ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA TESI DI DIPLOMA DI I° LIVELLO IN NUOVE TECNOLOGIE PER L’ARTE ANNO ACCADEMICO 2010 / 2011 RELATORE: MANUEL FRARA CANDIDATI: MARKO BJELANCEVIC - MATTIA MARAGNO TITOLO: BYOB - THE WORLD PROJECTS - IL MONDO PROIETTA
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I N T R O D U Z I O N E
“When I started in video I was one of two or three dozen video artists in 1970. And now, to paraphrase Andy Warhol, everyone’s a video artist. Video, through your cellphone and camcorder, has become a form of speech, and speech is not James Joyce. It’s great, and to be celebrated, but it has to find its own level.” Bill Viola “Quando cominciai con i video ero uno dei primi video artisti nel 1970. E adesso, parafrasando Andy Warhol, chiunque è un video artista. Il video, attraverso il tuo cellulare o la tua videocamera, è diventata una forma di discorso, e il discorso non è James Joyce. É fantastico e deve essere celebrato, ma deve trovare il proprio livello.” Bill Viola
L’affermazione di Bill Viola è ovviamente provocatoria, ma evidenzia in modo diretto quanto il video sia entrato a far parte della vita di ogni essere umano e quanto in verità sia ormai capillare la possibilità di espressione a mezzo video grazie anche all’utilizzo di strumenti tecnologici sempre più maneggevoli. Viola, però, sottolinea anche che lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie hanno fatto perdere, seppure in modo non definitivo, il senso e il valore della creazione di video artistici. Attraverso il video oggigiorno si può comunicare ad ogni livello, esattamente come avviene con le parole. C’è chi può utilizzare le parole come James Joyce e chi invece si limita ad un utilizzo pratico ed essenziale; allo stesso modo le immagini video possono spaziare dalla testimonianza del quotidiano, al reportage di
guerra; dal video illustrativopedagogico al video artistico. I video ripresi da fotocamere del cellulare e riprodotti in internet, i video amatoriali che presentano scene semplici di esperienze giornaliere, i video semiprofessionali o professionali che accompagnano le varie trasmissioni televisive e, a salire, i film che rappresentano le varie forme artistiche del cinema sono uno sfondo inscindibile dal nostro vissuto di tutti i giorni. Citando Andy Warhol, inoltre, Viola ci fa riflettere su un problema che si presenta spesso nell’ambito dell’arte, soprattutto in quel tipo di arte che si avvale di mezzi tecnologici, i quali, anche se molto sofisticati, per la loro semplicità di utilizzo rendono praticamente tutti in grado, per esempio, di poter scattare una foto o di registrare un video. Il valore di un’opera d’arte però
è determinato non solo dal suo valore estetico, ma anche dall’emozione che il “prodotto” finito riesce a suscitare o a trasmettere all’eventuale fruitore dell’opera, dalla sua qualità e, soprattutto, dal suo contenuto. Anche se tutti possiamo avere la stessa capacità di utilizzo di un determinato mezzo, non tutti possiamo avere la stessa sensibilità o efficacia nel comunicare.
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La domanda che inevitabilmente si presenta alla mente in questo contesto è: possiamo parlare di videoarte? E, soprattutto, esiste la videoarte? La risposta è: indubbiamente sì. Dagli inizi degli anni Sessanta in poi sono stati molti gli artisti che hanno studiato e sperimentato l’utilizzo del video quale metodo espressivo. Il video si è rivelato poi uno strumento efficace, flessibile ed in grado di stimolare percezioni e interpretazioni, quando usato dagli artisti, e che ha portato, negli anni settanta, allo sviluppo di un tipo di arte visiva: la video arte. Il mondo dell’arte ha guadagnato così installazioni video capaci di mettere in discussione le abituali categorie di percezione spaziotemporali. Il fruitore infatti non vede l’opera d’arte in modo distaccato e fuori da sé ma propriamente la vive in quanto coinvolto e immerso in una realtà differente, quella creata attorno a lui dall’artista. Inoltre il video ha contribuito a innovare il linguaggio della televisione e quello del cinema,
essendovi per natura apparentato, creando un rapporto dialettico che lega cinema, video e televisione, fatto di reciproche influenze e dipendenze, a volte anche di conflitti. La videoarte può essere un terreno di ricerca difficile e sfuggente, essendo densa di contaminazioni e scambi con altre forme di espressione pressione artistica e vivendo in un costante ossimoro, che la vede forma d’arte nuova ma già ricca di una storia più che quarantennale. Uno dei pionieri della video arte e che ha esposto i suoi lavori in tutto il mondo è Gary Hill. Le maggiori influenze gli sono derivate dall’orientamento intellettuale dell’arte concettuale che ha spopolato negli anni ‘70 e dagli scritti di Maurice Blanchot che gli hanno fornito spunti sul modo in cui il linguaggio incide sull’esperienza fenomenologica. Nel 1976, Hill ha incontrato il poeta George Quasha che, insieme a Charles Stein, ispirano Hill durante i primi esperimenti con il linguaggio. Di formazione scultore, Hill ha
Gary Hill è nato nel 1951. Ha studiato alla Arts Student League di Woodstock, New York. Fra i suoi molti riconoscimenti e fellowships vi sono i premi New York State Council on the Arts, il National Endowment for the Arts, due Rockefeller Foundation Fellowships e un Guggenheim Foundation Fellowship. Tra il 1984-85, soggiorna in Giappone grazie ad una borsa di studio, e nel 1988 è in Francia, grazie ad un altro premio. In entrambi i paesi porta a compimenti importanti lavori. Nel 1998 Hill viene insignito del prestigioso McArthur Foundation Fellowship.
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Nam June Paik nasce a Seul durante il periodo coloniale Coreano. Suo padre era proprietario della maggior ditta produttrice di tessuti. Durante la crescita è stato allenato a fare il pianista classico, ben lontano dall’arte. Nel 1950 durante la guerra coreana, si trasferisce con la famiglia prima ad Hong Kong, e poi più tardi in giappone. 6 anni dopo si laurea presso l’università di Tokyo, con una tesi riguardante il compositore Arnold Schoenberg. Dopo l’università Paik si trasferisce in germania e studia presso l’università di monaco, dove viene in contatto con Joseph Beuys e Wolf Vostell.
iniziato a lavorare con i video nel 1973 ed ha prodotto una notevole raccolta di filmati e video installazioni che sono fra le opere più significative nel campo della video arte. I suoi primi video esplorano le proprietà formali del nuovo mezzo di comunicazione, soprattutto attraverso la combinazione degli elementi visivi e sonori. Queste indagini l’hanno condotto verso ricerche uniche nel campo della linguistica e della percezione che hanno permesso la realizzazione di: Why Do Things Get in a Muddle? (1984), URA ARU (1985-86) e Incidence of Catastrophe (1987-88) cioè di opere che offrono articolazioni sonore ad introspezioni filosofiche e poetiche. Hill vi compone ed armonizza con inedita maestria, immagine, suono, scultura, parola, scritta e parlata. I suoi lavori sono caratterizzati da rigore sperimentale e precisione concettuale, uniti agli slanci creativi dell’invenzione. Forse più di ogni altro artista che utilizza i media suono/immagine, Hill inventa, con il video, una nuova forma di scrittura; consapevole, e talvolta lo rivendica con chiarezza, delle prospettive post-strutturaliste dei mutevoli rapporti fra discorso, scrittura e linguaggio, ma queste installazioni non sono mai condizionate dalla teoria pura né risultano aridamente accademiche. Videotape brillanti, quali soprattutto Primarily Speaking e Happenstance abbagliano con i loro giochi linguistici perspicaci ed illuminanti; imprese come Why Do Things Get In A Muddle? e URA ARU quasi intimidiscono per la loro esecuzione elaborata; e Incidence of Catastrophe, un lavoro da molti considerato come il capolavoro di Gary Hill, semplicemente soggioga per la sua ferocia intellettuale. Sebbene Hill sia il pioniere della videoarte, Nam June Paik è passato alla storia come l’inventore, il padre, il guru di essa. Paik è affascinato dallo strumento televisivo e dalle sue potenzialità, ma lo interpreta agendo dall’interno e nello stesso tempo
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violentandolo, modificandolo in un gioco che tende a spiazzare e ironizzare la capacità stessa di riproduzione del vero. Nam June Paik si forma come musicista e la musica contemporanea è un tratto fondamentale che lo impegna costantemente e si ritrova in tutte le sue opere. Una delle sue performance più significative è la mostra del 1963 intitolata Exposition of Music-Eletronic Television, oggi considerata la prima esposizione di videoarte, basata sull’interazione tra musica e immagine elettronica. Si tratta di un evento che assembla oggetti e momenti finalizzati a provocare sensazioni di coinvolgimento in un aspetto destrutturante: strumenti, pianoforti, pentole e chiavi, un manichino femminile in una vasca da bagno, una testa di toro che cola sangue e tredici televisori che trasmettono immagini modificate: segni-luci vibranti metamorfici collegati ad altrettanti segnalisuono. Attraverso l’introduzione nel mercato della prima videocamera
Paik inizia a sperimentare la manipolazione del segnale elettronico arrivando, attraverso lo studio, ad alterare la comunicazione. Effetto possibile sia per le caratteristiche tecnologiche d’avanguardia dello strumento sia per la sua nuova concezione dell’immagine intessuta alla musica elettronica. Lo studio proseguirà poi non limitandosi alla fusione di immagine e musica ma arrivando all’integrazione anche di altri campi espressivi come la scultura, la pittura, il cinema astratto e Dadaista, la storia, la quotidianità, lo spazio ed il tempo. Paik crea la sua opera rielaborando lo spazio, gli oggetti, i suoni e le immagini non tradendo mai e costantemente integrando la sua cultura e matrice orientale (per esempio: Zen for Tv del 1963). Nam June Paik rimane comunque un sostenitore dello sviluppo tecnologico finalizzato alla più ampia e capillare possibilità di comunicazione possibile. Nel 1974, usa il termine “super highway” applicato alle
Bill Viola nasce a New York nel 1951, Bill Viola si iscrive al College of Visual and Performing Arts della Syracuse University, e inizia a realizzare videoarte nei primi anni settanta. Lavora per affermati artisti come Bruce Nauman e Nam June Paik. Nel 1977, in Australia, incontra Kira Perov, che diverrà la compagna della sua vita; nel 1979 cominciano a lavorare e viaggiare insieme. Nel 1980, Viola si reca in Giappone dove trascorre diciotto mesi per una borsa di studio di scambi culturali. Nel 1981 lavora per sei mesi nel centro ricerche della Sony, sperimentando le più avanzate tecnologie del tempo.
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Vittorio Gallese è neurologo e insegna all’Università di Parma. E’ lo scopritore dei neuroni specchio, un neurone specifico che si attiva sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri.
telecomunicazioni e molti ritengono che possa essere l’autore della definizione: “autostrada dell’informazione”. Di seguito viene riportata l’affermazione che più evidenzia il suo pensiero: “La costruzione di nuove super-autostrade-elettroniche è un sogno sempre più realizzabile. Si potrà in futuro collegare New York con Los Angeles attraverso una rete di telecomunicazione elettronica che opererà con categorie di forte trasmissione, così come con i satelliti continentali, con le guide d’onda, con un cavo coassiale, e in seguito anche con il raggio laser in fibra ottica. Avremo ottenuto un grande vantaggio in termini di benefici ad un costo relativamente basso, pari cioè a quanto investito per un atterraggio sulla Luna”. Sebbene Hill e Paik siano precursori e maestri della videoarte, Bill Viola è senza dubbio il videoartista più conosciuto. Probabilmente perché riesce ad emozionare coniugando poesia e tecnica in controtendenza rispetto al periodo; in un mondo che avanza correndo Viola utilizza la ripresa lentissima, creando immagini che dilatano il tempo e permettono al fruitore di emozionarsi al di là e al di fuori del ragionamento razionale. Viola non ferma e non cristallizza l’emozione nella materia o nella pennellata, ma la plasma attraverso micro movimenti essenziali che trascinano chi osserva in un percorso non solo all’interno dell’immagine, ma anche all’interno della propria mente, del proprio io profondo. Il fruitore, in questo modo, è fuso inscindibilmente e inaspettatamente alla creazione artistica di Viola. La sua arte prende avvio dall’analisi del tempo e del rapporto tempoemozione che regola rapporti sociali all’interno di gruppi umani, come sperimentato da alcuni studiosi contemporanei come Vittorio Gallese. Senza forzature o abbellimenti superflui l’immagine, poi, fluisce essenziale e lenta, permettendo all’osservatore una profonda
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The Greeting Con i moderni mezzi tecnici, Viola crea una rievocazione del famoso quadro di Jacopo da Pontormo e, così facendo, commenta sia la storia della salvezza e la tradizione della pittura. Mentre nella sua pittura il maestro italiano si sforza di cogliere questo momento chiave in tutta la sua lucidità e lascia lo spettatore ad immaginare il dialogo silenzioso, Viola, grazie alla tecnologia video, accede alla possibilità rivelare la pittura nel tempo. Parte del perfezionamento dell’opera risiede, ovviamente, a non ricorrere a una rivisitazione semplice, ma piuttosto nel modo di Viola di stabilire un contatto con il mezzo reale, riducendo la velocità del video, e estende il tempo reale del video da 55 secondi a 10 minuti .
