta “La forza mia” 2010 Valerio Scanu “Per tutte le volte che…“ 2011 Roberto Vecchioni “Chiamami ancora amore“ 2012 Emma “Non è l’inferno“ 2013 Marco Mengoni “L’Essenziale“ 2014 Arisa “Controvento” 2015 Il Volo “Grande Amore” 2016 Stadio “Un giorno mi dirai” 2017 Francesco Gabbani “Occidentali’s Karma” 2018 Ermal Meta e Fabrizio Moro “Non mi avete fatto niente” 2019 Mahmood “Soldi”
Bibliografia http://www.today.it/media/sanremo-2018/sanremo-tutti-i-vincitori-dal-1951-a-ohtml Seguici su Facebook: http://www.facebook.com/pages/Todayit/335145169857930
Capitolo XX 1When in Rome.... And the winner is ... from Woodbridge? “Look at my eyes.” (La mia campagna elettorale del 2006, descritta dal Toronto Star)
Apr. 9, 2006. 07:25 AM Toronto - (Sunday Star) Vittorio Coco - red vest, tweed jacket, grey pallor - is showing the wear and tear of the weeks and months just past. “Toronto to Mexico City,” he says wearily. “To the Dominican Republic. All across the States. Vancouver. Edmonton. Winnipeg. Calgary. This is a huge, unbelievable place to represent. It’s been really tough.” How do you get the vote out when the electoral district for which you are running includes all of Canada, the U.S., Mexico and Central America? Yet this is the situation Coco found himself in as he made his bid for a seat in the Italian Senate. That sounds peculiar. Even in an election where the Italian Prime Minister recently referred to his opposition and their supporters as coglioni, laughingly translated by Coco as “dickheads.” Even in an election in which the same PM, Silvio Berlusconi, asserted that the Chinese Communists under Mao “didn’t eat babies, but boiled them to fertilize the fields.” Here we are, a long way from Rome, in Woodbridge at the campaign headquarters of Coco and his running mate, Giuseppe Canciani. Representing the Union of Christian Democrats (UDC) party, Canciani is running for a seat in the lower house, or the Chamber of Deputies. Two seats in the Chamber of Deputies are up for grabs. One seat in the Senate. Three seats in total are being contested in the sprawling North and Central American district. Candidates include the daughter-in-law of broadcasting mogul Ted Turner. Angela Della Costanza Turner is running on the Berlusconi ticket. Seats are being contested in South America - that’s a single district - and in the area defined as all of Europe outside of Italy, and lastly, in what’s known by shorthand as AAO - that is, the vast expanse of Africa, Asia, and Oceania. This is a first - the first time representation in the Italian Parliament, 18 seats in all, has specifically been given over to expatriates. On Friday, Italian embassies and consulates around the globe tallied voter turnout. In Argentina, 56 per cent of eligible voters cast a ballot. In Canada: 43 per cent. Yesterday, the ballots of Canadian voters were shipped by diplomatic pouch on an Alitalia flight headed for Rome. Tomorrow, they will be counted. Mathematically, the number is trifling when matched against the total number of seats in the Chamber of Deputies (630) and the Senate (315). Yet the experiment is relatively un-
tried and begs the question, is this a good thing? Patrick Luciani, director of the Grano speaker series, says no. “First of all, in any democracy, all citizens are equal or are supposed to be equal, and they must be able to affect policy and be affected by policy,” Luciani says. “In this case, we affect policy, but we aren’t affected by policy. We have the consequences of our action (in casting a ballot), but no responsibility. And that undermines the basic principles of democracy.” Luciani holds an Italian passport. He could have voted. He did not, and is chagrined to hear the voter turnout was high. “It breaks down the attachments of immigrants to their adopted country,” he says, “and we get into this concept of the `I only work here’ syndrome.” He makes a third point: “There’s a possibility of what I call broken loyalties. What happens when Italian and Canadian interests start to conflict? Where do the loyalties lie, and what does it mean to be Canadian?” There are, not surprisingly, shared experiences among a number of the candidates. Paolo Ariemma, born in Molise in south central Italy, arrived in Toronto in 1965 on a “musical tour.” The piano player stayed, became intensely involved in charitable and community work, and served a term on the Immigration Appeal Division of the Immigration and Refugee Board. He is now 66. “I was content with the way I was,” he says. “I was caressing the idea of writing a book.” Instead, friends talked him into running for a seat in the Chamber of Deputies on the Berlusconi ticket. His interests remain very much community-based, citing “pensions that are not being computed as they should be,” by the Italian government. “I am not motivated by political thought, but by community thought.” Coco arrived in Canada in 1959. For the past 35 years he has had a morning program on CHIN Radio. He is 66 years old. His campaign office is bustling. A poll of the popular vote in Canada has put Romano Prodi’s centre-left Union coalition in the lead at 32 per cent, UDC with 28 per cent and Berlusconi’s centre-right Forza Italia at 17 per cent, though in the lead in the United States with 27 per cent. There’s a buzz in the campaign office about an opposing Senate contender who, alleges Coco, has overspent his campaign limit by a wide margin. A complaint will be lodged with the minister of foreign affairs in Rome. But Coco’s campaign message, too, is about community enhancements. He wants to build an Italian School of Excellence, and fears that “our culture is due to die if we don’t do something for future generations.” “Those things are irrelevant,” says Luciani. “They can all be done without having to vote for them.” Ensuring pension payouts? “That’s a government-to-government issue. It’s got nothing to do with whether we vote on them or not.” He can find no argument that recommends the elected inclusion of expatriates. “It’s a betrayal of democratic principles,” he says. “If you can vote in an election and not have to suffer the consequences of your actions, then that
nullifies everything.” Stephen Hellman is a professor of political science at York University who has specialized in Italian politics since the late 1960s. He recalls the polarized, Cold War days when political parties in Italy would subsidize free train tickets to bring Italian émigrés down from Germany, France, Belgium. “You would have these trains that would bring people mostly down to southern Italy because that’s where most of the migrants came from,” he says. He recalls the image of the red-bannered trains of the Communists pulling into Bologna. “That was the only way people could vote,” he says. “The assumption always was that it would be an extension of people voting back in their home community.” For 40 years, says Hellman, the debate raged over extending voting rights beyond the country’s borders. The push came primarily from the extreme right. “They always had the strongest desire to keep patriotic Italians voting and integrated into the system ... in countries like the U.S. and Argentina .... Their calculation, I think, was always relying on these old-line immigrant communities - old-line church structures, the immigrant organizations - that could be relied on to have a pretty strong right-of-centre vote.” In the distant wake of the Cold War era, Hellman sees the expatriate seats as a compromise, and one he does not applaud. Hellman holds U.S. citizenship. In each election, he mails in his ballot down there. He makes this point: his vote “isn’t being assigned to one abstract seat for an absentee person.” And he questions the degree to which the process, particularly in large urban areas, could get taken over by organizations which, if you look carefully enough, have, if not direct, then indirect political links. This much is clear. Being elected brings with it a monthly salary of approximately 15,000 euros, plus expenses, plus trips to Rome. By day’s end tomorrow, the nominees will know the victors, and among the victors might well be a Canadian or two. Marcel Danesi, professor of semiotics and communication theory at the University of Toronto, sees this as a terrific turn in Italian electoral affairs. He is currently enjoying the election fireworks from Lugano where he is teaching a course. Danesi is Italian by birth, born in the medieval city of Lucca in 1948. He moved to Canada as a toddler. He has heard no talk in the media over there about these new-fangled expatriate seats. Still, he thinks it’s a great leap forward. “I can express my opinion about what’s happening in my country of origin,” he says. “I’m not physically there, but I am living culturally and conceptually there .... It’s the global village, isn’t it?” 1 JENNIFER WELLS
XXI 11 apr 2008 1VOTO ALLâ&#x20AC;&#x2122;ESTERO: Anche questa e` fatta / Vittorio Coco Una campagna faticosa, costosa, estenuante ed elettrizzante. Grazie dal profondo cuore a tutti... TORONTO, 11 APR. (Italia Estera) - Per noi italiani all`estero, si e` chiusa la campagna elettorale e i plici elettorali sono gia` in viaggio verso Roma. Da questa seconda tornata, gli aventi diritto al voto eleggeranno 8 senatori e12 deputati al parlamento italiano, un altro passo sotrico della nostra Repubblica. A dir la verita` mi dispiace non aver potuto toccare tutte le citta` della mia ripartizione, ciononostante sono felice di aver incontrato migliaia di nostri connazionali, in Canada, Stati Uniti, Costa Rica e Messico. E` stata una campagna, molto difficile, costosa, estenuante, ma allo stesso tempo elettrizzante, avvincente, piena di emozioni, sia da chi l`ha vissuta da candidato come me, sia dagli italiani che vedendosi arrivare a casa il plico elettorale, si sono sentiti orgogliosi di essere parte integrante del processo politico italiano. Mi dispiace che sia finita troppo presto questa bella avventura. Visitare i circoli UDC in Hamilton, Brantford, Kitchener, Calgary, Vancouver, Edmonton, Montreal, Ottawa e Toronto e vedere l`entusiamo dei nostri collaboratori, dei sostenitori, della gente comune pronta a darci un mano, mi ha fatto capire che spesso vincere non e` tutto, l`importante e` partecipare e lavorare con umilta` ma soprattutto essere orgogliosi delle nostre tradizioni, delle nostre radici culturali e nel nostro caso, anche quelle cristiane. Al mio fianco in Canada due splendite persone: Gino Cucchi e Linda Mancuso. Per loro questa e` stata la prima esperienza, ma a sentirli affrontare i temi piu` cari ai nostri connazionali, mi sono reso conto di aver scelto bene. E di questo ringrazio per la stima e fiducia accordatami dagli amici On. Lorenzo Cesa, Senatore Gino Tramaterra e il nostro leader carismatico Onorevole Pierferdinado Casini. Si proprio Pierferdinado Casini. A lui debbo tutta la riconoscenza quando nel 2001 durante la Conferenza Mondiale degli Italiani nel Mondo, mi nomino` Commisaario dell`allora CCD, oggi UDC per il Canada. Da quel giorno tanta acqua e` passata sotto i nostri ponti. Il nostro partito in Canada nato
dalla volonta` di uno sparuto gruppo di uomini e donne che si riconscevano nei nostri ideali e valori, oggi conta Circoli su tutto il nostro territorio, e la nostra una struttura organizzativa e` stata apprezzatata anche dai nostri avversari politici. Alle elezioni politiche del 2006, nella mia circoscrizione consolare l`UDC sfioro` il 23% (11.9% nella ripartizione Nord e centro America), questa volta non sappiamo se riusciremo a mantenere queste percentuali. Se cosi` non fosse, non dobbiamo coprirci il capo di ceneri. Abbiamo lavorato bene, abbiamo buttato le basi per l`inagurazione di altri Circoli negli States. Abbiamo creato un fantastico rapporto tra politica e cittadini e questo per noi e` gia` una grande vittoria. Ai miei amici di cordata negli States Massimo Seracini e Giuseppe Rosini e al nostro coordinatore On. Salvatore Ferrigno, un grazie e un in bocca al lupo. Non sarei sincero se non rivolgessi un profondo grazie agli amici colleghi della televisione, della radio dei giornali e agenzie stampa. Il loro lavoro nei nostri confronti e` stato esemplare. Tutti, dico tutti sono stati di una imparzialita` che gli fa onore. Grazie ancora. Lunedi prossimo ci icontreremo tutti nella sede dell`UDC di Woodbirdge, per seguire minuto per minuto lo spoglio elettorale con la speranza che chi va a Roma possa rappresentarci con serieta` senza distinzione di colore partitico. 1Vittorio Coco, Segretario Politico UDC Canada/ Agebzia stampa Italia Estera
XXXVIII Bruno Zanini: da ladro di polli a capo del sindacato canadese Il padre di Bruno, Giobatte emigrò in Canada negli anni ‘20, dove trovò lavoro come muratore. Bruno arrivò in Canada all`età di otto anni, con sua madre e sei fratelli e si stabilirono a Toronto, in una casa su Millicent Avenue. Come molti ragazzi immigrati della classe operaia cresciuti in una città protestante britannica, economicamente depressa, fermamente conservatrice e aggressivamente sciovinista, Bruno con un’educazione rozza, intrisa di cultura di gruppo, con scontri di strada e piccoli crimini. La prima volta dovette fare i conti con la giustizia fu nel 1933 all’età di dodici anni. Seguirono altre otto accuse per scasso, furto e vagabondaggio, fino a quando nel 1938 fu inviato in un riformatorio in Guelf per giovani delinquenti. Dopo la liberazione, Bruno seguì le orme del padre e trovò lavoro come muratore. Ma solo pochi mesi dopo, ebbe di nuovo problemi con la legge, ma questa volta,, finirà in prigione per ben due anni. Nonostante la sua formazione fosse di una cultura ruvida imparata sulle strade di Toronto, Bruno aveva l`inclinazione per la lirica e da sempre soganava di diventare un cantante d’opera nella sua terra natale. Per qualche tempo era riuscito a conciliare le sue due due cose: attività criminali e lezioni di canto. L`attività criminosa lo avrebbe condotto nel penitenziario di Kingston nel 1942, per scontare la pena di due anni inflitta da un giudice. Mentre era in prigione, Bruno continuò, a cantare spesso per i suoi compagni di cella. Dopo aver scontato la pena, Bruno tornò nel penitenziario nel 1947 per altri venti mesi, questa volta per aver accettato degli oggetti rubati durante una partita a carte.
