268 Otomastoiditi: un problema sempre presente Rosalia Muciaccia, Celeste Raguseo, Claudia Rossini, Vittorio Greco Miani, Cristian Bisceglia, Melodie O. Aricò, Desiree Caselli
Storia ed etica della medicina
275 La creazione della memoria nel lutto neonatale nel contesto sanitario. Aspetti storici e riflessioni etiche
Giancarlo Cerasoli, Sara Patuzzo Manzati
Info
279 Errori nella somministrazione di farmaci ai bambini
279 Esempio pratico dei rischi dell’autonomia differenziata
279 Iniziative dell’Unicef per la Settimana per l’allattamento
279 Protesta a Vevey: oltre centomila firme contro il doppio standard di Nestlé sullo zucchero negli alimenti per bambini
280 La trasparenza non basta: un’analisi a 10 anni dall’introduzione del Sunshine Act negli USA
280 Mense scolastiche: migliora la mensa ma nei rifiuti finisce metà del pasto e della tariffa
Libri
281 Pediatria di famiglia, a cura di Michele Gangemi, Giorgio Tamburlini
281 Paolo Giordano, Raffaella Mulato, Stephan Riegger, Cortili intelligenti
281 bell hooks, Insegnare il pensiero critico
282 Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza
Film
284 L’innocenza. Mostro, chi?
Congressi in controluce
285 Si fa presto a dire gruppo Francesco Sforza
286 Indice delle rubriche 2024
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I testi vanno inviati alla redazione via e-mail (redazione@quaderniacp.it) unitamente alla dichiarazione che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra rivista.
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“Il viaggio: 50 anni insieme”
Ieri, oggi e domani
Stefania Manetti presidente ACP
Mi accingo a scrivere questo editoriale nel momento in cui è da poco terminato il 36° Congresso ACP a Jesolo, nel corso del quale abbiamo festeggiato i cinquant’anni dell’ACP. Il Villaggio Marzotto, dove si è svolto il congresso, ci ha accolti con un bel clima, un sole quasi di fine estate in un luogo dove passeggiare insieme, chiacchierare e partecipare è stato facile e molto piacevole. Lo stesso bel clima si è respirato durante il congresso: quello di una ACP vitale e in forza, dove trovarsi o ritrovarsi in “famiglia” è stata una sensazione espressa da molti, anche dai giovani presenti e da coloro che per la prima volta si sono trovati a partecipare, o sono ritornati dopo un po’ di sosta.
Un congresso dedicato al prof. Sereni, venuto a mancare da pochi mesi. Un Maestro che, insieme agli altri Maestri fondatori dell’ACP nel 1974 (Panizon, Vullo) e ricordati con affetto e con grande gratitudine per il solco tracciato all’epoca, ha delineato il percorso che a tutt’oggi stiamo seguendo, al passo con i tempi che sono cambiati, con la coerenza che ha sempre contraddistinto ACP. Siamo oggi qui grazie a questi Maestri: la loro forza vitale necessaria in quei tempi, una forza rivoluzionaria, oggi è stata sostituita dalla forza dei gruppi, delle singole socie e soci e di tutti coloro che in ACP partecipano, collaborano, si attivano su tanti fronti per continuare a tracciarne la strada. Il congresso si è aperto con la lezione magistrale di Giuseppe Costa, epidemiologo dell’ Università di Torino, sulle Diseguaglianze in salute. Il tram si è fermato? La lezione è stata preceduta dall’introduzione di Dante Baronciani, in cui ci è stato ricordato come il percorso di approfondimento sulle diseguaglianze in salute sia iniziato molto presto in ACP, nel 1984, con il documento sulla Migrazione del bambino SudNord per poi approdare dopo undici anni, nel 1995, ai Bambini a rischio sociale . Tra i protagonisti di questi percorsi, Carlo Corchia, Peppe Cirillo e Gianfranco Mazzarella. In assemblea, in occasione dei nostri primi cinquant’anni, abbiamo ricordato tutte e tutti coloro che hanno fatto un pezzo di strada insieme a noi, contribuendo a tracciare la nostra storia, e che oggi ci hanno lasciato.
Sperando che ognuno di noi si sia portato a casa un po’ di aria nuova, rigenerante, insieme alla motivazione a continuare nel solco indicato, vorrei andare oltre e guardare avanti a questo triennio che segue alla mia rielezione. Molte cose sono state dette durante l’assemblea, partecipata e vivace nella discussione. Si è vista un’ACP che porta bene i suoi anni, vitale nelle proposte e interessata e consapevole dei cambiamenti in atto e futuri.
E “futuro” è la parola che inevitabilmente contraddistingue i prossimi tre anni e fisiologicamente anche quelli a seguire. Il nostro incontro congressuale annuale ha sottolineato, come oramai consuetudine, le cinque priorità dell’ACP, ancora attuali nonostante l’età. Andremo avanti su questa strada nel nostro appuntamento annuale perché queste priorità sono il filo conduttore di tutti i programmi e progetti che ACP sta portando avanti in collaborazione con altre discipline e altri
settori, nell’ottica di promuovere la salute e il benessere delle famiglie e di tutte le bambine e i bambini, non solo dei nostri piccoli pazienti.
L’ACP è forza culturale vitale: da sempre le scelte fatte sono state coerenti al nostro mandato, condivise ma spesso difficili. Penso al codice di autoregolamentazione revisionato e aggiornato non tanto tempo fa, che ci ha reso indipendenti e di conseguenza capaci di operare in autonomia e con forza. Il nostro codice, come ho ribadito in assemblea, è stato richiesto da alcune società scientifiche pediatriche europee (ECPCP, EPA) che hanno sentito la necessità di crearne uno proprio, ed è stato per tale motivo tradotto in inglese e condiviso. È notizia di pochi giorni, che poi sarà diffusa a tutte e tutti e meglio esplicitata e documentata, che l’ACP è stata citata dall’OMS in un suo statement, dove si evidenziano le poche associazioni e società dotate di un codice di regolamentazione con l’intento di sollecitarne l’utilizzo da parte di tutte le società scientifiche. Di questo siamo molto orgogliosi perché è una conferma che il nostro percorso è quello giusto.
La rivista Quaderni acp viene pubblicata senza pubblicità – anche questa un’impresa non facile – grazie ai membri della redazione e al direttore che, con il loro impegno gratuito e costante, ci consentono di andare avanti, direi in maniera egregia. Mi preme ricordare sempre queste “imprese” che sottolineano anche la passione e la volontà di prestare le proprie competenze per un obiettivo comune, aspetto non scontato e che ci fa onore. Da tutto questo negli anni è nata una FAD di notevole qualità, confermata dalle recensioni che periodicamente arrivano dai soci e dai non soci.
Dal percorso formativo in ACP e dalla storia associativa è nato un libro – “un sequel necessario” come citano i curatori, Michele Gangemi e Giorgio Tamburlini – dal titolo Pediatria di famiglia. L’evoluzione necessaria di un mestiere tra nuovi bisogni di salute e nuovi contesti organizzativi . Risale al 1984 la prima edizione di Pediatria di Base , che alcuni meno giovani ricordano, anche allora un testo a più mani, allora giovani mani. Questa nuova edizione vuole essere una guida per i giovani che si avvicinano alla pediatria delle cure primarie, in un panorama complesso e in evoluzione quale quello attuale: una sfida, ma anche un lavoro affascinante e bello, dove la scienza e la cura si integrano, si contestualizzano, e dove le bambine e i bambini, con la propria famiglia, di qualsiasi tipo sia, possano trovare una “casa”, un supporto in caso di complessità e necessità. Il testo può essere un riferimento anche nelle scuole di specialità.
Proprio per tutto quello che “bolle in pentola” al momento, e per la nostra storia, preziosa e ricca, in assemblea è stato proposto un aumento della quota associativa, rimasta invariata negli ultimi vent’anni. La proposta, passata in assemblea, è stata poi formalizzata dal direttivo nazionale ACP con un aumento a 130 euro annui per i soci ordinari e a 30 euro annui per gli specializzandi; la quota resta invariata a 30 euro per i non medici. A ciò è stata aggiunta una quota per i soci donatori e lasciata quella per i soci sostenitori.
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Anche questo è stato un momento di riflessione in assemblea con l’elenco di tutte le collaborazioni in atto in ACP: alcune nuove, come la nascente collaborazione con la SIMGePED che ha come mission il miglioramento della cura dei bambini con condizioni disabilitanti complesse di natura essenzialmente genetica; altre da estendere, in particolare la collaborazione con le scuole di specialità, a cui si sta lavorando su più fronti. (Per chi fosse interessato, le slide relative all’assemblea dei soci sono consultabili al sito www.acp.it.)
Anche nella sessione congressuale dedicata alle scuole di specialità e ai loro vecchi e nuovi percorsi, oltre alla bravura e ricchezza delle relazioni delle colleghe e dei colleghi più giovani e alla disponibilità culturale dei loro tutor, sono emersi
i vari modi di approcciarsi alla pediatria: dalla prospettiva interessante che riguarda il ruolo del territorio e il suo rapporto con l’ospedale e le criticità di entrambi, viste con l’occhio attento e competente di chi si approccia al lavoro, alle esperienze lavorative e formative in Paesi lontani e in contesti complessi, dove l’arricchimento professionale e culturale aprono a nuove sfide e a una maggiore consapevolezza. Il filo conduttore di ogni intervento è stato l’entusiasmo e la voglia di un sapere che va oltre le abilità professionali necessarie e che guarda con attenzione oltre questi confini. Ai più giovani di noi va la nostra attenzione: abbiamo 570 specializzandi presenti nel nostro indirizzario di cui 230 iscritti all’ACP: un grande tesoro da coltivare, proteggere e coinvolgere intercettando bisogni formativi, lavorativi e di vita. Abbiamo anche proposto ai presenti il coinvolgimento nei gruppi di lavoro in ACP, da tutte e tutti accolto con interesse. Diamo il benvenuto ai neoeletti consiglieri nazionali: Elisabetta Dalla Gassa, pediatra di comunità (Sardegna); Claudia Mandato, pediatra universitaria (Salerno); Guido Marinelli, pediatra di famiglia (Liguria); Maria Letizia Rabbone, pediatra di famiglia (Lombardia).
Salutiamo con gratitudine i consiglieri uscenti: Daniele De Brasi, pediatria ospedaliero (Napoli); Antonella Lavagetto, pediatria di famiglia (Genova); Rita Marchese Ragona, pediatra di famiglia (Caltanissetta); Assunta Tornesello, pediatra ospedaliera (Lecce).
Ancora poche note conclusive per comunicare il cambiamento di alcuni responsabili dei gruppi di lavoro ACP (www.acp.it) e l’introduzione del gruppo di lavoro sulla riorganizzazione delle cure, già nato come proposta durante il congresso di Napoli. Nei gruppi di lavoro, aperti a tutte e a tutti, si
possono coinvolgere i più giovani ma anche coloro che, con il pensionamento o in vicinanza di esso, vogliono dedicare parte del loro tempo all’ACP.
Ai soci neo o futuri pensionati abbiamo dedicato una riflessione particolare in assemblea: sono una grande forza vitale dell’ACP, espressa in tante azioni e collaborazioni intraprese in ambito associativo, in contributi ricchi di esperienza e di grande valore aggiunto, anche oltre i confini della professione per promuovere leggi a favore delle famiglie e delle bambine e bambini. Questo dimostra come non necessariamente la cessazione dell’attività lavorativa debba coincidere con l’abbandono di quella associativa, con impegni ovviamente tagliati in base alle disponibilità di ognuno. Uno sguardo indietro per poter guardare avanti e proseguire il nostro cammino verso i prossimi anni sicuri e indipendenti, sicuri della nostra forza culturale che va oltre le evidenze scientifiche e che guarda con occhio attento a quello che succede intorno alle famiglie, e alle bambine e bambini di cui ci prendiamo cura, ma anche agli altri meno fortunati. Nella consapevolezza che il nostro lavoro, come in tanti ci hanno insegnato, è basato sulla scienza, arricchito dalla cultura non solo scientifica, ampliato dalle nostre azioni di advocacy e politiche, ispirato a principi di trasparenza e indipendenza, guidato da rapporti di reciproco rispetto e fiducia.
doc.manetti@gmail.com
A proposito di autonomia differenziata
Ci siamo occupati di autonomia differenziata con un focus realizzato da costituzionalisti, pediatri ed esperti, evidenziando le criticità di una legge che avrebbe potuto penalizzare alcune aree del Paese, in particolare il Sud. Nel focus era stato evidenziato il pericolo che senza definire e finanziare i livelli essenziali delle prestazioni avremmo avuto diverse sanità nelle Regioni, con il Nord in grado di offrire migliori servizi rispetto al Sud. E lo stesso sarebbe accaduto per la scuola.
Adesso la Corte costituzionale dopo un attendo esame ha evidenziato tutte le criticità presenti nella proposta di legge. Questi i passaggi più significativi:
– mantenere in capo allo Stato centrale la disciplina dei servizi e dei diritti da assicurare ai cittadini su questioni ritenute fondamentali;
– la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni è priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
– l’aspetto finanziario della riforma viene bocciata perché potrebbe mettere a rischio l’equilibrio del bilancio statale creando scompensi a favore delle Regioni meno virtuose;
– infine, la Corte afferma che il regionalismo deve essere interpretato come un sistema per migliorare i servizi da offrire a tutti i cittadini in egual misura a prescindere dal luogo di residenza.
Servono più asili nido
Paolo Siani
Direttore UOC Pediatria, Ospedale Santobono, Napoli
I pediatri sanno bene che la frequenza all’asilo nido gratuito e di qualità rappresenta una grande opportunità per i bambini e anche per la famiglia, perché favorisce l’apprendimento e la socializzazione, contribuisce a rendere i bambini più sicuri e autonomi e consente alle mamme di poter lavorare. Inoltre è noto che frequentare asili nido ha un forte effetto nel ridurre le diseguaglianze.
Ma ci sono asili nido in Italia? E dove sono?
Bolzano è la città che offre una copertura del 68%, Capaci (Palermo) soltanto del 2,7%.
Sono dodici le Regioni italiane che registrano una quota superiore al 33% con l’Umbria al 46,5%, l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta al 43,1%.
In coda quasi tutte le regioni del Sud, in particolare Calabria al 15,7%, Sicilia 13,9% e Campania 13,2%, proprio lì dove le disuguaglianze sono più evidenti.
L’Italia dovrebbe avere altri centomila posti negli asili nido per raggiungere l’obiettivo minimo fissato da Bruxelles di offrire un posto al nido al 33% della popolazione infantile, secondo il rapporto nazionale Asili nido in Italia presentato dalla Fondazione “Con i Bambini” e da Openpolis.
Alcune settimane fa il procuratore della repubblica di Napoli Nicola Gratteri ha dichiarato: “C’è bisogno di soldi per costruire asili. Ci sono bambini abbandonati con genitori in carcere, che saranno carne da macello per la camorra”. Il procuratore sa bene che la mafia non si sceglie ma si eredita, e chiede semplicemente prevenzione.
Un magistrato chiede più asili nido al Sud per contrastare le mafie; l’Europa con il PNRR ha dato all’Italia oltre quattro miliardi di euro per costruire nuovi asili nido e ridurre le disuguaglianze portando tutte le Regioni a una copertura di almeno 45% dei bambini di età 0-2 anni. Perché l’asilo nido è l’intervento più efficace per la migliore crescita dei bambini, ma anche per una conciliazione dei tempi di vita e lavoro, per combattere l’inverno demografico, per sostenere l’emancipazione femminile, poiché è noto che più è alto il tasso di scolarizzazione nell’infanzia, tanto è più alto il tasso di occupazione femminile.
Vediamo come la politica nel nostro Paese risponde a questa richiesta.
Esaminiamo il recente “decreto Caivano” che ha messo in campo interventi certamente utili per l’infanzia, per il contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale. Ma questi interventi sono sufficienti a cambiare il destino di chi nasce e vive in quel territorio? Gli interventi che riguardano la fascia di età 0-2 a Caivano sono la ludoteca e il progetto Polo millegiorni di Save the Children. Troppo poco, perché a Caivano, come in tanti altri comuni del Mezzogiorno, quello che manca è proprio l’asilo nido.
La popolazione 0-2 anni a Caivano è di 1029 bambini, ma i posti all’asilo nido disponibili sono soltanto 22. Altri 72 saranno attivati con ulteriori risorse già stanziate dal Ministero (1,73 milioni). Per cui soltanto 94 bambini su 1024 (9%) potranno frequentare un asilo nido pubblico (fonte: Il Sole 24 Ore).
Se poi analizziamo i Comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche in Campania, per riprendere l’appello del
procuratore Gratteri, vediamo che Castellamare di Stabia (provincia di Napoli) con i fondi PNRR e con gli ulteriori finanziamenti ministeriali riesce ad attivare altri 90 posti che si aggiungono ai 294 già autorizzati nel 2021 e in questo modo raggiunge la copertura del 25,9%. Torre Annunziata attiverà altri 84 posti che si aggiungono ai 101 già autorizzati e raggiunge la copertura del 16%. Molto al di sotto del 45% che chiede l’Europa.
Quindi l’intervento che si dovrebbe fare a Caivano, come in tante altre realtà del Mezzogiorno, accanto a quelli già in atto, è assicurare al 45% dei bambini un posto al nido.
Quindi servono almeno altri 300 posti a Caivano, 665 a Castellammare, 511 a Torre Annunziata e 147 a Capaci, dove solo 9 bambini su 328 hanno accesso al nido.
Sappiamo che il PNRR ha finanziato la costruzione di nuovi asili nido, ma non la gestione, e nonostante il grande finanziamento ricevuto non si riuscirà a colmare il gap che esiste oggi tra Bolzano e Capaci.
Un buon nido che può ospitare fino a un massimo di trenta bambini, per essere gestito bene con i fondi comunali, deve avere un rapporto fra bambini e educatori che non superi le sei unità. L’Istat calcola nel 2019 per i Comuni un costo di circa 8500 euro annui per ogni bambino se i nidi sono gestiti direttamente; il costo scende a 5000 euro se i servizi sono affidati a terzi.
È necessario quindi prevedere in ordinaria amministrazione per i Comuni risorse sufficienti a garantire una costante copertura finanziaria ai nuovi posti aggiuntivi che il PNRR si propone di introdurre.
La legge di bilancio 2022 ha stabilito il livello essenziale delle prestazioni (LEP) fissato al 33% per gli asili nido e ha previsto per la gestione uno specifico incremento del Fondo di solidarietà comunale, con uno stanziamento crescente di anno in anno a partire dai 120 milioni per il 2022 fino ad arrivare a 1100 milioni annui a decorrere dal 2027.
Il raggiungimento del LEP è scritto in legge di bilancio e avverrà in modo graduale iniziando dai Comuni con un livello del servizio inferiore al 28,8% dei posti.
Quindi ci sono adesso tutte le condizioni per offrire un posto al nido anche alle bambine e ai bambini che nascono al Sud. Infine, il Commissario straordinario nominato dal governo per Caivano, in audizione in commissione bicamerale infanzia il 6 febbraio 2024, ha dichiarato che sono 140 i ragazzi a carico dei quali ci sono segnalazioni o procedure presso il tribunale per i minorenni, e 29 quelli collocati in struttura residenziale.
È tempo di investire quindi in soluzioni a monte per le generazioni future mentre si continuano ad affrontare i problemi di oggi.
Sostanze di abuso nel bambino e adolescente
Marco Marano, Mara Pisani
DEA,
Centro Antiveleni Pediatrico. Ambulatorio pediatrico di farmaco-tossicologia clinica IRCCS “Bambino Gesù”, Roma
tassi di povertà e criminalità, è spesso correlato a tassi più alti di abuso di sostanze. L’abuso di sostanze durante l’età evolutiva, coinvolge due fasce di età – l’infanzia e l’adolescenza – in cui gli individui sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi delle sostanze di abuso. Nella fascia 1-4 anni l’esposizione è involontaria: avviene di solito in casa, dove il bambino può trovare la sostanza utilizzata dai genitori e la può ingerire con comparsa di sintomi anche gravi che richiedono il ricovero in terapia intensiva. L’altra fascia di età è quella 10-18 anni, periodo in cui l’esposizione avviene in maniera più consapevole. Un’altra condizione pericolosa può essere rappresentata dall’esposizione in utero o durante l’allattamento da parte di madri che continuano a esporsi a queste sostanze.
Introduzione
Sostanza di abuso è considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) qualsiasi sostanza chimica, naturale o sintetica, che viene utilizzata al di fuori delle sue indicazioni mediche, solitamente per alterare lo stato mentale e percepire sensazioni di piacere, euforia o eccitazione, ma con rischi significativi di dipendenza (psicofisica), tolleranza (bisogno di incrementare le dosi per ottenere lo stesso effetto) e gravi effetti negativi sulla salute fisica e mentale. L’uso di queste sostanze dette anche “sostanze stupefacenti” può portare a comportamenti compulsivi, effetti dannosi sulla salute, problemi sociali e legali e difficoltà nel controllo dell’uso stesso. In Europa il fenomeno droga ricade sotto il controllo dell’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction (EMCDDA), l’agenzia dell’Unione europea, fondata nel 1993 con sede a Lisbona, che raccoglie, analizza e divulga informazioni mediante una rete con gli Stati membri attraverso il Sistema di Allerta Precoce dell’UE (Early Warning System), in stretta collaborazione con Europol, costituito da 29 sistemi di allerta precoce nazionali in tutta Europa. Grazie a questa rete di monitoraggio l’EMCDDA pubblica una relazione annuale sull’evoluzione del fenomeno della droga nell’Unione europea. I casi di esposizione a sostanze di abuso in età evolutiva sono in aumento e rappresentano una delle principali preoccupazioni per la salute pubblica. Questo impone un approfondimento continuo in quanto l’identificazione di tali sostanze, degli effetti e dei rischi legati al consumo permette di attuare misure di prevenzione e cura.
In Italia la collaborazione con l’UE e la lotta alle sostanze d’abuso viene svolta dal Dipartimento per le Politiche Antidroga (DEA), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con primo decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 20 giugno 2008, e posto sotto la responsabilità funzionale del sottosegretario del primo ministro con responsabilità delegata per i farmaci. Ha lo scopo di promuovere, guidare e coordinare le iniziative del governo per combattere la diffusione della dipendenza da droga e alcol, esercitando anche un’attività di informazione per tutti coloro (sanitari, genitori, educatori ecc.) che possono venire a contatto con i giovani e gli effetti che queste sostanze inducono. I fattori di rischio che espongono i ragazzi a questo fenomeno sono personali – ansia, depressione, ADHD – e sono spesso associati a un maggiore rischio di abuso; ma anche la predisposizione genetica può aumentare la vulnerabilità all’abuso di sostanze. Un ambiente familiare caratterizzato da problemi di abuso di sostanze, violenza o conflitti possono incrementare il rischio, così come la mancanza di supervisione e di comunicazione tra genitori e figli può rappresentare un fattore critico. Influenze relazionali come amici che abusano di sostanze possono influenzare negativamente i comportamenti. La disponibilità di accesso alle sostanze aumenta il rischio di uso e abuso. Il contesto socioeconomico, come le aree con alti
Alcol, cannabis e nicotina sono le sostanze psicoattive più comunemente utilizzate dagli adolescenti ed è in corso un dibattito continuo sull’impatto che questi prodotti hanno sulla funzione fisiologica, soprattutto sulla neurocognizione. Possiamo distinguere tra tutte queste sostanze quelle classiche, quelle di origine vegetali o etniche e le nuove sostanze psicoattive.
Sostanze classiche
Alcol
L’alcol etilico, o etanolo, è un prodotto psicoattivo, in quanto modifica la consapevolezza, la percezione e i comportamenti, in base alla sua concentrazione nel sangue. Il consumo eccessivo di alcol in modo episodico (binge) e l’uso eccessivo di alcol sono associati a un funzionamento cognitivo più scadente in un’ampia gamma di valutazioni neuropsicologiche, tra cui apprendimento, velocità psicomotoria, attenzione, funzionamento esecutivo e impulsività. Induce dipendenza (alcolismo) e costituisce un problema sociale rilevante. Nell’esperienza del centro antiveleni pediatrico dell’ospedale “Bambino Gesù”, viene segnalato come l’alcol etilico rappresenti la prima sostanza di abuso più frequente delle esposizioni nei giovani che giungono in pronto soccorso. Questo prodotto può apparire uno stimolante a causa della precoce disinibizione dovuta alla soppressione dei meccanismi di controllo inibitori; in realtà diminuisce il rendimento intellettivo e fisico in quanto arriva a deprimere il sistema nervoso centrale. Usualmente 700 mg/kg di etanolo puro (3-4 bevande alcoliche) sono in grado di indurre una alcolemia di 100 mg/dl (stato di ubriachezza). Sopra i 300 mg/dl di alcolemia si può avere un’alterazione dello stato di coscienza sino allo stato di coma. I sintomi di un’intossicazione moderata sono incoordinazione, riflessi rallentati, disinibizione ma anche comportamento aggressivo. In casi gravi si hanno ipotermia, ipoglicemia da alterata gluconeogenesi, che nei bambini più piccoli (< 5 aa) può essere responsabile di convulsioni, bradicardia, ipotensione, miosi, depressione respiratoria e possibile aspirazione polmonare. L’abuso di alcolici è associato a disturbi gastrointestinali (esofagite, gastrite, epatite, pancreatite, iperplasie/tumori), ematologici (anemia), cardiovascolari (ipertensione, cardiomiopatia) e ictus. Il trattamento nei casi di esposizione acuta è sintomatico: correggere l’ipoglicemia, l’acidosi e l’ipotermia; può rendersi necessaria l’intubazione orotracheale per proteggere le vie aeree dalla possibile aspirazione polmonare di materiale gastrico. L’esposizione all’alcol negli adolescenti riflette i comportamenti dell’età (eye balling, balconing, pub’s crawl, drunkorressia); può essere assunto in associazione con altre sostanze psicoattive, come gli energy drink, che sono bevande analcoliche ma contenenti, oltre ad acqua e zucchero, anche sostanze stimolanti come caffeina e taurina. Quest’associazione riduce il sapore sgradevole dell’alcol, contrastandone gli effetti sedativi e consentendo sessioni più lunghe di consumo. Lo stato di ebbrezza viene mascherato e i segnali significativi (come la fatica e la sonnolenza) sono solo attenuati, poiché la
concentrazione ematica di alcol rimane invariata, esponendo la popolazione adolescenziale a pericoli significativi in quanto l’associazione caffeina e alcol può indurre una mancato controllo inibitorio in maniera sinergica (Biggio et al. 2024; Verster et al. 2017; Vanattou-Saïfoudine 2012).
Cannabis e derivati
La cannabis proviene dalla pianta di cannabis sativa o canapa indiana, un prodotto naturale, il cui principale psicoattivo è rappresentato dal tetraidrocannabinolo (Δ9-THC). È la sostanza illecita più prodotta al mondo. La coltivazione di cannabis di solito produce due prodotti distinti: cannabis a base di erbe (marijuana) e la resina di cannabis (hashish). Gli effetti di questa sostanza (che agisce come agonista su due distinti tipi di recettori cannabinoidi CB1 e CB2) può dare dipendenza e sono: distorsione della percezione, tachicardia, ipertensione arteriosa e aritmie, vertigini, alterazioni dell’orientamento spaziotemporale, alterazione della coordinazione motoria, attacchi di ansia e di panico, episodi psicotici di natura paranoidea. È possibile avere tosse con comparsa di pneumotorace nell’uso prolungato. Segni di iperemia della congiuntiva. L’intossicazione accidentale nel bambino piccolo avviene per ingestione, a seguito dell’esplorazione dell’ambiente domestico; in questo caso la comparsa dei sintomi può essere più lenta. Recenti studi pongono in evidenza come durante l’adolescenza l’esposizione a cannabis possa influenzare lo sviluppo di parti del cervello a funzione cognitiva più elevata con possibile evoluzione verso la schizofrenia (Patel et al. 2021; Meier et al. 2012), alterazioni della memoria a breve termine e difficoltà di apprendimento, con deficit cognitivi. Per ciò che riguarda la sfera ormonale, si registrano diminuzione del testosterone e disturbi del comportamento sessuale. L’uso di cannabis in gravidanza non è infrequente: il 4% delle donne americane ne fa uso, anche durante l’allattamento (18%). I metaboliti del THC sono lipofili, attraversano facilmente la placenta e passano facilmente attraverso il latte, potendo alterare il sistema endocannabinoide del feto, interferendo sul neurosviluppo (Meier et al. 2012; Corsi et al. 2020). Un’altra sostanza che si è molto diffusa tra i giovani a partire dal 2022 è la cosiddetta “droga della risata” che altro non è che il protossido di azoto (N2 O). Questa è una sostanza con effetto anestetico utilizzato in ambiente sanitario ma che può essere utilizzato anche a scopo ricreativo per il suo effetto esilarante. I giovani ne fanno uso utilizzando quello presente nelle bombolette che vengono utilizzate a scopo alimentare (cartucce contenente il gas per produrre panna montata). Vendute nei supermercati se inalate possono causare non solo effetti psicoattivi, ma anche eventi drammatici come arresto cardiaco dovuto alla grave ipossia indotta dal gas.
Stimolanti
Rappresentati da anfetamine e cocaina. La cocaina, nota anche come “coca” o “neve”, è una sostanza psicoattiva estratta dalla pianta della coca che cresce soprattutto in Sud America, in Africa e negli Stati Uniti. Queste sostanze si presentano sotto forma di polvere bianca e vengono assunte per via iniettiva o inalatoria (sniffo o fumo). Il crack è un derivato della cocaina, è una miscela di cocaina, bicarbonato di sodio e/o ammoniaca. Ha un aspetto granulare e di colore biancastro che tende a ingiallire. Viene assunto inalando il fumo dopo il riscaldamento. Questa operazione provoca degli scricchiolii che danno origine al suo nome. Gli effetti acuti e immediati della cocaina durano circa 20-30 minuti; durante questo periodo gli utilizzatori riferiscono di provare un’intensa euforia o “sballo”, sensazione di onnipotenza fisica e intellettuale, insensibilità al dolore e alla fatica, forte dipendenza fisica e psicologica legati all’utilizzo ripetuto di questa sostanza. Gli effetti avversi possono essere: cefalea, nausea, dolori addominali,
problemi cardiocircolatori come l’infarto, difficoltà respiratoria, ictus celebrale. Il consumo cronico di cocaina è associato a deficit neurocognitivi come deficit di attenzione, della memoria visiva, della fluidità verbale, delle funzioni sensoriali-percettive e inibizione della risposta e dell’impulsività. Studi di neuroimaging funzionale (fMRI) condotti su consumatori di cocaina mostrano diminuzione nell’attivazione o flusso sanguigno anormale nelle regioni del cervello che sono alla base della funzione esecutiva e attenzionale, come il cingolato anteriore (Bolla K 2004). La metanfetamina è conosciuta come “speed”, “ice” o “crystal” (questi ultimi due nomi si riferiscono in particolare alla metanfetamina che si fuma). Si tratta di una polvere cristallina bianca che si scioglie facilmente nell’acqua o nell’alcol. Può essere ingerita, sniffata e, più recentemente, assunta per via sublinguale (francobolli). Il quadro clinico è simile a quello della cocaina ma più duraturo (8-24 ore); è un prodotto sintetico, cioè prodotto in laboratorio.