meditazione di sé, un divenire e un crescere attraverso il tempo concesso dall’opera. Effetto che si può notare già in The Reflecting Pool (1979) dove il tempo viene sospeso completamente nel suo racconto principale e viene ripetuto e riproposto in un montaggio che varia e ridefinisce come parziale il fermo immagine. Inoltre questo presentare l’attimo attraverso le due modalità tecniche amplifica il significato del particolare che diviene protagonista e suggestivo. In The Ancient of Days (1979-1981) invece, il tempo, in alcune parti, viene addirittura sovvertito e il filmato è presentato con montaggio all’inverso. Sicuramente le video installazioni più significative sono quelle ispirate al Caravaggio. Dice Viola: “L’arte di Caravaggio, così come la sua vita turbolenta, fu pervasa da un’energia frenetica e inappagabile, che sembrava emergere dalle profondità della terra. La sua più grande conquista può essere in ultimo la sua miracolosa unione di colore e carne. Caravaggio anelava all’incarnazione.”. L’artista, però, è attratto da ogni tipo d’arte e da ogni tradizione culturale e spirituale e questo interesse lo spinge a scegliere per i suoi lavori temi basilari della vita umana: nascita, morte, vita e percorsi interiori. Tra le più apprezzate: The Raft (2004) è una emozionante e potente performance egregiamente sottolineata dal dolby surround: un getto d’acqua scorre su uomini e donne che seguono personali strategie e percorsi di riemersione. Observance ispirato ai Quattro Apostoli di Albrecht Dürer, è stato realizzato per il ciclo The Passions (iniziato nel 1998 al Getty e ispirato a grandi pittori del passato): sedici esseri umani differenti per razza ed età che raffigurano il dolore. The Quintet of the Astonished, che appartiene allo stesso ciclo, è un quadro in movimento con cinque performer ispirato ad una pittura di Hieronymus Bosch: la sorpresa e la comunicazione sembrano essere
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i temi espressivi dei soggetti. Transfiguration, e Three Women s’incentrano sul tema della variazione: lento, bicromatico e con una figura centrale che sembra faticosamente emergere da un fondo bituminoso il primo; più veloce, a tratti intriso di colore e intenso il secondo. Se Bill Viola, come abbiamo detto è serio, poetico, legato specialmente nelle opere più recenti alla tradizione artistica classica, il lavoro di Pippilotti Rist, un’altra artista considerata fra le maggiori esponenti della videoarte, è quasi opposto. Le sue opere sono infatti ironiche, scanzonate, trasgressive e divertenti. Mentre i video di Bill Viola richiedono di essere visti dal principio alla fine, da uno spettatore attento possibilmente seduto su un divanetto di fronte all’opera come in una sala da museo, i video di Pipilotti Rist sono da guardare come una sorta di tappeto visivo e sonoro, e vengono spesso installati dall’artista su uno sfondo casuale di interni già arredati (Utrecht, Centraalmuseum, 2001). La componente musicale è molto rilevante, l’artista infatti ha fatto parte dal 1988 al 1994 di un gruppo rock (Le Reines Prochaines), e collabora stabilmente con il musicista Anders Guggisberg. Dal mondo del rock derivano molte componenti iniziali del lavoro di Rist. In Ever Is Over All, del 1997, installazione video con due proiettori, Pippilotti vuole prendersi gioco della realtà immaginandone una totalmente diversa e quindi riprende una donna che rompe con un fiore i vetri delle auto parcheggiate lungo una strada, mentre una poliziotta che sorride le passa vicino quasi ad assecondarla; in contemporanea, sul secondo video, viene trasmessa una seconda proiezione dove immagini di fiori e natura si susseguono in una gara di colori. La particolarità di Pipilotti Rist è che nelle sue opere reinterpreta tutto quel che ci riguarda in quanto esseri umani. Amore, gioia, disagio, sesso, morte: ci fa perdere come in un meraviglioso viaggio dentro un arcobaleno di toni saturi dentro a quella che, in genere, chiamiamo vita; ne è un significativo esempio Pour Your Body Out del 2008.
Pippilotti Rist, il cui vero nome è Elisabeth Charlotte Rist, è nata nel 1962, è considerata, una fra le maggiori esponenti della videoarte contemporanea. Nata a Grabs nella vallata svilzzera del Reno, Pipilotti ha studiato pubblicità, illustrazione e fotografia all’Istituto di Arti Applicate di Vienna dal 1982 al 1986, e comunicazioni audiovisuali alla Scuola di Design (Schule für Gestaltung) di Basilea nei due anni successivi. Dal 1986 ha lavorato come operatore di computer grafica per diverse aziende e studi. Dal 1988 al 1994 ha tenuto concerti, performances e realizzato CD con il gruppo rock Les Reines Prochaines. E’ stata Visiting Professor all’UCLA di Los Angeles nel 2002-2003, e attualmente vive tra la Sizzera e New York. Pour Your Body Out è un’installazione che prevedeva l’utilizzo di 7354 metri cubi ed è stata esposta al Moma di New York dal 19 Novembre 2008 al 2 Febbraio 2009.
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Doug Aitken è nato a Redondo Beach, California nel 1968. Nel 1987, ha inizialmente studiato illustrazione rivista con Filippo Hays al all’Art Center College of Design di Pasadena, prima della laurea in Belle Arti nel 1991. Si trasferisce a New York nel 1994 dove aveva la sua prima mostra personale alla Galleria 303. Attualmente vive e lavora a Venezia, in California e New York.
Come abbiamo detto un altro aspetto molto importante nel lavoro di Pippilotti Rist è la trasgressione, ne è conferma il suo passaggio alla Biennale di Venezia nel 2005, quando presenta una video installazione alla Chiesa di San Stae che viene censurata a causa delle proteste dei fedeli per la presenza di nudi femminili. Il video ritrae una sorta di Eden o di paradiso terrestre, ma a differenza di quanto scritto nella Bibbia, è abitato da Pepperminta e da sua sorella Amber che danzano e giocano senza sentire apparentemente la mancanza di Adamo. Forse è proprio la sua assenza ad allontanare la minaccia dei sensi di colpa. Pipilotti Rist, si conferma femminista, come lei stessa ha sempre dichiarato, offrendo un posto centrale ai ruoli femminili. Fisicità, effimero ed erotismo sono temi portanti dei suoi lavori. Lo stesso sito web di Pipilotti Rist è stato concepito come un gioco, un’opera d’arte più che uno strumento pratico o di conoscenza, in cui l’artista scherza con le abitudini degli utenti della rete collocando le informazioni in punti inaspettati, utilizzando colori ad alto contrasto, e facendo saltare le corrispondenze tra titolo e contenuto delle sezioni, come se di proposito volesse farci perdere la rotta nella nostra navigazione. Molti sono i video-artisti che continuano a lavorare attualmente nel campo della sperimentazione e che riescono, comunque, ad essere innovativi offrendo installazioni al livello degli autori precedenti. Doug Aitken per esempio si forma utilizzando sia la macchina fotografica che la scultura, si interessa molto di architettura e ama i film narrativi, ma le sue opere migliori rimangono le installazioni video. In un’intervista di Edoardo Bonaspetti per la rivista Mousse (4 novembre 2006) Doug Aitken risponde alla domanda se sia possibile creare oggi qualcosa di innovativo che non sia connesso al passato in questo modo: <<E’ una domanda complicata. Da un certo punto di
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vista, tutto ciò che realizzi è sempre legato al passato, ma allo stesso tempo siamo tutti consapevoli che la nostra società è profondamente mutata rispetto a trent’anni fa. Oggi la nostra vita assomiglia più a un caleidoscopio, è frammentata ed è forse per questo che c’è un forte interesse, un enfasi verso tutto ciò che accade ora, nel presente. E’ un aspetto che mi stimola moltissimo. Tuttavia quando discuto con qualcuno su ciò che è realmente innovativo, mi colpisce l’arretratezza culturale dei nostri modelli narrativi. Ci aspettiamo, ad esempio, che ogni storia abbia un inizio e una fine, che un film abbia una certa durata o che al termine di un libro ci sia sempre una conclusione. Sono aspettative lontane da come veramente percepiamo ciò che ci accade intorno. Mi interessa, quindi, rompere le strutture troppo fisse e lineari; mi piace alterare i linguaggi visivi, modificarne i modelli spaziali e temporali. In generale cerco di trovare un terreno più aderente all’esperienza che ogni giorno abbiamo della vita, qualcosa che assomigli più ad un continuum. Se cammino per strada con un amico, ad esempio, posso parlare con lui e allo stesso tempo osservare qualcuno in una macchina ed un attimo dopo perdermi in un ricordo…>>. Dalle parole dell’artista possiamo capire come, prendendo spunto da Viola per la concezione dell’elaborazione temporale dei suoi video, possa comunque rimanere originale e possa mantenere indipendente e in primo piano il suo modo di vedere l’esperienza umana. Una delle sue caratteristiche è quella di lavorare principalmente con installazioni a schermi multipli. In Sea Diamond (1997), per esempio, in uno spazio quasi buio utilizza due proiezioni video, un monitor sospeso e attraverso l’illuminazione e il colore realizza la sua opera sottolineandola con suoni provenienti da quattro altoparlanti che vogliono creare un effetto di audio surround che cerca di immergere il fruitore in un’esperienza assoluta
Mousse è una rivista d’arte contemporanea in inglese e italiano a cadenza bimestrale. Nasce nel 2006 in un peculiare formato tabloid e contiene interviste, conversazioni, saggi a cura delle più importanti firme della critica e della curatela internazionale, alternati da una serie di rubriche distintive. Mousse registra le tendenze internazionali del contemporaneo grazie anche alla presenza di city editor nelle principali capitali dell’arte, come a Berlino, New York, Londra, Parigi e Los Angeles. Ha una circolazione di 40.000 copie a numero e una distribuzione capillare in Europa, Stati Uniti, Australia e Asia oltre che in Italia dove è un free press magazine.
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di fusione con l’opera d’arte. Le opere più famose sono Sleepwalkers (2007, MOMA) e Migration (2008) che hanno come filo conduttore la dilatazione del tempo, ma che sviluppano il tema in due modi differenti. Nel primo video Aitken proietta sull’edificio del Moma, con l’utilizzo di molteplici proiettori, scene di risveglio quotidiano di svariati performers a significare che si tratta di un atto quotidiano comune a tutti gli esseri umani; nel secondo, invece, l’indicazione del tempo dilatato denuncia la nostra incapacità di rispettare a dovere la natura e gli esseri viventi attraverso immagini improbabili di animali ripresi all’interno di stanze generalmente vissute da esseri umani. Anche Douglas Gordon si esprime principalmente attraverso la proiezione su più schermi, ma basando la sua ricerca artistica più sul concetto di memoria e di ripetizione che sul tempo in sé, recuperando al contempo parecchio dal passato e inserendo il tutto in uno spazio accuratamente pensato e costruito. La peculiarità dell’opera di questo artista sta soprattutto nell’utilizzo innovativo del ready-made. Il termine è stato coniato da Marcel Duchamp nel 1915 e definisce un comune manufatto di uso quotidiano (un attaccapanni, uno scolabottiglie, un orinatoio, ecc.) che assurge ad opera d’arte dopo essere stato prelevato dall’artista e posto così com’è in una situazione diversa da quella di utilizzo, che gli sarebbe propria (un museo o una galleria d’arte). Gordon in 24 Hour Psycho (1993) riprende totalmente il film di Hitchcock e lo dilata fino a farlo durare 24 ore, e ciò significa che il movimento rallentatissimo cancella l’effetto della suspance che nel film sarebbe stato il motore e l’aspetto incisivo. In questo modo il film viene estrapolato dal suo contesto naturale e viene di fatto interpretato come ready-made. L’innovazione di Krzysztof Wodiczko si ritrova invece nell’adattare le proiezioni che ha iniziato a realizzare dal 1980 alle facciate dei monumenti
Douglas Gordon è nato a Glasgow e ha studiato arte prima presso la Glasgow School of Art (1984-1988) e in seguito alla Slade School of Fine Art, University College di Londra, dal 1988-1990. La sua prima mostra personale è stata nel 1986. Gordon ha vinto il Turner Prize nel 1996 e l’anno successivo ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia. Nel 2005 ha messo insieme una mostra presso il Deutsche Guggenheim, Berlino chiamato ‘L’Allegoria della Vanità’. Nel 2006 ci fu una mostra di suoi al Museum of Modern Art (MoMA) di New York, chiamata “Timeline”.Nel 2008 ha vinto il premio Roswitha Haftmann.