stufo di entrare ed uscire dalla prigione, nel 1949 e con la speranza di lasciarsi alle spalle la sua ruvida vita, partì per Genova, per perseguire i suoi sogni di cantante l’opera. Ma anche questa avventura non ebbe successo. Due anni dopo tornò a Toronto e trovò impiego come muratore lavorando fianco a fianco a un numero crescente di nuovi emigranti italiani. I nuovi immigrati arrivati a Toronto dopo la seconda guerra mondiale trovarono lavoro in zone suburbane, dove da qualche tempo, era iniiziato il boom delle costruzioni di appartamenti “La costruzione era una una giungla” Uno dei più grandi gruppi di immigrati della classe operaia ad arrivare durante questo periodo furono gli italiani. Alla fine degli anni ‘70, oltre 495.000 immigrati italiani erano arrivati in Canada dalla fine della guerra; circa la metà di quelli che erano giunti negli anni ‘50 da soli come lavoratori migranti “di massa”. Nel 1961 la maggior parte di loro si stabilì nell’area metropolitana di Toronto, dove vivevano oltre 271.000 italiani. Circa il 37% della popolazione italiana di Toronto lavorava nel settore delle costruzioni. Altri importanti gruppi di immigrati in quest’industria nel dopoguerra erano irlandesi e portoghesi. . La maggior parte di questi lavoratori proveniva da regioni rurali impoverite nei loro paesi d’origine, dove l’istruzione formale era limitata, la disoccupazione era alta e il futuro desolante. Come i suoi colleghi italiani, Zanini dovette affrontare lo sfruttamento e la discriminazione nel settore dell’edilizia non sindacalizzata, dove erano concentrati i lavoratori non britannici. Ma a differenza dei nuovi arrivati, Zanini parlava inglese, sapeva come navigare nella società canadese e aveva una maggiore consapevolezza dei suoi diritti come lavoratore. Tuttavia, quando cercò di unirsi ai muratori, e agli stuccatori dell’International Union Local 2 il sindacato americano gli negò l`adesione. I capi del sindacato internazionale rifiutatarono centinaia e centinaia di persone. “Non sapevo - raccontava Zanini - se fosse un pregiudizio o meno, ma gli uomini erano amareggiati. Volevamo unirsi ma per ragioni discriminatorie i sindacati ma non volevano gli italiani . Era come un club privato. “Vedi - dicevano - se tu fossi anglosassone o delle isole britanniche, beh, la cosa sarebbe diversa”.[1] Quegli uomini italiani, portoghesi e altri immigrati provenienti da contesti rurali, dove la manodopera stagionale, all’aperto era comune, erano disposti a fare sacrifici temporanei a beneficio di se stessi e delle loro famiglie rimaste nel loro paese, dove speravano un giorno di tornarci. Con una mentalità da esploratore (lavoratore migrante temporaneo) all’inizio, erano disposti a sopportare tutte le difficoltà fisiche, mentali ed emotive, ritenendo che questo fosse il prezzo da pagare per garantire una vita migliore nei loro paesi d’origine. Combinati con la mancanza di conoscenza della lingua inglese e la familiarità con le leggi canadesi, i loro bassi tassi di istruzione formale e il loro timore di deportazione, ques-
ti migranti erano vulnerabili allo sfruttamento. Un altro fattore che ha contribuito alla loro condizione è stato l’abbandono e la discriminazione dei sindacati tradizionali, in cui le opinioni nativiste sugli “stranieri” deprimevano i salari e le condizioni di lavoro. A differenza del settore residenziale, i lavoratori nelle costruzioni commerciali e in alcuni casi industriali erano rappresentati dai sindacati del Consiglio di costruzione di Toronto, i cui membri erano in gran parte anglossasoni. Nel frattempo, il settore residenziale in rapida crescita, gli sviluppatori di terreno si sentivano in diritto di usare pratiche non etiche e illegali. Il più dannoso delle loro azioni è stato creare le condizioni per un eccesso di offerta di (sub) contraenti, quindi metterli uno contro l’altro, spingendo così a gare al ribasso. A loro volta, i (sub) contraenti che sperano di proteggere i progetti ed evitare di uscire dal mercato facevano offerte irrealisticamente basse, offrendo salari marginali; non pagando gli straordinari, sussidi o le ferie statutarie; o semplicemente non pagando affatto salari. Spesso, le piccole imprese contraenti rilasciavano assegni di pagamento senza copertura, quindi scomparivano prima che i lavoratori potessero trovarli. Per evitare problemi finanziari, questi (sub) appaltatori dichiaravano bancarotta, cambiavano i nomi delle loro aziende e tornavano in attività il giorno successivo. In breve, i lavoratori di edilizia residenziale sono stati sfruttati, sovraccarichi di lavoro, mancati di rispetto e trattati come una forza lavoro usa e getta Lo attesta l’alto numero di incidenti ed infortuni nel settore delle costruzioni in questo settore. Nella decantata marcia del progresso canadese, i lavoratori immigrati non britannici erano trattati come degli esseri inferiori, le cui vite erano a buon mercato e superflui, come si evince dai numerosi cuori spezzati e dalle famiglie di persone care che morivano lavorando in condizioni terribili. I n seguito, Zanini si riferirebbe a questa realtà come “la giungla”: Il 21 ottobre 1955, Gerrada Trillo, una donna immigrata italiana di 35 anni sposata con un muratore, con cui aveva avuto tre figli, fu arrestata con il marito per aver rubato merce da 10 dollari in un centro commerciale di Toronto. Alla stazione di polizia sulla 21 Claremont Street, la coppia venne separata e Gerrada fu rinchiusa in una cella di detenzione, da sola. Incapace di parlare inglese, Gerrada pensava di essere deportata. Dopo che le sue grida di aiuto non vennero ascoltate, si impiccatò con una corda improvvisata fatta con le lenzuola. La stampa diede grosso risalto alla tragica storia di Trillo e si concentrò sulle difficoltà affrontate da questa famiglia di immigrati, il cui marito, Benvenuto, percipiva 28 dollari a settimana lavorando come operaio edile. La comunità italiana di Toronto raccolse fondi e altre donazioni per aiutare i sopravvissuti Trillo. Questa storia, trattata dalla stampa di Toronto, scosse la sensibilità di Zanini, che decise di organizzare lavoratori italiani nelle costruzioni residenziali, un settore che era stato a lungo ignorato dai sindacati internazionali. Con l’aiuto dei suoi colleghi Friulani e Marino Toppan, Zanini si avvicinò ai lavoratori nei
ristoranti popolari, nelle sale da biliardo, nei caffè e nei cantieri edili dei sobborghi, dove, con la cazzuola in mano, parlava con il suo miscuglio di italiano e inglese (italiese). Nel 1957, tenne una riunione presso l’Italo Canadian Recreation Club al 33 Brandon Avenue, dove centinaia di lavoratori edili italiani che si sentivano lasciati soli acclamarono Bruno Zanini loro leader. Dopo questa battaglia , Zanini chiese all’ufficio internazionale dei muratori di Washington il ricnoscimento di sindacato per i lavoratori canadesi, e i dirigenti americani diedero il loro assenso. Quell’anno, la Local 35 di recente fondazione sottoscrisse oltre 1.500 membri e un accordo collettivo con l’Associazione per i muratori, appositamente creata. Tuttavia, il Local 2 di Bricklayers, guidato da William (Bill) Jenovese, criticò la decisione di Washington di dividere la sua giurisdizione e con la minaccia di ritirarsi dal Sindacato internazionale se non avesse recisso la dicisione. In risposta, l’esecutivo di Washington unì i due sindacati locali, e Zanini fu assunto come agente degli affari del sindacato . Intanto Jenovese continuò a trascurare i muratori residenziali, essenzialmente boicottando gli sforzi organizzativi di Zanini. Biblografia Affiliazioni: i sindacati internazionali di muratori, muratori e stuccatori 2, 35, 40; Operatori di intonaci e muratori di cemento International Union Locals 117, 733; Brandon Union Group; Wood and Metal Lathers ‘International Union Local 562; Local canadese Forming Workers Union 1 1] Bruno Zanini (date unknown), cit. in Catherine Wismer. Sweethearts. Toronto: James Lorimer & Company, p. 44. [2] Ibid, p. 46-7. [3] Ibid, p. 51. [4] Ibid, p. 80. [5] Ibid, p. 80-81.
Il mistero dell`uccisione del poliziotto Goldsworthy per mano di Vincenzo Fazzari Erano passati appena venti giorni dal mio insediamento a vice-direttore del Giornale di Toronto, quando accadde un fatto di sangue che coinvolge un nostro connazionale. La mattina del 29 ottobre del 1969, in un prato nella zona di Rexdale, la su segnalazione di un nostro connazionale, Vito Cosentino, la polizia di Toronto fece la macraba scoperta del ritrovamento del corpo senza vita dell`agente David Goldsworthy, in una pozzanghera di sangue. Al suo fianco gli agenti della squadra omicidi, trovarono il suo taccuino con il nome di “Vincenzo” scarabbocchiato. Quando la notizia arrivò in redazione, decisi di inviare sul luogo del delitto il nostro redattore Egidio Marchese. Nell`edizione del giovedì successivo, Marchese raccontavala cronaca della quella tragica notte: “Verso l`1.30 del mattino Vito Cosentino, un addetto al servizio di ristorazione, notò una macchina della polizia con i fari accesi parcheggiata su Gary Ray Drive in North York. Nell`atomobile di servizio non c’era nessuno . Verso le 03:30 Cosentino notò di nuovo l’auto e chiamò la polizia. Il corpo senza vita del poliziotto David Goldsworthy venne ritrovato in un campo adiacente. Gli avevano sparato al petto, alla bocca e al collo. Il taccuino dell’agente era accanto al suo corpo con la scritta “Vincenzo” scarabocchiato su una pagina”. Il ritrovamento dell`arma da fuoco Quattro giorni dopo, un impiegato del West York Restaurant su St. Clair West trovò un revolver brasiliano, calibro 38 calibro nel serbatoio dell’acqua di una toilette. Le analisi forensi appurarano che l’arma ritrovata era stata usata per il delitto di Goldsworthy. La pistola fu rintracciata attraverso infomazioni sulla malavita degli Stati Uniti ed era stata acquistata da Vincenzo Fazzari di Toronto. Nell`edizione del 9 settembre 1969, del Giornale di Toronto, firmo insieme al collega Egiodo Marchese un dettagliato resoconto dell`accaduto. Durante la nostra inchiesta, scoprimmo che Vincenzo Fazzari abitava con la madre in una modesta casa nella zona di Weston road e Eglinton. La mamma sconvolta per l`arresto del figlio, mi raccontò che era a conoscenza della pistola, in quanto Vincenzo la nascondeva sotto il cuscino del suo letto. Ma ci giurò che lui non sarebbe stato capace di comettere un delitto. Tra il giorno dell`arresto al processo passarono pochi mesi.
L`avvocato difensore di Fazzari per risparmiargli la pena capitale, gli consiglio’ di dichararsi colpevole di omicidio non capitale. Per non far trapelare notizie al pubblico, il giudice ci impose il silenzio stampa. Sul movente si sono fatte molte ipotesi e se anche credo di conoscere le ragioni che spinsero Fazzari al folle gesto, per etica professionale sono tenuto a non rivelarle. Nel processo, quindi Faazzari si dichiarò colpevole di omicidio non capitale e fu condannato ha all’ergastolo. Dopo aver scontato la pena Fazzaritempo è stato rimesso in libertà vigilata. L’agente Goldsworthy è stato insignito postumo della Medaglia d’Onore della Toronto Police. Al momento della sua morte aveva 25 anni e sposato con un figlio..
L`esplosione su St. Clair; mure donna delle pulizie Distrutto un seminterrato e ingenti danni all`ahenzia di viaggi
Johnny Lomardi, inventore del multiculturalismo in Canada L`amico, il datore di lavoro, il mentore Parlare del proprio datore di lavoro è già di per se un tema non ficile da trattare, ma quando il datore di lavoro è anche un amico, parlarne è pressochè impossible. Nell`autunno del 1969, ebbi la fortuna di conoscere l`uomo che scritto la storia del multiculturalismo in Canada. Uomo dall`apparenza folcoristica e paesana, ma aveva un quoziente di intelligenza al di sopra delle possibilità umane. Nel corso degli anni e fino ai suoi ultimi giorni di vita terrestre, Johnny Lombardi, aveva fatto amicizia con personalità del mondo della politica, della cultura, dello sport, della medicina, dell`imprenditoria e dell`alta finanza. Dava del tu tutti. Ad onor del vero, nel corso degli anni si era attirato e ire di molti detrattori. La sua vita è stata corollata di successi e ma anche di qualche delusione. Dopo aver servito il Canada durante la seconda guerra mondiale, l`uomo, figlio di un pastore e analfabeta pisticcese, a fine del conflitto mondiale inizia la sua vera storia di imprenditore, musicista, dogriere, impresario teatrale, ma soprattutto di grande comunicatore Nel mezzo del boom dell`emigrazione di massa dall`Italia verso il Nord America, Lombardi apre un piccolo negozio di generi alimentari su Clinton, nel cuore della “Little Italy” nel centro di Toronto. Lombardi sarà il primo importatore di prodotti italiani nel nostro paese. E per far conoscere i prodotti,agli italiani appena arrivati dall`Italia, compra del tempo da una stazione radio che per legge poteva trasmettere i programmi soltanto in inglese. Con la furbizia e l`astuzia di un genio, Johhny reclamizzava i suoi prodotti in italiano, con canzoni che andvano di moda. Una trovata geniale! Dal un negozio di alimentari ne seguono altri, poi inizia ad importare dischi dall`Italia , creando anche una società dal nome “Bravo Records”. A Toronto gli italiani sono ormai di casa e hanno fame di sport, di sentire canzoni italiane. E Lombardi visto il successo del negozio, inizia a far venire anche artisti italiani del
momento. L`arena Maple Leaf è sempre tutto un esaurito. Sull`onda del successo, nasce l`idea di una stazione radio per gli immigrati. Il sogno diventerrà realtà e il sei giungo 1966, quando inaugura la CHIN 1540 AM. Il resto è storia.
