Prima edizione digitale
7/ 2020
Questo libro raccoglie articoli pubblicati originariamente su Patreon.com alla pagina “Domus project, a miniature building stone by stone” tra luglio 2019 e maggio 2020. Tutti i contenuti, incluse le immagini, i testi e le illustrazioni, sono originali dell’autore tranne dove diversamente indicato. La copia e la distribuzione dell’opera sono permesse in numero limitato, a patto che ne venga rispettata l’integrità in ogni sua parte. Resta vietata la distribuzione su larga scala attraverso mezzi digitali o per scopo di lucro, a meno di permesso esplicito dell’autore. I trasgressori saranno severamente puniti (le cave di pietra hanno sempre bisogno di manodopera). Domus project © 2009-2020 Werner Maresta http://pietrasupietra.blogspot.com
CONTENUTI
Introduzione
COSA è il DOMUS PROJECT?
Capitolo 1
BASE in cemento
Capitolo 2
MATTONCINI con il DAS
Capitolo 3
FONDAZIONI
Capitolo 4
PAVIMENTO a spina di pesce
Capitolo 5/6
Strutture in CEMENTO ARMATO
Capitolo 7
MURI in mattoni (1)
Capitolo 8
SCALA in mattoni (1)
Capitolo 9
VOLTA a botte
Capitolo 10
MURI in mattoni (2)
Capitolo 11
Taglio dell’ARDESIA
Capitolo 12
PILASTRI in pietra
Capitolo 13
CISTERNA dell’acqua
Capitolo 14/15
VOLTA A CROCIERA in mattoni
Capitolo 16
CANCELLO in ferro
Capitolo 17
COLONNE in pietra
Capitolo 18/19
VOLTE A CROCIERA con apertura centrale
Capitolo 20/22
Completamento delle VOLTE e del PAVIMENTO
Capitolo 21/27/29
ARCHI in pietra e mattoni
Capitolo 23/24
BARRIQUES e TORCE A MURO
Capitolo 25/26
INFERRIATE e SPORTELLO della prigione
Capitolo 28/36
La PRIGIONE
Capitolo 30/37
SCALA in mattoni (2)
e chiusura della CISTERNA Capitolo 31/39
FINESTRA della cantina
Capitolo 32
Assemblaggio di MURI, ARCHI e VOLTE (1)
Capitolo 33/34/35
Assemblaggio di MURI, ARCHI e VOLTE (2)
Capitolo 38
La DISPENSA
Capitolo 40/42
MODIFICHE dell’ultim’ora
e chiusura della CANTINA Capitolo 41
ILLUMINAZIONE ELETTRICA
Appendice 1
Il PROGETTO
Appendice 2
PIANTE ed elaborazioni 3D
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Introduzione
COSA è il Domus project? Modellismo statico? Plastico architettonico? Casa di bambola? Diorama? Arte?
«Per ora intorno ai 35Kg, ma immagino che arriverà almeno a 60.»
Nonostante ne sia passata di acqua sotto i ponti da quando iniziai la costruzione, per quanto ci provi non riesco mai a rispondere in modo conciso ed esauriente. Anzi, se me ne viene data l’occasione travolgo il mio interlocutore con una valanga di parole che spesso, se non accompagnate da immagini, lasciano il tempo che trovano. Di solito, dopo aver sfoggiato un ampio sorriso per l’interesse dimostrato nei confronti del mio progetto, parto in quarta con la definizione ufficiale:
A quel punto resto in attesa dell’inevitabile domanda.
«Il Domus project è la costruzione in miniatura di un immaginario palazzo nobiliare genovese del XIV secolo, realizzato secondo tecniche costruttive reali e con l’uso di materiali naturali.»
«Ma perché lo fai?» Mentre farfuglio frasi sconnesse in cerca di una risposta socialmente accettabile, il suo dito continua a scorrere le immagini in preda a una sorta di frenesia, finché un’intuizione si fa strada nella sua mente: «Sei pazzo!» Ecco, a questo punto non c’è altro da aggiungere. Ma facciamo un passo indietro e vediamo come tutto ebbe inizio...
Quindi, vedendo l’espressione del malcapitato (o della malcapitata) oscillare tra la fiduciosa ammirazione e lo smarrimento, aggiungo: «Ovviamente, il tutto è costruito pietra su pietra, mattone su mattone.» Ovviamente. Per fortuna basta suggerirgli/le di digitare l’indirizzo del blog sul suo smartphone, e tutte quelle vane parole iniziano come per magia ad acquistare un senso. «Ma quanto ci metti per fare un pezzo di questi?» «Non so, dipende... ci lavoro nei ritagli di tempo. Ho iniziato dieci anni fa... » Riesco quasi a sentire il peso del suo sguardo mentre cerca di capire se sono serio. «Cavolo, chissà quanto pesa...»
Genova nel XVI secolo (incisione tratta dalle Cronache di Norimberga, c.1490).
Nel 2009 avevo appena portato a termine un mio precedente progetto (la copia di un mosaico romano con scarti ceramici) durato quattro anni. Approfittando del passaggio al digitale terrestre avevo anche abbandonato l’insana abitudine di guardare la TV, per cui mi ritrovavo con una discreta quantità di tempo libero che decisi di investire in un vecchio sogno: la costruzione di un palazzo in miniatura. Tempo prima mi ero imbattuto negli scarti di lavorazione di un marmista, che avevo raccolto senza sapere bene cosa farne. In seguito, accostando alcuni listelli di marmo bianco e ardesia grigia, iniziai a intravedere qualcosa. Era poco più di una fantasia, alimentata dall’osservazione di ciò che resta dei sontuosi palazzi della Genova medievale. Un passato ricco e sconosciuto ai più, che riaffiora da sotto gli intonaci moderni riportando alla vista le ampie arcate di logge mercantili occluse da secoli, eleganti finestre colonnate e facciate bicolori in pietra. Spesso mi ero sforzato di immaginare il loro aspetto originale, come testimonia lo schizzo a matita che riporto in questa pagina, fatto nel 1993 durante una sessione di disegno con la mia classe del liceo. Il Domus project era ancora di là da venire, ma il seme era piantato. Ci sarebbero voluti gli scarti di qualche potenziale lapide per far sì che germogliasse! Presa la decisione, mi dedicai a raccogliere informazioni sull’architettura medievale, facendo ricerche su internet, in biblioteca e per le strade della città. Dopo aver letto vari libri e perfino seguito (senza impegno) videocorsi di architettura, tecnica delle costruzioni e storia medievale, decisi che era il momento di passare ai fatti. La posa della prima pietra avvenne ufficialmente nel luglio del 2009 sul mio terrazzo a Granada, e pochi mesi dopo iniziai a scrivere un blog per raccontare al mondo questa mini-avventura.
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Perché questo libro? Questo ebook segue la costruzione della Domus attraverso le immagini e gli articoli (appropriatamente rielaborati) pubblicati sulla mia pagina di Patreon, ma per comprendere al meglio le mie intenzioni penso sia necessario innanzitutto specificare cosa questo libro non è: Non si tratta di un manuale di modellismo. Ci sono metodi decisamente più pratici e veloci per realizzare ricostruzioni architettoniche per gli usi più disparati, dai modelli cinematografici alle ricostruzioni storiche, fino ai moduli componibili per scenari wargame. Non si tratta neppure di un trattato di architettura, per il quale non avrei le carte in regola né le conoscenze necessarie. È molto più semplicemente il racconto cronologico di quanto sperimentato all’interno del mio “cantiere”, includendo la descrizione dei materiali, gli strumenti usati, i procedimenti e anche gli errori che hanno portato la costruzione al punto in cui è oggi. Insomma, una sorta di diario di bordo, o come recita il sottotitolo: Il diario segreto del mastro costruttore. Questo volume nasce come il primo di una serie che si concluderà con il completamento del progetto, che mi auguro più vicino nel tempo di quanto non lo sia l’inizio. Ove possibile fornirò le misure degli elementi realizzati nel caso qualcuno ambisse a ripercorrere i miei passi. In realtà spero che la lettura di queste pagine possa offrire agli aspiranti costruttori lo stimolo per intraprendere il proprio personale progetto, che è poi il motivo per cui iniziai a scrivere sul blog. Per concludere, in qualità di mastro d’opera mi sento autorizzato a darvi un unico consiglio: non smettete mai di alimentare la vostra creatività, anche se quello che fate non rientra in facili categorie. Poco importa se non c’è un’etichetta già pronta, le parole arrivano sempre in ritardo. Prima nascono le idee. Werner Maresta
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Capitolo1
BASE in cemento
Giorno 1: Inizio dei lavori. Dopo aver costruito una cornice in legno e approntato una superficie liscia sulla quale appoggiarla, passo alla preparazione del cemento. Non avendo nozioni specifiche sulle dosi corrette, mi documento un po’ su internet, trovando ovviamente tutto e il suo contrario. Le proporzioni piÚ ricorrenti vogliono che per ogni parte di cemento se ne aggiunga una di acqua e due di sabbia...
Decido di fidarmi e procedo alla mescola versando il composto all’interno della cornice. A metà del lavoro inserisco nel cemento fresco una rete metallica a maglie piccole, poi finisco di versare il composto e lascio asciugare, coprendo tutto con un panno bagnato per evitare la formazione di crepe.
Il giorno seguente la base è asciutta, ma si sbriciola sui bordi al semplice tocco delle dita. Evidentemente c’è un eccesso d’acqua o di sabbia. Falsa partenza.
Nonostante questo il risultato è un fallimento.
Ora si può andare avanti.
Rimonto la cornice e ripeto tutta l’operazione dall’inizio, mescolando stavolta cemento e sabbia in parti uguali. Il risultato è convincente e non si sfalda.
MISURE: 30 x 40 x 2 cm MATERIALI: acqua, cemento, sabbia, rete metallica inossidabile STRUMENTI: listelli di legno, viti, trapano, cacciavite, sacco di plastica, nastro adesivo, spugna, carta abrasiva, spatola
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Capitolo 2
MATTONCINI con il DAS
Entriamo nel vivo dei lavori con la realizzazione dei mattoncini di DAS, che accompagneranno la costruzione della Domus per buona parte del progetto. Le foto presenti in queste pagine si riferiscono a varie “infornate” fatte in momenti diversi, ma formano un’unica ideale sequenza attraverso la quale si può seguire passo a passo la loro produzione. Gli strumenti necessari sono piuttosto semplici. Oltre al DAS uso squadra, taglierino, spatola, un pezzo di parquet con due sottili guide laterali, un mattarello di legno liscio (in questo caso un pezzo del palo di sostegno di un vecchio ombrellone), uno spruzzino pieno d’acqua, carta abrasiva e una lima per metalli.
Dopo aver applicato sulla tavola “fette” di DAS dello spessore di circa 1cm, le distendo con le dita fino a riempire tutto lo spazio tra le guide. A questo punto presso il tutto con il rullo opportunamente inumidito per evitare che il DAS vi si attacchi. L’operazione successiva è l’incisione dei mattoncini, che realizzo con l’aiuto di una spatola effettuando tagli orizzontali a una distanza di 5 millimetri uno dall’altro. Il movimento della spatola procede esclusivamente dall’alto verso il basso per evitare
che i mattoncini si deformino durante il taglio. Una volta eseguite le linee orizzontali procedo con quelle verticali ad una distanza di 8/10 millimetri. Prima di lasciar seccare il materiale esercito ancora una leggera pressione di piatto sulla superficie in modo da limitare le rotondità causate dal profilo della spatola. Dopo qualche ora il materiale si è indurito e posso carteggiare la superficie con la carta abrasiva. Ripasso con la spatola i solchi che separano i mattoncini, che sono ancora piuttosto uniti tra loro, e poi procedo al distacco. In questa fase cerco di staccare i mattoncini in strisce di almeno 4 pezzi l’una, come si vede nella a lato. Questo perché prima di essere pronti vanno ancora rifiniti con la lima, e visto che da una tavola come questa se ne ricavano più di 1300, poterli limare a gruppi di 4 invece che uno ad uno può fare una certa differenza in termini di tempo. I mattoncini risultanti non sono tutti perfettamente uguali, alcuni risultano più corti, altri più spessi... il DAS però è un materiale facile da lavorare anche da asciutto e all’occorrenza i pezzi possono essere modificati prima dell’uso: limati, tagliati a metà, ad angolo, ecc. Questa caratteristica sarà molto utile al momento di costruire muri e volte, dove non tutti i mattoni dovranno avere la stessa forma e andranno adattati sul momento in base alla loro collocazione, un po’ come avviene in un mosaico...
MISURE: mattoncini: 5 x 8 x 2 mm sezione guide: 5 x 2 mm spazio utile: 15 x 42 cm MATERIALI: DAS, acqua STRUMENTI: tavola di legno, listelli, mattarello, colla, squadra, spugna, carta abrasiva, lima, spatola... pazienza
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Capitolo 3
FONDAZIONI
A scanso di equivoci, diciamo subito che più che di vere e proprie fondazioni si tratta di una soletta in cemento posta tra la base precedentemente realizzata e le strutture verticali dei sotterranei. Dopo aver riprodotto la pianta a matita sulla base (vedi Appendice 2), delimito le zone in cui voglio
realizzare la soletta con listelli di legno della stessa larghezza dei mattoni che userò per realizzare il pavimento. Per facilitare la presa del cemento sulla superficie, altrimenti troppo liscia, scavo un reticolo di solchi con un punteruolo e con il Dremel. Dopodiché preparo una piccola quantità di cemento e riempio gli stampi livellando tutto con la spatola.
Il giorno successivo rimuovo i listelli di legno e ripulisco la base dai resti di cemento. Effettuo anche quattro fori negli angoli, che secondo il progetto iniziale dovrebbero servire da incastro per l’armatura metallica di sostegno. Successivamente deciderò di non utilizzarli, anche a causa delle modifiche alle strutture in cemento armato che vedremo nei prossimi capitoli.
MISURE: sezione listelli: 5 x 5 mm spessore muri e pilastri: 2 cm
Il risultato finale lo potete vedere qui sopra: mura perimetrali, pilastri e vano scala sono giĂ chiaramente delineati.
MATERIALI: acqua, cemento, sabbia
Ma è giunto il momento di iniziare a collocare i mattoncini che ho fabbricato ormai a centinaia...
STRUMENTI: listelli di legno, punteruolo, Dremel, colla da contatto, spatola
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Capitolo 4
PAVIMENTO a spina di pesce
Come dicevo, è arrivato il momento di iniziare la posa dei mattoni. La tecnica scelta per la pavimentazione della cantina è quella a spina di pesce (opus spicatum), uno dei motivi più classici ma allo stesso tempo più decorativi. Per la posa dei mattoncini sul cemento ricorro ad un materiale semplice ma efficace: la colla vinilica. Questa colla appare inizialmente bianca, ma diventa trasparente una volta asciutta, evitando così fastidiosi inestetismi in caso di sbavature. Dopo aver effettuato alcune prove di composizione a secco, sono pronto ad iniziare il lavoro. Per prima cosa colloco una fila di mattoncini lungo tutto il perimetro della cantina e intorno alle basi dei pilastri, fino a formare una sorta di cornice. Sto comunque molto attento a non far fuoriuscire la colla dalle fessure e a questo scopo uso un paio di pinzette metalliche, che mi permettono una maggiore precisione (i mattoncini in questa scala sono decisamente piccoli e lavorando solo con le dita rischierei l’esaurimento nervoso). Dopo la cornice inizio ad inserire la prima fila di mattoni a 45°, preparando di volta in volta piccole porzioni di pavimento con la colla. Quando per qualche motivo rimangono piccole superfici di colla secca inutilizzata, la rimuovo con il cutter per evitare che il suo volume alteri la disposizione dei mattoni successivi. Il lavoro procede più o meno spedito, con l’unica difficoltà di mantenere retta la disposizione delle “spighe”. I mattoni infatti non hanno tutti la stessa identica lunghezza e alcuni vanno aggiustati un po’ prima della posa. Inoltre, i più di mille mattoni realizzati si esauriscono più o meno a metà del pavimento, obbligandomi a sospendere la posa per prepararne una seconda tavolata (un intero giorno di lavoro tra modellato, taglio, essiccazione e rifiniture).
