Svegliarsi nell'Antropocene_Giuseppe Longhi

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svegliarsi nell’antropocene Testo originale: Dirk Sijmons, “Waking up in the Antropocene”, IABR 2014, in: http://iabr.nl/en/editie/urbanbynature Traduzione: Giuseppe Longhi

George Brugmans, in http://iabr.nl/en/curator/c2014antropoceen

Un’idea o un’immagine forte possono improvvisamente modificare radicalmente, da un giorno all’altro, il nostro modo di vedere il mondo. Ti rendi conto che non puoi più tornare alla beata inconsapevolezza, così normale fino a un giorno prima. Questo mi è successo inaspettatamente qualche anno fa, quando i geologi annunciarono la nuova era dell’Antropocene. I geologi non sono scienziati che abitualmente affrontano il breve termine e gli sconvolgimenti frenetici. Essi pensano in migliaia, se non milioni di anni. L’era geologica più recente, l’Olocene, risale a 10.000 anni fa. Le novità eclatanti raramente

appartengono alla geologia. Ma questa volta è successo. Una sera stavo leggendo un articolo del Premio Nobel olandese Paul Crutzen. Raccontava come, in una relazione di routine, stava descrivendo l’Olocene come la ‘nostra’ epoca e improvvisamente pensò: no, è cambiato troppo negli ultimi secoli, ci siamo persino lasciati alle spalle il buon vecchio Olocene e siamo entrati in una nuova era, nella quale l’umanità sta aggredendo la terra come una forza della natura. Egli chiama ‘l’era degli umani’ l’Antropocene.

Venezia, gennaio 2014


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Al mattino seguente, al mio risveglio, ero consapevole che mi stavo svegliando in una nuova era. Non perché il mondo era cambiato, ma perché la mia visione del mondo era irrevocabilmente mutata. Antropocene è il termine provocatorio e appropriato con cui descrivere l’era e il mondo in cui viviamo. Grazie a questo concetto si possono meglio focalizzare molte osservazioni sull’influenza dell’uomo sui processi naturali. In tutto il mondo ci sono più alberi nei parchi, nei vivai e in altre realizzazioni umane che nella foresta vergine. Gli esseri umani sono capaci, in 500 anni di bruciare la biomassa prodotta in 500 milioni di anni, e di alterare il clima con i gas serra emessi. Un solo progetto per l’estrazione di sabbie bituminose richiede più movimento terra che il sedimento portato via da tutti i fiumi del mondo. Questo movimento di sedimenti, per inciso, è diminuito spettacolarmente in conseguenza della costruzione di decine di migliaia di dighe, così che, molti delta nelle aree del mondo più densamente popolate, non sono più riforniti in modo naturale. Il progresso dell’umanità è condizionato da una valanga di specie a rischio d’estinzione. In breve, l’introduzione del concetto di Antropocene nella scienza è problematica: una grande, nuova, ipotetica parola che improvvisamente organizza questo disordinato pasticcio di fenomeni e lo rende comprensibile. Ma Antropocene non è solo un concetto scientifico basato sull’osservazione; esso risuona come un avvertimento: il fatto che siamo abbastanza potenti da manipolare la terra non è qualcosa di cui essere orgogliosi. Il sottinteso morale è che siamo anche responsabili delle conseguenze del nostro intervento: dei problemi ambientali , dell’estinzione delle specie, della roulette russa del cambiamento climatico. L’introduzione del termine ha seriamente minato l’alibi che siamo troppo insignificanti per fare qualcosa, e questo da al termine Antropocene una sfumatura polemica , esortativa ed anche impetuosa. La consapevolezza della responsabilità è un fatto serio. Ma se vogliamo affrontare le vere e pressanti questioni del pianeta urbano del XXI° secolo, è di scarsa utilità il solo messaggio moralistico che noi