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Krzysztof Wodiczko: Nasce nella Warsavia del dopoguerra al tempo ancora sotto assedio Sovietico il 16 aprile 1943. All inizio della sua cariera artistica segue un tipo di arte che prevede la proiezione di immaggini sulle mura di galleria, non ancora vere video proiezioni perche in diapositiva. Dopo essersi laureato presso l’ accademia di belle arti di varsavia, tenta la fortuna come immigrato in America e si stabilisce a New York dove le sue proiezioni ideate per le mura delle gallerie prendono il volo e diventano proiezioni molto più grandi mirate a palazzi grandi che spesso e volentieri erano palazzi di giustizia o centravano in qualche modo con la politica.
storici sulle quali verranno proiettate opponendo in questo modo lo spazio fisico dell’architettura alla sua fruizione comune. Wodiczko si dedica soprattutto alla denuncia di problemi sociali e politici. La sua proiezione che ha prodotto maggior scalpore è indubbiamente quella sul timpano dell’ambasciata sudafricana a Londra. Ha posizionato il proiettore sulla colonna di Nelson a Trafalgar Square (Londra nel 1985) e ha fatto partire l’immagine della svastica per sensibilizzare il governo alla richiesta di aiuti economici da parte della delegazione sudafricana. La proiezione è durata pochi minuti, interrotta dalle forze dell’ordine, ma è rimasta molto più a lungo nella coscienza collettiva come testimonianza di denuncia. Oltre all’aspetto che concerne di più la politica, possiamo trovare, nelle sue opere, una sorta di volontà di riappropriazione della città, in particolar modo dei luoghi pubblici. Wodiczko, infatti utilizza degli spazi urbani come scenari delle proprie installazioni operando con forte senso politico sulla misura dello spazio urbano. Egli sostiene: “Negli anni ‘80, emersero svariate idee influenzate dalla critica della geografia urbana: idee di sviluppo ineguale, di lotta urbana e di resistenza culturale. Gli artisti cominciarono a pensare in modo critico l’arte in relazione allo sviluppo in una città e la vita della sua gente. Emersero anche domande di rappresentanza. Come dovrebbe essere rappresentato un determinato gruppo sociale o strato sociale? Molti artisti furono direttamente coinvolti nelle vite degli abitanti delle città.”. Il lavoro di Wodiczko, oltre ad offrire diversi spunti riflessivi, ci fa riflettere anche sullo sviluppo dei mezzi che l’arte utilizza e su quali fossero le difficoltà. Per le sue proiezioni, inizialmente usava dei proiettori di diapositive fisse, ma questo sistema offriva una debole luminosità dell’immagine e una scarsa definizione. L’impiego, in secondo luogo, di proiettori da
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Herbert Marshall McLuhan nasce il 21 luglio 1911 ad Edmonton in Canada, nella provincia dell’Alberta. McLuhan studiò dapprima ingegneria alla Manitoba University, quindi lingua e letteratura inglese all’Università di Cambridge, nel Regno Unito. La fama di Marshall McLuhan è legata alla sua interpretazione visionaria degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all’ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua celebre tesi secondo cui “il medium è il messaggio”.
teatro rese sicuramente le proiezioni molto definite e luminose, ma fu molto scomodo in quanto erano macchinari molto ingombranti e possedevano un peso importante. L’esistenza stessa della video arte e del cinema è strettamente dipendente per non dire essenzialmente imprescindibile dallo sviluppo tecnologico della lanterna magica e della cinepresa. Quasi la concretizzazione dell’affermazione di Marshall McLuhan: “Il medium è il messaggio”. La prima idea di proiettare un’immagine su una superficie è stata concepita da Johannes de Fontana nel 1420. In un suo disegno infatti è stato ritrovato un abbozzo di ciò che oggi potremmo chiamare il primo proiettore. Il disegno del monaco mostrava un marchingegno che utilizzava come fonte luminosa una lanterna e che faceva passare il raggio di luce attraverso una piccola finestra traslucida sulla quale era disegnata la figura di un diavolo con la lancia. L’immagine, probabilmente incisa su un foglio sottile di osso, venne proiettata su un muro utilizzando la fiamma della lanterna. Senza una lente, l’immagine sul muro non avrebbe potuto essere messa correttamente a fuoco e sarebbe quindi risultata sfocata, ma l’idea di de Fontana aveva fornito l’ispirazione per sviluppare un modello di proiezione che funzionasse veramente. Diverse persone presero poi ispirazione da questa idea, ma non si sa con precisione chi sia stato l’inventore effettivo del proiettore. A seconda della nazione di residenza gli inventori probabili possono essere: Pierre Fournier – 1515, Francia Giovanni Battista della Porta – 1589, Italia Athansius Kircher - 1646, Germania Christiaan Huygens – 1659, Olanda Thomas Rasmusser Walgenstein – 1660, Danimarca Claude Millet - 1674, Francia
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Le registrazioni storiche risultano poco chiare. Ciò che è chiaro, invece, è che nel 1646, uno studioso gesuita specializzato nella traduzione di geroglifici egizi, Athansius Kircher (uno dei possibili inventori in lista), ha descritto ed illustrato la lanterna magica nel suo Ars Magna Lucis et Umbrae (La grande arte della Luce e dell’Ombra). Si tratta di una scatola che proietta, dopo averle ingrandite, immagini dipinte, in genere, su vetro. La lanterna magica è formata da: una fonte di luce che può essere: una candela, una lampada a petrolio o una lampada elettrica; una lente che concentra i raggi della luce sul vetro da proiettare (chiamata anche condensatore); uno specchio concavo (detto riflettore), collocato posteriormente alla fonte di luce che riflette i raggi luminosi sul condensatore; una o più lenti che ingrandiscono le immagini proiettate (obiettivo); camino che serve per la fuoriuscita del fumo e il raffreddamento. La lastra decorata viene inserita,
capovolta, tra il condensatore e l’obiettivo. Athansius Kircher sfruttò le potenzialità della lanterna magica trasformandola in un efficace strumento pedagogico e nel libro descrisse anche le sue esperienze di organizzatore di spettacoli. Comunque, con ogni probabilità non fu l’inventore del marchingegno. In realtà, alcuni storici ritengono che il vero inventore sia Christiaan Huygens, matematico, astronomo e fisico olandese che già nel 1655 utilizzando un telescopio di propria produzione riuscì a scoprire la luna di Saturno (Titanio). Studioso eclettico e versatile, aveva ottenuto il brevetto sull’orologio a pendolo. Si occupò anche di ottica, migliorando notevolmente gli strumenti astronomici, costruendo un oculare per cannocchiali formato da due lenti piano-convesse, adatto a ridurre l’aberrazione cromatica e che da lui prese il nome. Propose inoltre nuove tecniche di lavorazione delle lenti e, secondo alcuni documenti, usava
una lanterna riflettente già dal 1659. Huygens ebbe successivamente scambi commerciali con Richard Reeves, un ottico di Londra, che iniziò a vendere lanterne nel 1663. Samuel Pepys, uno scrittore, in un’annotazione nel suo diario relativa al 19 agosto 1666 scrive: “Si rimane d’accordo con il signor Reeves, affinché porti una ‘lanterna’, con immagini in vetro così da farle comparire su una parete”. Un altro scrittore, Thomas Rasmusser Walgenstein (anche lui nella lista dei probabili inventori), è stato il primo a chiamare il dispositivo “Lanterna Magica”, mentre lo stava pubblicizzando in diverse città europee con le sue serate di dimostrazione. La lanterna magica di allora sembrava più che altro un proiettore di diapositive e queste erano molto grandi, ingombranti e fragili. Erano oggetti complessi, fatti di vetro, vernici, legno e metallo. Alcune erano addirittura montate su dispositivi meccanici, come pulegge e verricelli, così che le
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immagini proiettate dalla lanterna potessero avere una parvenza, per quanto grezza, di animazione. Alcune diapositive potevano essere proiettate in modo complesso, cioè in schermate in costante movimento. La luce e la sua percezione da parte dell’occhio sono stati al centro degli studi di parecchi scienziati nella prima metà del XIX secolo, con conseguenti progressi in quest’ambito: i diorami, le lanterne magiche, la fotografia, la prima accensione elettrica (molto prima di Edison) e l’illuminazione pubblica a gas. Michael Faraday è uno di quegli scienziati. Il suo maggior impegno fu indubbiamente nel campo dell’elettricità. Il suo esperimento più famoso è stato la costruzione di una pila di Volta con sette monetine da mezzo penny, tenuti insieme da sette dischi in zinco e sei pezzi di carta immersa in una soluzione salina. Con questa pila decompose il Solfato di magnesio (prima lettera a Abbott, 12 luglio, 1812), scoprendo così il principio dell’induzione elettrica
e mettendo le basi per il primo trasformatore. Successivamente riuscì ad accendere una fiamma di ossigeno-idrogeno su un pezzo di calce viva, che, riscaldata, emanava una luce brillante, simile a quella di un flash per macchine fotografiche. Quest’esperimento catturò l’attenzione di molti scienziati che, dai suoi principi, svilupparono il “riflettore” che diventò la principale fonte di illuminazione per tutti. Nel 1837, i riflettori si svilupparono e divennero sicuri a sufficienza per essere trasferiti in teatro. Sul palco, si poteva dare l’impressione di essere in pieno giorno e lenti e filtri venivano utilizzati per creare gli effetti desiderati. Questo era lo standard in proiezione di luce fino alla fine del 1800, quando arrivarono i sistemi di illuminazione elettrica. Da quel momento la tecnologia migliorò notevolmente anche il proiettore. Comunque a tutt’oggi si tratta di un mezzo sempre meno utilizzato, sostituito dai computer e da programmi specifici di video
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presentazioni. Le presentazioni sono diventate molto importanti sia nei meeting, sia nei congressi ma anche durante le riunioni per l’ordine del giorno: ci sono quindi presentazioni per la vendita, presentazioni per la contabilità, presentazioni motivazionali ecc. ecc. L’elenco potrebbe continuare all’infinito. La necessità di un media migliore del proiettore fu sentita molto presto: “Abbiamo bisogno di un proiettore multimediale che sia piccolo, facile da usare, versatile, affidabile e capace di creare immagini chiare e brillanti di qualsiasi dimensione, in qualsiasi stanza, con qualsiasi luce.” Il proiettore multimediale ha così risposto alla richiesta: nella metà degli anni ‘90, scienziati e ingegneri hanno dato alla luce una nuova tecnologia che ha portato al primo proiettore multimediale. La più recente evoluzione è stata l’elaborazione digitale. L’applicazione dei principi dei proiettori digitali ha consentito lo sviluppo della Digital Light Processing (DLP). La tecnologia
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DLP, creata dalla Texas Instruments, ha preso il potere riflettente di oltre 1,3 milioni di microscopici specchi e l’ha fatta dipendere da un precessore. Ha creato, così, un dispositivo di controllo chiamato Digital Micromirror Device (DMD). I primi proiettori DLP producevano immagini sgranate, ma la tecnologia è migliorata di molto da allora, ed ora immagini luminose e ben definite possono essere riprodotte su qualsiasi superficie da una macchina multimediale. Un’altra esigenza è emersa dalla categoria dei “road warrior”. Il termine è stato coniato per rappresentare gli uomini d’affari che sono spesso in viaggio e che hanno bisogno di una macchina che permetta loro di fare presentazioni professionali e di qualità, ovunque essi siano. Così il loro proiettore doveva essere molto piccolo e leggero, pur mantenendo un’eccezionale chiarezza e luminosità dell’immagine. Oltre a questo c’è stata una grande richiesta di tecnologie molto avanzate per le sale riunioni. La professionalità era la chiave di un proficuo incontro di lavoro, quindi tutti reclamavano attrezzature specialistiche. Molti produttori hanno accolto questa richiesta e quindi i proiettori multimediali sono diventati il fiore all’occhiello per molte aziende che hanno spinto i ricercatori all’innovazione con lo studio di nuove tecnologiche. La necessità, quindi, di un proiettore multimediale, ultra leggero e wireless, dal design user-friendly, che consentisse agli utenti di presentare facilmente qualsiasi combinazione di computer grafica, audio e/o video, per riunioni di lavoro, presentazioni commerciali, sessioni di formazione o dimostrazioni di software, crebbe notevolmente. Nel 1996, la Focus System rispose per prima alla chiamata. I tecnici dell’azienda furono i primi a sviluppare un proiettore SVGA con tecnologia DLP, che produceva immagini digitalmente precise con una
Texas Instruments Incorporated, meglio conosciuta nel mondo della industria elettronica con l’acronimo TI, è una compagnia statunitense, con sede a Dallas in Texas, famosa per lo sviluppo, la produzione e la vendita di dispositivi elettronici a semiconduttori e di tecnologia informatica in genere. La TI, preceduta dalla Intel e dalla Samsung, risulta attualmente essere il terzo produttore mondiale di dispositivi elettronici e possiede centri di produzione, sviluppo e commercializzazione in 3 diversi continenti. Focus Systems è stata la fornitura di soluzioni software personalizzate per oltre 20 anni. Fondata fin dall’inizio dell’era del personal computer, la fondatrice, Valerie Jones, ha riconosciuto che, sebbene il software per ufficio stava diventando più facilmente disponibile e utilizzabile, la crescita della potenza di elaborazione del pc e la domanda di business moderno stava creando una conoscenza e un vuoto di competenze che impediva alla maggior parte degli utenti di ottenere il massimo beneficio dal loro investimento in IT. Per affrontare questa sfida, la fondatrice ha istituito Focus Systems, per la fornitura di sviluppo software, e in seguito anche di formazione IT, per consentire alle imprese e alle organizzazioni di sfruttare al massimo i loro sistemi IT.