Finita la composizione delle spighe e riempiti gli angoli vuoti rimasti lungo i bordi con mattoncini tagliati a base triangolare o trapezoidale, procedo a livellare tutto il pavimento con una carteggiatura piuttosto energica. L’ultimo passaggio, dopo aver ripulito per bene la superficie dalla polvere di DAS (un mare di polvere), è la riempitura dei giunti con il cemento. Questa volta utilizzo cemento a presa rapida, che raggiunge una durezza ottimale in 2/4 ore e che può essere applicato senza l’aggiunta di sabbia. In questo modo il composto risulta più fine e penetra meglio negli interstizi tra i mattoni. A questo punto lascio asciugare, anche se in seguito dovrò nuovamente carteggiare tutta la superficie per tappare gli ultimi buchi recidivi. Lascerò comunque alcuni dislivelli e difetti che contribuiranno a rendere il tutto più realistico. La ripulitura avviene con un panno leggermente umido, che permetterà il riaffiorare dei mattoni eliminando tutto il materiale in eccesso. Un ultimo dettaglio: in queste ultime foto si vedono già i fori aperti nella soletta per l’armatura metallica... ma questo sarà il soggetto del prossimo capitolo!
MISURE: mattoni: 5 x 8 x 2 mm MATERIALI: DAS, cemento, acqua, colla vinilica STRUMENTI: pinzette, cutter, spugna, carta abrasiva, spatola
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Capitolo 5/6
Strutture in CEMENTO ARMATO
Inizia in questo capitolo la costruzione in verticale, e già che ci siamo inauguriamo anche la sezione Errori. Ma sento di dover fare una premessa per spiegare la mia scelta di usare strutture in cemento armato, che di medievale hanno ben poco. L’ambiente della cantina, che rappresenta i sotterranei dell’edificio, nella realtà sarebbe circondato dal sottosuolo o dalle fondazioni degli edifici adiacenti, e sarebbe costituita alla base da spesse mura in pietra e mattoni. Niente cemento, quindi. In questo caso però, non dimentichiamoci che stiamo parlando di un modello in scala che non risulta inserito nel terreno e non può sfruttare appoggi laterali ad altre strutture già esistenti. Inoltre, le sollecitazioni a cui presumibilmente verrà sottoposta la struttura (spostamenti, traslochi, possibili urti) non sono certo quelle che può soffrire un normale edificio cittadino. Questo, oltre ad auto-sostenersi con il suo stesso peso, avrebbe la caratteristica di essere irremovibile dal momento della sua costruzione, a meno di un terremoto o di qualche altro evento distruttivo. Decido quindi di costruire una struttura portante in cemento armato, con pilastri metallici ai quattro angoli lungo tutta l’altezza dell’edificio, che garantirebbero una maggior resistenza risultando comunque invisibili una volta terminata la costruzione. Come vedremo, l’idea (di per sé ben studiata), riuscirà solo in parte e dopo avermi causato non pochi mal di testa. Per prima cosa, seguendo il disegno delle fondazioni intorno al pavimento della cantina, costruisco con le assi di legno uno stampo completo delle murature, all’interno del quale dovrei poi inserire le barre metalliche esattamente come avviene in un vero cantiere. Queste ultime le ho ricavate dalla struttura di sostegno di una vecchia scaffalatura, che ho successivamente limato e scanalato per tutta la loro lunghezza al fine di migliorarne la presa del cemento.
Fin qui, tutto bene. Poi arriva il momento di effettuare la prima colata all’interno degli stampi. Per permettere al cemento di riempirli fino in fondo senza formare bolle d’aria, preparo un composto un po’ più liquido e lo getto in un’unica soluzione. Questo, a posteriori, si rivela un errore fatale. L’eccesso di acqua non impedisce al cemento di asciugare, grazie anche al clima secco di Granada, ma
Dopo l’iniziale scoraggiamento riprendo i lavori facendo tesoro dei precedenti errori. Ma questa volta non ricostruirò tutta la struttura in legno: muri e pilastri verranno realizzati in stampi separati e assemblati solo in un secondo momento.
il materiale risultante è fragile e di pessima qualità, tanto che una volta asciutto mi si sgretola tra le dita. I lavori vengono paralizzati e per qualche giorno l’area viene usata come parcheggio abusivo. Poi opto per un intervento drastico e demolisco quasi tutto ad eccezione di un muro perimetrale che pare più solido. Si torna alla situazione di partenza: base in cemento e pavimento in mattoni...
Oltre a questo, decido di abbandonare l’idea delle barre d’acciaio agli angoli, principalmente per la difficoltà di mantenerle perfettamente verticali e perché mi sarebbero d’intralcio in tutte le successive fasi di costruzione. Delego quindi ad un secondo momento lo studio di un sistema di supporto valido.
I blocchi, comunque, sono già forniti di armatura interna, e vengono realizzati con un cemento a presa rapida che contiene nell’impasto anche un po’ di sabbia, al contrario di quello usato per la riempitura dei giunti del pavimento.
MISURE(in mm): altezza muri: 63 pilastri centrali: 12 x 12 perimetro interno: 292 x 216
spessore muri perimetrali: 20 perimetro esterno: 332 x 256
MATERIALI: acqua, cemento, sabbia, filo metallico inossidabile STRUMENTI: righello, matita, listelli di legno e compensato, sega, lime, mastice, trapano, spugna, carta abrasiva, spatole
Per la realizzazione di questi elementi, come si nota nelle foto, non mi preoccupa molto il fattore estetico, in quanto a lavoro terminato certe strutture non saranno più visibili. Ci troviamo ancora al livello dei sotterranei, per cui lo spazio eccedente i muri perimetrali sarà successivamente coperto da altri elementi ancora in fase di studio. Il terreno che circonda le fondamenta dell’edificio dovrà comunque avere una certa consistenza visto che servirà da base per la via pubblica. Tapulli 1 a parte, questa volta sono soddisfatto del risultato. Il cemento non si sfalda e la struttura finale ha un aspetto solido e resistente, cosa di non secondaria importanza visto il peso che si troverà a dover reggere... 1
Tapullo: in genovese - lavoro poco accurato, pastrocchio
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Capitolo 7
MURI in mattoni (prima parte)
L’immagine d’apertura è un riassunto visivo dei diversi passaggi che compongono la costruzione dei muri sotterranei. Vediamo in dettaglio ogni passaggio accompagnato da una breve descrizione. Dopo aver fabbricato qualche altro centinaio di mattoncini (1), ne colloco una prima fila lungo i muri in cemento, delimitando l’area del pavimento. Incollo i mattoncini con un sottile filo di colla vinilica (2), stando attento ad evitare sbavature sul lato visibile del muro (3). Una volta completata ogni fila carteggio la superficie con la carta abrasiva o con le lime per mantenere l’orizzontalità dei corsi (4). In questo caso, l’uso di una livella a bolla è un buon metodo per verificare l’accuratezza della posa (5). La fila successiva, ovviamente, andrà collocata in modo che i giunti verticali non coincidano con quelli della fila sottostante. Sulla soglia che appare nelle prime foto colloco file di mattoni fino a formare un piccolo gradino. Inizialmente questa apertura non era prevista e rimaneva quindi scoperta la base in cemento, ma il cambio di metodo nella realizzazione delle strutture (vedi capitolo 5/6) mi ha portato ad immaginare un accesso anche su questo lato. Il passaggio potrebbe mettere in comunicazione la cantina con i sotterranei dell’edificio adiacente, che a quanto ne so dovrebbe appartenere al medesimo proprietario. Altre parti della muratura rimangono momentaneamente incomplete e verranno riprese in seguito, come quella che delimita il corridoio esterno. Questo secondo passaggio era già parte del progetto iniziale e conduce fuori dai sotterranei del palazzo. Effettivamente, il sottosuolo della città è
attraversato da tutta una serie di gallerie grandi e piccole, e quest’uscita sotterranea potrebbe collegarsi a un altro edificio oppure semplicemente proseguire fino a sbucare in qualche condotto fognario. O ancora, attraverso questa galleria si può raggiungere una grotta segreta dove una piccola imbarcazione è pronta a salpare in qualsiasi momento (cosa che proverebbe che Batman non è stato il primo a possedere una batcaverna). Appena ne avrò l’occasione darò un’occhiata alle mappe del catasto per risolvere una volta per tutte questo mistero...
MATERIALI: mattoncini di DAS, colla vinilica STRUMENTI: pinzette, cutter, carta abrasiva, spatolina MISURE: mattoncini: 5 x 8 x 2 mm
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Capitolo 8
SCALA in mattoni (prima parte)
Prima di poter costruire la scalinata che dalla cantina sale al piano terreno devo preparare una base sulla quale collocare i mattoncini. Anche in questo caso decido di risolvere la questione con il cemento, che nel modello va a sostituire quello che nella realtà sarebbe il terreno roccioso sul quale poggia la casa.
fase di disegno aggiusto le imperfezioni a occhio.
Stavolta lo stampo richiede un lavoro più accurato dei precedenti, in quanto presenta già le scanalature dei gradini e deve obbligatoriamente rispettare le dimensioni previste in fase di progettazione. Se risultasse un più lunga o più corta anche di pochi millimetri, la scala non coinciderebbe con il livello del piano terreno e con la porta che si trova alla sua sommità, alterando tutta una serie di misure riguardo le rampe successive che sinceramente non so se sarei in grado di correggere, anche perché spesso in
Il primo esempio (A) rappresenta una scala in cemento armato di tipo moderno e potrebbe inserirsi bene in una struttura su vari piani senza sovraccaricare il modello. L’armatura è composta da filo metallico attorcigliato e inserito in fori aperti direttamente nella cassaforma.
In questi disegni illustro due diverse opzioni per la costruzione della struttura in cemento, a partire da una cassaforma in legno realizzata su misura e montata con la colla.
Il secondo (B) è un modello più semplice e massiccio e privo di armatura,ed è quello da me scelto per questa prima rampa sotterranea.
Per quanto riguarda il rivestimento, una volta collocati i mattoni su vari scalini inizio a gettare le basi per le pareti del vano scala. In questo caso opto per una muratura a corsi inclinati, cioè che segua la stessa pendenza della scala. Nella gran parte della documentazione da me trovata i corsi sono orizzontali anche in concomitanza con le scale, ma ho l’impressione che il muro inclinato dia al tutto un’aria più... “antica”. Mi vengono in mente le tipiche balaustre di legno delle domus romane, le cui ver-
ticali erano perpendicolari alla scala e non al piano orizzontale del pavimento. Anche qui comunque mi prendo una bella licenza, costruendo la base dei muri con listelli di legno posti nella giusta inclinazione. Un’altro piccolo trucco da farmi perdonare... Alla scala così come appare nelle foto mancano alcuni gradini per raggiungere il piano superiore, e verranno aggiunti al di sopra del muro in cemento. Per il momento mi fermo e passo alla riempitura dei giunti con il cemento a presa rapida.
Aggiungo quindi il pilastro sulla destra della scala, non inserito prima perché non intralciasse la mia mano in fase di rifinitura. Poi, preso da repentina ispirazione, costruisco la porzione di muro mancante con piccoli blocchi di cemento invece che in un unico pezzo come fatto in precedenza. In fondo anche l’effetto di questi blocchi è interessante. Forse più indicato per una struttura militare o per le mura cittadine che per una casa privata...
Probabilmente provengono dagli scarti di costruzione di qualche torre che il padrone di casa ha ricevuto in dono dalle autorità cittadine in cambio dei suoi favori... o magari sono un “piccolo” souvenir dell’ultima crociata in Terra Santa, va’ a sapere! Ormai che l’ho iniziato, vedrò di terminare questa parete utilizzando la stessa tecnica, anche se non so ancora se risulterà visibile a lavoro ultimato.
Sul lato sinistro della scala, invece, prende forma una piccola apertura che darà accesso alla cisterna dell’acqua. Nell’immagine qui a sinistra si inizia ad intuire qualcosa, ma la vedremo meglio più avanti. Per concludere, raccomando a tutti di prestare la massima attenzione a dove mettono i piedi nello scendere quelle scale. Sono piuttosto ripide, e come se non bastasse il primo scalino mi sembra pure storto. Provvederò al più presto a dargli una ripassata con la carta abrasiva...
MISURE (in mm): struttura in cemento: 75 (base) x 85 (h) x 3 MATERIALI: cemento, sabbia, acqua, mattoncini di DAS, listelli di legno, colla vinilica STRUMENTI: stampo in legno, pinzette, spatolina, cutter, carta abrasiva
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Capitolo 9
VOLTA a BOTTE
All’interno del cantiere della Domus va lentamente prendendo forma l’ambiente della cantina con il vano scale, i pilastri e le varie aperture.
si affaccia sulla parte più ampia del sotterraneo, che converge in basso a sinistra nello stretto corridoio già visto in precedenza.
Osservando l’immagine qui sopra si nota che su un lato del perimetro vi sono ben tre aperture, attraverso le quali a lavori ultimati sarà possibile vedere gli ambienti interni. In alto, invece, l’accesso laterale
Proprio la galleria sarà il punto di partenza per la realizzazione delle volte di copertura. In questo caso si tratterà di una semplice volta a botte, per la cui costruzione mi servo di un pezzo di tubo di
gomma che si adatta perfettamente alla larghezza del corridoio. I filari di mattoni vengono collocati direttamente sul tubo seguendone la curva, ma inserendo la colla solo tra mattone e mattone senza lasciare che eventuali sbavature la attacchino al supporto. Le ultime file convergono al centro del tubo chiudendo il se-
micerchio della volta. Per agevolarne la curvatura, prima di collocare ogni singolo mattone lo ritocco con la lima in modo da dargli una forma leggermente trapezoidale, mantenendo il lato piÚ stretto all’interno della volta e quello piÚ largo all’esterno (vedi disegno a fronte di questo capitolo).
A colla asciutta posso rimuovere la centina di gomma e la volta è già in grado di auto-sostenersi. Applico lo stesso procedimento per la copertura dell’accesso laterale, che è in realtà un semplice arco a sesto leggermente ribassato. Questa volta il supporto è realizzato in polistirolo e cartone. Ovviamente ciò che importa sono la forma e il risultato finale, un rotolo di carta igienica è uno strumento come un altro agli occhi di un vero costruttore...
