Acorn - Brand Magazine

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01 Amiamo la tecnologia. Ma siamo certi che nessuna macchina possa sostituire le persone. Per questo ci piace una tecnologia più umana, al servizio delle comunità e soprattutto dei giovani. Ricerchiamo da sempre strumenti per costruire la loro formazione, per prepararli ad affrontare il mondo. Amiamo la partecipazione. Ci affidiamo all’open source perché crediamo che il contributo di ciascuno sia indispensabile per un risultato straordinario, che sia reso disponibile a chiunque. Sappiamo che siete come noi. Così nasce OPEN, uno spazio che accompagnerà la nostra e vostra ricerca di un mondo migliore. Vi offriamo le storie che raccontano di come sta cambiando il modo di relazionarsi alla tecnologia, di come si stia avvicinando sempre di più alle persone, innovativa. Fidatevi del futuro. Da piccole ghiande possono nascere grandi querce. In fondo, oggi come allora, ci piace essere pionieri.


Indice

Stampa 3D alla portata di tutti

+Lab, uno spazio creativo all'intento del Politecnico di Milano per entrare in contatto con l'incredibile mondo della stampa 3D.

Changing life through Design

Educare, insegnare, costruire. L'architettura a portata di comunitĂ .

Il computer che sta in una mano

Raspberry Pi, un nuovo approccio al mondo dell'informatica per la didattica, a solo 35ÂŁ.

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Fra i banchi insieme a Bjork Il tour di Biophilia sbarca a New York: concerti ma anche workshop per ragazzi. La sfida? Ricongiungersi alla natura tramite la tecnologia.

Dalle favole alle edu-app

Il metodo Montessori si evolve e la creativitĂ diventa multimediale, nuovi approcci 2.0 alla didattica.

A scuola con il mio BBC Micro La storia condensata di Acorn è il progetto di un appassionato che ha raccolto il patrimonio in un libro.

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Un occhio al futuro

Piccoli prodotti smart dalle funzioni sorprendenti.

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Stampa 3D alla portata di tutti +Lab, uno spazio creativo all’interno del Politecnico di Milano per entrare in contatto con l’incredibile mondo della stampa 3D.


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+Lab

è un laboratorio di stampanti 3D: il suo intento è quello di diffondere la cultura della stampa 3D a livello accademico e sociale, intervenendo su quegli ambiti in cui questa tecnologia può veramente rappresentare un modo rivoluzionario di pensare e realizzare gli oggetti che utilizziamo tutti i giorni. Data l’importanza della sede in cui opera -il Politecnico di Milano, uno dei focus essenziali della ricerca di +Lab sono i materiali.

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loro lavoro si focalizza sulla caratterizzazione e sullo sviluppo di nuovi materiali relativi alla stampa 3D. Basate sulla filosofia open source, queste macchine offrono una versatilità e una possibilità di intervento come mai prima d’ora. Uno degli obiettivi principali è quello di scoprire tecniche e metodi innovativi


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per ottenere delle stampe qualitativamente e tecnicamente sempre migliori ed efficenti. Uno degli aspetti più importanti per diffondere la cultura della stampa 3D è quello di entrare in contatto con le persone in modo da introdurle a questa splendida tecnologia. Organizzano corsi di formazione rivolti a studenti, professionisti e appassionati per dimostrarne le innumerevoli potenzialità realizzative ed espressive.

La

tecnologia della stampa 3D esiste dagli anni ’80, e fino a pochi anni fa era diffusa solo a livello industriale. Macchinari di grandi dimensioni, costosi, complessi, non accessibili al grande pubblico. Dal 2006, attraverso il progetto RepRap, un gruppo di appassionati scoprì che nel 2009 sarebbero scaduti i brevetti per una particolare tecnologia di stampa 3D, e tentarono di renderla disponibile anche a scala più domestica. Questo progetto si è sviluppato e ha dato vita al movimento dei makers, che hanno costruito macchine veramente low-cost con una complessità estremamente ridotta rispetto a quelle industriali.


Per spiegare la reale essenza di +LAB è importante raccontarne le storie e le persone, la vera forza di questa tecnologia rivoluzionaria.


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INTERVISTA/ Marinella Levi Direttrice del +Lab

In che cosa differisce +Lab dai numerosi FabLab che sono sorti?

+Lab non è un FabLab, non è nato per questo, è più correttamente un “makers space”. Inoltre, è un laboratorio di stampa 3D accademico, in effetti l’unico in Italia. Normalmente, la stampa 3D viene integrata in laboratori con altre tecnologie. Al +Lab, invece, c’è una focalizzazione sulla stampa 3D e sui materiali. Questa è la grande differenza. La cosa che ci accomuna, oltre all’apertura all’accademia, sia in termini di didattica che di ricerca, è l’apertura alla società civile: periodicamente abbiamo dei momenti in cui condividiamo i saperi della stampa 3D con le persone che desiderano farlo, donne, anziani, bambini e ragazzi. Questa è la nostra peculiarità.


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Può realmente la tecnologia della stampa 3D diventare accessibile a tutti, di massa?

Speriamo di sì. La stampa 3D è vecchia di circa trent’anni, il primo brevetto risale addirittura al 1986. Scaduti da poco i brevetti, nel 2009, la community dei makers, molto fertile e generosa, ha consentito che la tecnologia potesse essere conosciuta anche al grande pubblico. Ma il problema è come far entrare in contatto il grande pubblico con una tecnologia così complessa, una tecnologia che crea cose. Ritengo ci siano tre aspetti. Uno dei possibili canali è la rete, che attraverso blog, social forum, sta agevolando tantissimo questo percorso. In secondo luogo, il mondo della scuola sta iniziando a recepire questi segnali: mi risulta che moltissimi istituti tecnici e licei si stanno aprendo a questo tipo


di tecnologia. Infine, c’è il mercato: ho dei segnali secondo i quali questo Natale sarà il primo nel quale grandi ipermercati tecnologici offriranno piccole o medie stampanti 3D a costi inferiori a mille euro, quindi nell’ordine di grandezza di uno smartphone di fascia alta. Qui c’è il punto; quando un ragazzo potrà scegliere se acquistare l’ennesimo telefonino oppure una stampante 3D, allora avremo la vera rivoluzione.