esseri umani sono siamo andati troppo lontano e quindi dobbiamo invertire il corso. Non si può tornare indietro . L’ Antropocene postula che i processi umani e naturali siano un insieme interconnesso. Non c’è una ‘situazione di partenza’ o un ‘equilibrio naturale’ a cui tornare, così come non possiamo tornare al tempo della settimana passata. Stiamo vivendo nell’Antropocene , che ci piaccia o no. Possiamo solo andare avanti, e dobbiamo trovare il modo migliore di progredire. E in questo vedo motivi di ottimismo. Uno di questi è l’ingegnosità umana. Questa spesso ci porta nei guai , ma ci consente anche di tirarci fuori. L’Economist ha scritto : ‘Un pianeta che presto dovrebbe sostenere10 miliardi di umani dovrebbe funzionare in modo diverso da quello che ha mantenuto 1 miliardo di persone, per lo più contadini, 200 anni fa. La sfida dell’Antropocene è usare l’ingegno umano per impostare le cose in modo che il pianeta possa assolvere i suoi compiti per il 21° secolo’. Sono anche ottimista per uno degli effetti collaterali al concetto di Antropocene. Vedendo l’intervento umano come una forza della natura che aggredisce la terra ha minato la pseudo opposizione tra ‘natura’ e ‘società umana’. Questa opposizione (come quella tra corpo e mente) ha dominato il pensiero, accecandoci, ostacolando azioni efficaci per secoli. Noi esseri umani pensavamo di esistere fuori dalla natura, e la natura fuori di noi. La natura è stato vista come un dominio al di la dello steccato, dove poter attingere risorse e scaricare rifiuti senza limiti e per sempre. Dal momento della dichiarazione dell’Antropocene, non è stato più possibile mantenere la finzione di una divisione tra ciò che è naturale ed artificiale. Non si può prescindere dal fatto che essi sono interdipendenti. Dobbiamo anche riconoscere che molti dei processi che ci circondano sono ibridi: frutto del lavoro di ‘naturale’ e ‘umano’. Ciò che abbiamo finora soprannominato ‘naturale’ è anche artificiale, e quello che abbiamo chiamato ‘artificiale’ è anche naturale. Questo che si applica all’uso del suolo, ai fiumi e alle correnti oceaniche , alla flora e alla fauna, al clima, vale per una delle più grandi forme ibride


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più visibili sulla terra: il paesaggio urbano. La semplicistica teorizzazione del passato, basata sulla contrapposizione fra città e natura non è più valida. Forse noi umani siamo ‘per natura’ inclini a vivere insieme in insediamenti in espansione, forse siamo urbani per natura. Questa intuizione ci libera da un sacco di preconcetti moralistici su ‘buono’ e ‘cattivo’ nel rapporto tra natura e città. Nell’Antropocene ci rendiamo conto che città e natura si sovrappongono spazialmente e funzionalmente hanno un impatto reciproco. Per i progettisti questa è una sfida unica. Quali opportunità offrono queste nuove forme ibride per l’organizzazione del paesaggio urbano in modo attraente e vivibile? Quale nuova terminologia possiamo usare per discutere la città dell’Antropocene? Quali sono le prospettive d’azione per urbanisti, ambientalisti, architetti del paesaggio e progettisti urbani? Sono molto curioso per le risposte a queste domande che arriveranno da IABR - 2014. Addio Olocene,stiamo andando oltre, nuove avventure ci aspettano! IABR-2014-URBAN BY NATURE parte da un’idea diversa sul rapporto tra società urbana e la natura. Guardiamo indietro alla sua ricca storia, in cui, a partire dall’inizio dell’urbanizzazione, gli elementi naturali e i giardini sono stati parte della città. Vediamo le relazioni affettuose e mediate tra città e natura che hanno portato ai giardini, all’urban arcadia, all’istituzione di parchi e all’idea di protezione della natura. Indaghiamo come queste ricche fonti di ispirazione possono ispirare la realizzazione della città oggi. Non mettiamo la natura al di fuori dell’uomo e della società; invece esaminiamo la nostra natura in tutte le sue manifestazioni. Così la città diventa il nostro stato naturale, il nostro habitat e la nostra ecologia, tutti interconnessi. Ci sembra di essere inclini a costruire strutture complesse che chiamiamo città. Forse gli esseri umani sono diventati urbani per natura? La città come la natura: questa è la premessa di IABR-2014-. Cerchiamo un’analisi dello sviluppo

