TESI IED 2013/14 BODRATO LIBRO DI RACCONTI Il sogno del re e altri racconti

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IL SOGNO DEL RE E ALTRI RACCONTI La vera storia del cioccolato Bodrato





IL SOGNO DEL RE E ALTRI RACCONTI La vera storia del cioccolato Bodrato

Tesi di: Gaia D’Aguanno Maura Gallitelli Juan Ricardo Hernàndez Verbel Elisa Stagnoli Giulio Stella Sharon Strada



LA CORTE AL COMPLETO


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RE

REGINA

Teobromo

Nivis

PRINCIPESSA

Liliè DUCHESSA

MARCHESA

Arvensis

Berlubi

CONTESSINE

CONTESSA

Cerasunta e Giresana

Sinnamì

VISCONTE

Tribolo BARONE

Scilli

BARONI

Limino

SIGNORE

Rubiacio 6

Sinense



IL SOGNO DEL RE


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ra le basse colline del Piemonte, in un vasto territotorio fertile e ricco viveva l’anziano sovrano Oliviero con la sua unica figlia Nivis. Essendo egli ormai stanco e affaticato, decise

di richiamare a corte un valoroso cavaliere delle lontane Americhe, a cui la bella Nivis era stata promessa in sposa: si trattava del re Teobromo, un giovane dall’aspetto fiero e gentile, dalla carnagione bruna e con occhi neri, profondi come la notte. Arrivato a Palazzo dopo trenta lunghi giorni di viaggio, il giovane portò in dono delle fave di cacao, con le quali era in grado di creare una bevanda amara tipica delle sue zone. I primi giorni a corte per il bel Teobromo non furono semplici: parlare con la principessa era impossibile, perché nessuno dei due conosceva la lingua dell’altro, e quel dono, che lui recava con tanta dedizione, non piaceva a Nivis, per niente abituata a quel sapore così amaro. Sconsolato per non essere riuscito a far breccia nel cuore della principessa con il suo amato cacao, passò giorni e giorni girovagando tra i verdi territori piemontesi, alla ricerca di un rimedio. Si narra che una sera, stanco e triste, il buon Teobromo si fermò nei pressi di una stalla e qui, tra un forte aroma di latte e una lieve brezza, cadde in un sonno profondo. Nella sua mente assopita apparvero cascate di latte fresco che si mescolava alla polvere di cacao, creando guizzi profumatissimi che si spargevano ovunque. Al risveglio il giovane vide in quel sogno la soluzione del suo problema: tornò a palazzo, si rinchiuse nelle sue stanze e ne uscì solo dopo alcuni giorni, con una tavoletta dal profumo dolcissimo, dono speciale per la sua principessa. La avvolse in una carta sottile e vi pose accanto un biglietto che recava il suo sigillo. Quando Nivis la assaggiò rimase inebriata: quello era sicuramente il cibo più buono mai esistito, ed era stato inventato solo per lei! Finalmente furono celebrate le loro nozze: quel giorno a Palazzo arrivarono i nobili di tutto il contado, dalla duchessa di Pancalieri ai conti di Garbagna, dal Visconte delle Langhe ai Baroni di Sicilia. Tutti quanti, durante la festa, ebbero occasione di assaggiare quel nuovo cibo dal sapore divino. Fu così che il matrimonio tra Teobromo e Nivis sancì in Piemonte un’unione duratura, che c’era una volta e che c’è ancora oggi.

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IL CIOCCOLATO SENZA CIOCCOLATA


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ra le Basse Langhe piemontesi vi era un re molto particolare che viveva, insieme alla sua famiglia, circondato dal cioccolato: nel suo giardino vi erano fontane di cioccolata, negli androni del Palazzo erano numerose

