IGNAZIO APOLLONI
LA GRANDEZZA DELL’UOMO □ a cura di Alessandro Gaudio│ □ con una divagazione ziffiana di V.S.Gaudio
Ignazio Apolloni [LA GRANDEZZA DELL’UOMO
│photo by enzo monti
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Ignazio Apolloni□ La grandezza dell’uomo □ Antigruppo 73 Uh-Book │2016│ a cura di Alessandro Gaudio
Ignazio Apolloni [LA GRANDEZZA DELL’UOMO
IGNAZIO APOLLONI
LA GRANDEZZA DELL’UOMO Alla ricerca della felicità nella sapienza l’uomo è lanciato nella corsa contro il tempo per conoscerne le leggi, per modificarne il corso, per sedersi sul trono dell’Universo. E dopo?
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Ignazio Apolloni [LA GRANDEZZA DELL’UOMO
PREFAZIONE
Le poesie di questa raccolta “La grandezza dell’Uomo” (intesa tale grandezza sia ironicamente, che nel suo potenziale conoscitivo e creativo), tendono ad allargare l’attuale tematica poetica e a stimolare il dibattito su una base dialettica che non può avere per termini solo gli uomini e i loro rapporti. Un’interpretazione dunque degli stati angosciosi dell’uomo che hanno la loro matrice nell’inconscio e che tendono ad esplodere se non si finalizza la liberazione e lo sforzo creativo verso forme di conoscenza e dominio totale dell’Universo. Se infatti l’uomo (anzi meglio la specie, o razza) si è insediato con autorità sul nostro pianeta vincendo contro potenti nemici della sua esistenza (senza tuttavia avere debellato lo stato di paura ancestrale che sistematicamente ritorna a minarne la sicurezza in occasione di eventi naturali o sociali), tale esistenza appare comunque condizionata a vicende che oggi sfuggono alla conoscenza ed al controllo dell’intelligenza umana. Qualunque causa pertanto, seppure finalizzata in direzione del progresso sociale troverebbe un suo limite – oltre il fine ultimo della totale emancipazione e liberazione dell’uomo dagli attuali condizionamenti naturali e sociali – in possibili e sempre più incombenti pericoli di ordine celeste o universale. Conseguentemente la minaccia per la razza umana – che nel passato fu prima fuori di lui e successivamente (con l’evoluzione delle scienze metafisiche) fu in lui – oggi si collega alle vicende cosmogoniche, alle sue leggi, alle sue regole. È dunque solo alla scienza, alle sue ricerche, alle sue scoperte, alle sue applicazioni, che la nostra esistenza (nostra di uomini, di esseri viventi, di specie, e non di singoli) appare legata per la sopravvivenza cui la specie aspira come bene irrinunziabile, essendo perciò il ruolo delle arti (ivi compresa la poesia) sussidiario e subordinato. A questo fine la poesia, per avere un senso dovrà legarsi alla scienza, essere sollecitatrice della scienza, diventare se possibile essa stessa scienza.
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La tentazione infatti di modellare la poesia sull’uomo, sui suoi stati fisiologici, psicologici o patologici, di ingerirla, di declamarla, di vomitarla perché essa parli dell’uomo e l’uomo attraverso di essa; la tentazione di sezionarla in sintagmi per ricomporla in nuovi segni sul modello dello studio che l’uomo fa delle proprie cellule postula nessi impossibili tra materia amorfa e principio vitale. L’opera dell’uomo infatti è legata a lui strettamente, ne segue le sorti, e solo la vita quindi può dare e può essere vita per la sua opera, segnandone, la morte, l’estinzione stessa dell’uomo. Puntigliosi e velleitari perciò mi appaiono tutti i tentativi di chi crea poesia, dei critici e dei saggisti che alla poesia affidano compiti di analisi, di definizione, di sostegno dell’uomo e di necessità per il suo divenire senza prospettare all’uomo stesso la sua vera finalità, che appunto non può essere di semplice supremazia sui suoi simili o sulla materia che lo circonda e che già oggi gli ubbidisce quasi per intero. “Fuori del nostro tempo l’altro piede conglomerà il passato nel futuro riducendolo tutto senza tempo senza scimmie specchi ed aspersori” dove scimmie sta per Darwin, specchi sta per Archimede, ed aspersori per il Messia. Tuttavia, prima che ciò sia possibile l’uomo (e non solo l’intellettuale ma anche quello comune) dovrà liberarsi da tutti quei condizionamenti di ordine religioso e filosofico che ne limitano le pur immense capacità conoscitive, coinvolgendo in tale ricerca critica lo stesso Dio, a cui l’uomo dovrebbe opporre se stesso come possibile oggetto di conoscenza e perché no, creatore esso stesso di sé e della natura. Ignazio Apolloni
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ASTROMALIE (ANOMALIE ASTRONOMICHE)
Tutto ci riconduce al nulla. E dopo? Ossi di miliardi d’uomini mummificati calcificati pietrificati; pietre sgretolate in polvere anemonica fluttuante genitale; geni gracili, rovelli di scintille spastiche traslucide vaporose: il tutto ha finalmente i suoi confini. Solenni onoranze all’uomo-tutto vollero gli eretici sul rogo. L’immortale creatore di Dio bruciò la sua passione col suo corpo. 6
Alla scoperta del nulla. E dopo? Cordoni insufflatori di meteore avvolgono eccentrici la terra alla ricerca della verità nel Cosmo. Briciole di tempo ricalcano le fasi della creazione creando nel contempo un ordine nuovo. E dopo? Quando le leggi cosmiche saranno conosciute, e spenti i vulcani, e modificato il corso delle stelle, sarà felice l’uomo? Confini più vasti si apriranno al suo sapere, al suo potere al suo dominio del mondo, dopo il nulla. Alla ricerca della felicità nella sapienza l’uomo è lanciato nella corsa contro il tempo per conoscerne le leggi, per modificarne il corso, per sedersi su trono dell’Universo. E dopo?