MATERIALI: mattoncini di DAS, colla vinilica, tubo di gomma, cilindro di cartone, polistirolo STRUMENTI: pinzette, spatolina, cutter, forbici, carta abrasiva MISURE:
dimensioni tunnel: 70 x 27 (luce) x 46 (h) altezza volta: 13,5 (intradosso); 17 (estr.) accesso laterale: 23 x 56 (luce) x 46 (h.) altezza volta: 25 (intr.); 29,5 (estr.)
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Capitolo 10
MURI in mattoni (seconda parte)
Come per il pavimento, quando la posa dei mattoni è terminata (in questo caso, con il raggiungimento del piano d’imposta delle volte) posso procedere con la carteggiatura e la chiusura dei giunti. Per la prima operazione preparo un piccolo strumento ad hoc incollando un ritaglio di carta vetrata
a grana fine su un supporto di legno, che mi permetterà di livellare gli angoli in modo più preciso che con le dita. In questo caso decido di non rifinire i muri al 100%, lasciando alcune zone leggermente irregolari per spezzare l’uniformità delle superfici.
Una volta terminata la carteggiatura devo ripulire i muri dalla polvere di DAS... Questo compito risulta il meno grato, in quanto il semplice aspirapolvere non riesce ad eliminare quello che si accumula negli angoli e nei giunti tra i mattoni, obbligandomi a ricorrere ad un metodo efficace ma anche poco dignitoso: soffiare.
Comunque, dopo le prime brutte esperienze imparo a chiudere gli occhi in tempo e ad allontanare la faccia prima di riprendere fiato. Per la riempitura dei giunti preparo nuovamente una soluzione piuttosto liquida di acqua e cemento (boiacca) che applico con un semplice pennello per poi rimuovere gli eccessi con lo stesso pennello o un panno umido.
Infine, un’ultima levigatura più superficiale della precedente, solo per il gusto di fare ancora un po’ di polvere... MATERIALI: acqua, cemento STRUMENTI: carta abrasiva, pennello, spugnetta umida
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Capitolo 11
Taglio dell’ARDESIA
Quando raccolsi le prime barrette d’ardesia non sapevo ancora con quale strumento le avrei potute tagliare, cosa che mi portò a scegliere quelle più piccole e facilmente lavorabili. Nonostante si tratti di pezzi di diverse dimensioni, infatti, nessuno supera i 2 cm di spessore. Le prime prove di taglio le effettuai con un paio di semplici tenaglie. Data la struttura fortemente stratificata dell’ardesia, risulta conveniente sfruttare la sua foliazione naturale durante quest’operazione,
anche perché in caso contrario il rischio di rotture sui pezzi più piccoli è piuttosto alto. Con un semplice “morso” di tenaglia dato nel punto giusto si può estendere il taglio per tutta la lunghezza della barra, riducendo notevolmente tempi e sforzo. Purtroppo, non sempre i pezzi da me raccolti presentano gli strati disposti nel senso più comodo e quando si rende necessario un taglio perpendicolare alla foliazione, le cose si complicano. In questo caso molto dipende dallo spessore della
barra: sotto il mezzo centimetro uso comunque le tenaglie, mentre per spessori maggiori mi affido al seghetto per metalli o al disco diamantato. Usando un morsetto per bloccare il pezzo al tavolo di lavoro, il seghetto lavora egregiamente e senza alzare troppa polvere. Alla lunga però risulta un po’ stancante e le lame di ricambio non si contano. Ovviamente, prima dell’arrivo del Dremel, si trattava dell’unico mezzo a mia disposizione per questo tipo di lavoro.
Subito dopo l’acquisto feci alcune prove di taglio il cui risultato si può osservare in queste pagine. Grazie alle dimensioni ridotte il lavoro non è eccessivamente duro e non affatica troppo il motore. Il principale inconveniente sta nel fatto che, trattandosi di taglio a secco, la polvere risulta inevitabile. Per cui, a meno di non avere a disposizione una stanza apposita (come nel mio caso), fare questo lavoro in casa sarebbe pura follia. Meglio lavorare in un ambiente aperto, terrazzo o giardino che sia.
Ovviamente il Dremel va maneggiato con molta cautela ed è consigliabile proteggersi da eventuali schegge con un paio di occhiali da lavoro (e magari anche una mascherina, visto che respirare questi residui non sembra molto salutare). Una volta tagliata in modo manuale o meccanico, la pietra può essere successivamente lavorata con lime metalliche o carta abrasiva per ottenere mattoncini o altri elementi architettonici delle forme più diverse. L’uso di una carta abrasiva a grana fine darà come risultato superfici perfettamente levigate che tenderanno ad assumere un colore più scuro, anche se la pietra per sua natura tende a schiarirsi con il tempo. Una carteggiatura più approssimativa, invece, lascerà visibili graffi e segni più o meno profondi che daranno ai muri un aspetto più grezzo.
MATERIALI: ardesia grigia STRUMENTI: Dremel con disco diamantato, tenaglie, morsetto da tavolo, carta abrasiva, lime
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Capitolo 12
PILASTRI in pietra
In questa prima fase della costruzione ho avuto poche occasioni per cimentarmi nell’uso della pietra e le poche volte che l’ho fatto si è trattato più che altro di prove. I primi elementi affrontati sono i peducci in corrispondenza delle arcate delle volte e le cornici dei pilastri perimetrali. Ora é arrivato il momento di realizzare qualcosa di più massiccio e giustificare la presenza di quella scatola piena di marmo e ardesia che tengo nell’armadio. La tecnica costruttiva è molto semplice e segue lo stesso schema usato per le murature, con la differenza che i mattoncini sono in pietra e di maggiori dimensioni. Anche la “malta” è la stessa: l’onnipresente colla vinilica che tutto attacca e tutto sostiene (e che spero mantenga le sue proprietà inalterate nel tempo). Inizio a posare la prima fila di pietre alla base del pilastro, avendo cura di coprire per intero la soletta in cemento. La lunghezza delle pietre è variabile, quindi a tratti inserisco pezzi più piccoli, cercando comunque di mantenere i corsi orizzontali nonostante l’irregolarità dei tagli. L’intenzione è quella di realizzare un pilastro con blocchi non troppo rifiniti. Avendo una funzione prettamente strutturale, questo elemento non
necessita di un aspetto troppo elaborato. Di fatto non sarà neppure dotato di capitello, ma solo di una sottile cornice che fungerà da appoggio per le arcate e le volte, come si può intuire dai disegni preparatori inseriti in questa pagina. Una volta raggiunta l’altezza stabilita e collocata l’ultima pietra, non mi resta che tappare tutti i buchi e le fessure con la boiacca di cemento, e a quel punto il primo pilastro è terminato. Il secondo lo segue a ruota...
MATERIALI: ardesia, colla vinilica, cemento, acqua STRUMENTI: pinzette, tenaglie, Dremel con disco diamantato, spatolina, carta abrasiva MISURE (in mm): base: 24 x 24 altezza 47 (fusto) + 4 (cornice)
cornice: 28 x 28 x 4 blocchi: 6 x 6 x 12 (+/-)
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Capitolo13
CISTERNA dell’ACQUA
Nella costruzione della cantina, oltre al tunnel e all’arcata laterale, decido di inserire un altro elemento inizialmente non previsto: la cisterna dell’acqua. Si troverà a sinistra della rampa di scale che dalla cantina risale al piano terreno, e la volta a crociera che copre questa parte del sotterraneo sarà dotata di una botola per permettere il movimento di un secchio dai piani superiori. Questo ovviamente per far sì che i poveri servitori non debbano salire con
il pesante carico le ripidissime scale ogni volta che la signora vuole un bicchiere d’acqua. Purtroppo a questo punto del lavoro la posizione della scala non mi permette di costruire la cisterna in linea retta con le botole, per cui qualcuno dovrà comunque scendere in cantina per intingere il secchio nell’acqua. Anche l’interno della cisterna non è stato studiato per tempo, cosa che mi obbliga a “barare” inserendo dei listelli di legno per il sostegno della volta di
copertura. L’apertura sarà comunque chiusa da uno sportello e l’interno, una volta collocata la volta, non sarà più visibile.
mento lo costruisco in legno, per poi sostituirlo con uno nuovo in ferro realizzato con una placchetta arrugginita raccolta in spiaggia.
Si tratta nuovamente di una volta a botte, ma volendo differenziarla da quella della galleria (vedi cap. 9), decido di costruirla disponendo i mattoni di piatto invece che a coltello.
La sagoma della porta la ritaglio con il seghetto per metalli (per una volta lo uso per lo scopo per il quale è stato prodotto). Poi, dopo avere inciso una serie di solchi sui lati, gli avvolgo attorno del fil di ferro per ottenere un effetto che ricordi le giunture orizzontali tra varie fasce metalliche. Aperto un
Per quanto riguarda lo sportello, in un primo mo-
piccolo foro su un lato, aggiungo un anello a modo di maniglia, infine un bel tuffo in una soluzione di acqua e limone per uniformare la patina di ruggine... et voilà! Forse prima di installarlo aggiungerò una mano di smalto trasparente, ma per quello c’è ancora tempo...
MISURE (in mm): apertura: 14 x 14 + arco altezza arco: 3,2 area interna: 76 x 27 x 40 (base volta) altezza volta: 10,5 (int.); 13,5 (est.) MATERIALI: mattoncini di DAS, legno, ferro, colla vinilica STRUMENTI: rotoli di cartone, chiodi, tavoletta di legno, pinzette, pinze, seghetto per metalli, cutter, spatolina, carta abrasiva, acqua, limone
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Capitolo 14/15
VOLTE a CROCIERA in mattoni
La costruzione delle volte a crociera rappresentava uno dei miei crucci principali fin dall’inizio del progetto, sia per la sua emblematicità all’interno della costruzione, sia per il maggiore livello di complessità rispetto ai pezzi finora realizzati. Anche la sua necessaria ripetibilità fa di questo elemento una sorta di punto di controllo: se non sarò in grado di superarlo (cosa all’inizio per nulla certa) la costruzione della Domus non potrà proseguire. Come tutte le volte, anche quella a crociera viene costruita sopra una struttura provvisoria di legno (chiamata cèntina), che dopo il completamento della volta può essere riutilizzata per la costruzione di altre volte del tutto simili, garantendo così la produzione in serie dell’elemento architettonico. Nel mio caso, la prima difficoltà è data dal fatto che mentre per le volte a botte ho usato come supporto un semplice cilindro di cartone, la struttura sulla quale dovrò allineare i mattoncini nella volta a crociera si presenta ben più complessa. Dal punto di vista geometrico la crociera non è altro che l’intersezione di due volte a botte, per cui il mio primo impulso è quello di unire due cilindri ritagliando gli spicchi in modo che le curve combacino tra loro, ma ben presto mi rendo conto della difficoltà di questa opzione. Inoltre, il supporto dovrebbe essere abbastanza resistente da poter sopportare ben 11 riutilizzi (tante sono le volte che coprono la cantina). Ho bisogno di un metodo alternativo.
Un’altra ipotesi prende in considerazione l’uso del silicone, per il quale però dovrei prima costruire uno stampo. Non ho molta esperienza in questo ambito, e nonostante in rete si trovino facilmente tutorial e consigli per la realizzazione di stampi in
silicone, scelgo di dare priorità ad altre soluzioni (tra i quali l’intaglio manuale della volta in un materiale facilmente lavorabile). È un metodo certamente più lento da mettere in pratica, ma tutto sommato pìu facilmente controllabile. La domanda a questo punto è: quale materiale dovrei usare per ottenere il miglior risultato? Dopo un paio di deludenti prove su polistirolo (sia a freddo che a caldo), provo con il gesso. Casualmente ne ho un grosso sacco che i muratori hanno lasciato sul terrazzo dopo recenti lavori di ristrutturazione, e confidando che nessuno verrà a cercarlo, decido di approfittarne. Dopo aver realizzato un piccolo blocco con uno stampo di legno e averlo lasciato un paio di giorni ad asciugare, inizio a lavorarlo con il cutter impugnandolo come se stessi pelando una patata e raschiando via il materiale in eccesso strato dopo strato. Nonostante i miei sforzi il primo tentativo è deludente per via dell’altezza troppo ridotta del blocco di partenza (vedi foto a sinistra). Lo metto da parte senza terminarlo e ripeto l’operazione con un blocco più spesso (in basso).
Questa volta ci siamo. E adesso che il supporto è pronto posso iniziare a collocare i mattoncini. Questa sera penso che non mi annoierò. E poi, come dice il proverbio, la prima volta non si scorda mai!
Una prima particolarità di questo lavoro è la seguente: mentre nella realtà la posa dei mattoni inizierebbe dal basso e dai lati fino a convergere al centro delle arcate, lavorando su dimensioni così piccole risulta molto più comodo partire dall’alto, formando una croce che farà poi da spina dorsale a tutta la volta.
Questi primi mattoni sono squadrati in modo piuttosto regolare, mentre a partire dalle file successive avranno una forma leggermente trapezoidale per meglio adattarsi alla curvatura della volta. Nel punto in cui le due arcate si uniscono a spicchio, i mattoni vanno tagliati in diagonale secondo una certa inclinazione (che varia da una fila all’altra) per aderire con la maggior precisione possibile ai mattoni dell’altro spicchio. Questa è forse la maggiore difficoltà nella realizzazione delle volte a crociera, ma si risolve semplicemente con un po’ di pratica. Diciamo che, prima di aver completato le copertu-
MISURE (in mm): arcate laterali: 54 x 20 (58 x 26 dopo il prolungamento dei peducci) MATERIALI: mattoncini di DAS, colla vinilica STRUMENTI: supporto in gesso, pinzette, cutter, spatolina, carta abrasiva, Dremel con disco abrasivo
re dei sotterranei avrò modo di acquisire una certa esperienza in merito. Finito l’assemblaggio, la volta così assemblata avrà ancora bisogno di qualche ritocco per considerarsi finita: taglio delle eccedenze sui lati, levigatura della superficie interna, boiaccatura... Questo però lo vedremo meglio in un altro capitolo, per ora mi limito a mostrare il lavoro compiuto e a farmi coraggio per affrontare le dieci volte che ancora mi aspettano...
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Capitolo 16
CANCELLO in ferro
Questi sono i tre tipi di filo a mia disposizione al momento di iniziare il lavoro: uno sottile e molto arrugginito raccolto su un binario morto della stazione di Lavagna; uno più spesso trovato per strada a Granada, e un terzo di colore tendente al grigio, molto malleabile, pescato in un sacco di detriti a Barcellona (una selezione internazionale, quindi). Per la costruzione del cancello userò solo i primi due, lasciando il terzo ad un possibile uso futuro.
Cos’hanno in comune tre rotoli di filo metallico di diametro e colore diversi, raccolti in tre luoghi distinti e lontani tra loro? Ma è ovvio: tutti e tre sono stati selezionati per partecipare al Domus project! Appena iniziata la costruzione della casa, infatti, cominciai a guardarmi intorno alla ricerca di vecchio fil di ferro, pensando che mi sarebbe potuto tornare utile per alcuni elementi accessori. In effetti stavo pensando proprio al soggetto di questo capitolo, ovvero il cancello del tunnel sotterraneo. Per dare un aspetto realistico all’insieme era necessario che il filo fosse usato, imbrunito dal tempo e magari leggermente arrugginito. Quelli che si trovano in commercio sono trattati per impedirne l’ossidazione, e mentre per il cliente comune questo è indubbiamente un vantaggio, per me è l’esatto contrario.