Allucinogeni e dissociativi
L’LSD (dietilammide dell’acido lisergico) è un potente allucinogeno, definito anche droga psichedelica a causa delle pericolose alterazioni che provoca nella percezione dei colori, dei suoni, del tatto e delle luci; allucinazioni, visive e uditive; errata percezione del tempo e dello spazio. È una sostanza liquida che, per essere utilizzata, è fatta assorbire in minore quantità su piccoli pezzetti di carta di varia forma (francobolli, stelle, animali, fiori ecc.) o pastiglie. Il consumo di tale sostanza produce: midriasi, tremori, insonnia, febbre, sudorazione, ipertensione, tachicardia, inappetenza, xerostomia, possibile comparsa di fenomeni di schizofrenia, stati confusionali, disturbi psichici prolungati di panico, ansia, fobie, attacchi (bad trip), episodi deliranti e pericolosi come immaginare di volare. Alcune persone sperimentano episodi di flashback, ovvero ripetizioni delle allucinazioni senza nuove assunzioni. Gli effetti dell’uso di questa sostanza possono portare a danni neuro-psichici permanenti e irreversibili. La ketamina e il GHB (gamma-idrossibutirrato) sono altre sostanze con proprietà allucinogene, anestetiche, dissociative o depressive. I dati disponibili suggeriscono che, nel complesso, la prevalenza dell’uso di droghe allucinogene e dissociative rimane generalmente bassa in Europa. La ketamina può essere sniffata, ma anche iniettata e può indurre danni acuti e cronici dose-dipendenti, tra cui tossicità neurologica e cardiovascolare, depressione e danni alla vescica dovuti a un uso intensivo o alla presenza di adulteranti. La miscelazione di ketamina e MDMA (3,4-metilenediossimetanfetamina) sotto forma di compresse vivaci dal colore rosa, indicata con il nome di “cocaina rosa”, ha effetti di tipo prevalentemente psichedelico o entactogeno. In questo caso l’uso di miscele di sostanze in maniera inconsapevole, potrebbero esporre i ragazzi a rischi elevati per la salute per effetto dell’interazione farmacologica.
Le fenetilamine rappresentano una classe di molecole ad azione psicoattiva e stimolante piuttosto ampia che include anche la MDMA (nota come ecstasy), una combinazione tra una droga allucinogena e un’anfetamina che provoca eccitazione. L’ecstasy agisce sul cervello aumentando l’attività di almeno tre neurotrasmettitori: la serotonina, la dopamina e la norepinefrina. L’eccessivo rilascio di serotonina causato dall’ecstasy determina quell’innalzamento dell’umore e intensificazione della percezione sensoriale che viene riferito dai consumatori. Vengono commercializzate in compresse di vari colori/forme, in capsule, in polvere/cristalli. Da segnalare che sono state registrate fenetilamine sotto forma di francobolli (blotters), formulazione tipica degli allucinogeni a elevata potenza. Possono essere ingerite, sniffate e, più recentemente, assunte per via sublinguale (francobolli). Uno degli effetti più pericolosi delle fenetilamine è la rigidità muscolare con ipertermia, convulsioni, disturbi cardiovascolari, disidratazione, confusione. In
altri casi, con l’impiego di altre molecole, si possono verificare depressione del sistema nervoso centrale fino al coma, distorsione della realtà, attacchi di panico, vomito, paranoia, ansia, cefalea. Sono stati segnalati danni al sistema nervoso centrale e al fegato. È una club drugs utilizzata in ambienti giovanili come nelle discoteche o nei raves party (feste che possono proseguire ininterrottamente anche per l’intero weekend); facile da assumere, permette di ballare per lunghi periodi. Il principale effetto dell’ecstasy, una sensazione paradisiaca, consiste nella capacità di facilitare i rapporti sociali, aumentare il senso di appartenenza alla tribù globale, provare empatia per chiunque stia vicino, aumentando la confidenzialità. È possibile il craving (bisogno disperato di procurarsi la sostanza).
Oppiacei
L’eroina e la morfina sono gli oppioidi più noti; agiscono sui recettori μ del sistema nervoso centrale. Tuttavia negli ultimi anni stanno comparendo sul mercato oppioidi di sintesi che, come tali, rientrano nella categoria delle “nuove sostanze psicoattive”. L’eroina è una preparazione grezza di diamorfina. È un prodotto semisintetico ottenuto per acetilazione della morfina, che si trova come prodotto naturale nell’oppio, il lattice essiccato di alcune specie di papavero, in particolare papaver somniferum. Si presenta come polvere bianca o scura spesso granulare, solubile in acqua, con odore di acido. Solitamente è iniettata in vena, oppure fumata o sniffata. La modalità iniettiva è causa di trasmissione di HIV/AIDS ed epatite B o C. Tra gli effetti a breve termine degli oppioidi classici (eroina, morfina) si riscontrano: sedazione, forte sonnolenza, rallentamento psicomotorio con perdita di concentrazione, deficit cognitivi, letargia, apatia, difficoltà nell’eloquio, difficoltà respiratoria, ipotensione e bradicardia, stitichezza, nausea e vomito. In caso di overdose si possono avere grave depressione respiratoria, coma, miosi a punta di spillo, edema polmonare. Tra gli effetti a lungo termine si ricordano la tolleranza (necessità di aumentare le dosi per ottenere gli stessi effetti) e la dipendenza con sindrome d’astinenza caratterizzata dalla comparsa di sintomi sistemici gravi.
Sostanze di origine vegetale o etniche
Tra queste si annoverano funghi cosiddetti “magici” come l’ipomoea violacea (morning glory) che contiene l’ergina, un alcaloide con effetto allucinogeno contenuto nei semi della pianta, ricercati per gli effetti psicoattivi del tutto sovrapponibili a quelli dell’LSD sebbene di minore intensità. Altri prodotti vegetali possono essere utilizzati allo stesso scopo come i funghi della famiglia Psilocybe che sono proibiti a livello internazionale e vengono venduti come “funghi magici” o “tartufi magici” (chiamati anche “pietre filosofali”): questi ultimi sono gli sclerozi del fungo in superficie e contengono le stesse sostanze psicoattive, rappresentate da psilocibina o psilocina che sono antagonisti dei recettori della serotonina, bloccando il rilascio di serotonina. Il cervello si chiude in una sorta di isolamento sensoriale e si producono gli effetti della molecola perché diminuisce l’interazione tra la serotonina e i suoi recettori postsinaptici. Lo Psilocybe mexicana è un fungo allucinogeno molto conosciuto sul mercato, da cui si produce il corrispondente “tartufo magico” (sclerotia). Purtroppo questi prodotti, così come molte altre sostanze, spesso sono acquistati su internet in modalità anonima.
Nuove sostanze psicoattive (NPS)
L’EMCDDA definisce le nuove sostanze psicoattive (NPS) come sostanze narcotiche o psicotrope, in forma pura o in preparazione non controllata, ma che può rappresentare una minaccia per la salute pubblica paragonabile a quelle delle sostanze controllate; comprendono un’ampia gamma di sostanze che non sono controllate dalle leggi internazionali sulle droghe.
Negli ultimi anni si è assistito a una trasformazione importante del mercato delle droghe illecite indotta da un rapido aumento della comparsa di queste nuove sostanze psicoattive con strutture chimiche o profili farmacologici simili alle droghe d’abuso tradizionali, allo scopo di imitare gli effetti delle sostanze già esistenti. Circa 1200 nuove sostanze psicoattive sono state identificate sui mercati globali della droga negli ultimi 15 anni. Il mercato di queste sostanze è dinamico, con formulazioni chimiche simili e allo stesso tempo sufficientemente diverse da non rientrare nel campo di applicazione delle leggi in vigore. Una volta che un composto diventa proibito, nuove molecole non ufficialmente segnalate compaiono rapidamente, ampliando la libreria di composti psicoattivi. Recentemente si è rilevato un numero crescente di nuove sostanze provenienti da famiglie chimiche che sono stimolanti e di sostanze che imitano gli effetti della cannabis o degli oppioidi. I cannabinoidi sintetici hanno effetti simili a quelli provocati dal consumo di cannabis (agiscono sul recettore CB1); la loro assunzione infatti genera, dopo soli dieci minuti, congiuntivite, tachicardia, xerostomia e una alterazione della percezione e dell’umore, effetti che perdurano per circa sei ore. Assunti per via orale o inalati in miscele di erbe come una spice (spezia), molti dei cannabinoidi sintetici sono noti per essere più potenti del THC (2-100 volte) producendo effetti simili, ma con conseguenze più gravi. Sono stati segnalati casi di danno miocardico, convulsioni e fenomeni psichiatrici come psicosi. Viene usualmente assunta spruzzando la sostanza sul trinciato di sigarette e fumata. Questa modalità di assunzione può essere pericolosa perché espone la persona (che acquista la sostanza pensando sia marijuana) a un maggiore rischio di sviluppare sintomi gravi (Freeman et al. 2013).
I catinoni sintetici rappresentati dal mefedrone e MDVP (Metilenediossipirovalerone) sono analoghi strutturali del catinone (una molecola psicoattiva presente nella pianta di khat) e vengono commercializzati in compresse di vari colori/forme, in capsule, in polvere/cristalli. Vengono generalmente commercializzati come “sali da bagno” o “fertilizzanti per piante”. In relazione alla disponibilità di diverse forme e formulazioni, i catinoni possono essere ingeriti, sniffati/fumati o assunti per via iniettiva o rettale. Danno un effetto simile alle anfetamine. Come effetti collaterali possono essere responsabili di sintomi quali: ansia, ridotta capacità di concentrazione e della memoria a breve termine, irritazione della mucosa nasale, cefalea, tachicardia, ipertensione, iperidrosi, midriasi, trisma, allucinazioni, grave agitazione psicomotoria e aggressività, convulsioni (Kuropka et al. 2023).
Le nuove benzodiazepine hanno un alto rischio di abuso e possono causare rapidamente tolleranza e dipendenza. Sono più potenti rispetto a quelle usate per scopi terapeutici. La modalità di spaccio avviene attraverso il web o darknet, in questo caso la dose presente all’interno di questi prodotti può essere molto più alta rispetto ai farmaci autorizzati. Gli eventi avversi più pericolosi sono segnalati in consumatori di droghe ad alto rischio che associano benzodiazepine e oppioidi e altri depressori del sistema nervoso centrale (Kriikku et al. 2020; Rice et al. 2021).
I nuovi oppioidi vengono venduti come sostanze a sé stanti e come sostituti degli oppioidi controllati. Questi composti hanno una potenza molto maggiore rispetto agli oppioidi tradizionali come l’eroina e la morfina. Si ritiene che i nuovi oppioidi attualmente sul mercato, come gli oppioidi nitazenici (oppioidi del benzimidazolo, composto organico eterociclico aromatico), siano prodotti dai Paesi della fascia orientale. I nitazeni sono una classe di oppioidi sintetici con modelli strutturali inizialmente sviluppati per alleviare il dolore; non sono mai stati approvati per l’uso negli esseri umani. Sebbene in Europa il fenomeno di diffusione sia nettamente meno importante rispetto a quello che viene segnalato negli Stati Uni-
ti, nel 2022 gli Stati membri hanno segnalato al sistema di allerta precoce dell’Unione europea quasi 750 sequestri di nuovi oppioidi, pari a circa il 3% del numero totale di sequestri di nuove sostanze psicoattive. I primi cinque nuovi oppioidi sequestrati e segnalati al sistema nel 2022 sono carfentanil, tramadolo, protonidazene, metonidazena, isotonidazena. Il fentanyl puro ha una potenza 224 volte maggiore della morfina e circa 30-50 volte più potente dell’eroina, mentre il carfentanil è 10.000 volte più potente della morfina. In generale i nuovi oppioidi sono da 10 a 40 volte più potenti del fentanyl, aumentando la probabilità che gli utilizzatori sperimentino depressione respiratoria con ipossia fatale e sono considerati una minaccia emergente. Non sono inclusi nei pannelli tossicologici standard, quindi non possono essere identificati in urgenza. I sintomi iniziali vanno dalla miosi alla letargia, alla depressione generalizzata del SNC, seguiti da condizioni più gravi come convulsioni, difficoltà respiratorie (respiro superficiale, ipopnea o bradipnea) sino all’arresto respiratorio con conseguente ipossia e arresto cardiaco secondario. Il trattamento prevede l’inversione della depressione respiratoria mediante somministrazione di naloxone (antidoto) associata alla gestione delle vie aeree con ossigenazione e supporto ventilatorio. I nitazeni sono oppioidi sintetici, quindi il naloxone dovrebbe essere in grado di invertire un sovradosaggio; tuttavia la loro elevata potenza potrebbe richiedere dosi maggiori e più elevate, in modo simile al trattamento del fentanyl (Dahan et al. 2024).
Conclusioni
L’abuso di sostanze in età evolutiva è un problema complesso che richiede un approccio multidisciplinare. La diagnosi di queste esposizioni si basa sul sospetto clinico e sulla conferma strumentale di laboratorio. Gli esami di individuazione standard delle sostanze di abuso attualmente disponibili nella stragrande maggioranza dei laboratori degli ospedali si basano sull’identificazione di sostanze di vecchia generazione e non identificano le nuove sostanze. Per identificare queste droghe vengono eseguiti esami cosiddetti di II livello, in laboratori di tossicologia clinica o tossicologia forense, che utilizzano strumenti sofisticati e costosi. Questi laboratori spesso collaborano con i centri antiveleni del territorio nazionale e sono di grande aiuto per la gestione di questi casi. La cura dei pazienti esposti a sostanze di abuso deve intervenire sui sintomi acuti, e nella maggioranza dei casi la terapia è sintomatica. Esistono degli antidoti come il naloxone nella overdose da oppiacei o il flumazenil nei casi di overdose da benzodiazepine. In questi pazienti, e specialmente negli utilizzatori abituali, si rende necessaria una terapia con sostegno psicologico, in quanto queste sostanze inducono una dipendenza oltre che fisica anche psichica. La prevenzione è la chiave per ridurre l’incidenza e l’impatto di questo fenomeno, attraverso l’educazione, il supporto familiare e comunitario, con politiche pubbliche efficaci. Per i giovani già affetti da abuso di sostanze, interventi terapeutici appropriati possono facilitare il recupero e prevenire le conseguenze a lungo termine. Una società informata e attenta può fare la differenza nella vita dei giovani.
Bibliografia
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Arriva l’inverno. E allora? Tutti fuori!
Nei Paesi mediterranei è diffusa la preoccupazione che il freddo dell’inverno sia dannoso alla salute dei bambini. La nostra società ha raggiunto livelli straordinari di benessere dell’infanzia: le condizioni di vita dei bambini di oggi (in termini di salute, educazione, cure, alimentazione) non sono paragonabili con la precarietà della vita dell’infanzia del nostro recente passato. Tuttavia, l’ipersensibilità degli adulti verso i temi della protezione e della prevenzione, della cura e della sicurezza, nell’arco di alcuni decenni ha progressivamente tagliato le relazioni dei bambini con l’ambiente esterno, vissuto come “pericoloso” a prescindere.
Anche la vita scolastica, svolta in ambienti chiusi, diventa a sua volta potenzialmente nociva: oltre la metà delle malformazioni posturali nell’età dello sviluppo sono dovute all’eccesso di sedentarietà dei bambini, spesso costretti a trascorre indoor anche il tempo della ricreazione. Ciò causa anche una maggiore frequenza di sovrappeso, disturbi della vista, carenze di vitamina D. Viene chiamato anche “Disturbo per mancanza di rapporto con la natura”: alcuni dei “disturbi” dei bambini di oggi riguardano aspetti emotivi, iperattività, difficoltà nell’attenzione, sarebbero dovuti anche a questa carenza di esperienze.
Il benessere fisico
Questo non avviene nei paesi del Nord Europa, dove è invece è diffusa la cultura dell’outdoor che significa vita all’aria aperta, perché, contrariamente a quanto si pensa, ciò comporta numerosi vantaggi per la salute, sia fisica che psichica, come riportato anche in alcune esperienze presso scuole per l’infanzia nel nostro Paese. Vediamo come.
Quando la pratica dell’attività fisica viene acquisita nell’infanzia tende a divenire parte integrante dello stile di vita della persona, contribuendo a ottenere una migliore mobilità articolare e tonicità muscolare, una corretta postura, e infine una maggiore difesa dalle malattie, stagionali e non. Contrariamente a quello che molti pensano, praticare attività fisica all’aria aperta, anche nella stagione fredda, non significa di per sé ammalarsi di più. Non c’è ragione di impedire ai bambini di giocare, correre e andare in bicicletta in inverno: un abbigliamento adeguato e un’alimentazione bilanciata e varia sono più che sufficienti per divertirsi in piena sicurezza senza rischio di ammalarsi. Tutto questo è vero anche per i bambini affetti da patologie croniche (malattie dell’apparato cardiopolmonare, osteo-articolare, neuro-psicologico, enteropatie, diabete. Scegliendo con ragionevolezza e buon senso l’attività fisica più adeguata alle loro capacità, aiutati dal proprio pediatra, che ben conosce lo stato di salute dei pazienti.
Tecnologie
Il benessere della mente
I ragazzi che svolgono attività fisica sviluppano maggiore fiducia nelle proprie possibilità, maggiore autostima, maggiore sopportazione dello stress. Un effetto positivo che, secondo un gruppo di ricercatori dell’Università di Edimburgo, è concreto e misurabile: l’esposizione a spazi verdi è associata a una minor secrezione di cortisolo, noto anche come ormone dello stress.
Secondo le raccomandazioni OMS e della comunità scientifica, occorre invece limitare il tempo che i bambini passano davanti allo schermo (videogiochi, smartphone) a non più di un’ora al giorno; il tempo così speso può indurre a un maggiore consumo di spuntini a elevato contenuto calorico e può interferire con il sonno, la cui mancanza è un fattore di rischio noto per l’obesità.
Promuove Autonomia
La vita all’aria aperta sviluppa il senso di responsabilità, dell’intraprendenza, della capacità di affrontare piccoli rischi anche con l’imprevisto (andare sullo scivolo a rovescio, rotolarsi giù da una collinetta): esperienze che nessuno insegna, ma che tutti i bambini fanno e sanno fare. I bambini non vogliono fare solo la cosa facile, vogliono provare a fare cose difficili: i genitori e gli insegnanti lo sanno bene e in giardino capita di sentire “stai attento, corri piano”.
Impara a farsi domande
Rappresenta una delle esperienze cruciali dello stare all’aperto: le domande che si pongono i bambini sono vere domande di conoscenza, perché mettono in evidenza i nodi essenziali per capire e interpretare la realtà. Perché le foglie cadono? Da dove viene la pioggia? Perché questo uccellino è morto? Perché si muore? Da cosa sono formate le nuvole? Di chi saranno queste impronte nel giardino? Le domande vengono trasformate in opportunità per generare conoscenza, valorizzando le curiosità e gli stimoli portati dai bambini.
La tutela dell’ambiente
Le esperienze vissute nei primi anni di vita, al nido o alla scuola dell’infanzia, assumono un ruolo decisivo: rendere consapevoli i bambini piccoli dell’influenza che i nostri comportamenti hanno sull’ambiente. Il legame con la natura è importante non solo sul piano educativo e della salute, ma anche su quello della sostenibilità, per responsabilizzarli e incoraggiarli a proteggere il nostro pianeta una volta diventati cittadini adulti.
Tratto da: “Il
cielo è di sole e di blu” a cura del Gruppo del Coordinamento Pedagogico del Comune di Cesena Immagini create con AI
La percezione della condizione di obesità nelle diadi mamma-bambino
Uno studio esplorativo in famiglie con background migratorio
Momcilo Jankovic1,3 , Giovanni Giulio Valtolina2,3
1 Clinica Pediatrica, Università di Milano-Bicocca; Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo di Monza
2 Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano
3 Società Italiana di Psicologia Pediatrica (SIPPED)
La percezione delle dimensioni corporee è un fattore chiave per orientare il comportamento alimentare e conseguentemente determinare lo stato di salute. Come evidenziato in numerose ricerche, le madri appartenenti a minoranze etniche e a ceti socioeconomici più bassi hanno molte meno probabilità di identificare correttamente le condizioni di obesità o sovrappeso dei loro figli. Molto pochi sono, invece, in queste famiglie gli studi sulla percezione delle dimensioni corporee della madre da parte del bambino. Lo studio mira a valutare la consapevolezza delle dimensioni corporee in diadi madrebambino appartenenti a famiglie immigrate in Italia. Allo studio hanno partecipato 94 diadi madre-bambino, provenienti dal Nord Africa e dall’Africa subsahariana, in Italia da meno di 24 mesi. Per la rilevazione dei dati è stata utilizzata la Stunkard figure rating scale . I risultati indicano che, anche nel caso di famiglie con background migratorio, madri e figli in sovrappeso oppure obesi spesso sottostimano le proprie dimensioni, mentre i figli di madri obese molto spesso sottostimano anche le dimensioni corporee della madre.
The perception of body size is a key factor in driving eating behaviour and consequently shaping health status. As shown in many studies, mothers from ethnic minorities and lower socio-economic status are much more likely to incorrectly identify their children’s obesity or overweight status. Very few studies on the child’s perception of the mother’s body size in these families are available. This study aimed to assess body size awareness in migrant motherchild dyads. The study involved 94 mother-child dyads, from North Africa and sub-Saharan Africa, who had been in Italy for less than 24 months. The Stunkard figure rating scale was used for data collection. The results show that, even families with a migratory background, overweight or obese mothers and children often underestimate their own size, while the children of obese mothers very often underestimate also their mother’s body size.
Introduzione
L’obesità infantile è una delle principali sfide per la salute pubblica in Europa. Nel 2023, in Italia, il 19% dei bambini e delle bambine di 8-9 anni era in sovrappeso, mentre il 9,8% era obeso, inclusi bambini e bambine con obesità grave, che rappresentano il 2,6% [1]. In Europa, secondo l’OMS [2], quasi
1 bambino su 3 (il 29% dei maschi e il 27% delle femmine) è in sovrappeso oppure obeso. Il World Obesity Atlas 2023 [3] ha previsto che, tra il 2020 e il 2035, nella Regione europea dell’OMS ci sarà un aumento del 61% del numero di bambini e ragazzi obesi e del 75% del numero di bambine e ragazze obese (età compresa tra 5 e 19 anni).
Un bambino si considera affetto da obesità quando il suo peso corporeo è molto al di sopra della norma per la sua età e altezza. Questa condizione può avere gravi conseguenze sulla salute a breve e lungo termine, tra cui: problemi cardiaci (ipertensione, colesterolo alto e altre malattie cardiovascolari); diabete di tipo 2; problemi respiratori (apnea del sonno e asma); dolore alle articolazioni e problemi auxologici; problemi psicologici (scarsa autostima, depressione, isolamento sociale).
Se non curata in età pediatrica, l’obesità persiste nel 70-80% dei casi nell’età adulta [4]. L’obesità infantile è il risultato di una combinazione di fattori genetici, comportamentali e ambientali ed è dunque importante riservare la giusta attenzione a tutti e tre questi fattori, senza sottovalutarne alcuno. Infatti l’obesità di uno o di entrambi i genitori influenza in maniera rilevante il rischio di obesità nei figli come conseguenza di fattori genetici e ambientali condivisi [5].
Diversi studi hanno mostrato come gli standard culturali contribuiscano all’aumento dell’obesità tra i bambini con background migratorio, in quanto membri di minoranze etniche nei Paesi d’immigrazione [6]. In uno studio su famiglie immigrate, due terzi delle madri con bambini in sovrappeso in età prescolare desideravano che i figli fossero più pesanti [7].
Le madri hanno un ruolo molto importante nelle scelte alimentari dei bambini, soprattutto in età prescolare, e i bambini tendono a imitare gli atteggiamenti e i comportamenti dei genitori rispetto al cibo e agli altri comportamenti che hanno un’influenza diretta e indiretta sul peso [8,9]. Dagli studiosi è stata coniata una specifica categoria di famiglia – la cosiddetta obesogenic houshold [10] – a indicare quegli ambienti familiari in cui sono presenti una serie di fattori che hanno un’influenza diretta e indiretta sullo sviluppo del sovrappeso e dell’obesità nei figli.
Obiettivi
Il peso eccessivo durante l’infanzia è un’importante sfida per la comunità scientifica, in particolare per i pediatri, i medici di base e i nutrizionisti. Comprendere come viene percepito “culturalmente” il peso nei genitori provenienti da tradizioni culturali non occidentali è quindi fondamentale per predisporre politiche sanitarie efficaci per il contrasto di una condizione che colpisce i gruppi sociali più vulnerabili, come appunto gli immigrati.
Obiettivo principale dello studio è stato quello di indagare la percezione delle dimensioni corporee e del peso nelle diadi madre-bambini, con specifico riferimento a quattro aree:
1. la consapevolezza del proprio peso da parte della madre e da parte del figlio;
2. la percezione della madre riguardo al peso del figlio;
3. gli atteggiamenti della madre e del figlio riguardo alla dimensione corporea ideale e all’insoddisfazione per la propria forma corporea;
4. la percezione del peso della madre da parte del figlio.
Materiale e metodi
Hanno partecipato allo studio 94 diadi madre-bambino, provenienti dall’Africa e in Italia da non più di 24 mesi. Tutte le partecipanti hanno sottoscritto un consenso informato. L’età delle madri era compresa tra i 24 e i 38 anni (età media: 31,7; d.s. 4,9); l’età dei figli era compresa nel range 6-12 anni (età media: 10,1; d.s. 3,3). I figli maschi erano 43 (45,5% del campione), mentre le figlie femmine 51 (54,5%). La Tabella 1 mostra le nazionalità delle partecipanti.
Tabella 1. Paesi di provenienza delle diadi madre-figlio
Paese di provenienza v.a %
Egitto
Marocco Tunisia Senegal
16 15 17 15 15 16 17 16 18 16 16 17 Totale 94 100
Le misure rilevate alle madri includevano altezza, peso e circonferenza vita; ai figli sono stati misurati altezza e peso. Per le madri, l’indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) [peso (kg)/altezza (m 2)] è stato calcolato in base al loro peso e altezza e classificato come sottopeso (≤18,4), nella norma (18,5-24,9), sovrappeso (25-29,9), obesità (≥30). I bambini sono stati classificati come sottopeso (<5% sulla curva di crescita standardizzata [SGC]), normopeso (≥5% e <85% sulla SGC), sovrappeso (≥85% e <95% sulla SGC), obesi (≥95% sulla SGC). Alle madri è stato chiesto di esplicitare la percezione delle proprie dimensioni corporee attuali, delle dimensioni corporee sane e ideali e il grado di insoddisfazione circa le proprie dimensioni corporee, utilizzando scale di stimoli figurativi abbinate al BMI. Le scale utilizzate hanno mostrato validità e affidabilità test-retest per un’ampia gamma di soggetti [11,12]. La percezione delle dimensioni corporee nelle madri è stata valutata utilizzando la Stunkard figure rating scale, specifica per il sesso [Figura 1] [12], in risposta alla domanda: “Il suo peso è nella norma, è sottopeso o è sovrappeso?”. Le madri, con il supporto di una mediatrice culturale del proprio Paese d’origine, hanno scelto tra le sagome quelle che secondo loro rappresentavano le loro dimensioni corporee attuali, quelle ideali e quelle ritenute “salutari”; le sagome rappresentavano una condizione di sottopeso (sagome n. 1-2), peso normale (n. 3-4), sovrappeso (n. 5-6) e obesità (n. 7-9). La taglia attuale
era la silhouette selezionata in risposta alla domanda “A quale figura pensa di assomigliare?”. La silhouette selezionata per la taglia ideale è stata indicata in risposta alla domanda “Quale figura pensa sia ideale?”. La silhouette selezionata in riferimento alla taglia più utile per una condizione di benessere è stata indicata in risposta alla domanda “Quale figura pensa sia la più salutare?”. Alle madri è stato chiesto anche di specificare le dimensioni corporee del figlio, indicando se il bambino era “sottopeso”, “normale” o “sovrappeso”.
Con il supporto di una mediatore culturale del proprio Paese d’origine, anche i figli hanno risposto a domande che valutavano la percezione del proprio stato ponderale, la percezione delle proprie dimensioni corporee attuali, sane e ideali, il grado di insoddisfazione per le proprie dimensioni corporee, la percezione delle dimensioni corporee della madre e quali erano le caratteristiche corporee di un BMI sottopeso, normopeso e obeso. La percezione delle dimensioni corporee è stata valutata utilizzando un set di sette figure, che rappresentavano ragazzi e ragazze di diverse dimensioni e forme, specifiche per sesso ed età, sul modello dello Stunkard figure rating scale. La scelta era tra sagome che andavano dal sovrappeso (sagome n. 1-2), al peso normale (n. 3-5), al sottopeso (n. 6-7), identificate come attuali, ideali e salutari. Come per le madri, le dimensioni corporee attuali erano rappresentate dalla sagoma selezionata in risposta alla domanda “A quale figura assomigli?”. Le dimensioni ideali erano state indicate in risposta alla domanda “C’è un’altra figura a cui vorresti assomigliare?”. La dimensioni corporee ritenute salutari sono state indicate in risposta alla richiesta “Cerchia tutte le figure che sembrano sane per un/una ragazzo/a della tua età”.
Ai figli è stato inoltre chiesto quale sagoma descrivesse meglio le dimensioni corporee attuali della madre: “A quale figura assomiglia tua madre adesso?”. La domanda “A quale figura pensi che tua madre voglia assomigliare?” ha valutato, invece, la percezione dei figli rispetto alle dimensioni corporee ideali della propria madre. La domanda “Quale figura sembra la più salutare per una donna?” ha valutato la percezione che il figlio aveva delle dimensioni corporee salutari per una persona
Figura 1. Adattamento dalla Stunkard figure rating scale [11].
adulta come la madre. La valutazione dell’insoddisfazione per le dimensioni corporee, la differenza tra la forma corporea attuale e quella ideale è stata calcolata sottraendo la silhouette ideale dalla silhouette della taglia attuale.