le statue scure e profumate, e nelle sue sale era frequente trovare unguenti e creme a base di cacao. Aveva stabilito che tutta la famiglia mangiasse cioccolata almeno tre volte al giorno, perché “rinvigorisce la mente, rafforza le membra e sazia la pancia!”, diceva lui. Lilié però, ultima delle sue figlie, appena mangiava anche solo un granello di cacao, si riempiva di bolle rosse e iniziava a starnutire. Vennero chiamati tutti i medici a corte e il responso era sempre lo stesso: Lilié non poteva mangiare cioccolata. Il re passò giorni e giorni a pensare a un rimedio, finché un pomeriggio esclamò:“Qui ci vuole un cioccolato senza cioccolata!” Emanò così un bando in paese con cui invitava ogni singolo cittadino a realizzare una tavoletta di cioccolato speciale, senza cacao, ma dolce e gustosa allo stesso modo. La richiesta venne accettata con gran fervore da tutti, che si adoperarono immediatamente, ma senza riuscire nella difficile impresa. Caso volle che in città fosse da poco arrivata una giovane donna delle lontane Americhe, Melipona, abile cuoca ed esperta conoscitrice di aromi. Nel suo piccolo orto coltivava una pianta dal profumo dolce e delicato, dalla cui lavorazione nasceva una polverina bianca, sottile come il cacao. Melipona ne mescolò un po’ a burro e latte e riuscì a creare una gustosa tavoletta per la principessina. Subito ella stessa la portò a corte e la fece assaggiare a Lilié, che la mangiò di gusto senza spiacevoli conseguenze! Melipona, inventrice del cioccolato bianco, diventò dama di compagnia della principessina e tutto il paese fu in festa per 7 giorni e 7 notti per celebrare la fortunata scoperta.

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LA DUCHESSA DI PANCALIERI


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rvensis, duchessa di Pancalieri, era la dama più bella di tutto il contado: aveva capelli scuri come la terra e grandi occhi verdi e profondi. La fanciulla passava i giorni

nel giardino della sua tenuta, dove vi era una pianta dalle foglie profumatissime, dello stesso colore dei suoi occhi. Era talmente tanto il tempo che trascorreva lì, che quel profumo era divenuto parte di lei, e quando usciva in paese quell’aroma si spargeva nell’aria indicandone l’arrivo. Di ritorno dalle sue passeggiate, di tanto in tanto la bella duchessa si concedeva delle soste nella bottega di Pulegio, un giovane cioccolataio. I due consumavano lì il loro amore segreto, tra l’aroma del cioccolato e la fragranza di menta. Ahimè, in poco tempo le voci arrivarono al Duca, che subito decise di cogliere i due di sorpresa. Durante un assolato pomeriggio di fine estate la duchessa si recò in paese e, come suo solito, si fermò a far visita a Pulegio. Posò il suo cestino pieno di menta sul bordo di un calderone di cioccolata e si avvicinò al suo amato. Non passarono che pochi minuti quando il Duca bussò prepotente alla porta. Di corsa la duchessa uscì da un pertugio, ma nella fretta molte foglie di menta finirono nel calderone. Pulegio aprì la porta e il Duca immediatamente entrò: sua figlia non c’era, ma nell’aria si sentiva quell’inconfondibile odore di menta! “Mia figlia è stata qua, ne sono sicuro!” “N-no n-no signor Duca, le giuro...” “Giuri il falso! Ne distinguo bene il profumo!” Il giovane, in preda alla paura, giocò l’ultima carta rimasta: “N-no signor Duca, quello che lei sente è l’aroma della mia nuova creazione!” E lo condusse vicino al calderone per fargli assaggiare cioccolato e menta. Di colpo l’espressione del Duca cambiò: quel composto era formidabile! Il giovane cioccolataio così ebbe salva la vita e Pancalieri divenne famosa come la patria di un nuovo cioccolatino, il più fresco e profumato mai esistito fino allora.

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L’ELISIR DELLA MARCHESA


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vev a

ra le grandi pianure piemontesi, in una tenuta immersa nel verde, viveva la marchesa di Cuneo insieme ai suoi fedeli servitori e al suo suo gatto, Stolone. Berlubi, questo il suo nome, in gioventù era stata

una delle donne più belle del contado e non riusciva a rassegnarsi al fatto che la sua bellezza, con l’avanzare dell’età, stesse sfiorendo. Proprio per questa ragione aveva chiamato a corte Gorello, famoso saggio e alchimista del luogo, e gli aveva chiesto di creare per lei un elisir di eterna bellezza. La marchesa aveva fatto costruire per lui un grande laboratorio nel suo palazzo, pieno di libri rari, ampolle piene di spezie esotiche e calderoni in grande quantità per le sue preziose pozioni. Si narra che un pomeriggio, mentre Gorello era intento a sorseggiare della cioccolata calda davanti a uno di quei libroni, si intrufolò nella stanza Stolone; curioso e attratto da tutti quegli odori egli metteva il musetto dappertutto e con la sua lunga coda stava facendo strage di tutte le ampolle! L’anziano Gorello provò a rincorrerlo per tutta la stanza, ma più lo inseguiva e più arnesi si rompevano, fino a quando Gorello, ormai impaurito, scappò fuori di gran corsa. Dopo aver rimediato a quel disordine infernale, Gorello tornò alla scrivania e qui trovò che tutte le fragole essiccate che stava usando per la pozione, erano cadute nella sua cioccolata e che avevano un odore, e soprattutto un sapore, buonissimo! Presto corse dalla marchesa e le fece assaggiare quel magico elisir che, se utilizzato quotidianamente, le avrebbe certamente giovato alla bellezza e al buon umore. Fu così che nacque il delizioso abbinamento che da sempre mantiene belle le golose di ogni dove.