Questo il procedimento: taglio il filo più spesso in barrette di poco inferiori all’altezza del mio tunnel, che unisco tra loro usando quello più sottile. Non potendo usare un saldatore (che non ho) mi ingegno per annodare le varie parti nel modo più regolare possibile, aiutandomi con le pinze e cercando di non graffiare la patina superficiale (se l’ossido si scrosta, addio effetto ruggine). Dopo i primi rozzi tentativi ci prendo la mano e montare l’intero cancelletto non risulta poi così difficile. L’unico motivo d’attenzione è rappresentato dalla distanza tra le barre verticali, che va mantenuta il più possibile costante. In queste immagini il cancello appare già quasi terminato, mancano solo la serratura e i cardini che lo fisseranno alla parete del tunnel. Il catenaccio lo risolvo piegando un tratto di filo metallico che si presentava già schiacciato, ricordando la forma di una maniglia. Con il filo restante costruisco i passanti per il chiavistello, che per ora risultano un po’ approssimativi ma che in seguito tornerò a modificare.
A questo punto inserisco provvisoriamente il cancello per verificarne l’effetto. Mi occuperò degli ultimi ritocchi e dell’inserimento dei cardini prima del montaggio definitivo, che avverrà soltanto a sotterranei ultimati.
Ed ecco una piccola anteprima di come apparirà il tunnel alla fine del lavoro. Tutto sommato assomiglia un po’ alla foto di quel vecchio cencelletto che ho usato come riferimento, vero?
MATERIALI: fil di ferro vecchio STRUMENTI: pinzette, pinze, tenaglie MISURE (in mm): sbarre verticali: 52/46 x 1 (Ă˜) distanza tra le sbarre: 5 altezza da terra del chiavistello: 23
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Capitolo 17
COLONNE in pietra
Dopo aver costruito i primi due pilastri in pietra (vedi capitolo 12), mi vedo costretto a sospendere temporaneamente i lavori per questioni burocratiche che mi riportano in Italia. Alla riapertura del cantiere, qualche settimana piĂš tardi, provvedo immediatamente a terminare il secondo pilastro, ma invece di continuare con i successivi come da pro-
gramma, decido di attuare una piccola modifica al progetto. Le cose ripetitive mi annoiano, e costruire altri due pilastri uguali a quelli già realizzati non mi stimola piÚ di tanto. Inoltre la continua documentazione mi suggerisce spesso nuove soluzioni, come ad esempio l’uso di colonne interamente in pietra dotate di base e capitelli scolpiti.
I vari segmenti che formeranno la prima delle due colonne vengono tagliati con il Dremel, approfittando in parte della forma di alcuni scarti di ardesia che già presentano incisioni circolari. La somma dei vari segmenti, ovviamente, dovrà corrispondere all’altezza degli altri pilastri, così come l’ampiezza della cornice posta sopra al capitello, sulla quale come già detto poggeranno le volte a crociera. Per prima cosa rifinisco il piedistallo, smussandone gli spigoli con la carta abrasiva. Poi, con la stessa carta e con una lima circolare di piccolo diametro, incido la modanatura della base (una sorta di toro/scozia/toro) e le sezioni cilindriche della colonna. La lavorazione dell’ardesia non risulta particolarmente difficoltosa seppure con mezzi rudimentali. Le cose si complicano con il capitello, che presenta una forma più elaborata. In questo caso comincio incidendo il blocco di ardesia squadrato con un punteruolo, disegnando un cerchio dello stesso diametro della colonna sulla quale andrà posizionato. Sulle facce laterali traccio invece dei semicerchi, delimitando le aree che dovrò scavare per ottenere la forma del capitello sferocubico. Una prima riduzione della forma la ottengo “grattando” la pietra sulla carta abrasiva ed eliminando così gli spigoli superflui, per poi iniziare il vero e proprio lavoro d’incisione con il Dremel e la punta diamantata. Una volta terminato il lavoro, provo il capitello così ottenuto sulla colonna, effettuando qualche piccolo ritocco perché il suo profilo combaci perfettamente con il fusto. Quest’ultimo assume una forma leggermente bombata che in un primo momento non mi dispiace ma che in seguito eliminerò.
Prima di poter incollare i vari pezzi mancano ancora due dettagli: l’incisione sulle quattro facce del capitello e l’aggiunta della cornice superiore. Per il primo, uso di nuovo la punta diamantata e lavoro la pietra in modo superficiale, imitando i colpi di uno scalpello. La cornice è decisamente più semplice da realizzare e può essere rifinita con la sola carta abrasiva.
Il lavoro mi lascia piuttosto soddisfatto, forse più per la conferma di poter effettivamente lavorare la pietra in questo modo che non per l’aspetto estetico. Alcuni elementi, infatti, risultano incompatibili con il medioevo. In particolare la modanatura alla base delle colonne e la forma bombata del fusto fanno pensare più a un tardo Rinascimento.
Inizialmente sorvolo su queste incongruenze, ma con il tempo certi dettagli acquistano ai miei occhi un peso sempre maggiore, finché decido di porvi definitivamente rimedio. Con poche modifiche dovrei essere in grado di ‘medievalizzare’ le colonne ed evitare quella spiacevole sensazione di errore che provo ogni volta che le osservo. Il modello al quale mi ispiro per la loro correzione viene dall’osservazione dei portici di Chiavari, antico centro del levante ligure architettonicamente assimilabile a Genova, della quale è stato estensione e dominio per diversi secoli.
Per le modifiche questa volta procedo con strumenti manuali. Dopo aver separato i vari pezzi, elimino la modanatura dalla sezione circolare, portando il suo diametro al livello degli altri cilindri del fusto, che nel frattempo sono stati lavorati con la carta abrasiva per eliminare la bombatura. Poi ribasso gli spigoli della base, prima con la carta e quindi con la lima circolare, ottenendo una superficie concava. Una volta
rimontati tutti i pezzi con la solita colla, ecco apparire la ‘nuova’ colonna. Sì, il fusto centrale risulta ancora un po’ grosso. È vero, la base forse è eccessivamente larga. In effetti, anche la cornice sporge troppo... Penso che riporterò le colonne in cantiere molto presto per qualche altra modifica!
... MATERIALI: ardesia, colla vinilica, cemento, acqua STRUMENTI: pinzette, carta abrasiva, lime, punteruolo, Dremel con disco e punta diamantati MISURE (in mm): cornice: 25 x 25 x 4 capitelli: 19 x 19 x 10,7 fusti: Ø 19/20 x 21,3 base: 22 x 15
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Capitolo 18/19
VOLTE A CROCIERA con apertura centrale
Ed è giunto il momento di costruire la seconda volta a crociera. Tranquilli, non scriverò un capitolo per ogni volta realizzata perché sarebbe alquanto inutile oltre che noioso. In questo caso però si tratta di una struttura un po’ diversa dalle altre, la cui apertura centrale avrà la funzione di botola comunicante tra il piano terreno della Domus e i sotterranei. Attraverso questo varco sarà possibile calare le merci dal magazzino direttamente in cantina senza dover passare per le scale, troppo strette e ripide. La posa dei mattoncini avviene sullo stesso supporto in gesso usato per la prima volta semplice (vedi cap.14/15), ma in questo caso avanza partendo dalle arcate laterali fino a formare una sorta di cornice. Al centro ho già posizionato quella che sarà la grata metallica della botola per non perdere di vista le dimensioni finali dell’apertura. Stavolta infatti non mi cimenterò nella costruzione dell’inferriata, ma riciclerò un elemento acquistato tempo fa in un negozio di accessori per bigiotteria.
Nel frattempo, su un altro supporto realizzato inchiodando un disco di cartone su una tavoletta di legno, allineo i mattoncini fino a formare un cerchio completo. Questo è il secondo elemento della volta, che andrà ad inserirsi all’interno della cornice precedentemente realizzata. Dopo il montaggio dei pezzi non resta che riempire gli interstizi con mattoncini opportunamente sagomati, cosa non facilissima a causa della forma irregolare delle aperture. La posa dovrà comunque seguire il profilo della botola senza lasciare spiragli visibili, anche se comunque le successive fasi di lavorazione renderanno il tutto perfettamente uniforme. Ma prima di questo, lavorerò su una seconda volta aperta. L’idea di partenza è simile a quella della precedente, ma cambiano in parte i materiali e la funzione dell’apertura. Mentre la prima ha lo scopo di mettere in comunicazione il magazzino con la cantina, questa, con una botola più piccola, è posta nelle immediate vicinanze della cisterna ed è pensata per facilitare l’approvvigionamento d’acqua dai piani superiori.
Nonostante si tratti della terza struttura di questo tipo che affronto, la costruzione risulta un po’ travagliata. A lavoro quasi ultimato, infatti, mi rendo conto che la volta così com’è non funziona dal punto di vista strutturale. Nella prima versione costruita di getto i mattoni sono collocati come in una volta a crociera semplice, con la differenza che al suo interno ho inserito un anello formato da piccoli blocchi di marmo ad incorniciarne l’apertura. Sul momento questa soluzione sembrava valida, ma alla vista del pezzo finito c’era qualcosa che non mi convinceva. Solo confrontando la mia volta con fotografie di strutture reali ho compreso dove stava il problema. In una volta a crociera, il punto di forza che permette al soffitto di auto-sostenersi è rappresentato dalla chiave di volta, una pietra o un mattone che può essere anche di dimensioni maggiori rispetto agli altri. Senza questa resistenza centrale, la struttura rischierebbe di collassare su sé stessa cedendo alle sollecitazioni verticali del solaio. Questo è quello che probabilmente accadrebbe alla volta delle prime immagini. Come posso rimediare a questo inconveniente? Semplicemente facendo in modo che lo stesso anello di marmo svolga il ruolo di chiave e venga a sua volta sostenuto dalla struttura in mattoni. Per fare questo, prendo la volta realizzata e
ne ritaglio la parte centrale. Poi, su un supporto leggermente curvo (il pomello di un cassetto) inizio a costruire attorno alla circonferenza in pietra un ulteriore anello in mattoni fino a raggiungere l’ampiezza della cornice, che si presenta quasi identica a quella della volta precedente, sulla quale senza pensarci troppo avevo già messo in pratica questo stesso principio.
MATERIALI: mattoncini di DAS, marmo bianco, colla vinilica STRUMENTI: pinzette, tenaglie, carta abrasiva, supporto in gesso, pomello di legno MISURE (in mm): diametro botola in mattoni: 30 diametro botola in pietra: 15 spessore anello: 4
Le due parti così ottenute vengono unite riempiendo i vuoti restanti con altri mattoni, sempre seguendo l’andamento circolare della botola. Il risultato è la creazione di una copertura che unisce elementi della volta a crociera con quelli tipici della cupola. E adesso, a meno di calamità imprevedibili, spero che la volta non mi cada sulla testa quando scenderò in cantina a riempire il secchio d’acqua! Ah, se state pensando che, date le dimensioni ridotte, la volta non crollerebbe comunque, è perché vi manca un dato fondamentale a proposito del Domus project: quando la costruzione sarà finita, invertendo il flusso quantico del raggio miniaturizzante del dottor Cyclops, porterò il palazzo a dimensioni reali e mi ci trasferirò. A quel punto sarà fondamentale che la struttura rispetti le norme statiche e i canoni di un edificio normale. Dico bene?
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Capitolo 20/22
Rifiniture delle VOLTE e del PAVIMENTO
Analogamente a quanto fatto per il pavimento e per i muri, anche la costruzione delle volte passa per una fase di rifinitura e regolarizzazione. Dopo aver sagomato i singoli pezzi perchÊ si incastrino perfettamente nello spazio in cui andranno montati, preparo la solita boiacca con un po’ di cemento diluito e la applico su tutta la superficie interna delle volte. Poi, prima che il cemento secchi, ne rimuovo gli eccessi con un panno umido e lascio asciugare. Infine ne elimino gli ultimi residui con la carta abrasiva a grana fine, facendo attenzione a non danneggiare i giunti appena riempiti.
Il procedimento è lo stesso per tutte le volte finora realizzate, che siano dotate o meno di apertura. Nel frattempo rimetto mano anche ai muri perimetrali, inserendo le mensole in pietra sulle quali poggeranno archi e volte. Il segmento di muro tra una mensola e l’altra viene innalzato secondo una linea curva che verrà successivamente adattata a quella delle rispettive volte, con le quali dovrà coincidere il piÚ possibile. Ora muri e volte sono pronti per il montaggio, e insieme agli archi a tutto sesto (vedi capitolo 21/27/29) formeranno la copertura dei sotterranei e la base del piano terra della Domus.
Ma vediamo come procede il lavoro al livello più basso della Domus, ovvero il pavimento della cantina, che nonostante sia terminato da tempo manca ancora dell’ultima fase del lavoro: la verniciatura. Non avendo ben chiaro con che materiale effettuarla, decido di compiere qualche prova preliminare. Prima della composizione dell’opus spicatum avevo realizzato delle piccole porzioni di pavimento su un listello di legno per testare diversi leganti. Ora queste prove mi torneranno utili per studiare il metodo di verniciatura. Voglio assolutamente evitare l’effetto brillante che potrebbe lasciare lo smalto, quindi devo agire solo a colpo sicuro. Trovandomi in casa un barattolo di smalto trasparente per legno, metto alla prova per primo questo materiale, e il risultato mi pare buono (nella seconda foto a sinistra si apprezza la differenza tra la superficie grezza e quella verniciata). Il Das è un materiale poroso, per cui la prima mano di vernice viene assorbita dai mattoncini senza che questi risultino eccessivamente brillanti. Il colore assume semplicemente un tono più scuro e a ben vedere anche più simile a quello dei veri mattoni. Le altre possibili soluzioni che pensavo di testare per la verniciatura sono l’uso della cera (scartata dopo una piccola prova di cui non resta traccia), l’olio d’oliva e, in ultimo, la vernice per mattoni a vista (quelli veri). Dopo il successo dello smalto per legno, però, decido di sospendere ulteriori sperimentazioni e passare direttamente alla fase pratica. Con un pennellino stendo il primo strato di vernice sul pavimento, facendo attenzione a non macchiare le pareti ancora in costruzione. L’aspetto non mi dispiace, ma lo smalto è ancora fresco e bisognerà vederlo una volta asciutto. Intanto, a causa del freddo e dell’ora notturna, sono costretto a lavorare in casa e l’odore di vernice è quasi insopportabile. Il giorno seguente lo smalto è ormai asciutto, ma sfortunatamente ha perso quell’apparenza unifor-
me che, complice forse la luce elettrica, lo rendeva così perfetto la sera prima. Alcune zone risultano più scure, mentre in altre la vernice sembra essersi ritirata lasciando macchie più chiare. Nelle immagini a destra, scattate a pavimento quasi asciutto, si intravedono alcune di queste macchie. Esercitando una forte pressione sulla superficie (dapprima col dorso di un’unghia, poi con il lato convesso di un cucchiaino), il colore sembra assumere un aspetto più uniforme, ma il risultato non supera un giudizio obiettivo (il mio). Decido così di applicare una seconda passata di vernice, scongiurando la formazione di riflessi con una vecchia pezza che strofino sullo smalto ancora fresco. Nonostante questo accorgimento la seconda mano risulta molto più brillante della precedente, e a seconda dell’angolazione di chi osserva, il pavimento riflette la luce creando esattamente l’effetto che mi proponevo di evitare. Dopo altri inutili tentativi di stemperare il colore usando straccio, polpastrelli e carta igienica (!), sono quasi rassegnato a tenermi quel fastidiosissimo effetto lucido. Poi, per un lampo di genio (o forse spinto dalla disperazione) tento l’impensabile: dopo essermi spolverato un dito con il cemento, lo sfrego sulla superficie lucida e leggermente appiccicosa del pavimento. Mentre porto a termine quest’operazione sono intimamente convinto di avere definitivamente compromesso la riuscita del progetto. Mi toccherà rifare tutto daccapo e a questo punto non so se ne avrò la forza. Mi allontano dal tavolo di lavoro pre prendere una boccata d’aria, e quando torno a guardare... Miracolo! Ai miei occhi appare l’antico pavimento in cotto medievale, invecchiato a regola d’arte e appesantito dalla sporcizia dei secoli. Non è forse l’effetto che mi ero proposto di ottenere fin dall’inizio, anche perché ora mi toccherà spiegare al committente per quale regione gli consegno un pavimento già vecchio... ma sono così contento del risultato che non mi preoccupo più di tanto. Troverò una scusa plausibile.