Tutte le analisi sono state eseguite con SPSS 29.0. La significatività delle differenze di percezione tra madri normopeso, sovrappeso e obese è stata determinata utilizzando la regressione logistica. In particolare, le madri normopeso sono state confrontate con le madri in sovrappeso e obese, rispetto alla propria taglia corporea, alla taglia ideale e al peso dei propri figli. Analisi simili sono state eseguite confrontando bambini normopeso, sovrappeso e obesi. L’effetto del sesso dei bambini sulle loro percezioni e su quelle delle loro madri è stato valutato aggiungendo termini di interazione ai modelli di regressione logistica che riflettevano le differenze tra maschi e femmine. L’associazione tra il grado di insoddisfazione della madre per la propria figura e il grado di insoddisfazione del bambino per la propria figura è stata valutata utilizzando il coefficiente di correlazione di Spearman.
Risultati
Stante la grande mole di risultati emersi, ci limiteremo, in questa sede, a presentare quelli che sono risultati più significativi, soprattutto in riferimento ai figli.
Percezione delle proprie dimensioni corporee e delle dimensioni della madre da parte dei figli I bambini normopeso hanno evidenziato una maggiore probabilità di autoidentificarsi con sagome appropriate rispetto ai bambini sovrappeso oppure obesi. Tra i bambini normopeso, il 79,9% ha identificato correttamente la propria dimensione corporea. In confronto, l’89,9% dei bambini in sovrappeso (p<0,001) e il 59,7% dei bambini obesi (p<0,001) ha sottovalutato le proprie dimensioni. Il sesso d’appartenenza non sembra aver influenzato la percezione del proprio corpo. I figli normopeso hanno evidenziato maggiori probabilità di scegliere sagome appropriate per descrivere le dimensioni attuali della madre rispetto ai bambini sovrappeso oppure obesi. La maggior parte dei figli di madri con un peso nella norma (67,9%) le ha classificate correttamente, ma solo il 39,2% dei bambini con madri in sovrappeso le ha classificate correttamente. Tra i figli di madri obese, solo il 10,1% ha scelto in modo appropriato le sagome rappresentative delle dimensioni corporee delle madri. Il 75,2% dei figli ha sbagliato a classificare le madri obese, indicandole come sovrappeso, e il 14,7% indicandole come normopeso (p<0,001).
Percezione delle proprie dimensioni corporee e delle dimensioni dei figli da parte delle madri
La maggior parte delle madri normopeso e sovrappeso (rispettivamente il 74,9% e il 61,6%) ha scelto sagome appropriate come rappresentative delle proprie dimensioni attuali. Tra le madri obese, il 79,9% ha scelto sagome inappropriate, cioè in sovrappeso o di peso normale, come rappresentative della propria taglia attuale (p<0,001). Allo stesso modo, il 39,4% delle madri in sovrappeso ha sottovalutato le proprie dimensioni corporee, scegliendo sagome di peso nella norma. Può essere interessante evidenziare come nessuna madre obesa ha scelto la sagoma più grande, nemmeno le madri con un BMI di 43.
Tra le madri con un figlio normopeso, l’86,5% ha definito correttamente il peso del bambino, indicandolo come nella norma. Le madri con un bambino in sovrappeso oppure obeso, invece, non hanno definito il peso del proprio figlio in modo altrettanto affidabile: l’88,7% delle madri con un bambino in sovrappeso (p<0,001) e il 39,9% di quelle con un bambino obeso (p<0,01) hanno sottostimato il peso del proprio figlio, ritenendolo nella norma. Il sesso del figlio non ha influenzato la percezione del peso da parte della madre.
Insoddisfazione per le proprie dimensioni corporee nelle madri e nei figli
Tra le madri normopeso, il 15,7% era insoddisfatto delle proprie dimensioni corporee e considerava la silhouette ideale una o due figure più piccole nella Stunkard figure rating scale
Tra le madri in sovrappeso, la percentuale di insoddisfazione saliva all’85,1% e, anche in questo caso, preferiva figure ideali una o due figure più piccole nella Stunkard figure rating scale (p<0,001). Tra le madri obese, la maggior parte era insoddisfatta – il 67,4% – e quasi la metà (49,4%) aspirava ad avere una silhouette più di 2 figure più piccole della propria nella Stunkard figure rating scale.
Quasi la metà dei bambini (47,9%) era insoddisfatta delle proprie dimensioni corporee. Tra i bambini normopeso, il 31,6% era insoddisfatto, tra i bambini in sovrappeso, il 59,6%, e, tra i bambini obesi, l’85,4% (p<0,001).
L’insoddisfazione delle madri per le proprie dimensioni corporee e la percezione da parte del figlio della differenza tra le dimensioni attuali e le dimensioni ideali della madre erano correlate (ρ = 0,22; p<0,001).
Discussione
Diversi studi che hanno indagato la percezione delle proprie dimensioni corporee in relazione alla condizione di obesità nelle diadi madre-figlio si sono concentrati primariamente sulla figura materna [13,14]. Per questo abbiamo ritenuto importante, come altri ricercatori hanno fatto, prendere in considerazione anche le percezioni dei figli rispetto alle dimensioni corporee delle loro madri.
Alcune considerazioni emerse dalla nostra indagine, come quella relativa al fatto che le madri immigrate in sovrappeso oppure obese spesso sottovalutano le proprie dimensioni corporee, che le madri sottovalutano i bambini sovrappeso oppure obesi e li considerano normopeso, che i figli sovrappeso oppure obesi sottovalutano il proprio peso e si considerino nella norma e, soprattutto, che i figli di madri obese spesso sottovalutano le dimensioni corporee delle loro madri, devono indurre a riflettere sull’insidiosa dinamica legata alla trasmissione intergenerazionale degli atteggiamenti che hanno conseguenze sulla salute individuale. Le norme legate alle tradizioni culturali dei Paesi d’origine delle famiglie immigrate sembrano favorire, comprensibilmente, i bambini di dimensioni corporee più grandi, senza però considerare i rischi legati alla salute che una condizione di sovrappeso o di obesità comporta per il presente e per il futuro. Per le madri, la tendenza a considerare i bambini in sovrappeso come normopeso sembra comunque da attribuire non solo a fattori legati alla tradizione culturale, ma anche ad altri fattori contestuali, quali lo status socioeconomico della famiglia, come mostrano diversi studi [15]. Per quanto riguarda i figli, l’avere genitori e compagni di scuola in sovrappeso oppure obesi aumenta significativamente la probabilità di sottostimare le proprie dimensioni corporee, probabilmente a causa di un adeguamento agli standard che sono comuni nel loro ambiente di vita quotidiana – famiglia e scuola. Inoltre, i bambini a cui viene chiesto di identificarsi con figure, come quelle da noi utilizzate, possono essere meno propensi a identificarsi con figure di grandi dimensioni a causa dello stigma legato all’essere “grassi” [16]. Il mancato riconoscimento di una condizione di obesità e la tolleranza dello stato di sovrappeso rende certamente più probabile che gli appelli dei sanitari a favore del controllo del peso e di una sana alimentazione siano percepiti come poco importanti e che quindi vengano ignorati da quelle madri e da quei figli che non percepiscono il proprio peso come fuori dalla norma e non riconoscono i rischi associati a questa condizione. Nei bambini, una diagnosi tempestiva di sovrappeso o obesità da parte dei pediatri risulta fondamentale, in quanto è improbabile che molti genitori immigrati di bambini sovrappeso oppure obesi
inizino ad agire per contrastare l’obesità, dato che il peso non è percepito come un problema e ignorano le conseguenze di tale condizione sullo stato di salute del figlio.
Risulterebbe interessante avere un campione di controllo composto da diadi madre-figlio italiane e analizzare le eventuali differenze tra i due gruppi, in riferimento alle norme culturali relative al cibo e all’alimentazione. Riguardo la percezione, da parte delle madri italiane, del peso dei propri figli, sono a disposizione i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, che evidenziano come il 40,3% dei bambini in sovrappeso oppure obesi è percepito dalla madre come sottopeso o nella norma, il 59,1% delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga attività fisica adeguata e, tra le madri di bambini in sovrappeso oppure obesi, il 69,9% pensa che la quantità di cibo assunta dal proprio figlio non sia eccessiva [17].
Osservazioni conclusive
Come in altri studi condotti in ambito internazionale, dal nostro studio emerge che, anche nel caso di famiglie con background migratorio, il mancato riconoscimento di un peso eccessivo è più frequente tra le madri e i figli in sovrappeso oppure obesi. La rilevazione relativa al fatto che i figli di madri obese molto spesso sottostimano le dimensioni corporee delle loro madri sembrerebbe suggerire che la tolleranza della condizione di obesità si trasmetta all’interno delle famiglie, tra genitori e figli. Risulta quindi importante implementare programmi di educazione sanitaria che coinvolgano i diversi componenti del nucleo familiare, e non solo i singoli membri, e in tempi il più possibile precoci. E altrettanto urgente risulta la necessità di indagare le credenze, gli atteggiamenti e le percezioni delle famiglie immigrate, ancora oggi troppo poco studiate in Italia, per definire appropriati programmi di educazione alimentare e prevenire l’obesità.
Le limitazioni al presente studio sono diverse. Innanzitutto, il fatto che, trattandosi di un disegno trasversale, non è possibile determinare relazioni causali. Inoltre, il nostro studio si è focalizzato su famiglie del Nord e del Centro Africa e i risultati potrebbero quindi non essere generalizzabili ad altri gruppi etnici. E ancora, gli stimoli figurativi, come la Stunkard figure rating scale, benché utilizzati in modo estensivo in molti studi su vari gruppi etnici, potrebbero non rilevare adeguatamente alcune differenze nella percezione delle dimensioni corporee.
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Funzionamento esecutivo in pazienti con epilessia tipo
assenza naive per terapia farmacologica
Margherita Siciliano1,2,3 , Maria Esposito1 , Beatrice Gallai4 , Michele Sorrentino5 , Francesca Panico1 , Ludovica Miragliuolo1 , Marco Carotenuto1,2
1 Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile; Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Caserta;
2 Società Italiana di Psicologia Pediatrica (SIPPed);
3 Associazione Anatolia, Curti (CE);
4 Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Biomediche, Università di Perugia;
5 UniCamillus-Saint Camillus International University of Health Sciences, Roma
Obiettivi. Le crisi di assenza tipiche sono la principale e spesso unica manifestazione di diverse sindromi epilettiche nell’epilessia generalizzata idiopatica (IGE). Tra queste, l’epilessia tipo assenza infantile (CAE) è la sindrome IGE più frequente nei bambini, soprattutto tra i 2 e i 10 anni di vita, più comune nelle bambine (2:1) di 5-6 anni e responsabile del 10% delle epilessie infantili. Nella maggior parte dei pazienti con CAE la sintomatologia viene risolta dalla terapia prima dei 12 anni e meno del 10% svilupperà crisi tonico-cloniche generalizzate (GTCS).
Il presente studio osservazionale caso controllo si propone di esplorare il funzionamento esecutivo in un gruppo di soggetti con CAE in età evolutiva. Metodi. Il campione è costituito da 125 soggetti (59 maschi e 66 femmine) con CAE. Inoltre, la valutazione intellettiva, adattiva ed esecutiva è stata effettuata a ogni paziente. I dati sono stati confrontati con quelli di un gruppo di controllo storico simile per età e per distribuzione tra i sessi (54 maschi e 71 femmine).
Risultati. I due gruppi sono comparabili per età (p=0,0781) e genere (p=0,5252). Le differenze tra i gruppi per la scala cognitiva, adattiva ed esecutiva sono riportate nella Tabella 1.
Conclusioni. I risultati di questo studio confermano l’elevata incidenza di alterazione nel funzionamento esecutivo nei soggetti con CAE, ma più in generale suggeriscono una presa in carico globale del soggetto affetto, considerato che ancora prima della sintomatologia clinicamente rilevabile sono già presenti tali alterazioni che tendono ad aggravarne la severità.
Introduzione
La prevalenza dell’epilessia nel corso della vita è circa l’1%, con incidenza della distribuzione a forma di U in base all’età, particolarmente nei pazienti pediatrici. I bambini con epilessia (CWE) presentano frequentemente disturbi fisici e/o psichiatrici [1]. La prevalenza di disturbi psichiatrici comorbidi è compresa tra il 23% e il 77% ovvero da tre a sette volte superiore a quella nei bambini senza epilessia [1]. Nella CWE, i
disturbi psichiatrici includono prevalentemente deficit di attenzione e iperattività (ADHD), disabilità intellettiva, disturbi comportamentali/emotivi e autismo suggerendo un disfunzionamento esecutivo come fil rouge [2]. In generale, i disturbi psichiatrici tendono ad aumentare la frequenza delle crisi abbassando la soglia convulsiva, sebbene sia noto anche il ruolo concausale dei farmaci antiepilettici (AEDs), in una relazione bidirezionale tra epilessia e disturbi psichiatrici [1]. Le condizioni psichiatriche comorbide influenzano negativamente il rendimento scolastico e l’adattamento sociale, aumentano il rischio di suicidio e diminuiscono globalmente la qualità della vita a lungo termine [1].
Le crisi di assenza tipiche sono la principale e, spesso, unica manifestazione di diverse sindromi epilettiche nell’epilessia generalizzata idiopatica (IGE). Tra queste, l’epilessia tipo assenza infantile (CAE) è la sindrome IGE più frequente nei bambini, soprattutto tra i 2 e i 10 anni di vita, più comune nelle bambine (2:1) di 5-6 anni e responsabile del 10% delle epilessie infantili. Nella maggior parte dei pazienti con CAE la sintomatologia viene risolta dalla terapia prima dei 12 anni e meno del 10% svilupperà crisi tonico-cloniche generalizzate (GTCS)[3].
La manifestazione clinica delle assenze consiste in un arresto comportamentale e cognitivo, manifestato durante la veglia, mentre il modello elettroencefalografico (EEG) include complessi prolungati di scariche di picco generalizzate a 2,5-4 Hz e di onde lente (SWD) [Figura 1]. Inoltre, bisogna considerare l’influenza del sonno sull’epilessia, relazione riconosciuta fin dall’antichità ma, al di là dell’uso del sonno o della privazione del sonno come procedura di attivazione per l’elettroencefalografia (EEG), questa relazione deve ancora essere sfruttata per migliorare la vita dei pazienti [3]. Inoltre, il ruolo del sonno alterato è rilevante anche per lo sviluppo di anomalie comportamentali e sintomi internalizzanti [4], come in numerose altre patologie croniche a esordio in età evolutiva [5,6].
Obiettivi
Il presente studio osservazionale caso controllo si propone di esplorare il funzionamento esecutivo in un gruppo di soggetti con CAE in età evolutiva.
Metodi
Il campione è costituito da 125 soggetti (59 maschi e 66 femmine) con CAE secondo i criteri ILAE [7] selezionati tra quelli afferiti presso l’UO di Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” negli anni 20182023. Inoltre, la valutazione intellettiva ed esecutiva è stata effettuata a ogni paziente del gruppo CAE. I dati sono stati confrontati con quelli di un gruppo di controllo storico simile per età e per distribuzione tra i sessi (54 maschi e 71 femmine).
Figura 1. Viene riportato a titolo esemplificativo il quadro EEG tipico e diagnostico della Epilessia Piccolo Male Tipo Assenze (CAE) consistente in bouffées generalizzate di Punte-Onda a circa 3 Hz.
Procedure
Valutazione intellettiva
Per l’assessment cognitivo è stata utilizzata la scala WISC-IV che consente misura differenti dimensioni (elaborazione visiva; intelligenza cristallizzata; ragionamento fluido; memoria a breve termine; velocità di elaborazione), con range di punteggio 85-115. Per lo studio è stato considerato solo il QIT (Quoziente Intellettivo Totale).
Valutazione adattiva
La scala Vineland-II/(VABS-II) valuta il comportamento adattivo, misurando i domini di: comunicazione, abilità del vivere quotidiano, socializzazione, abilità motorie. Il range di punteggio normale è 85-115.
Valutazione del funzionamento esecutivo
Il funzionamento esecutivo è stato valutato con la scala BRIEF-2 per identificare le manifestazioni comportamentali legate al disfunzionamento esecutivo nei soggetti tra 5 e 18 anni. Per il suddetto studio è stato considerato solo il Global Executive Composite (GEC) i cui punteggi più alti indicano maggiori difficoltà nelle funzioni esecutive.
Analisi statistica
Essendo stato rispettato l’assunto di normalità tra le due popolazioni (Shapiro-Wilk test p= 0,5460), le differenze sono state valutate usando il test χ2 o il test di Fisher per le variabili categoriche e il t-Student’s test per le variabili continue. Valori di p≤0,05 sono stati ritenuti statisticamente significativo. L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il programma GraphPad Prism versione 8.0.2.
Risultati
I due gruppi sono comparabili per età (p=0,0781) e genere (p=0,5252). Le differenze tra i gruppi per la scala cognitiva, adattiva ed esecutiva sono riportate nella Tabella 1
Tabella 1.
QI
VABS-II
BIEF-2-GEC
CAE N=125
77,80 ± 3,797
75,10 ± 3,504
77,96 ± 3,660
Controlli N=125 t(df) p
109 ± 3,04
101,1 ± 2,514
62,38 ± 2,555
68,6 (124)
70,01(124)
(124)
La Tabella 1 riporta il confronto delle variabili continue tra i gruppi Epilessia Piccolo Male tipo Assenze (CAE) e Controlli per: quoziente intellettivo (QI), quoziente adattivo (VABS-II), disfunzionamento esecutivo (BRIEF-2-GEC).
Sono indicati i valori della distribuzione secondo t-Student’s test e i relativi gradi di libertà (degree of freedom; df).
Valori di p<0,05 sono stati ritenuti statisticamente significativi.
Discussione
Dall’analisi dei dati, il presente studio evidenzia un disfunzionamento esecutivo nei soggetti con CAE rispetto ai controlli. Tale risultato è in linea con il calo della performance cognitiva che si osserva come sintomo precoce rispetto alla manifestazione epilettica. Soprattutto si assiste a un calo delle performance scolastiche e a elevata distraibilità. Il presente studio evidenzia, quindi, l’importanza della presa in carico globale e del lavoro di équipe multidisciplinare che valuti aspetti apparentemente non correlati alla sintomatologia epilettica, ma che in una visione globale ne sono parte integrante, similmente ad altre patologie complesse in età evolutiva [8]. Del resto, la alterazione comportamentale identificata nei bambini epilettici è da ritenersi effetto finale proprio del disfunzionamento esecutivo, con difficoltà soprattutto attentive, di pianificazione, di organizzazione e di autoregolazione [9]. In questa
ottica, la gestione dell’epilessia deve superare la semplice valutazione della presenza/assenza delle crisi e non essere limitata solo alla gestione farmacologica. Un supporto riabilitativo mirato al rinforzo delle funzioni esecutive dovrebbe essere imprescindibile in età evolutiva, come anche la psicoterapia per mitigare i disturbi internalizzanti costantemente presenti soprattutto nei soggetti con CAE [10].
In questa prospettiva, i dati della risonanza magnetica funzionale hanno mostrato che le scariche di punte e onde sono il risultato dell’attività epilettica generata all’interno del circuito cortico-talamo-corticale, supportando l’ipotesi di una zona trigger all’interno di un’area specifica del sistema talamo-corticale determinata geneticamente [11].
Conclusioni
I risultati di questo studio confermano l’elevata incidenza di alterazione nel funzionamento esecutivo nei soggetti con CAE, ma più in generale suggeriscono una presa in carico globale del soggetto affetto, considerato che, ancora prima della sintomatologia clinicamente rilevabile, sono già presenti tali alterazioni che tendono ad aggravarne la severità.
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Cresce la pertosse in Europa: proteggiamo i più piccoli con il vaccino, anche in gravidanza
Enrico Valletta
UO Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni – L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì
Dall’autunno 2023, l’Europa sta sperimentando il più consistente incremento dei casi di pertosse degli ultimi dieci anni. Notizie in questo senso sono inizialmente pervenute dalla Danimarca che a settembre 2023 ha certificato l’andamento epidemico esordito durante l’estate e, successivamente, analoga situazione si è sviluppata nella Repubblica Ceca, Belgio, Norvegia e Spagna [1,2]. In quattro successivi commentari (aprile-agosto 2024) il BMJ ci informa che anche in Gran Bretagna le strutture sanitarie si stanno confrontando con un anomalo incremento dei casi e cerca di interpretare il fenomeno non solo dal punto di vista epidemiologico, ma soprattutto in termini di analisi delle possibili cause e strategie preventive da applicare, segnatamente, nella popolazione materno-infantile [3-6].
Since fall 2023, Europe has been experiencing the largest increase in pertussis cases in a decade. News initially came from Denmark in September 2023 and certified the epidemic trend that began during the summer; subsequently, a similar situation developed in the Czech Republic, Belgium, Norway, and Spain [1,2]. In four subsequent commentaries (April-August 2024), the BMJ informs us that health facilities in Great Britain are also facing an abnormal increase in cases and tries to interpret the phenomenon not only from an epidemiological point of view, but especially in terms of analysis of possible causes and preventive strategies to be applied, notably, in the maternal and child population [3-6].
Partiamo dalla Gran Bretagna...
La situazione è apparsa anomala già nel gennaio 2024 quando in Inghilterra sono stati segnalati 553 casi di pertosse – diventati poi 2793 alla fine di marzo – rispetto agli 858 casi registrati in tutto il 2023. Nel 4% dei casi si trattava di lattanti di età inferiore a 3 mesi, ma la maggior parte delle segnalazioni aveva più di 15 anni di età. A maggio l’attenzione comincia a focalizzarsi sui casi più gravi e a fare i conti, purtroppo, con le prime morti. Sono 5 i bambini deceduti nei primi mesi del 2024, tutti di età inferiore a 3 mesi. Nelle settimane successive, l’epidemia va in progressione portando a 10.493 i casi noti alla fine di giugno e a 10 il numero dei decessi [Figura 1] [7]. Tutto il territorio inglese è stato interessato uniformemente nelle diverse fasce d’età: 11,9% dei casi tra 5 e 9 anni, 21,2% tra 10 e 14 anni e 55% oltre i 15 anni. I lattanti di età inferiore a 3 mesi sono stati 328 (3,1%; erano stati 128 nello stesso periodo del 2012).
Come sappiamo, la diffusione della pertosse ha un andamento ciclico ogni 3-5 anni; il più recente incremento dei contagi si era avuto nel 2016 e l’ultimo picco epidemico risaliva al 2012.
Figura 1. Casi confermati di pertosse per mese in Inghilterra negli anni 2018-luglio 2024 (modificato da [7]).
La prima considerazione fatta per interpretare il fenomeno attuale, ha riguardato la scarsissima circolazione della pertosse dal 2020 al 2023, gli anni della pandemia di SARSCoV-2. La trasmissione post-pandemica dei patogeni respiratori nella popolazione infantile ha registrato poi, nel suo complesso, un incremento esponenziale potendo contare su una più vasta platea di soggetti immunologicamente “vergini” per quello che viene oggi comunemente identificato come il “debito immunologico” contratto durante la pandemia.
L’altra importante considerazione non poteva non riguardare e coinvolgere le coperture vaccinali della popolazione infantile e delle donne in gravidanza. In Gran Bretagna la vaccinazione per la pertosse è offerta a tutti i bambini a 8, 12 e 16 settimane di vita con una dose di richiamo in età prescolare. L’adesione alle vaccinazioni ha, peraltro, conosciuto un progressivo declino negli ultimi 10 anni: nel 2023 solo il 92,9% dei bambini di 2 anni aveva completato il ciclo esavalente di vaccinazioni – arrivava al 96,3% nel 2014 – con un’adesione al richiamo prescolastico dell’84,1%. In Inghilterra, il dato del 2023 ai 2 anni di vita era ancora inferiore (91,3%), con particolari criticità in alcune aree urbane (Londra, 87,6%) che figuravano ben al di sotto dell’auspicato 95% [8].
L’altro pilastro della prevenzione della pertosse è la vaccinazione delle donne in gravidanza e qui la situazione è anche peggiore. Dal 2013 al 2024, sono 30 i lattanti morti per pertosse e in 24 di questi la madre non era stata vaccinata durante la gravidanza. Anche in questo settore si è assistito a una progressiva demotivazione delle donne, con adesioni alla vaccinazione scese dal 74,7% nel 2017 al 58% nel 2023 e addirittura solo al 36,8% a Londra. La vaccinazione durante la gravidanza, con l’obiettivo di elevare il titolo anticorpale della donna, ha un importante effetto protettivo sul neonato e sul lattante ed è in grado di prevenire la morte per pertosse nel 97% dei casi. Attesa l’elevata morbilità e mortalità nelle prime settimane/mesi di vita, le insufficienti coperture materne rappresentano uno dei più immediati (e potenzialmente evitabili) punti critici sui quali lavorare perché il ruolo di informazione e sensibilizzazione del personale sanitario nei confronti delle vaccinazioni è, ancora oggi, tenuto in grande considerazione dalla popolazione [9].
...per poi allargare lo sguardo sull’Europa
L’andamento epidemiologico in Europa non differisce di molto da quanto osservato nel Regno Unito. A partire dalla seconda metà del 2023, e fino ad aprile 2024 si sono verificati oltre 55.000 casi di pertosse in 23 Paesi [10]. Nei primi 4 mesi del 2024 il numero dei casi è paragonabile a quello osservato per anno negli anni 2012-2019. Analogo incremento epidemiologico si è verificato un po’ in tutto il mondo, a giudicare dalle notizie provenienti da Australia, Brasile, Bolivia, Canada, Cina, Israele, Montenegro, Serbia e Stati Uniti.
Oltre alla fascia d’età inferiore all’anno di vita, storicamente e logicamente più esposta al rischio di infezione, si è osservato un significativo incremento dell’incidenza soprattutto negli adolescenti dai 10 ai 19 anni [Figura 2]. Nei fatti, l’incidenza dell’infezione nelle diverse fasce di età ha avuto un andamento non omogeneo nei diversi Paesi, verosimilmente per una difformità nelle strategie vaccinali e nella risposta della popolazione che ne hanno determinato i tassi di immunizzazione e di suscettibilità.
Naturalmente la mortalità è un indicatore pesante di cui tenere conto. Nel periodo gennaio 2023-aprile 2024 si sono avuti 19 decessi, 58% dei quali in età inferiore a 1 anno. Il dato della mortalità infantile emergeva già dall’analisi degli eventi negli anni 2011-2022, nei quali il 67% del totale dei morti per pertosse aveva un’età inferiore a 9 mesi [Figura 3].
Il vaccino, soprattutto
Il nucleo del problema e allo stesso tempo la sua soluzione stanno, come sappiamo, nel vaccino.
Gli schemi vaccinali previsti nei diversi Paesi EU/EEA sono raggruppabili in tre principali categorie [11]. Senza entrare in troppi dettagli, possiamo considerare lo schema 2p+1 (in 17 Paesi, tra cui l’Italia: due dosi di vaccinazione primaria e una dose booster a 10-12 mesi di età), lo schema 3p+1 (in 13 Paesi: tre dosi più una dose booster a 12-15 mesi o a 18-24 mesi) e quello 3p+0 (tre dosi e nessun booster fino ai 24 mesi di età).
Anche per la dose di richiamo in adolescenza la variabilità è ampia e va da nessuna dose raccomandata a una dose booster a 10-16 anni di età e a una distanza di 3-11 anni dal ciclo di vaccinazione primaria. Nei Paesi dove è raccomandata la vaccinazione in gravidanza la forbice di somministrazione indicata è tra le 16 e le 36 settimane di amenorrea.
Stando ai più recenti dati disponibili (2022) la copertura vaccinale della prima infanzia in Europa è complessivamente buona sia nei Paesi che adottano lo schema 2p+1 che 3p. La copertura media è tuttavia in evidente diminuzione: 97% nel 2012 e 94% nel 2022 [12]. Pochi dati sono invece disponibili per le coperture vaccinali nei bambini più grandi e negli adolescenti. Altrettanto carenti sono le notizie a nostra disposizione sulla immunizzazione in gravidanza: nelle nove nazioni che hanno messo a disposizione i loro dati, l’adesione mostra una forbice che va da 1,6% a 88,5% nel 2023.
Commento
Il recente picco epidemiologico di pertosse in Europa è verosimilmente il risultato di alcuni elementi coincidenti. Anzitutto, la pandemia di Covid-19 che ha reso, negli anni immediatamente successivi, un’ampia fascia di popolazione suscettibile all’infezione. Il basso livello di endemia che contribuisce al mantenimento di un’immunità di popolazione in situazioni di normalità è venuto a mancare negli anni 2020-2022, creando le premesse per una più ampia circolazione epidemica una volta venuti meno i provvedimenti preventivi adottati su larga scala.
Anche le coperture vaccinali, pur complessivamente soddisfacenti in molti Paesi, hanno mostrato un lento ma percepibile declino soprattutto nella somministrazione delle terze dosi e, probabilmente, nei richiami successivi. L’immunità nei confronti della pertosse – ottenuta con la vaccinazione, ma anche con il contatto diretto con la bordetella – tende a ridursi nel tempo [13]. Il che significa che la malattia può comparire anche in chi era stato vaccinato diversi anni addietro.
Ancora molto c’è da fare in termini di sensibilizzazione e formazione per ottenere una maggiore adesione alla vaccinazione antipertosse in gravidanza. Questa è oggi la modalità più sicura per proteggere il neonato e il lattante dall’infezione nei primi mesi di vita fino al raggiungimento di una propria efficace immunità vaccinale [14-17]. La pertosse è malattia particolarmente infettiva con un R0 di 12-17 e la capacità di infettare fino al 70-100% dei contatti domestici. Il rischio di contagio per i lattanti entro i 6 mesi di vita, per nulla o solo parzialmente immunizzati, è molto elevato; circa l’80% dei ricoveri è rappresentato da bambini di questa fascia d’età, così come oltre il 95% della mortalità registrata in ambito europeo.
Anche la popolazione dei bambini più grandi e degli adolescenti ha partecipato in maniera significativa al quadro epidemico: circa il 43% dei casi segnalati ha un’età tra i 6 mesi e i 15 anni, anche se con esiti certamente meno preoccupanti rispetto ai più piccoli. Al di sopra di questa età cresce l’importanza di una progressiva riduzione dell’immunità naturale o vaccinale e della scarsa adesione alle campagne di richiamo vaccinale.