L`ultimo “vi voglio bene assai, assai”! di Johnny Lombardi Il 30 giugno 2001 è l` ultima apparizione in pubblico del gicante della comunicazione 1)“Il
30 giugno 2001, l`ottantacinquenne Johnny Lombardi sale per l`ultima volta, sul palco della “Band Shell”, per inaugurare il 35 ° CHIN International Picnic presso l’Exhibition Place”. Indossa il suo solito abbigliamento da picnic: una maglietta da picnic e un berretto da baseball CHIN per nascondere la sua calvizie. Il fondatore della radio multiculturale di CHIN saluta la folla in cantonese: “Nei ho ma” (come stai?). Con un grande sorriso sul volto, Lombardi gesticola animatamente, con le sue battute. Dice alla folla che gli italiani e i cinesi sono simili perché entrambi i gruppi amano mangiare molto, e scherza dicendo che i segnali delle sue stazioni radio sono per i cinesi, dal momento che CHIN è un acronimo della Cina. E dice di apprezzare i cinesi per la produzione di pasta, raccontando come quando Marco Polo andò in Cina e vide le persone che mangiavano noodles e gnocchi. Quando Polo tornò a casa - dice Lombardi - ricreò i piatti, inventando così la pasta. Il pubblico lo ama, ride e lo applaude , anche se per molti l’inglese è una seconda lingua. Lombardi poi si accuccia di fronte a una testa di leone dai colori vivaci e usa un pennello per tamponare gli occhi, in modo da risvegliare il suo spirito. Come un gladiatore, lascia il palco al suono di un tamburo , così il leone, può iniziare la sua danza. Accompagnato sempre da un fotografo, si avvicina al palcoscenico successivo in un golf cart. Ha difficoltà nel camminare. Il fisico ormai fragile, non gli permette più di correre come una volta. Questa è l’ultima volta che Johnny Lombardi, “il sindaco della Little Italy”, avrebbe risvegliato il leone: il 18 marzo 2002, muore per complicazioni di polmonite. Il funerale si celebra alla Chiesa di San Francesco di Assisi, 40 metri a sud di casa sua. La chiesa è stracolma di gente di ogni ceto. C`è il Premier dell`Ontario, il sindaco di Toronto, uomini e donne del mondo dell`imprenditoria, della cultura, ma soprattutto gente comune. I tributi non si contano. Mel Lastman, ex sindaco di Toronto, dice: “Non ho mai conociuto nessuno che avesse lo spirito e l’entusiasmo che ha avuto Johnny”. L’ex premier dell’Ontario, Bill Davis, parla di
Lombardi come “un grande canadese”. Un immigrato italiano Angelo Varrecchia, dichiara, “Per noi tutti, era una figura paterna.” E Joe Pantalone, allora consigliere comunale, dice: “È più alto della CN Tower in termini di ciò che ha dato a questa città. È stato uno dei primi a dimostrare che essere diversi ha valore, e lo ha reso popolare. “ Ma forse il migliore tributo a Lombardi è arrivato in un editoriale del Toronto Star: “...Molto prima che il multiculturalismo fosse una politica - o anche una parola ben nota l’esuberante imprenditore ... stava gia cercado di proporre una visione di Toronto come una mini-Nazioni Unite. “Il punto d’incontro per il mix sempre mutevole di voci e culture della città è stata ed è la stazione radio di Lombardi, la CHIN, fondata nel 1966, quando le lingue diverse dall’inglese erano raramente ascoltate sulle onde radio di Toronto. “Ma CHIN era più di un punto vendita. Era un’affermazione che la musica, le risate e le conversazioni delle molte comunità etniche della città appartenevano insieme. È stato un esperimento rumoroso e vivace nella diversità etniche ... Questa città lo ringrazia . Grazie a lui. “oggi il cuore di Toronto è più grande. Il cuore della città era decisamente più piccolo quando Lombardi nacque il 4 dicembre 1915, il primo figlio di Leonardo, un pastore pisticcese, e Teresa, una casalinga, che si era trasferita a Toronto dall’Italia nel 1912. Come molti bambini figli poveri immigrati vivevano in un alloggio scadente nel cuore della città, Lombardi trascorse gran parte dei suoi primi anni a raccimolare soldi, lucidando le scarpe di fronte dell’ormai chiuso Shea’s Theatre in centro, o piegando e consegnado il settimanale “La Tribuna Italo-Canadese” acasa per $ 2 a settimana. All’epoca della Depressione, ancora adolescente, suonava in grandi gruppi, incluso il suo, “The Johnny Lombardi Orchestra”. Nel 1942, Lombardi si arruolò nell’esercito, sino raggiungere il grado di sergente nella settima fanteria canadese in Francia, Olanda, Belgio e Germania. Per sua fortuna non partecipò alla campagna italiana (non voleva combattere contro il suo stesso sangue). Il D-Day del 6 giugno 1944 Lombardi faceva parte delle forze canadesi che sbarcarono su Juno Beach. Anni dopo, questo luogo sarebbe stato raccontato in un resoconto storico che ritrae Lombardi che recita “I’ll Never Smile Again” di Ruth Lowe in mezzo al caos sulla lunga la spiag-
gia di Juno. Tornato a Toronto nel 1946, fu costretto dai suoi genitori a fare qualcosa di più stabile, piuttosto di essere un musicista. Quindi, usando i suoi risparmi e le indennità dei veterani, aprì un negozio di alimentari con due soci all’angolo di Dundas Street West e Bellwoods Avenue, nel bel mezzo della crescente comunità italiana. Più tardi avrebbe confessato: “Ragazzi, abbiamo passato un brutto periodo. Le cose erano terribili. Non potevamo importare nulla dall’Italia e, inoltre, non sapevo nulla del commercio di generi alimentari “. Ma Lombardi sapeva come promuovere. Nel 1948, un rappresentante della radio CHUM lo contattò per vendergli pubblicità per il suo negozio. Gli affari non andavamo bene, ma la pubblicità era troppo costosa. Allora Lombardi convinse CHUM di vendergli una “slot airtime” di domenica. Nel frattempo la drogheria si era trasferita al 637 di College Street e Lombardi aveva sposato Lena Crisologo che gli aveva dato due figli: Theresa, nata nel 1950, e Leonardo (Lenny) nel 1952. ( Donina, sarebbe nata nel 1966. La famiglia lombardi viveva dietro l’angolo del negozio di College Street - in una modesta casa su Clinton Street. Nonostante parlasse un “atroce” italiano, Lombardi stava lentamente diventando una figura della comunità. I nuovi arrivati visitavano il negozio per un consiglio sulla vita in Canada e lui dietro il bancone dei formaggi, ascoltava e offriva le soluzioni, presentandoli ai direttori di banca se volevano acquistare una casa o mettendoli in contato con le persone giuste per trovare un lavoro. Il figlio Lenny racconta: “ a volte mio padre interveniva con le autorità, come quando tre donne piangenti vennero a bussare alla nostra porta perchè i loro mariti erano stati arrestati dalla polizia mentre parlavano all`angolo di College e Grace”. Molti immigrati vivevano in piccoli appartamenti, spesso condivisi con altre famiglie per risparmiare denaro, senza spazio per socializzare. Così gruppi di uomini italiani si riunivano sui marciapiedi, un`abitudine italiana. Lombardi si recò alla stazione di polizia locale e spiegò il modo in cui gli italiani si rilassavano camminando insieme sul marciapide. Gli uomini furono rilasciati. Intanto Lombardi stava sconsolidando la sua reputazione di sindaco non ufficialedi Toronto. Dal suo ufficio nel supermercato, con le pareti ricoperte di fotografie con funzionari e ce-
lebrità, gestiva le sue numerose iniziative imprenditoriali: oltre alla catena di supermercati, si èra inventato anche un servizio pubblicitario italo-canadese, che vendeva spazio nel suo programma radiofonico. Èra anche azionista di maggiornaza della Bravo Records and Music Publishing, un distributore di musica italiana. Ed è tornato al suo ruolo post-bellico come impresario, portando grandi nomi dall’Italia Aurelio Fierro, Angela de Parde, Sergio Franchi - per esibirsi in luoghi come Massey Hall e Maple Leaf Gardens. Le sue attività, anche se apparentemente non correlate, erano tutte intrecciate. Pubblicicizzava i concerti nel suo programma radiofonico, esortando gli ascoltatori di andare nel suo negozio di alimentari per comprare i biglietti. Tipico del suo genio per la promozione incrociata, è una pubblicità pre-natalizia del 1957 sul Toronto Star che promuove due piatti speciali - un grande panettone per 2,59 $ - e un concerto di Renato Carosone. Intanto Lombardi stava iniziando a pensare a un’impresa ancora più grande. Il primo picnic all\aperto sponsorizzato dalla CHIN. Questo evento si celebrerà, nel weekend del Labor Day del 1966. In constrasto con il picnic del 2001, non ci sono documentu ufficiali ma sembra che l`evento non ebbe un gran successo. In contrasto con i 200.000 stimati che hanno partecipato nel 2001 pare che soltanto 5.000 o 6.000 persone, prevalentemente italiane, presero il traghetto per Centre Island per la gara di mangia spaghetti. “La gente non sapeva cosa farsene degli spaghetti visto che venivano cucinati in grandi caldaie all’aperto”, ricorda Lombardi del concorso. “Odio dirlo, ma la pasta era una colla. Per convincere gli ospiti a mangiare “la colla” dovevo provarli prima io. Li assaggiavo e quando nessuno mi vedeva mi giravo dall’altra parte per sputarli. Alla fine, abbiamo ottenuto l’adesione di 50 persone. Il vincitore si portò a casa il tanto meritato frigorifero”. Lombardi aveva pianificato questo raduno in parte per celebrare il debutto del 6 giugno di CHIN 1540, “Musica del mondo”. Ma c`era anche un altro motivo. “Voleva rispondere agli scettici dimostrando che la Chin aveva molti ascoltatori”, racconta sua figlia Teresa. L`indice di ascolto non è l’unico ostacolo che Lombardi deve affrontare. Se avesse avuto la facoltà, l`acronimo della stazione sarebbe stato CHOW-reminiscenza di ciao. Tuttavia, gia esisteva una stazione radio dal nome CHOW.
“Chiamare la mia stazione radio CWOW non mi dispiaceva”, avrebbe confidato ai giornalisti. “Dopotutto, in Europa, è un saluto di brindisi al bere familiare”. Nonostante gli ostacoli, in seguito Lombardi avrebbe detto che “il 1966 è stato l’anno in cui tutto è andato cme desiderava”. Nel 1968, ottiene anche la licenza per una stazione FM, CHIN-FM, che poteva trasmettere 24 ore al giorno. Lombardi aveva localizzato i suoi studi sopra il suo negozio di College Street. Fuori, un’insegna al neon lampeggiante mostrava il nome di Lombardi e sopra le lettere della stazione. I circa 20 impiegati dovevano entrare attraverso una porta accanto all’ingresso della drogheria che conduceva a una stretta scala permeata dall’odore di salumi e formaggi italiani. “Eravamo in zone così chiuse e anguste”, ricorda Lenny. “Non c’era aria, niente finestre, solo lucernari”. La CHIN-AM non ebbe un successo immediato. All’inizio del 1967, la McDonald Research pubblicò un rapporto in cui si diceva che una sola persona era sintonizzata sulla stazione prima delle 8:30 del mattino. L’annunciatore delle 6 del mattino stava essenzialmente parlando a se stesso. (In una rubrica di Barbara Frum alla domanda che nessuna ascoltava la CHIN, Lombardi avrebbe risposto dicendo: “So per certo che ci sono almeno 200 ascoltatori devoti”. Ma anche per CHIN-FM l’ascolto è stato un problema. Nel 1967, le radio FM non erano molto comuni nelle case e la maggior parte delle auto avevano la radio con solo frequenza AM. Il senso imprenditoriale di Lombardi ha il sopravvento sulle difficolta di recezione e quindi inizia a vendere piccole radio FM al suo supermercato per circa $ 30. Se il 1966 è stato l’anno in cui le cose sono andate bene per Lombardi, il 1969 è un anno da dimenticare. Il castello sta per cadere a pezzi. Il partito liberale lo nomina candidato per un posto di consigliere nel suo rione. Tuttavia, dopo essere stato accusato di aver tradito due volte un altro candidato italiano, sceglie di correre come indipendente in una zona vicina e viene sconfitto sonoramente. Poi nel 1970 arriva un duro colpo con i suoi soci, James Service e Johnny Longo. Serice era del parere che la stazione dovesse concentrarsi sulla programmazione in inglese, per promuovere l’integrazione degli immigrati. (Service accusa anche Lombardi di “usare la compagnia per pagare bollette private, fotografie e viaggi aerei privati”). Lombardi sosteneva la visione multiculturale. Alla fine dell`anno la CRTC rinnova la licenza per CHINAM a condizioni che avrebbe “mantenuto la politica che questa frequenza dovraà essere utilizzata per programmi che soddisfano le esigenze dei diversi gruppi linguistici”. Con questa vittoria, Lombardi sarà in grado per ottenere il pieno controllo di CHIN-AM, ma non prima di un altro incidente che minaccia la licenza che coinvolge un annunciatore serbo che suggerisce agli ascoltatori di assassinare il console jugoslavo. Lombardi ricorder-
ebbe questa volta come “la più dura lezione della mia vita”. Un documentario del 2002 sul suo amato College Street, “Portrait of a Street”, lo mostra mentre parla della vita durante la Depressione, usando le mani per migliorare le storie. “A 14 anni, ho assaggiato il filetto di manzo. E ho perso la verginità! Mangiando bistecca, “inizia a ridere. “È stato un gusto meraviglioso che non dimenticherò mai.” Anche se ha 80 anni, ridacchia come un adolescente alle sue stesse battute. “A 70 anni si comportava come se avesse 50 anni”, dice Lenny. “Che fosse alla stazione o a una festa che frequentava quasi tutte le sere, Lombardi stava sempre a chiacchierare, salutava tutti con un grande sorriso sul volto. “Aveva una parola buona per tutti” racconta il capo di Citytv Moses Znaimer dopo la sua morte. Lombardi e` un uomo di mondo. Ogni sera accompagnato dai figli partecipa a tre o quattro eventi.La sua unica pausa dal lavoro andare a casa a cambiarsi. Ha partecipato a manifestazioni politiche, grandi inaugurazioni di imprese, raccolte fondi. Istintivamente esperto di media, se pensava che sarebbe stato fotografato, indossava il suo esclusivo cappellino da baseball CHIN, anche se abbinato a uno smoking. Alla stazione esibiva lo “stile da gentiluomo”, sempre in camicie e cravatte nei giorni feriali, e “smart casual” quando faceva giri nei fine settimana. Era piu` forte di lui, l`aspetto non non aveve importanza, la Chin si. Carmela Laurignano, ora vice presidente di Evanov Communications Inc., che ha trascorso circa un decennio a CHIN, afferma che Lombardi e` stato sempre disponibile per le persone, non solo per i suoi dipendenti, e “di solito più raggiungibile di alcuni di noi”. Carmela lo ricorda seduto su una panchina fuori dal negozio di generi alimentari che dava consigli alle persone. “Era una persona per le persone”, dice Lenny. Lenny racconta che una volta accompagnò suo padre in una casa di pompe funebri per rendere omaggio a una famiglia italiana. I due scoprimmo che c’erano tre funerali quel giorno, di tre famiglie italiane, così andammo no a vedere tutti e tre. “Ha sempre avuto il tempo per tutti”, dice Lenny. Soprattutto i suoi dipendenti. “I suoi dipendenti era davvero la sua famiglia e lui era il padre”, dice Laurignano. “Sapeva tutto di tutti.” Sebbene alcuni membri dello staff venissero solo per i loro programmi, Lombardi si rivolgeva spesso a loro per nome. L’aspetto negativo del suo stile era la sua tendenza al microgestione. Lombardi era un delegato, ma voleva ancora essere coinvolto in ogni aspetto del programma, compresa la selezione delle canzoni. Aveva anche la tendenza di pretendere una posizione politicamente scorretta. Tuttavia, forse il più grande dono di Lombardi era riconoscere il talento, secondo Laurignano. “La stazione era un terreno fertile per molte persone”, dice. L’idea di multiculturalismo di Johnny Lombardi fu convalidata quando il governo del primo ministro Pierre Trudeau firmò la politica multiculturale del Canada nel 1971, che incoraggiaa i cittadini a mantenere le proprie tradizioni culturali. “Johnny Lombardi era il
padre del multiculturalismo. Ma non c’era un nome per questo prima di Trudeau “, dice Zelda Young. Lombardi ha avuto un impatto personale su tutto lo staff di CHIN, ma la sua influenza si è ulteriormente estesa. Ad esempio, la politica di radiodiffusione etnica della Canadian Radio-television and Telecommunications Commission del 1985. Prima di questo, le licenze per le emittenti etniche venivano valutate caso per caso, costringendo i richiedenti a fare salti mortali. La politica ha creato un quadro più chiaro per nuove domande. Un altro segno del successo di Lombardi è la casa attuale di CHIN: un complesso di sei piani al 622 di College Street, in cui la stazione si è trasferita nel 1991. A quanto si dice costa 18 milioni di dollari, l’edificio contiene negozi, uffici professionali e, i primi tre floor, il quartier generale di CHIN Radio / Television International (CHIN produce otto ore a settimana di programmazione etnica per Citytv). Un atrio porta luce naturale; è molto diverso dagli angusti, uffici senza finestre sopra il negozio di alimentari. “Ci siamo subito abituati”, dice Lenny. “Ma non mio padre.” Tutti dalla vecchia stazione, compresa la guardia di sicurezza, attraversarono la strada, ma Lombardi non era pronto a partire. Le sue pareti dell’ufficio erano ricoperte di foto di amici famosi. Disse ai figli che non si sarebbe mosso fino a quando non avesse fatto le sue foto. Durante un fine settimana, hanno mappato le foto nel suo ufficio, spostandole verso le pareti nella sua nuova casa. Lunedì, il suo nuovo spazio è stato impostato e Lombardi si è finalmente trasferito lasciando per sempre il suo studio originale. Ciò che non ha lasciato è stata la sua etica del lavoro, anche dopo un infarto a 73 anni. Diceva: “Non posso stare tranquillamente leggendo un libro al cottage. Mi annoio. Penserei a come posso fare un accordo su questo o quello. Io non lo faccio per i soldi. Non più. È la sfida. Sono uno spaccone. “Forse, ma alla fine era un hustler molto onorato, ricevendo l’Ordine del Canada e dell’Ordine dell’Ontario, ed essendo stato inserito nella Broadcast Hall of Fame. La gara di bikini continuato di CHIN picnic e all-with folle di 200.000 persone si affollavano sul terreno. Lombardi era pronto a esibirsi sul palco il giorno della sua morte per celebrare l’approvazione della licenza per la nuova stazione di Ottawa di CHIN, ma è crollato prima di farlo. Le lettere di invito per la nuova stazione di Ottawa-CJLL, per il canadese Johnny Lenny Lombardi, rappresentano il continuo lascito di Lombardi. Anche se la programmazione è cambiata per raggiungere nuovi gruppi di immigrati - il singolo più grande blocco di tempo è dedicato agli spettacoli cinesi ora - molto su CHIN Radio rimane lo stesso. L’ufficio di Lombardi al sesto piano è intatto, le sue foto da parete a parete dominano la stanza. Il messaggio di rimanere fedele alle tue radici, ma essere orgoglioso del Canada informa ancora la programmazione. E ogni anno, la folla alla cerimonia di apertura del CHIN Picnic viene accolta con “Nei ho ma” prima di assistere a una danza del leone. L’unica differenza è che Lenny ora sta prendendo il posto di suo padre per punzecchiare gli occhi del leone.