MATERIALI: smalto per legno, cemento STRUMENTI: pennello, straccio, spugna, unghia, carta igienica, cucchiaino, ansia, disperazione
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Capitolo 21/27/29
ARCHI in pietra e mattoni L’intera struttura delle volte sarà attraversata e imbrigliata da una serie di arcate a tutto sesto i cui punti d’appoggio saranno le colonne, i pilastri e le mensole in pietra che ho appena inserito nei muri perimetrali. Gli archi avranno un’imposta leggermente più bassa delle volte, risultando così visibili dall’interno dei sotterranei. Il primo, immortalato in queste foto, lo realizzo con mattoncini di ardesia. Altri verranno costruiti in mattoni o in tecnica mista (l’ho detto, mi piace variare). Il risultato finale sarà forse poco uniforme per via delle diverse soluzioni adottate all’interno della stessa struttura, ma voglio evitare a tutti i costi il rischio di annoiarmi. E poi sembra che al committente questa varietà non dispiaccia. Ma torniamo al nostro arco. La posa avviene su una struttura provvisoria di polistirolo e cartone, sistemando i pezzi a filo della volta già terminata (ma ancora rimovibile). Le pietre sono assemblate con la colla e l’arco verrà successivamente rifinito con cemento per riempire gli spazi vuoti. L’eccesso di colla sull’estradosso è voluto, e serve a dare più resistenza all’arco stesso. Verrà coperto in seguito con la posa del pavimento superiore. Unico rimpianto: avere incollato il primo arco direttamente ai pilastri. Ormai lo lascio così per non fare danni, ma i prossimi vedrò di mantenerli sciolti per assemblarli con le volte.
Le volte a crociera che chiudono gli ambienti sotterranei sono in totale 11, disposte in uno schema di 3x4 (lo spazio della dodicesima è occupato dal vano scala). Le strisce vuote tra una crociera e l’altra sono occupate da archi a tutto sesto che attraversano l’ambiente fino a formare una sorta di griglia. Tutti gli archi sono simili per dimensioni, ma non nei materiali. Delle 17 arcate presenti, 4 sono realizzate in pietra, 11 in mattoni (di cui 3 perimetrali più larghe) e 2 in tecnica mista. Come detto, le arcate si collocano ad un livello leggermente più basso delle volte e sporgono di alcuni millimetri al di sotto di esse. Sono costituite da mattoni disposti di taglio, alternando teste e coste. Anche in questo caso la forma è leggermente trapezoidale per adattarsi alla curvatura dell’intradosso. Infatti, la costruzione va per le lunghe e viene inframezzata dalla realizzazione di altri elementi, come le inferriate e le torce.
In questa pagina e nella seguente si osservano varie fasi della costruzione, per la quale ho usato lo stesso supporto in polistirolo e cartone già utilizzato per l’arco in pietra. Oltre agli archi composti in modo uniforme da conci in pietra o mattoni, all’interno delle strutture murarie genovesi si possono trovare esempi di archi che alternano l’uso dei diversi materiali. In alcuni casi, oltre a svolgere la consueta funzione strutturale, queste arcate rispondono anche a un’esigenza decorativa. Non credo che questo tipo di archi fosse molto comune, in genere le strutture in pietra che non si trovavano in facciata o nei piani nobili non erano formate da blocchi squadrati ma da pietre di forma irregolare incastrate tra loro. Questa tecnica, denominata a scapoli e tocchetti, si diffuse maggiormente in epoche più recenti, quando le facciate iniziarono ad essere intonacate e dipinte. Venne utilizzata quindi anche per i muri perimetrali, spesso accompagnata all’uso del mattone intorno alle aperture e nelle parti in cui si richiedeva maggior precisione. L’aspetto decorativo però è quello che mi porta a scegliere questo ulteriore modello per la costruzione di due arcate interne della Domus. Per la precisione, quelle in linea con l’accesso laterale dei sotterranei. Zona questa, più ampia, che sarà adibita a cantina e dispensa. L’ardesia usata è la stessa delle arcate in pietra e va a sostituire quelli che nella realtà sarebbero blocchi di calcare marnoso, una roccia molto diffusa in ambito genovese per la sua reperibilità e ottima resistenza. I mattoncini, neanche a dirlo, sono il risultato di una delle tante tavolate di Das viste nel capitolo 2.
Per il momento il Das è di gran lunga il materiale più presente e la farà da padrone ancora per un po’, per cedere poi il podio all’ardesia nel piano superiore e scomparire del tutto quando mi cimenterò nella realizzazione di veri mattoni in terracotta...
MATERIALI: mattoncini di DAS, ardesia, colla vinilica STRUMENTI: pinze, pinzette, carta abrasiva, lime, cartoncino, polistirolo MISURE (in mm): ampiezza: 56 altezza: 25 (intradosso); 30 (estradosso) spessore: 12 (arcate perimetrali: 20)
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Capitolo 23/24
BARRIQUES e TORCE a MURO Contemporaneamente alla costruzione dei sotterranei, devo iniziare ad occuparmi degli oggetti che serviranno per arredarli, e in una cantina che si rispetti non può certo mancare qualche botte di vino. Non ne serviranno molte, l’indispensabile per appagare la sete degli ospiti di riguardo! Tra i miei recenti acquisti al mercatino di Natale vi sono 5 piccole botti realizzate a mano (tra i pochi accessori per presepe che per dimensioni possono adattarsi al mio progetto). In un primo momento pensavo di costruirle io stesso, ma avendole a disposizione già pronte preferisco approfittarne per dedicare più tempo alla costruzione degli elementi architettonici. Ad ogni modo anche le botti andranno “personalizzate” per adattarle al nuovo ambiente. Per prima cosa mi occupo dei tappi, che realizzo tagliando piccole sezioni di uno stuzzicadenti ed inserendole negli appositi fori, già presenti. Poi passo a costruire alcuni supporti in legno (vedi foto) che serviranno ad accatastare le botti lungo una parete della cantina.
Una volta costruita la base per la prima fila, è la volta della seconda. In questo caso i pezzi vengono uniti da una barra metallica, realizzata con segmenti del solito fil di ferro. Fatto questo, incollo le botti e le metto da parte in attesa di riempirle con del buon vino rosso di Corniglia...
MISURE (in mm) barriques: Ă˜ 17/24 x 28 MATERIALI: accessori per presepe, legno, fil di ferro, stuzzicadenti, colla STRUMENTI: pinzette, cutter, Dremel con cilindro abrasivo e mini-trapano, tenaglie
Ma come faccio a riempirmi una coppa di vino al buio? Ecco perché la cantina sarà dotata di un set completo di torce a muro. In realtà non c’è molto da dire, visto che le immagini ne illustrano abbastanza bene il semplice montaggio. Questa volta, insieme al filo metallico userò alcuni accessori per bigiotteria, stuzzicadenti e un pennarello nero. Gli elementi metallici (presumibilmente pezzi per la realizzazione di orecchini), una volta privati della barretta metallica si presentano come piccole coppe color rame. Con l’aiuto di un chiodo rotondo e di un colpo di martello, ingrandisco il foro centrale fino a un diametro di circa due millimetri, utili per inserirvi lo stuzzicadenti precedentemente tagliato. Con il pennarello dipingo di nero la parte inferiore, ottenendo qualcosa che somiglia vagamente a una torcia. Un po’ rozza forse, ma per ora può andar bene. Nel frattempo, con pinze e tenaglie lavoro il fil di ferro dando forma ai ganci che serviranno da supporto. Fatte le opportune misurazioni, effettuo con il Dremel i primi fori sul muro ancora da verniciare, usando l’albero flessibile per riuscire a manovrare il trapano all’interno dei sotterranei in costruzione. Una volta installate tutte le torce potrei versare in ognuna di esse una goccia di petrolio e testarne il funzionamento. O magari chissà, mi verrà in mente qualche altra idea...
MISURE (in mm): torcia: 8 x 20 altezza dal pavimento: 30 MATERIALI: orecchini, stuzzicadenti, fil di ferro, colla STRUMENTI: pinzette, chiodo, martello, pennarello nero, Dremel con mini-trapano e albero flessibile
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Capitolo 25/26
INFERRIATE in ferro battuto e SPORTELLO della prigione
Nei sotterranei della domus non può certo mancare una cella di sicurezza dove rinchiudere gli eventuali nemici catturati o qualche membro ribelle della famiglia. A questo scopo, sotto una delle volte a crociera ricavo uno spazio quadrato, addossato ad una parete di pietra, che chiuderò con inferriate e un piccolo cancello. Le sbarre verranno poi fissate su ogni lato (pavimento, soffitto, pilastri). Inizio il lavoro tagliando il fil di ferro già usato per il cancello, con l’idea di posizionare solo barre verticali rinforzate da una o due traverse di legno. Il risultato del test non mi convince per nulla, portandomi a cambiare il progetto in corso d’opera (come al solito). Decido di cambiare il filo metallico grigio con quello arrugginito già usato per la costruzione del cancello (vedi capitolo 16).
Dopo aver verificato che le barre si possono deformare con una leggera battitura ed incrociare fino a formare un reticolo, mi rendo conto che mi serve una superficie da usare come incudine, possibilmente senza distruggere le piastrelle del pavimento o torturare le orecchie dei vicini. Provo a usare un pezzo di granito, ma dopo i primi colpi si spezza a metà. Inoltre la pietra non è perfettamente liscia e assorbe il colpo, rovinando la superficie del filo metallico. Se vi state chiedendo il motivo di un approccio così goffo, cercate di capire: tutto ciò che appare in queste immagini prende forma in un normalissimo appartamento al quarto piano di un edificio residenziale. Se avessi a mia disposizione un laboratorio con tutti gli strumenti necessari... Ma andiamo avanti. Quando già dispero di trovare la base giusta, mi torna in mente uno dei souvenir che ho raccolto per le strade della città in cui vivo. “Granada” in spagnolo vuol dire anche “melograno”, e a causa di questa omonimia quel frutto è stato scelto come simbolo della città, arrivando ad essere riprodotto persino sui dissuasori anti-traffico delle strette vie del centro. Tempo fa, approfittando di un cantiere aperto, portai a casa la testa (rotta) di un paracarro in ghisa che poi rimase parcheggiato sul mio terrazzo. Ora quel paletto decapitato diventerà la mia incudine! Il montaggio delle prime sbarre risulta un po’ difficoltoso. Lavorando a mani nude, senza morsetti o altri accorgimenti, i pezzi tendono a muoversi e piegarsi in tutte le direzioni. Una volta intrecciate tra loro le prime tre file verticali e orizzontali, però, la struttura si auto-sostiene rendendo inutile l’applicazione di qualsiasi colla. E proprio evitare l’uso della colla era uno dei motivi che mi avevano fatto propendere in un primo momento per la cancellata a sbarre verticali.
I colpi di martello sulle giunture appiattiscono l’intreccio dandogli un aspetto decisamente più simile alle vere inferriate. Certo, lavorando a caldo si otterrebbe un effetto migliore, ma anche in questo vedrò di accontentarmi. Finita la prima inferriata è la volta delle altre due. Le misure dovrebbero essere le stesse per tutte, salvo che in una di esse andrà aperto lo sportello d’accesso. In realtà a fine lavoro la spaziatura tra le sbarre risulta differire da una all’altra, ma visto che verranno montate sui diversi lati della cella senza allacciarsi direttamente, me le tengo come sono. In futuro dovrò studiare un sistema più preciso realizzare questo tipo di elementi... Ora che le grate sono pronte è la volta di pensare allo sportello che permetterà l’accesso ai prigionieri. La prima idea è quella di realizzare una vera e propria porta, simile al cancello che chiude il tunnel. Visto però l’uso a cui verrà destinata la cella e dopo aver osservato alcune foto di ambienti simili, opto per un’apertura decisamente più piccola, che obblighi gli “ospiti” ad abbassare la testa ed entrare alzando un piede alla volta. Dopotutto è una cella, mica una sala da té! Faccio qualche studio previo col quale cerco di immaginare l’aspetto dello sportello una volta completato. Un’ipotesi prende in considerazione l’uso di una lamina metallica, mentre l’altra sfrutta lo stesso fil di ferro delle inferriate. Il modello scelto è il primo, incardinato però a sinistra invece che nella parte superiore come appare nel disegno. La prima difficoltà in cui mi imbatto è il ritaglio dell’apertura. In questo modo infatti, le barre più corte non riescono ad auto-sostenersi ed è necessario ritorcere ad anello le estremità del filo metallico. Dopo qualche tentativo un po’ maldestro e la sostituzione di un paio di barre (non documentata da foto), raggiungo finalmente il mio obiettivo.