Se puoi pensarlo, Puoi stamparlo. Il modello +Lab è facilmente esportabile?

Facilmente no, perché questo modello presuppone alcune condizioni. La prima è una grandissima forza di volontà, perché in questo momento in Italia non è diffusa l’abitudine di aprire laboratori accademici all’esterno. Secondariamente, le risorse umane, con la voglia di supportare i giovani. Purtroppo, non molti credono in questa possibilità. Se, come spero, esporteremo il modello +Lab, ci piacerebbe farlo all’estero, dove al momento si investe nella ricerca più che in Italia. Speriamo quindi di collaborare anche sul fronte internazionale.

Che ruolo può giocare +Lab nell’educazione?

Dal momento che le stampanti sono realmente piccole, trasportabili, da due anni le porto in aula il primo giorno di scuola di tutti i corsi che tengo. Inoltre, per hobby, organizzo corsi di diffusione di questo sapere, anche per bambini dall’età di 5 anni. Un’immagine iconica delle mie presentazioni è quella di mio nipote; quando tre anni fa vide per la prima volta una stampante 3D, gli chiesi che cosa volesse stampare. Mi chiese un mattoncino Lego 1x1. In diretta, davanti al pubblico, realizzammo il semplice modello 3D e lo stampammo. L’altro fronte è quello dell’artigianato: stiamo facendo un lavoro straordinario di rieducazione di artigiani. Nuove generazioni di giovani riprendono le attività, magari in crisi, dei padri; riaprendo le botteghe e introducendo in esse la tecnologia della stampa 3D.


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TimeLapse di una stampante 3D all’opera: I diversi fotogrammi mostrano i movimenti compiuti dall macchina per creare un prototipo di un poliedro in materiale traslucido.


Giovanni

Sto facendo il Dottorato in ingegneria dei materiali, e per me il +Lab è la possibilità di sperimentare nuovi materiali per la stampa 3D, creando provini che ci permettano di valutare le proprietà meccaniche e valutarne le applicazioni.

Francesco

Qui facciamo tanta sperimentazione sulla tecnologia, e sui materiali. Stiamo conducendo un filone di ricerca sul mondo degli impasti ceramici stampati in 3D. Stiamo modificando le macchine della plastica per adattarle all’argilla e con esse lavorare su strutture per l’architettura.

Chiara

Ho creato a +Lab un dispositivo autoalimentante, l’unione delle tecnologie della stampa 3D e della concentrazione solare. Questo per me ben rappresenta l’essenza di +Lab, ibridazione di più persone, tecnologie, mentalità diverse.


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Sto svolgendo un tirocinio presso +Lab. Per me +Lab è una possibilità interessante di realizzare attraverso la stampa 3D oggetti veramente complessi che sarebbe altresÏ molto costoso, o addirittura impossibile, realizzare con altre tecnologie.

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Matteo

I ragazzi del +Lab

Tiziano

Lavoro a +Lab da un anno. Sto lavorando ad un pezzo che consente di utilizzare componenti meccaniche standard, come quelle reperibili nei negozi di ferramenta, per costruire stampanti 3D.


INTERVISTA/ Marco Ajovalasit

Benton University, Londra Le sue ricerche sono incentrate sulla percezione umana e sull’interazione uomo-prodotto.

Perché è importante che la tecnologia della stampa 3D si diffonda capillarmente?

Un punto focale è la customizzazione del prodotto da parte dell’utente. Ovvero, come le idee proprie possono realizzarsi in un prodotto fatto dalla persona stessa, modellato a proprio piacimento. Può essere interessante sia per i designer che per le persone comuni, per creare oggetti in base ai propri bisogni, e non da meno stimolare la curiosità delle persone. Realtà come l’open source si stanno diffondendo sempre di più. Coinvolgere le persone e raccogliere da loro più informazioni per raccogliere risposte sempre più grandi è un aspetto chiave del processo. L’open source permette di fare questo a grandi numeri, i cosiddetti “big data”.

Come aumentare il numero di persone coinvolte in questa tecnologia?

Nella mia università siamo molto forti con le tecniche di lavorazione del legno, del metallo e della plastica.


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Ma lo studente del 2020 vorrà avere tecnologie che siano a portata di mano; per questo, a livello pedagogico stiamo iniziando a livello pedagogico a introdurre questa visione innovativa di apertura di pensiero. Poter stampare qualcosa che rispecchia il mio pensiero. Ma passerà del tempo prima che la tecnica si semplifichi e diventi qualcosa di realmente domestico. Tuttavia, una volta acquistata la macchina, la tentazione di stampare modelli per gioco o divertimento sarà forte; purtroppo, questo potrebbe avere un impatto negativo sull’ecosistema. Al momento invece, i designer se ne occupano con un obiettivo, che è quello di creare prototipi. Ciò accelera i tempi di comprensione della struttura dettagliata del prodotto, che è un risultato molto positivo.

La tecnologia della stampa 3D ha un futuro per il grande pubblico?

Un aspetto chiave per la diffusione a livello consumer sarà quello di creare una narrativa intorno alla macchina. Penso che alla fine riuscirà ad entrare nel nostro linguaggio comune. Già introdurlo come metodologia nelle scuole aiuterà ad apprezzare questa tecnologia, rendendola intuitiva, non come un semplice strumento. Si parla di un orizzonte di almeno un decennio. La tecnologia potrebbe fornire un range di prodotti stampabili, tuttavia l’utente dovrebbe essere mediamente specializzato per comprendere i meccanismi. Al momento chi compra una stampante 3D è consapevole di ciò che vuole farci. Altrimenti, resta un giocattolo certamente lussuoso, ma inutile.




Changing life through Design Educare, insegnare, costruire. L'architettura a portata di comunitĂ .