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LA METEORA DEL 1967
Quando le meteore grandineranno fiotti di lava e il fuoco sanguinerà i bacilli della ionosfera larve di cellule atrofiche cospargeranno gli oceani, ma già l’uomo avrà inebriato gli spazi. Atomi di stelle senza fine gravitano nell’universo senza mete nel disordine caotico della natura astrale. Giambi totemizzati raucano angosciose parodie feline, rullii estatici, o violenti di paura. Giurano i sacerdoti anni di luce, predicano la fedeltà cosparsa di bugie – piene di coro; ed amano le creature il loro amplesso sospese ad una ragnatela di lussuria da cui plagano nella materia amorfa. Agoni cosmici squillano le trombe. Argani di diluvi scompongono il creato ed io lo cerco per possederlo tutto, per non avere fine.
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SENZA DOMANI
Quando le coscienze degli uomini avranno toccato i bordi della pazzia cosmica e su di essa come nottambuli fantasmi funamboli si saranno seduti a cavalcioni - sul loro presente di millenni – e col piede cingoleranno a ritroso il loro divenire catartico violeranno le bufere agoniche dell’inizio dei tempi sul globo universale caduco spazio agglomerato nel tempo – dei mortali -. Fuori del nostro tempo l’altro piede conglomerà il passato nel futuro - riducendo tutto senza tempo – senza scimmie, specchi ed aspersori senza nomi di vivi e di viventi senza domani. Maledetto il vate delle nuove profezie senza speranza.
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ANNI DI LUCE
Quando son nato non avevo nulla né sangue né molecole né vita. Il cosmo tutto ancora non aveva un senso finché mi partorì una donna. Anni di luce dall’ombra catartica seguirono fiocamente a illuminare le grame avulsioni dello gnomo che cresce e giganteggia e s’allunga lungo la costa del mare in cui preferirebbe perire piuttosto che vivere una seconda volta. Queste gambe e questi gomiti che s’articolano e flettono e creano forme dal nulla gonfiano il mio corpo come un’appendice che dilania le croste dell’ignoto tra una stella e una cometa che cerca di colpirlo. Anni di luce seguiranno a gonfiare sempre più il mio corpo di luce nello spazio.
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IL CANTO DEI PAVONI
Quando l’uomo scoprirà se stesso sotto il proprio sudario d’assiomi in cui confuse i suoi figli, e veglierà sul cadavere del nulla mentre tutto risuonerà d’errori, ogni cellula dell’universo riderà lo stridulo canto dei pavoni. Ma l’angoscia dei vivi avrà pervaso il mondo sconosciuto, e ne avrà solcato di rimorso tutti i tempi che verranno dopo l’uomo: sarà la mia vendetta, la mia maledizione nel ciclo dell’informe senza storia alla ricerca di un’anima che non avevo, che nessuno ha mai avuto: che non esiste. 10
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ERA LA GENESI
Branchi di ululati e miagolii succhiano il cielo mentre travasa il tempo gravido di carne che nutre le ossa dei morti sotto le lastre di calcare adagiate. Occhi divorano il cielo che scava bocche cavernose gonfie di sete, altri richiami che non toccano ancora l’estremo confine mentre i torrenti spaccano la terra, e frana la terra, e i tronchi segati s’abbattono inutili a colmare i burroni. Ora rampe di missili in gara gettano scintille di fuoco, di orbite, di natura umana; mentre spettri segnalano la luce delle stelle, ne fissano il moto, ne segnano la vita o ne preparano la distruzione. L’uomo comincia a creare il creato, ma senza mistero.
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SAPIENZA BORGHESE
Che forse potete spezzare l’uniformità del circolo? Uomini d’ottone bottoni d’una tromba tronfia buoi belanti luce d’acetilene ossigenata di pudore CASTA ASCESI Colata di bava sapiente saggezza biblica soffiata nella tromba vergine voglia di fare l’amore DOPO IL CONTRATTO Volete agglomerare il mio corpo per farne una palla? PENSATE DI VIVERE CENT’ANNI E DI VEDERE MORENTI SULLA CROCE L’EPIGRAFE VISSE FACENDO L’AMORE ONESTAMENTE Balordi! Angeli sacrati dalla virtù dei timorati che esecrano la conoscenza = perdizione? Elevate l’agnosticismo al limite del sapere Su, levate le vostre voci bianche Osannate la gloria di Dio Ma non chiedetemi d’essere un martire Perché riceverete il mio rifiuto. NULLA POTRÀ DIVORARE LA MIA BRAMA DI SAPERE CELESTE OLTRE IL LIMITE DEL CORSMO = IDENTITÀ CON DIO
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IL QUASAR PKS 0237-23 DI MONTE PALOMAR
Uomini Lasciatevi percuotere dal boato, allungate le palme scopritevi il petto verso i raggi del quasar: il lungo tramonto si squarcia sotto il massacro delle particelle stellari, lucide creatrici di vita, alla ricerca di un mondo da popolare. Spogliate la tetraggine nuvolosa dei vostri orizzonti offuscati dal credo mistico della salvezza opposta alla paura. Lavate la crosta di fango che ammanta i vostri figli. Lucidate la loro pelle con la luce del quasar. Chi può fermare l’uomo nella corsa verso l’infinito? Io, uomo, vi dico che nulla potrà fermare la mia razza né città né chiese né paludi né acquitrini né valli né burroni né boschi né santi né santoni. Solo, volerò per miliardi d’anni lungo la luce alla ricerca di un quasar, alla ricerca di me stesso, per il dominio del mondo.