Il report dell’ECDC si chiude con una forte raccomandazione al completamento del ciclo vaccinale nell’infanzia, a una maggiore adesione alle successive dosi booster e soprattutto a incrementare la pratica dell’immunizzazione in gravidanza che è oggi raccomandata dai sistemi sanitari di 24 Paesi europei ma che, nei fatti, è ancora troppo spesso insufficientemente realizzata.
Bibliografia
1. Statem Serums Institute. Monitoring of influenza, covid-19, RS virus and other respiratory diseases. 2024. https://www. ssi.dk/sygdomme-beredskab-og-forskning/overvaagning-afluftvejssygdomme.
2. European Centre for Disease Prevention and Control. Communicable disease threats report: week 51, 17-23 December 2023. 2023. https:// www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/communicable-diseasethreats-report-17-23-december-2023-week-51.
3. Smout E, Mellon D, Rae M. Whooping cough rises sharply in UK and Europe. BMJ. 2024 Apr 2:385:q736.
Figura 3. Numero e frequenza cumulativa delle morti per pertosse in bambini di età <1 anno per età in mesi in Europa (modificato da [10]).
Figura 2. Incidenza di casi di pertosse /100.000 per gruppo di età e anno in Europa (modificato da [10]).
4. Wise J. Whooping cough: What’s behind the rise in cases and deaths in England? BMJ. 2024 May 17:385:q1118.
5. Kmietowicz Z. Whooping cough: Nine infants have died in England in latest outbreak. BMJ. 2024 Jul 11:386:q1545.
6. Wise J. Whooping cough: Health officials urge pregnant women to get vaccinated as another infant dies. BMJ. 2024 Aug 9:386:q1777.
7. UK Health Security Agency. Confirmed cases of pertussis in England by month Updated 12 September 2024. https://www. gov.uk/government/publications/pertussis-epidemiology-inengland-2024/confirmed-cases-of-pertussis-in-england-by-month.
9. UK Health Security Agency. Childhood vaccines: parental attitudes survey 2023 findings. 2024. https://www.gov.uk/government/ publications/childhood-vaccines-parental-attitudes-survey-2023/ childhood-vaccines-parental-attitudes-survey-2023-findings.
10. European Centre for Disease Prevention and Control. Increase of pertussis cases in the EU/EEA, 8 May 2024. Stockholm: ECDC; 2024.
11. European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). Vaccine schedules in all countries in the EU/EEA. Stockholm: ECDC; 2024. https://vaccine-schedule.ecdc.europa.eu/.
12. World Health Organization (WHO). Immunization dashboardGlobal. Geneva: WHO; 2024. https://immunizationdata.who.int/.
13. Bouchez V, Guiso N. Bordetella pertussis, B. parapertussis, vaccines and cycles of whooping cough. Pathog Dis. 2015 Oct;73(7):ftv055.
14. Amirthalingam G, Andrews N, Campbell H et al. Effectiveness of maternal pertussis vaccination in England: an observational study. Lancet. 2014 Oct 25;384(9953):1521-8.
15. Merdrignac L, Acosta L, Habington A et al. Effectiveness of pertussis vaccination in pregnancy to prevent hospitalisation in infants aged< 2 months and effectiveness of both primary vaccination and mother’s vaccination in pregnancy in infants aged 2-11 months. Vaccine. 2022 Oct 19;40(44):6374-82.
16. Skoff TH, Deng L, Bozio CH, Hariri S. US infant pertussis incidence trends before and after implementation of the maternal tetanus, diphtheria, and pertussis vaccine. JAMA Pediatr. 2023 Apr 1;177(4):395-400.
17. Briga M, Goult E, Brett TS et al. Maternal pertussis immunization and the blunting of routine vaccine effectiveness: a meta-analysis and modeling study. Nat Commun. 2024 Jan 31;15(1):921.
enrico.valletta@auslromagna.it
INDICE PAGINE ELETTRONICHE (NUMERO 4, 2024)
Newsletter pediatrica ACP
n.1 Omalizumab nel trattamento delle allergie alimentari multiple: un RCT dai risultati promettenti ma per quali (e quanti) pazienti?
n.2 Cochrane Database of Systematic Review: revisioni nuove o aggiornate (Maggio-Giugno 2024)
Documenti
d.1 Interpretazione dei segni clinici in caso di sospetto abuso sessuale su minori: un aggiornamento del 2023
Commento a cura di Luciana Nicoli
d.2 Investire nell’allattamento per compensare le emissioni di carbonio
Commento a cura di Adriano Cattaneo
d.2 Curare l’obesità con la Nuova Narrazione. Ora “insieme” si può! Un’analisi basata sullo studio “Perceptions, attitudes, and behaviors among adolescents living with obesity, caregivers, and healthcare professionals in Italy: the ACTION Teens study”
Commento a cura di R. Tanas, F. Baggiani, G. Caggese et al.
Ambiente & Salute
a&s.1 Ambiente e salute news (n. 27, mag. - giu. 2024)
L’Articolo del Mese
am.1 I bambini (e le famiglie) “complessi” e “speciali”: conosciamoli di più per assisterli meglio
Commento a cura di Martina Fornaro e Enrico Valletta
Nutrizione
nu.1 Nutrizione news (n. 8, giu. - lug. 2024)
Dal diritto alla cittadinanza alla sfida dell’integrazione: riflessioni su un’Italia più inclusiva
Mario De Curtis
Già professore ordinario di Pediatria, Università di Roma La Sapienza
Negli ultimi anni, il mondo dello sport italiano ha visto emergere talenti di origine straniera, come Paola Egonu, che hanno contribuito significativamente ai successi dell’Italia a livello internazionale. Questi atleti, pur essendo nati o cresciuti nel nostro Paese, hanno dovuto attendere anni prima di poter rappresentare ufficialmente l’Italia nelle competizioni internazionali. Le loro storie di successo evidenziano un problema più ampio: la necessità di riformare il sistema di cittadinanza, una questione che non riguarda solo lo sport, ma soprattutto il futuro di un’intera generazione di giovani. In Italia, l’acquisizione della cittadinanza è attualmente regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 [1], ai sensi della quale acquisiscono automaticamente la cittadinanza italiana alla nascita coloro i cui genitori (anche soltanto uno dei due) siano cittadini italiani (ius sanguinis). I figli di entrambi i genitori stranieri nati in Italia, secondo le norme vigenti, possono divenire cittadini italiani per trasmissione se uno dei genitori con cui vivono ha ottenuto la cittadinanza. Se il minore è nato in Italia da genitori che non hanno ancora ottenuto la cittadinanza, o se è nato all’estero, può presentare la domanda al Ministero dell’Interno per ottenere la cittadinanza una volta raggiunta la maggiore età, purché sia residente ininterrottamente in Italia per dieci anni. L’accoglimento della domanda per quella che viene definita “cittadinanza per elezione” richiede in media ulteriori 2-3 anni. Esistono casi in cui, anche una volta raggiunta la maggiore età, se non sono trascorsi dieci anni di residenza in Italia, il minore non può chiedere la cittadinanza. Inoltre, se i suoi genitori non possono garantire un reddito sufficiente o se non frequenta l’università, il ragazzo rischia di diventare “irregolare”. È importante sottolineare che oggi, nel nostro Paese, anche i ragazzi che non hanno ancora acquisito la cittadinanza italiana godono di diritti fondamentali come il diritto alla salute e all’istruzione, perché la nostra Costituzione riconosce come titolari di diritti, in particolare dei diritti sociali, le persone e non i cittadini. I ragazzi senza cittadinanza non hanno diritto al voto, a partecipare a concorsi pubblici, ad andare all’estero per motivi di studio, di lavoro, né a partecipare a competizioni sportive internazionali. Tutte queste situazioni rappresentano una chiara violazione dei diritti di uguaglianza e di giustizia. Molti di questi bambini e ragazzi seguono gli stessi studi dei loro compagni italiani, parlano la stessa lingua, hanno le stesse passioni e pensano di avere il loro futuro in Italia, ma vivono in una condizione di precarietà esistenziale perché non si sentono cittadini italiani. Inoltre il processo d’integrazione degli stranieri si scontra spesso con atteggiamenti di chiusura, sentimenti di paura, esclusione, inimicizia e, peggio ancora, con politiche dell’im-
migrazione che ignorano i principi universali contemplati anche dalla nostra Costituzione. La soluzione di assegnare automaticamente la cittadinanza alla nascita come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul territorio di un dato Paese (ius soli) presenta varie controindicazioni, che hanno portato gran parte delle nazioni, anche le più disponibili, a non adottarlo.
Sarebbe invece opportuno favorire l’acquisizione della cittadinanza anche prima dei 18 anni per i minori figli di genitori stranieri, nati in Italia o all’estero, che abbiano frequentato nel nostro Paese un corso di istruzione primaria o secondaria presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione, o un corso di formazione professionale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale, e che dimostrino la chiara volontà di integrarsi nella società italiana. Questa situazione riguarda circa un milione di minori nati in Italia da genitori stranieri e rappresenta una questione cruciale. Questi giovani vivono in un limbo giuridico che impedisce loro di partecipare pienamente alla vita civile del Paese. Concedere la cittadinanza anticipatamente a questi giovani potrebbe rappresentare un importante passo avanti verso una maggiore inclusione sociale e culturale, valorizzando le loro potenzialità come risorsa per il futuro del Paese.
Tuttavia, per trasformare questa sfida in un’opportunità, è necessaria oltre alla concessione della cittadinanza, un’integrazione che oggi purtroppo non è adeguatamente realizzata. Rispetto ai loro coetanei italiani, questi bambini e ragazzi presentano un maggiore rischio di povertà. Mentre l’incidenza di povertà assoluta nelle famiglie con minori composte solo da italiani è del 6,3%, tale cifra sale al 35,1% per quelle con minori con entrambi i genitori stranieri e al 30,4% per quelle con minori che includono almeno un genitore straniero (ISTAT) [2]. Attualmente i bambini e ragazzi stranieri, presentando svantaggio sociale che può influenzare negativamente tutta l’esistenza, soffrono di uno svantaggio in salute. Hanno più elevati tassi di mortalità infantile e sono più suscettibili a malattie e patologie croniche [3]. I figli di genitori stranieri, che rappresentano circa il 15% di tutti i nati e danno un importante apporto alla natalità del nostro Paese, contribuiscono però al 21% della mortalità infantile complessiva. Rispetto ai bambini nati da genitori italiani, quelli nati da genitori stranieri hanno un tasso di mortalità infantile circa il 60% più alto [4]. Questi bambini e ragazzi affrontano anche una maggiore povertà educativa, motivo per cui è fondamentale prestare maggiore attenzione alla scuola. Quest’ultima svolge un ruolo cruciale nell’integrazione sociale, poiché non è solo un luogo di apprendimento, ma anche uno spazio dove avviene l’interazione con i coetanei e gli adulti, rappresentando il secondo agente di socializzazione dopo la famiglia. Solo l’83,7% dei bambini stranieri residenti in Italia frequenta la scuola dell’infanzia, rispetto al 96,3% dei bambini italiani [5]. Poiché la scuola dell’infanzia è un mezzo fondamentale di inclusione e integrazione per tutti, non solo per i bambini stranieri, la bassa partecipazione dei bambini con cittadinanza non italiana rappresenta un’importante opportunità mancata. Questo è particolarmente importante considerando che la scuola dell’infanzia offre l’opportunità di apprendere la lingua italiana e sviluppare competenze relazionali, facilitando così il successivo ingresso nella scuola primaria. L’inserimento precoce dei bambini nella scuola dell’infanzia potrebbe contribuire a ridurre, negli anni successivi, il ritardo scolastico, che si verifica più frequentemente tra gli studenti senza cittadinanza italiana rispetto a quelli italiani (nell’anno scolastico 2020/2021, rispettivamente il 26,9% contro il 7,5%) [6].
Anticipare la concessione della cittadinanza potrebbe contribuire a costruire un’Italia più inclusiva e competitiva, ma
deve essere accompagnata da interventi di integrazione, affinché tutti coloro che nascono o crescono nel nostro Paese si sentano parte attiva di un bene comune.
Bibliografia
1. Legge 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. https://www1.interno.gov.it/mininterno/site/it/sezioni/servizi/ old_servizi/legislazione/cittadinanza/legislazione_30.html.
2. Le statistiche dell’ISTAT sulla povertà. Snno 2023. Stabile la povertà assoluta. 17 ottobre 2024. https://www.istat.it/wp-content/ uploads/2024/10/REPORT_POVERTA_2023.pdf.
3. Child health inequalities driven by child poverty in the UKposition statement. Royal College of Paediatrics and Child Health. 21 September 2022. https://www.rcpch.ac.uk/resources/childhealth-inequalities-position-statement.
4. Simeoni S, Frova L, De Curtis M. Infant Mortality in Italy: Large geographic and ethnic inequalities. Ital J Pediatr. 2024 Jan 17;50(1):5
5. Genzone A. Studenti stranieri in Italia: quanti sono, da dove vengono, dove studiano. 16 settembre 2022 dati migrazioni educazione. https://www.lenius.it/studenti-stranieri-in-italia/2/.
6. Gli alunni con cittadinanza non italiana a.s. 2020/2021 luglio 2022. Ufficio di Statistica. Luglio 2022. https://www.miur.gov.it/ documents/20182/0/NOTIZIARIO_Stranieri_2021+%281%29. pdf/150d451a-45d2-e26f-9512-338a98c7bb1e?t=1659103036663. mario.decurtis@fondazione.uniroma1.it
INDICE PAGINE ELETTRONICHE (NUMERO 5, 2024)
Newsletter pediatrica ACP
n.1 A ogni malattia il suo monoclonale. Alirocumab e ipercolesterolemia familiare: i risultati di un trial clinico
n.2 Cochrane Database of Systematic Review: revisioni nuove o aggiornate (Luglio-Agosto 2024)
Documenti
d.1 Neurosviluppo, salute mentale e benessere psicologico di bambini e adolescenti in Lombardia 2015-2022
Commento a cura di Patrizia Elli e Gherardo Rapisardi
d.2 Il rapporto UNICEF 2024 sulle condizioni dell’infanzia e l’adolescenza in Europa. Pensieri critici intorno a un’iniziativa utile e necessaria
Commento a cura di Leonardo Speri
Ambiente & Salute
a&s.1 Ambiente e salute news (n. 28, lug. - ago. 2024)
L’Articolo del Mese
am.1 Niservimab dalla fase preclinica alla vita reale fra efficacia, costi e disuguaglianze
Commento a cura di Giuseppe Pagano
Nutrizione
nu.1 Nutrizione news (n. 9, ago. - set. 2024)
La differenza c’è?
Si vede?
Elena Spada1,2 , Luigi Gagliardi1,3 , Roberto Buzzetti1,4
1 Laboratorio della Conoscenza Carlo Corchia, Firenze
2 Biostatistica libero professionista, Milano
3 Ospedale Versilia, AUSL Toscana Nord-Ovest
4 Epidemiologo freelance, Bergamo
La storia qui raccontata deriva da uno scenario immaginario, inventato per descrivere brevemente il concetto di significatività statistica e i suoi limiti. In questo contesto si simula una situazione in cui l’efficacia dell’intervento proposto è sconosciuta.
Personaggi:
• il direttore generale: ha il compito di decidere;
• la dottoressa H-0 (H-0): pessimista, secondo lei non c’è nulla che funziona;
• la dottoressa H-1 (H-1): ottimista, vede efficacia in tutti gli interventi;
• l’esperto di statistica: risolve i problemi, o almeno ci prova.
Il direttore generale del distretto di Zamunda ha a cuore il problema di una didattica efficace e inclusiva. Per questo chiede alla sua équipe di proporre un intervento efficace in tal senso con lo scopo di migliorare i risultati scolastici degli studenti. H-1 propone un piano educativo individualizzato (intervento) da svolgere nelle scuole primarie di primo grado. H-1 propone di sperimentare l’intervento in una scuola primaria scelta casualmente tra tutte le scuole del Distretto. I bambini di questa scuola vengono suddivisi in due gruppi:
1. gruppo di intervento (GI), in cui si introduce l’intervento; 2. gruppo di controllo (GC), in cui si procede con le usuali procedure scolastiche.
L’assegnazione ai gruppi viene fatta facendo sì che le classi dello stesso anno siano distribuite in modo casuale a metà tra GI e GC (randomizzazione stratificata o a cluster).
Un totale di 308 bambini appartengono al GI e un totale di 299 bambini appartengono a GC. Alla fine dell’anno scolastico viene somministrato un test e 4 su 308 bambini del gruppo GI, e 7 su 299 bambini del gruppo GC hanno scarso come risultato [Tabella 1].
Tabella 1. Prima sperimentazione. Distribuzione dei bambini in base ai risultati al test finale
Risultato al test finale Rischio di risultato scarso soddisfacente scarso
Per poter rispondere “senza alcun dubbio”, l’unica possibilità sarebbe introdurre l’intervento in tutte le scuole del distretto e valutare, a posteriori, il suo reale effetto. Ovviamente questo non è possibile in una pianificazione sensata dei fondi. Quindi il direttore generale decide per un approccio conservativo: parte dall’ipotesi che l’intervento non sia efficace (ipotesi H-0), e lascia a H-1 l’onere della prova di efficacia dimostrando “oltre ogni ragionevole dubbio” che H-0 ha torto. H-1 interpella (tardivamente…) l’esperto di statistica che, utilizzando un test statistico appropriato, calcola la tanto amata, ma spesso fraintesa, “p” (“p-value”). La p quantifica la probabilità di osservare un RR≤0,56 (risultato osservato o più estremo) se l’intervento non è efficace (non c’è differenza tra i gruppi, l’ipotesi H-0 è vera). H-1 potrà sostenere “oltre ogni ragionevole dubbio” che l’ipotesi H-0 non è valida se p risulta “sufficientemente” piccola (rifiuta H-0). Al contrario, non potrà confutare l’ipotesi H-0 (non rifiuta l’ipotesi nulla) per mancanza di prove. Prima di calcolare p bisogna stabilire la soglia alfa (α) per poter definire p “sufficientemente piccola”, cioè per quantificare il valore del “ragionevole dubbio” di cui si parlava. Se p<α la differenza osservata è considerata “statisticamente significativa”, permettendo di rifiutare l’ipotesi H-0. α rappresenta il rischio massimo accettabile di dichiarare l’intervento efficace (rifiutando l’Ipotesi H-0) anche se l’intervento, in verità, non è efficace, noto come errore di primo tipo (la differenza non c’è, ma il nostro studio la vede!).
Il direttore stabilisce α=0,05 (5% di rischio di errore di primo tipo) come di consueto. Il test- χ2 dà come risultato p=0,34, superiore alla soglia 0,05, e si conclude che non è possibile dichiarare l’intervento efficace per mancanza di prove (non si rifiuta l’ipotesi H-0).
H-1 però obietta che p è maggiore di 0,05 perché il numero di soggetti studiati potrebbe essere troppo piccolo, affermando che l’intervento è efficace, ma la potenza (β) dello studio è insufficiente. Si definisce potenza (β) la probabilità di ottenete p<α se, in verità, l’intervento è efficace ed è, quindi, vera H-1. Equivale alla probabilità di dichiarare significativo un test e di rifiutare H-0 se è vera H-1 (la differenza c’è e si vede!).
L’errore di secondo tipo (pari a 1-β) è il rischio di non rifiutare H-0 anche se in realtà è falsa (la differenza c’è, ma il nostro studio non la vede!).
Dunque H-1 chiede, e ottiene la possibilità di ripetere lo studio dopo un adeguato calcolo della numerosità necessaria. Al test di fine anno scolastico 19 su 1569 bambini in GI, e 45 su 1589 bambini in GS hanno risultati scarsi [Tabella 2]: RR=0,43 (riduzione del 57%).
Tabella 2. Seconda sperimentazione. Distribuzione dei bambini in base ai risultati al test finale
Risultato al test finale Rischio di risultato scarso soddisfacente scarso
GI (intervento) 1550 19 19 / 1569 = 1,21%
GC (controllo) 1544 45 45 / 1589 = 2,83%
GI (intervento)
GC (controllo)
304 4 4 / 308 = 1,30%
292 7 7 / 299 = 2,34%
H-1 calcola il rischio relativo (RR) di ottenere scarso vs soddisfacente: 1,30/2,34 = 0,56 (riduzione del 44%). Dato che RR è inferiore a 1, H-1 conclude che l’intervento è uno strumento efficace nel migliorare i risultati scolastici. Interviene H-0 sostenendo che in realtà l’intervento non ha alcun effetto e la differenza osservata è solo frutto del caso. A suo parere, se l’intervento fosse inserito in tutte le scuole del distretto non si osserverebbe alcuna efficacia. Chi tra H-1 e H-0 ha ragione?
L’esperto di statistica calcola p=0,0012 (<0,05: se, in verità, l’intervento non è efficace e l’ipotesi H-0 è vera, la probabilità di osservare un RR ≤ 0,43 è 0,0012).
Il direttore, sulla base della significatività statistica, rigetta l’istanza di H-0 (rifiuta l’ipotesi H-0) e conclude che l’intervento è efficace e verrà pertanto introdotto nella didattica di tutte le scuole del distretto.
Riassumiamo
Passi da fare PRIMA di iniziare a raccogliere i dati:
• Stabilire H-0 o ipotesi nulla che è sempre la più conservativa; nel nostro esempio, “l’intervento non è efficace”.
• Stabilire H-1 o ipotesi alternativa: “l’intervento è efficace”. Durante questa fase occorre quantificare l’entità dell’effetto che aiuta a capire quanto deve essere grande il campione (questione non discussa in questo lavoro).
• Stabilire la potenza desiderata (convenzionalmente 1-β=0,80) e la soglia di significatività, che coincide con il rischio di errore di primo tipo (convenzionalmente α=0,05) per poter calcolare una numerosità campionaria adeguata (questione non discussa in questo lavoro) e poter prendere in seguito una decisione.
Durante l’analisi dei dati:
• usare un test statistico adeguato per poter calcolare p, ossia la probabilità che se è vera l’ipotesi nulla H-0, si osservi un risultato come quello osservato o più estremo.
Quindi:
• se il valore calcolato risulta superiore o uguale alla soglia fissata (p≥α) non si rifiuta l’ipotesi nulla (nel nostro esempio l’intervento non è definito efficace per mancanza di prove);
• se il valore risulta inferiore alla soglia fissata (p<α), si rifiuta l’ipotesi nulla (nel nostro caso l’intervento è definito efficace).
Confronto tra studio e verità. Può succedere che [Tabella 3]:
1. Il trattamento non è efficace e H-0 è vera. In questo caso se: – p≥α: H-0 non viene rifiutata, la decisione è aderente con la verità. La probabilità che il campione selezionato per lo studio abbia questo risultato è 1-α; – p<α: H-0 viene rifiutata, la decisione non è aderente alla verità e si commette errore di I tipo. La probabilità che il campione selezionato per lo studio abbia questo risultato è α.
2. Il trattamento è efficace e H-0 è falsa. In questo caso se:
– p≥α: H-0 non viene rifiutata, la decisione è non aderente con la verità e si commette errore di II tipo. La probabilità che il campione selezionato per lo studio abbia questo risultato è β;
– p<α: H-0 viene rifiutata, la decisione è aderente alla verità. La probabilità che il campione selezionato per lo studio abbia questo risultato è 1-β (potenza).
Tabella 3. Confronto tra realtà e possibili risultati dello studio verità
H-0 vera (da non rifiutare)
risultati dello studio
H-0 falsa (da rifiutare)
p≥α corretto errore di secondo tipo (1-β)
p<α errore di primo tipo (α) corretto
Commento
Cosa succede nella REALTÀ?
Non saremo mai in grado di sapere quale sia l’ipotesi corretta tra “l’intervento è efficace” e “l’intervento non è efficace”: la verità resta nascosta. Quello che vediamo (i fenomeni) ci permette di ipotizzare quale sia la verità senza conoscerla, e di prendere decisioni il più possibile fondate. Ciò che conta in medicina non è conoscere la verità (cosa impossibile), bensì prendere delle decisioni razionali, accettando il rischio di sbagliare. L’errore può avere due direzioni:
1. concludere l’inefficacia del trattamento per mancanza di prove anche se nella realtà il trattamento è efficace (errore di II tipo);
2. concludere che il trattamento è efficace anche se nella realtà non lo è (errore di I tipo).
Quando cadiamo in questi errori, trarremo conclusioni “sbagliate”, e quanto siamo disposti a rischiare di sbagliare (l’entità del “ragionevole dubbio”) lo decidiamo a priori. I valori
consueti sono 5% per l’errore di I tipo 20% per l’errore di II tipo. Da notare l’approccio conservativo: si preferisce il rischio di dichiarare come inefficace un trattamento in verità efficace, che quello di dichiarare come efficace un trattamento in verità inefficace.
Quando il risultato dello studio è “significativo”, sappiamo quanto è il margine di errore nell’affermare che l’ipotesi nulla è falsa. Al contrario, non significa che l’ipotesi nulla è vera, ma solo che non ci sono prove sufficienti per affermare che l’ipotesi nulla è falsa. Questa sottile differenza è di estrema importanza per poter prendere decisioni.
Note
1. L’esempio utilizzato in questo lavoro è a solo scopo dimostrativo. I dati sono stati creati ad hoc attraverso una simulazione, che permette di avere una popolazione di cui si conoscono i valori “veri” (impossibile nella realtà). La popolazione simulata è costituita da 2.300.000 studenti delle scuole primarie di primo grado (stesso ordine di grandezza delle scuole italiane). La “vera” frequenza di base di bambini con scarsi risultati di apprendimento è stata fissata a 3,19%. che scende a 1,48% dopo intervento (RR=0,46). I due campioni usati per questo esempio sono stati estratti casualmente dalla popolazione simulata. Per avere una potenza β=0,80, una soglia di significatività α=0,05, considerando i valori “veri” dei rischi, e usando il test-χ2 serve un campione di almeno 1222 bambini per ogni gruppo.
2. Gli intervalli di confidenza sono stati volutamente taciuti. Rappresentano un altro metodo per saggiare la significatività e, forse, sarà argomento specifico di un altro articolo.
3. Attenzione ai test multipli. Ogni volta che viene eseguito un test si ha un rischio di errore di primo tipo (i.e. di rifiutare l’ipotesi nulla anche se è vera) pari alla soglia fissata. Aumentando il numero di test indipendenti eseguiti in un singolo studio, si aumenta il rischio complessivo di errore di primo tipo (cioè la probabilità di osservare almeno un test significativo anche se è vera l’ipotesi nulla). Per esempio fissando un rischio di errore di primo tipo α=0,05 per ciascun test, se si eseguono due test il rischio che almeno una p sia inferiore a 0,05 è quasi il 10% (9,8%), il 23% se i confronti sono 5 e il 54% per 15 confronti. Per questo, è controindicato eseguire il test quando la risposta è già nota o non è scopo specifico dello studio valutare un certo confronto.
4. Questo esempio ricostruisce il percorso e gli assunti per gli studi di superiorità (cioè progettati per tentare di dimostrare la superiorità di un intervento rispetto a uno di controllo). Ultimamente molti studi sono pianificati come studi di uguaglianza o di non-inferiorità; in questi casi il percorso segue modalità diverse.
5. L’approccio che abbiamo descritto in questo lavoro è un approccio cosiddetto “classico” o fisheriano. In questo metodo si valuta la probabilità di osservare un risultato se l’ipotesi nulla è vera; se risulta molto bassa, si conclude che l’ipotesi nulla non può essere corretta, favorendo l’ipotesi alternativa. Un approccio diverso è offerto dalla statistica bayesiana , che considera anche la conoscenza a priori. Questo metodo sposta l’inferenza dalla “probabilità dei risultati data l’ipotesi” alla “probabilità dell’ipotesi dati i risultati”. Anche questo aspetto meriterà un approfondimento strutturato.
Bibliografia
y Ministero dell’Istruzione. I principali dati relativi agli alunni con DSA. Anno 2022.
y Introduction to p values. In: Harvey Motulsk. Intuitive Biostatistics. Part III. Oxford University Press, 1995.
y Biggeri A. P-value: «Le roi est mort, vive le roi!». Epidemiol Prev. 2019 Mar-Jun;43(2-3):120-1.
elenaspada.bios@gmail.com
I disturbi specifici di apprendimento (DSA): analisi e criticità da una indagine su una popolazione clinica di 444 minori
2 Cooperativa sociale Progetto Crescere Reggio Emilia
Lo studio riguarda l’analisi di 444 minori afferiti al centro privato Studio A.MI.CO di Cesena nel periodo 2016-2024 con diagnosi finale di DSA. La scolarità dei genitori del campione è sovrapponibile a quella della popolazione generale italiana. La comorbidità della discalculia col disturbo di lettura e/o di scrittura rappresenta il 38% dei casi. Il disturbo di letto scrittura prevale nel sesso maschile, mentre quello di calcolo nel sesso femminile. Il disturbo di letto scrittura è diagnosticato in più della metà dei casi prima della quinta primaria, mentre la diagnosi di discalculia isolata o in comorbidità è più tardiva. Tra i fattori di rischio la presenza di un ritardo di linguaggio in età prescolare è rilevata nel 33% dei casi, ma di questi solo un terzo ha ricevuto un trattamento logopedico. La discussione dei dati suggerisce alcune ipotesi operative tese a migliorare le prestazioni del servizio sanitario rispetto al disturbo di linguaggio e al disturbo di calcolo.
The study concerns the analysis of 444 minors referred to the private center Studio A.MI.CO in Cesena, Italy, during the period 2016-2024 with a final diagnosis of SLD (Specific learning disorders). The schooling of the parents in the sample overlaps with that of the general Italian population. Comorbidity as Dyslexia and Dysorthography and of a developmental arithmetic disorder (Dyscalculia) accounts for 38% percent of cases. Reading-writing disorder prevails in the male sex, while calculus disorder in the female sex. Reading-writing disorder is diagnosed in more than half of cases before fifth grade, while the diagnosis of isolated dyscalculia or in comorbidity occurs later. Among the risk factors, the presence of preschool language delay is detected in 33 percent of cases, but of these only onethird received speech therapy treatment. The discussion of the data suggests some operational hypotheses aimed at improving health service performance with respect to language disorder and developmental arithmetic disorder.
Oggetto e obiettivi dello studio
Lo studio riguarda l’indagine retrospettiva su 444 minori afferiti nel periodo 2016-2024 allo studio A.MI.CO (dedicato
alla memoria di Adriano Milani Comparetti) di Cesena per difficoltà di apprendimento scolari e sui quali è stata effettuata una diagnosi di DSA.