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JBL è una società americana di sistemi audio attualmente di proprietà di Harman International. E’ stata fondata nel 1946 da James Bullough Lansing. I loro prodotti principali sono gli altoparlanti e l’elettronica associata. Ci sono due divisioni indipendenti all’interno della società: JBL consumer e JBL Professional.
luminosità superiore a quella di tutti gli altri. Le sue caratteristiche furono in un secondo tempo potenziate da un sistema audio integrato firmato JBL, che comprendeva 2 subwoofer e 2 tweeter ad ampia dispersione, con equalizzatori elettronici che producevano una voce estremamente chiara, ricca e calda. Questo modello vantava inoltre il Kodak’s Color Matching System software, il quale consentiva una maggior accuratezza e compatibilità dei colori tra i vari dispositivi di input; quali scanner e monitor di computer. La creazione dei migliori proiettori LCD multimediali è avvenuta grazie alla collaborazione delle multi-partnership tra produttori. Il proiettore In Focus, ad esempio, è stato il primo di molti modelli ad essere introdotto in questo mercato esigente. Altri produttori che hanno seguito questa strada con modelli simili sono stati: 3M, Proxima, Epson, Polaroid, Sharp, Viewsonic, e altri ancora. Ogni modello ha introdotto alcune modifiche peculiari e/o migliorie. Per esempio poteva essere più piccolo o più leggero, rispetto al suo predecessore. I miglioramenti sono avvenuti di frequente e con velocità, fino ad arrivare ad oggi. I proiettori stanno continuando il loro sviluppo e la loro diffusione. Ora l’attenzione è focalizzata su proiettori 3D, proiettori wireless con controllo remoto da dispositivi di ultima generazione come smartphone e tablet. La continua evoluzione tecnica del proiettore ha necessariamente determinato anche una parallela e continua evoluzione della cinepresa e della videocamera. La videocamera, in effetti, è l’unione di due strumenti cioè la telecamera e il videoregistratore. Nel 1957 la Sony, famosa multinazionale di Tokyo, produce in anteprima mondiale il primo modello di videocamera portatile interamente gestibile da una persona sola. La rivoluzione che porta l’avvento della Portapak nel mondo della video arte è straordinaria perché permette, oltre alla libertà di movimento, la possibilità di visualizzare subito dopo aver effettuato
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le riprese il contenuto delle stesse senza aspettare lo sviluppo dell’allora diffusissima pellicola 16 mm. Con l’avvento della Portapak il video come medium spicca il volo, e la video arte si rivoluziona irreversibilmente per sempre, sembrerebbe quasi fosse stata inventata proprio per gli artisti per riprendere il proprio lavoro, ma anche per documentare performance ed eventi senza bisogno di equipe televisive e attrezzature costose. La qualità che la Portapak offriva era pari a quella dei sistemi professionali che usavano in broadcast e per le riprese di documentari e film. Per meno di mille dollari ci si poteva permettere il lusso di sperimentare, riprendere e sconvolgere per sempre le classiche riprese e reinventarsi nel proprio piccolo con la propria Portapak linguaggi video che sono diventati poi i capolavori della video arte contemporanea. La sua evoluzione non è mai cessata e oggi gli artisti possono avvalersi di videocamere digitali altamente sofisticate che sono capaci di riprendere immagini in 3D oppure di produrre immagini di elevatissima qualità grazie a processori sempre più potenti e al crescente numero di pixel che ha raggiunto circa 1920 per 1080. L’ultima grande innovazione tecnologica si è raggiunta con il perfezionamento del frame rate, che attualmente permette ad una videocamera di registrare circa 50 fotogrammi al secondo.
1920 per 1080: La RED, famosa azienda nel settore di videocamere professionali, ha introdotto nel mercato la Red Epic. Le dimensioni del sensore saranno Super 35, 135 film, 645 (medio formato), e 617, pari alla fotocamera Linhof Technorama. Le risoluzioni orizzontali andranno da 5K a 28K quest’ultimo è l’equivalente di 261 megapixel che corrisponderebbe a 28,000 × 9,334 pixels.
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B Y O B
Bring Your Own Beamer Il nome deriva dalla parola tedesca “Beamer”, uno pseudo-anglicismo di videoproiettore. Rafael Rozendaal é un visual-artist che usa come sua tela la rete di Internet. La sua pratica artistica é composta da siti web, installazioni, disegni e scritti, tutti quanti pubblicati esclusivamente in Internet. Le sue installazioni consistono nel riportare uno spazio virtuale ripreso dai suoi siti internet in un ambiente reale usando le proiezioni e luci per trasformarlo in un esperienza spaziale. Lui è uno dei primi artisti di Net-Art il quale intitola la propria pagina internet con il nome dell’opera, e la fa diventare lei stessa un opera d’arte. La parola festa infatti ha due origini: una risale al latino festum o a dies festus e stava ad indicare un giorno di gioia pubblica, di giubilo, di baldoria, anche se spesso era legato a riti o celebrazioni religiose, veniva inteso come evento gioioso comunitario dove condivisione e partecipazione divenivano fattori molto importanti. Un’origine ancora più antica fa riferimento al termine greco festiao o estiao che indica l’atto di accogliere presso il focolare domestico gli ospiti, confermando il significato originario e profondo di condivisione, di accoglienza e di comunione gioiosa della festa.
BYOB (Bring Your Own Beamer) è un progetto che nasce da un’idea di Rafaël Rozendaal, artista già conosciuto per il suo lavoro basato sull’utilizzo di Internet, che decide di organizzare un evento collettivo, della durata di una notte, invitando il maggior numero di video-artisti ad esprimersi utilizzando il proprio video proiettore e la propria creatività. Una prima definizione che potremmo proporre di BYOB è quella di una nuova formula di esposizione itinerante: per un giorno uno spazio si trasforma nella versione digitale di una quadreria ottocentesca. Il paragone serve a rendere l’idea, anche se può sembrare riduttivo rispetto all’intero progetto che, in circa due anni di attività, ha già ampliato di molto le sue potenzialità, i suoi limiti e il suo futuro, e che continua a svilupparsi e a ridefinirsi. Il nome del progetto: BYOB, acronimo di Bring Your Own Beamer, ricorda e sicuramente prende spunto, reinterpretandolo simbolicamente, da un altro acronimo: BYOB, Bring Your Own Bottles. Coniato in Inghilterra e registrato per la prima volta negli anni ‘50, letteralmente significa: “Bisogna portare le bottiglie da sé”. In sostanza si avvisa che le bevande alcoliche non sono fornite dal padrone di casa o dall’organizzatore della festa, e che quindi devono essere portate dagli invitati o dagli ospiti. Sono presenti anche varianti all’ultima parola, ma sostanzialmente non ne modificano il senso generale: si registrano “Bring Your Own Beer” (“Bisogna portare la birra da sé”), o “Bring Your Own Booze” (“Bisogna portare gli alcolici da sé”). Negli eventi BYOB ritroviamo lo stesso spirito di queste feste; infatti come studiato da molti scrittori, filosofi, antropologi e sociologi come Sigmund Freud o Georges Bataille e altri, il riunirsi per una festa racchiude in sé un momento di relazione sociale complesso, interpretabile come un microcosmo in divenire, nel quale si realizza una riaffermazione dell’ordine sociale e, al contempo, una sua negazione; un microcosmo dove si produce un miglioramento, una crescita collettiva.
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La libertà e la condivisione diventano così due fattori molto importanti all’interno di un evento come questo. Nel progetto BYOB non viene svolta nessuna azione di censura o di “filtraggio” dei contenuti, e il poter utilizzare liberamente l’intero spazio designato all’evento crea nuovi confini per la sperimentazione: proiettare non solo su pareti, ma su alberi, persone e/o qualsiasi superficie scelta, porta a nuove possibilità di contaminazione, influenze e interazione tra contenuto e mezzo. Una proiezione di questo tipo consente quindi all’artista che partecipa di sentirsi libero di esprimersi come desidera. Anche la condivisione, non solo quella materiale di cavi e prese elettriche, ma soprattutto di idee e progetti diventa parte fondamentale di questo evento: un confronto che arricchisce i vari partecipanti di contenuti ed esperienze personali. Sulla base di queste considerazioni, possiamo dire inoltre che il progetto BYOB contestualizzato
alizzato nell’universo artistico come nuovo metodo espositivo, può essere riconosciuto anche come “fenomeno sociale”. Tale teoria infatti definisce un fatto, un accadimento o un momento che incide sulla struttura, sulla tendenza e sugli aspetti della società e che ne modifica le caratteristiche. Il progetto che ora andremo ad analizzare in maniera approfondita in tutte le sue sfaccettature, ha sicuramente creato un modello più adatto al nostro tempo per l’esposizione del lavoro di artisti indirizzati alla sperimentazione delle immagini in movimento, utilizzando lo spazio e le nuove tecnologie in maniera creativa e innovativa. Il “fenomeno sociale” BYOB porta inoltre a stabilire nuove relazioni tra individui e arte, trovando pieno riscontro all’interno del modello social network, un fenomeno in continua espansione nell’era del Web 2.0. Il BYOB è, inizialmente, punto di raccolta virtuale per artisti che lavorano soprattutto con i nuovi media. Ognuno di essi, come le
persone che utilizzano i socialnetwork più famosi, crea un personaggio on-line che interagisce con gli altri, prendendo decisioni, organizzando e commentando il lavoro altrui. L’aspetto che ne deriva e che dona rivelante interesse e novità, è il fatto che tali persone non si limitino a mantenere una comunicazione alterata dal medium, ma che riescano a rendere poi reale il loro incontro e il loro “fare” arte assieme attraverso un evento BYOB. Questo sistema permette che anche le persone senza molti mezzi e soprattutto senza contatti nell’ambito artistico, possano facilmente mettere in mostra il proprio talento, i propri lavori e la propria passione. Il percorso che un artista di solito affronta, oggigiorno, dalla sua scoperta alla sua prima esibizione, può avvenire diversamente partecipando al BYOB. In primo luogo il progetto permette alla persona, attraverso Internet, di decidere se farne parte o meno e quindi di proporsi
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autonomamente; viene perciò a mancare la necessità di una figura esterna, sia essa un collezionista o un curatore, che decida quali artisti possano intervenire all’evento. In secondo luogo, anche persone che vivono in località di periferia dove spesso viene a mancare la giusta considerazione dell’arte contemporanea e la presenza di iniziative, progetti e mostre, possono avvicinarsi e quindi “connettersi” tra loro e al mondo artistico. Per approfondire l’idea base e il perché della nascita del progetto abbiamo intervistato Rafaël Rozendaal il giorno 02/06/2011 in occasione dell’apertura del Padiglione Internet della Biennale di Venezia: Domanda: Com’è nato il BYOB e dove hai trovato l’ispirazione per questo progetto? Rafaël Rozendaal: BYOB, Bring Your Own Beamer, è nato perchè so quanto le mostre collettive siano molto difficili da organiz-
zare e mi sono reso conto che tutti i miei amici stavano lavorando nel campo delle immagini in movimento. Mi trovavo a Berlino dove la mia amica Anne De Vries ha un grande studio a disposizione e le parlai della mia idea e lei disse: <<Perché non realizziamo questo progetto insieme?>> e abbiamo creato questa tipo di esposizione. Tutti arrivarono con i loro proiettori ed ero sorpreso da quanto fosse facile e divertente, perciò decidemmo di farlo dappertutto. Ne facemmo alcuni, ma poi caricai un manuale online e gente in tutto il mondo iniziò a fare dei BYOB. Piace molto alla gente, è una maniera facile e divertente per esporre i propri lavori. D: Qual è il messaggio di questo progetto e degli artisti che vi partecipano? R: BYOB è nato perché credo che ci troviamo in lenta transizione verso un mondo dove ogni superficie può diventare uno schermo. Un giorno ci troveremo in qualche luogo dove potremo decidere
cosa potrà essere definita superficie e cosa schermo. Perciò io immagino un futuro dove si possa camminare e internet sia attorno a te. BYOB è una sorta di versione anticipata di ciò, un luogo aperto dove la gente entra, mostra ciò che vuole e trasforma lo spazio. Inoltre si tratta di una iniziativa sulla responsabilità individuale, perché gli artisti si prendono cura del loro equipaggiamento, portano i loro lavori che non vengono filtrati, fanno quello che vogliono. Si tratta, dunque, di indipendenza. Chiunque può iniziare un BYOB, è un’idea aperta, curata con il metodo open source, per cui chiunque voglia iniziarne uno può farlo. E’ sufficiente inviare una e-mail e noi mettiamo le immagini on-line. Più precisamente, riguarda questi individui che si conoscono tra loro tramite internet, provenienti da tutto il mondo, e che ora si stanno radunando in luoghi diversi. L’energia è molto positiva perché tutti sono felici di poter esporre ad un evento utilizzando i nuovi media.
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D: Quale pensi sia la connessione tra BYOB e social network? R: BYOB è un social network dove non c’è revisione, chiunque può entrare. Vi sono vari curatori che selezionano artisti, quindi un gran numero di persone da tutto il mondo che inizia ad incontrarsi. E’ un evento sociale dove persone che si conoscono on-line si incontrano nella vita reale. Persone che creano un personaggio on-line e che, poi, per la prima volta si possono incontrare veramente tra di loro. D: Cosa ha unito il BYOB ed il padiglione internet dell’attuale biennale di Venezia? Com’è nata la collaborazione con I curatori, tra cui Gloria Maria Cappelletti e Miltos Manetas? R: BYOB sta andando avanti da un anno, in 10 mesi sono stati realizzati 28 eventi ispirati da BYOB in tutto il mondo, proprio perché è molto spontaneo e molto facile. All’ultima edizione della biennale c’ero anch’io nel Padiglione Internet, così quest’anno
Miltos ha detto ‘facciamo il BYOB’ e mi ha fatto piacere farlo, chiunque può farne uno, perciò perché non realizzarlo qui, naturalmente questa è decisamente l’ubicazione più importante che BYOB abbia avuto finora. D: Da cosa deriva la scelta di impostare questo evento in uno spazio all’aperto? R: BYOB è veramente nato per rispettare la libertà di proiezione e la libertà dell’individuo. Hai un proiettore e puoi andare ovunque. Finora è stato un po’ limitato all’ambiente delle persone che usano Internet e alle gallerie, ma mi piacerebbe che diventasse un evento dove semplicemente la gente si raduna; in un deserto o su una barca, proiettando da un edificio su una barca, da un tetto verso un altro edificio. Queste immagini possono essere ovunque, perché credo veramente in questo futuro dove tutto può essere utilizzato come uno schermo. Il computer ci da l’opportunità di creare il nostro
mondo sullo schermo e allora forse, quando tutto sarà uno schermo, potremo creare un altro mondo intero. E’ per questo che BYOB dovrebbe essere ovunque. Tra i punti di forza che il progetto BYOB possiede spicca la semplicità organizzativa, data anche dalla presenza di un manuale che descrive come poter organizzare un evento BYOB. Riportiamo di seguito tale guida citata anche da Rafaël Rozendaal nella sua intervista: BYOB (Porta i tuo proiettore personale) è una serie di esibizioni di una notte che ospitano artisti e i loro proiettori. Tutti possono fare un esibizione BYOB. E’ molto semplice: - trova uno spazio - invita degli artisti - chiedigli di portare i loro proiettori. Per favore leggi le FAQ se vuoi organizzare il tuo BYOB.
