Il progetto sostenibile: un bilancio Giuseppe Longhi Pubblicato in: a cura di Monica Bosio e Mauro Frate Strategie per il progetto della città sostenibile Marsilio Venezia 2010 ISBN 9788831799713 L’idea della sostenibilità applicata al contesto urbano irrompe negli anni ’80 con il famoso piano di Lawrence per Seattle, grazie all’effetto comunicativo del pesciolino che ritorna a nuotare nel fiume risanato che attraversa la città. Si rinnova , con il piano di Seattle, sia il mito della città igienica, sia il mito anglosassone della città in armonia con la natura. Ma se si va poco lontano, alla periferia della città, in direzione dell’aeroporto, gli impiegati del ceck in, pur avendo un posto di lavoro fisso, devono abbonarsi alla linea di autobus numero 21, l’unica attiva per tutta la notte, perché così hanno un posto al coperto dove dormire, in quanto il loro stipendio non garantisce la disponibilità di un alloggio. Sono gli anni in cui prendono avvio politiche ‘liberiste’ selvagge, per cui la sostenibilità si manifesta all’interno di una grande contraddizione: da una parte la meraviglia di un rinnovo urbano ecologicamente compatibile, che coinvolge la parte fisica e naturale della città, dall’altra politiche urbane che segnano l’esclusione dalla fruizione della città quote crescenti della popolazione. Una questione che emerge negli stessi termini in occasione del piano del risanamento del Tamigi, dove la retorica del pesce che risale il fiume risanato è accompagnata dall’espulsione delle povere popolazioni dei Docks. Si conferma quindi, a scala di micro territori, la questione centrale emersa nel 1972 in occasione della Conferenza dell’ONU di Stoccolma, che segna la fine della fase pioneristica della sostenibilità, intesa come antidoto alle esternalità nocive della grande industrializzazione, per fare emergere con forza la questione dell’uomo, grazie al famoso intervento di Indira Gandi dal titolo “La peggior forma di inquinamento è la povertà”. Indira Gandi invita a riflettere su un’idea di città nella quale la rivitalizzazione e la crescita dell’urbs non è accompagnata da un’uguale rivalutazione della civitas. E da allora l’idea di civitas sarà al centro dello sviluppo sostenibile, grazie al contributo del Ministro Bruntland, coordinatrice del famoso rapporto “Our common future” (1986), che apre alla speranza di un nuovo modello di sviluppo, basato su rapporti umani aperti alla condivisione. Una risposta positiva e innovativa al problema, sottolineato da Daly ed Erlich, di una popolazione crescente, ormai tendente esponenzialmente all’urbanizzazione, concentrata in grandi megalopoli, ed in rotta di collisione con la capacità di carico del pianeta. La questione della civitas si riapre, all’inizio degli anni ’90, sotto la spinta del processo di globalizzazione, il quale si presenta come flusso improvviso e incontrollato di uomini che devono affrontare in modo repentino lo shock di scambi, materiali e culturali, dopo quasi due secoli di relazioni circoscritte all’interno di confini artificiali cui li aveva obbligati la realtà della politica. Una situazione intuita in occasione della Conferenza di Rio, la quale avverte che con il cadere del limite storico del confine, entra in crisi il criterio gerarchico di rappresentanza alla base delle democrazie dei paesi industriali. Di conseguenza, la comunità deve divenire l’attore prioritario dello sviluppo, e la sua volontà non necessariamente deve essere mediata attraverso i tradizionali modelli di rappresentanza. La risposta è la Campagna per la Local Agenda 21, un’agenda aperta, attraverso la quale ogni comunità può dialogare in modo interattivo, grazie allo strumento della rete. Filo conduttore del