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volontari di Architecture Sans Frontières UK hanno posto una domanda agli abitanti che vivono nei sobborghi di Mathare, a Nairobi, in Kenya.

Come sogni di migliorare il luogo in cui la tua comunità vive?

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progetto, Change by Design: Building Communities through Partecipatory Design, è la perfetta esemplificazione dei propositi di Architecture Sans Frontières: l’associazione, che ha sede in Inghilterra, si propone di portare l’insegnamento e la pratica dell’architettura alla maggior parte delle popolazioni che sono emarginate o vivono in condizioni di non agiatezza.

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hange by Design, partito nel 2009, consiste nell’organizzare workshop in paesi emergenti e poveri, coinvolgendo professionisti, studenti, autoctoni. L’obiettivo è rendere accessibili le nozioni dell’architettura in queste realtà, utilizzando una metodologia di lavoro basata sull’impegno comunitario: si realizzano così interventi che, grazie alla collaborazione tra le figure professionali e la comunità, sono studiati e realizzati sul campo, a misura degli abitanti, proprio perchè scelti e pensati insieme alle stesse persone che ne dovranno poi fare uso.


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LA LAVOCE/ VOCE/ Catherine CatherineBrown Brown

Coordinatrice Coordinatrice deldel progetto progetto Kenya Kenya

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pesso, i “sogni” che chiediamo di fare alle persone per migliorare la comunità si concretizzano in idee abbastanza modeste e poco pretenziose, ma non per questo meno profonde nei loro valori e aspirazioni. A Mashimoni per esempio, c’era un sarto: il giorno in cui lo conoscemmo, stava seduto sotto il sole con la macchina da cucire, proprio sulla strada di fronte alla sua casa. Curiosamente però, quando gli chiedemmo di realizzare lo schizzo della sua “dimora dei sogni”, collocò la sua bottega nel retro della sua abitazione. Mi ricordo che con stupore chiesi il perchè di quella scelta, visto che lo ricordavo lavorare sulla strada di passaggio; lui replicò che non aveva bisogno di avere il negozio sulla strada per farsi pubblicità, perché i clienti ormai lo conoscevano e sapevano dove trovarlo, ma preferiva anzi lavorare nella tranquillità e nella privacy, così i con-


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IL PROGETTO

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ome molti paesi in via di sviluppo, il Kenya deve fare i conti con il problema delle baraccopoli. A Nairobi, la capitale, e parti-

colarmente nella valle di Mathare, milioni di persone vivono in piccole, malsane, insicure baracche di stagno e ferro, fattore che acuisce la loro povertĂ e marginalitĂ socio-politico.

Sebbene esistano programmi di riqualificazione che mirano a migliorare le condizioni economiche e ambientali, attualmente forniscono poche o zero possibilitĂ di partecipazione agli abitanti di questi quartieri.


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intervento di Architecture Sans Frontières si è quindi concentrato sulla necessità di costruire ambienti urbani che non solo siano più rispondenti alle esigenze concrete e alle aspirazioni di chi vive nelle baraccopoli, ma anche riducano la vulnerabilità socio-economica e rivendichino il loro diritto alla città.


31 CRONACA DI CHANGE BY DESIGN KENYA 2014

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team del progetto è composto da 25 tra architetti e studenti internazionali di Architecture Sans Frontières, ai quali si aggiungono 35 partecipanti locali, la maggior parte studenti delle università, e 15 “abitanti chiave” di Mashimoni che seguono lo svolgimento giorno per giorno.

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urante la prima giornata di workshop tutta la squadra visita e gira per la città, fino al quartiere di Mashimoni, quello prescelto per lo sviluppo del progetto: una situazione di degrado, dove la popolazione vive in condizioni difficili e la crescita urbanistica è incontrollata. Segue poi un incontro più “accademico” dove viene raccontato il contesto locale e la rete di collaborazione delle varie parti coinvolte, tra cui l’associazione non governativa Pamoja Trust che opera sul posto.


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progetto si svolge poi in tre macro-fasi, ciascuna di una settimana circa, a cui prendono parte il team di Change by Design insieme alla popolazione. La prima fase si occupa delle questioni istituzionali, all’inizio è infatti necessario ottenere la collaborazione con le autorità che giocano un ruolo per la riabilitazione del quartiere; in questo modo trascorre una settimana dedicata agli incontri e discussioni con i leader della comunità, i politici locali e altri personaggi. La seconda settimana è dedicata alla comunità, da questo momento il lavoro si sposta prettamente sul campo, a stretto contatto con la popolazione e si pone il focus sull’insediamento, sull’uso degli spazi pubblici, infrastrutture, scuole, chiese, eccetera. La terza settimana, dedicata alle abitazioni, è il momento più importante; il lavoro viene svolto totalmente sul campo, a contatto con la comunità e le persone.

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mportantissima da questo momento, è la prima fase di ricerca dove sono proprio gli abitanti che analizzano e discutono, durante delle assemblee collettive, il luogo dove vivono, disegnando edifici e case, diagnosticandone problemi e inefficienze. Viene poi chiesto loro di “sognare”, cioè illustrare e modellare le proprie abitazioni ideali. Queste sessioni di gruppo si sono dimostrate estremamente feconde per capire le aspirazioni e i valori della comunità, le quali vengono estrapolate tramite una sorta di “gioco” che consiste nell’utilizzo di cartoline illustrate per visualizzare meglio richieste e considerazioni. Dalla fase “sogno” si passa poi a quella “sviluppo”, dove si conciliano le richieste ideali delle persone con la reale applicazione, si discute con le autorità per poterle realizzare e si istruisce la popolazione sul come costruirle, realizzando materialmente migliorie al quartiere, zone verdi, nuove abitazioni.


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tura: in questo modo l’azione di modifica è pensata per la comunità dalla comunità e il vero arrivo per l’associazione inglese non è la costruzione e il miglioramento del quartiere ma il riuscire a fornire gli strumenti e le nozioni relative all’architettura che permettono poi di applicare modifiche urbanistiche. Si tratta quindi di uno scambio alla pari: i professionisti e gli studenti imparano a lavorare in un ambiente difficile, pieno di contraddizioni e barriere, mentre i membri della comunità vengono educati ad un’architettura possibile, sostenibile, i cui meccanismi sono loro rivelati e accessibili.