Secondo problema: il taglio della lamina e la sua lavorazione. Qualche mese fa avevo raccolto da un edificio in rovina un pezzo di tubo ricoperto da un foglio metallico piuttosto sottile. Eh sì, di 10 cianfrusaglie che porto a casa solo 2 o 3 risultano utili, ma senza questa mia insana passione per gli scarti, difficilmente riuscirei a portare avanti il lavoro. Scortico quindi il tubo e ripulisco il metallo dai resti di vernice, poi lo strofino energicamente con la carta abrasiva a grana fine e lo immergo nell’acqua. La composizione del metallo dev’essere solo in parte ferrosa, perché il processo di ossidazione è piuttosto lento (e perché non ho aggiunto il limone come per lo sportello della cisterna, essendo quel’elemento cronologicamente posteriore). Alla fine però il risultato sembra buono e non tende all’arancione come nel ferro puro. Per tagliare la lamina segno a matita i contorni dello sportello e, battendo con martello e scalpello sulla mia personale incudine (un unico colpo secco) incido i quattro lati fino a staccare il pezzo centrale. Con lo stesso metodo realizzo i fori per l’inserimento degli anelli, questa volta con l’ausilio di un chiodo. Ovviamente tutto ciò con le dovute cautele per non staccarmi le dita e indossando occhiali protettivi. Purtroppo anche di questa fase della lavorazione non ho foto, ma il risultato finale lo vedete qui accanto. Non si tratta sicuramente dell’elemento di vado più fiero, essendo piuttosto sbilenco e poco realistico, ma non si diventa mastri ferrai da un giorno all’altro, giusto? Quello che conta è che la porta sia funzionante, e che nessun prigioniero si illuda di poter fuggire dalla mia prigione! MISURE (in mm) inferriate: 52 x 76 (1); 55 x 76 (2) sbarre: Ø 1 spazio tra le sbarre: 4/5 sportello 18 x 24 x <1 MATERIALI: fil di ferro, tubo, lamina metallica STRUMENTI: pinzette, pinze, tenaglie, martello, “incudine”, scalpello, chiodo
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Capitolo 28/36
La PRIGIONE
E’ giunto il momento di montare le tre inferriate viste nel capitolo precedente (25-26). Con il mini-trapano Dremel (munito di albero flessibile) realizzo i fori nel pavimento in corrispondenza delle sbarre della prima grata, precedentemente segnati a matita. Questo mi permette di inserire il pezzo (piegando momentaneamente le barre orizzontali) e prendere così le misure per i fori che dovrò effettuare nella parete. Questa volta non posso usare il Dremel, perché neppure l’albero flessibile riesce ad entrare nello spazio angusto tra le mura della cantina. Sfilo quindi la punta dal trapano e la spingo contro il muro con il polpastrello del dito indice, mentre con l’altra mano la faccio ruotare su se stessa in un senso e nell’altro. É un metodo un po’ lento, ma per fortuna il DAS è un materiale morbido anche da asciutto. A questo punto inserisco nuovamente la grata, ora incastrandola anche nella parete, e taglio
le sbarre nella parte alta perché coincidano con la curvatura dell’arco. Alcune traverse orizzontali risultano un po’ corte e non arrivano a toccare il pilastro in pietra. Mi riservo di sostituirle in futuro. Per il momento procedo al montaggio delle altre due grate, ma non prima di aver inserito un paio di anelli di ferro nel muro di fondo. Serviranno per legare i detenuti alle catene e li vedremo meglio più avanti, insieme alla storia di questa porzione di parete. Inserisco la grata centrale ad incastro senza forare i pilastri (cosa che risulterebbe alquanto ardua). Anche qui taglio le sbarre in eccesso e riposiziono l’arcata. Per la terza e ultima grata, invece, seguo il procedimento effettuato con la prima. Fatto questo, rimonto archi e volte e la struttura della prigione appare completa. Mancano solo alcuni dettagli e le rifiniture finali, ma già mi sembra di scorgere nell’ombra una figura, rannicchiata contro la parete.
Capelli lunghi, volto scavato... una pesante catena ai piedi e sul corpo i segni recenti della tortura. Ma forse è solo la mia fantasia che mi sta giocando un brutto scherzo... Fantasie a parte, è arrivato il momento di dare gli ultimi ritocchi prima della chiusura finale. Per prima cosa vorrei creare un pagliericcio che serva da giaciglio ai prigionieri e per raccogliere eventuali sozzerie che potrebbero rovinare il mio bel pavimento in cotto. Per farlo userò una matassa di canapa (stoppa) abbandonata dagli operai di un cantiere stradale e da me prontamente raccolta mentre passavo da quelle parti. Dopo averla ripulita per bene (è rimasta alle intemperie per diverso tempo ed è piena di polvere), separo i fili più grossi che risulterebbero fuori scala e la riduco in piccoli filamenti con un paio di forbici. Basta qualche sforbiciata e già comincia ad assomigliare a un mucchietto di paglia.
Ora la dispongo su una superficie provvisoria (un foglio di cartone) e la innaffio con un po’ di colla spray. Lascio asciugare per qualche minuto, poi ritiro la stoppa dal cartone e la schiaccio leggermente tra le dita, assottigliandola in modo uniforme. Adesso il mio letto di paglia è pronto. Prima dell’inserimento spruzzo ancora un po’ di colla sul pavimento, poi applico il pagliericcio pressandolo con la spatola e aggiungendo qualche altro filo di paglia negli angoli per ricoprire tutta la superficie. Aggiungo in un angolo un piccolo secchio di legno acquistato insieme ad altri accessori per modellismo navale, e ora la mia cella è dotata di WC. Al centro della volta inserisco un anello in ferro simile a quelli che si trovano nel muro, e tra questi faccio passare una catena che rimarrà penzolante a media altezza. Potrebbe tornare utile per i prigionieri meno propensi a collaborare. Inoltre, sulla soglia incollo una catena corta e terminante in due grossi anelli, che serviranno per bloccare le caviglie dei detenuti. L’interno della prigione adesso è decisamente più accogliente. Manca giusto la volta, alla quale dovrò ancora apportare alcune piccole modifiche perché si adatti perfettamente alla struttura. Nel frattempo posso collocarla in modo provvisorio per verificare l’effetto finale. Ah, un ultimo dettaglio: come prova che questa cella non si trova lì per bellezza ma viene usata regolarmente, sarà utile decorare i muri con qualche piccolo graffito, scarabocchiato dai prigionieri durante la loro lunga detenzione. Uno di loro probabilmente era un marinaio e per sentirsi più a suo agio ha disegnato a memoria una paio di galee. E con questo credo proprio che non manchi più nulla. Ospiti a parte, naturalmente.. .
MISURE (in mm) area totale: 80 x 80 (meno gli spigoli dei pilastri) MATERIALI: stoppa, colla vinilica, colla spray, fil di ferro, catenella, secchio per modellismo navale STRUMENTI: pinze, pinzette, matita, spatolina, Dremel con albero flessibile e trapano
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Capitolo 30/37
SCALA in mattoni (seconda parte) e chiusura della CISTERNA La copertura della cantina è quasi ultimata, mancano soltanto una volta a crociera, la verniciatura e rifinitura delle pareti e alcuni pezzi di arredamento. Per poter chiudere il tutto e iniziare il lavoro in alzato, però, è necessario portare la scala, completa di murature e volta a botte, fino al livello del piano terreno. Per prima cosa serve una base per i nuovi scalini. A partire da qui la muratura sarà in pietra o in mattoni e non più in cemento. L’uso del cemento armato serviva a dare stabilità all’edificio e continuerò ad inserire l’armatura metallica all’interno dei muri, ma d’ora in poi questi verranno realizzati secondo tecniche più consone all’epoca medievale. Seguendo la stessa inclinazione (suicida) della scala, aggiungo quattro nuovi gradini. Ne mancherà solo uno per raggiungere il piano superiore, ma non ho ancora deciso se sarà in mattoni o in pietra per uniformarsi al pavimento dell’ingresso. Una volta definite le altezze e fissata la base, applico i mattoni e seguo lo stesso procedimento già usato in precedenza: posizionamento con colla / prima carteggiatura / ripulitura dalla polvere / boiaccatura / seconda carteggiatura / ultima spolverata. Ecco fatto. Se prima inciampare in questi scalini poteva provocare qualche frattura più o meno grave, direi che adesso la caduta ha buone probabilità di risultare fatale...
Per procedere con il lavoro devo estendere le pareti sulle quali appoggerò la volta che mi accingo a costruire, facendo attenzione a mantenerle parallele alla diagonale dei gradini. Realizzo la centina di supporto tagliando un pezzo di cartone ricurvo (un altro rotolo di carta igienica) e dopo averlo inumidito lo colloco all’interno del vano scala in modo che si adatti alla sua larghezza. Una volta asciutto lo rimuovo e ci costruisco sopra la volta a botte ripetendo i passi già visti durante la copertura del tunnel (vedi capitolo 9). I mattoni sono leggermente più grandi di quelli usati per l’arco d’accesso alla scala e non si incastrano alla perfezione. Me ne preoccuperò più avanti, per ora mi limito a verificare le giunture tra i muri e la volta (che andrà limata sul lato interno) e torno a lavorare alla cisterna. Qui incollo definitivamente lo sportello, che finora era semplicemente appoggiato. Al contrario di quello della prigione, questo non si potrà più aprire. Per un po’ mi trastullo con l’idea di inserire qualche oggetto nella cavità della cisterna: una moneta, un messaggio, uno scrigno pieno d’oro... qualcosa insomma che possa essere recuperato dai mini-archeologi del futuro. L’indecisione però è troppa, e senza pensarci finisco per incollare la volta lasciando la cisterna misteriosamente vuota (a parte quel po’ di polvere che è entrata durante i lavori). Però, pensandoci bene... ha più fascino la tomba di Tutankamon con tutto il suo arredo funerario, o l’interno misteriosamente vuoto della piramide di Giza? In realtà un’ideuzza per inserire un “oggetto
estraneo” all’interno della Domus ce l’ho, ma ne parlerò in un altro post. Comunque adesso la cisterna è completata e la scala ha la sua bella volta di copertura, anche se non è ancora finita in tutta la sua lunghezza. Per quanto riguarda gli spazi adiacenti scala e cisterna, dopo il completamento della verniciatura non resta che riposizionare le volte e procedere ai ritocchi finali. Ne approfitto per inserire nel muro un anello che potrà servire per calare il secchio nella cisterna, e per montare definitivamente la torcia a muro. Questa seconda operazione si rivelerà inutile, ma la causa la vedremo tra qualche pagina. Adesso sollevo per l’ennesima volta la copertura della cantina e mi preparo a mettere mano alla dispensa... MISURE (in mm) volta a botte: 30 x 15 MATERIALI: rotolo di carta, mattoncini, ardesia, colla vinilica, cemento, acqua STRUMENTI: pinze, pinzette, spatolina, seghetto, carta abrasiva, lime
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Capitolo 31/39
FINESTRA della cantina
Una delle caratteristiche del mio progetto è la chiusura definitiva dei solai mano a mano che l’opera procede, proprio come in un vero edificio. Sigillate le volte, l’interno dei sotterranei sarà visibile soltanto attraverso le aperture predisposte (il tunnel, l’arcata laterale e la parete di fondo, che rimarrà aperta su tutti i piani della Domus - vedi pianta in Appendice 2). Inizialmente pensavo che l’arcata sarebbe stata sufficiente per osservare tutto l’interno, ma poi mi sono accorto che, a causa della disposizione delle colonne, a costruzione ultimata risulterebbe impossibile avere una visione completa del cancello e del tunnel. Questo, che a mio giudizio è uno degli angoli più suggestivi, resterebbe visibile solo dalla parete di fronte, che in teoria dovrebbe ospitare le botti del vino. Spostando altrove le botti, la parete resterebbe libera (almeno nella parte alta), offrendomi la possibilità di creare un’ulteriore apertura. Ci sarà da fare un po’ di lavoro extra, ma penso che tutto sommato possa valerne la pena. Anche in questo caso avrò modo di dare prova della mia imperizia commettendo un errore che molto probabilmente costerebbe il posto a un comune muratore. Per fortuna sono architetto e manovale al tempo stesso... Ma vediamo dove sta l’errore: dopo aver segnato a matita le linee lungo le quali dovrò tagliare il muro in cemento (con un’inclinazione convergente verso l’esterno), inspiegabilmente pro-
cedo al taglio nella direzione opposta, facendo cioè convergere le linee verso l’interno. In questo caso il taglio obliquo del muro non è semplicemente un vezzo estetico, ma è studiato in modo da permettere l’ingresso della maggior quantità di luce possibile. Non avrebbe quindi senso costruire un’apertura con il lato stretto verso l’interno, a meno che non si tratti di una feritoia difensiva in cui una maggiore ampiezza all’esterno consentirebbe una visuale migliore. Ma non è questo il caso. Quando mi accorgo dell’errore ho già quasi terminato di rivestire il muro con i mattoncini, così decido di lasciar seccare la colla e rimuovere in blocco le parti laterali del rivestimento per poi riadattarle alla nuova forma.
Su un supporto provvisorio realizzo l’arcata superiore, che rispetto a quelle fatte finora presenta un punto di difficoltà in più. L’interno e l’esterno dell’arcata infatti hanno larghezze differenti e l’arco deve combaciare ai due lati con la muratura già costruita. A questo scopo mi tornano utili una molletta per il bucato e ciò che resta di un rotolo di cartone. La diretta conseguenza del suddetto “disguido” è che la finestra, in origine progettata con un aspetto più o meno quadrato (vedi disegno in apertura di questo capitolo), adesso risulta decisamente più larga. L’arcata superiore coincide quasi esattamente con la curvatura della volta. Tutto sommato non è un gran problema, vorrà dire che sarà più facile guardare all’interno una volta finita. E poi chissà quante varianti architettoniche presenti nei nostri edifici storici hanno avuto origine a causa dell’imperizia di qualche muratore! Adesso è il momento di completare la struttura della finestra, e inizierò a farlo realizzando l’inferriata. La materia prima è il solito fil di ferro, ma in questa occasione fonderò le due diverse tecniche sperimentate finora. Nel cancello (capitolo 16) avevo montato le sbarre avvolgendo le traverse orizzontali attorno ai montanti senza l’uso di battitura. Nelle inferriate della prigione, invece (capitolo 28/36), queste venivano prima intrecciate sovrapponendole “a maglia”, e poi battute a freddo con il martello. Adesso saranno le barre verticali ad avvolgersi sull’unica orizzontale, dopo essere state ribattute una per una a forma di asola. La struttura così ottenuta non è molto stabile, per
questo le spruzzo sopra un po’ di colla spray (l’ho acquistata, dovrò pure usarla!). In questo modo potrò allineare le sbarre senza che queste si muovano ad ogni minimo tocco. A questo punto apro una serie di fori nel muro a distanza regolare, nei quali dovrò inserire le inferriate. La piccola arcata in mattoni che servirà da copertura per la finestra è ancora separata dal resto delle volte e non è stata verniciata. Visto che però coincide in altezza con una delle volte a cro-
ciera, trovo conveniente unirla a questa in modo che non sia troppo visibile lo stacco tra i due pezzi dopo il montaggio. I passi successivi saranno quindi la riempitura dei giunti e la verniciatura del pezzo. A lavoro ultimato apro anche sulla superficie dell’arco una serie di fori in concomitanza con le sbarre e verifico il risultato. Ulteriori piccoli dettagli verranno sistemati alla chiusura delle volte, ma direi che con questo anche la finestra è finalmente conclusa!