dialogo sarà il programma di scopi che le diverse comunità intendono perseguire. Un concetto che metterà in crisi il tradizionale modo di governo articolato per funzioni. La risposta della più potente delle nazioni a tale declinazione ‘aperta’ della civitas è bruciante: il mondo deve essere governato in modo rigido secondo il modello ‘top down’, grazie all’ordine di quello che Joseph Stiglitz chiama il G1+7 (o Washington consensus), che nega ogni spazio per modelli di governo olistici. Il risultato sono le catastrofi che colpiscono Genova e New York. A Genova convergono l’arroganza del potente, che in occasione della Conferenza del G8 pretende di perseguire i suoi scopi isolando il cuore della città dai cittadini, e la debolezza della rappresentanza civica, che ‘offre’ la città a tale disegno, in cambio di finanziamenti, prestandosi ad una preoccupante monetarizzazione dei valori: ne risulta l’allucinante viaggio dei potenti, descritto da Vittorio Zucconi su “la Repubblica”, attraverso un centro militarizzato e interdetto agli abitanti. A New York , un atto di terrorismo provoca il crollo delle torri gemelle, ed il crollo fisico delle strutture babeliche invita ancora a riflettere sui valori fondativi della nostra città occidentale. Una questione intuita dal filosofo Zumthor, che in “Babele” parla, ispirandosi al Genesi, di fine della civiltà delle torri, ossia dell’uomo che costruisce sfidando le leggi della natura, e riscatto della civiltà nomade, che costruisce secondo le leggi della natura. Il tema della visione dicotomica della civitas, che si manifesta in modo drammatico a partire dagli anni ’90, da una parte la visione della ‘torre’, ossia dei modelli di governance strettamente gerarchici, dall’altra la visione della dispersione, ossia dei modelli olistici, viene da lontano. Già alla fine del secondo conflitto mondiale Lewis Mumford, nel suo articolo “Man, are you mad?” denuncia la folle arroganza del vincitore, il quale impone la sua immagine di dominatore attraverso la torre dell’ONU, a questo disegno egli contrappone l’idea della “città nella città”, ossia un sistema di rappresentanza basato su una articolazione multipolare di nuove strutture, da realizzarsi all’interno di una città emblematica per ogni continente, secondo il modello della Città del Vaticano. Intuisce Mumford che l’idea della convivenza non può essere materializzata in un edificio monolitico, ma attraverso il rinnovo del modello della rete. Siamo all’inizio di grandi cambiamenti che mettono in discussione le regole di progettazione ereditate dalla seconda rivoluzione industriale, un problema avvertito da Sigfried Giedion nel suo Breviario di architettura (1961), una raccolta di scritti degli anni ’40, nella quale invita a riflettere sugli stadi dell’architettura contemporanea, sul rapporto uomo città, sul nuovo regionalismo. Nei tre stadi dell’architettura sociale Giedion ricorda come l’epoca industriale abbia qualificato il ruolo dell’architetto come soggetto capace di leggere e organizzare un sistema complesso, all’interno del quale, egli sottolinea, sono in disfacimento gli elementi della vita sociale e associativa. Ne segue il problema centrale dell’umanizzazione della città, da perseguirsi attraverso la definizione di un nuovo regionalismo guidato da una concezione spazio-temporale attenta alle abitudini di vita ed al clima. Problemi che, ricorda più volte Giedion, possono trovare risposta solo nell’immaginazione che “…è l’unico denominatore comune di uomo e natura”. Giedion pone alcuni quesiti centrali per il progettista dell’epoca post industriale: sarà in grado di reiventare il ruolo dell’architettura in un ambiente segnato dalla riduzione dello stato sociale, sarà in grado di reinterpretare le nuove regole spazio-temporali dettate dalle nuove tecnologie di comunicazione, avrà l’immaginazione per inventare nuovi rapporti uomo natura? Ma Giedion non poteva immaginare le nuove regole dettate dal progresso tecnologico che si manifesta a partire dagli anni ’80. E’ Paul Virilio, in quegli anni, che esplora le tante