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hange by Design promuove innanzitutto la collaborazione con la comunità allo scopo di educarla al concetto di architet-

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risultati che Architecture Sans Frontière ottiene con queste iniziative, non sono un semplice intervento che viene dall’esterno, e lascia un segno, utile ma magari non compreso e non veramente efficiente per la popolazione.




Il computer che sta in una mano Raspberry Pi, un nuovo approccio alla mondo dell’informatica per la didattica, a solo 35£.


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Non pretendiamo di avere tutte le risposte. Non pensiamo che il Raspberry Pi sia una soluzione per tutti i problemi di calcolo del mondo; crediamo fortemente che possiamo essere dei catalizzatori. Vogliamo vedere ovunque computer convenienti e programmabili. Vogliamo rompere il paradigma laddove le famiglie non possono utilizzare internet senza spendere centinaia di sterline. Vogliamo che possedere un computer veramente personale sia normale per i bambini, e aspettiamo di vedere cosa ci riserva il futuro.

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Manifesto di Raspberry Pi


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imponente digitalizzazione del nostro mondo richiede alle future generazioni di essere equipaggiate con speciali abilità, che consentano loro di dirigere il timone nell’era dei computer. Per affrontare questa prospettiva, scienziati dell’università di Cambridge hanno sviluppato un personal computer piccolo come una carta di credito che permette alle persone di tutto il mondo di utilizzare un potente calcolatore al contenuto costo di trenta euro. Si chiama Raspberry Pi, tortino al lampone. Già il nome dice molto del suo approccio semplice al modo dell’informatica.


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progetto nasce dall’analisi di un dato inquietante, mentre gli alunni degli anni ’90 dimostravano una discreta conoscenza della programmazione, dieci anni dopo la situazione era radicalmente mutata: alla stragrande maggioranza degli studenti erano oscure perfino le più basilari nozioni dell’informatica. Qualcosa era cambiato nel modo in cui interagivano con i computer; rispetto alle scarne interfacce dei calcolatori dei primi anni ‘80, i nuovi programmi tendevano a facilitare il contatto tra l'uomo e la macchina, portando così a dimenticare proprio le fondamenta dell’informatica. Vennero identificati alcuni punti critici: l’abbondanza di lezioni sull’utilizzo di Word o Excel, o sulla scrittura di pagine web; la nascita del Personal Computer e delle console di gioco che avevano via via sostituito le macchine Amiga, i BBC Micro, gli Spectrum ZX e i Commodore 64 sui quali la precedente generazione aveva sperimentato i rudimenti della programmazione.


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era il desiderio di ritrovare lo spirito pionieristico del mondo dei computer degli anni ’80, quando divennero accessibili per principianti e appassionati, macchine che hanno letteralmente formato generazioni di informatici, diventando così leggendarie. Fin dagli albori dell’informatica, gli scienziati dell’Università di Cambridge hanno svolto un ruolo prioritario nello sviluppo dei computer nel Regno Unito, non a caso proprio a Cambridge nel 1978 Hermann Hauser e Chris Curry fondano Acorn Computers. Così come i loro celebri predecessori, nel 2006, sempre a Cambridge, Eben Upton, Rob Mullins, Jack Lang e Alan Mycroft del Computer Laboratory, iniziano a progettare Raspberry Pi davanti ad una birra. Con loro vi è anche David Breben, il programmatore di popolari videogiochi per Acorn BBC Micro come ‘Elite’ e ‘Frontier’.

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o sviluppo di questo PC è stato realmente un’attività comunitaria, con l’apporto tecnico di moltissime persone che hanno contribuito a fondare la Raspberry Pi Foundation, il cui scopo è migliorare l’educazione di adulti e bambini, stimolando in particolar modo l’apprendimento dei giovani nel campo dei computer e della programmazione informatica. Non solo, questo gioiellino permette anche di fare tutte le attività che normalmente un computer consente, dalla


navigazione in internet, al riprodurre video in alta definizione, realizzare fogli di calcolo, editare testi fino a poter diventare una postazione di gioco. Il primo Model A viene rilasciato nel febbraio del 2012. Come sono fatti i Raspberry Pi? Ci sono porte USB per tastiera e mouse, la porta Ethernet per Internet, uno slot per memory card e un’uscita per connettere il computer alla TV. La comunità decise di affidarsi al sistema operativo open-source Linux liberamente disponibile, il quale permette inoltre la flessibilità nella scelta del linguaggio di programmazione e nei programmi da utilizzare. Questo piccolo calcolatore incoraggia un gusto per la sperimentazione simile a quello per la programmazione dei computer Acorn BBC Micro negli anni ’80. I produttori di schede mantengono i loro prezzi bassi, e la maggior parte dei profitti sono incanalati in attività di ricerca per migliorare i dispositivi e creare incentivi per i ragazzi a programmare.

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C’è un’aura di buona volontà attorno al progetto. Dobbiamo preparare meglio i nostri ragazzi a un mondo ancora più digitalizzato, non avvolgerli in una tecnologia pronta all’uso come abbiamo fatto fino ad ora. Viviamo vite creative invece che preconfezionate. Ravi Naidoo


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dispositivo può essere inoltre personalizzato in molti modi. Nel nostro mondo globalizzato, molti di noi non conoscono un linguaggio, che sta sempre di più caratterizzando il nostro mondo e le scelte di ogni giorno. Questo linguaggio è la programmazione dei computer e questa mancanza significa che pochi fra noi sono attualmente in grado perlomeno di capire i programmi che ogni giorno decidono cosa compriamo online, chi sono i nostri amici su Facebook, e quali risposte ci sono offerte quando ricerchiamo un termine su Google.