Fotografie per gentile concessione di Teresa Lombardi. â&#x20AC;˘
Giornalista per caso
Capitolo CIII Una amicizia che dura 45 anni Lenny Lombardi: da giovane hippy a dirigente di quattro stazioni radio, programmi televisivi e impresario teatrale d`eccellenza. Conosco Lenny Lombardi dal primo giorno che ho messo piede alla Chin. Chiedo scusa se mi pemetto ri raccontare la nostra amicizia, le nostre cose semi-pubbliche, il lavoro che abbiamo realizzato insieme in tutti questi anni. Premetto che non mi sento affatto un dipendente, semmai un collaboratore, uno della famiglia. E come si sa, non sempre in famiglia tutto fila lisco; a volte ci sono delle divergenze, ma a alla fine tutto torna. La prima volta che incontrai Lenny fu nel nogozio di alimentari di famiglia era il giovedì Santo del 1974. Ci presentammo e lui mi chiese cosa facevo per la Pasqua. Gi dissi che di solito il weekend di Pasqua lo passavamo a Rochester nello Stato di New York dove viveva una nostra parente per proseguire il viaggio verso Rome, in cittadina a cavallo tra Siracuse e Albany, sempre nello Stato di New York. Si racconta che Rome, fu costruita agli inizi del 900 da migranti provienti dal Lazio. Per noi era ormai un rito, la Pasqua la passavano negli States e a Rome viveva un`anziana zia di mia madre vedova del fratello di mio nonno, morto premuturo mentre lavorava nella realizzazione del fiume del Mississipi. “Anche io per Pasqua vado in America - disse - ma ho un problema, mio padre non mi ha tolto le chiavi dell`automobile di mia madre, perchè l`altro giorno l`ho scassata”. Non gli chiesi delle ragione della sua visita a Rochester e mi offrii di dargli un passaggio, a patto che il padre mi desse il benestare. Dopo una lunga ed animata conversazione ottenni la benedizione di Johnny e così il sabato mattina insieme a mia moglie Nancy, Vinicio, il compare Alfredo Orsini (il conduente e titolare di una fiammante Pontiac), la mogle Ersilia e la figliola Emilia di due anni, passammo per College Street a prelevare Lenny. Dopo un`ora e mezzo circa, arrivammo al valico di Forie Eire (che separa l`Ontario dallo Stato di New York, Stati Uniti), verso le undici e mezzo del mattino. All`apparenza tutto sembrava procedeva come un copione da film, almeno così credevamo. Quando si gira un film, si sa, a volte il regista, cambia una scena in corsa. Ed proprio quello che stava per accaderci alla frontiera americana, non previsto nel copione del nostro viaggio. Per entrare in uno
stato straniero, la prassi vuole che tutti siano munuti di un passaporto e visto. Io, Alfredo, Nancy ed Ersilia avevamo un passaporto italiano, mentre Lenny, Vinicio e la piccola Emilia erano nati in Canada e per essereammessi negli Stati Uniti, a loro le autorità richiedevano soltanto il certificato di nascita. Tutto in regola quindi. Almeno così pensavamo. Alla frontiera che devide le due Nazioni, gli agenti in assetto da guerra, ci chiesero la documentazione. Ed è in questa circostanza che la scena del (film) viaggio cambia. La comare Ersilia aveva dimenticato il certificato di nascita della piccola Emilia a Toronto . Apriti cielo. Cercando tutte le giustificazioni e implorando gli agenti di lasciarci entrare in America, il funzionario di froniera, fu irremobile: niente certificato della piccola Ersilia, niente America. L`imprevisto non era nel copione e con grande delusione invertimmo la rotta verso Niagara Falls, dopotutto la colpa era soltanto nostra. Ma mentre stavamo per attraversare il ponte sul lago Erie che separa il Canada e gli Stati Uniti, Lenny, il regista, ha uno lampo di genio: “Tornate pure a Toronto io, in qualche modo troverò un passaggio di fortuna per raggiungere Rochester”. Credo che quel giorno prevalse l`intelligenza e l`astuzia tutta italiana, sulla rigidità degli americani. La nostra gita fuoriporta di Pasqua del 1974, ha tutte le caratteristiche di un film di Fantozzi, non di una allegra scampagnata di fine settimana. Lasciatoci Lenny alle spalle, facciamo ritorno verso Fort Eire, destinazione un ristorante a Niagara Falls. Ignari della sorte che stava ad accadere a Lenny, non immaginavamo minimimante cosa avessero riservato gli agenti al giovane hippy canadese. Lenny è un giovane ( scrivo in presente storico) con capelli lunghi, jeans, un maglioncino e giuebbetto. In tasca ha l`imperbolica cifra di 19 dollari canadesi. Pochi per passare tre giorni in America e per questa ragione e forse anche per qualche altra, l`agente gli nega l`ingresso negli States. Nel frattaempo noi siamo a Niagara Falls, e per nostra sfortuna i telefonini ancora non andavano di moda. Lenny da buon scorpione e non amante della sconfitta, di non poter andare a Rocheste è desolato e furubondo con gli agenti di frontiera. Ma mentre cammina sul ponte che separa Fort Eirie e Buffalo, si accende in lui, l`intelligenza e l`astuzia italica. Su quel ponte c`è una signore che sta pescando e Lenny che non vuole darsi per vinto, chiede quando ci sarà il cambio di turno degli agenti. “Il cambio avviene alle sedici” - risponde il pescatore. Non so cosa avesse in mente Lenny, sta di fatto che alle sedici
e 10 si ripresenta al varco e come per incanto l`agente di turno gli da il via libera e così potrà entrare finalmente in America. Intanto incombe la sera, Lenny per raggiungere Rochester dovrà sperare i un qualche buon Santo che gli dia un passaggio. Ma sembra che di Santi sull`autostrada 90 non ci siano e quindi inizia il lungo calvario verso la meta finale. Ma se Lenny non si era arreso all`avventura, noi non eravamo stati da meno. Dopo aver pranzato in un ristorante di Nigara Falls, e pur sapendo di essere dalla parte del torto, per altre due volte, tentiamo tentare di entrare negli States usando altri valichi. Prima al Ponte della Pace di Niagara Falls, dove per la seconda volta siamo respinti. Ma anche in questo caso decidiamo di cambiare la scena in corso e per l`ennesimo chiak, cambiammo la scena usando un`altro valico quasi sconosciuto nelle vicanze di Bridgeston dove troviamo un agente comprensivo e meno fiscale che ci lascia entrare. Ormai quasi sera e per raggiunge Rochester via Buffalo percorriamo la 90 che porta da Buffalo a New York. Prima di lasciare il valico, l`agente ci prega di rispettare la velocità dell`autostrada. A questo punto il nostro pensiero va a Lenny. Ma come nei film, il miracolo si sta per avverrare: all`altezza di Buffalo, Vinicio intravede un signore che chiede l`autostop. Il compare Alfredo, ingornado la raccomandazione del funzionario di rispettare i limiti di velocità, e con le automobli che lo seguivano, tenta una brusca frenata e mio figlio Vinicio riconosce il pedone sul ciglio della strada: è Lenny. La frenata inaspettata di Alfredo per un pelo non crea un incidente catena. Da dove l`avemamo lasciato la mattina, Lenny aveva percoso forse un chilometro. È ora quindi di girare l`ultima scena del film improssivato la vigilia di Pasqua del 1974 e così tutti felici e contenti arriviamo sani e salvi a Rochester. Un`amicizia che dura 45 anni Da questo casuale incontro, nasce tra la mia famiglia e quella di Lenny un`amicizia che dura da oltre 45 anni. Quando la televisione era tutta da scoprire, Lenny ed io ci siamo recati al Festival di Sanremo correva l`Anno Domini 1976. Gli anni settanta erano molto complicati per gli organizzatori della canzone italiana, creando un grosso danno economico alla città che vive di fioricoltura, turismo e “big shooters” al Casinò. Ricordo che gli alberghi, voce trainante dell`economia della città dei fiori, erano quasi tutti vuoti. Uno degli alberghi più prestigiosi della Riviera Ligure, il Royal, era semideserto, ma noi ce la sentimmo di prenotarlo anche perchè ci sembrava eccessivo per la nostra portata così alloggiammo all`Hotel Miramar, un 5 stelle. La nostra stanza, mozzafiato all`ultimo piano
con vista mare, era uno spettacolo. Di solito la nostra permanenza a Sanremo era di quattro giorni: dal meroledì al sabato. La domenica mattina presto andavamo a Nizza o Genova a prendere l`aereo per Roma. Per chi non è mai stato a Sanremo è difficile capire, il lavoro che svolgono i giornalisti inviati. Il grosso del lavoro si svolge dopo l`esibizione con inerviste ai vinti e vincitori. Ricordo che l`ultima notte per paura di non sveglarci la domenica mattina, non chiudemmo un occhio e per uccidere il tempo, raccontammo tutte le sciocchezze che ci venivano in mente. Durante i nostri viaggi, Lenny mi raccontava che agli inizi non aveva molto interesse nell`azienda e negli affari di famiglia, e una volta per sfidare il padre, era andato a lavorare per un suo zioa fare il manuale. La giuventù per Lenny è stata, immagino, come quella di tanti giovani nati negli anni 50. Viaggi in zone sconosciute, esplorare l`incognito, studiare il meno possibile. Johnny Lombardi, come tutti i genitori, anche se non era molto assente in famiglia, perchè impegnato negli affari della stazione radio, supermercato, dischi e artisti, sapeva quanto fosse importante la cultura e la lingua italiana in un paese, dove vivevono tanti immigrati. In quegli anni andava di moda, per chi poteva permetterselo, di mandare i figli in Italia per apprendere le basi rudimentali della nostra lingua. E Johnny Lombardi, sapeva che conoscere la lingua dei suoi antenati era un fatto positivo, così ogni anno mandava un figliolo in Italia per apprendere la nostra lingua. Per il futuro presidente dell`impero CHIN, erano anni di crescita e di errori. Di viaggi attraverso l`Europa, e Italia in moto o a bordo di una vecchia Volkswagen per attraversare l`Europara o per raggiungere la Sicilia, terra dei suoi nonni materni. Quando Lenny, rimaneva senza soldi, si metteva al telefono per chiedere aiuto al babbo o alla mamma, ma quando da questa parte dell`oceano arrivava la risposta negativa, l`ingegnoso Lenny non studiava l`italiano ma come poter sopravvivere. Una volta Lenny mi raccontò che essendo rimasto senza uan lira e con la febbre a quaranta, tentò di rivendere la vecchia Volkswagen, ma non potendo trovare acquirenti, l`abbandonò al molo di Palermo. In tutti questi anni, di amiciza abbiamo collaborato alla realizzazione di documentari su vari Festival di Sanremo, creato il programma a quiz “CHIN Indovina” e tanto altro. Ricordo il nostro viaggio a Bona Vista organizzato da Charles Caccia, all`epoca ministro dell`ambiente per la dedica di una placca in lingua italiana, al momumento dell’esploratore italiano Giovanni Caboto (o John Cabot come è conosciuto localmente), che scoprì per la
prima volta il Canada nel 1497. Al suo arrivo sulle coste del Canada, sembra che le sue prime parole fossero “O buona vista!” Tradotto in inglese, questa frase significa “Oh happy sight!”. La statua del famoso esploratore, di Gaeta in Provincia di Latina, oggi adorna il porto di Capo Bonavista in Terranova. Nelle prime di una domenica di sole, partimmo dall`aeroporto di Toronto a bordo di un Falcon dell`areonatica canadese, per St, Johns. Al nostro arrvo, il ministro Charles Caccia, avvisò i giornalisti al seguito della delegazione che l`elicottero (un vecchio Sea King in dotazione, alle forze armate canadesi, per il pronto soccorso), che doveva ccondurci a Bona Vista poteva trasportare soltanto 8 persone e di conseguenza, 4 giornalisti sarebbero rimasti nel salotto di attesa dell`aeroporto ed aavrebbero potuto assistere alla cerimonia da Capo Bona Vista, via radio. All`annuncio di Caccia, ci fu una sorta di rivoluzione tra Rino Citarella direttore della rivista “Comunita Viva” (un libèllo con pretesa di essere il guardiano della verità) e Angelo Persichilli del “Canale 47”, la stazione multiculturale creata da Dan Iannuzzi. Rino non voleva sentire ragione e così per ovviare all`increscioso episodio come si fa nel calcio, si fece ricorso alla monetina. Citarella e Persechilli, persero e tra le proteste rimasero insieme agli altri ad attendere all`aeroporto, mentre i meno sfortunati salirono a bordo dell`elicottero per l`isola di Bona Vista. Il volo di andata, fu meraviglioso. Volare a bassa quata, si poteva ammirare la bellezza della costa e le piccole casette e il mare cristallino. Al nostro arrivo Carles Caccia, capo della delegazione, ci condusse ai piedi del monumento di Giovanni Caboto per la dedica in italiano che si andava ad aggiungere a quella in inglese e francese. Durante una pausa, Lenny ed io facemmo anche visita al piccolo villagio dove per la prima vota scoprimmo il whisky and rum screech ”, un puro malto al 100%. Mentre gli inviati rimasti a St Johns, attendevano il nostro arrivo all`aeroporto, per il ritorno a Toronto, il bel tempo sull`isola, aveva fatto spazio a intense nubi e pioggia. Il comandante del Sea King, aveva deciso di sfidare il maltempo ma mentre eravamo già in volo il comandante dell`elicottero ci avvertì di una avaria al rotor e di essere pronti a un atterraggio di emergenza. Passarono soltanto alcuni secondi e l`elicottero inziò a perdere quota, falciando le cime degli alberi di pino sotto di noi. Per nostra fortuna la brillante manovra del comandante e credp anche con un po di fortuna, riuscì a governare il mezzo atterrando in un fazzoletto di terra vicino l`autostrada Trans Canada.