possibilità offerte dalle nuove reti immateriali di comunicazione ed il loro impatto con lo spazio fisico della città, opportunità che segnano il passaggio “dall’architettura all’architessitura”. In questa visione la civitas è immaginata come un’arena, all’interno della quale i soggetti sono intercambiabili in funzione degli scopi. La circolarità delle relazioni segna un modo diverso di pensare il progetto: il progettista è uno dei molteplici soggetti che operano all’interno di un sistema olistico che si qualifica per gli scopi che intende perseguire. La parola progetto verrà sempre più con forza sostituita dalla parola contributi progettuali, che definiranno una via neuronale alla progettazione, contraddistinta da un sistema multiplo di contributi e scambi aperti ad ogni tipo di portatori di interessi. Questo modello, unitamente al criterio della programmazione ‘aperta’, che prende l’avvio con l’elaborazione della Local Agenda 21 da parte di migliaia di comunità sparse sul pianeta, diverrà la base della progettazione urbana sostenibile, la quale si fonderà sulla declinazione delle parole chiave nomadismo, diversità, accettazione, coesione. Il progetto sostenibile quindi, ripropone, su basi rinnovate in relazione al progresso tecnologico ed ai cambiamenti sociali, l’antinomia fondatrice della città greca, basata sulla dialettica tra la stabilità di Hestia, dea del focolare e il vagare di Hermes, dio dei commercio. Si supera così la visione del progetto sintetizzata da Vitruvio-Leonardo, dell’uomo ingabbiato in una figura geometrica, perché, come osservava lo storico dell’economia Armando Sapori, il destino dell’uomo non è quello di essere ingabbiato in un luogo, ma di costruire relazioni creative con gli altri uomini. All’immagine storica subentra l’immagine neuronale dell’uomo di Changeux, che prefigura un progettista curioso, capace di dialogare con un sistema dinamico, composto da un numero infinito di elementi. Questo porta a concludere che nella spiegazione della costruzione urbana nell’epoca della sosternbilità è sterile andare alla ricerca della ‘torre’ esemplare, frutto del connubbio fra speculatore e star-architetto, più produttivo è osservare il faticoso processo di costruzione di modelli olistici finalizzati a reiterpretare diritti di cittadinanza. Un percorso che, negli ultimi venti anni, è stato segnato dalla ricerca della costruzione di un centro dinamico, il Forum civico, capace di dare input creativi al sistema sociale e recepire stimoli progettuali dalle diverse componenti del sistema. Questi sono i presupposti di un percorso progettuale che è andato strutturandosi fino a definire alcuni momenti ‘portanti’ del progetto sostenibile, esprimibili nelle parole chiave leadership pubblica, creatività, iper strategia, iper organizzazione. Passaggio da un’amministrazione pubblica ‘ordinativa’ alla leadership pubblica. Esso ha un momento significativo nell’esperienza della città di Malmoe, la quale, in occasione dell’avvio del progetto BO01, promosso dall’UE, e destinato alla realizzazione di un nuovo quartiere urbano sostenibile, si è fatta carico di un programma strategico che è stato implementato, attraverso il Forum, da imprese, progettisti, stakeholders. Una pratica guidata da un ‘protocollo’ procedurale, il Codice concordato, che riconduce la leadership pubblica a regole che danno trasparenza alla supremazia del pubblica. Sempre in questa direzione vanno le esperienze dei quartieri di Ballerup, alla periferia di Copenhagen e di Kronsberg, in prossimità della Fiera di Hannover. Il primo è ispirato al rinnovo dell’idea di edificazione sociale, il secondo è un palinsesto esemplare delle potenzialità dell’Agenda 21, in quanto ogni elemento della maglia ortogonale su cui si sviluppa l’insediamento è dedicato al raggiungimento di un obiettivo della Local Agenda 21. Bisogna prendere atto che la reinterpretazione della leaders pubblica, coniugata con il rinnovo della civitas, hanno dato luogo ad esperienze che costituiscono un sostanziale allargamento del diritto di cittadinanza, un allargamento che passa attraverso il passaggio da passivo ad attivo, da stabile ad adhocratico, da formale a informale, e sono