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aspberry Pi sta democratizzando la programmazione e restituendo alla gente la possibilità di esplorare il Data Mining e il Data Processing, così che ognuno abbia la possibilità di costruire argomenti, opinioni e specifiche proposte progettuali per nuovi servizi, attività e applicazioni. Un approccio molto aperto alla condivisione.

Raspberry Pi è la possibilità per le persone, e in particolar modo per i bambini, per informare ed essere informati sul flusso di conoscenza nella società e quindi divenire attivamente partecipi dell’evoluzione e dell’articolazione di come la democrazia sarà in grado di funzionare nel futuro. Nille Juul-Sorensen



INTERVISTA/ Eben Upton

Fondatore di Raspberry Pi Rispetto al vostro obiettivo iniziale, si può dire che sia stato un successo. Se mi avessero detto che avrei venduto 10mila Raspberry Pi l’avrei preso come uno scherzo. La nostra scala di ambizione era venderne 1000. Solamente nel primo giorno di lancio, ne abbiamo venduti 300mila. Nei due anni successivi, abbiamo spedito circa due milioni e mezzo di schede.

Come è andata la prima volta in cui ha mostrato un Pi ai ragazzi?

Sono certo che i giovani di oggi siano così brillanti come lo sono sempre stati. Il problema è che non fanno più esperienza di riprogrammazione di computer. Sono privati dell’esperienza. Sarebbe stato drammatico scoprire che il progetto non li avrebbe interessati. La mia paura era dovuta al fatto di pensare che fossero interessati solo ad usare gli smartphone e i social network ma non a


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comprendere la sottostante tecnologia che consente loro di funzionare. In ogni caso, ho evitato di mettere alla prova la mia ipotesi. Abbiamo portato le prime schede in una scuola una settimana prima del lancio del progetto, e questi ragazzi ne sono rimasti entusiasti! Il senso di potenza nell’ordinare ad un computer di fare una cosa, è come dire “ho fatto muovere un gatto”. Il Pi è semplice e mostra le ossa se lo programmi per fare qualcosa: ai ragazzi questo piace perché da loro la sensazione di poterlo realmente possedere, ed è più del semplice, quotidiano utilizzo del computer.

Perché avete scelto la formula dell’open source?

Siamo orgogliosi di questo. Essere aperti significa che chiunque può mettere mano al software, coerentemente con l’etica della Foundation di incoraggiare i ragazzi ad affrontare la tecnologia da


Ho cercato fra i nostri documenti di fondazione e da nessuna parte vi si trova scritto che costruiremo computer piccolissimi. Ciò che è scritto è che vogliamo che i ragazzi imparino a programmare.


un diverso punto di vista, per scoprire come funziona realmente. La mia visione è che sia sufficiente dare alle persone gli strumenti del software libero, che consente di avere il pieno controllo di ciò che la macchina compie.

Quali sono i vostri piani per il futuro? Vedremo presto un Model C? Ad un certo punto ci sarà un successore del Model B. Penso che il 2014 non sia il momento adatto per fare ciò. Non voglio rendere orfani i 700mila Raspberry che sono già fuori di qui. Abbiamo preferito focalizzarci su aggiornamenti incrementali delle schede già esistenti. Possiamo migliorare le performance anche ottimizzando il software. Esso è tanto importante quanto l’hardware. Ma più che rendere il Pi veloce il nostro obiettivo è renderlo più semplice da usare, o quantomeno facile da programmare. Il segreto è ottimizzare, togliendo le opzioni fuori dalla piattaforma per renderla migliore.

Un desiderio che porta con sé?

Spero che il nostro Pi otterrà un posto speciale nei cuori degli ingegneri del 2030, così come il BBC Micro lo è stato in quelli della mia generazione. Mi piacerebbe che qualcuno che ha iniziato con il Pi, e ne avrà uno impolverato nella soffitta, lo riscopra per vedere se funzionerà ancora. Mi piacerebbe che fosse ricordato nello stesso modo in cui mi ricordo del mio primo BBC Micro.

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Abbiamo appena ricevuto una donazione di un milione di dollari da parte di Google, grazie al quale sono stati donati alle scuole inglesi 15mila Raspberry Pi con i quali i ragazzi potranno imparare a programmare. Oltre che con Google, il progetto coinvolge altri sei partner educativi del Regno Unito, dove centinaia di scuole hanno inserito il dispositivo nelle loro lezioni. Lo scopo ultimo è quello di ispirare la prossima generazione di scienziati del computer. Siamo loro incredibilmente riconoscenti a Google per il loro aiuto in qualcosa in cui noi, come loro, riteniamo sia di vitale importanza per il nostro sviluppo e per il futuro delle prossime generazioni.

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Ci racconta il progetto al quale state lavorando insieme a Google?




Fra i banchi insieme a Bjork Il tour di Biophilia sbarca a New York: concerti e workshop educativi per ragazzi, al fine di ricongiungersi alla natura con la tecnologia.


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parla già da qualche tempo di Biophilia, l’ultimo album di Björk, uscito il 10 ottobre scorso, e viene sottolineato come si tratti di un progetto a tutto tondo, che invade il campo di varie arti e discipline, e di come la stessa artista abbia percepito il lungo tour di presentazione come un vera e propria installazione concettuale semipermanente. Iniziato a Manchester a Giugno, il tour “live-residency” proseguirà nel corso dei prossimi tre anni, e toccherà otto città scelte in tutto il mondo. Lo spettacolo rimarrà in ogni città per un periodo di sei settimane, con due performance a settimana. Secondo la stessa Björk le performance saranno una “meditazione sulla relazione fra musica, natura e tecnologia”, così come d’altronde lo è l’intera carriera dell’artista, e comprenderanno musica dal vivo ed elementi multimediali.


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ra, nei mesi di febbraio e marzo, l’artista islandese porterà il suo Biophilia a New York, alla New York Hall of Science dal 3 al 18 febbraio e alla Roseland Ballroom di Manhattan dal 22 febbraio al 2 marzo. Ma non finisce certo qui, e d’altronde Björk a questo ci ha sempre abituati. Infatti, la cantante porterà a New York anche Biophilia Educational Program.