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BYOB FAQ
-Io voglio organizzare un BYOB da solo, è ok?
-Che cos’è BYOB? BYOB è una serie di esibizione di una notte, curata da diverse persone in tutto il mondo. L’idea è semplice: trova uno spazio, invita degli artisti, chiedigli di portare i loro proiettori. BYOB è un modo di fare una grande mostra senza budget. E’ inoltre un’esplorazione del proiettore come mezzo. -Chi ha creato il BYOB? BYOB è un’idea nata da Rafaël Rozendaal. La prima edizione del BYOB fu avviata da Anne de Vries e Rafaël Rozendaal a Berlino. Questo sito è stato disegnato da Katja Novitskova. -Che cosa vuol dire BYOB? BYOB è un acronimo per “Bring Your Own Beamer”. In Europa i proiettori sono spesso definiti come “beamers”.
Si! BYOB è un’idea aperta, e più volte accade meglio è. Mandami una email con i dettagli del tuo evento (titolo, url, data, luogo, un’icona di 200x200) e io la posterò sul sito del BYOB. Sarebbe apprezzato se tu mi accreditassi (Rafaël Rozendaal) come inventore del BYOB e linkassi a www.byobworldwide.com. -Quanti artisti dovrei invitare al mio BYOB? Il più grande numero possibile. -Chiunque abbia un proiettore può entrare e aggiungersi all’esibizione? Questo sta a te. Tu puoi invitare un certo numero di artisti, o lasciarlo completamente aperto a tutti. Questo sarebbe fantastico, ma potresti sovraccaricare il sistema elettrico. -Qualche suggerimento pratico?
L’elettricità è molto importante. E’ meglio dividere l’equipaggiamento in tante differenti prese quante ne sono possibili. E’ inoltre una buona idea pensare a dove andare dopo, quando tutti impacchettano la loro roba, è bello pensare ad una destinazione per festeggiare tutti assieme. -Perchè BYOB? BYOB è la festa del nuovo mondo in cui viviamo e un’occhiata di che cosa l’informatica potrebbe essere in un futuro. Oggi Internet è confinato agli schermi. Domani le informazioni ci circonderanno, componendo le nostre superfici, definendo i nostri spazi, impigliando se stesso con l’etere. Un’immagine in movimento non è mai un oggetto, e quando si accoppia con la maggiore flessibilità della proiezione portatile, il regno dell’esperienza si espande rapidamente. -Il BYOB è solo per artisti che lavorano con internet?
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NO! BYOB è per tutti coloro che sono interessati in luci in movimento, suoni e performance. La proiezione può significare molte cose. I proiettori sono molto flessibili e creano la libertà di arrivare ad insegnare altri lavori, a muovere le cose attorno, e a creare un’esperienza dinamica e collaborativa. Spero che ci saranno diversi tipi di BYOB.
Rafaël Rozendaal, 2010.
in informatica per indicare un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) permettono, anzi favoriscono, il libero studio e approvano l’apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. La collaborazione di più parti (in genere libera e spontanea) permette al prodotto finale di raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di lavoro. L’open source ha tratto grande beneficio da Internet, perché esso permette a programmatori geograficamente distanti di coordinarsi e lavorare allo stesso progetto. Utilizzando BYOB non crescono solo le singole persone che mettono a confronto i propri lavori e le proprie idee artistiche, ma cresce anche il progetto come luogo dove arte e persone ritrovano una comunicazione proficua.
In termini di licenze, questa divulgazione si chiama open source, che tradotto in italiano significa sorgente aperta, termine usato
La semplicità a cui fa riferimento Rafaël Rozendaal in relazione all’organizzazione di un evento BYOB, ossia che ognuno di noi
-Puoi postare la documentazione del mio BYOB? Se tu hai foto e video del tuo BYOB (500 px di larghezza), postale sul tuo Tumblr, e io li posterò a mia volta su www.byobworldwide.com -Ci sono delle regole? BYOB dovrebbe essere facile, divertente e senza stress.
Open Source: Alla filosofia del movimento open source si ispira il movimento open content (contenuti aperti): in questo caso ad essere liberamente disponibile non è il codice sorgente di un software ma contenuti editoriali quali testi, immagini, video e musica. Wikipedia è un chiaro esempio dei frutti di questo movimento. Attualmente l’open source tende ad assumere rilievo filosofico. Consistendo in una nuova concezione della vita, aperta e refrattaria ad ogni oscurantismo, l’open source si propone di superare mediante la condivisione della conoscenza.
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Arts and Craft Movement (movimento delle arti e dell’artigianato) è stato un movimento artistico per la riforma delle arti applicate, una sorta di reazione colta di artisti ed intellettuali all’industrializzazione del tardo Ottocento. Tale reazione considera l’artigianato come espressione del lavoro dell’uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo e tende a disprezzare i pessimi prodotti, per la bassa qualità dei materiali, per le forme e per il miscuglio confuso di stili, distribuiti dalla produzione industriale.
possa farlo, può essere collegata alla moderna filosofia del DIY (Do it yourself). Il DIY, che tradotto letteralmente sarebbe “Fai da te”, è una locuzione usata per descrivere la costruzione, la modifica o la riparazione di qualcosa senza l’ausilio di esperti o professionisti. La frase “fai da te” è entrata in uso comune negli anni ‘50 in riferimento ai progetti di miglioramento delle case che la gente poteva scegliere di eseguire in modo autosufficiente. Negli ultimi anni, il termine ha assunto un significato più ampio, che definisce una vasta gamma di media indipendenti come etichette discografiche, web-tv, stazioni radio pirata e comunità delle zine (intesa come l’insieme delle riviste e dei giornali autonomi presenti in Internet). In questo contesto il “fai da te” è legato al movimento Arts and Crafts, in quanto si propone come alternativa alla cultura promossa dalla nostra odierna società, ovvero quella consumistica. Il suo scopo è quello di insegnare a fare affidamento su se stessi per soddisfare i propri bisogni, dal coltivare frutta e verdura a casa, al costruire un’antenna o un pannello solare. Tutto questo è possibile utilizzando come mezzo di comunicazione Internet e in particolare la divulgazione di informazioni attraverso i blog, di video-tutorial tramite Youtube. Ecco perché BYOB è anche un’iniziativa che sa di indipendenza. Gli artisti devono farsi carico degli aspetti più tecnici che la loro opera richiede per esprimersi, ampliando così il ventaglio di possibili problemi che essi solitamente devono risolvere. Questa dinamica li fa riflettere a livello personale, sulle proprie conoscenze e capacità, al fine di poter essere completi come artisti. La prima opportunità per scoprire il BYOB ed il suo fascino si ebbe a Berlino il 20 Luglio al Bureau Friederich Projectstudio, tramite la collaborazione di Rafaël Rozendaal e Anne De Vries e contò la partecipazione di 24 artisti: AIDS-3D, Aleksandra Domanovic, Andreas
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Angelidakis, Andrew Kerton, Angelo Plessas, Billy Rennekamp, Constant Dullaart, Dafna Maimon, Darri Lorenzen, Emile Zile, Hayley Silverman, Helga Wretman, Jaime Whipple, Juliette Bonneviot, Kari Altmann, Katja Novitskova, Kinga Kielczynska, Lindsay Lawson, Mike Ruiz, Oliver Laric, Spiros Hadjidjanos, Timur Si-Qin, Voin de Voin, Wojciech Kosma. L’iniziativa venne accolta da tutti in maniera positiva e riscosse un grande successo sia a livello di pubblico, che di artisti partecipanti. La fortuna e la diffusione dell’evento, come è stato sottolineato da Rafaël Rozendaal nella nostra video-intervista, e come detto precedentemente, sta proprio nell’inserimento on-line della guida del BYOB; scelta che farà crescere esponenzialmente la visibilità e le possibilità del progetto. L’espansione a livello mondiale, non sarà determinata da una campagna pubblicitaria, ma dal messaggio trasmesso dai singoli artisti e dalle persone che vogliono farne parte. Questo tipo di diffusione così veloce e capillare si deve ad un nuovo modello di comunicazione definito virale. Esso sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti interessati alla trasmissione di un messaggio ad un numero elevato di utenti finali. La viralità può essere definita come un’evoluzione del passaparola. Pur nascendo da esso, però, la viralità si distingue perché può raggiungere una maggiore quantità di destinatari in minor tempo; perché la scelta volontaria del singolo di divulgare un concetto che ritiene interessante diventa più pregnante e perché i singoli che divulgano diventano anche inconsapevoli promotori del messaggio; perché i singoli utilizzano per la diffusione Internet e i nuovi modi di interagire che ne conseguono come i social network, i videoblog, i blog, le chat e le email. Facendo riferimento ad una affermazione tratta dall’Intervista a Doug Aitken di Edoardo Bonaspetti per la rivista Mousse, 4 novembre 2006
Un video virale è un video che diventa popolare attraverso il processo di condivisione Internet, tipicamente attraverso siti web di video sharing, social media e e-mail.I video virali spesso contengono contenuti umoristici e comprendono sketch comici televisivi, video clip amatoriali e produzioni solo per web. Anche alcuni eventi con testimoni oculari sono stati catturati in video e sono diventati virali.
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Kunsthalle Athena è un centro d’arte flessibile dedicato alla cultura visiva del nostro tempo. Il suo obiettivo principale è quello di reintrodurre l’arte contemporanea e il suo significato ad un pubblico genuino,ponendo come priorità la possibilità della co-produzione e quindi l’estensione della cultura.
<<Sai, penso che ogni ambito della comunicazione cresce nel momento in cui emerge un deficit, una mancanza in un altro ambito. [...]>> si può capire come la nascita di questo tipo di comunicazione (virale) sia data dalla necessità di un diverso modo di comunicare per far fronte all’avanzamento tecnologico del medium Internet. Grazie alla comunicazione virale e alla sua efficacia, il BYOB, nel corso del suo primo anno, ha raggiunto un totale di 28 eventi che racchiudono la partecipazione di circa 560 artisti, e con ogni probabilità porterà ad un’adesione sempre maggiore. Alcune considerazioni sull’efficacia del BYOB sono state descritte dal curatore Angelo Plessas, nel suo testo pubblicato sul sito del BYOB, in occasione del secondo evento che ha avuto luogo al Kunsthalle Athena, il 23 Ottobre del 2010: “Kunsthalle Athena ha l’onore di ospitare l’evento “Porta il Tuo Videoproiettore Personale” (BYOB), gesto “esemplare” e cruciale per sostenere l’espressione creativa in un periodo di crisi finanziaria, sociale e culturale. “Porta il Tuo Videoproiettore Personale” (BYOB) è una mostra che comprende una serie di eventi organizzati da artisti diversi in città ogni volta diverse. In ogni occasione gli organizzatori scelgono gli artisti partecipanti, con l’obiettivo di sperimentare e scoprire “che cosa accadrà nel sito quando sarà pieno di luce in movimento”. In questa serata speciale, sotto la sigla BYOB (un riferimento simbolico alle feste dove gli invitati portano il proprio alcool), gli artisti sono invitati a portare i loro proiettori presentando i loro lavori proiettandoli nei luoghi da essi desiderati. Si tratta di “presentare” immagini in movimento e performance in un contesto fai da te, il quale dovrebbe evolvere organicamente nel corso della serata. Pertanto, un aspetto significativo del concetto di BYOB è quello di essere realizzato senza il sostegno finanziario di terzi, al di là dei partecipanti.