probabilmente questi passaggi gli elementi fondanti delle esperienze di città nell’epoca della sostenibilità. Creatività. Questa è la parola d’ordine lanciata dalla Conferenza di Lisbona dell’UE. Essa nasce dalla sensibilità che l’Unione è a un punto di svolta, il ciclo lungo di sviluppo iniziato dopo il secondo conflitto mondiale sta declinando, sta nascendo un ciclo che sta proponendo nuovi paradigmi scientifici e nuovi orizzonti progettuali. Una situazione ben esemplificata dalla ricerca “Too perfect: seven Denmarks” elaborata dall’Accademia delle scienze danesi, la quale prende spunto dalla così detta curva di Madonna. Infatti osservando la carriera della famosa pop star si nota come essa sia rapida nell’avvertire il segno del declino e saltare rapidamente, ossia rinnovare il suo repertorio in coerenza con le sue consolidate capacità di base. Ugualmente, sostengono i danesi, se continueremo ad insistere sul patrimonio culturale e la base produttiva ereditata dal movimento moderno, saremo condannati al declino, dobbiamo avere il coraggio, partendo dalla nostra base storica, di rinnovarla radicalmente. Da qui prende l’avvio un percorso articolato nel rinnovo di: senso di famiglia, idea di paesaggio, modo di produzione dell’edilizia, sistema portuale, accoglienza turistica, rapporti con i paesi del terzo mondo. Saltare in avanti significa saper prevedere, simulare il cambiamento, elaborare scenari, in sostanza attrezzarsi a prefigurare il futuro per dar forma a una città capace di sostituire i nodi funzionali dell’epoca industriale con i nodi capaci di attrarre e sviluppare idee dell’epoca della sostenibilità. In questo esercizio, avviato da Charles Landry, sono impegnate le città più dinamiche, con i loro progetti basati su scenari a lungo termine, come nel caso di: New York Vision, Chicago 2050, S. Francisco 2030, Sydney 2050, London 2050, Tokyo 2050, ecc… Abbandonata la razionalità del processo progettuale fondato su previsioni a favore di una progettualità creativa basata su scenari, quest’ultima emerge quale forza guida strategica dello sviluppo urbano, come chiaramente indica l’UE nel settimo programma quadro. Iper strategia. Acquisita consapevolezza dell’ineluttabilità del cambiamento occorre definire una strategia con cui raggiungere gli obiettivi di un sostanziale progetto sostenibile, e per questo non basta la creatività, occorrono importanti sistemi di supporto: finanziari e tecnologici, Di conseguenza, a diversi livelli di programmazione, da quello Comunitario, nazionale (si veda l’Olanda, la Germania, la Svezia, il Canada, l’Australia, ecc…) e regionale ( in generale le regioni canadesi e tedesche) gli strumenti di programmazione economica hanno ormai un doppio livello di definizione, in quanto il tradizionale obiettivo del tetto finanziario (di spesa o di entrate monetarie) è coniugato con l’obiettivo di aumento del tasso di ecoefficienza. Ossia, la ricchezza futura non è garantita dal solo reddito, ma è condizionata dall’intensità del saggio di riconversione tecnologica tesa al risparmio di risorse naturali. Da questa definizione emergono con chiarezza le forze guida del progetto sostenibile: nuova interpretazioni del paesaggio agricolo, inteso come base di produzioni bioteck, e rinnovo dei criteri costruttivi nei sistemi dell’edilizia e dei trasporti, in quanto principali sottrattori di risorse naturali e produttori di esternalità negative. Iper organizzazione. Grazie al rapporto sinergico e-learning – e-government si stanno rivoluzionando i rapporti tra pubblica amministrazione, sapere, cittadini, mondo tecnico. La crescente produttività dei sistemi elettronici di trasmissione interattiva stanno rendendo obsolete le istituzioni e le figure storicamente abituate ad operare esclusivamente in 'locale', come la scuola e il docente, l'amministrazione locale ed il burocrate, il professionista abituato ad ‘eseguire’ un