MISURE (in mm) spessore dei muri: 20 apertura (esterno): 32 x 5 + 5 (arco) apertura (inetrno): 38 x 9 + 6 (arco) ampiezza finale della finestra: 30 altezza massima: 10 altezza dal pavimento: 56 MATERIALI: mattoncini, colla vinilica, colla spray, fil di ferro, smalto trasparente STRUMENTI: pinze, pinzette, spatolina, carta abrasiva, lime, cartoncino, forbici, matita, pennello, Dremel con disco diamantato e trapano
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Capitolo 32
Assemblaggio di MURI, ARCHI e VOLTE (prima parte)
Inizia con questo post una delle fasi più delicate della costruzione della Domus. Abbiamo già visto la realizzazione dei muri (capitoli 7, 10), degli archi (capitolo 21/27/29) e dei tre diversi tipi di volte a crociera (capitoli 14/15, 18/19). Adesso che gli archi e le volte a crociera sono pronti, bisogna procedere alle rifiniture necessarie perché si incastrino perfettamente tra loro, oltre che con le pareti e le colonne. Fin dalla costruzione della prima volta mi sono reso conto che la parte più difficile sarebbe arrivata alla fine, e non ho mai smesso di pensare in che modo avrei potuto procedere perché la struttura non presentasse discontinuità dopo la chiusura dei sotterranei. Una volta montata la copertura, infatti, sarebbe impossibile intervenire dall’esterno su eventuali imprecisioni. Inoltre, anche potendo ritoccare piccoli dettagli con l’aiuto di un pennellino ricurvo e un po’ di cemento, dovrei farlo a pareti già verniciate ed “invecchiate”, rendendo ancora più evidente lo stacco. La mia intenzione inizialmente era terminare i pezzi e collocarli una volta finiti, correggendo mano a mano eventuali imprecisioni. Questo non mi avrebbe permesso di operare in tutta comodità per via degli spazi di lavoro ridottissimi, obbligandomi a concentrarmi sulle parti visibili dall’esterno, tralasciando quelle più nascoste.
L’idea di unire gli archi e le volte tra loro per poi montare tutta la copertura in non più di tre o quattro pezzi mi viene mentre sto correggendo due arcate per far sì che combacino tra loro. Incollando le sei volte della zona cantina con i sette archi intermedi potrei convertirle in un unico pezzo per poi ribaltarle e rifinirle in tutta tranquillità, occupandomi in un secondo tempo solo delle giunture tra volte e muri. Ecco come procedo: Dopo aver posizionato archi e volte, copro le giunture con un sottile strato di colla. Quando questa è asciutta, sollevo il tutto con molta attenzione e lo giro per controllare che ogni pezzo sia al proprio posto. In questo caso mi tocca scollare e spostare uno degli archi che inavvertitamente si è mosso durante l’operazione d’incollaggio. Tre delle volte non sono ancora “cementate” con la boiacca, ma visto che anche per chiudere le giunture userò il cemento, decido di accelerare questa fase ricoprendo tutta la struttura. Questa non si rivela un’idea molto brillante, in quanto la massiccia dose d’acqua ammorbidisce pericolosamente il DAS, rendendo la copertura soggetta a deformazioni. Per ovviare a questo inconveniente ricolloco le volte con un peso sopra e le lascio asciugare. A cemento finalmente asciutto posso procedere alla ripulitura, che effettuo con carta abrasiva e uno strumento per modellato che mi permette di raggiungere gli angoli. In alcuni punti sono evidenti delle crepe formatesi a causa dell’umidità. Non compromettono la stabilità della struttura, che ormai è ben asciutta, e in ultima analisi danno un tocco realistico imprevisto. Certo, se si trattasse di una vera volta, a questo punto sarebbe da demolire e rifare da capo...
Comunque, per dare maggior resistenza al pezzo (perché adesso è davvero un unico pezzo), cospargo tutto l’estradosso con abbondanti pennellate di colla e pongo nuovamente ad asciugare. Ora sbirciando l’interno della cantina dalla finestra laterale, sembra quasi che il lavoro sia finito. La luce non filtra più tra le volte, ma solo tra le fessure tra la base delle volte stesse e i muri. Ancora qualche ritocco e la costruzione dei sotterranei sarà completata. Anzi, no! Dimenticavo che manca l’altra metà della copertura! Uff, mi stavo illudendo...
MATERIALI: colla vinilica, cemento, acqua STRUMENTI: pinzette, pennello, carta abrasiva, uncino per modellato
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Capitolo 33/34/35
Assemblaggio di MURI, ARCHI e VOLTE (seconda parte)
Nel capitolo precedente abbiamo visto come, unendo tra loro gli archi e le volte di copertura della cantina, sono riuscito a correggere le imprecisioni nei punti in cui questi non combaciavano. Nonostante abbia cercato di operare con la massima precisione rimane ancora piuttosto evidente lo stacco tra le murature e le volte. Ora che la copertura è formata da un unico pezzo, risulta impossibile intervenire dall’interno una volta che questa è correttamente posizionata. L’unico modo per ridurre al minimo le imperfezioni è intervenire sulle pareti prima del montaggio. Una prima prova, realizzata con il cemento, non dà buoni risultati. Si tratta solo di una boiacca un po’ più densa del solito, e una volta asciutta risulta impossibile usare la carta abrasiva senza che finisca tutto in polvere. A quel punto mi rendo conto che, se invece del cemento usassi il Das (materiale di cui sono fatti i mattoni che formano sia le pareti che le volte) potrei modellarlo ancora fresco, creando un’unione perfetta tra le due parti da incastrare. Si tratta ovviamente di un metodo che non rispecchia la reale tecnica costruttiva, ma è anche l’unico modo che sono riuscito ad escogitare per rifinire la struttura senza dover ricorrere prima del tempo al raggio miniaturizzante del Dr.Cyclops, visto che consuma una quantità di energia spaventosa.
Prima di procedere, inumidisco con il pennello le zone sulle quali dovrò applicare il Das. Poi ritaglio piccoli pezzi di materiale dal pacchetto appena aperto e li rigiro tra le dita fino a creare dei vermicelli della stessa lunghezza delle arcate. Devo lavorare piuttosto rapidamente per evitare che il materiale si secchi troppo presto, ma anche se il muro sul quale sto operando si sporca un po’ non è un problema. Una volta asciutto il Das sarà comunque semplice da ripulire, inoltre è preferibile eccedere un po’ per fare in modo che tutti gli interstizi vengano riempiti. Una volta che i rotolini hanno aderito per bene alle arcate, riposiziono le volte esercitando una certa pressione perché si adattino al profilo dei muri. Gli eccessi di materiale fuoriescono ai lati e potranno essere rimossi in un secondo tempo. Ad una prima pressione il Das, anche se fresco, non si attacca alle volte, che sono ancora asciutte e polverose. Se l’operazione fosse ripetuta più volte, però, alcuni tratti potrebbero sollevarsi insieme ad esse e complicare notevolmente il lavoro. Insomma, dev’essere buona la prima. Per le rifiniture ovviamente bisognerà attendere che sia tutto asciutto. A quel punto le pareti e le volte combaceranno perfettamente e saranno pronte per la verniciatura. Per evitare di macchiare inavvertitamente il pavimento con la vernice, stendo uno strato di allumi-
nio da cucina su tutta la superficie, fino a toccare la base dei muri. Non è un’operazione complessa, ma voglio che la copertura risulti integrale e precisa, e quindi ci perdo una decina di minuti... per poi scoprire che è stato del tutto inutile. La vernice infatti penetra nello spazio tra il pavimento e il foglio, allargandovisi sotto e sporcando tutto. Per fortuna noto che la cosa non è poi così grave e che le macchie possono facilmente uniformarsi al resto della superficie spolverandovi sopra un po’ di cemento con il pennello asciutto. Rimuovo quindi il foglio d’alluminio e vado avanti. Il procedimento è lo stesso che ho adoperato nella verniciatura del pavimento (capitolo 20/22), con la differenza che adesso so esattamente quello che sto facendo e già dopo la prima mano di vernice do una spolverata di cemento sui muri ancora umidi per ottenere il fatidico effetto “sporco”. L’operazione si rivela più veloce del previsto, in quanto avendo già provveduto all’invecchiatura, una seconda mano di smalto risulta inutile. Le pareti però, una volta asciutte, assumono un colore leggermente più chiaro rispetto al pavimento, sul quale prima di trovare il metodo giusto avevo tentato di tutto. Per eliminare questa differenza, il giorno successivo procedo ad una sommaria levigatura esercitando una leggera pressione con un cucchiaino d’acciaio, che limita l’effetto poroso del Das e lo rende più lucido e scuro.
Non ancora convinto, concludo applicando uno strato di olio d’oliva, che se non altro non puzza come lo smalto e non mi obbliga a lavorare al freddo sul terrazzo. Ora ci siamo. Ripeto le stesse operazioni sulle colonne e sulle volte, che adesso sono perfettamente unite tra loro, e controllo il risultato dopo averle riposizionate sotto ad un peso per evitare deformazioni. Poi, finalmente, posso dare un’occhiata all’interno. Il passo successivo è l’assemblaggio degli archi e delle volte restanti, comprese le arcate in pietra della prigione e le due volte aperte. Il lavoro si presenta più delicato, in quanto uno degli archi in pietra (il primo ad essere costruito) è già incollato ai pilastri. Di conseguenza, la forma delle coperture risulta piuttosto irregolare. Decido di procedere per tappe incollando le volte in tre blocchi separati che potranno essere uniti in un secondo momento. Questo mi faciliterà il lavoro quando dovrò passare alle rifiniture interne dei muri e della prigione. Contemporaneamente procedo al prolungamento delle botole, che andranno rialzate fino a raggiungere il livello del piano terreno. Per il momento mi limito ad aggiungere una fila di mattoni su entrambe e a rinforzare la parte superiore delle coperture con una spennellata di colla.
Una volta asciutte le nuove strutture, tocca di nuovo alla verniciatura. Il procedimento sarà lo stesso della volta precedente: una mano di vernice > sporcatura con cemento > una mano d’olio > asciugatura. Prima però correggo le imperfezioni dei muri dove questi non combaciano con le volte. Ancora qualche strisciolina di Das e il gioco è fatto...
MATERIALI: smalto per legno, cemento, olio d’oliva, colla vinilica STRUMENTI: pinzette, pennello, carta abrasiva, spatolina, cucchiaino, piastrella di cemento (2Kg)
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Capitolo 38
La DISPENSA
Tempo fa feci alcuni acquisti al mercatino di Natale, pensando che certi accessori per presepe mi sarebbero tornati utili per l’arredamento della Domus. Alcuni ho già avuto modo di usarli, come ad esempio le botti per il vino (vedi cap.23/24), mentre altri attendono pazientemente il loro turno chiusi in un sacchetto. Tra questi vi sono alcune anfore in terracotta che avevo selezionato fra le tante in esposizione. La maggior parte dei pezzi infatti erano realizzati in scala 1:25 e quindi incompatibili con le dimensioni della Domus (che, lo ricordo, è in scala 1:50). La mia idea in questo caso è quella di creare un angolo dispensa nei sotterranei. Qui, lontano dalla luce e dalle temperature esterne, possono essere immagazzinate scorte alimentari o altri prodotti destinati al commercio. Non dimentichiamo che ci troviamo in una città portuale: i padroni di casa sicuramente svolgono un’attività commerciale e magari possiedono una propria flotta. Dopo aver scelto quale potrebbe essere il suddetto angolo, faccio alcune prove di posizionamento e preso dall’entusiasmo scatto alcune foto. Come ho già detto, sono solamente prove e la struttura della cantina appare ancora incompleta, ma quando alla fine arriva il momento di chiudere le volte, mi baso proprio su queste immagini per portare a termine il lavoro.
Prima di tutto devo fabbricare dei coperchi per le anfore, e decido di usare materiali differenti per i due modelli. Quelle grandi verranno chiuse con coperchi rotondi realizzati con ritagli di Das già indurito, mentre le anfore piccole avranno dei veri e propri tappi in sughero. Poi, con la canapa già usata in precedenza per la prigione (capitolo 20/36), preparo un pagliericcio che sistemo sul pavimento e vi appoggio le anfore, questa volta nella classica disposizione ad incastro usata sulle navi per risparmiare spazio. Il lavoro sembra già concluso, vero? E invece la parte difficile inizia adesso. All’interno della Domus nessun elemento può restare sciolto, perché una volta chiusa sarebbe impossibile rimediare ad eventuali spostamenti. Le anfore quindi andranno incollate una ad una, facendo attenzione a non lasciare sbavature visibili dall’esterno. I principali punti dai quali si potrà osservare l’angolo dispensa sono la terza arcata del fondo e il
tunnel sotterraneo. In modo parziale, comunque, sarĂ visibile anche dalle altre aperture, inclusa la finestra sotto la quale si colloca. Dopo aver rimosso le anfore senza alterarne la posizione, le ricolloco applicando la colla nelle zone meno visibili e rimuovendone gli eccessi. Per assicurarmi che lâ&#x20AC;&#x2122;incollaggio sia definitivo do anche una spruzzata di colla spray, ottenendo un involontario effetto ragnatela. Di breve durata, ma molto suggestivo. A questo punto credo ormai che lâ&#x20AC;&#x2122;opera sia conclusa e mi accingo a dedicarmi ad altro, quando un movimento furtivo nei pressi di alcune anfore
attira la mia attenzione. Mi avvicino all’arcata laterale per dare un’occhiata all’interno, e resto letteralmente a bocca aperta. Un topo!
MISURE: anfore: ±25 coperchi: 5 x 2 tappi: 3 x 4 ratto: 8
Certo, avrei dovuto aspettarmelo. Come poteva passare inosservata una dispensa così ben fornita in un cantiere ancora aperto? In qualche modo dovrò cercare di porre rimedio a questa situazione.
MATERIALI: anfore di terracotta, stoppa, DAS, sughero, colla vinilica, colla spray, ratto di piombo
Se solo ci fosse in giro un gatto...
STRUMENTI: pinzette, spatolina, strumento per modellato, forbici
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Capitolo 40/42
Modifiche dell’ultim’ora e CHIUSURA della CANTINA
Siamo quasi giunti alla fine del viaggio. O meglio, alla fine della prima tappa, visto che il lavoro non è che all’inizio. Ciò nonostante, si avvicina il momento della chiusura definitiva dei sotterranei, dopo la quale non sarà più possibile apportare modifiche sostanziali alle strutture. Modifiche che invece in alcuni casi si rendono necessarie, a volte per esigenze “tecniche”, altre volte per coerenza storico/architettonica. Eccole descritte in modo puramente casuale.
Il CANCELLO
(vedi cap.16)
Non essendo ancora fissato al muro, lo avevo rimosso durante la verniciatura della cantina per-
ché non intralciasse il movimento del pennello. Nel rimontarlo mi sono reso conto che se lo avessi lasciato dov’era mi sarebbe stato poi impossibile aprirlo manualmente usando il chiavistello di cui lo avevo dotato. Ho quindi effettuato nuovi fori all’estremità esterna del tunnel (richiudendo i precedenti) e l’ho sistemato da quella parte. A ben vedere non ha molto senso che il chiavistello si trovi all’esterno, ma adesso sarà possibile aprirlo con le dita o con l’aiuto di un gancio per osservare gli interni.
Le COLONNE
(vedi cap.17)
Nonostante le modifiche già effettuate a suo tempo, il sospetto di aver realizzato degli elementi fuori contesto ha continuato a farsi sentire, portandomi infine alla decisione di rimettere mano anche a questo elemento. Dopo essere intervenuto per eliminare la bombatura dei fusti e “medievalizzare” le colonne, ne avevo incementato le superfici per riempire i giunti e le avevo ripassate con uno strato di smalto trasparente. Più che di verniciatura si trattava di una vera e propria “sporcatura” volta ad evitare l’effetto lucido e uniformare tutti gli elementi. Ora riporto nuovamente le colonne in cantiere (staccandole dal pavimento sul quale erano già incollate) per eliminare del tutto la base e prolungare il fusto fino a terra. Di conseguenza devo intervenire anche sul pavimento, affinché non rimangano visibili gli angoli della soletta di cemento. Le ragioni di questa ulteriore modifica sono principalmente due: la prima è un’insoddisfazione di fondo che ricominciavo a provare osservandone la forma, a mio parere troppo tozza. La seconda, un parere datomi da un amico esperto in strutture medievali, il quale rispondendo a una mia richiesta di consiglio mi indicò che colonne con
una base così elaborata sarebbero più indicate per un portico o un piano nobile, piuttosto che per un sotterraneo adibito a magazzino. Per procedere materialmente alle modifiche, lavoro il blocco inferiore con le lime e la carta abrasiva fino a fargli assumere una forma cilindrica dello stesso diametro del fusto. In questo modo non ottengo soltanto di risolvere questa incongruenza, ma rendo l’intera colonna più slanciata e meno pesante (in tutti i sensi).