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Il primo evento BYOB si è tenuto con grande successo in Büro Friedrich, Berlino con l’iniziativa di Rafaël Rozendaal e Anne de Vries. Ora, a cura di Angelo Plessas, BYOB fa la sua seconda apparizione mondiale nella Kunsthalle Athena. Tutti gli artisti saranno presenti all’evento, anche coloro che non hanno sede ad Atene [...] Complementare alla manifestazione e durante la notte, si svolgerà una performance dall’artista Angelo Plessas e dell’artista giapponese Mai Ueda seguito dal dj set di Amateurboyz e Emile Zile. Noi crediamo che un tale campo illimitato di espressione possa sorprendere anche il pubblico più esigente!” L’espansione del progetto cresce partendo da Berlino e attraversando: Atene, New York, Los Angeles, Portland, Austin, Vienna, Londra, Toronto, Città del Messico, Dublino, Vancouver, Parigi, Chicago, Monaco, Medellin, San Francisco, Marsiglia, Copenhagen, Denver, Pittsburgh, Edimburgo, Boston, Eindhoven, Utrecht, Madrid, fino ad arrivare a Venezia, presentato all’apertura del Padiglione Internet della Biennale di Venezia il 2 Giugno 2011, per poi continuare a Seoul, Gerusalemme, Bonn, Guatemala, Minneapolis, New Orleans, Tokyo e Myanmar. I curatori dell’evento di Venezia sono stati: Margherita Balzerani, Gloria Maria Cappelletti, Caroline Corbetta, Silvia Ferri De Lazara, Marina Fokidis, Elena Giulia Rossi, Valentina Tanni, Mara Sartore, Yvonne Force Villareal, Doreen Reemen, Jan Aman, Manuel Frara, David Quiles Guilló, Miltos Manetas, Lev Manovich, Angelo Plessas, Rafaël Rozendaal, Domenico Quaranta, Francesco Urbano and Francesco Ragazzi. L’evento ha visto la partecipazione di 59 artisti: Agnes Bolt, Alterazioni Video, Andreas Angelidakis, Angelo Plessas, Anna Franceschini, Billy Rennekamp, Britta Thie, Claudia Rossini, Cristian Bugatti, Eilis McDonald, Elisa Giardina Papa, Giallo Concialdi, Hayley Silverman, Interno3, Iocose, Jaime Martinez, Jeremy Bailey, KUNSTKAMMER,
Büro Friedrich è un luogo per l’arte contemporanea nel centro di Berlino. In un clima di intensa attività espositiva commerciale e non commerciale, BüroFriedrich si posiziona come una struttura di intermediazione per l’arte contemporanea. Aperto nel 1997, si trova ora tra le altre gallerie nella S-Bahn. Rappresenta un programma internazionale di artisti e di altri produttori culturali dedicati alle arti visive. Mostre, conferenze e convegni hanno lo scopo di stimolare un dialogo tra artisti, collezionisti, curatori, scrittori e pubblico.
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Les liens invisibles, LG Williams/ Estate Of LG Williams, Luca Bolognesi, LuckyPDF, Marc Kremers, Marco Cadioli, Marisa Olson, Marlous Borm, Martin Cole, Matteo Erenbourg, Mai Ueda, Mike Ruiz, Miltos Manetas, Nazareno Crea, Nikola Tosic, Parker Ito, Pegy Zali, Petros Moris, Priscilla Tea, Protey Temen, Rafaël Rozendaal, Rene Abythe, Riley Harmon, Sarah Ciraci, Sarah Hartnett, Theodoros Giannakis, UBERMORGEN.COM, Valery Grancer, Wojciech Kosma, Yuri Pattison, Constant Dullaart, Daniel Swan, Duncan Malashock, Jodi, Panos Tsagaris, Travess Smalley, Jerstin Crosby, James Robert Southard, Jamie Walters, Simon Perathoner. Il suo passaggio alla Biennale è stato breve, ma intenso. Il BYOB veneziano ha preso inizio verso il tramonto ed ha animato di luce i muri, il prato e persino gli alberi dell’isola di San Servolo, in un caleidoscopio di immagini in continua mutazione. Gli artisti infatti, sia nazionali che internazionali, hanno dato
sfoggio ad una notevole mole di proiezioni: da un lettore di diapositive che proietta sul muro immagini contrastanti tra contemporaneo e passato, al video mapping di particolari specifici delle pareti dell’edificio, che ha ospitato le maggior parte delle proiezioni, da un cortometraggio ad un groviglio di forme colorate che volteggiano senza sosta l’una alla ricerca dell’altra, da fotografie che si modificano creando nuove identità di se stesse per arrivare a messaggi sociali e video che lavorano su font e comunicazione più tradizionale. La scelta di organizzarlo all’aperto ha sicuramente aumentato la poetica di tutto ciò e ha reso eteree , queste proiezioni potenti e colorate, come se si mescolassero al magia della notte veneziana. Purtroppo però la scelta dell’esterno come spazio per l’evento, ha anche caratterizzato la fine dell’esibizione. Dopo un paio d’ore infatti, nei quali vi erano susseguiti alcuni problemi tecnici, un inaspettato acquazzone ha arrestato
bruscamente la performance, proprio mentre il pubblico iniziava ad affluire più numeroso. Alcuni artisti non si sono arresi, spostando la loro attrezzatura e trovando altre superfici per la loro proiezione, sono riusciti comunque a continuare, ma la maggior parte temeva per la propria attrezzatura così da decretarne la fine. La cura dell’evento e la sua realizzazione sono stati descritti nelle due nostre video-interviste registrate il giorno 09/05/2011, in occasione di un sopralluogo alla sede di San Servolo che ha ospitato l’evento.
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Gloria Maria Cappelletti è stata da noi intervistata in relazione alla sua posizione di curatrice del padiglione internet: Domanda: Com’è nata l’idea di presentare BYOB a Venezia? E in particolar modo la collaborazione con l’ Accademia e il dipartimento NTA? Gloria Maria Cappelletti: L’idea di portare BYOB e il padiglione internet a Venezia è nata dalla mia collaborazione con Miltos Manetas e Rafaël Rozendaal con i quali condividiamo quest’idea da un paio d’anni. Per la biennale del 2011 abbiamo contattato Francesco Urbano e Francesco Ragazzi, con cui abbiamo lavorato insieme ad alcuni progetti e così abbiamo parlato anche con loro dell’idea di occuparci nuovamente del padiglione internet presentando BYOB. Loro mi hanno presentato Manuel Frara, pensando che sarebbe stato un incontro interessante. Abbiamo condiviso, infatti, idee e visioni sui new media attraverso internet ed abbiamo iniziato a discu
tere e a collaborare insieme. D:Quali sono secondo te i punti chiave del progetto BYOB e perché ti sei avvicinata a questo progetto? G: BYOB è un progetto molto interessante, Rafaël Rozendaal l’ha creato un anno e mezzo fa ed è stato un modo molto spontaneo per gli artisti di incontrarsi e lavorare insieme condividendo idee. Oggigiorno le idee sono come un network ed è per questo che sono interessata anche a lavorare con artisti che condividono internet e contenuti. Scambiare idee è come scambiare contenuti on-line e questo è il modo in cui BYOB è nato, un modo molto spontaneo di avere diversi artisti insieme nello stesso posto che proiettano il loro lavoro. Lo scopo dell’idea è che ognuno esponga il proprio lavoro e che poi verrà mostrato assieme a quello di tutti gli altri e questo è molto simile alle società contemporanee che creano il d i a l o g o on-line. E’ come un network di
Gloria Maria Cappelletti è una gallerista che vive e lavora a Venezia. La sua galleria, nasce nel 2009 presentando l’opera di Miltos Manetas. L’obiettivo della galleria è di lavorare con artisti multimediali e sperimentali, concentrati soprattutto nell’uso di internet; ma anche con artisti neoprimitivi e outsiders. Si propone di lavorare con artisti che si interrogano sul ruolo dell’arte nella società contemporanea. La galleria considera propria responsabilità lavorare con gli artisti a lungo termine e rappresentarli coinvolgendo gallerie internazionali, musei e collezioni d’arte. Lo scopo principale della galleria è quello di essere uno spazio pubblico, dove condividere idee e la passione per l’arte contemporanea.
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Miltos Manetas ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Ha iniziato la sua carriera in Italia, a Milano, negli anni ottanta con una personale presso la Galleria Fac-Simile. Proprio qui ha conosciuto la sua compagna Vanessa Beecroft dato che anche lei esponeva alla Fac-Simile. Manetas e Beecroft sono partiti per gli Stati Uniti nel 1996 e si sono separati nel 1999, quando Manetas si è trasferito a Los Angeles. Come uno psicologo “postcontemporaneo”, Manetas analizza nel suo lavoro il rapporto tra computer, videogiochi e umani. Una parte del lavoro è “classico” (pitture ad olio) l’altra è costituita da Neen e dai lavori in Internet.
idee condivise, concetto che sta alla base dell’idea ar tistica di un social network. Questo è BYOB ed è ciò che presenteremo al dipartimento delle Nuove Tecnologie per le Arti dell’Accademia di belle arti qui a Venezia, per la biennale. D: Come secondo te BYOB vive/ utilizza/trasforma lo spazio in cui si trova? G: E’ casuale, è un modo completamente spontaneo di prendere lo spazio e sfruttarlo. Non si segue un vero schema perché l’idea è di prendere il lavoro e creare un nuovo corpo di lavoro collettivo. E’ un po’ anarchico nel senso che non ci sono regole, l’idea si basa sulla libertà e sulla condivisione della stessa quindi il risultato è un unico corpo di lavoro. Gli artisti e i loro lavori contribuiscono a creare questo nuovo corpo che sarà digitale, non reale. Abbiamo intervistato Miltos Manetas, nelle sue vesti di curatore del Padiglione Internet, che
segue per la seconda volta. Nel suo intervento, molto discorsivo, racconta liberamente la sua esperienza di quest’anno con una particolare attenzione sia al luogo fisico che ospita l’evento, cioè l’Accademia di Belle Arti di Venezia, sia al suo concetto come scuola e si sofferma approfonditamente su Internet e su quello che lui ritiene essere il futuro di questo mezzo di comunicazione. “Mi avete chiesto come e perché ho iniziato a creare il padiglione Internet. L’inizio è stato due anni fa quando il direttore della biennale Daniel Birnbaum invitò Yan Aman e gli disse ‘’Perché non ti senti con Miltos per vedere se ha qualche idea interessante per la biennale di Venezia? Sarebbe opportuno che Miltos collaborasse con noi ad un progetto”. Questo progetto ha avuto molti stadi di gestazione, prima di potersi concretizzare. All’inizio ho avuto un’idea molto
complessa, che richiedeva molto denaro, tutto era troppo costoso per un momento di crisi come questo. Non potevamo trovare i fondi per fare i progetti. Ad un certo punto, scoraggiato, ho deciso di abbandonare l’idea di realizzare un progetto in collaborazione con la biennale. Mi ricordo che andai a farmi una doccia e mentre mi facevo la doccia ho pensato che quello che avrei veramente voluto come mezzo espressivo e quello che era veramente promettente al momento, era Internet. Per lavorare con Internet, per realizzare un padiglione Internet non c’è bisogno di fondi. Serve solo Internet. Non è nemmeno necessario uno spazio. Perché internet è uno spazio in sé. Iniziò così, dalla semplice idea che internet è il nostro nuovo paese e che siamo tutti cittadini di questo paese chiamato Internet. Un paese del quale non ci vergogniamo di essere cittadini, dato che nessuno ha mai ucciso, ancora, in nome di internet.
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Un paese molto internazionale, aperto a tutti. Mi sono detto facciamo un padiglione internet, creiamo un padiglione internet per la biennale di Venezia. Nella seconda fase ho iniziato a pensare a come fare per creare un padiglione internet, non virtuale, nella realtà fisica e a che cosa significa farne uno. Ho cominciato, perciò, a viaggiare attraverso l’America, da una costa all’altra con la macchina, alla ricerca di un significato. E, in questa seconda fase, ho incontrato il padre di internet, il signor Leonard Kleinrock, l’ uomo che nel 1969 collegò per la prima volta due computer e inviò la prima e-mail al mondo. Lui mi disse che ha problemi con il concetto “internet”, perché, pur rimanendo di fondo uno strumento utile e interessante non può essere utilizzato veramente ovunque. Cioè ci si può collegare da questo posto o da un altro, ma non, per esempio, dal mezzo
della galassia o dal centro del mondo e neppure da una caverna. Ci sono posti sul pianeta e nell’universo dai quali non ci si può connettere, questo è un problema. Non ti puoi connettere, poi, con ogni mezzo, ci sono solo certe apparecchiature attraverso le quali è realizzabile la connessione. Ci si può connettere con un computer, con un blackberry ma non con tutti gli apparecchi. Questo è un secondo problema. Inoltre, e questo è il terzo problema, gli apparecchi coi quali ci connettiamo sono ancora visibili e materialmente esistenti. Il Sig. Kleinrock ritiene, infatti, che sarebbe interessante se si potesse realizzare un livello superiore di internet, se si potesse realizzare, cioè, la connessione da ogni luogo e con ogni oggetto: con una forchetta, con un coltello, con una pietra. Alla fine il mezzo non sarebbe più visibile, anzi, in realtà, non esisterebbe affatto.