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C’ERA UNA VOLTA UNA CONTESSA, ANZI DUE


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l Boero nasce molti anni or sono e ha origine dalle vicende di due gemelline, figlie del conte di Garbagna. Le due contessine, Cerasunte e Giresana, erano nate in un soleggiato giorno di Maggio,

sotto un bellissimo ciliegio che campeggiava nella tenuta, e tra la terra e con la terra passavano le loro giornate. In tutta la valle erano famose per la loro vivacità e la loro attitudine a combinare guai. Tra tutti quei guai, però, ce ne fu uno che ebbe risvolti inaspettatamente soavi. Si narra che le due contessine fossero affidate a una bizzarra dama, Boé, che era solita far loro il bagnetto nel “Dolcetto d’Ovada”, un liquido dal profumo mandorlato e dal colore rubino, tipico delle loro campagne. Un bel giorno, al termine del bagnetto, le due approfittarono di un attimo di distrazione di Boé e sgattaiolarono in una cantina fresca e buia, in cui il padre conservava una polvere marrone, densa come la terra e sottile come la farina, e lì rimasero a sollazzarsi per tre giorni e tre notti. Presto tutti si misero alla loro ricerca: guardavano sotto i letti, negli armadi, dietro i cespugli, tra gli alberi da frutta... Dappertutto, meno che in cantina. Il quarto giorno, prese dalla fame, Cerasunte e Giresana uscirono pian piano dalla cantina e si recarono in cucina, dove furono finalmente ritrovate. Fu proprio in quell’istante, quando la madre le prese tra le braccia e le baciò sulle guance, che si accorse di un sapore forte e dolciastro. Nacque così la ricetta del cioccolatino Boero, che ricopre una dolce ciliegia riposata nel dolcetto d’Ovada.

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PER AMOR DI SINNAMÌ


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ulla riva destra del fiume Ticino, in un territorio verde e rigoglioso, vivevano due importanti casate piemontesi: i duchi di Langosco e i conti di Oleggio. I loro figli, il duca Zelanico e la contessina

Sinnamì, trascorrevano insieme le loro giornate fin dall’infanzia, giocando e correndo tra quegli ampi possedimenti. Zelanico, crescendo, si era innamorato della bella Sinnamì che, ormai in età da matrimonio, era corteggiata da molti nobili. Durante le loro passeggiate, il duca aveva spesso provato a farle intendere i suoi sentimenti ma, un po’ per la timidezza di lui e un po’ per il riserbo di lei, i suoi tentativi non erano mai andati a buon fine. Spinto da quel forte desiderio, egli decise di rivolgersi a Tisona, una misteriosa vecchina che viveva nel vicino bosco. Questa, esperta di pozioni ed incantesimi, gli consegnò una boccetta contenente delle stecche di una profumatissima cannella che nasceva sulle rive del fiume e che, a suo dire, era il più potente filtro d’amore mai esistito. “Non meno di tre bocconi e la contessina sarà tua!” gli disse, e subito scomparve tra gli alberi in un oscuro sentiero. Come fare, però, a far mangiare a Sinnamì tre bocconi di cannella? Dopo una lunga notte insonne, il duca decise: avrebbe preparato per lei dei deliziosi cioccolatini e all’interno vi avrebbe unito quella spezia. Subito si mise all’opera e il giorno seguente si recò a far visita alla bella Sinnamì per una delle loro abituali passeggiate. Questa, assai ghiotta di cioccolata e ben lieta del dono, tra un passo e l’altro li mangiò tutti. Il duca allora, rassicurato dalle parole di Tisona, la fermò e sotto la luce di uno splendido tramonto le rivelò tutto il suo amore. La contessa, mossa forse da quel potente filtro o dalle tenere parole di lui, si gettò tra le sue braccia e finalmente ricambiò i suoi sentimenti. Fu così, per amor della contessa Sinnamì, che nacque la dolce ricetta del cioccolato alla cannella.