Obiettivo diretto dello studio è di determinare attraverso l’analisi dei casi: la frequenza relativa delle diverse tipologie di DSA; la distribuzione dei disturbi tra sesso maschile e femminile; la classe scolare della prima diagnosi per i diversi disturbi; la presenza di fattori di rischio familiari, sensoriali, linguistici, cognitivi, comportamentali nei diversi disturbi.
Obiettivo indiretto dello studio è l’individuazione di criticità emergenti e risposte possibili ai problemi diagnostici e clinici mostrati dall’analisi dei dati.
Materiali e metodi
Per lo studio sono stati presi in considerazione 870 soggetti frequentanti le classi dalla terza primaria a fine scuola secondaria di II grado, giunti alla nostra consultazione per difficoltà scolari nel periodo 2016-2024. A tutti i soggetti è stato applicato il seguente protocollo clinico.
Per l’anamnesi familiare: inviante, titolo di studio dei genitori, familiari di I grado con DSA, genitori separati, genitore o genitori biologici di nazionalità straniera.
Per l’anamnesi personale: peso alla nascita, sviluppo motorio (età della deambulazione autonoma), sviluppo del linguaggio (linguaggio a 3 anni all’ingresso alla scuola materna comprensibile agli estranei), problemi uditivi di tipo trasmissivo nella fascia 0-6 (otiti perforate ripetute e/o otite sierosa cronica e/o paracentesi trans timpanica e/o esame audiometrico alterato), problemi visivi nella fascia 0-6 (strabismo e/o ambliopia e/o bendaggio temporaneo), valutazioni precedenti con diagnosi di disturbo di linguaggio e presa in carico logopedica in età prescolare, valutazioni precedenti con diagnosi di DSA.
Per l’esame neurologico: tono passivo arti superiori e inferiori, riflessi osteotendinei profondi rotuleo, achilleo, bicipitale. Per la valutazione testologica: Quoziente Intellettivo con l’utilizzo della scala completa della WISC-IV [1]; prove di lettoscrittura della batteria per la valutazione della dislessia e della disortografia evolutiva-2/DDE-2 [2]; prove MT di lettura dalla prima elementare alla terza media [3]; lettura di brano delle prove MT-3-Clinica [4], prove MT Avanzate-3-Clinica [5], prove di lettura e scrittura MT-16-19 [6]; dettato di brano della batteria per la valutazione della scrittura e della competenza ortografica-2/BVSCO [7]; Batteria per la discalculia evolutiva BDE-2 [8]; questionario sul comportamento del bambino CBCL 6-18 anni compilato dai genitori [9].
Degli 870 soggetti ne sono stati analizzati 444 sui quali è stata posta una diagnosi di DSA secondo i criteri dell’ICD10 [10] e secondo le linee guida della Consensus Conference sui disturbi evolutivi specifici di apprendimento (2006-2007) [11], delle Raccomandazioni cliniche sui DSA PARCC (2011) [12], della Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (2011) [13]: assenza di una malattia neurologica, assenza di una ipovisione bilaterale non correggibile né corretta, assenza di una ipoacusia neurosensoriale, assenza di disturbi psichiatrici, assenza di svantaggio socio-culturale che interferisca con un’adeguata istruzione scolastica, il QIT (multicomponenziale) oppure il migliore tra i quozienti monocomponenziali (quoziente verbale o non verbale) non inferiore a 85, presenza di un punteggio nella velocità e/o correttezza della lettura <–2DS in almeno una delle prove di lettura per la dislessia, correttezza del dettato <–2DS in almeno una prova di dettato per la disortografia, quoziente di calcolo e/o numero <–2 DS nelle prove delle abilità matematiche per la discalculia.
Risultati
Il titolo di studio dei genitori dei minori con DSA è così ripartito: 186 (21%) licenza media inferiore, 506 (57%) diploma di scuola superiore, 196 (22%) laurea.
Tabella 1.
Dislessia
Disortografia
Dislessia+disortografia
Dislessia+disortografia+discalculia
Disortografia+discalculia
Discalculia
Totale
N. totale (% sul totale) Maschi (% per tipol.) Femmine (% per tipol.)
28 (6%)
93 (21%)
89 (20%)
108 (24%)
65 (14%)
61 (14%)
444
I dati ISTAT 2021 dell’Emilia-Romagna riportano sulla popolazione >9 anni il 18% con licenza elementare, il 27% con licenza media, il 38% con diploma, il 16% con laurea. Tale popolazione di riferimento non ci pare corretta, in quanto comprende i soggetti dai 9 ai 20 anni e quelli >65 anni, che non appartengono alla popolazione genitoriale con figli dell’età di 8-18 anni. Per questo abbiamo preso come riferimento i dati ISTAT 2022 dell’Italia sulla popolazione 25-64 anni, che riportano il 17% dei soggetti con licenza elementare-media, il 63% con diploma, il 20% con laurea. Tali percentuali sono molto vicine a quelle del nostro campione genitoriale, per cui possiamo concludere che, nonostante il nostro servizio sia a pagamento, questo non incide in modo significativo sulla selezione socioculturale delle famiglie.
Nella Tabella 1 sono riportate le diverse tipologie di DSA diagnosticate nei 444 soggetti e la loro distribuzione per sesso. Rispetto alle tipologie la tabella mostra che i disturbi isolati (dislessia/disortografia/discalculia) sono una minoranza con una prevalenza della disortografia (21%), rispetto alla discalculia (14%) e alla dislessia (6%), che appare la più rara. Mostra che i disturbi misti sono i più frequenti con il disturbo misto completo (dislessia+disortografia+discalculia) che è il più diffuso (24%). Se consideriamo tutti i casi di dislessia questi sono 225
2.
Dislessia
Disortografia
Dislessia+disortografia
Dislessia+disortografia+discalculia
Disortografia+discalculia
Discalculia
Totale
Dislessia
Disortografia
Dislessia+disortografia
Dislessia+disortografia+discalculia
Disortografia+discalculia Discalculia
17 (61%)
63 (68%)
63 (70%) 54 (50%) 28 (43%) 22 (36%)
247 (56% sul totale)
11 (39%)
30 (32%)
26 (30%)
54 (50%)
37 (57%)
39 (64%)
197 (44% sul totale)
(28+89+108) pari al 50%, tutti i casi di discalculia sono 234 (61+65+108) pari al 52%, tutti i casi di disortografia sono 355 (93+89+108+65) pari al 80%. In altre parole la disortografia è il DSA di gran lunga prevalente, presente in 8 bambini su 10. Rispetto alla distribuzione per genere la tabella mostra che i disturbi di letto scrittura (dislessia/disortografia/dislessia+ disortografia) sono più frequenti nei maschi con un rapporto di circa 2:1. Ma quando nella diagnosi entra il disturbo della discalculia, la distribuzione sposta la sua frequenza nel sesso femminile con un rapporto di 1:1 nel disturbo misto completo e un rapporto invertito di circa 2:1 per il sesso femminile nella discalculia con e senza disortografia.
Nella Tabella 2 è riportata la classe scolastica in cui è stata fatta la prima diagnosi nelle diverse tipologie di DSA.
La tabella mostra che in caso di disturbi della letto scrittura la prima diagnosi è effettuata da inizio terza primaria a fine quarta primaria in circa la metà dei casi. Ma quando entra il disturbo della discalculia la diagnosi diventa più tardiva e, quando la discalculia è pura, scende al 26%, ossia in 3 casi su 4 la diagnosi avviene dalla quinta primaria in poi.
Nella Tabella 3 è riportata la compresenza di fattori di rischio per il DSA di natura familiare e sensoriale nelle diverse tipologie di DSA.
Numero 3a-4 a primaria (% per tipologia) 5a primaria-1a secondaria I grado (% per tipologia)
(21%)
(35%)
(26%)
(35%)
(37%)
(26%)
(38%)
>1a secondaria di I grado (% per tipologia)
(20%)
(26%)
(33% sul totale) 8 (29%) 14 (15%)
(19%) 22 (36%) 102 (23% sul totale)
Tabella
Tabella 3.
Numero Ritardo del linguaggio (% per tipol.)
R. linguaggio trattato (% per tipol.)
M. lavoro <85 (% per tipol.)
V. Elaborazione <85 (% per tipol.) Iperattività/ inattenzione (% per tipol.)
I fattori considerati nella Tabella 3 sembrano presenti nei soggetti con DSA con una bassa frequenza, forse non molto dissimile dall’atteso rispetto a una popolazione non DSA. Per i fattori “familiarità del disturbo” e “genitori separati” ciò può essere ascrivibile alla difficoltà anamnestica di raccogliere un dato oggettivo. Non tutti i genitori riferiscono il loro stato di separazione fattuale o legale. Non tutti i genitori ricordano o sanno di avere un familiare diretto con DSA. Per il genitore straniero il dato raccolto è oggettivo e attendibile e manifesta una frequenza del tutto sovrapponibile alla popolazione non DSA. Poiché i minori stranieri sono più a rischio di DSA, è probabile che ciò derivi da un bias di selezione, legato al fatto che, essendo l’accesso al nostro studio privato a pagamento, questo riduca per motivi economici la presenza di famiglie straniere. Per i disturbi uditivi di tipo trasmissivo e visivi di ipovisione monolaterale, questa bassa frequenza del 13-14% non è confrontabile perché non possediamo riferimenti statistici nella popolazione non DSA.
Nella Tabella 4 è riportata la compresenza di fattori di rischio per il DSA di natura linguistica, cognitiva e comportamentale nelle diverse tipologie di DSA. I ritardi di linguaggio in età prescolare, dedotti dall’anamnesi, sono distinti tra quelli che hanno ricevuto un trattamento logopedico in quell’età e quelli che non lo hanno ricevuto. I fattori cognitivi sono rappresentati da un quoziente <85 dell’indice della memoria di lavoro della WISC-IV e <85 dell’indice della velocità di elaborazione. Il disturbo dell’attenzione/iperattività è attribuito da un valore >= 95° centile nella scala dell’attenzione della CBCL somministrata ai genitori.
Il ritardo di linguaggio in età prescolare è presente nell’anamnesi personale dei soggetti con DSA in un minore ogni tre (33%), con una percentuale estremamente più alta della popolazione normale (3-5%). Esso risulta con percentuali assai simili in tutte le tipologie di DSA, isolate e miste, di lettura, di scrittura e di calcolo. Va rilevato che, di questi ritardi di linguaggio riferiti dai genitori nell’anamnesi, solo un minore ogni tre (54 su 148) è stato sottoposto in età prescolare a una logoterapia, ossia a un trattamento indicato come utile in tutti i bambini con ritardo di linguaggio anche ai fini di prevenire il DSA in età scolare.
La funzione della memoria di lavoro verbale, così come è misurata dalla WISC, risulta < 85 ossia <–1DS nella metà dei minori con DSA (49%), senza differenze sostanziali tra disturbi isolati di lettura, di scrittura, di calcolo, e invece con una prevalenza più netta quando il disturbo è misto. Lo stesso rilievo si può fare per la velocità di elaborazione, anche se questa complessivamente risulta compromessa in un minore ogni tre
(31%). Quindi memoria di lavoro verbale e velocità di elaborazione quanto più sono compromesse tanto più sembrano influire negativamente sull’apprendimento e della letto scrittura e del calcolo.
Inattenzione/iperattività sono presenti nel 14% dei minori con DSA, una percentuale superiore a quella stimata nella popolazione generale (1-5%), ma con una comorbilità non così frequente, e comunque senza differenze sostanziali tra le diverse tipologie di DSA.
Discussione delle criticità e ipotesi operative Ciro Ruggerini e coll. [14] in un articolo sui disturbi di letto scrittura sottolineano l’importanza di un riconoscimento precoce della difficoltà di letto scrittura al fine di mettere in atto aiuti abilitativi e di favorire nei bambini, insieme alla constatazione della possibilità di apprendimento proporzionale alle proprie abilità cognitive, la elaborazione di una autostima sufficientemente adeguata. Ai fini della diagnosi precoce del disturbo indicano come parametri di riferimento una lettura scorrevole e non più sillabica a fine seconda primaria e una scrittura sotto dettatura con pochi errori ortografici a fine terza primaria. Ai fini abilitativi citano una indagine di Tressoldi e coll. [15] sui diversi tipi di trattamento utilizzati nel DSA che dimostra, per i trattamenti diretti alla automatizzazione del processo di riconoscimento dello stimolo visivo della parola e delle sillabe della parola, un miglioramento nella prestazione della lettura in un arco temporale molto lungo che giunge fino alla terza secondaria di I grado.
Dalla nostra indagine [Tabella 2] risulta che il disturbo di letto scrittura (dislessia e dislessia+disortografia) riceve una diagnosi tempestiva tra la terza e la quarta primaria solo in circa la metà dei casi. Per il resto circa un minore su 4 è diagnosticato tra quinta primaria e prima secondaria di I grado e un minore su 4 dopo la prima secondaria di I grado. Il nostro dato è leggermente peggiore di quello rilevato da Mammarella e coll. [16], che riportano la prima diagnosi effettuata nella scuola primaria nel 78% dei casi. Il loro campione di 2845 questionari era diretto specificamente ai genitori di minori con dislessia/ disortografia iscritti alla Associazione Italiana Dislessia. Nel nostro campione invece prevale la comorbidità tra disturbo di letto scrittura e di calcolo nel 38% dei soggetti, dato sovrapponibile al 40% riportato da Lewis e coll. [17].
I soggetti riconosciuti tardivamente nelle loro difficoltà specifiche, oltre alla fatica e al sacrificio vissuti durante tutta la scuola primaria, provano sulla propria pelle insuccessi e mortificazioni, che ne minano profondamente l’autostima costruita in età preadolescenziale e ne inficiano gravemente la car-
Tabella 4.
riera scolastica, con scelte rinunciatarie derivanti dalla esperienza delle loro debolezze e non dei loro talenti. Faccin e coll. [18] si soffermano su questo tema attraverso l’analisi di storie di vita di tre giovani adolescenti il cui DSA è stato riconosciuto per la prima volta in terza secondaria di I grado o dopo, con esperienze di bocciature e insuccessi, bassa autostima fino a sintomi depressivi. Gli autori giungono a identificare alcuni fattori che contribuiscono a ritardare la diagnosi:
a. la correttezza ortografica, col misconoscimento dei lettori lenti ma corretti;
b. la famiglia di livello socioculturale medio-alto con forte predisposizione all’aiuto compiti e a stimolare un lungo impegno pomeridiano sul compito;
c. il sesso femminile, più predisposto al dovere e allo studio e a sviluppare sintomi di disadattamento internalizzati (depressivi) piuttosto che, come nei maschi, a reagire all’insuccesso con comportamenti esternalizzati di opposizione-rifiuto.
Dalla stessa tabella risulta che la diagnosi di discalculia risulta ancora più tardiva, perché quando è isolata avviene tra la terza e la quarta primaria solo in una caso su 4, e avviene dopo la prima secondaria di I grado in un caso ogni 3. E, poiché il disturbo di calcolo isolato colpisce con maggior frequenza il sesso femminile [Tabella 1], le bambine ne sono maggiormente penalizzate nei risultati e nelle scelte scolastiche successive. È come se il non accesso al calcolo mentale (il bambino continua a contare con le dita dopo la quarta primaria) fosse un problema non visto o non considerato come tale dal sistema per scarsa formazione del personale scolastico sul disturbo o per il pregiudizio diffuso che “le bambine tanto per la matematica non sono portate”. La scarsa attenzione all’apprendimento della matematica non è solo un problema italiano. Michèle Mazzocco [19] lo rileva insufficiente anche negli USA: sul piano della ricerca dal 1985 al 2015 il rapporto dei lavori pubblicati sulla matematica è di 1:5 rispetto a quelli sulla letto scrittura, le ore scolastiche dedicate all’insegnamento della matematica sono molto più ridotte rispetto a quelle della lingua, la formazione specifica degli insegnanti, prevista per la lingua, in matematica non è prevista con una conseguente preparazione generale degli insegnanti inadeguata per la matematica. Una seconda criticità importante che emerge dall’indagine è la presenza in età prescolare nei soggetti con DSA [Tabella 4] del ritardo del linguaggio, che figura circa in un bambino su tre a prescindere dalla tipologia del disturbo. Ma 94 di questi 148 bambini, nonostante i genitori riferiscano con chiarezza che all’ingresso in scuola materna il loro linguaggio non fosse comprensibile a maestre e coetanei, non hanno ricevuto nessun trattamento logopedico, ovvero una riabilitazione tesa a migliorare la comprensione e la produzione di parole e frasi, il riconoscimento uditivo e la pronuncia corretta di suoni e fonemi. Su questo fattore di rischio la Consensus Conference ISS sul DSA del 2011 [13] già raccomandava fortemente la ricerca anamnestica del disturbo di linguaggio nel bambino, determinato da più di una prova di linguaggio <10° centile all’età di 5 anni.
In sintesi l’insieme dei dati suggerisce che i sistemi sanitàscuola-famiglia non si prendono sufficiente cura dei bambini con DSA rispetto a diverse variabili significative: diagnosi e trattamento del ritardo di linguaggio in età prescolare, diagnosi e trattamento dei disturbi di apprendimento. Per il disturbo di linguaggio genitori e scuola materna sono per natura attendisti e aspettano in genere con ottimismo lo sviluppo del bambino, che intanto sicuramente parlerà. Se questo da parte loro è forse comprensibile e accettabile, non lo è da parte del sistema sanitario. La regione Emilia-Romagna offre il trattamento logopedico con il servizio pubblico di Neuropsichiatria Infantile, anche se non con tempi di attesa ottimali. Ciò che difetta è il riconoscimento del problema e il
conseguente invio da parte del pediatra di famiglia, che condivide l’ atteggiamento attendista della famiglia, sbagliando. Un nostro vecchio articolo del 1999 [20] rivolto ai pediatri, proponeva per la soluzione di questo problema, già rilevato, la somministrazione al bilancio di salute dei 3 anni della ELM (Early Language Milestone) per intercettare tempestivamente il ritardo del linguaggio e inviarlo al servizio di secondo livello per la diagnosi specifica e l’eventuale presa in carico. La proposta, rimasta in gran parte inevasa, viene ribadita di recente nell’articolo di Bello e coll. [21].
Quanto ai disturbi di apprendimento, teoricamente dovrebbe essere compito precipuo del corpo docente quello di riconoscerli e inviarli poi per la diagnosi allo specialista sanitario. Nella pratica, per quanto riguarda la nostra indagine che prevedeva in anamnesi la richiesta ai genitori di chi fosse l’inviante, è stato impossibile definire con certezza il responsabile di quell’ invio. Nella maggioranza dei casi ci è parsa una decisione dei genitori o addirittura del minore. Abbiamo effettuato la prima diagnosi ad alcune ragazze delle scuole superiori, che hanno chiesto ai loro genitori di eseguire la valutazione, perché studiando con compagni dislessici/discalculici si erano accorte di avere le loro stesse difficoltà. In molti casi la decisione finale dei genitori ci è parsa maturare da un confronto prolungato sul problema con i docenti e/o con il pediatra di famiglia. In questo quadro di incertezza sembra quindi fondamentale che la scuola primaria adotti criteri e tempi precisi per la individuazione del disturbo di letto scrittura in terza primaria e del disturbo di calcolo in quarta primaria. Tuttavia la diagnosi precoce di DSA da un lato ha come obiettivo quello di fornire all’alunno gli strumenti dispensativi e compensativi utili sul piano pedagogico, ma dall’altro, come sottolineato da Tressoldi e coll. [15] e Lucangeli [22], deve avere necessariamente anche l’obiettivo di fornire il trattamento sanitario abilitativo e riabilitativo, che ha una sua efficacia fino alla terza secondaria di I° grado. In questo ambito il servizio pubblico, per carenza di personale sul piano diagnostico, offre risposte con tempi di attesa anche superiori ai sei mesi e, sul piano riabilitativo, fornisce con molta difficoltà e discontinuità una presa in carico logopedica dei minori della scuola dell’obbligo. Dall’analisi condotta da Mammarella e coll. [16] sui loro 2845 questionari su soggetti, afferiti per il 55% al servizio pubblico e per il 45% a centri privati, risulta che il tempo intercorso tra data della richiesta e data della diagnosi avviene entro i 3 mesi nel 36% dei casi da parte del servizio pubblico e nel 70% dei casi da parte dei servizi privati accreditati. La stessa discordanza è riportata nelle percentuali dei casi presi in carico.
Sul tema della presa in carico va sottolineato infine, come suggerisce Paola Damiani [23], che la collaborazione del sistema sanità-scuola-famiglia deve condurre alla formulazione e all’ attuazione di un Piano Didattico Personalizzato, pensato non come solo vincolo istituzionale e potenziale strumento di esclusione , bensì come risorsa ecologica e strumento di inclusione e di partecipazione/benessere dell’allievo, teso a fornire i mezzi di facilitazione e abilitazione all’apprendimento e al miglioramento della qualità della vita. Genitori, psicologi e pedagogisti sono chiamati a mettere al centro la persona dell’allievo e le sue differenti capacità in positivo e non solo le sue debolezze. L’analisi di obiettivi e risultati della presa in carico deve essere multidimensionale, non soltanto focalizzata sull’esito dei test neuro cognitivi, ma deve abbracciare anche gli aspetti emotivi e relazionali della persona e il suo adattamento sociale a scuola e fuori dalla scuola. Perché ciò che diceva il maestro della neuropsichiatria infantile italiana Adriano Milani-Comparetti [24] – “ogni fisioterapia va reinterpretata per diventare esperienza di vita piuttosto che rinchiudere la vita all’interno dell’esperienza terapeutica” – è valido per ogni terapia in ambito medico e psicologico.
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1 Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Bari
2 UO Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni – L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì
3 UOC Malattie Infettive, Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII, Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari
va più frequente dell’otite media acuta (OMA) [1]; talora può esserne la prima manifestazione [2].
Poiché l’orecchio medio comunica con l’area mastoidea e il coinvolgimento mastoideo è comune nelle infezioni dell’orecchio parliamo di otomastoidite [3].
L’incidenza varia nei diversi report e nei diversi Paesi tra 1,2 e 6,1 per 100.000 pazienti/anno tra 0 e 14 anni. L’epidemiologia dell’otomastoidite è sovrapponibile a quella dell’otite media acuta; troviamo dunque la massima incidenza nei bambini sotto i due anni e comunque entro il 4° anno di vita. Fino al 50% degli episodi di otomastoidite si verifica al primo episodio di OMA [4].
Nonostante si tratti di una complicanza abbastanza rara, la possibilità di un’evoluzione pericolosa [5] richiede un elevato grado di attenzione. È stato segnalato un aumento di incidenza post-Covid, probabilmente dovuto al generale aumento delle infezioni virali respiratorie e a un minore risposta immunitaria [6].
Anatomia e fisiopatologia
L’otomastoidite è la complicanza suppurativa più frequente dell’otite media. È quadro che, per quanto raro, deve essere attentamente indagato in caso di sospetto diagnostico. La sua ricaduta è rilevante in termini di morbilità, anche a lungo termine. La gestione sia diagnostica che terapeutica non è condivisa a livello nazionale e internazionale. La tempestiva identificazione delle complicanze di otomastoidite è fondamentale per l’ottimizzazione dell’outcome. Nonostante questo, non appare attualmente indicata l’esecuzione di imaging di secondo livello (TC o RM) a tutti i pazienti indipendentemente dalla gravità clinica; al contrario è utile una stratificazione del rischio per evitare non necessarie esposizioni a radiazioni e a sedute di sedazione pazienti a basso rischio di complicanze. Il trattamento di prima scelta è la terapia antibiotica parenterale, con molecole differenti in base al quadro clinico e a elementi anamnestici. La gestione multidisciplinare delle complicanze (extra e intracraniche) è alla base del miglior successo in termini di outcome. Gli autori propongono una flowchart diagnostico-terapeutica.
Otomastoiditis is the most frequent suppurative complication of acute otitis media. If there is a clinical suspect it must be carefully investigated. Its relapse is significant in terms of morbidity, even in the long term. There are not international or national guidelines for diagnostic and therapeutic management, so there are a lot local differences. Timely identification of complicated otomastoiditis is essential for optimizing outcome. Despite this, performing second level imaging (CT or MRI) on all patients regardless of clinical severity does not currently appear to be indicated. Clinical risk stratification is useful to avoid unnecessary exposure to radiation and sedation for patients at low risk of complications. The first line treatment is parenteral antibiotic therapy, with different molecules based on the clinical and anamnestic elements. Multidisciplinary management of complications (extra- and intra-cranial) is fundamental for the best success in terms of outcome. The authors propose a diagnostic-therapeutic flow chart.
Il problema
La mastoidite è un’infezione che interessa le celle del processo mastoideo dell’osso temporale ed è la complicanza suppurati-
La mastoide è una porzione pneumatizzata dell’osso temporale. Alla nascita la mastoide è costituita da un’unica cella, l’antro, collegata all’orecchio medio da uno stretto canale, l’aditus ad antrum. Man mano che il bambino cresce, l’osso mastoideo si pneumatizza, formando una serie di piccole celle d’aria interconnesse, rivestite da epitelio respiratorio modificato. La stretta comunicazione anatomica fa sì che, nel corso di un episodio di OMA, l’infiammazione possa estendersi alla mucosa che ricopre le celle mastoidee. Nella maggior parte dei casi l’infiammazione mastoidea si risolve insieme a quella della OMA. Quando l’infiammazione però persiste, si può avere un accumulo di materiale purulento all’interno delle cavità mastoidee. All’aumentare della pressione, i sottili setti ossei tra le celle mastoidee possono essere distrutti [7,8] con confluenza delle cavità fino a dare delle vere cavità ascessuali. Da qui, la raccolta ascessuale può estendersi alle aree adiacenti, determinando le diverse complicanze [7,8].
Classificazione
Distinguiamo le diverse forme di mastoidite in base all’andamento clinico.
1. Mastoidite acuta: infezione suppurativa delle cellette mastoidee con sintomi di durata inferiore a un mese. In relazione alle caratteristiche patologiche distinguiamo, all’interno della forma acuta [7]: – otomastoidite acuta con periostite: caratterizzata dalla presenza di essudato purulento nelle cellette mastoidee associato a periostite, senza distruzione ossea. Questo reperto si ritrova spesso all’imaging di bambini con otite media acuta (OMA) per cui da solo e in assenza di clinica significativa non è diagnostico di otomastoidite acuta; – otomastoidite acuta coalescente: forma caratterizzata dalla distruzione dei setti ossei tra le cellette mastoidee. Questo reperto radiologico è suggestivo di mastoidite acuta. In generale i pazienti con questo quadro non richiedono l’imaging per la diagnosi, ma la semplice definizione clinica. Alla forma coalescente può, non obbligatoriamente, seguire un’evoluzione ascessuale con disseminazione purulenta nei tessuti circostanti. L’evoluzione più frequente è l’ascesso subperiosteo.
2. Mastoidite subacuta: condizione caratterizzata da infezione con scarse manifestazioni cliniche, ma persistente dell’orecchio medio (per oltre un mese), con distruzione dei setti ossei. Più tipica di pazienti con otite media effusiva persistente o episodi di OMA ricorrenti non adeguatamente trattati.
3. Mastoidite cronica: infezione suppurativa delle cellette mastoidee di durata prolungata (mesi/anni) [9].
Clinica
Le manifestazioni cliniche tipiche dell’otomastoidite acuta sono primariamente alterazioni della regione retroauricolare con edema ed eritema cutaneo, fino allo spianamento del solco retroauricolare. L’insieme di questi segni è presente fino all’89% dei casi, la dolorabilità dell’area, sia spontanea che alla digitopressione, sbandieramento anteriore del padiglione auricolare, alterazioni della membrana timpanica come bulging e iperemia fino al 97% dei casi [10], otalgia e otorrea. La osservazione di una massa fluttuante in regione mastoidea dovrà suggerire la presenza di un ascesso. Nei pazienti più piccoli è frequente che si associno sintomi sistemici: febbre, malessere e irritabilità, fino al 96% dei casi. L’otomastoidite subacuta può presentarsi con le caratteristiche della OMA, ma con durata maggiore; solo occasionalmente può presentarsi con complicanze intra o extracraniche senza clinica riconducibile a OMA o a mastoidite. Quindi, la mastoidite subacuta dovrebbe essere sospettata nei bambini con OMA che non rispondono agli antibiotici e in quelli con infezione intracranica non riconducibili ad altro focolaio flogistico.
Complicanze
Nel caso il processo infettivo si estenda dall’orecchio medio/ mastoide alle strutture contigue, si sviluppano le complican-
Figura 1. Rappresentazione anatomica delle complicanze intra ed extracraniche dell’otomastoidite (modificato da [14]).
ze, intracraniche ed extracraniche [Tabella 1, Figura 1]. L’incidenza delle complicanze varia molto da una casistica all’altra: la più frequente è l’ascesso subperiosteo, riportato con una frequenza variabile dall’1,3% in una casistica italiana del 2014 [12] al 28% [11]. L’importanza dell’inquadramento delle forme complicate è legata al fatto che la morbilità dell’otomastoidite è principalmente dovuta alle complicanze stesse.
Complicanze extracraniche [Tabella 1, Figura 1]
• Ascesso subperiosteo, quando la via di diffusione è attraverso la corticale laterale della mastoide, presente fino al 58% dei casi [13].
• Paralisi periferica del VII nervo cranico, che viene coinvolto nella sua porzione all’interno del canale petroso.
• Labirintite: coinvolgimento della parte ossea del labirinto, con comparsa di tinnito, ipoacusia, vomito, nausea, vertigini e nistagmo [14].
• Ipoacusia: può derivare da una ostruzione del condotto uditivo esterno e/o dell’orecchio medio per accumulo di materiale purulento. Può dare lesioni permanenti con erosione della catena ossiculare o per labirintite suppurativa e lesioni cocleari [8,14].
• Osteomielite, quando l’infezione si estenda medialmente coinvolgendo l’apice della rocca petrosa (petrosite). La
triade clinica classica di questa forma è: otite media, dolore retro-orbitale, derivato da coinvolgimento trigeminale, e diplopia, per coinvolgimento del VI nervo cranico e conseguente paralisi del muscolo retto laterale; si parla anche di Sindrome di Gradenigo [8,15].
• Diffusione ai tessuti molli circostanti, quando la raccolta ascessuale si espanda nel contesto del muscolo sternocleidomastoideo (ascesso di Bezold) ovvero lungo il ventre posteriore del muscolo digastrico fino alla regione occipitale e cervicale (ascesso di Citelli), quest’ultimo molto raro e per lo più associato a forme di otite cronica [16]. Entrambe le forme si manifestano con tumefazione e dolorabilità dei tessuti molli colpiti.
Complicanze intracraniche
Per quanto meno frequenti, le complicanze intracraniche sono ovviamente le più temute.