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L’INIZIO E LA FINE
contro ogni legge che conosca nell’esplosione della nuova devastazione e le modelli e le calchi le particole amorfe, e le rinserri che colga, pregni e saturi di sé nell’altalena vagante d’una meta nello spazio NEL TEMPO ogni storia ha la sua morte, la sua vita, il suo inizio l’inizio del tempo la vita morte la
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Nota: Va letta dal basso.
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ALLUCINOGENO
Avevate negli occhi l’immagine di Budda e con la lingua cercavate di levargli il manto fiutando l’immanenza dentro il suo corpo grasso per incenerirvi la vostra essenza di fame. All’oblio del nirvana avete scelto la sagacia molesta soffiando nell’otre la vostra vanagloria che finì per fuoriuscire come grasso di montone, sulle vostre mense crapule. Quando sarete sazi d’avere il ventre gonfio ritorneranno, i criminali, spossati e appesantiti a digiunare perché sgravati del torpore animale sognino di volare, come bolle in un calice verso la perdizione, dell’infinito. Gronderà la fronte del Budda, caleranno le sue lacrime calde avvolgendolo nel tepore del suo grasso sciolto - che ha fatto pensare tutta l’umanità affamata Fondendolo e dissolvendolo nel nulla.
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FECONDAZIONE Sopra un cristallo feconderà il mio seme la luce ultravioletta mentre gli occhiali ed i monocoli d’un nosocomio aliteranno la scintilla spastica dentro il mio grembo. I gemiti d’un bacillo saranno il mio vagito senza la poppa d’una madre diluita in un liquido lattiginoso sterilizzato. E avrò gli occhi neri, le carni rosee, le ossa calcificate al punto giusto... e non saprò più ridere di me stesso.
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L’OMBRA
Quando cammino per le strade o cavalco un aquilone e guardo la mia ombra giù sul manto della strada e seguo la mia ombra dilaniata dalle buche e dagli anfratti il tormento che mi prende mi raggela mi sgomenta questa vuota condizione del mio essere lontano dal suo corpo. Quando dico queste cose mi domando quanto senso non avrebbe la mia vita senza il cumulo di luce che divarica e violenta questo corpo. Quante note del linguaggio ho qui trascritte per esprimere il mio senso di rancore per quell’essere lontano dal mio corpo che s’allunga, che scompare che continua a seguitare il suo strano attaccamento a questo corpo? Come posso adesso dire che volendo ingigantire questo corpo senza carne devo starmene alla luce d’un fanale e d’una stella? Come posso divenire quel qualcuno superiore che manipola le cose della terra, del vangelo, del creato se nessuno ha dimostrato che la terra possa vivere da sola nello spazio senza luce né calore?
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DISNEYLAND – RITRATTO DI UN AMERICANO
Amava cavalcare i cavalli di cartapesta della giostra ubriacandosi d’emozione al suono delle campanelle – giù dalla piattaforma in moto per risalirvi appena la spirale lo richiamava alle mirabolanti cavalcate dei suoi soldati di piombo. Folate di vapore umano braccato all’improvviso lungo la schiena di un rinoceronte che cerca un lago ove affondare la sua corpulenza. Vagava sfogliando il suo libro di memorie: la fiaba di Cenerentola; 20.000 leghe sotto i mari I VIAGGI DI GULLIVER brulicava di fantasticherie grondante e arrossato dalla calura vertiginosa FELICE DEL TRAMONTO Folate di nebbia sconvolsero il mondo dei piccoli – inghiottendo un americano tradito dal suo gusto di rimanere bambino REQUIEM
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RACCONTO DI UNA GIOVANE EBREA
Avevamo cominciato con l’essere donne tribali e con gli uomini spaccammo la terra e nutrimmo i nostri figli di latte materno e la notte accendemmo i candelabri perché la luce illuminasse la fatica dei figli e servi di Dio EBBRI DI GLORIA Volete sapere chi sono? UCCISERO UN UOMO Avevo sei anni: seppi che un uomo era stato crocifisso Diceva d’essere lui, il figlio di Dio, e predicò la pace, accusando. Avevo dodici anni, e quell’uomo era morto e io leggo l’angoscia negli occhi di sua madre e il segno di un’ultima carezza nella sua mano distesa SENZA PIÙ VITA Ora non spacco la terra e di notte non amo la luce e non nutro di latte materno mio figlio. Datemi la forza d’un uomo, perché possa sentirmi non più donna, tra di voi. Ma la notte, al buio, drogata lasciatemi giacere sul mio letto d’emozioni perché possa soffrire il parto di una donna SENZA SPERANZA
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PIGGY, IL PICCOLO MESSICANO DI LOS ANGELES
È da stamane che gioco ai birilli in un parco per bimbi cresciuti sull’erba dei prati di ville recinte con cespi di fiori con vasche di pesci muschiose. Compagni di gioco con giacche e berretti e calze di lana tirate ai ginocchi guardati da donne in grembiule protetti da occhi discreti d’un uomo in divisa e cappello. Bambini graziosi e biondicci le carni lavate di fresco friabili e bianche di gesso dai frigni insolenti, ossequienti al cappello dell’uomo di paglia. Una gabbia di polli evirati nutriti di latte scremato di burro ed estratti di dado biscotti arricchiti di malto polpette di carne alla griglia. Io son bruno, ho la faccia olivastra i capelli corvini tirati all’indietro: un puzzo di grasso animale che m’esce dal corpo grassoccio vi spiega quel nome vezzoso. Ancora a sei anni nella baia di Ensenada correvo a piedi nudi sui sassi riversi sulla spiaggia granulosa inseguendo con la voce i branchi di foche distese sul ventre contro le rocce levigate delle isolette di fronte alla villa dei Baker che mio padre custodiva da padrone per undici mesi l’anno. Ora ho varcato il confine, la legge protegge i bambini immigrati
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concede il diritto allo studio, proibisce di discriminare sui campi di gioco. E io gioco con bimbi diversi da me sentendoli come fratelli ma fratelli non sono perché nessuno di loro si chiama Manolo. Nessuno di loro ha mai visto un tricheco guaire di notte e affondare con squassi potenti nel cerchio di luna rappreso sul mare lì sotto gli scogli. Nessuno di loro ha nuotato di notte guizzando tra pesci e impregnando di alghe marine il suo corpo. Nessuno di loro avrà più il mio sapore ferino. Io continuo a chiamarmi Manolo loro continueranno a dirmi Piggy. E Piggy certamente io sono perché continuerò ad amare il mio corpo mentre loro lo disprezzeranno.