Gli ho allora chiesto: ‘’Sig. Kleinrock lei vorrebbe che internet diventasse un livello della natura, che esistesse nella realtà come tutto il resto esiste in natura?’’ Lui mi ha risposto: ‘’Sì, è esattamente quello che vorrei!’’ Dopo questo incontro ho continuato a pensare al nuovo internet di Kleinrock e all’apertura del padiglione internet a Venezia. Mi sono convinto che era il luogo perfetto per presentare in qualche modo al mondo il nuovo concetto di internet e allo stesso tempo liberare noi stessi e i nostri amici dall’incubo degli apparecchi. I computer sono interessanti, indubbiamente, ma non si può avere voglia per tutta la vita di dipendere da sempre più hardware, macchine e strumenti. Non si può aver voglia di passare la vita a cliccare piccoli bottoni e scrivere tutto il tempo con i blackberry. Credo sarebbe meglio essere di nuovo liberi. Sarebbe fantastico
Sarebbe fantastico se ci si potesse sedere in un giardino e chiedere ad un fiore che vediamo per la prima volta: ‘’Qual è il tuo nome?’’. Sì, decisamente sarebbe fantastico, se si volesse sapere qualcosa su quel fiore, solo toccandolo. Senza dover andare alla scrivania, accendere il computer, collegarsi ad internet e trovare le risposte. Decisamente sarebbe meglio stare davanti al fiore, toccarlo e sapere subito qual e il suo nome, come si pronuncia in un’altra lingua, qual e la sua storia, ecc. ecc. In questo modo il database sarebbe tutto attorno alle persone e sarebbe consultabile in modo naturale e semplice. Ho compreso quindi che questo era ciò che volevo creare e quello che dovrebbe essere presentato in un padiglione internet. Una terza fase del progetto mi ha fatto deviare da questo percorso e ho realizzato un padiglione internet stile sit-com con i pirati di Piratebay e altre cose, interessanti ma non coerenti con
la mia iniziale visione del padiglione internet. Due anni dopo, di nuovo la Biennale di Venezia e io di nuovo ho presentato il mio progetto, perché di nuovo mi si è chiesto di curare il padiglione internet, con la premessa di non invitare persone strane come quelle dell’edizione prima. Ci sono stati problemi con alcuni amici di Berlusconi che hanno telefonato e chiesto per quale motivo sono stati invitati pirati informatici e pirati dell’informazione. In effetti non sono piaciuti molto gli haker perché ‘rubano’ informazioni e scaricano abusivamente film e musica. Comunque, il problema è stato risolto dato che con la direzione della Biennale ci siamo accordati che, nel caso avessi dovuto realizzare un nuovo progetto, prima di diffondere qualsiasi notizia alla stampa avrei comunicato le mie intenzioni ai curatori. Cambiarono idea, e decisero, alla fine, di non fare il padiglione internet, e mi dissero vaffanculo 43
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Poi di nuovo decisero di creare questo padiglione e di nuovo mi chiesero di collaborare. Io ringraziai, non intendevo farlo, ma poi mi venne in mente il mio amico Rafaël Rozendaal il quale ha avuto questa magnifica idea del BYOB, una mostra dove le persone si incontrano portando il proprio supporto tecnico e proiettano i propri lavori nello spazio espositivo e creano un’installazione temporanea. Secondo me quando qualcuno si presenta e proietta la propria creazione non fa esattamente arte, ma piuttosto presenta se stesso, ed e quello che, in realtà, trovo magnifico il BYOB. Permette ad una persona qualunque di arrivare e proiettare un pezzo della sua identità per un’ora o due in base alla durata dell’esibizione. Così non potevo realizzare la mia originaria idea del padiglione internet, ma potevo invitare Rafaël Rozendaal e il BYOB con tutti i suoi amici e potevo creare un evento BYOB alla Biennale di Venezia. A volte le cose si vol-
gono al meglio, anche se partono da premesse non ottimali. Sono contento, per esempio, che voi ragazzi vi siate fatti vivi e abbiate chiesto di presentare il padiglione internet a San Servolo nel dipartimento delle nuove tecnologie dell’accademia di belle arti, dove c’è il dipartimento NTA. Mi piace questo concetto, voglio dire mi piace l’intero concetto di un accademia di belle arti come luogo dove ti insegnano come fare arte, ma dato che ci sono tutti questi nuovi strumenti e tutte queste nuove tecnologie, sono felice che ci sia anche un dipartimento di new media dove si possa imparare a fare arte con media differenti, ed è cosi che funziona. Quindi il posto per il padiglione internet è su quest’isola. Sentendola nominare non ho riconosciuto subito il posto, e ho chiesto a Gloria Maria di farmi avere delle foto. Mi sono reso conto che è un posto magnifico e interessante, ma mi sono anche accorto di conoscerlo già, perché
ci sono già stato durante un festival del cortometraggio a ottobre di due anni fa, durante il festival del cinema. Sono stato invitato assieme a un mio amico compositore britannico per creare un evento, così mi presentai e mostrai differenti fatti in internet e il mio amico Howey curava l’aspetto musicale dell’evento. Proprio mentre mi trovavo qui sull’isola in quell’occasione sognai un nuovo tipo di internet. Sognai che poteva nascere proprio da qui, da quest’isola, da un posto come questo, sotto un albero d’ulivo. Mi ero scordato di San Servolo e anche del sogno e, invece, le coincidenze della vita mi riportano ancora qui. E’ vero che nemmeno quest’anno riuscirò a realizzare il mio sogno del nuovo internet, e che presento invece BYOB e i suoi artisti che proiettano in libertà. Ma il processo è ancora in corso ed è diventato più significativo col tempo. Forse nessuno di noi riuscirà mai a crearlo e a presentarlo. Ma sono ancora a Venezia e ancora penso di poterlo realizzare prima o poi.”
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Da questo intervento possiamo capire come la scelta di organizzare il Padiglione Internet e quindi di presentare il BYOB a San Servolo, abbia unito diverso aspetti delle idee che il principale curatore aveva per quest’anno. Il fatto che si volesse presentare il Padiglione Internet come spazio fisico naturale ha trovato riscontro nell’essere di quest’isola, nei suoi giardini e nella sua vegetazione. Ovviamente anche nel concetto di isola in sé: potrebbe essere comparato a quello di Internet, mezzo che permette di connettere e quindi di collegare diverse parti del mondo. Un altro aspetto è quello di presentare il Padiglione Internet in un’ambiente che già favorisce la crescita artistica con la presenza dell’Accademia di Belle Arti ed in particolare il Dipartimento di Nuove Tecnologie per l’Arte. Il coinvolgimento di questa istituzione ha permesso agli studenti stessi una nuova opportunità, per quelli che hanno partecipato, e sicuramente un’esperienza
forte per quelli che hanno assistito all’evento. Partecipando ad un workshop tenuto all’isola di S. Servolo e organizzato dall’Accademia di Belle Arti di Venezia, abbiamo avuto l’occasione di incontrare Valentina Tanni1, la quale ci ha concesso qualche minuto del suo tempo esponendo sinteticamente il suo pensiero a proposito del BYOB, in quanto esperta curatrice contemporanea. Domanda: Secondo te quali sono le prerogative per organizzare un buon evento BYOB? Vlentina: BYOB è praticamente/ fondamentalmente/sostanzialmente un evento per il quale ciò che più conta è la gente. L’energia del momento è l’elemento più importante degli eventi BYOB. Domanda: Gli eventi BYOB sono eventi unici, alcuni più volti alla performance, altri invece alla video proiezione classica. Secondo te, da dove derivano queste differenze?
V: Di nuovo, penso che ledifferenze siano legate alle persone invitate perché i lavori che si vedono durante gli eventi non sono soggetti a una selezione nè pianificati precedentemente, cosicché ogni artista ha la totale libertà di decidere cosa presentare. In certe città si possono trovare artisti che fanno performance o artisti che si interessano di creare un evento affinché esso si possa vivere e non solo vedere. Altre volte invece si trovano contesti in cui ci sono video artisti più tradizionali o artisti che usano l’animazione. Quindi la differenza sta proprio nel tipo di artisti presenti all’evento. Il progetto BYOB nella sua realizzazione incontra diverse difficoltà. Alla sua facilità d’organizzazione corrisponde una consistente difficoltà tecnica che aumenta con l’aumentare del numero di partecipanti. Sempre facendo riferimento alla guida che Rafaël Rozendaal ha inserito online, in uno dei punti descrive come la corrente sia fondamentale alla resa del progetto.
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Se contiamo che ognuno degli artisti partecipanti, che come abbiamo detto di solito sono circa una ventina, avrà per realizzare la sua opera almeno un computer, delle casse e un videoproiettore, significa che venti computer ed altrettanti videoproiettori e circa 40 casse devono avere la possibilità di funzionare per circa tre o quattro ore di seguito e contemporaneamente. È necessario assicurare a tutti non solo l’alimentazione elettrica, ma anche la stabilità e la sicurezza dell’impianto utilizzato, per evitare che i loro strumenti possano essere danneggiati da sbalzi di corrente. Ovviamente l’impianto dovrà avere una forte potenza per sostenere l’impegno e quindi la scelta del luogo di esposizione sarà condizionata anche da questo aspetto. Generalmente il problema può trovare una soluzione soddisfacente utilizzando un generatore di corrente, che si è rivelato molto pratico anche quando si è scelto di realizzare l’esposizione all’aperto.
Ma oltre a ciò bisognerebbe assicurarsi che tutte le spine di collegamento elettrico, i cavi e le ciabatte di tutti i partecipanti siano in buono stato, e non sovraccaricate da più di una presa tripla. Il fatto che gli artisti possano provenire da tutto il mondo accentua l’eventualità di trovarsi di fronte a prese di diversi tipi: in Inghilterra, per esempio, vengono utilizzate prese elettriche di tipo D e tipo M o BS 1363 diverse da quelle americane (tipo A e tipo B con terra), tedesche (presa a spina senza terra), italiane (a tre poli: Spina 23-16/VII 10A; Spina tipo L da 16 A e da 10 A) e svariate altre. L’importanza della validità dell’impianto elettrico è di pari importanza della suddivisione del carico per singola presa fissa. Per realizzare la giusta distribuzione è necessario avere preventivamente un’accurata lista dei materiali necessari e procedere, poi, ad un corretto frazionamento dei punti di alimentazione derivati da prese a parete.
Questo avviene per mezzo di bobine di cavi già provviste di prese secondarie. Necessariamente si dovranno anche superare difficoltà non indifferenti per l’allestimento legate soprattutto alla gestione dei percorsi per i vari cavi, degli spazi fisici per i vari dispositivi, degli spazi fisici per gli artisti e quelli per i fruitori dell’evento. Come abbiamo potuto notare all’apertura del Padiglione Internet della Biennale di Venezia di quest’anno, la scelta di realizzarlo all’esterno è stata sicuramente suggestiva e poetica, ma la pioggia caduta subito dopo un problema tecnico, è riuscita a preoccupare gli artisti stessi per la loro attrezzatura e a infastidire i fruitori. Importante, infatti, è anche prestare attenzione alle esigenze dei visitatori: allo spazio loro dedicato per l’osservazione dei video, a quello che devono utilizzare per gli spostamenti da un’opera all’altra e alla creazione di slarghi dove sarà possibile che si soffermino più a lungo. La luce generale ovviamente 48
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VGA (Video Graphics Array) è uno standard analogico relativo a display per computer introdotto sul mercato nel 1987 daIBM. Il chip VGA può essere installato direttamente sulla scheda madre di un PC con molta facilità.
dovrebbe essere ridotta al minimo per consentire alle proiezioni la massima luminosità e quindi visibilità; la semioscurità necessaria all’esaltazione delle varie installazioni rende però insicuro l’ambiente se non si provvede all’adeguata sistemazione dei vari cavi, che dovrebbero essere o segnalati o raggruppati in un unico fascio e fatto correre, per esempio, lungo le pareti della stanza. Lo spazio all’interno dell’esposizione può essere utilizzato a piacere dagli artisti per installare il proprio lavoro in piena libertà. I curatori dell’esibizione potranno solo prevedere a grandi linee l’utilizzo che ogni partecipante potrà farne. L’artista quindi sarà responsabile del luogo dove disporrà i supporti per i vari dispositivi. Per alcuni, ad esempio, potrebbe essere di fondamentale importanza avere una parete pulita, liscia e bianca per proiettare il loro video; per altri, invece, i muri divelti e scrostati potrebbero divenire un valore aggiunto alla loro opera. Al contempo la musica ovvero le “colonne sonore” dei video saranno molte e molto diversificate tra di loro; alcuni artisti utilizzeranno suoni lievi, altri toni alti e potenti quindi, per esempio, se un artista avesse come sottofondo sonoro un parlato dal tono pacato e poetico, o fosse attrezzato con un sistema audio di scarsa qualità, potrebbe essere sormontato e soffocato se affiancato ad un sistema più potente che emette musica elettronica. Tutto ciò deve far parte sicuramente del bagaglio di responsabilità degli artisti, ma ugualmente dovrebbe essere previsto da chi organizza l’evento. Sicuramente le spese per un evento come questo sono ridotte al minimo. Gli artisti non vengono pagati e non sono pagati neppure i curatori o i collaboratori. Il budget quindi per ospitare il BYOB potrebbe essere al massimo pari all’affitto dello spazio e all’acquisto o al noleggio di prese elettriche, prolunghe, adattatori di vario tipo, jack per casse, cavi VGA per il
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collegamento di computer portatili ecc. ecc, e forse di uno o due proiettori, nell’eventualità che qualche artista possa avere la sfortuna di rompere qualcosa o di dimenticare alcuni accessori necessari alla sua esibizione. Lo spazio dedicato all’evento, nei BYOB, generalmente è allestito spartanamente ed essenzialmente proprio per contenere il budget e anche perché la bellezza viene data dall’interazione tra la luce delle immagini e il luogo così come si presenta. Il fondersi di luce, contenuti, luogo e persone trasforma lo spazio fisico dell’esposizione in un collettivo unico che per osmosi si amalgama in un intreccio di parti viventi e non, digitali e fisiche. Il BYOB si riconferma gesto libero, libero dalla mercificazione artistica, com’è libero il video digitale nel suo essere, infatti in quanto immagine non fisica non può essere né venduto né comprato. Lo spirito del progetto inoltre è quello di ottenere una performance collettiva della durata di una notte quindi ancora più effimero e meno concreto quindi ancor meno commerciabile. In un periodo dove l’arte e la cultura stessa sembrano aver perso valore anche per molti governi, che non riescono a supportarle più con adeguati aiuti finanziari o con iniziative per il loro sostegno, l’espansione e il successo di progetti come BYOB permettono di capire come molte persone anche tra i giovani sarebbero interessate all’arte contemporanea, alla videoarte e ad avvenimenti di questo tipo così autonomi e slegati dalle logiche consumistiche. Ovviamente la grande libertà insita negli eventi BYOB va saputa gestire e va sostenuta dalla responsabilità, dal buon senso e dall’esperienza non solo del singolo, ma anche del gruppo nella sua totalità. Le svariate tecniche usate dagli artisti rendono difficile prevedere quali saranno i problemi da affrontare, ma in questo, forse, sta la ricchezza di un evento BYOB. Non viene già tutto programmato
La Performance è una forma artistica dove l’azione di un individuo o di un gruppo, in un luogo particolare e in un momento particolare costituiscono l’opera. Può avvenire in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, o per una durata di tempo qualsiasi.