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L’APPRENDISTA VISCONTE


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ei territori dell’Alta Langa, molto tempo fa, viveva un curioso

apprendista cioccolataio. Egli non era ricco e non possedeva una bottega dove lavorare, ma praticava i suoi gustosi esperimenti

nel bosco alle pendici di un colle. Nessuno conosceva il suo nome e in paese veniva soprannominato “Tribolo” a causa della sua pancia molto pronunciata e perfettamente rotonda. Non aveva amici all’infuori di uno scoiattolo, Nux, che portava sempre sulla spalla e con il quale, si diceva, fosse anche in grado di parlare. Le sue giornate trascorrevano in quel bosco, a contatto con la natura e con il suo amato cacao. Alle prime luci dell’alba iniziava a lavorare il cioccolato su delle grezze tavole quadrate, al crepuscolo le faceva freddare e di sera le gustava sotto un cielo terso e stellato. Un fortunato pomeriggio, mentre Tribolo riposava tranquillo sotto le fronde di un nocciolo, Nux si accorse di una bellissima scoiattolina sul più alto ramo dell’albero che si agitava e tremava, spaventata forse da quella così alta quota. Subito iniziò a correre da un ramo all’altro per raggiungerla, provocando una copiosa cascata di nocciole. Cadendo, queste andavano a finire sul pancione di Tribolo: qui uscivano dalla loro buccia e rimbalzavano, fino ad immergersi nelle tavolette di cioccolata ancora fresca. Caso volle che si trovasse a passare di lì il re di ritorno da una battuta di caccia e che, stanco e affaticato, chiedesse a Tribolo un po’ di ristoro. Il buon apprendista altro non aveva che quel cioccolato misto a nocciole e, titubante, glielo offrì. Quando il re lo assaggiò rimase estasiato: quello era sicuramente il cioccolato più buono di sempre! Fu così, per un caso fortuito, che Tribolo si guadagnò il titolo di visconte delle Langhe, ebbe in dono una casa, un terreno di noccioli e una fama sconfinata.

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UN BARONETTO TUTTO PEPE


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el grande palazzo baronale del Monferrato viveva il piccolo

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Scilli, un bambino vivace e pasticcione, famoso per i dispetti

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che era solito fare ai malcapitati ospiti della tenuta di famiglia.

Il baronetto si ingegnava molto per le sue diavolerie e, dai bastoncini in legno ai sassolini appuntiti, dalle foglie umide ai nidi di vespe abbandonati, tutto per lui era l’inizio di una nuova marachella. Da poco il barone, suo padre, aveva fatto piantare nell’orto delle piante di peperoncino, ricordo di un viaggio oltre oceano, e ben conoscendo il carattere del figlio, gli aveva spesso raccomandato di non toccare quei frutti rossi. È assai noto però che quanto più una cosa sia proibita, tanto più siamo spinti a volerla e per Scilli fu esattamente così: non appena ebbe la certezza di non esser visto, sgattaiolò nell’orto e prese alcuni di quei frutti. Ne morse subito uno e in bocca sentì crescere come un fuoco! Che scoperta eccezionale! Quanti scherzi formidabili ne sarebbero usciti! Caso volle che alcuni giorni più tardi arrivasse in visita la anziana zia Solanace, una donna severa e arcigna che il piccolo proprio non sopportava. Scilli aveva architettato un dispetto fantastico e aveva organizzato tutto nei minimi dettagli. Appena la zia si sistemò nella sala da tè, in attesa che il barone e la baronessa la raggiungessero, Scilli corse da lei a fare gli onori di casa e le offrì quei frutti rossi provenienti da terre tanto lontane. Solanace accettò ben volentieri il gentile omaggio e subito ne assaggiò uno. Al primo morso il suo volto divenne rosso proprio come quei peperoncini! Spalancò gli occhi, cacciò fuori la lingua e iniziò a farle vento con il suo grande ventaglio. Scilli, non ancora soddisfatto, non le passò dell’acqua ma della cioccolata amara, che la zia mandò immediatamente giù. La reazione di Solacene stavolta fu inaspettata: sul volto tornò il suo naturale colorito e comparve un’espressione quasi compiaciuta. Il sapore del peperoncino misto a quello alla cioccolata era formidabile! Proprio in quel momento arrivarono il barone e la baronessa, che furono subito messi al corrente della scoperta. Così Scilli ebbe il merito di quella squisita invenzione e grazie a lui fu avviata la produzione del nuovo saporitissimo cioccolato al peperoncino.