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TERRA D’ORIGINE
Ecco, vedete il mondo dei negri non è negli slums come non è nel ghetto il mondo degli ebrei. Io, negro, non canto per tristezza i gospels non bevo per sopire il ricordo della terra d’origine. È inebriante la musica dei tamburi avvolta nei fruscii del fogliame delle mie foreste, come trasuda di richiami viscerali la voce del Patriarca nel deserto del Sinai. Io, ebreo, non digiuno per servile rispetto della tradizione non commercio per comprare il pane azzimo. Trucidatemi, sventratemi, liquefate la mia carne, cospargete le mie ceneri di incenso e mirra e poi disperdetele nel deserto africano perché là dove ho vissuto possa morire, là dove son morto possa vivere.
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L’IPERBOLE
xyz + m n2 r s π = bio eczema anodino segmento di feto aborto compresso nel ventre cadavere uccello pesce omuncolo putredine gatto cane bove PRATO sul prato si colgono le margherite Bravo bove che mangi le margherite margherite margherite margherite e l’uragano che si fotte tutto e il gabbiano che si posa sul prato e trema di freddo Che schifo, che puzza, mi rivolta lo stomaco uh uh uh uh l’uragano gongola di gioia e i pali del telegrafo si schiantano sulla campana che ciondola DIN DIN DIN entra la messa in ginocchio coglioni i coglioni n ginocchio genuflessi, bravi, bravi, buoni così! il filo brucia ed il carburatore canta canta il gallo chierichichi villani di fogna! carichi d’azoto d’escrementi.
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PERMETTETE CHE MI PRESENTI? SONO UN IGNARO Vivo di digiuno – Mangio radiche intinte nel sale e bevo birra tedesca quella buona fatta col latte delle campagnole latte latte latte che! me ne dà mezzo litro? NON FUMO e perciò ti vado in culo te e lo Stato Evviva Evviva aloè aloè pazzo come me non c’è nessuno Eppur si muove il feto nel grembo della madre Signora permette che l’ausculti? un borgorigma un salasso alla vescica pif! Il vento boreale soffia sulle palme palme palme palme e sputa il seme del dattero sul mare. Pif! Pif! Il mare ondeggia e rumoreggia uh uh uh finalmente si placa sul Mar Nero e tutto ricomincia come prima Ore sedici dell’era totale Di un giorno qualunque.
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L’ENERGIA CATATONICA
Ciminiera. Carbone. Petrolio.gas.metano etano, ottano, ottone, tromba, trombettiere, caserma sentinella, riposo, attenti, ciurma, ciurla, nel manico di scopa, di briscola, di tressette, di tre otto, di tre novembre ventisette, paganino. Paganini, violino, stradivario Paganini non ripete. Stradivarius va a Venezia tutti gli anni. Per concertare una marcia in fila indiana, con battuta della stecca sul leggio. Il primo trombone se n’accorge, si spaventa, s’arrovella sbuffa, soffia e fa rumore nel trombone che sconquassa e rumoreggia nel teatro. Tutti in piedi i suonatori! grida il coro con fraseggio e col solfeggio. Tutti zitti stanno muti i battitori di grancasse Di tamburi e cornamuse. Silenzio, tutto tace, tace la pace, la guerra, la cacca e la scodella. Pentola, pignatta, mignatta, mignotta. La mignotta fa l’amore col soldato, il cameriere e lo scroccone che la scrocca e la baciucca con i baci, di Messina, la madonna e il ferri botte che legato ad una corda trancia il mare e lo fa a fette, cotolette, surrogato, caffelatte e burro a rate. La cambiale. Cento lire per il bollo, la patente di cornuto non la vuole più nessuno. Me la prendo con il capo, con la testa, il busto, e il fusto di benzina.
Che schifezza, mi ritrovo col carbone, col petrolio con il gas puzzolente che fuoriesce dalle stive dalle staffe, dagli zoccoli del mulo e dal suo culo. Culo. Fortuna,ventitré, gioco all’otto, al nove, al dieci e anche al quindici. A morra, a zecchinetta, a bacchetta li comando i suonatori della banda, magnetica del terzo canale con la filodiffusione che diffonde melodie, salmi e rythm and blues. I canti militari riportati nel museo delle scienze aleggiano sul fronte spazio, spazio, vizio, corruzione e virtù. Antinomie
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Antinomie, Anatomie, Anatocie, Ana, Ana Anna Annamo andò ccè pare e chi nun ce vò venì se mette a ssede, sulle sedie, per terra, per mare, per cielo, andò jé pare. A me non va, a lui gli calza e gli sta bene na ciavatta, na culotta, na culatta di cannone, che fa bum e rintronano le orecchie alle persone che passeggiano nel parco e con gli uccelli che cinguettano nel nido perché insegnano a parlare agli uccellini si spaventano del colpo di cannone e stanno zitti e nessuno parla perché ha paura del cannone e pare che se parla il cannone gli spara in bocca. Passa un cavallo e nitrisce e tutti zitti. Il cavallo ride e mostra i denti e nessuno guarda da quella parte perché a caval donato.