Con l`elicottero fuori causa, chiedemmo un passaggio di fortuna a un signore che ci condusse all`aeroporto dove i nostri colleghi avevano assistito, tramite radio, all`atterraggio di emergenza e, credo che qualcuno avesse anche riso alla nostra disgrazia. Ma la cosa piu importante della nostra missione a Capo Bonavista, cioè la dedica in italiano a Giovanni Caboto passò in secondordine La notizia del giorno fu l` imminente atterraggio di emergenza, che Lenny con sangue freddo e sudore sulla fronte, riuscì a filmare. Tornati a Toronto gli chiesi il perchè avesse filmato la scena dell`atteraggio di fortuna, lui con un sorriso sornione sotto i baffi disse: “ ho pensato che in caso fossimo morti , avevamo un documento della nostra fine da mostrare al mondo”. Feci una smorfia e toccandomi in quel posto, continuai a montare il pezzo che mandammo in onda sul programma Festival Italiano di Johhny Lombardi. Giovanni Caboto famoso esploratore approdò a Cape Bonavista, Terranova, forse a San Giovanni, nel giugno del 1497 però l’esatta ubicazione è sconosciuta. Il governo ha riconosciuto Capo Bonavista come il suo punto di sbarco ufficiale dove si fermò e rivendicò la terra. La successiva spedizione nel 1498 che Caboto intraprese dopo il suo viaggio di ritorno da Capo Bonavista, fu anche la sua ultima. John Cabot e il suo equipaggio ebbero difficoltà in mare e non furono mai ritrovati. La statua di John Cabot si trova ora a Cape Bonavista lungo il Discovery Trail a Terranova. Quando tutto sembra andare storto, subentra l`astuzia e la follia Nei primi anni settanta, la Chin possedava una piccola video camera “super8”. Uno strumento poco adatto per riprese professionali. Cionostante, la nostra missione era di riprendere comunque parte dela finale del Festival di Sanremo per poi ritrasmetterlo nel programma televisivo della Chin TV. All`apparenza la missione sembrava fattibile, ma non avevamo fatto i conti con gli ispettori della Rai. Alle 20 in punto dotato del Press Pass e “Super8”, Lenny ignaro di quanto gli stesse per capitare, fa l`ingresso trionfale nel teatro Ariston, e si posiziona vicino al palco pronto per le riprese degli artissti in gara. Lenny è solo in teatroe il suo italiano è limitato e maccheronico. Io non sono con lui,
sono dovuto andare a ritirare l`automobile presso l`ACI di Sanremo, portata lì dal carro attrezzi per divieto di sosta in zona transito dei filobus. Intanto il Festival sta per avere inizio e Lenny è ansioso. Riuscirà per davvero a filmare i Festival? Si gira, si guarda intorno, scruta le belle donne impellicciate e con gioelli da mille e una notte, gli anziani signori che accompagnano le loro dame ai primi posti del teatro. E mentre tutto sembra sotto controllo, come in un film giallo, sbuca dal nulla un`ispettore della Rai e con fare micaccioso chiede a Lenny di esibire l`autorizzazione da parte della Rai. Lenny non si scompone e con il sorriso sulle labbra, rassicura l`ispettore con il suo italiese che il capo (io!) ha la documentazione rilasciata dalla Rai e che arriverà prima dell`inizio dell`esebizione degli artisti. Intanto si avvicinava sempre di più l`orario dello spettacolo, ma di Vittorio, il cosidetto “capo”, nessuna traccia. Inizia lo spettacolo e per Lenny si profila una serata drammatica e con risvolti poco piacevoli. Le luci si abbassano, parte la sigla del Festival, dalla platea si levano gli applausi per il presentatore. E come per incanto, sparisce anche l`ispettore Rai che fino a qualche minuto fa teneva sotto occhio il cameraman con la “Super8”. Sparito l`ispettore Rai, Lenny si fa corraggio e appoggiandosi alle tende della platea, inizia a girare. Dopo aver pagato la multa per aver parcheggiato in zona per divieto sosta, arrivo anche io in teatro e inravedo Lenny seminascosto tra le tende del teatro a filmare il Festival. Mi avvicino silenziosamente al “mio cameraman” che sfidando la sorte e superando tutti gli ostacoli del momento ha realizzato il suo sogno: portare a casa il filmato del Fesival di Sanremo. Un`impresa impossibile che rasenta l`illecito realizzata grazie all`astuzia, intelligenza e un po di follia di chi crede nei propri mezzi e soprattutto non si arrende mai di fronte al primo ostacolo. Pisticci (Basilicata): una piazza intitolata a Johnny Lombardi Qualche anno dopo la morte la morte del fondatore della Chin, gli amministratori di Pisticci, paese natale del padre di Jonny Lombardi, Leonardo, intitolano una Piazza (ricavata da un dirupio) “Piazza Johnny Lombardi”. Per l`inaugurazione della piazza anfiteatro, la giunta comunale giudata dal sindaco Michele Leone, si fa promotrice di una brillante iniziativa ed invita una delegazione dal Canada per festeggiare l`evento con un grande spettacolo intitolato “Picnic a Pisticci”. Al nostro arrivo nellla cittadina lucana siamo accolti dall`etusiasmo della cittadinanza che ci riserva un accoglienza trionfale. Il produttore dell`evento e` curato dal consigiere comunale, professore Giovanni Giannone, uomo fidato del sindaco Leone. Nel discorso alle autorità, il presidente Lenny ringrazia per la sensibilità nei riguardi della sua famiglia e promette di continuare ad essere presente con artisti italo-canadesi anche in futuro. Ma
nel mezzo dei festeggiamenti 19 agosto del 2009 il sindaco di Pisticci, l’ingegner Michele Leone (Pdl), dimissionario, ritira le dimissioni dall’incarico protocollate alle ore 20.30 dello scorso 28 luglio. Il ripensamento è cosa non da poco, perché se fossero trascorsi venti giorni dal gesto unilaterale, a Palazzo Giannantonio a quest’ora siederebbe un commissario nominato dal prefetto. Ma la crisi? Che fine ha fatto? Tutto risolto? Niente affatto. I lavori sono come si suol dire in questi casi, in corso. Tutto è nato dalla defenestrazione da parte del primo cittadino, del suo vice sindaco (ormai ex), Domenico Lazazzera avvenuta esattamente un mese fa. A far traboccare il vaso è stata un’intervista che l’ex numero due dell’Amministrazione comunale pisticcese concesse al Quotidiano, pubblicata il 18 luglio dal titolo: «Trasparenza e legalità sul Prg». Fu quella l’occasione per Leone per far emergere agli occhi dell’opinione pubblica la totale incompatibilità politica e caratteriale con Lazazzera. Un rapporto mai buono inaspritosi reciprocamente dalle divergenze di vedute sul modus operandi. Il sindaco dimettendosi quella sera, ha arrestato l’emorragia politica locale che avrebbe portato, la mattina successiva, alle dimissioni di undici consiglieri comunali su ventuno (Nicola Panetta, Giovanni D’Onofrio, Josefh Scazzariello, Franco Mazzei e Giuseppe Iannuzziello tutti del Pdl; Massimo Dimo (arrivato nella notte dalla Sardegna dove era in vacanza), Dino Calciano e Rocco Grieco della ex Margherita; Giovanni Mastronardi e Rocco Caramuscio del Pd e Paolo Giannasio eletto nell’Udeur in odore di Udc); tanti quanti ne sarebbero bastati per far sciogliere l’assise elettiva e portare al commissariamento dell’ente. Quel gesto ha consentito, però, a Giannasio di avere il pretesto per ripensarci: «Se Leone si è dimesso demandando tutta la discussione al Consiglio e aprendo la verifica, io non mi dimetto più». Da buon chirurgo (lavora presso l’ospedale di Tinchi) l’emorragia è stata veramente tamponata. Un gioco di prestigio, quello di Leone, che non gli ha consentito di affondare. Nel frattempo sono arrivate le occasioni di rappresentanza (la presenza del figlio di Jonny Lombardi) e i festeggiamenti patronali di San Rocco, appena trascorsi, dove il sindaco senza vice, ha fatto tutti gli onori di casa. Ora si ricomincia. Ma in che modo? Innanzitutto pare che l’accordo tra i consiglieri vicini a Leone, (Rosa Prezioso, Rosa Panetta, Ottavio Panetta, Giovanni Oliva, Mariano Caravita, Giovanni Giannone, tutti Pdl, con gli Udc Renato Rago, Salvatore Romano e Paolo Giannasio) non
sia visto di buon occhio dalla consigliera Anna Gallo, che fino a questo momento era stata sempre data nella “scuderia” di Leone e che ora sembrerebbe più vicina alle posizioni di Lazazzera. Così qualcuno ha coniato la battuta, la cui paternità sembrerebbe proprio di Leone, che ci sono “dieci consiglieri e mezzo a testa”. Indeterminazione assoluta, che non si riesce a capire come possa trovare soluzione. Il sindaco, per non uscire con le ossa rotte dall’affaire Lazazzera, vorrebbe che l’altro troncone del Pdl gli indicasse un nominativo a cui assegnare la delega di vicesindaco tolta a Lazazzera. Un nome qualsiasi. Tranne Lazazzera. Chiaro che Lazazzera, Nicola Panetta e Giovanni D’Onofrio, i leader dell’anti Leone, non possono accettare una soluzione che scarichi l’ex vicesindaco, insieme a Leone unico componente del coordinamento regionale del Pdl, che gode di entrature eccellenti negli ambienti romani. Di qui l’impasse e la difficile soluzione. Alla quale sia chiaro nell’interesse generale del Pdl e dell’intero centrodestra, tutti vorrebbero addivenire con una chiave di svolta in positivo. Forse anche per questo, pur avendo i numeri, il presidente del consiglio comunale, Giovanni D’Onofrio, non ha richiesto la convocazione dell’assise per presentare la mozione di sfiducia. Tattica e diplomazia agiscono insieme. Ma il Consiglio si farà tra una settimana circa perché a richiederlo sono stati cinque consiglieri di minoranza: Mastronardi, Caramuscio, Calciano, Grieco e Dimo. Quelli che veramente sognano il commissario. L`esperimento del “Picnic a Pistticc” dura due o tre anni, ma con l`avvicendamento dell`amministrazione e l`addio del sindaco Michele Leone, subantrano le solite polemiche tra amministratori e si chiude una bella avventura che poteva essere qualcosa di importante per i pisticcesi del Canada e della stessa popolazione di Pisticci.
Caopitolo CIV Aprile 1984 - L`incontro con Papa Giovanni Paolo II a Roma Nell`aprile del 1984, l`Ambasciatore d`Italia in Canada Francesco Paolo Fulci (Messina, 19 marzo 1931), organizza un viaggio culturale in Italia, in collaborazione con Ministro di Stato per il Multiculturalismo David Michael Collenette. La folta delegazione canadese era composta da molti politici e da giornalisti della carta stampata, radio e televisione. Il nostro presidente Johnny Lombardi fera stato invitato per il suo lavoro a favore de multiculturalismo in Canada. Io e Lenny seguimmo il viaggio in Italia per la televisione e radio. La super8 usata per le riprese al festival di Sanremo, era stata messa in naftalina e per questo viaggio la Chin aveva acquistato una telecamera professionale. Erano lontani gli anni di una telecamera piccola con una batteria piccola come la palma della mano. Per poter alimentare il funzionamento della telecamera, si aveva bisogno di una grossa batteria a parte. Per cercare di capire le difficoltà di cui l`operatore era soggetto, tra telecamera e batteriei peso si aggirava a 20 libbre. Il nostro itenerario italiano prevede, visita a siti di arte, udienza privata con Sua Santità Giovanni Paolo II, cena alla residenza dell\Amasciatore canadese a Roma e visita in Sicilia compresa la stupenda cittadina di Taormina gli scavi di Siracusa e l`anfiteatro. All`arrivo a Roma, il capo cerimoniale della delegazione ci concede un paio di giorni di relax per acclamatizzarci all`ambiente romano e poi il viaggio in pulman dall`albergo a Città del Vaticano, per l`udienza privata con il Papa. È mercoledì mattino e Sua Santità celebra la messa all`aperto. Per chi come me che non ha udienza privata con il Papa tutti i giorni è bene capire il rigido protocollo del Vaticano. Piazza San Pietro durante l`udienze del mercoledì, si crea una certa scala di valori. Insomma pensiamo a una nave passeggeri degli anni 30 con tre classi. Nelle prime ore del mattino, sotto gli occhi attenti delle guardie svizzere, si monta l`altare e la piazza viene divisa in tre classi (isole), con transenne. Prima dell`inizio della Santa Messa, gli invitati per l`udienza privata vengono fatti accomodare nella prima classe (prima isola); i giornalisti a seguito della delegazione canadese, siederanno in seconda classe (seconda isola) e i pellegrini proveninti da tutto i mondo saranno costretti a rimanere in piedi in terza classe, in piazza San Pietro. In via eccezionale, a Lenny che in questa circostanza è addetto alle riprese televisive, l`ufficio stampa del Vaticano glo concede il permesso di riprendere la Messa in prima classe. Il mio compito di giornalista è scrutinare, osservare e fare appunti. Per mia scelta, decido di restare insieme ai pellegrini in terza classe. Tutto sembra filare liscio come da protocco-
lo, quando alzando lo sguardo verso l`altare, noto Lenny che gesticola animosamente e fa cenno di raggungerlo. Ha bisogno di nuove batterie, che sono nella mia borsa di viaggio. Ed è il primo peccato commesso dal nostro Lenny. Un buon cameramen: guai essere sprovvisto di batterie mentre Sua Santità celebra la Santa Messa. Ora la faccenda si fa complicata. La piazza è stracolma di pellegrini e raggiunge la postazione di Lenny è umanamente impossibile. Ciononostante, incurante delle oggettive difficoltà tento di scavalcare le tansenne per raggiunge Lenny, ormai in totale panico. È ovvio che neanche io conoscevo il protocollo del Vaticano, perchè mentre mi dirigevo verso Lenny, sono bruscamente fermato da due agenti in borghese che mi intimano di “freeze”. Ormai sono arrivato a un passo dall`altare separato soltanto dalla prima transenna e riservato agli invitati per l`udizienza Papale. Protetto dalla transenna, passo le batterie a Lenny con i due poliziotti ancora alle mie spalle. Finisce la Messa e Sua Sntità inizia i giro incontrando le delegazioni invitate, compresa quella canadese con il Ministr Collenotte, la sua gentile signora, il signor Lombardi ed altri politici canadesi. Finito il primo giro, Papa Giovanni II preceduto dal capo del cerimoniale incontra gli altri dignitari che sono in seconda classe. Per puro caso o per sorte, mi trovo accanto al ministro della cultura dell\Uganda. Quando il capo cerimoniale scandisce il nome del ministro ugandese (una donna), il mio nome non appare sul suo libro, succede una cosa insolita, Papa Vojtila, prende la mia mano (vedere foto) e quella della signora e con voce sottile ci sussura: “Siete marito e moglie ? Che Dio vi benidica”. A fine cerimonia racconto a Lenny l`incontro inaaspettato con il Papa e per dimostrargli che non era una bufala, gli dico che mi hanno fatto anche la foto. Intanto il Papa stava facendo il giro con il papamobile, tra i pellegrini. Non so cosa provasse in quel momento, ma lasciatomi la telecamera e tutto il resto, Lenny inizia a correre come un forsennato verso il Papa e anche lui viene immortalato con la foto ricordo del nostro viaggio in Italia a seguito della delegazione canadese. Dopo la sosta romana, ci spostiamo in Sicilia e subito notiamo la differenza. Mentre a Roma, la sicurezza era moto discerta, in Sicilia era presente ovunque. La nostra prima tappa è Taormina con il suo fascino e la sua storia di città d`arte. Alloggiamo presso il gran Hotel San Domenico, un vecchio monastero ora adito ad albergo a ciqnue stelle. Qui la sicurezza si nota dappertutto. Di fronte alle camere, degli ospiti c`erano sempre due poliziotti in borghese, armati sino ai denti. La stessa cosa si ripeterà anche durante il tragitto da Taormina a Siracusa e durante tutta la
permanenza nell`isola. L`accoglienza a Siracusa fu eccezionale con gite programma per l`anfiteatro gli scavi e la base di Sigonella. Francesco Paolo Fulci L`ambasciaore nel corso della sua lunga carriera diplomatica, ha servito l’Italia in importanti capitali mondiali come Tokyo, Parigi, Mosca. Dal 1976 al 1980, è Capo della Segreteria del Presidente del Senato Amintore Fanfani. Dal 1980 al 1985 Ambasciatore d’Italia in Canada e dal 1985 al 1991, è stato Ambasciatore alla NATO a Bruxelles. Ha concluso la carriera diplomatica, come Rappresentante permanente d’Italia alle Nazioni Unite (1993-1999). Nel gennaio del 1999 venne eletto all’unanimità Presidente del Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), dopo aver ricoperto, l’anno prima, il ruolo di Vice Presidente. David Michael Collenette David Michael Collenette, è stato Ministro di Stato per il Multiculturalismo. Dal 1974, fino al suo ritiro dalla politica nel 2004, è stato membro del Partito liberale del Canada. Laureatosi al Glendon College della York University nel 1969, ha successivamente ricevuto il MA dalla stessa università nel 2004. È stato eletto per la prima volta nella York East riding di Toronto alla House of Commons l’8 luglio 1974, nel governo di Pierre Trudeau. Collenette è stato membro della Camera dei Comuni canadese per oltre 20 anni. È stato eletto cinque volte e sconfitto due volte. Ha servito nel Gabinetto sotto tre primi ministri - Pierre Trudeau, John Turner e Jean Chrétien. Ha tenuto diversi portafogli: Ministro di Stato-Multiculturalismo (1983-84); Ministro della difesa nazionale (1993-1996); Ministro degli affari dei veterani (1993-96); Ministro dei trasporti (1997-2003) e Minister of Crown Corporations (2002-03). Durante i dibattiti costituzionali dei primi anni ‘80, ha ricoperto il ruolo di Segretario del Parlamento e fu assegnato dal governo a Westminster per rappresentare gli interessi del Canada. A Taormina chiude l’albergo che ha ospitato i potenti per il G7 Sulla stessa terrazza con vista mozzafiato in cui una 34enne Audrey Hepburn ricevette il David di Donatello per “Vacanze romane”, solo sei mesi fa i Grandi del mondo hanno assistito, anche loro incantati, allo spettacolo delle Frecce tricolori a conclusione del G7. Ultimi ospiti eccellenti di uno degli alberghi più famosi del mondo, simbolo dell’hotellerie di lusso di Taormina, che improvvisamente rotola sul tristissimo crinale del declino. Da Trump alla Merkel, da Trudeau a Macron, dal premier giapponese Abe a Paolo Genti-
loni, i capi di Stato che a maggio hanno partecipato al G7 di Taormina con le relative consorti, tra una riunione e l’altra, si sono fatti guidare lungo le meravigliose sale dell’hotel i cui arredi, vere e proprie opere d’arte, erano state salvate in extremis dalla Soprintendenza ai beni culturali di Messina che solo due mesi prima aveva bloccato l’asta di 167 tra quadri d’autore, bassorilievi, mobili, portali, persino il sarcofago di un nobile, provenienti dalla liquidazione degli hotel di Acqua Marcia e che il tribunale di Roma aveva affidato alla casa d’aste Bonino. Secondo la Soprintendenza il San Domenico è un albergo museo che costituisce un’unica opera d’arte e dunque quei beni potevano essere venduti singolarmente ma non potevano in nessun modo essere spostati dal loro contesto. Papa Vojtila alla GMG di Toronto - la Chin orgioglia partener del live broacast dell`incontro all`Ontario Place con i giovani a me il compito di condure il programma “Voi siete il sale della terra... voi siete la luce del mondo”: questo è il tema che ho scelto per la prossima Giornata mondiale della gioventù - scrive il Papa nel suo Messaggio in vista della XVII Gmg (a Toronto (nella foto) dal 18 al 28 luglio 2002) Con queste parole Sua Santità annunciata la Giornata Mondiale della Giuventù a Toronto. Per l\occasione, a me era stato il compito di partecipare al comitato laico degli eventi e della trasmissione radiofonica all\Ontario Place per l\incontro dei giovani con il Papa e il Ministro degli Italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia. Una grossa responsabilita, e un onore aver potuto contribuire alla realizzazione della trasmissione radofonica della Chin. “Le due immagini del sale e della luce utilizzate da Gesù sono complementari e ricche di senso. Una delle funzioni primarie del sale è quella di condire, dare gusto e sapore agli alimenti. Quest’immagine ci ricorda che, mediante il battesimo, tutto il nostro essere è stato profondamente trasformato, perché “condito” con la vita nuova che viene da Cristo. Il sale, grazie al quale l’identità cristiana non si snatura, anche in un ambiente fortemente secolarizzato, è la grazia battesimale che ci ha rigenerati, facendoci vivere in Cristo e rendendoci capaci di rispondere alla sua chiamata. Per lungo tempo il sale è stato anche il mezzo per conservare gli alimenti. Come sale della terra, siete chiamati a conservare la fede che avete ricevuto e a trasmetterla intatta agli altri». «Il simbolo della luce - continua il Papa - evoca il desiderio di verità e la sete di giungere alla pienezza della conoscenza, impressi nell’intimo di ogni essere umano.