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ostituito da una serie di incontri dedicati a ragazzi dai 10 ai 12 anni (ma adatto anche tra gli 8 e i 14) desiderosi di apprendere le scienze attraverso la musica e viceversa, i workshop contemplano molte affascinanti attività, come suonare con gli strumenti ideati personalmente dalla cantante (che sono poi anche quelli che lei stessa utilizza dal vivo), estrarre DNA da una cipolla e osservare la suddivisione della cellula su di uno schermo televisivo. Come nelle applicazioni dell’album Biophilia, si punta molto sulla partecipazione attiva piuttosto che passiva negli esperimenti e nella creazione audio-visiva. Il


amma è inoltre utile per i ragazzi con problemi di ADD e dislessia. Islanda, dove si è già svolta in autunno, l’iniziativa ha avuto un così grande successo che la Reykjavík City Board of Education ha deciso di estenderla a tutte le scuole cittadine nei prossimi tre anni. Inoltre il programma è stato testato in altre città come Oslo, Reykjavík, Parigi, San Paulo e Los Angeles, dove si avvia ad essere inserito nel sistema scolastico. Perché i bambini di oggi sono gli adulti di domani e la musica è e può fare cultura, e Björk pare saperlo molto bene. Siamo voluti andare a fondo della questione, e per questo abbiamo incontrato l’artista Islandese in occasione di una delle tappe del suo tour per intervistarla riguardo non solo a questo progetto, ma anche riguardo alla sua vita personale e sulla sua visione. “Sarà un secolo fantastico”, dice Björk. Mentre lo dice il suo viso è percorso da una scarica di tic nervosi e con una mossa rapida e collaudata cambia la posizione delle gambe sulle quali sta seduta, facendo leva con le braccia sui braccioli della poltroncina luigi XVI. Le capita ogniqualvolta entra filosofico-visionario; e queste brusche scosse, nella connessione tra certi pensieri e il suo corpo,

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musicisti suonano computer e iPad, che controllano anche gli strumenti inventati da Björk, come lo "sharpsichord", congegno a metà tra carillon e arpa. Ogni brano di Biophilia è associato a un elemento naturale: in Moon le fasi lunari si traducono in cicli di note, in Dna geni e cromosomi danno vita a ritmi elettronici, Virus è una storia d’amore e morte illustrata con immagini al microscopio. Il Guardian ha scritto che Biophilia equivale all’invenzione dell’opera o del cinema. Björk ha creato una cosa che assomiglia alla sua Islanda, primordiale e ipertecnologica. E il nostro incontro nasce da lì, dall’isola diventata paradigma delle contraddizioni globali. Dove Björk si è trasformata da folletto viziato ad "ambientalista patriottica", come la definisce la filosofa Oddny Eir.

Biophilia equivale all’invenzione dell’opera, del cinema, della fotografia. The Guardian

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le conferiscono una genuina credibilità, nonostante la parrucca arancione tardo-punk che occupa un terzo della figura e il centro di questa decadente stanzetta d’albergo londinese, a due passi da Abbey Road. «Siamo fortunati a vivere l’inizio di una rivoluzione umanistica, il nostro ricongiungimento con la natura grazie alla tecnologia» dice la cantante boreale raccontando l’humus intellettuale che sta sotto a Biophilia, la sua nuova impresa artistica, una piovra multimediale destinata a dare una spallata al mercato discografico tradizionale: perché più che un album, Biophilia è un "luogo" dotato di esperienze "in-app" (10 canzoni per altrettante applicazioni per iPhone e iPad, che consentono fra l’altro di creare la propria versione di ogni brano) studiate per il tablet di Apple, col supporto di scienziati e web-designer come Scott Snibbe; una piattaforma che permette di esplorare in modo interattivo e tridimensionale le forze fisiche presenti in natura, dall’atomo al cosmo.


Björk, come si è verificato questo cambiamento?

Sono figlia di genitori hippie, non ho mai sopportato il miscuglio tra politica e musica di quella generazione. La mia scelta punk nacque da quel rifiuto. Ma nel 2008 ho capito che non era una questione politica, di ideologie o di utopie; ma di sopravvivenza. Ho organizzato concerti, addirittura un karaoke nazionale al quale hanno aderito 45 mila islandesi, ha creato un comitato con 150 esperti per studiare nuove forme d’occupazione alternative all’industria…

Poi è arrivata la bancarotta.

Sì, tanti miei amici hanno perso tutto, anche i miei quattro fratelli hanno perso tutto. In quel momento è nata Biophilia, arte e realtà sono diventate la stessa cosa. C’era la crisi finanziaria e io mi sentivo una privilegiata; è semplice fare arte in un contesto facile, perché sono stata tra gli ultimi ad aver fatto tanti soldi con la musica, quando l’industria musicale era ancora una macchina per fare soldi. C’erano poi tutti quegli edifici vuoti… E volevo creare nuovi posti di lavoro. Così ho pensato a una casa dove ogni stanza diventava una canzone ispirata a un elemento naturale e soprattutto potevo fare finalmente la mia scuola di musica per bambini.

La cantante Björk che diventa maestrina di scuola…Sembra una trovata pubblicitaria.

Invece è la mia vendetta contro una scuola che mi ha rovinato l’infanzia. Ho trascorso dieci anni in quella fabbrica per orchestre sinfoniche. Poi a 15 anni ho piantato tutto e ho fondato un gruppo punk. La musica deve essere libertà, non schiavitù. I bambini devono essere lasciati liberi di comporre musica, così come disegnano. Solo così possono arrivare a comporre con la stessa facilità con cui imparano le lingue.

E com’è la scuola di Björk?

Il progetto della casa è diventato un film in 3D, poi ho cominciato a coinvolgere scrittori, filosofi, scienziati e i migliori disegnatori di app, perché nel frattempo era nato l’iPad, lo aspettavo da dieci anni. E le stanze sono diventate applicazioni, così ora nelle poche tappe del mio tour terrò corsi di composizione gratuiti destinati ai bambini.