Le VOLTE
(vedi cap.14/15-20/22-32-33/34)
Approfitto delle modifiche alle colonne per correggere la base d’appoggio delle volte ai capitelli, aggiungendo un po’ di DAS là dove l’incastro non è perfetto.
La CORDA
(vedi cap.23/24)
Con uno spaghetto staccato dall’etichetta di un vestito fabbrico una piccola corda, che appendo al muro della cantina accanto alle botti. Non ho ben chiaro quale sia la sua utilità, ma è stata una richiesta esplicita del committente e non ho certo intenzione di mettermi a discutere per una corda. Per renderla più rigida e scura (lo spaghetto era
bianco) la bagno con la vernice usata per i muri e poi la rigiro tra le dita sporche di colla. Un’altra goccia di colla mi permette di fissarla al nuovo gancio inserito nella parete. Una volta asciutta, la colla diventerà trasparente e non risulterà più visibile. E con questo dovremmo aver finito, per cui...
CHIUSURA dei sotterranei Ci siamo. Dopo ben un anno e mezzo dall’inizio dei lavori è giunto il momento di posare le volte e chiudere una volta per tutte la cantina, la dispensa, la prigione e tutto quanto si trova al livello interrato della Domus. Le volte e gli archi di copertura di parte degli ambienti sono già assemblati e pronti per essere montati in modo definitivo, mentre il resto si trova diviso in tre parti. Il mio primo compito in quest’ultima fase del lavoro sarà quello di unire i vari pezzi in un unico blocco. É un’operazione che ho già effettuato, quindi non sto a spiegarla di nuovo nei dettagli. L’unico problema è dato dal fatto che eventuali ritocchi a quell’unico arco fisso (vedi cap.21/27/29) andranno effettuati a posa avvenuta.
I sotterranei della Domus sono sostanzialmente organizzati in due ambienti: uno più stretto e a gomito che dalla scala porta fino all’accesso laterale aggirando la gabbia della prigione. Un altro più ampio e regolare, coperto da sei volte a crociera che poggiano su due corte colonne in pietra e che ospita la cantina e la dispensa. Sul fondo di questa sala si apre un piccolo corridoio voltato chiuso da un cancelletto in ferro, mentre sul lato opposto, immediatamente sotto la volta, si trova una piccola finestra/lucernario protetta da inferriate. Oltre a questi ambienti vi è un altro spazio quadrangolare che ospita la cisterna dell’acqua (che a ben vedere potrebbe anche essere una ghiacciaia) e il vano scala, entrambi coperti da volte a botte. Proprio la copertura della scala sarà l’ultimo elemento al quale dovrò dedicarmi per concludere il lavoro. Qui però si verifica un intoppo: i mattoni che compongono l’arcata della porta, costruita nelle prime fasi del cantiere, non combaciano perfettamente con quelli della volta. Questo non accadrebbe in un cantiere reale, dove volta e archetto verrebbero costruiti insieme, ma io ho dovuto assemblarli separatamente per poter continuare il lavoro sulla scala e non ho avuto l’accortezza di verificare di volta in volta gli incastri tra le due “cerniere” di mattoni. Una volta constatato il problema ed esaminate le possibili soluzioni, decido di prendermi una bella licenza poetica approfittando della momentanea assenza del capomastro. Impasto una piccola quantità di Das e la uso per creare una giuntura più uniforme tra i due pezzi, precedentemente inumiditi con un pennello bagnato. Prima di montare definitivamente la copertura, però, devo ancora dare gli ultimi ritocchi al vano scala. Dopo l’usuale cementatura e verniciatu-
ra, rimetto a posto la volta e carteggio l’intradosso dell’arco sul quale nel frattempo si è accumulato un po’ di Das. Per proteggere la scala dalla polvere la fodero con un ritaglio di alluminio da cucina, pressandolo perché ne assuma la forma e non scivoli via. Sto di nuovo impolverando i sotterranei già terminati e mi toccherà ripulirli per bene. Lavorando ai piani superiori dovrò studiare un sistema per evitare che la polvere penetri in cantina, perché una volta chiusa sarebbe impossibile pulirla a fondo. Per ora risolvo tutto con l’aspirapolvere elettrico, ingombrante e rumoroso ma efficace.
dietro. Anche volendo, una volta asciugata la colla non riuscirei a staccare le volte senza romperle. Per sigillare definitivamente le coperture chiudo con un lungo cordolo di colla tutto il perimetro delle volte e metto a riposo per un paio di giorni sotto un peso uniforme... MISURE: fusto colonna: Ø 19 x 36 spessore corda: ±1
Terminate le operazioni di pulizia sono pronto per chiudere la prima metà dei sotterranei.
MATERIALI: DAS, fil di ferro, spaghetto, smalto trasparente, acqua, colla
Procedo spalmando un po’ di colla solo nei punti in cui le arcate poggiano sui capitelli delle colonne centrali e calando dall’alto il pezzo direttamente nella giusta posizione. Ormai non si torna più in-
STRUMENTI pinzette, tenaglie, pennello, spatolina, foglio d’alluminio, carta abrasiva, lime, aspirapolvere portatile, piastrelle in cemento
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Capitolo 41
ILLUMINAZIONE ELETTRICA Per concludere, facciamo un passo indietro a quando i sotterranei erano ancora aperti. Ci stavo pensando già da un po’, ma alla fine ho deciso: illuminerò l’interno della cantina con un vero e proprio impianto elettrico. Non ho ben chiaro da subito come mettere in pratica quest’idea, anche perché mi costringerebbe ad intervenire non solo sulle torce già montate ma anche sui muri e sulle strutture in cemento armato, con conseguente spargimento di polvere (la prigione e la dispensa sono già finite e arredate). Inoltre avrò bisogno di lampadine di dimensioni veramente piccole per non rovinare l’estetica degli ambienti. É metà dicembre e siamo in periodo natalizio, per cui non è difficile imbattersi nelle tipiche lampadine colorate e intermittenti che di solito si collocano alle finestre e sui balconi. Queste però non fanno al caso mio, voglio qualcosa di più discreto che possa ricordare la fiamma di una torcia. Ho visto a volte dei presepi dotati di sistemi d’illuminazione molto ben riusciti, e vorrei realizzare qualcosa del genere... Dopo aver verificato su internet che esistono tutta una serie di micro-lampadine e neon appositamente studiati per essere montati nei presepi, decido di dare un’occhiata in un negozio dove ho già acquistato alcuni accessori e che è specializzato in miniature artistiche, case di bambola e tutto l’occorrente per il presepe.
Si trova all’interno dell’alcaiceria di Granada, cioè quello che in epoca medievale era il bazar della città. Il sito mantiene ancora oggi l’aspetto tipico di un suk arabo, pur non restando nulla della struttura originale. Si tratta più che altro un’attrazione per turisti a caccia di souvenir (o di miniaturisti a caccia di lampadine). Convinto dalle loro piccole dimensioni, acquisto 4 neon con lampadina da 4mm. Il proprietario del negozio mi spiega cortesemente come installarli, e con mio sollievo scopro che non ho bisogno di temporizzatori, riduttori e altre diavolerie. Le lampadine, che includono già una micro-resistenza e un tratto di filo elettrico, sono direttamente allacciabili alla corrente tramite una morsettiera e un comunissimo interruttore, e la loro luce è studiata apposta per imitare quella delle torce. Meglio di così... La parte più complessa riguarda ovviamente il montaggio. Vorrei installare le lampadine in modo che la loro luce si trovi immediatamente al di sopra delle torce, e per fare questo ho bisogno di perforare il muro in cemento, cosa che si presenta alquanto ardua. Un altro problema riguarda poi l’accesso alle lampadine stesse, che dovranno poter essere rimosse in caso di avaria o cattivo funzionamento. Il primo foro lo apro con il Dremel sopra la torcia che si trova tre le due colonne ed è cosa semplice, in quanto quel muro è ciò che resta della primissima struttura in cemento. Ricordate? Quella che ho rimosso quasi per intero per la sua bassa qualità (vedi capitolo 5/6). Tra l’altro, la polvere fuoriesce tutta all’esterno evitando possibili disastri. Quando il foro è abbastanza grande da permettere il passaggio della lampadina, collego i fili alla corrente elettrica e realizzo una prima prova di accensione completamente al buio.
L’effetto complessivo mi piace, anche se quella lampadina che esce dal muro non dà molto l’idea di essere la fiamma della torcia. A questo punto mi torna in mente un tutorial che avevo trovato in rete cercando informazioni sull’illuminazione nei presepi. E’ un metodo semplice per realizzare torce a muro usando micro-neon del tipo da me acquistato. Farle in questo modo vorrebbe dire eliminare quelle costruite in precedenza (vedi capitolo 23/24), ma il risultato potrebbe valerne la pena. Questa volta mi occupo delle torce posizionate nella zona posteriore. Come sospettavo, in questo caso la foratura dei muri in cemento è decisamente più difficoltosa. Tanto che a un certo punto metto da parte il Dremel e continuo il lavoro con il trapano vero e proprio. Quando la punta fuoriesce sul lato interno, alcuni mattoni saltano fuori dal muro, ma per fortuna il trapano ha il controllo della velocità e questo mi permette di scongiurare danni maggiori. La polvere invece non posso proprio evitarla. All’estremità della lampadina inserisco la piccola coppa metallica della vecchia torcia (alla quale ho ampliato il foro centrale) e rimonto il tutto, risistemando alla meglio il muro nelle parti danneggiate. Inizialmente colloco anche una delle altre torce in posizione orizzontale. Questo perché, come la prima, si trova in una posizione più difficile da raggiungere operando dall’esterno. Tutto sommato però risulta poco coerente che le due lampadine siano collocate in modo diverso, così alla fine sistemo anche questa come le altre, evitando di incollare i ganci al muro per permetterne l’eventuale rimozione. In caso di malfunzionamento
sarà necessario staccarli, rimuovere la coppa dalla lampadina e recuperare quest’ultima tirando il filo.
tubo alla giusta altezza perché sotto il livello stradale ho progettato la costruzione di un...
Ah, quanti problemi mi sarei risparmiato se avessi progettato fin dall’inizio un sistema d’illuminazione di questo tipo!
(CONTINUA nel prossimo volume...)
Per quanto riguarda il posizionamento dei fili, sui due lati che in futuro formeranno il sottosuolo dei vicoli, questi raggiungeranno l’esterno passando attraverso tubi di plastica che ne dovrebbero permetterne l’estrazione senza problemi. Per questa ragione, la prima lampadina installata sarà l’unica a mantenere la posizione orizzontale sopra la vecchia torcia. In quel caso non mi è possibile inserire un
MATERIALI: lampadine al neon con micro-resistenza, filo elettrico, morsettiera, spina, interruttore, colla STRUMENTI: Dremel con mini-trapano e albero flessibile, trapano, pinzette, cacciavite, pennello, spugnetta
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Appendice 1
Il PROGETTO Prima bozza del progetto con elementi separati. La base e i sotterranei illustrati in questo volume rappresenterebbero le fondamenta dell’edificio di destra, il cui portico è in origine a tree fornici. Accanto a questo si colloca un secondo edificio appartenente allo stesso gruppo familiare, dietro al quale si alza la torre, piuttosto grande e dotata anch’essa di una propria base.
Altri bozzetti realizzati su due post-it sovrapposti. Quello di destra ricalca il modello su due basi del disegno precedente, mentre l’altro presenta già la soluzione su un’unica base, dalla quale però si innalzano tre diversi volumi. Le aperture del loggiato principale diventano due.
Rielaborazione successiva in cui la torre (più slanciata) va a collocarsi nella sua posizione definitiva. Le aperture della loggia rimangono due ma cambiano di dimensione, mentre i volumi degli edifici vengono nuovamente rivisti. Un ripido vicolo precorre il questo lato del complesso, dando accesso ad un’abitazione più piccola (forse) appartenente allo stesso blocco. Tra le altre cose, prende forma l’ipotesi di strutture lignee in aggetto, appena abbozzate nel disegno precedente.
Altro punto di vista dello stesso complesso della bozza precedente, nel quale si ipotizza la presenza di altri elementi adiacenti. Le strutture in aggetto appaiono anche sul lato opposto della Domus, prendendo la forma di vere e proprie balconate, affacciate probabilmente su un cortile interno nascosto dall’edificio d’angolo. Altri elementi, quali la casa torre e il pozzo al centro della carreggiata, sono semplici ipotesi di lavoro che non verranno ulteriormente approfondite.
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Appendice 2
PIANTE ed elaborazioni 3D
Pianta definitiva dei sotterranei: 1 - Galleria sotterranea (struttura in mattoni, volta a botte, cancello in ferro); 2 - Finestra chiusa da inferriata; 3 - Arcata laterale; 4/5/6 - Parete posteriore (questo lato resterà aperto su tutti i piani dell’edificio); 7 - Cisterna dell’acqua; 8 - Scala per il piano terra. La torre sorgerà su quest’area; 9 - Prigione, chiusa da inferriate su tre lati e da un muro in pietra sul restante; 10 - Botola di comunicazione tra il fondaco e la cantina (chiusa da grata metallica); 11 - Botola per l’approvvigionamento d’acqua; 12 - Dispensa; 13 - Cantina; 14 - Sottosuolo della via prospiciente l’edificio; 15 - Sottosuolo del vicolo laterale.
A destra: Studio sulla visibilità degli interni, realizzato a partire della pianta precedente. Le aree più scure sono quelle meno visibili. Sembra che il posto migliore per nascondersi sia tra le botti del vino e la prima colonna in pietra.
sezione A
sezione B
sezione A
sezione B
IL DOMUS PROJECT è la costruzione in scala 1:50 di un immaginario palazzo del XIV secolo, raccontato in ogni dettaglio in una sorta di diario su Patreon.com. Questo primo volume raccoglie i capitoli riguardanti la costruzione del piano interrato, dalla base in cemento fino alle volte in mattoni, interamente rielaborati ed arricchiti di nuovi contenuti. WERNER MARESTA nasce a Genova nel tardo XX secolo. Già in tenera età trova sfogo alle proprie pulsioni costruttive montando e smontando varie scatole di Lego, fino a quando mette momentaneamente da parte l’edilizia per dedicarsi ai fumetti. Dopo qualche anno, però, l’irresistibile impulso di collezionare materiali apparentemente inutili lo riporta a combinare questa passione con l’interesse per la storia e l’architettura della sua città natale, dandogli la scusa perfetta per continuare indisturbato a raccogliere rumenta.
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