Nel cuore della notte ci si può sentire intimoriti ed insicuri, e si attende allora con impazienza l’arrivo dell’aurora. Cari giovani, tocca a voi essere le sentinelle del mattino che annunciano l’avvento del sole che è Cristo risorto! Nel contesto attuale di secolarizzazione, in cui molti dei nostri contemporanei pensano e vivono come se Dio non esistesse o sono attratti da forme di religiosità irrazionali, è necessario che proprio voi riaffermiate che la fede è una decisione personale che impegna tutta l’esistenza». «Carissimi - conclude il Papa - vi rivolgo uno speciale invito a leggere e ad approfondire la Lettera apostolica “Novo millennio ineunte”: “Un nuovo secolo, un nuovo millennio si aprono alla luce di Cristo. Non tutti però vedono questa luce. Noi abbiamo il compito stupendo di esserne il riflesso”. Sì, è l’ora della missione! Nelle vostre diocesi e nelle vostre parrocchie, nei vostri movimenti, associazioni e comunità il Cristo vi chiama, la Chiesa vi accoglie. Approfondite lo studio della Parola di Dio e lasciate che essa illumini la vostra mente ed il vostro cuore. Traete forza dalla grazia sacramentale della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Frequentate il Signore in quel “cuore a cuore” che è l’adorazione eucaristica. Giorno dopo giorno, riceverete nuovo slancio che vi consentirà di confortare coloro che soffrono e di portare la pace al mondo». Sono convinto che il messaggio del Papa, sono state recepite dalle migliaia di giovani arrivati a Toronto da tutto il mondo per le celebrazioni della Giornata della giuventù, e la presenza del tutto gremito all`Ontario Place è un`indicazione, il Papa ora dall`alto dei cieli, potrà esserne felice dei nostri giorvani.
ANNO DOMINI 1977: La guerra tra gicanti della comunicazione per un Canale Tv multiculturale Nel 1977, tre richiedenti si diedero battaglia per il diritto di una licenza per la prima emittente televisiva multilingue del Canada, a Toronto, utilizzando il canale 45. Leon Kossar, fondatore del festival internazionale annuale “Caravan” di Toronto, MTV Broadcasters Ltd.. La MTV era diretta da Johnny Lombardi della CHIN Radio. Lombardi anche conosciuto per l’organizzazione di concerti e per l’annuale CHIN International Picnic di Toronto. La terza domanda era sta presentata dalla Multilingual Television (Toronto) Ltd., guidata da Dan Iannuzzi, editore del quotidiano Corriere Canadese. La sua famiglia aveva fondato il giornale che sarebbe diventato il più grande quotidiano italiano al di fuori dell’Italia. La CRT rigettò tutte e tre le domande. Nel 1978, i tre condendenti ripresentarono le loro domande. La commisione, questa aggiudica la licenza e alla Multilingual Television (Toronto) Ltd. di Dan Ianuzzi. Le domande di Heritage Broadcasters Ltd. (ex MTV Broadcasters Ltd.- Johnny Lombardi) e Leon Kossar (OBCI) sono respinte.
La CRTC concede la licenza per la prima stazione televisiva multilingue in Canada La soddisfazione di Dan Iannuzzi e l`amarezza di Johnny Lombardi Nel 1979 nasce duqnue la prima televisione multilingue gestita da Dan Iannuzzi e suo fratello Paul. Insieme, controllavano il 36% delle azioni con diritto di voto di MTV, direttamente o tramite la holding di famiglia, Daisons Communications Inc. Il resto delle azioni erano detenute da circa 35 altri azionisti, nessuno con oltre il 4% del totale dei voti. Tra gli altri azionisti c’erano anche l’ex anchor della CBLT Valerie Elia, l’architetto Raymond Moriyama, il capo di Cineplex Garth Drabinsky e l’avvocato Jerry Grafstein (uno dei fondatori di CITY-TV). Johnny Lombardi e Dan Iannuzzi erano amici-nemici, entrambi vivano con la pubblicità Avendo ottenuto la licenza per la prima stazione televisiva multilingue in Canada, Iannuzzi ora si sentiva più forte. Jonny Lombardi che nella vita aveva sempre vinto, vedersi sfumare questa opportunità, gli briciava. Nel gennaio del 1979, sono inviato a Cannes per il MIDEM, il mercato internazionale della musica. Lombardi mi raggiungerà una settimana dopo. Vado a prenderlo con la macchina a Nizza. Era nervoso, impaziente, irrascibile. Gli chiesi se c’era qualcosa che non andasse. Durante una passeggiata sulla promenade di Cannes, sfogò tutta la sua delusione e rabbia. “In vita mia ho perso pochissime volte, ho quasi sempre vinto. Questa volta ho perso di brutto, contro colui che credevo fosse piu debole. Non riesco a capire come abbia fatto la Commisione della CRTC a concedere la licenza al gruppo di Danny Iannuzzi”. Personalmente credo che Lombardi non avesse la fame per una licenza TV, ma il fatto che la CRTC l`avesse concessa a Innuzzi l`aveva preso impreparato ad accettare la sconfitta. Lombardi ridera` per ultimo, quando Iannuzzi per mancanza di fondi cedera` lle sue quote della Televisione alla Roger. I problemi per Iannuzzi inziano ancor prima della messa in onda della FMT. La società detentrice della licenza ha gravi difficoltà finanziarie e chiede ripetute infusioni di nuovi capitali. Nel contempo gli azionisti di minoranza si rifiutarono di sborsare altri
soldi o non essere in grado di soddisfare la propria quota di requisiti patrimoniali aggiuntivi per la MTV e quindi il controllo della il controllo della società passò nelle mani dell Daisons. A dare una mano alla MTV arriva in soccorso la International Cable of Buffalo dando la disponibilità di copertura a tempo pieno della MTV World Service di Toronto ai suoi 75.000 abbonati a Buffalo. La compagnia raggiunge un accordo multilivello in base al quale International Cable si impegna ad acquistare il 50% di MTV of America Inc., con una posizione azionaria “significativa” nella società madre di CFMT-TV, Multilingual Television (Toronto) Ltd. Il presidente di International Cable Peter Gilbert diventa presidente di MTV of America mentre Dan Iannuzzi viene nominato del consiglio di amministrazione. La MTV Broadcasting System era stata creata prima che la CFMT iniziasse le trasmissioni televisive. A causa del continuo bisogno di finanziamenti per sostenere le operazioni di MTV, Daisons contrasse un grosso debito con la con Seaway Trust. Il 28 agosto, la MTV trasmette una retrospettiva di due ore dei suoi 2 anni di trasmissione ospitata dal presidente Dan Iannuzzi. Il programma includeva una revisione dei primi momenti della CFMT in onda - tra cui una cerimonia di battesimo presso la Chiesa greco-ortodossa di San Demetrio e le previsioni pe il futuro. Nel 1979 La stazione affitta l’ex edificio Loblaw all’angolo sud-est di Bathurst Street e Lakeshore Boulevard (545 Lakeshore Boulevard West) per i suoi studi e uffici. Il sito era di proprietà di Harbourfront, iun complesso del governo federale che fu teatro di molti eventi multiculturali. La casa madre della CFMT, Daisons Communications, ottenne l’affitto a condizioni molto favorevoli dal governo federale. La CFMT-TV creò anche un centro di produzione nel Vaughan Theatre di St. Clair Avenue West.
Il 2 agosto 1979 sono state approvate alcune modifiche tecniche per la nuova stazione. Il canale sarebbe chiamto canale 47 anziché 45. La potenza irradiata effettiva sarà di 807.000 watt anziché di 104.000. La torre CN sospiterà il sito del trasmettitore invece della posizione originariamente proposta al 2300 Yonge Street. Il 3 settembre, CFMT Channel 47 finalmente va in onda. L`acronioo CFMT, rappresentavano la prima televisione multilingue del Canada. Dan Iannuzzi è presidente e produttore esecutivo. Jim Snelling, ex CITY-TV, direttore dell’ingegneria. Harvey Rogers responsabile delle operazioni. Nigel Napier Andrews vice presidente per la produzione. CFMT ha uti. Nel primo anno di gestione la MTV ha previsto perdite per $ 1 milioni, con un fatturato di $ 7,2 milioni. 1984. Il 12 agosto 1984, laCRTC approva una domanda che vede Dan Iannuzzi aumentare la propria partecipazione azionaria in CFMT al 57,4%. Fino ad ora, nessun azionista individuale controllava più del 50% delle azioni con diritto di voto. Iannuzzi era il maggiore azionista, controllando il 36% delle azioni con diritto di voto (il 10% direttamente e il 26% attraverso il suo controllo di Daisons Communications Inc., precedentemente Daisons Holdings Ltd.), mentre il successivo proprietario di grandi dimensioni possedeva il 4%. Nella decisione la CRTC ha rilevato di aver appreso alla recente udienza pubblica che un certo numero di trasferimenti di azioni era avvenuto senza previa approvazione della Commissione, la maggior parte dei quali avvenuta tra l’ottobre 1980 e il gennaio 1981. Iannuzzi aveva aumentato le sue partecipazioni dirette e indirette da Dal 26 al 55%. Nel 1983 la Multilingual TV Ltd. controllata da Daisons Communications Inc., che è entrata in amministrazione controllata il 4 ottobre 1982. Secondo il piano (soggetto all’approvazione CRTC), Cezar avrebbe posseduto il 40% di Daisons e sarebbe diventato amministratore delegato di CFMT. Dan Iannuzzi avrebbe mantenuto il controllo di Daisons e aumentato il suo interesse per la CFMT dal 54% al 77%. Cezar fornirebbe un sostegno di $ 6,5 milioni - l’importo dovuto da Seaway Trust di Daisons. Andrew Markle, i cui interessi includono CHAY-FM a Barrie, e presidente di Seaway. Cezar versa nuovi soldi nella stazione.. Nel 1984 CFMT ha annunciato l’intenzione di distribuire il proprio segnale ai sistemi via cavo tramite il satellite Anik D1. Dan Iannuzi ha detto che il servizio potrebbe iniziare già a settembre sotto la nuova politica dei segnali distanti del CRTC. Inizialmente, l’obiettivo sarebbero 14 mercati principali e una società sarà costituita in ciascuno in collaborazione con CFMT per fornire programmazione locale e vendere tempo per la pubblicità. Iannuzi ha detto che il piano richiederebbe il trasporto sul servizio di base da parte delle compagnie via cavo. Uno dei 14 mercati nel piano CFMT era Windsor, Ontario, dove il sistema via
cavo locale portava CFMT dal settembre del 1984. Un sondaggio tra gli abbonati collocava CFMT davanti a CITY-TV, A & E, CHCH e Nashville Network. La Seaway Trust dententrice dei beni di Daison, comprese le quote di MTV, le mette in vendita a settembre. Il compratore di successo risluta Multicom, la nuova società formata da Daniel e Paul Iannuzzi. L’acquisto di queste attività da parte di Multicom è stato confermato sia dai tribunali sia dal CRTC. Il prezzo di acquisto doveva essere raggiunto in gran parte attraverso un’obbligazione di collocamento privato. Questo finanziamento, tuttavia, non si è mai concretizzato. Nel 1986 Iannuzzi si trova ad affrontare una situazione finanziaria diffilcile. Di conseguenza Iannuzzi inizia a trattare con Ted Rogers per organizzare l’assistenza finanziaria. Poco prima della scadenza del 3 marzo, Rogers accetta di fornire a Multicom il denaro richiesto, impedendo così la liquidazione di MTV. Rogers e Iannuzzi negoziano anche la proposta in cui Rogers avrebbe acquisito il controllo indiretto di circa il 73% di MTV. Il 19 giugno, la CRTC ha approva il trasferimento del controllo effettivo di Multilingual Television (Toronto) Limited a Rogers Broadcasting Limited. 1986-1987 Dan Iannuzzi ha nominato James B. MacDonald come direttore della stazione e direttore delle operazioni presso CFMT. Nel 1988 Dan Iannuzzi si è dimette da presidente di MTV. DANIEL ANDRÈA IANNUZZI muore nel 2004. Dan non è stato solo un brillante imprenditore, ma un visionario e un leader nello sviluppo multiculturale del Canada, nonché un’influenza stimolante sulla vita di tutti noi venuti in contatto con lui.
Corriere Canadese: dalla gloria alle ceneri, alla rinascita Il quotidiano "Fiercely Canadian and proudly Italian", tornerà in edicola dopo sei mesi Dopo 58 anni, il 6 maggio del 2013 - Il Corriere Canadese uno più influenti quotidiani italiani fuori dall’Italia e cronista degli eventi del mondo in continua evoluzione e inteligente reporter della vita italo-canadese ha chiuso i battenti. La pubblicazione quotidiana inaugurata il 2 giugno 1954 dal compianto Dan Iannuzzi, un canadese di terza generazione che in seguito fondò la stazione televisiva multilingue CFMT, ora OMNI. “Fieramente canadese e orgogliosamente italiano” era il motto di Iannuzzi che lo aveva fatto stampare sulla testata di ogni edizione. L’editore morì pochi mesi dopo il 50 ° anniversario del siornale. Il direttore Paola Bernardini nell`ultima edizione ha pubblicato una nota in italiano saspeigando le ragioni economiche dietro la decisione di sospendere la pubblicazione, mettendo in rilievo il fatto che il governo italiano nel 2010 aveva deciso di ridurre le sovvenzioni concesse a sei pubblicazioni internazionali tra cui il “Corriere Canadese”. Un sussidio annuale di $ 2,8 milioni, erogato dal 1994, era stato dimezzato dal governo del primo ministro Silvio Berlusconi. Già dal precedente anno, Il giornale aveva ridotto il programma editoriale passando da sei edizioni a cinque giorni alla settimana - il che significava perdere la popolare copertura per il calcio del fine settimana. Mentre alcuni lettori potevano continuare ad accedere ai media in lingua italiana online, i lettori più anziani rischiavano di perdere la lettura regolare. Il giornale aumentò di popolarità negli anni ‘50 e ‘60 con una media di 60.000 immigrati arrivati in Canada ogni anno dall’Italia, la maggior parte dei quali si stabilì a Toronto. Il Corriere Canadese per un periodo di tempo pubblicò un settimanale in inglese “Tandem “ e nel 1995 ed è stato la pubblicazione di punta di società editirece ribattezzata Multimedia Nova Corp. Una dichiarazione di Italmedia, la società con sede in Italia che forniva i pagamenti a Nova Multimedia detentrice del 39% della base di entrate, ha fatto spere che l’ultimo pagamento era in ritardo - il che ha portato alla chiusura, descritta temporanea, con ulteriori informazioni a seguire.