urbano che prescinda da pseudo opposizioni tra ‘artefatto’ e ‘natura’, e riveli una serie di sorprendenti e produttive sovrapposizioni e persino ibridazioni fra urbano e naturale. La città è, allo stesso tempo, la nostra più grande risorsa e il nostro habitat naturale. Vediamo le forze tecnologiche e sociali che conferiscono alla città il suo dinamismo come una continuazione dell’evoluzione con altri mezzi. E questo modo di vedere le cose che ci offre anche una nuova prospettiva d’azione. IABR - 2014- IL METABOLISMO DELLA CITTA’vede la città come un sistema attivo complesso e tentacolare che lavora incessantemente per provvedere ai bisogni dei suoi occupanti. Possiamo descrivere questo sistema non solo riguardo i suoi elementi artificiali, ma anche in termini organici. Proprio come un corpo umano respira, beve, mangia, usa i suoi sensi, ed espelle rifiuti, così possono essere identificati i flussi vitali di materiali che alimentano la città. Uno dei concetti chiave di IABR - 2014- è quindi il ‘metabolismo’ della città. Per rendere questo metabolismo visibile, IABR 2014- si concentra su diversi flussi di materiali vitali: energia, acqua, biomasse e cibo, rifiuti, sabbia e sedimenti, le informazioni, il trasporto di merci e persone. Questi flussi toccano la vita quotidiana dei singoli abitanti delle città con le loro necessità elementari, e anche il funzionamento delle grandi costellazioni urbane. Ognuno di loro è indispensabile per il funzionamento ed il benessere della città. Ma nessuno di loro sarà garantito nei prossimi decenni. In molti casi sarà estremamente difficile mantenerli a un livello adeguato e sostenibile. IABR - 2014- si sta concentrando su questa sfida enorme eppure concretamente concepibile. Ogni flusso di materiale ha una propria infrastruttura (la rete elettrica, la rete idrica, Internet, ecc.). Come designer indaghiamo come queste infrastrutture possono essere meglio progettate, individualmente, ma anche in relazione tra loro, in relazione alla struttura del tessuto urbano. L’esperienza ci insegna che il ‘ordine spaziale’ è influenzato dalla localizzazione delle infrastrutture. Il disegno delle infrastrutture può quindi essere

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utilizzato per indirizzare responsabilmente le espansioni urbane. Considerando che la costruzione di infrastrutture e lo sviluppo urbano oggi spesso si realizzano in pratica senza un coordinamento, una più intelligente pianificazione delle infrastrutture contribuirà a un migliore ordine spaziale. E questo contribuirà anche a migliorare le prestazioni ambientali della città. Ciò è tanto più importante in quanto gli investimenti necessari nelle infrastrutture per la crescita e la ristrutturazione delle città di tutto il mondo nei prossimi decenni avrà un costo di molte centinaia di miliardi. Queste enormi somme di denaro possono essere spesi bene o male, ad hoc o sostenibilmente, con un alto o un basso rendimento, possono essere in grado di migliorare le prestazioni ambientali della città o eventualmente portare ad una catastrofe del metabolismo urbano nel suo complesso o per ogni abitante della città. Come le cose si realizzano non dipende dal destino ma dalle decisioni giuste, soprattutto dalla volontà politica, basandosi su un nuovo ed efficace arsenale di soluzioni progettuali. Anche in Olanda, le infrastrutture possono essere utilizzate in modo più efficace di quanto non sia ora. Le problematiche urbane urgenti del mondo sembrano remote. Si è tentati di pensare che esse non ci riguardino, che l’ acqua del rubinetto, il cibo nei negozi e la ricezione dei nostri telefonici saranno sempre. Eppure, molto deve essere fatto per garantire tali dispositivi in futuro. Non possiamo continuare con il nostro eccessivo consumo quando è sempre più intensa la competizione per le risorse, sempre più scarse in tutto il mondo. Quindi dobbiamo dedicare tutta la nostra attenzione alle strategie di progettazione intelligente, basata su efficienza e sinergia, per i flussi di materiali e le loro infrastrutture. Possiamo imparare molto dalle politiche ed i piani ideati per questi flussi di materiali in altre parti del mondo. Il metabolismo della città ha una dimensione tecnica: come funziona, come è strutturato, cosa si può fare, e come si fa a farlo? Esso ha anche una dimensione sociale e morale: per chi funziona?, che qualità della vita rende possibile?, in che modo gli elementi interagiscono?, in quale contesto sociale e politico esiste? Esso ha anche una dimensione