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Quando il cannone della batteria – Nomentana Io una volta ci sono andato e la batteria non c’era o se n’era andata. Uno che stava pigliando il treno al Tiburtino disse che era partita ma non era domenica e l’Olimpico era chiuso che c’era un conviviale e tutti erano invitati a cena. Si accesero le luci e i riflettori allo iodio allo ionio, al mercurio e all’antimonio e fu gran festa. I tifosi sugli spalti lanciavano bottigliette e cucchiaini di gelati perché era estate e il caldo squagliava la cera che poi si ricomponeva più in basso formando figure strazianti e un po’ psichedeliche, hippy, hip, hip, urrà. Saiwa, wamar Weimar, repubblica reprivata re personale, re in berretta re bersagliere, re soldato, re marò, re salò, re buono re malo, re regalo, re gioiello, re bordello. Casino senatrice, meretrice, amatriciana, rigatoni col succhiello bolognese, emiliano, anconetano, del Tirreno, della Senna, di Parigi.Paris l’è un hran parì, mi son mi e ti sei ti ed ognuno è con se stesso, coi cipressi e con le noci, le castagne i mandorleti cavalieri.
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QUASI UN GIOCO (poesia a due voci e un coro) 27
Provate a domandare a un indiano potreste pure farne a meno Cos’è un cobra per lui o un asino per Buritano Le spire le squame i colori cangianti la fodera d’una giacca appena cucita Un canestro di vimini scoperchiato un capestro a cui appendere un rivoluzionario Le note del flauto del fachiro la
fatica
di
scaricare
balle
porto Le rive melmose del Gange tanti anni passati in galera accusati di misticismo
al
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avvolti in un manto di sospetti e gridare la disperazione d’un giorno ombrato di malizia Domandate se volete perché sosta davanti al suo canestro mentre al capestro dondola inerte e si divincola con un sibilo e il cobra e
il
vento
rotola
il
corpo
nella
giacca e il popolo trasuda d’emozione e il serpente snoda le sue spire e il vento soffia con la rabbia le bocche secche di polvere un rito: un flauto: un fachiro un palcoscenico: una voce cavernosa due mani: tanti fili mossi un rituale sapiente di saggezza tanti burattini armati di latte un saggio: un giusto: un piffero capi mozzati senza pianto il cobra lusinga ed ammansisce urla di guerrieri scatenati Dimmi santone perché suoni il piffero ad un cobra? La tavola rotonda non ha più cavalieri né donne solerti UN TEATRO DI BURATTINI Provate a impiccare le bisce irridete agli uomini se volete che movenze divertenti
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rannicchiateli nei canestri datele in pasto di notte alle aragoste perché la luna li trapassi cessi l’ambiguità diafani come spettri SOLO LUCE IL MONDO DIVENTI E I SOLI ARDEREMO COME CERI E SCIOLTA LA CERA RIMANGA SOLO LUCE IL MONDO DEGLI UOMINI
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L’ASTEROIDE ICARO (poesia a due voci e un coro, e un seguito di musica elettronica) Parlatemi di quando le stelle saranno raccolte su un piatto di bronzo come diamanti tremule lampare deposte su un mare di bronzo gli abissi striati di raggi colanti verso fondali vaganti di alghe e di muschio e le galassie congiunte da ponti solcati di viscere umane lente le barche cangianti alla torbida brezza notturna e le tenebre squarciate da pennellate di luce solare spalmate da un uomo sul tessuto embrionale guizzi di raccapriccio alla bava di sangue che gocciola dall’esca: carneficina d’animali ruotando con Icaro in orbite astrali fumanti i vulcani di sangue rappreso di forme ferine canti di pescatori spezzati da un urlo di gioia le reti gonfie di plasma sanguigno fitte molecole alate stupendi miraggi alveolari quel regno proibito tracciato di cerchi e di ellissi ictus, agnus, Christos Zeus, deus, cosmos
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DITE A QUELL’UOMO CHE IL REGNO DELL’UOMO È GIÀ COMINCIATO. LE ZEBRE NON HANNO PIÙ STRISCE I LEONI NON HANNO CRINIERE I CAVALLI NON HANNO NITRITI L’UOMO NON HA PIÙ LA SUA FAVELLA LE VALLI NON HANNO PIÙ FONDO LE MONTAGNE NON HANNO PIÙ CIME IL SOLE NON EMANA PIÙ CALORE SIBILI E SCROSCI DI VOCI SOLCANO IL CIELO (Musica Elettronica)
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La poesia lineare con lo step-style di Niusia e divagazione ziffiana sulla poesia lineare e l’abbandono di Apolloni per la Singlossia ▬ by
V.S.Gaudio □
1. Questa raccolta di poesie Ignazio Apolloni la pubblicò nel primo volume dell’Antigruppo 731; si dice che erano poesie degli anni cinquanta. C’è dentro la pulsione lineare, son poesie lineari, scrisse inviandogli il dattiloscritto ad Alessandro Gaudio nel XXI secolo, sei anni fa, mi pare; la pulsione lineare dello step-style che, poi, sarà quello di Niusia2. 2. La poesia, voi lo sapete, è un po’ come quando se non scrivi per lamentarti, il prodotto che hai ordinato non arriverà mai. Poi, se scrivi per lamentarti, il prodotto arriverà prima che la tua lettera giunga a destinazione. La poesia è così, in più è come il primo prodotto in ordine di importanza in un elenco che non sarà più disponibile. 3. La poesia lineare, disse Apolloni, non mi va più e si mise a fare le singlossie e romanzi lunghissimi e tanti racconti, scrisse anche lettere infinite d’amore e favole. Insomma, Ignazio pensava che la poesia lineare fosse una figura retorica, nel senso che gli parve che fosse a disposizione di tutti per l’estensione di Iske alla legge di Parkinson: “lo stomaco si espande fino a contenere tutte le vaccate disponibili”. Lo stomaco, per via di quella figura retorica, si può pensare che debba essere un bell’editore a pagamento, che, di suo, che fa? Vende banane acerbe: tu le compri e le mangi prima che siano mature; quando vai in libreria, invece, trovi le banane mature, le compri e quando arrivi a casa, adesso le mangio e son bell’e marcite tutte quante. 1
Antigruppo 73, a cura di Vincenzo Di Maria e Santo Calì, Cooperativa Operatori Grafici – Giuseppe Di Maria Editore, Catania 1972. 2 Ignazio Apolloni, Niusia, Palermo 1976.