Prima sospendere le pubblicazioni, in un disperato tentativo di salvare il salvabile, Bernardini lanaciò un accorato appello a politici, intellettuali, giornalisti e alla comunità italiana di intervenire edare una mano per a salvare il giornale. Qualsiasi altra cosa, scriveva, sarebbe un “crimine editoriale”. L\appello del direttore, non fu recipito e la domenica, la casa madre del giornale, Multimedia Nova Corp., dichiarò che la sospensione sarebbe stata temporanea con “ulteriori annunci a seguire. “Dopo anni di vita in stato di emergenza, il giorno fatale arriva e per i giornalisti è un duro colpo. Nell`ultimo fondo a firma del direttore Bernardini si legge: ultimamente abbiamo lavorato con una “spada di Damocle” sulla testa sostenendo tagli drastici esacerbati dalla diminuzione delle entrate pubblicitarie. chiudendo con questa frase: “gli italiani all’estero non sono figli di un dio minore”. Il 10 settembre, dopo quasi sei mesi si assenza del Corriere, gli italiani all\estero tornano ed essere figli Dio, quando l’ex deputato liberale Joe Volpe annuncia che il Corriere Canadese è risuscitato dalla tomba con una edizione online Il 18 novembre dello stesso anno, uscirà il primo numero della reincarnazione cartecea- con una tiratura di 10.000 con frequena dal lunedì al venerdì.
Italia durante Messico 1986 L’Italia è ancora saldamente nelle mani di Enzo Bearzot. Il CT con la pipa si incammina verso la sua terza edizione del Mondiale, un record per il nostro calcio, anche se dopo España 82 gli Azzurri non sono riusciti a brillare. Anzi, nell’europeo del 1984 hanno clamorosamente fallito l’aggancio alla fase finale al termine di un girone eliminatorio di basso livello in cui “brilla” un pareggio in rimonta in quel di Cipro, assolutamente senza giustificazioni. L’Italia, in quanto campione in carica e quindi direttamente qualificata alla fase finale di Messico 1986, si presenta al Mondiale senza aver avuto occasione di saggiare le sue forze in partite importanti. Bearzot in occasione della trasferta in Messico pecca forse di troppa gratitudine nei confronti degli uomini che quattro anni prima vinsero la Coppa del Mondo in Spagna. Il campionato, è vero, non offre granché, ma nella lista dei 22 inviata alla Fifa ci sono quattro elementi già presenti in Argentina nel 1978 (Cabrini, Rossi, Scirea e Tardelli) e addirittura dieci presenti in Spagna. Per alcuni di questi fedelissimi, fiaccati da anni e infortuni, il viaggio si trasforma in un’inspiegabile vacanza premio: Rossi e Tardelli, per esempio, vedono il Mundial dalla panchina. Gli uomini selezionati da Bearzot per la trasferta sono forniti da nove diverse squadre e curiosamente, malgrado lo scudetto sia andato alla Juventus, spetta all’Inter il primato degli uomini, ben sei.
Emilio Mascia fondatore di Teleatino Emilio Mascia è nato nel piccolo paese di Rotello in Italia. Sebbene visse in Italia durante la seconda guerra mondiale - arrivò in Canada nel 1958 - lo zio di Emilio, Luigi Mascia, fu internato al campo di Petawawa per due anni. Anche suo suocero, Antonio (Tony) Olivieri, è stato internato, anche se non ne parla. Parla all’esperienza di internamento attraverso le storie che gli sono state raccontate anni dopo dallo zio Luigi e da altri membri della sua famiglia. Secondo Emilio, Luigi fu internato a causa della sua attiva appartenenza all’Ordine Figli d’Italia a Hamilton, anche se alla famiglia di Luigi non fu dato alcun ragionamento al momento del suo arresto. La famiglia rimasta si affidava all’assistenza finanziaria di un altro membro della famiglia che lavorava per la Stelco Steel Company. Nel 1984, Emilio Mascia, un imprenditore di Toronto, ha deciso che la comunità di Latinos e italiani era abbastanza grande da supportare un canale televisivo creato appositamente per loro, fonda Telelatino. All’inizio aveva solo 4.000 abbonati a Toronto, ma quando ha iniziato a trasmettere partite di calcio ha rapidamente raddoppiato il suo pubblico. Con l’inclusione di TLN nel cavo di base, il suo pubblico è aumentato di nuovo drammaticamente, e attualmente raggiunge 5 milioni di case canadesi. È uno dei canali di specialità etniche più seguiti del Canada, offrendo una varietà di contenuti internazionali e nazionali, tra cui notizie, film, sport, serie e musica. “TLN offre una programmazione senza precedenti in italiano, spagnolo e inglese. L’italiano e lo spagnolo sono distribuiti allo stesso modo e il 25% della programmazione è in inglese “, afferma Bruna Aloe, direttore delle comunicazioni TLN. “TLN è univocamente canadese, che collega un pubblico eterogeneo di canadesi di prima, seconda e terza generazione che celebrano, apprendono e riscoprono la loro cultura con una programmazione stellare proveniente dall’Europa, dall’America Latina e da tutto il mondo.” Anche se l’offerta è diversificata, il calcio rimane al centro della programmazione TLN. Negli anni ‘80, se si voleva guardare una partita di calcio internazionale a Toronto, l’unica opzione era andare al Maple Leaf Gardens. Allora Mascia capì che la domanda di partite di calcio stava crescendo, specialmente per la Serie A italiana - o la Lega Calcio, la lega italiana di calcio, e decise di includerla nel programma del canale. Da allora, il tempo dedicato allo schermo dei giochi è aumentato, e ora i tifosi di calcio possono godersi le partite della UEFA Europa League e l’11 giugno, la Coppa del Mondo FIFA Sudafrica 2010. TLN e 25 importanti famiglie italo-canadesi hanno collaborato con la Galleria d’arte dell’Ontario per il lancio di “Galleria Italia” con un contributo senza precedenti di 13 milioni di dollari. Emilio Mascia è nato nel piccolo paese di Rotello in Italia. Sebbene visse in Italia durante la seconda guerra mondiale - arrivò in Canada nel 1958 - lo zio di Emilio, Luigi Mascia, fu internato al campo di Petawawa per due anni. Anche suo suocero, Antonio (Tony) Olivieri,
è stato internato, anche se non ne parla. Parla all’esperienza di internamento attraverso le storie che gli sono state raccontate anni dopo dallo zio Luigi e da altri membri della sua famiglia. Secondo Emilio, Luigi fu internato a causa della sua attiva appartenenza all’Ordine Figli d’Italia a Hamilton, anche se alla famiglia di Luigi non fu dato alcun ragionamento al momento del suo arresto. La famiglia rimasta si affidava all’assistenza finanziaria di un altro membro della famiglia che lavorava per la Stelco Steel Company. Emilio Renato Mascia Vincitore del Festitalia Italian Heritage Awards 2015 Politica, affari pubblici e comunicazioni Emilio Renato Mascia è un commentatore televisivo, attore, impresario e personaggio televisivo di fama internazionale. La sua esperienza nelle trasmissioni e nel campo delle comunicazioni di massa, iniziò al suo arrivo in Canada. Ha prodotto programmi radiofonici in lingua italiana per CHWO, Oakville; e per CHML e CHIQ (ora CHAM) in Hamilton. Il suo coinvolgimento in televisione iniziò nel 1964, quando produsse il suo primo programma televisivo in lingua italiana in Canada su CHCH-TV. Questo programma è durato per 36 anni. Mascia ha anche prodotto programmi televisivi per CFCF-TV, Montreal; CKSO-TV, Sudbury; e CHAN-TV, Vancouver. È stato strettamente coinvolto in molte promozioni dello spettacolo. Nel 1959 divenne direttore del Playhouse Theatre di Hamilton con i film italiani. Nel 1962, il signor Mascia acquistò il proprio cinema e contemporaneamente comprò tre sale cinematografiche. Ha iniziato a selezionare e importare film italiani e ha sviluppato una rete di distribuzione in tutto il Canada. Il signor Mascia è stato anche associato alla televisione a circuito chiuso. Fu il primo, nel 1971, a trasmettere per televisione, a circuito chiuso, i giochi di calcio della Prima Divisione dall’Italia. Ciò ha coinvolto sette città nordamericane. Ci sono stati numerosi altri eventi simili, fino a quando nel 1974 e nel 1978, ha acquisito i diritti canadesi per trasmettere i prestigiosi tornei di calcio della Coppa del Mondo. Nel 1984 il suo eccezionale lavoro in comunicazione gli è valso una licenza per creare, produrre e gestire una specialità, canale televisivo nazionale noto come TELELATINO. La sua crescita fenomenale - raggiungendo oltre 3,5 milioni di famiglie in tutto il Canada nel corso degli anni - è ancora duratura. Mascia è stato anche co-fondatore della Società Dante Alighieri di Hamilton e di FESTITALIA, Vicepresidente del Congresso Canadese Italiano-Toronto, membro di lunga data dei Figli d’Italia e di altre associazioni italo-canadesi. Fu insignito dell’Ordine dei Figli d’Italia e nominato Cittadino dell’Anno nel 1988; e fu anche nominato Cavaliere Ufficiale della Repubblica Italiana dal Presidente dell’Italia. Quest’anno Emilio Mascia è stato insignito del Premio della Distinzione per il patrimonio italiano di Festitalia nella categoria degli affari pubblici e della comunicazione. Il Consiglio di amministrazione di Festitalia è lieto di annunciare che a partire dal prossimo anno, 5
anni nellâ&#x20AC;&#x2122;ambito del programma Italian Heritage Awards, questo premio sarĂ intitolato in onore di Emilio Mascia e sarĂ noto come Emili Mascia Media and Communications Award.
Messico 1986: l`incontro con Joseph Blatter, segretario FIFA Toronto 1986: Il programma Tv CNE Oltre alla delusione avuta ai campionati mondiali di calcio in Germania del 1974, la mia esperienza di inviato in Messico nel 1986 è stato un mezzo disastro. Per chi non è familiare di come si ottiene un`accredito per il campionato del mondo di calcio, è bene ricordare che i giornalisti sono tenuti a farne domanda all`organizzatore del torneo ma a dare il beneplacido è la FIFA. Nel mio caso specifico, la domanda per l`accredito era stata inoltrata alla Federazione Calcio Messicano, dall`International Soccer Association of Europe, di cui ero membro effettivo. Ricordo che il presidente del Canada per l`ISAE era il mio amico, George Gross, capo redattore dello sport per il Toronto Sun. Tre mesi prima dell`inizio del tornao in Messico, avevo avuto assicurazione da George che la domanda era stata accolta dalla FIFA e di ritirare il Press Pass all`ufficio stampa di Città del Messico. Per motivi logistici, avevo deciso di fare sede stabile ad Acapulco, dove inncontrai il compianto Gino Ventresca. Per seguire le partite dell`Italia, mi spostavo via aerea. Torniamo indietro e cerchiamo di ricostruire cosa accadde al mio arrivo al centro stampa di Città del Messico per ritirare l`accredito e i bieglietti per le partite. Il centro stampa era stato ricavato in uno stabile a due piani, nel centro della caotica Città del Messico. La hostess addetta al servizio giornalisti dopo aver cercato il mio nome sull`elecenco dei giornalisti accreditati, mi accompagnò all`ufficio della Fifa situato al primo piano del centro. Non potete immaginare chi aveva in mano il mio Press Pass. Nientepocodimeno che Joseph “Sepp” Blatter allora segretario generale della FIFA. Blatter era un uomo chiuso e antipatico e che non ispirava fiducia. Cionosante dopo uno scambio di battute, mi consegnò il Press Pass. In Messico l`Italia del 1986 è ancora saldamente nelle mani di Enzo Bearzot. Il CT con la pipa si incammina verso la sua terza edizione del Mondiale, un record per il nostro calcio, anche se dopo España 82 gli Azzurri non sono riusciti a brillare. Anzi, nell’europeo del 1984 hanno clamorosamente fallito l’aggancio alla fase finale al termine di un girone eliminatorio di basso livello in cui “brilla” un pareggio in rimonta in quel di Cipro, assolutamente senza giustificazioni. L’Italia, in quanto campione in carica e quindi direttamente qualificata alla fase finale di Messico 1986, si presenta al Mondiale senza aver avuto occasione di saggiare le sue forze in
partite importanti. Bearzot in occasione della trasferta in Messico pecca forse di troppa gratitudine nei confronti degli uomini che quattro anni prima vinsero la Coppa del Mondo in Spagna. Il campionato, è vero, non offre granché, ma nella lista dei 22 inviata alla Fifa ci sono quattro elementi già presenti in Argentina nel 1978 (Cabrini, Rossi, Scirea e Tardelli) e addirittura dieci presenti in Spagna. Per alcuni di questi fedelissimi, fiaccati da anni e infortuni, il viaggio si trasforma in un’inspiegabile vacanza premio: Rossi e Tardelli, per esempio, vedono il Mundial dalla panchina. Gli uomini selezionati da Bearzot per la trasferta sono forniti da nove diverse squadre e curiosamente, malgrado lo scudetto sia andato alla Juventus, spetta all’Inter il primato degli uomini, ben sei. Il torneo vede affrontarsi in finale le due squadre indubbiamente migliori del torneo, e vede il trionfo dell’Argentina di Maradona, autentico ‘uomo che fa la differenza’ che trascina una compagine buona ma non eccelsa sul tetto del mondo grazie ai suoi gol fenomenali e ai suoi dribbling ubriacanti. E’ decisamente un Mondiale bello e spettacolare, impreziosito dalla presenza di un “Pibe de Oro” mai così al top e che sovverte la legge non scritta del calcio che dice che un uomo solo, per quanto fortissimo, non può cambiare gli equilibri: Maradona, primo e unico caso nella storia, farà proprio questo, dando il secondo successo al suo Paese.L’Argentina campione schiera un accorto 4-3-1-2: in difesa spiccano il portiere Pumpido e i centrali Ruggeri e Brown, che prende il posto dell’infortunato Passarella. Il centrocampo ha corsa e grinta: Batista, Giusti e Burruchaga coprono le spalle a Diego Armando Maradona, stella indiscussa della squadra. L’attacco è composto da Enrique e dall’ottimo Valdano. La Germania Ovest vanta invece una difesa fortissima grazie al portiere Schumacher e agli espertissimi Forster e Briegel. L’ordine a centrocampo è garantito dal fosforo dell’anziano Magath, per cui corrono i due ‘mastini’ Brehme e Matthaus. In attacco Rumenigge è affiancato dal potente Allofs, che però delude ed è spesso sostituito da Rudi Voller, che si rivelerà uno dei migliori attaccanti del torneo e sarà futuro protagonista in Italia con la Roma. La Francia che arriva ancora una volta ad un passo dalla finale non ha ne difesa ne attacco (pur se si intravede un acerbo Jean-Pierre Papin) come reparti particolarmente forti, ma vanta un centrocampo stellare con Fernàndez vertice basso, Tigana e Giresse ai lati e Michel Platini vertice alto con libertà di inserimento in avanti. Nell’Inghilterra troviamo il capocannoniere del Mondiale, Gary Lineker, e oltre a lui anche campioni come Shilton, Robson, Waddle, Barnes e Beardsley. Nell’Uruguay brilla solitaria la stella di Enzo Francescoli, mentre la Danimarca che domina la prima fase mette in mostra i “vecchi” Allan Simonsen (Pallone d’Oro 1977) e Preben Elkjaer Larsen (eroe dello Scudetto del Verona) affiancati dal talentuoso juventino Michael Laudrup. L’episodio
Mai prima del 1986 il calcio africano era stato preso sul serio: nel 1974 la sciagurata spedizione dello Zaire era tornata a casa con 0 punti; nel 1978 la Tunisia era riuscita nell’impresa di sconfiggere il Messico e pareggiare con la Germania Ovest futura campione, ma la sconfitta con la Polonia per 1 a 0 gli aveva impedito di accedere al turno successivo. Nel 1982 il Camerun era uscito al primo turno, ma senza mai perdere una gara sulle tre disputate, concluse in altrettanti pareggi, mentre l’Algeria era stata eliminata solamente grazie ad un tacito e vergognoso accordo tra Germania Ovest e Austria, che avevano finito per estrometterla per la differenza reti. Tuttavia il calcio africano era in una lenta ma costante crescita, e la riprova si sarebbe avuta nelle edizioni successive del 1986 e del 1990. Se chiedete chi è stato il miglior calciatore della storia a un brasiliano, questo vi risponderà Pelé. Se lo chiedete a chiunque altro, è probabile che vi farà solo un nome: Diego Armando Maradona. Ma chi era Maradona? Semplicemente, Maradona era tutto: basso, tozzo, a vederlo non era esattamente il dio greco dell’atletica. Ma nel calcio contano i piedi, e con quel sinistro che aveva Diego era capace di fare tutto l’umanamente concepibile e oltre. Era una mezzapunta, ma segnava come un centravanti, perché era troppo facile per lui prendere la palla e piazzarla dove voleva o scartare tutti e andare in porta. Talento, fantasia, mai spacconeria: era molto concreto Maradona, sceglieva sempre la soluzione più facile per andare in gol. Più facile per lui, s’intende. Spesso impossibile per un comune essere umano. Ma del resto Diego era un Dio, il Dio del calcio. Agli ottavi di finale l’avversario è l’Uruguay, che non sarà più lo squadrone temibile dei primi mondiali ma che sa come ribaltare partite incredibili: si mettono tutti in difesa, raddoppiano, triplicano le marcature su Maradona. Peccato che al turno successivo l’Argentina sia attesa dagli inglesi che hanno strapazzato il Paraguay e che sono tra i favoriti per la vittoria finale: Diego lo sa, come sa che queste sono le partite che cambiano una storia. E in questo match, il 22 giugno del 1986, mostra al mondo chi è davvero entrando nella leggenda. Due reti nel giro di tre minuti: sulla prima anticipa con un fugace tocco di mano l’uscita del portiere avversario Shilton e deposita la palla in rete, con l’arbitro che non accortosi di niente convalida nello stupore dei britannici. E’ la famosa “mano di Dio”, quella che vendica la guerra delle Falklands, quella che stordisce l’Inghilterra. Il ritorno prematuro a Toronto La partita tra Argentina e Inghilterra segna il mio ultimo giorno in Messico. Il giorno dopo faccio ritorno a Toronto per condurre la trasmissione televisiva “Festival Italiano di Johnny Lombardi”, che per la prima volta, viene trasmesso in diretta dalla Canadian Extbition sede del Chin Internation Pic-nic del 1986. Durante la trasmissione con un pizzico di malinconia esibiscoai telespettatori due biglietti per la finale tra Germania e Argentina che sarò costretto a vedermela in Tv a Toronto.