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LIMINO VS

SINENSE


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ulla costa orientale della soleggiata Sicilia vivevano due baroni, Limino e Sinense, fratelli gemelli in lite tra loro. Si narra che fu a causa di una donna che i due si divisero, ma la questione fu sepolta

non appena entrambi ebbero preso moglie. Vivevano in due ville vicine e perfettamente identiche che circondarono di piante diverse per poterle identificare: Limino cinse la sua casa con bellissime piante di limoni, Sinense con alti alberi di arance e a chiunque arrivasse sulla costa apparivano all’orizzonte due grandi macchie di colore, una gialla e una arancione luminosissime.Un giorno di autunno bussò alle loro porte un messo del re per metterli al corrente di una grande notizia: colui che, nel giro di un mese, avesse portato al suo cospetto il dolce più buono, avrebbe ricevuto la tenuta del Visconte della Maira, loro anziano zio. I due, eccitatissimi, iniziarono a pensare ad una ricetta nuova, da tenere assolutamente segreta. Dopo giorni di prove e di lunghe e laboriose ricette, arrivò il momento della partenza ed entrambi si misero in viaggio con le loro creazioni. Le loro carrozze arrivarono insieme in Piemonte, e i due si presentarono contemporaneamente al cospetto del re. Non appena aprirono i grandi bauli con le loro preziose creazioni, in tutta la sala calò il silenzio. Entrambi presentavano la stessa ricetta! Limino aveva portato le scorze dei suoi limoni ricoperte di cioccolata e Sinense le scorze delle sue arance, anch’esse ricoperte di cioccolata. Il re, divertito dal bizzarro caso e impaziente di assaggiarle, con la mano destra ne prese una al limone, con la mano sinistra una all’arancia e, prima una e poi l’altra, le assaggiò. Quel gusto era così nuovo, così particolare, così buono, che non riuscì a scegliere il migliore. E lasciò ai golosi a venire l’ardua sentenza.

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NESSUN DORMA!


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ome ogni autunno, per il compleanno della principessina, il re aveva organizzato un grande torneo che richiamava in Piemonte i nobili di ogni dove. Le celebrazioni, della durata

di tre giorni e tre notti, erano l’occasione preferita dei cioccolatai della zona che, rimpinguando di dolci i gareggianti e gli spettatori, avevano modo di impressionare tutti con le loro meravigliose creazioni: castelli, giostre, troni e perfino corone di cioccolata erano stati esibiti negli anni precedenti, tutti bellissimi alla vista e buonissimi al palato. Si narra che quell’anno, per celebrare i 10 anni della principessa, il re avesse fatto arrivare dal nuovo continente Rubiacio, un famoso cioccolataio che girava il mondo insieme al suo pappagallo Evri. Per il primo giorno di giochi, Rubiacio costruì un fiume di cioccolata che, grazie a una fitta rete di tubi e passaggi, arrivava dritto dritto ai sovrani per saziarli e allietarli durante gli spettacoli. Il giorno seguente, mentre lavorava a un nuovo congegno, arrivò da lui un messo del re in affanno per riferirgli un’insolita richiesta. “Il re ha dato ordine che nessun dorma durante l’ultima notte di torneo! Vuole un’invenzione... Una scoperta... Un qualcosa che tenga tutti svegli!!” Rubiacio iniziò a pensare, ma più si sforzava di concentrarsi e più veniva distratto da un fastidioso e monotono picchettio: Evri, annoiato, stava battendo il becco su una cesta piena di cicchi duri e profumati che Rubiacio aveva portato con sè durante il viaggio. Ma certo! Come aveva fatto a non pensarci prima? Avrebbe utilizzato proprio quei semi di caffè, sconosciuti in Piemonte ma ben noti a lui, che avevano il potere di far passare il sonno e rinvigorire. Presto si mise all’opera e, mescolando il caffè alla cioccolata, creò dei bellissimi cioccolatini della stessa forma di quei chicchi. Il re la sera stessa provò con i suoi occhi che quei cioccolatini avevano davvero il magico potere di tenere tutti svegli! Rubiacio fu nominato cioccolataio di corte e per le grandi occasioni fu avviata la produzione di cioccolato al caffè, che da sempre delizia gli animi e li risveglia.

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