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4. La poesia lineare è come la lunghezza di un minuto, dipende dalla distanza che c’è tra il lavello in cucina, quando stai per lavare i piatti, e proprio allora ti scappa, e il bagno, che, anche a casa tua, è sempre in fondo, ma in fondo, sulla destra, ed è sempre occupato, e non hai i servizi doppi, perché spendi tutti ‘sti cazzi di soldi per pubblicarti le poesie lineari. 5. La poesia lineare è come l’ombra, quando cammini per strada o cavalchi un aquilone e guardi la tua ombra e segui la tua ombra, il tormento che ti prende ti raggela, ti sgomenta, la poesia lineare è questa vuota condizione del tuo essere lontano dal suo corpo; con la poesia lineare vorresti manipolare le cose della terra e intanto cavalchi i cavalli di cartapesta, ti fai pesce, uccello, omuncolo, gatto, cane, bove, non fumi, tutto tace, lungo i giorni più tristi che sarebbero venuti sull’orlo della ciminiera che s’era sbriciolata ed era accesa e impennacchiata, come il castello di Bastogne. 6. Alla poesia lineare ancora oggi si stenta a farle riprendere i sensi; prima che venga il tramonto, vagava sfogliando il suo libro di memorie e la fiaba di Cenerentola, tant’è che dimentica anche di correggere le bozze, e non aggiorna l’indice, io una volta ho visto un libro che aveva l’indice che cominciava a pagina 36 ed era stato pubblicato 36 anni prima, la poesia lineare non se ne accorse, cadde e svenne; poi, quando si riprese, disse: adesso ne faccio un’altra 3 edizione, tanto che Niusia , questa volta riapparve per davvero e disse all’autore: basta, per carità, serviva solo un cucchiaio, la letteratura è sì insolubile ma , masticata al mattino, per mezzogiorno si riesce a mandarla giù. 7. E come la poesia lineare, Niusia che amava cavalcare se ne andò alle giostre stanziali di Segrate, dove, cavalcando il suo cavalluccio di legno, sorrise non si sa quante volte al poeta che andava in Mondadori quando l’editore di una volta, quello vero, faceva i periodici Disney. 8. Il problema della poesia lineare, come la chiama Ignazio Apolloni, è come il problema delle menti altrui, è una confusione, una confluenza di interrogativi diversi, ma si tratta principalmente di questo: io ho scritto una 3
Ignazio Apolloni, Niusia, 2^ edizione, introduzione di V.S. Gaudio, Fondazione Apolloni-Fabra │Edizioni Arianna, Palermo 2012.
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poesia: non so se gli altri abbiano o meno scritto una poesia, fin quando non lo so, sono io il poeta, poi scopro che tutti hanno più o meno scritto e pubblicato una poesia, e allora la domanda, prima posta alla rovescia, nel verso giusto suona: sono io poeta per il semplice fatto che sono diverso dagli altri che pure hanno pubblicato una poesia, e adesso lo sarò ancora di più se mi pubblica l’industria editoriale della poesia o, in mancanza o anche in correlazione, lo sarò ancora di più pubblicandomi io stesso presso uno di questi editori a pagamento che, a conti fatti, ormai, son tanti quanti quelli che scrivono poesie lineari? 9. Se soltanto io sono il poeta, sono allora un poeta unico in maniera davvero unica. Non c’è nulla di eccezionalmente unico nel puro fatto di essere unico, se si eccettua il conto in banca. E la distribuzione. Ogni poeta, se si eccettuano quelli della parola innamorata, è certamente unico in quanto ha una diversa costituzione genetica, può scambiare spesso le opinioni, ma raramente la pelle e il conto, e le partecipazioni alla confraternita dell’industria editoriale della poesia, compresi i cosiddetti premi, dal più convenzionato con il mutuo culturale al più connesso con la fondazione di una banca, con o senza depositi. Essere il solo poeta dotato di una mente poetica sarebbe un’altra cosa. Come si potrebbe concludere di essere l’unico ad avere una mente poetica? L’unicità del poeta in relazione al conto in banca è stata dimostrata innumerevoli volte con gli assegni circolari , ancorché non siano stati quelli bancari fosse anche il Bancoposta. A sostegno della conclusione che ciascun poeta lineare, eccetto quelli dei discendenti delle Famiglie enumerate da Vassalli, ha una costituzione genetica unica, anche se poi tira sempre la stessa lagna, si possono addurre considerazioni derivate da diverse teorie e discipline scientifiche: dalla genetica, dalla immunologia, dalla radiologia, dalla finanza, dall’economia, dal commercio e dalle scienze politiche. Un primissimo passo verso la conferma dell’ipotesi che solo io sia un poeta lineare consisterebbe nello scoprire un fattore differenziale che si possa considerare rilevante: diversamente dagli altri, io ne pubblico di più, e non dico che ho pagato in nero direttamente il tipografo. 10. Ma che diremmo se non esistesse nessun fattore rilevante? Proviamo ad immaginare che esiste un altro poeta, tale che lui e io fossimo non soltanto gemelli identici o affiliati alla parola innamorata o alla menzogna metonimica dei poeti discendenti dalla Famiglia Raboni, Paolazzi e Bologna & Dams che dicono loro, ma uguali in ogni aspetto fisiologico e stilistico