La finale è contro la Germania Ovest, già finalista nel 1982 e adesso in un momento di grazia: Beckenbauer ricorda la sua marcatura su Bobby Charlton nei Mondiali del 1966 e ora che siede sulla panchina della Nazionale prende il giocatore a lui più simile oggi, Lothar Matthaus, e lo inchioda su Maradona. Ne risulta una marcatura dura e asfissiante, come quella di Gentile quattro anni prima. Diego prova a dribblare, a giocare come sa, ma non riesce. L’Argentina però non si perde d’animo: avere Maradona al fianco, diranno alcuni compagni anni dopo, ti fa sentire più forte. E infatti passa in vantaggio con Brown e raddoppia con Valdano, servito da Diego in uno dei rari momenti di libertà concessi da Matthaus. 2 a 0, gara finita? No, la Germania Ovest non vuole arrendersi, entra Rudi Voller che prima propizia con un assist l’1 a 2 di Rumenigge, e poi pareggia di testa in seguito a un calcio d’angolo. L’Argentina barcolla, ma è solo un momento: il tempo di dare, due minuti dopo il pari tedesco, la palla a Diego. Che si ricorda che il calcio è un gioco ANCHE di squadra, lancia la palla genialmente in un corridoio dove si inserisce Burruchaga, che corre inseguito da un Brehme sfinito, resiste, supera il portiere con un tocco sotto. 3 a 2. L’Argentina è Campione del Mondo, Diego Armando Maradona è il miglior giocatore del pianeta senza se e senza ma: se Pelé era stato la punta di diamante di una squadra comunque fortissima, Diego ha vinto praticamente da solo, con le sue giocate ma anche con il suo enorme carisma, con la sua capacità di esaltare i compagni. Un calcio che prima di Maradona era una cosa e che dopo di lui è tornato ad esserlo, ma che in quegli anni è stato come il giocattolo di un Dio. Un Dio con la maglia numero 10.
1988: Il primo Winter Chin Picinc organizzato dalla CHIN a Villa Cuba in Varadero A differenza del picnic estivo, nato per pubblicizzare la radio Chin, ha un padre legale in Johnny Lombardi, le origini del Chin winter picnic, anche se fu organizzato dalla CHIN, non sono chiare. Di certo conosciamo l`anno di nascita (1988) , il luogo (Varadero- Cuba) e l`albergo (Villa Cuba). La cronaca racconta, che il Chin Winter picnic è figlio di una serie televisva che avevo realizzato negli 80 per il programma televiso. Dopo l`incontro con Fidel Castro, avvennuta nel 1981, ebbi l`idea di realizzare una serie di documentari televisivi, intiolati “Sulla scia di Colombo”. Per realizzare il progetto e per sopperire alle spese di produzione, chiesi l`appoggio finanziario ad Adventure Tours di Houston, che l`anno prima aveeva aperto un ufficio in Toronto. Il primo episodio lo realizzai con il camerman Blair nella Repubblica Domenicana. I domenicani raccontano che Cristoforo Colombo sbarcò ad Isabella, nelle vicinanze di Puerto Plata e sceso dalla barca esclamò: “ Qui pianti un bastone e nasce un fiore”. Anche io rimasi incantato dalle bianche spiagge, il mare blue cristallino, le bellezze naturali e l`ospitalità suoi abitanti. Accompagnati dal ministro del turismo, e, per girare il documentario, visitammo, Santo Domingo, Puerto Plata, Santiago, Semanà, Punta Cana e l`area dove sarebbe sbarcato Cristoforo Colombo. Al mio ritorno a Toronto, parlai del mio viaggiocon il mio amico Aldo Principe che quell`epoca era titolare di una agenzia di viaggi su Jane Street e Lawrence. Aldo non era mai stato nella Repubblica Domenicana, anche perchè il turismo di massa nell`isola ancora non c`era. Enstusiasta del mio racconto, il giorno dopo, Aldo combinò un incontro con il direttore commerciale di Avventure Tour, e gli propose di organizzare un charter a Puerto Plata. Va ricordato che a quell`epoca la Repub-
blica Domenicana era ancora incontaminata dal grande turismo. In soli dieci giorni Aldo riempÏ un Lokeed Tristar con 176 persone ed io venni nominato capo spedizione. Al viaggio nella Repubblica Domenica, seguirono altri chartes in Messico, Puerto Rico, Venezuela, Cuba e Cozumel. Ma tutto questo, direte voi, cosa c`entra con il picnic invernale della Chin? Mi spiego. Sulla scia del successo di questi viaggi, Carmela Laurignano,, direttrice alle vendite della Chin, aveva fame di successo e di farsi bella agli occhi di Lombardi, usò il successo dei nostri viaggi e propose a Johnny Lombardi di organizzare un pic-nic invernale nei caraibi. Detto e fatto. Il primo Chin winter picnic organizzato dalla CHIN si tenne a Varadero a Villa Cuba nel mese di gennaio del 1988. Il resto è storia.
Verso il voto degli italiani all`estero Roma 2000: Prima conferenza mondiale degli italiani nel mondo Una cultura millenaria, una cucina unica, lo stile ed il gusto del bello, la simpatia e l’arte del sapersi affermare ovunque, anche lontano da casa: queste sono solo alcune delle tante qualità che ci contraddistinguono nel mondo. Pregi che rendono la nostra Italia uno dei paesi più affascinanti, in grado di incantare chiunque ne calpesti anche solo un pezzetto. E cosa c’è di più bello se non poter mostrare con orgoglio le proprie origini, la propria casa e la bellezza della propria terra narrando le tante storie legate ad essa? Noi italiani nel mondo abbiamo e facciamo proprio questo: valorizziamo e promuoviamo il territorio, il nostro paese, la nostra casa. La bellezza di essere italiani lontani dalla nostra mata Patria. Raccontiamo di persone, realtà e tradizioni che rendono l’Italia un qualcosa capace di restare nel cuore per tutta la vita. E lo facciamo attraverso le testimonianze ed i racconti di chi questo sentimento lo vive ogni giorno, degli italiani innamorati della propria terra, vogliosi di narrare le storie e i luoghi a loro cari. Desideriamo trasmettere quel senso di comunità e di appartenenza a tutti coloro che ci vogliono leggere. Divenire un punto fermo per l’italianità, la cultura italiana e le eccellenze nostrane. Con questa premessa, ci tuffiamo a raccontare in sintesi, la Prima Conferenza Mondiale degli Italian nel Mondo e le premesse per dare seguito alla legge Tremaglia, per la prima elezione di parlamentari fuori dall`Italia. La Prima Conferenza degli Italiani nel Mondo, svolta nel dicembre del 2000 a Roma, con una fase di preparazione complessa scandita dall’insediamento di un Segretariato Generale della Conferenza, seguito dai lavori delle quattro preconferenze continentali, tenute tra la fine dell’anno e l’inizio del 2000, realizza la consapevolezza, anche se limitata nella società civile italiana, della presenza di un’altra Italia all’estero. E, sebbene la continuità degli stereotipi dominanti sugli italiani con la valigia di cartone perduri, si apre da parte dei media un capitolo più attento a fronte della totale estraneità al tema dei decenni precedenti. La Prima Conferenza porta con se’ finalmente un’innovazione: il recupero degli entusiasmi realizzati con il primo Seminario sulle donne italiane all’estero, promosso alla Farnesina con il contributo della Commissione per la Parità e le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Si concretizza una maggiore attenzione per l’apporto delle donne nel contesto migratorio, il riconoscimento del loro ruolo come soggetti di trasmissione di valori, conoscenze
e tradizioni della madre-patria e dunque di vero e proprio collante fra l’Italia e le proprie comunità all’estero. A sancire il passaggio il documento finale della Conferenza che precede i lavori della Plenaria a Roma, che precisa le richieste, le esigenze, i valori e le speranze delle donne italiane e di origine italiana all’Estero. Si avanzano proposte di legge sull’istituzione di uno specifico Osservatorio. Un momento importante che finirà nel nulla di fatto. E poi finalmente dopo anni di citazioni sull’importanza delle giovani generazioni di italiani o di origine italiana all’estero, anche i giovani hanno un evento loro dedicato in un’apposita Conferenza. Si tratta dei primi passi di un percorso difficile nel passaggio intergenerazionale che anche le collettività italiane all’estero devono accettare come un dato di fatto. Agli inizi del XXI secolo, essere italiani significa aver piena coscienza di un’identità di nazione, di cultura, di civiltà che, dalle memorie del passato, sappia guardare al futuro con vigore e concretezza. Solo così saremo protagonisti e non succubi dei processi di globalizzazione. La responsabile consapevolezza di far parte di una unica Comunità diffusa nel mondo, portatrice di valori che hanno arricchito popoli e culture, implica l’impegno a vivere con nuove intensità l’identità italiana, nei suoi valori intellettuali e morali e nella sua unica continuità storica, a coltivare insieme la conoscenza delle sue radici e del nesso esistente fra vite individuali e storia della nazione. Questo nesso è intessuto dalle grandi voci - da San Francesco a Dante, da Leonardo a Michelangelo, da Machiavelli a Beccarìa, da Galileo a Fermi, da Foscolo a Pirandello, da Cavour a De Gasperi - voci che hanno dato sostanza all’Italia, nella gioia come nel travaglio, e hanno arricchito la cultura europea. L’intreccio di questi due flussi di progresso - gli Italiani all’estero, gli Italiani in patria esalta quelle grandi doti di civiltà, di cultura, di imprenditorialità e di vivacità che ci vengono unanimemente riconosciute. . Sarebbe mai stato pensabile fino a pochi anni orsono che figli o nipoti di emigrati raggiungessero, in così ampio numero, posizioni così eminenti? Chi avrebbe mai detto che nell’arco di una sola generazione la presenza italiana diventasse un aspetto così apprezzato in società quali quelle del Canada o dell’Australia?Ad inaugurare i lavori della Conferenza, il Presidente della Repubblica CarloAzeglio Ciampi si soffermo a ricordarci quanto sia importante oggi essere italiani nel mondo: “Il percorso necessario a modificare la Costituzione, dopo un dibattito intenso proseguito per molti anni e, più specificatamente, nelle aule parlamentari dal maggio del 1996 all’ot-
tobre del 2000, è stato completato. L’aver aggiornato la Costituzione dà conto della volontà del Parlamento di rispondere alle vostre aspettative. La piena partecipazione alla vita politica italiana con rappresentanti da voi eletti è ormai una realtà. Il riconoscimento del diritto di voto attende solo il completamento in Parlamento della legge ordinaria che attui le nuove disposizioni costituzionali. Al di là di quest’importante riconoscimento, è giunta anche per voi - così come da tempo lo è per inglesi, francesi, spagnoli che si riconoscono in una più vasta solidarietà anglofona, francofona o ispanica - la possibilità di dare fisionomia ad una soggettività di lingua e di cultura. Alimentata dalla fiducia, dal rispetto, dalla solidarietà, l’italianità, perché di questo si tratta, costituisce e si dimostrerà uno straordinario patrimonio umano e sociale capace di aggregare e arricchire le collettività italiane nel mondo, capaci, sempre più, di diffondere la nostra civiltà e la nostra cultura. Di questi sentimenti vediamo le prime significative indicazioni nell’aumento delle richieste di doppia cittadinanza, in America Latina, in Canada, in Australia. Esse sottintendono la volontà di mantenere vive le radici di un’appartenenza comune. Formulo, in questa occasione, gli auguri profondi, sentiti che questa Conferenza sappia mantenere alto lo sguardo e rafforzare il sentimento profondo di appartenenza ad una unica, ricca e feconda identità e che consolidi tra noi italiani la saldezza dei legami di solidarietà”. Viva l’Italia, viva gli Italiani nel mondo! L`incontro con Pier Ferdinando Casini, segretario politico UDC In vista delle elezioni per eleggere parlamentari all`estero, i leaders dei partiti prendono parte alla Conferenza per prendere contatti con possibili candidati. Nle mio caso, l`incontro con il leader dell`UDC, e` occaione per scambiarci le idee. Qualche giorno dopo convocato nella sede dell`UDC, e sponsorizzato da amici, Casini mi nomina Commissario UDC per il Canada, con mandato di organizzare il partito in Canada.