• Trombosi settica dei seni venosi: tra le complicanze intracraniche è sicuramente la più frequente, con frequenza riportata dal 7% [11] al 2,5% [12,17]. Clinicamente la trombosi del seno trasverso, si manifesta con sintomi neurologici, non necessariamente associati ai sintomi otologici tipici dell’otite o della mastoidite. Il quadro di ipertensione, endocranica conseguente alla trombosi del seno, sarà di grado variabile in relazione all’ostruzione del seno stesso: cefalea, vomito, diplopia da paralisi muscolare, secondaria alla paralisi dei nervi cranici, generalmente il VI. Potrà essere presente il papilledema [17].
• Meningite: il quadro clinico è caratteristico in base all’età del paziente e non differisce dalle forme da altra causa.
• Ascesso cerebrale, prevalentemente temporale o cerebellare: cefalea, rigidità nucale, nausea, alterazioni dello stato di coscienza, deficit neurologici focali e convulsioni [14].
• Ascessi subdurali o epidurali.
Tabella 1. Classificazione delle complicanze di otomastoidite
Extracraniche
– Ascesso subperiosteo
– Paralisi del faciale
– Ipoacusia
– Labirintite
– Osteomielite
– Ascesso di Bezold dello sternocleidomastoideo
Eziologia
Intracraniche
– Meningiti
– Ascesso lobo temporale o cerebellare
– Ascesso subdurale o epidurale
– Trombosi dei seni venosi
I tre principali patogeni responsabili di otomastoidite sono: Streptococcus pneumoniae, Streptococcus pyogenes e Staphilococcus aureus; meno comunemente, vengono isolati Fusobacterium necrophorum, Haemophilus influenzae, Pseudomonas aeruginosa [18]. L’alta frequenza di trattamento antibiotico prima della raccolta di campioni microbiologici, in virtù del quadro antecedente di otite, può purtroppo inficiare l’isolamento di patogeni [19], il che spiega la variabilità della percentuale di isolamenti nelle varie casistiche [8,20]. Negli anni 2000 è stato introdotto il vaccino pneumococcico coniugato (PCV), in particolare in Italia dal 2002 PCV 7-valente, sostituito nel 2009 dal 13-valente [21]. Come per tutte le infezioni pneumococciche invasive, l’ambito pediatrico ha osservato l’andamento delle otiti medie e delle otomastoiditi in seguito all’introduzione di questo nuovo strumento. A fronte di un’incidenza totale sostanzialmente invariata rispetto all’epoca pre-vaccinale, c’è stata una riduzione delle otomastoiditi date da pneumococco nei pazienti più piccoli (<5 anni), una complessiva riduzione delle infezioni date da sierotipi coperti dal vaccino, mentre sono aumentate
in assoluto le forme con coltura negativa o sierotipi esclusi dal vaccino [23].
La frequenza dell’isolamento di Pseudomonas aeruginosa [24] potrebbe risultare sovrastimata nei casi in cui il campione per la coltura venga prelevato dal condotto uditivo esterno in pazienti con otorrea [3]. P. aeruginosa, infatti, deve essere considerata come un potenziale patogeno solo nei bambini con mastoidite acuta che hanno una storia di OMA ricorrente o con fattori di rischio locali come la presenza di protesi.
Diagnosi
La diagnosi di otomastoidite è primariamente clinica. Il laboratorio e la radiologia potranno fornire dati utili al trattamento e al follow-up.
Laboratorio
Importante una valutazione basale dell’emocromo con formula (che potrà evidenziare un quadro di leucocitosi neutrofila) e della proteina C reattiva (PCR) [9,25]. Alcuni lavori suggeriscono una correlazione tra valori più alti di neutrofili e di PCR e maggior probabilità di complicanze [25].
Campioni microbiologici
Come per tutte le infezioni batteriche, la possibilità di isolare un patogeno è utile non solo per la definizione diagnostica, ma specialmente per identificare quei casi dati da patogeni resistenti.
I possibili campioni saranno:
• Materiale purulento: se questo può essere raccolto tramite puntura esterna (per esempio per ascesso subperiosteo) o in caso di drenaggio chirurgico.
• Emocoltura: da eseguire in pazienti con aspetto settico o comunque in condizioni generali compromesse. Per questo campione ricordiamo che il fattore che più influenza la possibilità di ottenere un risultato adeguato è il volume di sangue raccolto e non la raccolta in concomitanza col picco febbrile [26].
• Liquido di drenaggio dall’orecchio medio, ottenuto mediante miringotomia o timpanocentesi.
• Liquor cerebrospinale, in caso di manifestazioni neurologiche suggestive di coinvolgimento meningeo.
Radiologia
La diagnosi di otomastoidite è primariamente clinica: la somma dei principali elementi clinici quali edema ed eritema retroauticolare, spianamento del solco retroauricolare, sbandieramento del padiglione, associati a elementi clinici di otite come alterazione della MT, otalgia e otorrea, identifica la maggior parte dei casi.
Eventuali approfondimenti radiologici hanno quindi come scopo non tanto la conferma diagnostica del quadro di otomastoidite, ma l’identificazione di eventuali complicanze.
Le due metodiche coinvolte sono TC e RMN.
Per quanto riguarda la TC è importante ricordare che esistono due differenti finestre di studio che possono essere eseguite, con scopi differenti: le sequenze per osso temporale, cui appartiene la mastoide, focalizzata quindi alla valutazione ossea, e la TC encefalo con mezzo di contrasto, focalizzata sullo studio del parenchima cerebrale [27].
Lo studio RMN con mezzo di contrasto permette una migliore sensibilità nell’identificazione di fluidi intracranici extra-assiali (come raccolte purulente) e valutazione più precisa dell’eventuale coinvolgimento vascolare [27].
In considerazione del fatto che complessivamente l’otomastoidite è un evento relativamente raro con potenziale evoluzione verso quadri clinici importanti quali le complicanze intracraniche, non c’è consenso circa le indicazioni alla diagnostica radiologica. Alcuni autori ritengono indicata l’esecuzio-
ne dello studio radiologico a tutti i pazienti con sospetta otomastoidite indipendentemente dalla gravità clinica [28,11]: questo contribuirebbe all’identificazione di potenziali complicanze ma certamente implica una non sempre appropriata radio-esposizione di pazienti pediatrici e a una sovrastima di diagnosi di otomastoidite. Un articolo del 2018 di Platanica e Anderson [29] riporta come nei pazienti pediatrici asintomatici, che hanno eseguito indagini radiologiche per altra causa, il riscontro di opacizzazione della mastoide alla TC varia dal 5 al 20%, con maggior incidenza (15-20%) nei pazienti sotto i 4 anni. D’altronde, è stato dimostrato che pazienti minori esposti a TC encefalo ripetute sviluppano, dalla terza e quarta esposizione, un rischio molto maggiore di neoplasia, aumentato da due a tre volte, specie nei bambini più piccoli [30]. Anche la RMN può identificare in alta percentuale, come reperto incidentale, un’opacizzazione delle celle mastoidee in assenza di quadro clinico suggestivo: circa 20% in pazienti <18 anni e fino al 47% se considerati pazienti di età <2 anni [31]. Di recente è stato pubblicato uno studio che propone una stratificazione dei pazienti con otomastoidite da sottoporre a valutazione radiologica e il successivo percorso [32] vedi Figura 2
Diagnosi differenziale
Nella diagnostica differenziale delle otomastoiditi bisogna prendere in considerazione le altre cause di dolore e/o tumefazione retroauricolare [9,14].
• Linfoadenite retroauricolare. La tumefazione retroauricolare in questo caso però sarà ben circoscritta e mobile sui piani circostanti. Altri elementi distintivi dalla otomastoidite sono il mancato dislocamento del padiglione auricolare, la conservazione del solco retroauricolare e MT indenne.
• Cellulite periauricolare. Costituisce un quadro di infiammazione cutanea della regione retroauricolare. Rispetto alla mastoidite, la MT è generalmente indenne e non ci sono segni di otite esterna. È frequente che in anamnesi vi siano traumi auricolari o punture d’insetto.
• Pericondrite del padiglione auricolare. La pericondrite del padiglione auricolare è caratterizzata da edema ed eritema del padiglione auricolare; può diffondersi al periostio dell’area retroauricolare. A differenza della mastoidite acuta, il solco retroauricolare è preservato e la MT è indenne. Si può associare a traumi (piercing), chirurgia otologica o in seguito a puntura d’insetto. Molto raramente può essere manifestazione in corso di malattie infiammatorie sistemiche (granulomatosi con poliangioite, policondrite recidivante).
• Parotite. La parotite provoca tumefazione antero-inferiormente al padiglione auricolare. Si associa a sintomi simil-
influenzali a cui fa seguito la comparsa di tumefazione parotidea entro 48 ore dall’esordio dei sintomi generalmente evolve a tumefazione bilaterale.
• Tumori della regione mastoidea. Le neoplasie benigne e malingne di questa sede come la cisti ossea aneurismatica, leucemia linfocitica o istiocitosi a cellule di Langherans possono presentare con un quadro clinico sovrapponibile ad una otomastoidite. Generalmente la MT, ma la diagnosi di certezza richiede indagini diagnostiche specifiche volte all’esclusione di queste patologie.
Tabella 2. Diagnosi differenziale con otomastoidite Patologia Similitudini Differenze Linfadenite retroauricolare Tumefazione retroauricolare che può essere associata a iperemia cutanea
MT indenne Padiglione auricolare non dislocato. Solco retroauricolare indenne.
Possibile trauma o puntura d’insetto.
Cellulite periauricolare
Pericondrite del padiglione auricolare
Iperemia e edema cutaneo retroauricolare
Edema ed eritema primariamente del padiglione auricolare che può estendersi alla regione retroauricolare
Parotite Tumefazione periauricolare
Tumori della regione mastoidea
Terapia
Clinica locale sovrapponibile
MT indenne. Non segni di otite esterna.
MT indenne. Solco retroauricolare indenne.
Tumefazione anteriormente e inferiormente al padiglione auricolare.
MT indenne. Necessità di definizione laboratoristicoradiologica.
Il trattamento dell’otomastoidite dipende dalla gravità della malattia e della presenza o meno di complicanze; i due cardini del trattamento sono la terapia antimicrobica parenterale (possibilmente mirata) e l’approccio chirurgico. Non esistono tuttavia documenti condivisi sulla gestione sia medica che chirurgica delle otomastoiditi, ragion per cui la gestione varia da centro a centro.
Figura 2. Proposta gestionale per esecuzione indagini radiologiche (modificata da [32]).
Terapia antibiotica
Gli elementi da considerare per la scelta della terapia empirica saranno la gravità clinica, che vede contrapposte le forme lievi-moderate alla presenza di complicanze, ed elementi anamnestici. Tra questi ultimi saranno da considerare in particolare la recente terapia antibiotica, magari per un quadro di otite, e la storia di OMA ricorrenti con almeno un episodio nei 6 mesi precedenti [33].
In caso di paziente con forma non complicata (stadi 1 e 2), con anamnesi negativa per terapia antibiotica recente e per OMA ricorrenti, le molecole di scelta saranno ampicillina-sulbactam oppure ceftriaxone data la buona azione che entrambi hanno su S. pneumoniae, S. Pyogenes, S. Aureus e F. Necrophorum; ricordiamo però la maggior suscettibilità di H. Influenzae all’ampicillina-sulbactam [33].
In caso di paziente con forma non complicata, ma con anamnesi positiva per OMA ricorrenti e/o recente terapia antibiotica, fattori che possono comunque aumentare il rischio di infezioni da P. Aeruginosa, sarà più indicato avviare la terapia empirica con piperacillina-tazobactam, ugualmente efficace sui patogeni precedentemente considerati [33]. Per questa molecola da tener presente l’indicazione a ottimizzare la somministrazione con infusioni prolungate (almeno 3 ore) e maggior frazionamento possibile della dose totale (4 somministrazioni/die), fino all’optimum della somministrazione in infusione continua [34].
In caso di forme complicate, con ascessi, osteomielite, interessamento intracranico o quadro settico sarà indicato l’avvio di una duplice terapia con cefepime e vancomicina. Cefepime è da preferire in queste condizioni per la maggior penetrazione nel sistema nervoso rispetto a piperacillina-tazobactam (che
Terapia empirica
Stadio 1 e 2 in paziente senza storia di OMA ricorrente né terapia antibiotica recente
Stadio 1 e 2 in paziente con storia di OMA e/o terapia antibiotica recente
Stadio 3 e 4
Ampicillina-sulbactam oppure ceftriaxone
Piperacillina-tazobactam
Vancomicina + cefepime
non penetra la barriera emato-encefalica) e vancomicina è da preferire per la buona penetrazione ossea e cerebrale e la azione in caso di infezione da Staphilococcus Aureus MeticillinoResistente (MRSA).
Nel momento in cui fosse disponibile un isolamento microbiologico, con associato antibiogramma, sarà necessaria la rivalutazione della terapia empirica in atto in base ai principi di stewardship antibiotica [35].
La rivalutazione clinica del paziente deve considerare i sintomi locali (mastoidei e auricolari), la comparsa di nuovi elementi clinici (sintomi neurologici o comparsa di segni suggestivi di evoluzioni ascessuali) e sintomi sistemici intesi come un miglioramento delle condizioni generali e della febbre. Sono poi indicate rivalutazioni laboratoristiche seriate, più o meno frequenti in base alla gravità del quadro clinico all’esordio. La mancata riposta o il peggioramento clinico dovranno portare ad una rivalutazione della terapia antibiotica in atto.
Figura 3. Proposta di flowchart diagnostico terapeutica per otomastoidite (modificata da [32]).
Tabella 3. Proposta di gestione della terapia antibiotica
La durata della terapia antibiotica parenterale è molto variabile in letteratura e comprensibilmente influenzata dall’andamento clinico dell’infezione. In generale possiamo riassumere con una prima fase parenterale di 7-10 giorni, con proseguimento per via orale per un totale di 3-4 settimane, da modulare in base alla gravità clinica.
Trattamento chirurgico
Al momento della diagnosi di otomastoidite è importante l’esecuzione di una valutazione otorinolaringoiatrica (ORL) per valutare l’indicazione all’esecuzione di miringotomia per evacuazione della raccolta purulenta, più o meno associata a drenaggio transtimpanico. L’intervento di mastoidectomia è indicato per la decompressione locale della mastoide. In presenza di complicanze extra o intracraniche, il trattamento chirurgico ORL o neurochirurgico, sarà poi specifico per ogni situazione clinica.
Altri trattamenti
La presenza di altre complicanze, quali la trombosi del seno trasverso, paralisi di nervi cranici, più o meno associate a ipertensione endocranica, richiederanno caso per caso, l’utilizzo di terapie specifiche quali anticoagulanti o antiedemigeni (es. acetazolamide).
Outcome e follow-up
Nelle casistiche più recenti la mortalità per otomastoidite è sostanzialmente nulla [28] per quanto dipenda dall’estensione e dalla sede dell’eventuale complicanza. Il buon esito è dovuto al trattamento in generale abbastanza tempestivo delle complicanze. Eventuali outcome negativi sono l’ipoacusia, che può essere sensoriale (per lesioni cocleari e labirintiche), trasmissiva (lesione della catena ossiculare) o mista; inoltre, lesioni neurologiche permanenti, come in caso di deficit dei nervi cranici o esiti di lesioni ascessuali intracraniche. Data la possibilità di ipoacusia residua tutti i pazienti dovrebbero essere sottoposti, durante il ricovero per fase acuta, a uno screening audiologico. Un eventuale follow-up neurologico andrà valutato in relazione all’andamento clinico e alla presenza o meno di complicanze, specialmente intracraniche [9].
Conclusioni
L’otomastoidite è un quadro che, per quanto raro, deve essere attentamente indagato in caso di sospetto diagnostico. La sua ricaduta è rilevante in termini di morbilità, anche a lungo termine.
La gestione sia diagnostica che terapeutica non è condivisa a livello nazionale ed internazionale. Gli autori propongono una flowchart gestionale [Figura 3]. La tempestiva identificazione delle complicanze di otomastoidite è fondamentale per l’ottimizzazione dell’outcome. Nonostante questo, non appare attualmente indicata l’esecuzione di imaging di secondo livello (TC o RM) a tutti i pazienti indipendentemente dalla gravità clinica; al contrario è utile una stratificazione del rischio per evitare non necessarie esposizioni a radiazioni e a sedute di sedazione pazienti a basso rischio di complicanze.
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Un anticorpo monoclonale per le allergie alimentari
Si stima che in Europa convivano con le allergie alimentari circa il 2% degli adulti e l’8% dei bambini e, attualmente, la gestione standard dei pazienti con allergia alimentare è basata sull’evitamento stretto gli alimenti incriminati e sul pronto uso di farmaci in caso di reazione allergica, secondo uno specifico piano di azione. Oggi però è possibile ridurre il rischio di shock anafilattico dovuto all’ingestione di cibo, grazie all’utilizzo di un anticorpo monoclonale. Uno studio pubblicato sul NEJM ha dimostrato che l’utilizzo di omalizumab è in grado di ridurre il rischio di insorgenza di effetti collaterali gravi causati dal consumo di allergeni (come le arachidi). In base a questi risultati la FDA ha approvato negli USA l’utilizzo del prodotto come trattamento per la prevenzione delle allergie alimentari, accanto però al sistematico evitamento dei noti allergeni. Questo trattamento è infatti utile in caso di consumo accidentale, poiché può solo aumentare la soglia quantitativa di cibo che una persona può mangiare prima che si scateni una grave reazione allergica. L’anticorpo specifico è in grado di riconoscere gli anticorpi IgE coinvolti nelle reazioni allergiche, ed è già utilizzato con successo nel trattamento dell’asma.
Nello studio americano 177 su bambini e ragazzi di età 1-17 anni gravemente allergici alle arachidi e ad almeno altri due alimenti, il farmaco (che si somministra sottocute 1-2 volte al mese) dopo 4 mesi è stato in grado di prevenire reazioni allergiche gravi nel 67% dei casi in seguito all’esposizione alle arachidi e di aumentare la tolleranza dei partecipanti ad altri alimenti a cui erano allergici. Omalizumab infatti inibisce il legame delle IgE al recettore senza specificità per uno specifico allergene (diversamente dall’immunoterapia), ciò gli costituisce un notevole vantaggio per i poliallergici e ne migliora la qualità di vita. Può inoltre essere utilizzato anche in combinazione con l’immunoterapia desensibilizzante, poiché ne minimizza gli effetti avversi. In un recente studio italiano apparso su Allergy, su 65 bambini con asma e allergia alimentare trattati con omalizumab per 12 mesi, è emerso che le soglie di reazione all’allergene alimentare si sono moltiplicate (es. per il latte 250 volte, per l’uovo 170 volte) e il numero delle reazioni anafilattiche si è molto ridotto (dai 98 a 8 reazioni durante il periodo di trattamento). Inoltre è stato possibile reintrodurre nella dieta, in sicurezza e senza desensibilizzazione, gli alimenti precedentemente evitati (con successo nell’88% dei partecipanti). Includendo i poliallergici, il 61% dei bambini hanno potuto tornare a dieta libera senza restrizioni.
Attualmente in Italia omalizumab non è ancora indicato per le allergie alimentari. Tuttavia a breve dovrebbero essere in commercio prodotti biosimilari, dato che i brevetti sono in scadenza. Questa risorsa potrà migliorare notevolmente la qualità di vita delle persone allergiche ed evitare molte reazioni anafilattiche gravi e letali.
y Wood RA, Togias A, Sicherer SH et al. Omalizumab for the Treatment of Multiple Food Allergies. N Engl J Med. 2024 Mar 7;390(10):889-99.
y Arasi S, Cafarotti A, Galletta F et al. Omalizumab reduces anaphylactic reactions and allows food introduction in food-allergic in children with severe asthma: An observational study. Allergy. 2024 Sep 16.
La creazione della memoria nel lutto neonatale nel contesto sanitario
Aspetti storici e riflessioni etiche
Giancarlo Cerasoli1 , Giulia Piccinni Leopardi2 , Sara Patuzzo Manzati2
1 Scuola di Storia della Medicina, Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Rimini; 2 Dipartimento di Scienze chirurgiche, Odontostomatologiche e Materno-infantili, Università degli Studi di Verona
A seconda delle tradizioni, della cultura e delle preferenze personali, per superare il dolore causato dalla morte di un neonato possono essere messe in pratica azioni specifiche, come raccogliere immagini o video che catturano momenti speciali, selezionare oggetti che ricordano il bambino oppure realizzare rituali o cerimonie commemorative. Queste pratiche, che in passato hanno assunto forme fideistiche e superstiziose, possono oggi essere considerate utili per chi resta e quindi essere armonizzate nel contesto medico-sanitario dove il lutto è avvenuto? Il presente contributo si dedica a esplorare questo tema.
Depending on traditions, culture, and personal preferences, specific actions can be taken to cope with the grief caused by the death of a newborn, such as collecting images or videos that capture special moments, selecting objects that remind the child, or performing commemorative rituals or ceremonies. Can these practices, which in the past may have taken on religious or superstitious forms, be considered therapeutic for those left behind today and therefore be integrated into the medical and healthcare context where the bereavement occurred? This paper aims to explore this topic.
La creazione della memoria nel caso di un bambino nato morto o deceduto subito dopo la nascita è un processo simbolico che ha lo scopo di mantenere vivo il suo ricordo nei genitori e le persone care come aiuto per l’elaborazione del lutto [1]. Si tratta di un atto che può assumere diverse forme a seconda delle tradizioni, della cultura e delle preferenze personali. Azioni capaci di contribuire alla costruzione della memoria possono essere la raccolta di immagini o video che catturano momenti speciali, la selezione di oggetti che ricordano il bambino, tenere un diario per esprimere i propri sentimenti e pensieri, dedicare uno spazio in casa al raccoglimento, avviare iniziative o donazioni in sua memoria per sostenere cause legate alla sua vita o alla sua malattia, realizzare rituali o cerimonie commemorative che possono sancirne l’aggregazione con la società di appartenenza [2]. Infatti, secondo alcune credenze senza questi rituali rimarrebbe una persona “incompiuta”, la cui anima sarebbe destinata a vagare senza pace in un mondo extra terreno, proiettando sui viventi la sua infelicità. Per esempio, fino a pochi decenni fa per la religione cattolica l’anima del bambino deceduto senza essere battezzato era destinata a restare nel Limbo, senza poter entrare in contatto con Dio, e ai suoi resti era interdetta la sepoltura in terra consacrata [3]. In particolare, durante il medioevo e l’età moderna
si credeva che l’anima del piccolo fosse condannata a vagare senza riposo nella notte, insieme con altre anime dannate, creando una sorta di temibile “esercito furioso” che spaventava i vivi per vendicarsi del suo stato infelice. Come scrive Françoise Loux, “la morte senza battesimo è la peggior cosa che possa succedere ad un bambino. In questo caso egli risulta morto senza che sia veramente esistito; è dunque condannato a errare fino alla fine del mondo in un universo intermedio” [4]. Per evitare le sofferenze dell’anima del loro bambino nato morto o deceduto senza battesimo, i genitori chiedevano l’intercessione della Madonna o di particolari santi, al fine di ottenere la grazia della sua momentanea resurrezione per il tempo sufficiente al conferimento del battesimo, in modo che poi potesse essere accolto in Paradiso e seppellito in terreno consacrato. Tali rituali erano ampiamente diffusi in Belgio, in Italia e in Francia orientale, dove i luoghi nei quali erano compiuti venivano chiamati sanctuaire à répit, ossia “santuari della tregua”, come documentato a partire dal XIV secolo [5]. Si hanno notizie di queste usanze in Francia e in Italia sino al secolo scorso, nonostante nel frattempo fosse intervenuto il divieto da parte delle autorità religiose [6]. Infatti, già dal secolo XV molti decreti sinodali mettevano in guardia dall’interpretare erroneamente alcuni segni propri dello stato clinico post mortem come quelli di ripresa della vitalità per poter impartire il battesimo. In essi era ribadito il divieto di cerimonie “paraliturgiche” specifiche che si compivano nelle chiese e il seppellimento dei “resuscitati” battezzati. Addirittura verso la fine del Seicento cominciò a manifestarsi un’opposizione vigorosa alla credenza della resurrezione momentanea, tanto che queste liturgie iniziarono a essere considerate eresie. Nel 1755 papa Benedetto XIV proibì definitivamente queste cerimonie nella raccolta Istruzioni De synodo diocesana [7]. Tuttavia esse continuarono a persistere clandestinamente fino alla promulgazione del codice civile napoleonico, che sancì nuove norme sulle sepolture [8]. In Italia queste pratiche erano messe in atto soprattutto nell’area alpina e subalpina, in Trentino, in Friuli, in Lombardia e in Piemonte, ma sono documentate anche in altre zone, come dimostrano per esempio il gonfalone processionale realizzato nel 1495 e conservato nel santuario della Madonna delle Grondaci a Panicale, vicino al lago Trasimeno, e alcuni ex voto seicenteschi sull’ottenimento di questa grazia che si possono trovare a Perugia nel santuario della Madonna dei Bagni [9]. Stefano Cavazza ha preso in esame il rito della resurrezione dei neonati che fin dal Seicento era praticato nella chiesa della Madonna a Trava, vicino a Tolmezzo [10]. Facendo ricorso ai documenti del Sant’Uffizio presenti nella curia arcivescovile di Udine ha potuto ricostruire nel dettaglio il compiersi del rito. Il corpo del bambino morto, composto nella piccola bara, era adagiato sopra l’altare della Madonna oppure in mezzo alla chiesa, in modo che tutti lo potessero osservare. Due donne pronunciavano orazioni insieme ai fedeli presenti e, dopo ore di veglia e preghiera, erano le prime a ritenere di scorgere i segni di una presunta ripresa della vitalità del bambino. Si trattava di solito del momentaneo cambiamento di colore del corpo, della sudorazione, del sanguinamento dalla bocca o dal naso, dell’apertura degli occhi o della bocca, del movimento del torace o di un arto, o dell’emissione di feci o urine. I fedeli, suggestionati e molto probabilmente anche storditi dalle tante ore di veglia e preghiere al chiarore delle candele, credevano di vedere ciò che le donne affermavano e così il miracolo era compiuto. A quel punto il bambino veniva battezzato dalle due donne e subito dopo seppellito nel terreno circostante la chiesa. Il prete cappellano celebrava una messa per l’anima del bambino, mentre il notaio del paese attestava con una dichiarazione scritta l’avvenuta momentanea resurrezione, notificando la somministrazione del sacramento [11]. La descrizione di questa cerimonia si trova anche nei dipinti votivi donati
loro
tre donne inginocchiate e
dai genitori dei piccoli graziati, in alcuni libri dei miracoli dei luoghi di culto e nelle vite dei santi, come testimonianze dei benefici straordinari ottenuti con la loro intercessione [12]. Inoltre, questa pratica viene ricordata negli statuti sinodali, nelle visite pastorali, nelle cronache di città e province e in libri di medici e sacerdoti sulle cure da praticare al neonato [13]. Queste usanze, che oggi possono apparire anacronistiche e obsolete, residui di un passato dominato dall’ignoranza, dalla superstizione e da una fede cieca, erano consuetudini legate al bisogno dei familiari di modificare la sorte di dannazione alla quale credevano che il morto fosse destinato. Alcuni aspetti di questi riti richiamano anche l’idea che costruire un migliore ricordo del figlio possa servire a elaborare più efficacemente il dolore per la sua perdita. Tuttavia, a causa della mancanza di studi randomizzati di alta qualità condotti in quest’area, i benefici degli interventi attualmente esistenti volti a fornire supporto a madri, padri e famiglie che vivono la morte perinatale non sono chiari, così come le prove attualmente disponibili sui potenziali effetti dannosi di alcuni interventi (per esempio vedere e tenere in braccio un bambino deceduto) rimangono inconcludenti [14-16]. Infatti, a seconda di come viene vissuto e gestito il processo di lutto, la creazione della memoria potrebbe anche avere effetti negativi. Per esempio, la rievocazione continua potrebbe diventare un’ancora nel passato che impedisce di affrontare e superare il dolore e quindi vivere il presente e proiettarsi nel futuro; una fonte di sovraccarico emotivo dovuto alle varie commemorazioni; creare tensioni all’interno della famiglia se i suoi
membri hanno approcci differenti al lutto e magari desiderano distanziarsi emotivamente dal ricordo per guarire; accentuare o prolungare un eventuale senso di colpa o di responsabilità per la morte del bambino. Per scongiurare questi effetti negativi e impedire che prendano il sopravvento, potrebbe essere importante considerare la creazione della memoria come un processo flessibile e personale, magari anche per mezzo dell’aiuto di un terapeuta o la partecipazione a gruppi di mutuo aiuto diretti da uno psicologo esperto [17].
Nel contesto medico-sanitario, la creazione della memoria in seguito alla morte di un bambino potrebbe assumere un significato particolare nel coinvolgere anche il personale sanitario. Dare la possibilità ai cari del bambino deceduto di creare suoi ricordi allo scopo di stabilire una connessione che continui dopo il decesso e aiutarli a elaborare la separazione in modo meno traumatico, rifletterebbe un approccio volto a valorizzare la dimensione umana della relazione di cura nel fine vita estesa anche ai cari del paziente, e che prosegue anche dopo il delicato momento del lutto.
Il personale sanitario potrebbe dare ai cari del bambino l’opportunità di scattare delle foto o di fare dei filmati, testimonianze visive che possono essere particolarmente utili per la costruzione dell’identità [18,19]. L’usanza di fotografare i defunti, conosciuta come “fotografia post mortem”, era una pratica diffusa durante l’epoca vittoriana (1837-1901), in un contesto in cui la morte, specialmente quella infantile, era molto comune a causa delle scarse condizioni igieniche e delle ma-
Figura 1. Piemonte, Resuscitazione e battesimo di un neonato, 1757. Da Turchini A. Ex voto. Arolo, 1992:62. La grande didascalia posta nel cartiglio sotto la Madonna col Bambino in trono, svela la grazia ottenuta: “1757 a [dì] 7 maggio / un fanciullo morto figlio di / Pietro Antonio Tambornino del / Forno per intercessione della SS.V. / [ha] dato segni di nuova vita sino a / ricevere l’acqua del S. battesimo”. Sulla destra una donna, forse la levatrice, tiene in braccio un neonato con gli occhi ancora chiusi e avvolto in un lenzuolino bianco, mentre sta ricevendo l’acqua del battesimo versatagli sul capo da un elegante signore vestito di blu con il cappello sotto braccio. Vicino a
stanno altre
oranti con vestiti rossi e blu come l’abito della Madonna.