Musica-Tecnologia-Natura. Non è che rischia di affidare alla tecnologia un ruolo quasi divino che in realtà allontana dalla Natura?

Non c’è mai stata separazione tra "techne" e la Natura. Il fuoco è prodotto insieme dall’uomo e dalla Natura. La rivoluzione industriale è stato il punto di maggiore distacco tra i due elementi, ma ora con una tecnologia tanto sofisticata siamo arrivati a un passo dal totale ricongiungimento, se manteniamo sempre alto il livello di guardia, cioè il senso di colpa, possiamo, dobbiamo, costruire un secolo fantastico. Io stessa mi accorgo che guardo la luna in un modo nuovo, con una grande purezza poetica.

OPEN #01

Per nulla. È stata una cosa totalmente mia. Perché oltre alle motivazioni diciamo "politiche" ci sono state quelle personali. Intanto stavo perdendo la voce, perché per anni avevo usato una tecnica vocale sbagliata, ho dovuto anche cambiare alimentazione. Ho trovato in questo progetto anche un percorso di rinascita personale.

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Da nove anni è insieme a Matthew Barney, uno dei più poliedrici artisti contemporanei. L’ha seguita nel progetto Biophilia?


In collaborazione con

Con il patrocinio di MIUR

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. Ufficio Scolastico Regionale per le Marche. Direzione Generale

Comune di Chiaravalle Città natale di Maria Montessori

INFO Fondazione Chiaravalle Montessori www.montessoridesign.it info@mariamontessori.it Phone 071 97 27 343 071 97 27 344

Ideazione

Lucio Lombardi / Fondazione Chiaravalle Montessori Roberta Manzotti / RossodiGrana

Partner

Comitato italiano per

Dipartimento di Scienze della formazione, Beni culturali, Turismo

UNIPED

Unione Italiana Pedagogisti

RossodiGrana IABnormal Extreme Wispone Cimas Ristorazione Flowerssori Cooss Marche

Comitato Scientifico

Giuseppe Alessandri Giuseppe A. Chiarenza Damiano Costantini Piero Crispiani Francesco Favi Pino Grimaldi Lucio Lombardi Roberta Manzotti Luciano Mazzetti

Comitato Organizzativo

Maila Morresi Patrizia Giombini Francesco Mandolini Viviana Bartolacci Lucia Moretti Alessandro Gatto


63 OPEN #01

Dalle favole alle edu-app Il metodo Montessori si evolve e la creativitĂ diventa multimediale, nuovi approcci 2.0 alla didattica.


Q

uando Maria Montessori pubblicò i primi scritti sul suo metodo, più di 100 anni fa, i computer non esistevano. Non per questo però il metodo Montessori può essere classificato come antiquato: non solo infatti viene ad oggi applicato con successo in oltre 20mila scuole in tutto il mondo ma gli educatori moderni, alla ricerca di nuovi metodi che permettano alle generazioni degli anni 10 del nuovo millennio di crescere ed essere educati ad un uso corretto ed efficiente delle tecnologie, si ispirano proprio al metodo Montessori.

Il

metodo suddetto è infatti un approccio educativo pedagogico sviluppato da Maria Montessori (1870 – 1952) scienziata, filosofa, educatrice la quale sostiene che il bambino vada lasciato libero di esplorare il suo mondo, con la certezza che ci sia un impulso imperscrutabile in lui che lo spinge verso l’apprendimento. In questo senso, la curiosità del bambino è il vero motore dell’apprendimento che, se lasciato “girare” senza interferenze, porterà il bambino a sviluppare al massimo tutto lo spettro delle proprie capacità e a conquistare il mondo con la forza della sua intelligenza. Per questo motivo, "molti materiali montessoriani sembrano un'anticipazione del digitale, è incredibile per esempio come sia riuscita


a spostare sulle forme concetti di matematica", assicura Tommaso Ragnisco, direttore artistico della prima trasposizione digitale della "favola cosmica", un grandioso racconto che parte dal Big Bang per arrivare all'uomo, una sorta di "genesi laica" pensata per spiegare ai bambini le origini dell'Universo, della Terra e dell'umanità. L’applicazione verrà presentata il 28 e il 29 novembre al convegno "I processi cognitivi, le tecnologie interattive e il metodo Montessori", che si terrà al Teatro Valle di Chiaravalle, città natale della grande pedagogista, con la partecipazione di esperti in arrivo da ogni parte del mondo. Tra i relatori ci sono il direttore esecutivo dell'Association Montessori Society di New York, Richard A. Ungerer e il presidente dell'Accademia dei Lincei Lamberto Maffei.

L

a domanda alla quale gli esperti cercheranno di dare una risposta è come il metodo montessoriano può avvalersi efficacemente dell'apporto delle nuove tecnologie, mantenendo la propria struttura e la propria forza. Magari dando una mano a tutte le scuole che utilizzano lavagne interattive e iPad: le sperimentazioni sono all'ordine del giorno, racconteranno infatti la propria esperienza con tablet e app alcuni rappresentanti dell'istituto comprensivo Bruno da Osimo (di Osimo, in provincia di Ancona), inserito tra le "22 eccellenze educative nazionali per le sperimentazioni e i progetti di innovazione della didattica anche


attraverso le nuove tecnologie". "Prima ancora di sapere come utilizzare l'iPad, parliamo di processi cognitivi.

L'

aspetto interessante delle tecnologie attuali è che sono interattive: quando mia figlia era bambina, guardava i cartoni animati, ponendosi come spettatore passivo. Adesso possiamo fare in modo che i bambini interagiscano, costruiscano un loro percorso di formazione, di autoeducazione. Altrimenti il rischio è che si possa tutti essere fagocitati da questi strumenti", osserva Lucio Lombardi, direttore della fondazione Chiaravalle-Montessori.

