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Shame we’ve ever felt

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English) Perhaps

English) Perhaps

(english) a funeral for all the shame we’ve ever felt

MARGHERITA DALL’OCCO

I watch as my father’s language is rudely corrected by strangers whilst my mother watches the pixelated faces through the screen. I put my name through a meat grinder to make it more palatable. “Is your family safe?” I get asked.

I don’t know, I hope so.

In most moments, Australia seems to forget about the immigrants – those who shift from place to place, hoping they’ve landed in the right basket. It seems as if maybe – there is no right basket and maybe, there never will be.

Living here often feels like constantly trying to catch up. With so many different cultural traditions, norms and words to start getting used to, being undermined is only the first of a rollercoaster of emotions felt in the process of integrating.

While conforming, a floor-length list of traits began to be abandoned. My parents struggled to have my siblings and I practice our mother tongues, and I felt odd having friends at the dinner table. My closest friends became immigrants, families of immigrants, and my trust was sparsely shared, mostly with other foreigners. It’s a push and pull – constantly feeling the pride, the richness of culture, whilst simultaneously feeling out of place.

This continued and often still does until one has a revelation. A revelation that reveals a strong cultural tradition or an overwhelming sense of a missing piece. In many ways, the revelation allows us to embrace the good and less scary parts of Australian culture. Although I’ll never say “mate” seriously in my life, I will enjoy any element of Bunnings and embrace the series of different acronyms. The missing piece is where one begins to explore their own culture. For most immigrants the answer lies in looking back to their nation. In connecting to their home countries, immigrants all over Australia form ties between the world and this country. Ties that through travel, through phone calls and zooms keep getting stronger.

At this point, the shame seems to die out.

When COVID-19 happened the shame felt amplified, almost because the ties began to weaken. Although Australia has been fortunate throughout the COVID era, the loss and despair felt by immigrant families is unmeasurable.

Telephone birthdays, Christmases and announcements over the phone have never been a new thing for families living far away. The added stress of death was an unwelcome addition.

In talking to Australians who are doing so well in keeping the nation safe, it felt as if we’d forgotten about the outside world and how it was in shambles. When talking about travel, many accepted their fate, understanding that their next roundthe-world trip wasn’t going to happen anytime soon. For disconnected families, it continues to be a heavy burden to bear and will always be. When Australians speak of interconnectedness, of all being the same, it’s hard to forget the lack of support, the loneliness, the isolation and the shame that comes with being an immigrant.

So, I held a funeral. A funeral for all the shame I’ve ever felt, for all the feelings of being less than and for all the embarrassment I’ve held on behalf of my family. In saying this, I still insist that shame is often ignored. With politicians undermining the sadness of being disconnected, it feels like even those elected are neglecting that families all over Australia are isolated indefinitely, for now. What needs to happen is empathy and without it, the funeral will never properly finish.

(italian) un funerale per tutta la vergogna che abbiamo mai provato

AUTRICE: MARGHERITA DALL’OCCO

Osservo come la lingua di mio padre viene corretta sgarbatamente da estranei, come mia madre guarda le facce pixelate attraverso lo schermo, e come metto il mio nome in un tritacarne, per renderlo più appetibile.

“La tua famiglia è al sicuro?” Mi chiedono.

Non lo so, lo spero.

Nella maggior parte dei momenti, l’Australia sembra di dimenticarsi degli immigrati - quelli che si spostano da un posto all’altro, sperando di finire nel cesto giusto. Sembra che non c’è un cesto giusto, e forse, non ci sarà mai.

Vivendo qui, mi sento come sto costantemente cercando di recuperare il tempo perduto. Con così tante tradizioni culturali, norme e parole diverse a cui iniziare ad abituarsi, essere sottovalutati è solo la prima delle montagne di emozioni che si provano nel processo d’integrazione.

Nel conformarsi, una lunga lista di caratteristiche inizia a essere abbandonata - i miei genitori hanno lottato per far praticare a me e ai miei fratelli la nostra lingua madre e io mi sentivo strana ad avere amici a tavola. È un tira e molla - sentire costantemente l’orgoglio, la ricchezza della cultura, e allo stesso tempo sentirsi fuori posto. I miei amici più stretti sono diventati immigrati, famiglie di immigrati, e la mia fiducia era poco condivisa, soprattutto con altri stranieri.

Questo è continuato, e spesso continua, fino a quando si ha una rivelazione. Una rivelazione che rivela una forte tradizione culturale, o un senso opprimente di un pezzo mancante. In molti modi, la rivelazione ci permette di abbracciare le parti buone della cultura australiana, quelle meno spaventose. Anche se non dirò mai seriamente ‘mate’ nella mia vita, mi godrò qualsiasi elemento di Bunnings e abbraccerò la serie di acronimi diversi.

Il pezzo mancante è dove si comincia a esplorare la propria cultura e, per la maggior parte degli immigrati la risposta sta nel guardare indietro alla propria nazione. Collegandosi ai loro paesi d’origine, gli immigrati di tutta l’Australia sono i legami tra il mondo e questo paese. Legami che attraverso i viaggi, le telefonate e gli zoom, continuano a diventare più forti. sparire. A questo punto, la vergogna sembra di

Quando è successo il COVID-19, la vergogna si è sentita amplificata, quasi perché i legami hanno cominciato a indebolirsi. Anche se l’Australia è stata fortunata durante l’era COVID - la perdita e la disperazione provata dalle famiglie immigrate è incommensurabile.

I compleanni telefonici, i Natali e gli annunci per telefono non sono mai stati una novità per le famiglie che sono separati, ma l’aggiunta dello stress della morte è stata una cosa sgradita.

Parlando con gli australiani, che stanno facendo così bene nel mantenere la nazione al sicuro, sembrava che ci fossimo dimenticati del mondo esterno e di come fosse in disordine. Parlando di viaggi, molti hanno accettato il loro destino, comprendendo che il loro prossimo viaggio intorno al mondo non sarebbe avvenuto tanto presto.

Per le famiglie disconnesse era un pesante fardello da sopportare e continua ad esserlo, e lo sarà sempre. Quando gli australiani parlano d’interconnessione, di essere tutti uguali, è difficile dimenticare la mancanza di sostegno, la solitudine, l’isolamento e la vergogna che deriva dall’essere un immigrato.

Così ho organizzato un funerale. Un funerale per tutta la vergogna che ho provato, per tutti i sentimenti di essere inferiore, e per tutto l’imbarazzo che ho tenuto per conto della mia famiglia. Nel dire questo, insisto ancora sul fatto che la vergogna è spesso ignorata. Con i politici che sminuiscono la tristezza di essere disconnessi, sembra che anche gli eletti stiano trascurando che le famiglie di tutta l’Australia sono isolate... indefinitamente per ora.

Ciò che deve accadere è l’empatia, e senza di essa, il funerale non finirà mai.

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