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Uno dei software più utilizzati è Max, un ambiente di sviluppo grafico per la musica e la multimedialità ideato ed aggiornato dall’azienda di software Cycling ‘74, con base a San Francisco, California. È utilizzato da oltre quindici anni da compositori, esecutori, progettisti software, ricercatori e artisti interessati a creare software interattivi. L’attuale versione commerciale (Max/MSP) è distribuita dalla compagnia di Zicarelli, la Cycling ‘74, fondata nel 1997. Nel 1996 Miller Puckette realizzò una versione interamente ri-progettata del programma in versione free chiamata Pure Data.
e preordinato, non ci sono temi assegnati che possono limitare i contenuti, i lavori degli artisti vengono visionati al momento, il percorso che gli spettatori effettueranno durante la loro visita non è costruito e costretto. In realtà gli stessi visitatori e organizzatori non sanno cosa andranno a vedere o promuovere; questo è molto interessante perché crea una sorta di sorpresa e un’atmosfera di curiosa aspettativa rispetto all’esposizione. Sicuramente i visitatori e gli organizzatori hanno profonda fiducia nel progetto dato che rimane una scatola chiusa finché le lampadine dei proiettori non si scalderanno così da poter proiettare le opere e dare inizio all’evento. Le tecniche possono spaziare dalla proiezione di diapositive, alla classica proiezione di video; da una performance realizzata con un determinato software al semplice gioco e movimento di lame di luce su un muro bianco. La sperimentazione in questo campo apre all’infinito e accoglie ogni capacità di emozionare con ogni strumento. L’unico limite e l’unico obiettivo è quello di utilizzare immagini in movimento.
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C O N C L U S I O N E
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La domanda che ci poniamo in quest’ultima parte è dove sia in tutto ciò la videoarte. Si può parlare di BYOB in concomitanza di video arte? Ovvero il BYOB è effettivamente promotore di essa? Aggiunge realmente un valore senza essere mero mezzo espositivo? Possiede in sé una profondità che può collimare con i valori e le potenzialità della videoarte? Noi crediamo che sia sicuramente un innovativo e originale metodo di esposizione, ma anche molto altro. Prima di rispondere alla domanda è necessario, però, sottolineare la differenza tra video, videoarte e immagine in movimento, perché non sarebbe corretto imbrigliare il concetto di BYOB nella mera definizione di esposizione di immagini in movimento.
Anche se per loro natura sono così vicini, questi tre termini, definiscono tre forme ben distinte, che al contempo non potrebbero esistere l’una senza l’altra. Il termine video indica in modo generale tutto ciò che viene prodotto dal mezzo e viene utilizzato soprattutto come aggettivo (per esempio video clip per quelli musicali o video spot per quelli commerciali). Il concetto di immagine in movimento indica precisamente le immagini non fisse che variano nel tempo. Se concordiamo sulla definizione di videoarte come linguaggio artistico basato sulla creazione e riproduzione di immagini in movimento mediante strumentazioni video, non possiamo dire che tutte le immagini in movimento e i video in genere facciano parte della videoarte, ma possiamo,
invece, affermare che la definizione di immagine in movimento comprende anche quella di video e videoarte. Il rapporto che li lega non è quindi il risultato di una somma matematica (cioè immagini in movimento + video = videoarte), ma è dato dal loro sviluppo concatenato e realizzato dalla mano dell’artista. Il BYOB è strettamente legato alle immagini in movimento, ai video e alla videoarte. Il progetto fin dall’inizio si è proposto di diventare una grande esposizione e una grande opportunità per svariati artisti che lavorano nel campo delle immagini in movimento, senza mai porre dei limiti contenutistici o mediatici. Il potersi imbattere in un video, in una effimera e frivola immagine in movimento, o in un’opera di videoarte impegnata, o in un semplice esperimento
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artistico è la vera peculiarità del BYOB. Riprendendo sia la frase di Bill Viola citata all’inizio sia il nostro discorso introduttivo, dobbiamo affermare che la massima libertà concessa dal BYOB e la scarsità di regole rendono il livello dei contenuti non sempre uniforme e non sempre di alto livello qualitativo. ‘Il discorso non è James Joyce’, è vero; ma dare l’opportunità a quelli che potrebbero essere i futuri James Joyce della videoarte e poterli mettere in condizione di dimostrare il loro valore, fa essere il BYOB un nuovo strumento per la crescita e l’innovazione della video arte , certamente non quella più specificatamente museale ed esperta, ma sicuramente quella originale, non ancora conosciuta e sperimentale. In definitiva quindi BYOB è una specie di vasto laboratorio dove si progetta tutti assieme, per cercare singolarmente la propria strada. Una performance collettiva libera che ricorda quelle del movimento italiano di arte pove-
ra, per la loro riduzione ai minimi termini della fisicità dell’opera d’arte fino a trasformarla in azione. La videoarte e il BYOB collimano nel valore che danno al singolo. La videoarte si ridefinisce continuamente perché il fatto di poter risultare forte o debole, interessante o banale, di qualità o commerciale, impegnata o frivola, viene deciso dagli artisti attraverso il continuo rinnovo e ampliamento del repertorio artistico. Per il BYOB valgono le stesse considerazioni, ma le sue esposizioni si basano anche sulla responsabilità del singolo e sul rispetto reciproco. La qualità di questo progetto e la sua innovazione sono strettamente legate alla produzione dei singoli artisti e ai gruppi di partecipanti ad ogni serata. Il valore aggiunto che apporta il BYOB alla videoarte, inoltre, va individuato proprio nel livello di qualità che può essere raggiunto nelle sue esposizioni in quanto determinato dalle scelte totalmente libere dei singoli. Nella
videoarte invece, anche per la grande quantità di opere da gestire, il livello viene mantenuto alto attraverso regole e paletti imposti dai curatori. Se la libertà di espressione da un lato può portare gli artisti ai massimi livelli espressivi, dall’altro può anche causare una minore costanza di risultati elevati, che rimangono indubbiamente più stabili in una forma più regolamentata di espressione artistica. Vediamo il BYOB come un nuovo mezzo per l’esprimersi artistico. Un medium creato esclusivamente per la videoarte, canale privilegiato per i suoi artisti. Lo vediamo come una nuova tela, dove la videoarte non espone più il colore fissato e incrostato, ma principalmente il fluido gesto che il pittore fa per stendere il colore. Che scivola via e dà vita ad un bianco altrimenti senza idee. Più precisamente il fluido gesto di una vasta qualità di diverse personalità artistiche che si raggruppa e si esprime nell’arco di una notte.
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B I B L I O G R A F I A
- Arte elettronica, Silvia Bordini, Art Dossier N. 156, Giunti, Firenze: Maggio 2000 - Arte contemporanea e tecniche, Materiali, procedimenti, sperimentazioni, Silvia Bordini, Carocci, Roma 2007 - www.billviola.com - www.garyhill.com - en.wikipedia.org/wiki/Gary_Hill - www.paikstudios.com - en.wikipedia.org/wiki/Nam_June_Paik - www.pbs.org/art21/artists/wodiczko/ - en.wikipedia.org/wiki/Krzysztof_Wodiczko - www.pipilottirist.net - en.wikipedia.org/wiki/Pipilotti_Rist - www.gagosian.com/artists/douglas-gordon/ - www.dougaitkenworkshop.com - en.wikipedia.org/wiki/Doug_Aitken - http://www.gloriavallese.blogspot.com/ - http://www.undo.net/it/
V I D E O G R A F I A
Gary Hill - Why Do Things Get in a Muddle? - Video Tape – Durata 32:00min (1984) Gary Hill - URA ARU – Video Tape – 28:00min (1985-86) Gary Hill - Incidence of Catastrophe – Video Tape – 43:51min (1987-88) Gary Hill - Primarily Speaking - Video Installazione Canale Multiplo - 19:23min (1981-1983) Gary Hill - Happenstance (part one of many parts) – Video Tape b&w – 6:47min (1982-83) Nam June Paik - Zen for Tv – TV vintage manipolata e componenti (1963) Bill Viola - The Reflecting Pool – Video Color – 7:00min (1979) Bill Viola - The Ancient of Days – Video Color - 12:21min (1979-1981) Bill Viola – The Raft – Video Installazione – Video Proiettato su parete 4 x 2.2m – 10:33 min (2004) Bill Viola – Observance – Video Colori HD su schermo a plasma 120,7 x 72,4 x 10,2cm – 10:15min (2002) Bill Viola – The Quintet of the Astonished – Video Installazione – 15:00min (2000) Bill Viola – Transfiguration – Video Installazione (2007) Bill Viola – Three Woman – Video Colori HD su schermo a plasma 155.5 x 92.5 x 12.7cm – 9:06min (2008)
Pipilotti Rist - Ever Is Over All – Video Installazione, doppia proiezione sovrapposta su parete (1997) Pipilotti Rist – Pour Your Body Out – Video Installazione, sette proiettori – superficie 7354m2 (2008) Doug Aitken - Sea Diamond – Video Installazione, due proiettori uno schermo sospeso e un immagine illuminata (1997) Doug Aitken – Sleepwalkers – Proiezione esterna sul MoMA di New York, cinque proiettori (2007) Doug Aitken – Migration (2008) Douglas Gordon – 24 Hour Psycho – Proiezione su telo (1993) Krzystof Wodiczko – Svastika – Proiettore per diapositive su Ambasciata Sud Africana Londra. Trafalgar Square ) (1985)
D I D A S C A L I E
I M M A G I N I
1 Bill Viola, The Messenger, Video, 1983. 2 Gary Hill, Mediations, Video, 1986. 3 Nam June Paik, TV Buddha, Installazione video, 1974. 4 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 5 Bill Viola, The quintet of the Astonished, Retroproiezione video, 2000. 6 Bill Viola, The greeting, Video, 1995. 7 Bill Viola, The raft, Video, 2004. 8 Pipilotti Rist, Pour your body out, Installazione video, 2008. 9 Doug Aitken, Interiors, Installazione video, 2002. 10 Doug Aitken, Migration, Video, 2008. 11 Doug Aitken, Sleepwalkers, Proiezione video, 2007. 12 Douglas Gordon, 24 Hours Psycho, Proiezione video, 1993. 13 Krzysztof Wodiczko, Guests, Proiezione video, 2009. 14 Krzysztof Wodiczko, Proiezione diapositiva, 1988. 15 Primo prototipo di proiettore per diapositive. 16 Proiettore Toshiba. 17 Sensore DLP per proiettore.
18 Sensore DLP per proiettore. 19 Proiettore portatile AIPTEK. 20 Portapak Sony. 21 Portapak Sony. 22 Videocamera Red modello Epic. 23 Nam June Paik, TV Cello, Installazione, 1984. 24 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 25 Screenshot da sito web www.byobworldwide.com. 26 Rafaël Rozendaal, Opera di Net Art, www.petrafael.com. 27 Rafaël Rozendaal, foto da documentazione BYOB Venezia 2011. 28 Screenshot da video documentazione BYOB Denver 2011. 29 Fotografia da documentazione BYOB London 2011. 30 Screenshot da video documentazione BYOB Denver 2011. 31 Screenshot da video documentazione BYOB Denver 2011. 32 Screenshot da video documentazione BYOB Denver 2011. 33 Screenshot da video documentazione BYOB Denver 2011. 34 Screenshot di GIF animata da sito web www.byobworldwide.com.
35 Screenshot di GIF animata da sito web www.byobworldwide.com. 36 Screenshot da video documentazione BYOB Denver 2011. 37 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 38 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 39 Screenshot da video documentazione intervista S. Servolo 09/05/2011. 40 Screenshot da video documentazione intervista S. Servolo 09/05/2011. 41 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 42 Screenshot da video documentazione intervista S. Servolo 09/05/2011. 43 Screenshot da video documentazione intervista S. Servolo 09/05/2011. 44 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 45 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 46 Screenshot da video documentazione intervista Valentina Tanni. 47 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 48 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 49 Screenshot video remix, BYOB Venezia, video virale. 50 Screenshot video remix, BYOB Venezia, video virale. 51 Screenshot video remix, BYOB Venezia, video virale.
52 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 53 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 54 Bill Viola, The reflecting pool, Video, 1979. 55 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 56 Screenshot da video documentazione BYOB Venezia 2011. 57 Screenshot da video documentazione BYOB Berlino 2011.