di progettazione: in che forma possiamo applicare meglio le sue caratteristiche e le possibilità dei flussi di materiali per la vita urbana? IABR - 2014- opera nella dimensione della progettazione, e da questo si connette con tecnologia e società. Un’infrastruttura informata da conoscenza e analisi dei flussi di materia è un formidabile strumento di pianificazione per le città sconfinate del ventunesimo secolo. LA MISURA DELLA CITTA’ Per capire il fondamentale spostamento nel rapporto tra società e natura, è fondamentale la corretta scelta di scala. IABR - 2014- si concentra sul campo urbano in senso lato: complesso, diversificato e spesso immensamente tentacolare. Questa città, o meglio, questo paesaggio urbano, è un mosaico variegato, sparso in lungo e in largo con molte forme di uso del suolo a densità alta e bassa. Esso si compone di vecchi nuclei urbani e nuove aree residenziali, ma anche di terreni agricoli, foreste, montagne, laghi, miniere a cielo aperto, aree industriali, serre, porti, villaggi, zone ricreative senza una chiara organizzazione, e un labirinto di diversi tipi di infrastrutture. Come etichettare questa metropoli è essa stessa una questione. ‘Tappeto di metropoli’ (un termine coniato da Willem -Jan Neutelings) può essere una definizione appropriata. IABR - 2014- sta studiando la città a scala della metropoli ABC, dal nome dei suoi vertici: Amsterdam, Bruxelles e Colonia. Il tappeto di questa metropoli si estende per centinaia di chilometri, oltre i confini nazionali. Rotterdam, Anversa e Liegi sono parte di esso, come la zona dei grandi fiumi, Brabante, Limburgo e Vallonia. Circa 31 milioni di persone vi abitano, e la grande diversità all’interno della zona la rende ideale per affrontare il tema proposto. ARCHITETTURA DEL PAESAGGIO COME LENTE Lavorando sul tema Urban by Nature, l’architettura del paesaggio agisce come una guida in un mondo in ibridazione. ‘Paesaggio’ è per definizione un


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concetto ambiguo e di collegamento, in cui i “fattori naturali” e “le azioni umane” si fondono insieme. Un architetto del paesaggio è addestrato a non guardare una zona come naturale o artificiale, ma ad entrambe allo stesso tempo, come due immagini che scorrono una sopra l’altra e insieme raccontano una storia più completa. Guardando un complesso sistema urbano come questo naturalmente nulla di nuovo; siamo in grado di costruire su un flusso di pensiero innovativo che è cresciuto assieme all’espansione della città stessa. In considerazione dell’attuale vastità, velocità e intensità dei problemi, tuttavia, è richiesta ancora una volta innovazione nel modo di pensare e di lavorare. Questa è l’intenzione di IABR - 2014-. Guardando attraverso la lente dell’architettura del paesaggio, stiamo radicalizzando l’idea di città, di condizione urbana, di società e di natura. Su questa base, vogliamo proporre progetti e pratiche per una migliore gestione del nostro complesso paesaggio urbano.

RICERCHE : TRE ATELIERS DI PROGETTO IABR Al fine di condurre una ricerca approfondita e di sviluppare proposte di progetto che possano essere testati in pratica, IABR - 2014- ha istituito tre Atelier di Progetto. In questi, IABR - 2014- sta lavorando con tre governi locali e regionali dei Paesi Bassi. In questi atelier, designer dei Paesi Bassi e dall’estero lavorano su sfide locali concrete e attuali. Le sfide attuali richiedono una deviazione, per così dire, lungo il percorso della Biennale, per permettere un modo nuovo, fresco e libero di vedere, attraverso esperti provenienti dai Paesi Bassi e a contributi di idee e buone pratiche da altrove, che rappresentino una sfida per gli stakeholder e per il pubblico in generale. Alla fine, dopo l’esposizione, i risultati potranno trovare la loro strada ritornando di nuovo nel locale. Ogni Atelier di progetto è collegato ad uno dei tre sotto-temi di IABR - 2014-: ‘Città e natura’ (Progetto Atelier Texel); ‘Il metabolismo della Città’ (Rotterdam Progetto Atelier Rotterdam); ‘Strategie per il paesaggio urbano’ (Progetto Atelier BrabantStad).

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