progetto. Un numero sempre più alto di istituzioni ha messo a punto sistemi olistici per operare in modo sostenibile, che permettono di gestire on line le fasi di formazione, di predisposizione tecnica degli strumenti di piano (o di progetto), di elaborazione delle fasi tecniche e di controllo di qualità del progetto. Questo processo, nasce dalla consapevolezza delle pubbliche amministrazioni circa la necessità di aumentare il loro livello di trasparenza ed efficienza, generando nel contempo nuovi virtuosi rapporti sia con i cittadini, sia con il mondo economico. Un modello che, nei campi di nostro interesse, raggiunge i più elevati gradi di raffinatezza nel caso del DOE (Dipartimento per l'energia statunitense), dello Stato canadese ed australiano, delle città di S.Monica, S.Francisco e New York, del programma LEEDS per la valutazione della qualità sostenibile dei progetti. Se il percorso della sostenibilità da luogo ad un sistema di spunti virtuosi quali il rinnovo dell’idea di civitas o l’avvio di esperienze improntate a creatività, trasparenza, pervasività, condivisione, è forse utile qualche breve riflessione sulla posizione del nostro paese in questo processo. L’Italia è comparsa in questa narrazione all’inizio, nella non esemplare vicenda del G 8 a Genova, ricompare nell’epopea delle modificazioni di spazio con l’invenzione della democrazia catodica (secondo la definizione di Virilio) nella quale i media anziché essere orientati verso l’architessitura, l’allargamento della democrazia, la promozione di processi di condivisione sono orientati verso l’edificazione di un muro di Berlino virtuale, ossia verso l’isolamento. Una pratica che non può che portarci verso i ‘attuale collasso nelle classifiche della produttività e della creatività, come testimoniano le rilevazioni dell’IMD e di Richard Florida. E’ il ritratto di un paese che, imboccato il percorso del declino, non vuole fare tesoro della lezione di Madonna e rimane inchiodato ai bei tempi del design italiano, esattamente l’opposto della lezione che ci viene offerta dall’Accademia delle scienze danesi. Come rileva Umberto Eco si usa l’innovazione per ritornare al passato, ma il risultato è l’isolamento dalla rete: • i politici rifiutano la complessità della sostenibilità e la isolano all’interno del paradigma verde. Con questa operazione rinunciano alla sfida del rinnovo della democrazia, si isolano dalle aspettative di una nuova declinazione della civitas, non sono in grado di definire nuovi orizzonti per la riconversione economica e sociale del paese. In sostanza, rinunciando alla loro funzione di leadership, in un momento importante di trasformazione, generano insicurezza nella popolazione con effetti non positivi per la necessaria esigenza di rinnovo dell’idea di democrazia del paese; • gli operatori economici non si danno strumenti adeguati per affrontare il nuovo ordine economico, sociale, ambientale, eludendo il loro ruolo di anticipatore; • il mondo del progetto patisce molto: era abituato ad eseguire un progetto, non ad operare in base ad invenzione e creatività. Si è andato configurando troppo spesso, negli anni recenti, come scenografo di strategie disegnate da attori spesso non virtuosi. Oggi patisce dell’assenza sia di indirizzi, sia di efficaci basi strumentali interattive. Di conseguenza i costi sono alti ed inversamente proporzionali al saggio di creatività. Se questa è la situazione, il progetto urbano sostenibile non può che partire dalla costruzione di una nuova rete di socialità, capace di dare forma a un’dea di civitas intesa come una trama fitta di culture, capace di legare il locale con il globale, aperta alla diversità. A questa rete spetta il compito di scrivere una nuova agenda urbana, che sarà sviluppata progettualmente attraverso l’ampia collaborazione con istituzioni scientifiche e imprenditoriali a livello internazionale. Perché nella casa dell’uomo che siamo chiamati prima ad immaginare e poi contribuire a costruire non devono trovar spazio le troppo consolidate posizioni di rendita.
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