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determinabile, che fossimo insomma due esseri chimerici; immaginiamo anche che ci comportiamo in modo praticamente identico, che dimostriamo le stesse capacità, che manifestiamo le stesse abilità, che abbiamo lo stesso conto in banca, che paghiamo puntualmente la somma pattuita alla prima bozza, che alla seconde bozze aggiungiamo un piccolo bonus per la signora o la ragazza che “lavora” in redazione, che, poi, compriamo lo stesso numero di copie, tanto che, poi, lo stesso editore, anche se è un altro, sarà costretto a produrre un’altra edizione, e così facciamo l’assegno alle bozze, poi alle seconde bozze un bonus per la ragazza o la moglie, alla cianografica di copertina stacchiamo l’assegno per le copie comprate conteggiando le spese postali, partecipiamo allo stesso premio e lo vinciamo e diamo la metà allo stampatore a pagamento, e all’amico che ha fatto la recensione quest’anno lo facciamo venire in villeggiatura per almeno quindici giorni con la fidanzata o la compagna, non s’è sposato, perché nonostante abbia l’abilitazione scientifica nazionale la confraternita baronale della sistemistica scolastica ancora non gli paga nemmeno le spese del pullman che prende ogni giorno per andare all’esamificio che ne fa abuso e sfruttamento. E così via. Possiamo pensare che tutto ciò possa verificarsi. Consideriamo poi l’ipotesi che solo io sia un poeta lineare. Potrebbe esserci, fra me e l’altro, quest’unica differenza rilevante, e cioè che io sono un poeta lineare e lui no? 11. Sembra che a questo punto siano possibili varie scelte: sì, no, e sfumature intermedie. Supponiamo di optare per il sì: io sono un poeta lineare e lui no, difatti smette e si mette a fare le singlossie. Ma a questo punto come rendiamo conto di questo bizzarro stato di cose? Perché io sono un poeta lineare? E perché lui fa le singlossie? Forse i poeti vanno e vengono nell’universo? E’ stato dunque solo per un caso che io sia lineare, tanto che, una volta assottigliata la linea del conto, smetta anch’io di fare il poeta lineare? Se diciamo di sì, o anche può darsi, che altro possiamo fare se non rassegnarci ad accettare il rapporto, misterioso e inesplicabile, fra la poesia e il corpo(naturalmente, di chiunque)? Non sembra infatti che qualcuno abbia una teoria coerente della poesia indipendente dal corpo, e neppure sembra averla. Non ci resta pertanto che rispondere di no. 12. Se la risposta è no, allora vuol dire che, se sono l’unico a essere un poeta lineare, checché ne dicano quelli della parola innamorata e i discendenti della Famiglia Raboni lungo la scia del misticismo quotidiano metropolitano e altamente urbanizzato, devo essere unico anche per qualche altro aspetto.
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Certo che lo sono: sono diverso dagli altri poeti in quanto soltanto io ho precisamente il cervello che ho; abbiamo senza dubbio buone ragioni per credere che nessuno abbia mai un conto precisamente identico a quello di un altro, ed è stato verificato che alcuni editori pagano le ritenute d’acconto direttamente all’esattoria di Malta anziché a quella di Milano e altri ottengono la borsa per il corso di dottorato della propria prole. Dirò allora che solo io sono poeta lineare e solo Apolloni fa le singlossie perché solo io ho il cervello e il conto che ho? Se volessi sostenerlo, come potrei? Perché infatti dovrebbe essere tanto importante avere proprio il cervello che ho io? E che devo dire di mio padre, chi era? Di mia madre, quale delle due, quella titolare dello stato di famiglia costituito nell’Ufficio dove hanno cambiato il nome di provenienza al poeta lineare? O quell’altra, quella effettiva? Se non hanno il cervello della poesia lineare, perché mai non ce l’hanno, e , se io ce l’ho, perché mia madre effettiva ha pubblicato pure lei poesie lineari? E’ una questione fallica? E perciò genetica? E perché, per via di quel fallo di mia madre, io da quella genetica non ho ereditato i benefici dell’industria editoriale? 13. Che esistano altri poeti lineari non è certamente una realtà attuale, è sempre stato così, Apolloni lo sapeva, ma il fatto è che viviamo in un’era di oscurità, anche se quando Ignazio ha scritto queste poesie non c’era il web. Le nostre incerte nozioni si sgretolano, i nostri schemi concettuali sono incrinati dagli enigmi, ma oggi non si può mettere in dubbio che esista un rapporto significativo fra la poesia lineare e il cervello, ma quale sia precisamente questo rapporto è un altro problema, che per il momento resta insoluto. Nemmeno il protoDams è riuscito a identificare e a qualificare i rapporti tra stati mentali e stati cerebrali ma soprattutto gli schemi degli eventi mentali in interazione con gli schemi degli eventi culturali, non a caso anche quell’istituto rivela una fondamentale mancanza di comprensione. Un evento o uno stato mentale non è identificabile, questo disse Paul Ziff4; e allora come potremmo identificare un poeta lineare? Specialmente se non è tutt’uno con un evento culturale, un festival della letteratura, un premio bancario o commerciale, una fiera del libro, fosse anche quella degli editori minori che per l’ossimoro di cui hanno la ragione sociale sarebbe la più improbabile e ridicola.