2. Luogo non identificato, Resuscitazione di un neonato, 1754. Da Turchini A. Ex voto. Arolo, 1992:129. La scena è divisa in due parti. A sinistra una donna a capo coperto ha appena deposto su un piano un neonato completamente nudo, adagiato in una cesta, con gli occhi chiusi e il cordone ombelicale ancora aperto dal quale escono gocce di sangue, segno evidente della nascita recentissima e della ripresa della vitalità. Accanto a loro stanno, inginocchiati e oranti, un giovanetto, forse un fratello, e due adulti oranti che indossano vestiti eleganti. A destra, in una scena posteriore al ricevimento della grazia, un sacerdote è davanti ad un altare durante l’elevazione dell’ostia durante la messa per il ringraziamento dell’avvenuta resurrezione momentanea. Il piano superiore è occupato quasi per intero dai due intercessori: la Madonna col bambino e san Sebastiano. Gesù Bambino ha gli occhi chiusi ed è vestito di rosso, lo stesso colore dell’abito dell’angelo che lo sta toccando per risvegliarlo, così come il neonato morto si risveglierà dalla morte accarezzato sul capo dalla donna che è inginocchiata accanto a lui, vicina al padre genuflesso e orante.
lattie [20]. Le famiglie spesso non avevano altre immagini dei loro cari e quindi la foto del defunto rappresentava un modo per ricordarlo e mantenerne viva la memoria. Per molti era l’unica fotografia esistente di quella persona. Le fotografie si realizzavano spesso facendo sembrare il defunto come se fosse in vita, semplicemente addormentato, per esempio mettendolo vestito in posizione eretta o seduta. A volte venivano ritratti con oggetti personali o circondati dai familiari. Le fotografie erano spesso toccanti, con un forte valore simbolico, poiché rappresentavano l’ultimo legame con il defunto [21]. Per contribuire alla creazione della memoria della persona deceduta, i sanitari potrebbero donare ai cari del bambino delle coperte o dei vestiti magari utilizzati durante le ultime ore di vita, oppure dei cartoncini con le impronte delle mani o dei piedi, una ciocca di capelli, il braccialetto identificativo dell’ospedale o i libri che essi hanno letto ai figli durante il ricovero. Questi oggetti potrebbero rappresentare un preciso legame fisico con il bambino, offrendo ai genitori un conforto tangibile da portare con sé anche una volta lasciata la struttura sanitaria dove è avvenuta la scomparsa [22].
Ancora, la possibilità di realizzare cerimonie o liturgie, rispettando le credenze religiose e culturali dei genitori, potrebbe rappresentare una componente essenziale per permettere una gestione del lutto più umanizzata. Oggi nella maggioranza delle strutture sanitarie italiane è presente una cappella di tradizione cattolica, dove i fedeli possono raccogliersi nella preghiera e celebrare i propri sacramenti, compreso il battesimo per il proprio bambino morto. Tuttavia, data la multiculturalità e il pluralismo etico del nostro stato laico, sarebbe necessario prevedere apposite aree o stanze, nel rispetto delle norme igienico sanitarie, anche per quei genitori che non si riconoscono nella fede cattolica e che hanno bisogno di un momento dedicato magari a dare un nome al bambino e dirgli addio mediante i riti della propria religione, spiritualità o convinzioni. Inoltre, proprio tale molteplicità di visioni richiede che il personale sanitario sia formato per gestire queste situazioni con sensibilità e rispetto. Infine, la presenza di psicologi nell’ambiente ospedaliero potrebbe essere determinante per aiutare i genitori a elaborare la perdita, come pure per sostenere il personale sanitario stes-
so, che in questi casi deve comunque sempre affrontare una sofferenza emotiva intensa.
La creazione della memoria nel contesto del lutto neonatale all’interno di una struttura sanitaria rappresenta quindi un equilibrio delicato tra il rispetto dei desideri e delle credenze dei genitori, la necessità di mantenere un ambiente sicuro e l’impegno a garantire una relazione umana e compassionevole tra il personale sanitario e i familiari. Essa svolge un ruolo cruciale non solo nel processo di lutto, ma anche nel rafforzare l’importanza dell’umanità nelle cure sanitarie, offrendo ai genitori un supporto emotivo e una via per dare un significato alla perdita.
Gli autori dichiarano che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra rivista.
Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interessi.
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11. Il battesimo poteva modificare la linea ereditaria, consentendo per esempio al padre di mantenere la dote della moglie morta di parto, vedi Foscati A. Venire alla luce e rinascere. Il cesareo da madre morta e il miracolo à répit nel tardo medioevo. In Foscati A, Gilson Dopfel C, Parmeggiani A (a cura di). Nascere. Il parto dalla tarda antichità all’età moderna. Il Mulino, 2017:95-114.
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21. Harris R. “Death and Post-mortem Photography in History”. Photography and Death: Framing Death throughout History. Emerald Publishing Limited, 2020:1-17.
22. LeDuff LD 3rd, Bradshaw WT, Blake SM. Transitional Objects to Faciliate Grieving Following Perinatal Loss. Adv Neonatal Care. 2017 Oct;17(5):347-53.
Figura 3. Fotografia di un bambino defunto, epoca
Info
Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali
Errori nella somministrazione di farmaci ai bambini
Secondo uno studio osservazionale condotto in un ospedale pediatrico di Sidney, gli errori di somministrazione dei farmaci ai bambini continuano a rappresentare un’evenienza tutt’altro che rara, oltre che preoccupante. Lo studio (Westbrook J, Li L, Woods A et al. Risk Factors Associated with Medication Administration Errors in Children: A Prospective Direct Observational Study of Paediatric Inpatients. Drug Saf. 2024 Jun;47(6):545-56), durato 5 mesi, ha visto coinvolti 298 infermieri osservati mentre somministravano 5137 dosi di farmaci a 1530 bambini, con l’obiettivo di identificare i fattori di rischio associati agli errori di somministrazione. Dallo studio è emerso che il 37% delle somministrazioni conteneva errori (1899 dosi, limiti di confidenza al 95% da 35,7 a 38,3), il 25,8% dei quali considerati potenzialmente gravi (489 dosi, limiti di confidenza al 95% da 23,8 a 27,9). Infusioni e iniezione endovenose, somministrazioni mattutine e nel fine settimana, pazienti d’età superiore a 11 anni e farmaci orali richiedenti diluizione erano tutti fattori di rischio associati a errori di somministrazione. In particolare il 64,7% delle infusioni e il 77,4% delle iniezioni endovenose si associavano a uno o più errori, spesso riguardanti la selezione e il volume dei solventi e dei diluenti. I farmaci orali che richiedevano un solvente o diluente avevano un tasso di errore tre volte superiore rispetto ai farmaci orali già pronti all’uso (rapporto del tasso di incidenza aggiustato 3,09, limiti di confidenza al 95% da 2,78 a 3,43) e gli errori erano significativamente più frequenti nei bambini di età superiore a 11 anni. Quanto osservato è presumibilmente legato alla frequente necessità, nella preparazione delle dosi pediatriche, di ricostituire preparazioni destinate alla popolazione adulta con passaggi multipli e dispendiosi in termini di tempo, che possono aumentare il rischio di errori. Nella pratica, le strategie di prevenzione degli errori terapeutici devono porre particolare attenzione ai farmaci somministrati per via endovenosa e non trascurare i bambini più grandi. Resta ferma l’importanza di curare le condizioni di lavoro degli operatori sanitari e di integrare efficacemente le tecnologie terapeutiche in un’ottica di miglioramento della sicurezza dei pazienti pediatrici.
(Fonte Farmacovigilanza.eu)
Esempio pratico dei rischi dell’autonomia differenziata
Il 19 settembre il Ministero della Salute in una nota ufficiale comunicava che l’anticorpo monoclonale Nirsevimab-Beyfortus, utilizzato per la cura delle infezioni da virus respiratorio sinciziale in età pediatrica, con Determina AIFA n. 9 del 4 gennaio 2023 è stato classificato tra i farmaci di classe “C” e vendibile al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti. Il predetto anticorpo monoclonale non è incluso, peraltro, nel vigente piano nazionale prevenzione vaccinale. Tale prestazione si configura pertanto come un “extra Lea”. Risulta che, a livello nazionale, più Regioni abbiano previsto, autonomamente, la somministrazione monodose dell’anticorpo monoclonale Nirsevimab senza oneri per i pazienti. Appare quindi necessario, alla luce di quanto sopra rappresentato fornire i seguenti chiarimenti:
• le Regioni in piano di rientro dal disavanzo sanitario (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia), non possono, a oggi, garantire la somministrazione dell’anticor-
po monoclonale Nirsevimab (classificato in fascia “C” da aifa) in quanto, come già rappresentato, trattasi di prestazione “extra LEA”;
• le restanti Regioni e Province autonome possono, a oggi, garantire la somministrazione dell’anticorpo monoclonale Nirsevimab, solo a condizione che la copertura finanziaria sia assicurata.
Poche ore dopo il Ministero della Salute ha diffuso una seconda nota in cui afferma che sono stati già avviati i contatti con l’Aifa al fine di rendere disponibile in tutte le Regioni, a carico del servizio sanitario nazionale e dunque senza oneri per i cittadini, l’anticorpo monoclonale.
Questo è un piccolo esempio di quello che può accadere se prima di ratificare l’autonomia differenziata non vengono stabiliti i livelli essenziali delle prestazioni. Perché se la somministrazione di un farmaco come l’anticorpo monoclonale serve a salvare una vita e a ridurre il numero dei ricoveri in ospedale, non si può certo consentire che questo possa accadere in alcune Regioni e non in altre.
(Fonte: Paolo Siani)
Iniziative dell’Unicef per la Settimana per l’allattamento
Anche l’Unicef Italia ha celebrato la Settimana per l’allattamento (1-7 ottobre), coordinata in Italia dal Movimento Allattamento Materno Italiano (MAMI) il cui tema quest’anno è stato “Stop alle disuguaglianze: sostegno a 360°”, e ha ricordato la necessità di favorire la diffusione di una cultura dell’allattamento, fondamentale per ridurre le disuguaglianze e proteggere il diritto di madri, bambine e bambini a sopravvivere e prosperare. Negli ultimi 12 anni a livello globale, il numero di bambine e bambini di età inferiore ai sei mesi esclusivamente allattati è aumentato di oltre il 10%. Ciò significa che il 48% dei neonati in tutto il mondo beneficia di questo sano inizio di vita. Secondo gli ultimi dati disponibili, migliorare i tassi di allattamento potrebbe salvare oltre 820.000 vite ogni anno. Nel 2023, in Italia, sono nati circa 54.000 bambine e bambini in territori con ospedali e comunità riconosciuti dall’Unicef Amici delle bambine e dei bambini. Secondo i dati pubblicati dalla Sorveglianza 0-2 nello stesso anno, si nota che nelle regioni in cui sono attivi progetti legati al programma OMS/Unicef si hanno tassi di allattamento superiori. Per la Settimana l’Unicef Italia ha lanciato due pubblicazioni sul Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno: Cosa devo sapere sul Codice. Una guida all’implementazione e rispetto del Codice e all’identificazione delle violazioni e Commercializzazione dei sostituti del latte materno. Rapporto 2024 sullo stato di applicazione, in collaborazione con IBFAN Italia. Le due pubblicazioni rappresentano due strumenti utili per gli operatori e le operatrici per proteggere le famiglie dalle pressioni commerciali e sostenerle nelle scelte basate su informazioni indipendenti.
Protesta a Vevey: oltre centomila firme contro il doppio standard di Nestlé sullo zucchero negli alimenti per bambini
Più di 105.000 persone hanno firmato una petizione che chiede a Nestlé di smettere di aggiungere zucchero ai suoi prodotti alimentari per bambini commercializzati nei Paesi a basso reddito. È stata consegnata presso la sede della multinazionale a Vevey, dove le ONG Public Eye, IBFAN ed EKO hanno scaricato l’equivalente simbolico di 10 milioni di zollette di zucchero, che rappresentano lo zucchero aggiunto consumato ogni giorno dai bambini nutriti con cereali Cerelac. In Svizzera, tali prodotti sono venduti senza zuccheri aggiunti. Lo scopo della petizione è chiedere alla principale società di alimenti per bambini di porre fine a questa pratica dannosa. Un camion che mostrava lo slogan “Per Nestlé, non tutti i bambini sono uguali” è arrivato su Ave-
nue Nestlé a Vevey, accompagnato dagli sguardi stupiti dei passanti: trasportava 40 m3 di scatole vuote che rappresentavano 10 milioni di zollette di zucchero, la quantità di zucchero aggiunto contenuta nei prodotti per bambini Cerelac venduti ogni giorno nei Paesi a basso e medio reddito. Public Eye e i suoi partner, l’International Baby Food Action Network (IBFAN) ed EKO stanno chiedendo con questa azione di “restituzione al mittente” al gigante alimentare di porre fine all’oltraggioso doppio standard rivelato da una loro indagine. Una petizione firmata da più di 105.000 persone è stata consegnata anche ai rappresentanti dell’azienda. Due dei marchi di alimenti per bambini Nestlé più venduti nei Paesi a basso e medio reddito – cereali per neonati Cerelac e latti Nido per la crescita – contengono alti livelli di zuccheri aggiunti, mentre tali prodotti Nestlé non hanno zuccheri aggiunti in Svizzera. L’azienda promuove con un marketing aggressivo questi prodotti come sani e fondamentali per sostenere lo sviluppo dei bambini piccoli, nei suoi principali mercati in Africa, Asia e America Latina. Ma l’esposizione a cibi zuccherati all’inizio della vita può creare una preferenza per tutta la vita per i prodotti zuccherati, aumentando il rischio di sviluppare l’obesità e numerosi problemi di salute correlati, come il diabete o le malattie cardiovascolari. Questo è il motivo per cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità vieta l’aggiunta di zucchero agli alimenti per bambini. L’indagine ha scatenato un’ondata di indignazione in tutto il mondo e ha spinto le autorità indiane, del Bangladesh e nigeriane ad avviare indagini, mentre le richieste di boicottaggio sono aumentate sui social network. A giugno, Public Eye e IBFAN hanno invitato la Segreteria di Stato svizzera per gli affari economici a porre fine a queste pratiche commerciali non etiche, che danneggiano anche la reputazione della Svizzera. Fino a oggi, Nestlé si nasconde ancora dietro il rispetto delle normative vigenti. La multinazionale sottolinea i suoi sforzi per ridurre gradualmente lo zucchero nei suoi prodotti, così come l’introduzione di alternative senza zuccheri aggiunti in alcuni mercati, come annunciato in India. Tuttavia, queste mezze misure sono inadeguate e perpetuano un doppio standard con conseguenze devastanti per la salute pubblica.
(Fonte Ibfan)
La trasparenza non basta: un’analisi a 10 anni dall’introduzione del Sunshine Act negli USA
Un recente articolo pubblicato sul Wall Street Journal (Tokar D. Ten Years of Payment Disclosure Does Little to Curtail Corporate Influence Over Doctors. July 23, 2024) fa un’analisi impietosa dei dati del sistema di dichiarazione obbligatoria delle relazioni finanziarie tra medici e industria introdotto in USA nel 2014. Il pagamento ai medici da parte delle ditte (che si tratti di un pasto gratuito o di una consulenza) è un metodo noto per influenzare le decisioni e aumentare l’uso di farmaci e dispositivi.
Una delle idee su cui si basava il Sunshine Act, un sistema di dichiarazione obbligatoria delle relazioni finanziarie, era aumentare la trasparenza e ridurre queste pratiche. A distanza di 10 anni, l’investimento delle ditte è quasi raddoppiato, passando dai 6,49 miliardi di dollari del 2014 ai 12,75 del 2023, un incremento giustificato in parte dall’inflazione, ma registrato soprattutto da quando sono tracciati anche i finanziamenti ad altre figure professionali quali assistenti medici e infermieri specializzati che negli USA hanno la possibilità di prescrivere farmaci e dispositivi.
L’articolo approfondisce vari aspetti del database che traccia i pagamenti, spesso concentrati su pochi medici (opinion leader), da cui le aziende si aspettano un vantaggioso ritorno economico, ma poco conosciuto dai pazienti, che avrebbero teoricamente la possibilità di selezionare un curante privo di conflitti di interessi economici. Il giornalista suggerisce che la pubblicazione dei dati potrebbe aver aiutato le ditte ad affina-
re le loro strategie di marketing. Infatti, usando i dati, le ditte riuscirebbero a dirigere meglio il proprio investimento verso i medici suscettibili di essere influenzati, o a non investire su quelli che stanno già promuovendo un prodotto della concorrenza.
Dal database è nata una startup, Conflixis (https://www. conflixis.com), che fornisce agli utenti un servizio per monitorare i conflitti di interessi, promuovere la fiducia tra l’organizzazione e il pubblico, e creare una cultura basata su decisioni etiche e responsabili. Gli ospedali, infatti, chiedono ai loro medici di divulgare annualmente le relazioni finanziare con l’industria e i dati trasparenti sui pagamenti forniscono un modo per verificare la veridicità di tali divulgazioni ed evitare sanzioni. Nel 2019 Sanford Health, una rete di ospedali in Sud Dakota, ha pagato una multa di 20,3 milioni di dollari perché a conoscenza del fatto che uno dei suoi principali neurochirurghi aveva ricevuto tangenti per l’uso di un dispositivo di fusione spinale che lui stesso aveva contribuito a sviluppare, senza tuttavia gestire il conflitto di interessi. (Fonte Nograzie)
Mense scolastiche: migliora la mensa ma nei rifiuti finisce metà del pasto e della tariffa Il 9° Report dei menù scolastici di Foodinsider ha evidenziato luci e ombre del servizio. Rispetto all’anno precedente, migliora il 44% dei menù analizzati, il 29,5% rimane stabile e il 20% mostra un calo di qualità. Il miglioramento è significativo nei Comuni che hanno rinnovato le gare d’appalto, come Trento, Udine, Frosinone, Rieti e Siracusa. I dati del 2023/24 sono confrontati con quelli degli ultimi 5 anni, dimostrando come la legge dei Criteri Ambientali Minimi (in vigore dall’agosto 2020) abbia reso i menù più sani e sostenibili, con maggiore varietà di alimenti, più biologico, legumi e prodotti locali. Tuttavia, aumenta il cibo processato e, secondo vari insegnanti, diminuisce la percentuale di pasto consumato. I maggiori consumi si riscontrano nelle scuole che fanno educazione alimentare, con cucine interne, più tempo per il pranzo, refettori meno rumorosi e frutta servita a metà mattina. Poche realtà monitorano il ridotto consumo, rendendo necessarie rilevazioni sugli scarti per affrontare il fenomeno. Questa è la situazione emersa dal report del 9° Rating dei menù scolastici pubblicato da Foodinsider, che monitora annualmente le mense scolastiche in Italia. In cima alla classifica c’è il menù che ha meglio interpretato l’alimentazione come strumento di salute e rispetto ambientale: il Comune di Sesto Fiorentino, che è passato dal quintultimo posto del 2017 al primo. Dall’olio extra vergine d’oliva locale alla trota della Lunigiana, il 73% degli alimenti nel menù proviene da filiera corta. Nella mensa di Sesto Fiorentino sono banditi plastica e piatti processati. I menù di Parma, Fano e Cremona si confermano di alto profilo, con Cremona che eccelle per l’abilità gastronomica. Le mense del Sud mostrano segnali di ripresa, in particolare Bari, Brindisi e Siracusa, che guadagna 57 punti rispetto all’anno scorso. Il Report dedica un focus speciale al pane, presente a ogni pasto. Nonostante panini plastificati e farine raffinate, emergono realtà che offrono varietà di pane, anche integrale, e che ricostruiscono filiere locali. Vengono raccontate best practice per una mensa sostenibile, tra cui progetti europei Horizon, attività delle agenzie regionali per l’agricoltura e proposte delle fondazioni bancarie, fino alle azioni della società civile, come il Consiglio del Cibo a Roma.
Libri
Occasioni per una buona lettura
Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano
Pediatria di famiglia
L’evoluzione necessaria di un mestiere tra nuovi bisogni di salute e nuovi contesti organizzativi
A cura di Michele Gangemi, Giorgio Tamburlini
Il Pensiero Scientifico Editore, 2024, pp. 352, euro 35
Il pediatra viene chiamato a essere sia una sentinella, in grado di individuare gli ostacoli a un sano sviluppo del bambino, sia voce autorevole nella comunità per la promozione della protezione della salute. È un libro politico quindi, in cui, senza mezze parole ma con chiarezza di intenti e rigore scientifico, vengono avanzate proposte concrete di riorganizzazione delle cure primarie per ottimizzare le risorse e dare una risposta etica ai bisogni reali ed emergenti dei bambini e delle bambine e delle loro famiglie.
Maria Letizia Rabbone
Cortili intelligenti
Salute Partecipazione Realizzazione Apprendimento di Paolo Giordano, Raffaella Mulato e Stephan Riegger Alma Mater Studiorum Università di Bologna, 2024, pp. 370, open-access (https://amsacta.unibo.it/id/eprint/7733/1/Koine vol3 Cortili Intelligenti 2024.pdf)
Nell’introduzione dei curatori la lettura di questo libro viene consigliata ai giovani pediatri di famiglia da poco entrati nella professione e a quelli in formazione. Io credo che sia un’opera indispensabile per ogni pediatra che in questo momento storico eserciti la professione o, come è detto, il mestiere. Un mestiere in continua evoluzione, a partire dal 1979, anno in cui è nata la pediatria di famiglia. Durante questi anni si sono costruiti percorsi e saperi, e i cambiamenti della società, sempre più rapidi, ci interrogano quotidianamente. Gli autori, oltre che esperti, sono colleghi appassionati al singolo tema, affiancati da pediatri giovani che pongono istanze e propongono soluzioni concrete e innovative. Leggendo questo libro, scorrevole e appassionante e nello stesso tempo rigoroso dal punto di vista scientifico, ho trovato risposte a tante domande che, come pediatra delle cure primarie, mi si presentano quotidianamente e alle quali non è etico rispondere con il solo buon senso. Le famiglie di oggi sono un mondo complesso e variegato: come deve porsi il pediatra di fronte a tanti scenari e a tante istanze? Come deve essere organizzato un ambulatorio pediatrico per promuoversi come riferimento per le bambine, i bambini e le loro famiglie? Come possono i pediatri che lavorano in gruppo prendersi cura di sé stessi e del loro percorso insieme? La pediatria delle cure primarie può proporsi come un motore di sistema di salute pubblica, sviluppando l’integrazione, il lavoro di rete e la costruzione di sistemi relazionali di cura? È possibile costruire una rete con l’ospedale, i servizi sociali, la scuola? È possibile una pediatria che integri Evidence Based Medicine e comunicazione empatica?
Alcuni capitoli trattano in maniera esauriente temi di importanza cruciale sui quali è sempre difficile riuscire a informarsi in maniera adeguata, come la comunicazione con il bambino e la famiglia, le cure palliative, il ruolo dell’ambiente come determinante di salute. Un tema cruciale come l’early child development, definita dall’American Academy of Pediatrics “the new science of pediatrics” che offre una visione complessiva dello sviluppo del bambino nei primi anni e dei fattori che possono influenzarli, induce il lettore a riflessioni profonde sul ruolo e le responsabilità del pediatra nella valutazione e nella promozione dello sviluppo. E ancora, il capitolo che tratta di advocacy (con il suo significato letterale “alzare la voce in favore di”) ci richiama tutti “all’impegno in favore di una bambina o di un bambino e della loro famiglia al di là delle questioni relative alla cura di condizioni individuali” (Jacobi A. Pediatra statunitense. 1904).
“A scuola l’ambiente di apprendimento è ingessato, limitato alle aule che diventano ‘luoghi di compressione psichica’, mentre lo spazio dovrebbe essere il terzo educatore: tutto lo spazio, ovvero l’edificio e il suo intorno, il cortile, il quartiere”. Il libro, rivolto a docenti, educatori, amministratori, sanitari, illustra il modello di Scuola in Movimento, frutto di un percorso che ha integrato architettura, pedagogia, urbanistica, partecipazione, salute, scienze dello sport, sociologia e neuroscienze. Il libro è diviso in due parti. Nella prima parte viene dimostrata l’efficacia della riqualificazione dei cortili scolastici e dello spazio circostante le scuole per favorire occasioni di gioco libero, agevolare l’attività motoria e la riorganizzazione della quotidianità scolastica. La seconda parte del libro contiene i dettagli tecnici per la progettazione e la costruzione degli strumenti. Il metodo di lavoro proposto è partecipativo, per “imparare facendo”, per sviluppare una comunità educante, germe di una cittadinanza attiva.
Le ormai innumerevoli evidenze della necessità di trascorrere, nei primi anni di vita, un adeguato tempo quotidiano all’aperto con gioco libero e in movimento, mettono in luce non solo i benefici fisici, ma attraverso indispensabili opportunità di effettuare esperienze sensoriali e attività motorie diversificate, di affrontare situazioni di problem solving che richiedono collaborazione fra pari, dimostrano benefici per lo sviluppo cognitivo, cerebrale, attentivo, comportamentale. Il libro propone quindi attraverso adeguamenti strutturali dei cortili scolastici efficaci modifiche di spazio e tempo educativo.
Laura Todesco
Insegnare il pensiero critico
Saggezza pratica di Bell Hooks
Meltemi, 2023, pp. 222, euro 17
Questo libro fa parte di una trilogia sulla pedagogia impegnata che l’autrice ha esercitato negli anni del suo insegnamento accademico. Bell Hooks – pseudonimo di Gloria Jean Watkins, studiosa americana – affronta le questioni di razza, genere e classe e pone il focus sul potere trasformativo del pensiero critico. L’autrice lo presenta come un battito cardiaco che fa pulsare il desiderio di conoscenza sul funzionamento della vita. Questo tema ci interessa perché il pensiero critico ha origine nella prima infanzia. I bambini sono naturalmente portati a in-
CORTILI
dagare, interrogare, esplorare l’ambiente. Hanno bisogno di ricevere risposte a domande sul “chi, cosa, quando, dove della vita” finalizzate a comprendere “cosa conta di più”. Questa curiosità spesso viene spenta dagli intenti educativi di tipo formale che inducono una sorta di addomesticamento al conformismo e alle regole. Invece di alimentare il desiderio di approfondimento intellettuale per una mente pensante, genitori e personale educativo inducono all’obbedienza piuttosto che all’autoconsapevolezza e all’autodeterminazione. Sembra che una mente pensante vada scoraggiata perché ritenuta pericolosa. Chi è abituato a riflettere criticamente mette in discussione le informazioni, si pone dubbi e ricerca alternative, si confronta con altri punti di vista e sa porre le questioni in modo chiaro, preciso e pertinente. Chi utilizza queste buone prassi le applica anche ad altre abilità come l’espressione scritta e verbale, la capacità di ascolto, il dialogo e in ultima analisi tutto questo alimenta il sentimento di sentirsi adatti alla vita, saper affrontare le sue sfide con la conseguenza di sostenere lo sviluppo dell’autostima. Il libro presenta i valori che il pensiero critico smuove. Uno di questi è la democrazia. Attraverso l’apprendimento continuo, l’educazione è vissuta come pratica di libertà e fa prosperare la cittadinanza responsabile attraverso la parola e l’esercizio del dissenso. Altre virtù indagate sono l’integrità e l’onesta che hanno il significato di condividere ideali e comportamenti coerenti, di riconoscere alla propria esistenza uno scopo, di desiderare di collaborare, di essere solidali con il prossimo e con la collettività, di dialogare, di saper conversare, a volte anche in modo focoso, tra persone molto diverse e riceverne un arricchimento generatore di impegno e contributo. Questo tema ci interessa perché nel nostro impegno di promozione della lettura come buona pratica nella prima infanzia, possiamo spronare i genitori a nutrire lo spirito di conoscenza dei bambini attraverso la lettura, insegnando loro a praticare soprattutto quella dialogica proficua per i ragionamenti. Le storie forniscono le cornici, espandono i sentimenti, stimolano l’intelligenza emotiva, interrogano sul proprio sentire. Le storie ci permettono di leggere la realtà e altri mondi, di rintracciare il nostro coraggio quando ci sentiamo persi, di riacquistare consapevolezza e di approfondire la conoscenza anche di noi stessi. Attraverso l’immaginazione possiamo “vedere” il futuro e spingerci creativamente a superare le nostre abilità acquisite. In educazione l’immaginazione come atto creativo sintetizza e collega ciò che è scollegato, svela nuove occasioni, sogni, speranze. Questo tema ci interessa perché il pensiero indipendente viene svilito in famiglie dove emergono punizioni, sensi di vergogna e di colpa e abusi. Il nostro contributo può fare la differenza per preparare le persone a esercitare una genitorialità responsiva e responsabile nell’insegnare ai bambini “il potere di percepire, pensare e interpretare, sentire, desiderare e scegliere; e il potere di immaginare”. Chi acquisisce queste libertà si pone in prospettive diverse, sa che queste possono cambiare nel tempo, sa affrontare le problematiche della diversità e contrastare episodi di odio e discriminazione con competenza, senza cedimenti.