Il

progetto naturalmente ha subito suscitato l'attenzione della Apple, che parteciperà al convegno con alcuni workshop. Anche se a realizzare la prima app "montessoriana" è stato invece il team di educatori-tecnici dell'associazione romana "Tabula Fabula", che sperimenta continuamente il proprio lavoro presso la scuola primaria di via Tito Livio, a Roma. "Il lavoro - spiegano gli autori - si è avvalso della sinergia di diverse figure professionali, educatori, designer, animatori, programmatori, che hanno dato vita a un prodotto sicuro e di altissima qualità, che accompagna i bambini all'esplorazione delle


potenzialità digitali in un contesto protetto dalle insidie della rete e dai rischi che potrebbero conseguire a una condivisione indiscriminata e fuori controllo. Una favola sempre nuova da inventare con i genitori, in alternativa alla semplice lettura di una storia, ma anche un gioco che il bambino può gestire in totale autonomia, sviluppando sempre più l'aspetto educativo, oltre a quello ludico, con la crescita". La app della favola cosmica è già stata tradotta in dieci lingue, le principali europee più cinese e giapponese.

La

modernità del metodo Montessori non sta soltanto nella costruzione di percorsi autonomi di istruzione che permettono al bambino di apprendere anche da solo, nel rispetto dei propri tempi e dei propri interessi, ma anche nella predisposizione di uno spazio a misura di bambino che è parte integrante del sistema educativo. Una sedia non è solo una sedia, le pareti sono suddivise per aree scientifiche, anche la luce gioca un ruolo fondamentale: è stato detto che in questa visione dello spazio e nella creazione dei "materiali" didattici Maria Montessori ha anticipato il moderno design. E infatti due architetti di Flowerssori, azienda che progetta mobili ecologici per bambini presenteranno un "Format di Scuola Chiaravalle Montessori", cioè una scuola modello non solo a misura di bambino, ma anche sensoriale, innovativa, esteticamente accattivante ed economicamente sostenibile".



69 OPEN #01

A scuola con il mio BBC Micro La storia condensata di Acorn è il progetto di un appassionato che ha raccolto il patrimonio in un libro.


Q

uando nacque, Acorn fu una scommessa, un azzardo: era possibile produrre computer che fossero accessibili a tutte le persone, migliorando e semplificando loro la vita, quando i computer erano ancora macchine poco conosciute e il cui utilizzo era riservato ad una élite che ne conosceva i segreti? Negli anni ‘80, grazie allo sviluppo e alla ricerca promossa da aziende emergenti, Apple, Microsoft, Acorn, viene inaugurata la nuova era dei personal computer, che non sono più macchine lontane e inaccessibili, ma strumenti da scoprire e con cui facilmente interagire. Per tutti coloro che hanno vissuto negli anni ’80, Acorn è un nome che racconta di computer, i primi computer accessibili alle famiglie e ai ragazzi, e per questo è rimasto nel cuore degli inglesi.

D

avid Bradforth è stato un utilizzatore di Acorn per molti anni. Il suo primo computer fu un Acorn Electron; in seguito, un BBC Master e un BBC Master Compact; poi un Archimedes A310; infine un RiscPC. È un grande appassionato della piattaforma, e crede che un libro prodotto seguendo alti standard renda giustizia alla piattaforma. Per questo ha scelto di girare il Regno Unito a scovare e interpellare gli appassionati ed ex utilizzatori di Acorn. È andato nelle università e nelle scuole a raccogliere le tracce che l’introduzione e l’utilizzo di queste macchine per l’educazione dei ragazzi avevano lasciato. Molti di quei bambini sono oggi adulti che, incrollabilmente attaccati al ricordo, lo tengono vivo in fansite e pagine Facebook dedicate. Tutto il materiale raccolto sarà parte del libro a cui Bradforth sta lavorando, “A potted history of Acorn Computers”, letteralmente, “Una storia condensata di Acorn Computers”: narrerà la storia di Acorn, dalle


origini fino al suo declino; analizzerà e spiegherà i prodotti chiave lungo quel periodo e le aziende che hanno supportato Acorn Computers; conterrà le riviste che erano presenti sul mercato e le interviste a programmatori, utenti, appassionati.

N

on un saggio per nostalgici, ma una storia che racconta questo marchio, a partire dalle persone che lo hanno utilizzato e vissuto. Una storia che insegna come un marchio può rimanere nel cuore delle persone, anche se scomparso da molti anni. Solo le cifre parlano da sole: oltre un migliaio di fan su un gruppo Facebook, 801.000 risultati googlando “Acorn Computers”, 3.480 risultati su Youtube, più di 2000 sterline raccolte per il finanziamento del progetto lanciato da Bradforth. “A potted history of Acorn Computers” vedrà presto la luce, e sarà disponibile innanzitutto in formato cartaceo e poi in uno .mobi, per Kindle ed eReader. Il proposito è anche quello di realizzare una versione su compact disc che includerà immagini aggiuntive, una selezione dei software creati nel corso degli anni e altro ancora, accessibile soltanto a chi possiede un computer con sistema operativo RISC OS o Virtual Acorn, chicca per i nerd più sfegatati.

71 OPEN #01

Acorn rimane una realtà ancora vivida nell’immaginario inglese: per questo il progetto di un libro che racconti la storia di Acorn ha avuto sostegni e finanziamenti.




Un occhio al futuro Piccoli prodotti smart dalle funzioni sorprendenti.


75 OPEN #01

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OP EN Progetto grafico e impaginazione Design ex Machina Š 2014 agli autori per i testi e le immagini

Curatore editoriale Direttore creativo Designer grafico Fotoritocco Traduzioni

Lorenzo Bigatti Walter Carrera Yina Chen Pietro Agostini Alice Dotto

Hanno collaborato a questo numero D.ssa Marinella Levi & lo staff di +Lab Dr. Marco Ajovalasit

Dicembre 2014 Politecnico di Milano Laboratorio di Metaprogetto - Scuola del Design Corso di Laurea in Design della Comunicazione Laboratorio di Metaprogetto - A.A. 2014/2015 Docenti: P. Ciuccarelli, F. Piccolini.

www.acorn.com


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