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Cfr.Paul Ziff, Il problema delle menti altrui, in: Idem, Itinerari filosofici e linguistici, © 1966; trad. it. Laterza editori, Bari 1969.
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14. La singlossia, questo è sicuro, si vede; al momento, non chiediamoci se costa di più riprodurla in stampa: insomma, è questo che ha capito Ignazio:nella poesia lineare, gli eventi mentali non possono essere identificati con gli eventi cerebrali; nella singlossia, questa duplicità ontologica è eliminata, la singlossia è come una mela, ha naturalmente una costituzione molecolare; insomma il problema è questo: una poesia lineare è un macro-oggetto che ha una microstruttura complessa ; una singlossia aggira questa teoria atomica, ho in mano una mela, una singlossia; questa singlossia non è una sola e identica cosa con un particolare gruppo di molecole. Non è possibile: non è vero che io getti in aria la mia singlossia e ne afferri una nuova ogni volta; eppure, la costituzione molecolare della mia singlossia fluttua da un lancio all’altro: il raggruppamento di molecole che costituisce la singlossia quando la getto in aria, o la faccio vedere e leggere al convegno di poesia visiva, la prima volta non è identico a quello che la costituisce al lancio successivo, o quando la pubblico, seppur a pagamento e quindi in teoria come cazzo voglio o come cazzo mi fa fare la somma stanziata. A meno che non si debba chiamare in causa la proprietà transitiva dell’identità, ma in singlossia non ci sono casi di identità, non fosse altro perché oltre che essere didascalica ha anche un’immagine, per quanto non abbia l’iconicità del podice di Druuna, il personaggio di Paolo Eleuteri Serpieri, che tanto perturba l’oggetto “a” del poeta lineare. 15. Chiudiamola. Il passaggio da “raggruppamento” a “configurazione” non risolve nulla, questo scrisse Paul Ziff: rimangono gli stessi problemi: non si possono identificare le singlossie con raggruppamenti molecolari, più di quanto si possano identificare gli eventi della poesia lineare con gli eventi culturali . Ma ciò non significa che le singlossie debbano essere i corrispondenti visivi dei raggruppamenti molecolari della poesia lineare. Se non c’è nessun raggruppamento molecolare che si trastulla nelle vicinanze di un ramo della Famiglia Poetica, non c’è neppure nessuna singlossia appesa a quel ramo. 16. Per classificare come singlossia una poesia, si adopera una determinata forma di concettualizzazione, mentre per classificare qualcosa come poesia lineare se ne adopera un’altra. Senza sforzarci troppo la vista, possiamo scorgere nella singlossia un insieme di concetti internamente strutturato, quantunque incoerente, una sorta di schema che dà origine agli spiriti incorporei, alla vita ultraterrena, all’alfabeto dei Rosa-Croce, alla telepatia, ai
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romanzi di Umberto Eco, alle Ombre delle Idee di Giordano Bruno, allo Spaccio della Bestia Trionfante, al Sigillo dei sigilli: dal momento che gli spiriti incorporei non costituiscono la materia prima della fisiologia, non c’è da stupirsi che siano disponibili immediatamente funzioni di traduzione appropriate per tutti i poeti lineari. Ma fortunatamente la decadenza dei concetti è all’ordine del giorno, anche per via dell’azione incessante del protoDams, lo schema mentalistico corrente sta gradualmente rinunciando ai fantasmi e i nostri concetti intellettuali, il pensare, il progettare, lo sperimentare, sono tutti vacillanti, basta dare un’occhiata al proliferare delle lauree honoris causa, sembra che l’intelligenza non differisca in maniera rilevante da una caratteristica di quegli idioti meccanismi dotati della facoltà di accedere a memorie prodigiose, che una volta erano i teatri, della memoria, e, ora, sono i calcolatori elettronici. Ma senza dubbio, nonostante Ignazio Apolloni abbia abbandonato la poesia lineare, è probabile che sopravvivano il dolore e altri concetti comuni: può darsi che, con il tempo, se la poesia lineare sussiste, e la singlossia vada a farsi fottere, si troveranno altre Famiglie Poetiche che adotteranno i poeti superstiti.
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□ INDICE PREFAZIONE di Ignazio Apolloni □ 4 ASTROMALIE (ANOMALIE ASTRONOMICHE) □ 6 LA METEORA DEL 1967 □ 7 SENZA DOMANI □ 8 ANNI DI LUCE □ 9 IL CANTO DEI PAVONI □ 10 ERA LA GENESI □ 11 SAPIENZA BORGHESE □ 12 IL QUASAR PKS 0237-23 DI MONTE PALOMAR □ 13 L’INIZIO E LA FINE □ 14 ALLUCINOGENO □ 15 FECONDAZIONE □ 16 L’OMBRA □ 17 DISNEYLAND – RITRATTO DI UN AMERICANO □ 18 RACCONTO DI UNA GIOVANE EBREA □ 19 PIGGY, IL PICCOLO MESSICANO DI LOS ANGELES □ 20 TERRA D’ORIGINE □ 22 L’IPERBOLE □ 23 PERMETTETE CHE MI PRESENTI? □ 24 L’ENERGIA CATATONICA □ 25 QUASI UN GIOCO (poesia a due voci e un coro) □ 27 L’ASTEROIDE ICARO (poesia a due voci e un coro, e un seguito di musica elettronica) □ 30
La poesia lineare con lo step-style di Niusia e divagazione ziffiana sulla poesia lineare e l’abbandono di Apolloni per la Singlossia ▬ by V.S.Gaudio □ 32
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