Alessandra Sila
Le radici psicologiche della disuguaglianza
di Chiara Volpato Laterza, 2023, pp. 264, euro 18
Gli interessi di ricerca di Chiara Volpato, professoressa ordinaria presso la facoltà di Psicologia di Milano-Bicocca, riguardano le
relazioni tra gruppi e in particolare la deumanizzazione, il pregiudizio, il sessismo e i rapporti tra storia e psicologia sociale. Il lavoro di Volpato giunge come un completamento del testo di Carra e Vineis Il capitale biologico. Le conseguenze sulla salute delle disuguaglianze sociali (Codice Edizioni, 2022) recensito su queste pagine. L’autrice inizia con una serie di dati sulle disuguaglianze economiche. Nel 2015 la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale ha superato quella del restante 99%. Negli ultimi tre decenni negli Stati Uniti i redditi della classe media sono rimasti costanti. In Italia in pochi anni le dieci famiglie più ricche hanno fatto un balzo in avanti del 70%, mentre l’economia è retrocessa del 12%. Viene riportato anche uno studio interessante svolto nei 33 quartieri di Londra relativamente all’aspettativa di vita. Se ci si sposta verso est sulla linea della metropolitana Jubilee l’aspettativa di vita dei residenti diminuisce di sei mesi a ogni fermata. Volpato fa anche qualche cenno storico sull’andamento delle disuguaglianze. La fase più egualitaria, sia per l’Europa che per gli Stati Uniti, è stata quella dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni settanta, periodo in cui le disuguaglianze si sono ridotte sia per la forte crescita economica e demografica, sia per la tassazione delle ricchezze. La tendenza si è invertita dagli anni ottanta con l’offensiva politica in nome del neoliberismo. Nel testo l’autrice illustra, attraverso una mole di studi (371 voci bibliografiche), le frodi di cui siamo vittime e responsabili nel tentativo di razionalizzare l’ingiustizia sociale. Processi di legittimazione. Le credenze legittimanti giustificano la disuguaglianza spiegando il diverso successo dei gruppi sociali in termini di capacità intellettuali, volontà, impegno di lavoro. I sistemi percepiti come legittimi sono sistemi stabili, in cui le relazioni tra gruppi di status diverso sono concordemente accettate come giuste. I pregiudizi e gli stereotipi. Gli stereotipi ambivalenti aiutano a mascherare le differenze di classe. Pensare ai ricchi come persone intelligenti, ma fredde e ai poveri come intellettualmente meno dotati, ma ricchi di calore umano, aiuta gli individui ad accettare le situazioni di sperequazione (interiorizzazione dell’inferiorità sociale). L’associazione status/competenza rafforza e legittima il sistema: ognuno riceve quello che merita. Meritocrazia. Per l’ideologia meritocratica, chiunque è in grado di salire la scala sociale se lavora e ha talento. In realtà molte ricerche sostengono l’opposto: è solitamente la posizione nella gerarchia sociale a determinare abilità, interessi e talenti. Privilegi. La credenza nella meritocrazia sta alla base della negazione del privilegio, indotta dal desiderio di considerarsi persone meritevoli. La cultura del privilegio tende a normalizzare la disuguaglianza. Interessante una difficile indagine svolta su membri dell’upper class newyorkese in cui gli intervistati per indicare il proprio status usano eufemismi, come confortable, per mascherare il disagio rispetto al privilegio e si definiscono persone per bene ( good people). Inoltre mostrano una grande riluttanza a parlare della propria ricchezza: “money is more private than sex”. Distorsioni percettive. L’aumento della distanza tra le persone che aderiscono a orientamenti diversi (persone che “vivono in mondi diversi”) rende le nostre società più conflittuali e sempre meno capaci di prendere decisioni economiche, politiche e sociali condivise. Insomma la scomparsa delle ideologie è una frottola. Esiste una sola e potente ideologia, quella del libero mercato, e “la psicologia sociale deve, se vuole essere significativa, schierarsi per il cambiamento”. Come dire che ogni presa di posizione pubblica, anche attraverso un testo con solide basi accademiche come questo, svolge un’azione politica.
Claudio Chiamenti
Pediatria di famiglia
L’evoluzione necessaria di un mestiere tra nuovi bisogni di salute e nuovi contesti organizzativi
A cura di Michele Gangemi e Giorgio Tamburlini
www.pensiero.it
Terza edizione
L’innocenza.
Mostro, chi?
Rubrica a cura di Italo Spada
Comitato per la Cinematografia dei Ragazzi di Roma
L’innocenza
Titolo originale: Monster
Regia: Hirokazu Kore’eda
Con S. Ando–, E. Nagayama, S. Kurokawa, H. Hiiragi, M. Takahata Giappone, 2023
Durata: 126’
Lo confesso: per non influenzare più di tanto letture e interpretazioni personali, avevo pensato di recensire questo film del regista giapponese Kore’eda, premiato per la migliore sceneggiatura al 76° Festival di Cannes, con una sola frase. La scelta era caduta sul noto aforisma di Hermann Hesse: “Anche un orologio fermo segna l’ora giusta due volte al giorno”. Lo avevo deciso anche per non scaricare sugli altri il mio frettoloso giudizio quando, ancora prima di vedere il film, ho reputato incomprensibile ed errata la trasposizione del titolo originale (Kaibutsu, ovvero Mostro) in L’innocenza. O si è mostri, o si è innocenti. Come si fa a mettere insieme – mi sono chiesto – due cose così antitetiche? Interrogativo eliminato dalla cronaca di tutti i giorni dove fioccano i casi di innocenti giudicati colpevoli e viceversa. Pertanto, prima di esprimere un giudizio, è buona regola esaminare attentamente i particolari di ciò che accade, l’attendibilità di chi testimonia, le finalità, gli interessi personali, le credenze e quant’altro. Regola che vale non solo per i fatti di cronaca, ma anche per le fiabe, i racconti, i romanzi, i film…
Proviamo, allora, a indossare la toga, a suonare il campanello, a dire “la seduta è aperta” e a dare la parola ad accusatori e accusati.
Si fa avanti la signora Saori, vedova e madre del piccolo Minato. Dopo aver notato le stranezze del figlio e aver prestato fede a quello che le ha confidato, piomba nella presidenza della scuola e denuncia il comportamento violento del giovane professor Hori. Le accuse: avere parlato in classe di reincarnazione, avere provocato negli alunni pericolose e strane convinzioni (come quella di essere un mostro con il cervello di un maiale), avere picchiato un bambino…
Convocazione del consiglio direttivo, imputazione di ingiustificate ed eccessive punizioni corporali all’alunno Minato, umiliante mea culpa dell’incriminato, inchini e scuse della preside Makiko e degli insegnanti alla signora Saori, verdetto di colpevolezza e licenziamento del professor Hori. Fine del processo. Quello pubblico, non quello individuale che prevede appelli a catena e rimane aperto nelle coscienze dei singoli. Usciamo fuori allora da aule, corridoi, presidenza, scuola e diamo la parola all’imputato Hori.
La sua versione è completamente diversa da quella ufficiale. Si è inchinato davanti alla preside e ai colleghi e ha chiesto scusa alla signora Saori, ma non l’ha fatto perché ha riconosciuto i suoi errori e si è pentito. Quello che abbiamo visto e sentito è solo una descrizione soggettiva di una mamma e di suo figlio che non corrisponde a ciò che è realmente accaduto. Incomprensio-
ni ed errate interpretazioni di parole e gesti hanno trasformato il normale comportamento di un docente per mantenere la disciplina in classe in bullismo e violenza gratuita. Hori non ha picchiato Minato, non ha infangato i bambini, non li ha offesi, non ha impartito lezioni di reincarnazioni. Ha accettato di caricarsi la croce solo per non danneggiare il buon nome dell’istituto, pur sapendo che anche la preside, nonostante si presenti più di una volta come umile addetta alle pulizie, ha qualche rimorso di coscienza. Il colpevole va cercato altrove; magari, come accade nei gialli classici, tra gli insospettati. Ora che non è più vincolato dal regolamento scolastico, è bene chiarire tutto anche con la mamma del bambino. È così che, da accusatrice e accusato, Saori e Hori diventano investigatori complici e scoprono non solo che Minato ha un amico emarginato che si chiama Yori ed è vittima delle violenze di suo padre, ma anche che – oltre alla loro amicizia particolare, oggetto di velenosi commenti da parte dei compagni – i due condividono un inconfessabile segreto. “Il mostro – si chiede il regista con riferimento al titolo originale – è qualcosa che si nasconde dietro di me o qualcosa fuori di me? I due bambini, a causa di pregiudizi sociali e di offese crudeli, finiscono per vedere dentro di sé un mostro (il cervello del maiale) e desiderano reincarnarsi, creando uno spazio insieme realistico e immaginario in cui proteggersi ed essere felici […], ma forse il mostro è dall’altra parte del mondo che dà loro la caccia, o è in ciascuno dei personaggi che è mostro per qualcun altro, comportandosi in modo spaventoso, equivoco o incomprensibile”.
Rifiutati dagli altri, Minato e Yori si sono creati, in un vagone abbandonato su un binario morto, uno spazio allo stesso tempo reale e immaginario. È da quel posto che Saori e Hori cercheranno di recuperarli per riportarli alla normalità prima che un’improvvisa tempesta faccia crollare tutto.
Ci riescono?
Da quanto ci è dato sapere, Kore’eda e lo sceneggiatore Sakamoto hanno cambiato il finale e nella versione definitiva hanno deciso di non far capire se il dramma diventa tragedia e se Minato e Yori verranno salvati, moriranno o rinasceranno.
Scelta comprensibilmente non gradita dagli spettatori. Perché trascinarci in una storia e abbandonarci proprio quando arriva la conclusione? Non è la prima volta che Kore’eda – sfruttando in modo magistrale lo specifico filmico del montaggio – cerca di coinvolgerci in vicende che invitano a giudicare gli imputati per impartirci le lezioni di Pirandello e Kurosawa, di Così è (se vi pare) e Rashōmon: la verità è ciò che crediamo ed è inutile scervellarsi quando ci troviamo di fronte a versioni e testimonianze diametralmente opposte e contrastanti. Lo aveva fatto nel 2022 con Broker. Le buone stelle; lo rifà ora con L’innocenza che chiama in causa famiglia, scuola e istituzioni. Onestà ci impone, tuttavia, di riconoscere che questa volta il regista giapponese ci aveva avvertiti ancora prima di entrare in sala; è colpa nostra se non lo abbiamo capito. Dove? Quando? Come?
Si guardi con attenzione la locandina originale: i cinque personaggi che ci stanno fissando (in alto, gli infangati Minato e Yori; in basso, mamma Saori, il professor Hori e la preside Makiko) sembrano rivolgerci una domanda: 怪物 (ovvero: Mostro) e だー れだ (ovvero: Chi?).
Nessun rimprovero per la nostra ignoranza della lingua giapponese. Dopo la traduzione di quei ghirigori e la visione del film, però, ci sia permesso fare un’indagine statistica: chi crede di avere individuato in questo film mostri e innocenti, alzi la mano. Per quanto mi riguarda, ancora una volta intendo fare tesoro dell’aforisma di Hesse e non condannare l’orologio fermo.
Congressi in controluce
Si fa presto a dire gruppo
Vi parlerò del corso precongressuale “Si fa presto a dire gruppo – Gruppo di lavoro e lavoro di gruppo in Pediatria” a cui ho partecipato, perché incuriosita dall’idea di parlare di lavoro di gruppo all’interno di un gruppo e perché il tema della gruppalità lo ritenevo (e ritengo tuttora) prezioso per la me stessa proiettata nel futuro. Sono una neospecialista che ha iniziato ad affacciarsi al mondo della pediatria del territorio da subito dopo il termine della specialità. Ho avuto esperienza (da spettatrice) di come si lavora all’interno di una pediatria territoriale di gruppo durante la mia formazione specialistica, scoprendo come il lavoro di gruppo possa essere molto arricchente, ma al tempo stesso assai complesso. Dunque, ho voluto con questo corso capire le dinamiche che ci stanno dietro. Da neospecialista che si approccia per la prima volta a questo tema in maniera sistematica non sapevo davvero cosa aspettarmi. Come tratteranno nello specifico questo argomento così complesso? Porterò qualcosa a casa con me? Sì, così è stato, credo. Si è trattato di un incontro tra differenti professionisti (non solo pediatri, ma anche assistenti sociali, segretarie ed infermiere), con differenti vissuti e differenti realtà di appartenenza. Abbiamo parlato di cosa vuol dire lavorare in gruppo, condotti da quattro esperti dell’argomento (dott. Alberto Grazioli, dott.ssa Nicoletta Livelli, dott. Leonardo Speri e il dott. Claudio Mangialavori), che hanno alternato parti teoriche alla discussione in cerchio, alla pari. Cosa emerge quando si parla di gruppo in gruppo: una sorta di metanalisi guidata, dove esperti ti mostrano cosa vuol dire leggere le dinamiche di gruppo attraverso ruoli ed emozioni. Ti rendono consapevole
che il gruppo è un insieme di individui, ma è anche un organismo che agisce in sé e per sé, frutto di processi che non possono esistere al di fuori del gruppo stesso. Ti spiegano che un gruppo di lavoro (perché è su quello che ci siamo focalizzati) agisce in funzione di un compito su cui si fonda e che esistono differenti tipi di gruppi: istituenti e istituiti, imposti e spontanei, verticalizzati e orizzontali. In alcuni le dinamiche sono più complesse rispetto ad altri, ma in tutti i gruppi ci saranno conflitto e resistenze. Conflitto che può diventare fonte di riflessione, di scambio, di dialogo, di arricchimento oppure anche di scissione e frattura, soprattutto quando un gruppo si polarizza in due fazioni.
Ho appreso che fare gruppo può fare molta paura e generare ansia, perché si cede un pezzettino di sé, perché si devono fare dei passi indietro e talvolta si devono aspettare i tempi giusti di maturazione di una decisione condivisa. L’individualità non scompare, ma si deve mettere o togliere dal tavolo a seconda della situazione, se si vuole raggiungere l’obiettivo, o meglio adempiere a quel Compito che ci si è prefissati. Ho appreso che le decisioni possono essere dei lutti, perché si lascia morire la parte che si è deciso di “recidere” e quindi possono diventare dolorose.
Ho capito che esistono dei portavoce (più o meno consapevoli) che parlano a nome del gruppo o di una parte di esso e di come i ruoli all’interno dello stesso gruppo siano spesso impliciti e possano ruotare.
Mi è piaciuta la parola “integranti”: i componenti del gruppo infatti non partecipano solamente, ma si integrano tra loro all’interno della dinamica di gruppo.
Mi è piaciuto il concetto di “fare rete”, in cui ci si chiede: ma cosa si vuole raccogliere con questa rete? Ma io sarò un nodo o un buco, in cui tutte svanisce?
Mi sono piaciute le lenti con cui è stato affrontato questo argomento, che credo mi abbiamo permesso di accrescere la mia consapevolezza su cosa significa mettersi in relazione all’interno di un gruppo di lavoro e di come lavorare in gruppo sia tutt’atro che di semplice lettura.
Grazie a tutti gli integranti!
Francesca Sforza
Gruppo di lavoro e lavoro di gruppo in pediatria
Giovedì 19 settembre (10.00-19.00)
CORSO PRE CONGRESSO “36° CONGRESSO NAZIONALE ACP”, 20-21 SETTEMBRE, JESOLO (VE)
Il Sistema sanitario nazionale e i suoi modelli organizzativi attuali scontano anche in ambito pediatrico una fase critica, legata a importanti trasformazioni in termini sia di qualità sia di sostenibilità. Appare tuttavia necessario e possibile un salto di qualità che, nel territorio e nelle strutture ospedaliere, sappia mostrare l’effettivo valore aggiunto del “lavorare insieme multiprofessionale”, che costituisce la specificità dei nuovi modelli.
Nel lavoro di cura sperimentiamo come le emozioni ostacolino o viceversa favoriscano il raggiungimento di buoni risultati: come l’individuo, anche il gruppo di lavoro è attraversato da specifici movimenti emozionali, altrettanto determinanti, sconosciuti a livello individuale ma di cui facciamo quotidiana esperienza. Nei gruppi di lavoro queste emozioni sono fortemente connesse con il compito assegnato o scelto. Una buona organizzazione è una condizione necessaria ma non sufficiente: il lavoro di cura risente inevitabilmente delle emozioni delle persone e di chi si occupa di loro. Il gruppo risuona in modo diverso dall’individuo ed è un moltiplicatore di percezioni e di reazioni che è importante riconoscere, elaborare e utilizzare.
Accanto al saper fare e al saper essere individuali quindi c’è un saper fare e un saper essere di gruppo.
Le dinamiche di gruppo hanno caratteristiche universali, che tuttavia si declinano diversamente in tutti i campi così come nei vari ambiti della pediatria, dal reparto alle terapie intensive, dal pronto soccorso alla pediatria di gruppo territoriale, ecc.
Una maggior consapevolezza di queste dinamiche, sia generali sia specifiche, può aiutare a padroneggiarle positivamente per il benessere organizzativo e istituzionale e utilmente per le persone affidate alla cura.
Il workshop vuole offrire pertanto alcuni spunti teorici e la possibilità di riconoscerli nel concreto attraverso un’esperienza di gruppo orientata a far emergere le dinamiche più frequenti nel lavoro quotidiano del pediatra e delle équipe multiprofessionali in ambito pediatrico.
Destinatari: pediatri, neonatologi, infermieri impegnati nei diversi setting delle cure pediatriche.
Indice delle rubriche
Vol. 31, anno 2024
Ambiente e salute
2 85 Ecoansia: una nuova forma di ansia o un nuovo modo di stare al mondo?
Vincenza Briscioli, Sabrina Bulgarelli
5 218 PFAS e salute: quali rischi per l’uomo?
Annamaria Sapuppo, Elena Uga
Congressi in controluce
1 48 Bambini vittime di abuso sessuale: conoscere, riconoscere, intervenire
Antonella Brunelli
2 94 Piano operativo regionale autismo lombardo e sviluppo di progettualità dedicate
Federica Zanetto
2 95 Errore, incertezza e dintorni. Dalla filosofia alla pratica clinica
Michele Gangemi
5 237 Infanzia che conta
Antonella Brunelli
5 237 Abuso sessuale sui minori. Alla ricerca di un percorso condiviso nel territorio di Monza e Brianza
Nicoletta Masera
5 238 Meeting primaverile ECPCP. Lubiana, 5-6 aprile 2024
Laura Reali
5 239 Live Webinar ACP “Alimentazione complementare: lo stato dell’arte”
Giovanna Lo Presti
6 285 Si fa presto a dire gruppo
Francesco Sforza
Editoriale
1 1 Il Congresso Nazionale ACP 2023
Stefania Manetti
1 3 Il supremo interesse del minore...sembra dimenticato
Paolo Siani
2 49 Il silenzio è calato
Patrizia Elli, Mario Renato Rossi
3 97 Note a fine mandato Presidenza ACP 2021-2024
Stefania Manetti
3 99 Addio grande maestro
Giancarlo Biasini
4 145 Nasce una nuova collaborazione tra Quaderni acp e Epidemiologia e Prevenzione
Giacomo Toffol, Michele Gangemi
5 193 Diseguaglianza e autonomia differenziata
Paolo Siani
6 241 “Il viaggio: 50 anni insieme”. Ieri, oggi e domani
Stefania Manetti
6 243 Servono più asili nido
Paolo Siani
Epiquaderni
4 182 Dalla rivista Epidemiologia e Prevenzione, un invito alla lettura per i pediatri ACP. Numero 2-2024
Giacomo Toffol
5 226 Dalla rivista Epidemiologia e Prevenzione, un invito alla lettura per i pediatri ACP
Giacomo Toffol
Esperienze
1 28 Gruppo Balint? Sì grazie! Guido Prato Previde
3 133 OneHealth: uno stile per la vita di tutti i giorni
1 33 I primi mille giorni: uno sguardo alla relazione
Claudio Chiamenti, Valeria Boschi
1 36 Effetti della depressione materna sul neurosviluppo del bambino
Anna Montorsi, Carlo Valerio Bellieni
2 70 Raccontiamoci... L’importanza della lettura e del dialogo perinatali
Giuditta Bacchin
Il bambino e la legge
2 83 Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche. Legge 7/12/2023 n. 193 (nota come diritto all’oblio oncologico)
Augusta Tognoni
Il caso che insegna
1 11 Sigarette elettroniche e dispositivi per tabacco scaldato: nuovi pericoli per i bambini
Francesco Accomando, Melodie O. Aricò, Enrico Valletta
3 113 Miosite e rabdomiolisi da virus dell’influenza
Emma Bonaguri, Anna Ragazzini; Melodie O. Aricò; Enrico Valletta
4 165 Da Sandifer a Canavan: quando la storia rivela la diagnosi
Paola Lorello, Antonia Pascarella, Margherita Rosa, Daniele De Brasi, Paolo Siani
5 202 Atipicità dell’infezione da Mycoplasma: non sempre e non solo polmonite
Quincy Pedranzini, Alessandra Gueli, Elena Dondi, Agata Bizzocchi, Irene Demarchi, Erica Clara Grassino, Laura Panigati, Marina Ferraris, Anna Valori, Elena Uga, Andrea Melle, Gianluca Cosi
Il punto su
2 67 Acqua da bere in pediatria. Ci sono acque migliori e peggiori?
Federica Meli
3 121 Il link tra microbiota e alimentazione dalla vita prenatale all’età scolare: una revisione narrativa
Gaia Margiotta, Elisabetta Sforza, Giuseppe Stella, Domenico Limongelli, Francesco Proli, Chiara Leoni, Roberta Onesimo, Giuseppe Zampino, Antonio Gasbarrini, Valentina Giorgio
3 126 L’adolescente e l’alimentazione
Patrizia Tagliabue, Veronica Doria, Gregorio Milani, Roberto Marinello, Carlo Agostoni Marina Picca
5 213 La ripresa del morbillo mette a rischio anche operatori sanitari che ritengono di essere protetti
Luciano Pinto, Claudia Bondone, Battista Guidi, Icilio Dodi, Francesco Carlomagno, Niccolò Parri, Gregorio Paolo Milani, Stefania Zampogna
6 261 La differenza c’è? Si vede?
Elena Spada, Luigi Gagliardi, Roberto Buzzetti
6 263 I disturbi specifici di apprendimento (DSA): analisi e criticità da una indagine su una popolazione clinica di 444 minori Francesco Ciotti, Simona Cremonini, Irene Sanità Gigante, Amanda Ricci, Caterina Venza, Ciro Ruggerini
Imparare con i giovani
1 14 Il bambino che zoppica in Pronto Soccorso Claudia Brusadelli, Achille Marino
3 117 Approccio diagnostico al bambino con scarsa crescita Stefania Fanti, Roberto Franceschi, Evelina Maines, Simona Coletta, Stefania Ielo
5 205 Quando il bambino ha il mal di schiena Claudia Brusadelli, Giulia Ramponi
6 268 Otomastoiditi: un problema sempre presente Rosalia Muciaccia, Celeste Raguseo, Claudia Rossini, Vittorio Greco Miani, Cristian Bisceglia, Melodie O. Aricò, Desiree Caselli
Info
1 43 Stop agli acidi grassi trans entro il 2023: il rapporto 2022 dell’OMS
1 43 Mense scolastiche: un diritto disatteso ancora per molti bambini e bambine
1 44 “Quanti sono i minori senza casa in Italia”, un approfondimento di Openpolis
2 88 Rapporto sulla nascita in Italia
2 89 Menù scolastici
4 183 Corso sulla comunicazione a cura di CHANGE
4 183 Utilizzo dei sistemi di sicurezza, seggiolini e/o adattatori, per il trasporto in auto di bambini
4 183 Formule di proseguimento e di crescita
4 183 Mense scolastiche: un servizio essenziale per ridurre le disuguaglianze
4 183 Impianti e servizi sportivi per i bambini e le bambine
5 231 Obesità infantile. Nel mondo 37 milioni di bambini sotto i 5 anni colpiti da sovrappeso. Italia al 4° posto nell’Unione europea. I dati Unicef
5 232 Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2024
5 232 Rapporto sul Codice
5 232 Canada: la sugar tax ha un impatto sull’equità?
6 279 Errori nella somministrazione di farmaci ai bambini
6 279 Esempio pratico dei rischi dell’autonomia differenziata
6 279 Iniziative dell’Unicef per la Settimana per l’allattamento
6 279 Protesta a Vevey: oltre centomila firme contro il doppio
standard di Nestlé sullo zucchero negli alimenti per bambini
6 280 La trasparenza non basta: un’analisi a 10 anni dall’introduzione del Sunshine Act negli USA
6 280 Mense scolastiche: migliora la mensa ma nei rifiuti finisce metà del pasto e della tariffa
Infogenitori
1 4 Come stimolare il linguaggio nel bambino da 3 a 4 anni
Rubrica a cura di Antonella Brunelli, Stefania Manetti, Costantino Panza
4 188 Aggiornamenti sul progetto 4E-Parent per ACP
4 188 Position paper sull’uso delle creme contenenti filtri solari
4 189 Acque minerali: alcune precisazioni
4 189 Autonomia differenziata... pediatrica?
4 190 A proposito di denatalità...
5 240 Caro Direttore...
Libri
1 46 Federico Rampini, La speranza africana
1 46 Colson Whitehead, La ferrovia sotterranea
1 46 Tennessee Williams, Lo zoo di vetro
2 91 Andrea Principe, Massimo Sideri, Il visconte cibernetico
2 91 Antonella Ossorio, I bambini del maestrale
2 92 Valeria P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento
3 142 Premio Strega ragazze e ragazzi
4 186 Silvana Quadrino, Vita da genitori, vita da bambini
4 186 Maurizio Bonati, Il cronico trauma della guerra. Donne e bambini le prime vittime
4 186 Marcella e Giacomo Delvecchio, Costruzione di un diritto. Dal Giuramento dei medici alle scelte di fine vita
4 187 Si può fare. Una formazione di qualità senza sponsor. FAD ACP 2018-2023, a cura di Michele Gangemi e Laura Reali
5 235 Anselm Kiefer, Paesaggi celesti. Interviste
5 235 Luca De Fiore, Sul pubblicare in medicina
5 236 Olafur Eliasson, Leggere è respirare, è divenire
5 236 Donatella Di Pietrantonio, L’età fragile
6 281 Pediatria di famiglia, a cura di Michele Gangemi, Giorgio Tamburlini
6 281 Paolo Giordano, Raffaella Mulato, Stephan Riegger, Cortili intelligenti
6 281 bell hooks, Insegnare il pensiero critico
6 282 Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza
Narrative e dintorni
4 179 Il pediatra è un mestiere difficile: storie raccontate e discusse da un gruppo di pediatri e neuropsichiatri infantili
Catherine Hamon, Francesco Ciotti, Micaela Bucci, Giancarlo Cerasoli, Mila Degli Angeli, Nadia Foshi, Marna Mambelli, Antonella Stazzoni, Francesca Vaienti, Isabella Penazzi, Chiara Busetti
Occhio alla pelle
1 22 Introduzione alla Position Paper sull’uso delle creme contenenti filtri solari
Annamaria Moschetti, Pierangela Rana, Maria Concetta Romano
Osservatorio internazionale
1 9 Intelligenza artifi ciale per la Pediatria 5P: LLM, GPT e una nuova architettura
Andrea E. Naimoli, Fabio Capello
2 58 La chiarezza morale del direttore della WHO: coscienza morale della comunità sanitaria globale
Stefania Manetti
3 108 Il ruolo delle organizzazioni basate sulla fede (FBO) nella fornitura di servizi sanitari nei Paesi in via di sviluppo
Fabio Capello, Andrea Atzori, Maria Brighenti,Valentina Isidors, Laura Braga
4 157 Una “generazione senza fumo”: la nuova frontiera del contrasto all’uso del tabacco negli adolescenti
Enrico Valletta
5 200 La condizione sanitaria dei bambini in situazioni umanitarie: un’analisi dell’ultimo anno
Fabio Capello
6 256 Cresce la pertosse in Europa: proteggiamo i più piccoli con il vaccino, anche in gravidanza
Enrico Valletta
Research letter
1 5 Tutti a ricreazione… in classe o in cortile? Cosa dicono i bambini
Federico Marolla, Marica Notte, Daniela Renzi
3 105 Il sesso femminile espone il neonato con fibrosi cistica a un esito peggiore? Un processo in tre atti
Roberto Buzzetti, Luigi Gagliardi
Ricerca
3 102 “Cosa pensate sia indispensabile a un bambino subito dopo la nascita?” Confronto tra due generazioni di bambini sulla rappresentazione grafica della nascita
Francesco Ciotti, Giancarlo Biasini, Costantino Panza, Alessandro Volta, Piero Gridelli, Ubal do Ciccarese
4 154 Lavoro integrato di équipe nel trattamento dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
Maria Gloria Gleijeses, Filomena Salerno, Marco Carotenuto, Michele Sabatino, Ludovica Miragliuolo, Francesca Panico, Sara Marcelli, Giulia Muzzo, Maria Esposito, Margherita Siciliano
5 195 Apprendimento e sindrome delle apnee ostruttive in sonno in età pediatrica: studio pilota osservazionale
Margherita Siciliano, Beatrice Gallai, Maria Esposito, Michele Sorrentino, Marco Carotenuto
6 250 La percezione della condizione di obesità nelle diadi mammabambino. Uno studio esplorati vo in famiglie con background migratorio
Momcilo Jankovic, Giovanni Giulio Valtolina
6 254 Funzionamento esecutivo in pazienti con epilessia tipo assenza naive per terapia farmacologica
Margherita Siciliano, Maria Esposito, Beatrice Gallai, Michele Sorrentino, Francesca Panico, Ludovica Miragliuolo, Marco Carotenuto
Salute mentale
2 60 Disturbi del neurosviluppo e arricchimento ambientale: possiamo implementare il modello italiano?
Andrea Guzzetta, Massimo Soldateschi, Martina Orlando
2 62 Disturbi dello spettro autistico e accesso ai servizi sanitari per le famiglie immigrate
Giovanni Giulio Valtolina, Maria Luisa Gennari, Giancarlo Tamanza
3 110 Percorso post diagnosi di accompagnamento per i caregiver nel disturbo dello spettro dell’autismo: un modello sostenibile nel servizio pubblico
Mariarosa Ferrario, Erika Morandi
4 160 Identificare i ritardi nello sviluppo del linguaggio a 2-3 anni: il ruolo determinante del pediatra
6 259 Dal diritto alla cittadinanza alla sfida dell’integrazione: riflessioni su un’Italia più inclusiva
Mario De Curtis
Saper fare
1 19 Facilitare la comunicazione con i pazienti durante la visita
Michele Capurso
2 65 Conoscere il paziente: la cultura cinese
Marina Buzzetti
Storia ed etica della medicina
3 135 L’assistenza al bambino negli hospice. Ricostruzione storica
Giancarlo Cerasoli, Niccolò Nicoli Aldini; Sara Patuzzo
5 223 Le sfide e il mandato etico delle cure palliative pediatriche
Sara Patuzzo, Niccolò Nicoli Aldini, Giancarlo Cerasoli
6 275 La creazione della memoria nel lutto neonatale nel contesto sanitario. Aspetti storici e riflessioni etiche
Giancarlo Cerasoli, Sara Patuzzo Manzati
Traiettorie e orizzonti familiari
1 30 Quando l’asse coniugale si trasforma: l’incontro con le famiglie post-separazione e la ricomposizione familiare
Francesca Balestra
2 80 Le tematiche salienti delle famiglie con madre nubile
Laura Fruggeri
4 173 Relazioni familiari a distanza
Francesca Balestra
Vaccinacipì
1 39 Il vaccino contro la malaria: da sogno a realtà. Un percorso lungo e non ancora concluso Massimo Farneti
3 138 Le vaccinazioni nei bambini e adolescenti sottoposti a TCSE o TOS
Lucia Di Maio, Maria Giuseppina De Gaspari
5 227 Vaccinazioni in gravidanza: è tempo di agire
Ines L’Erario, Lucia Di Maio
Ringraziamento ai revisori e ai commentatori
Ringraziamo per il loro prezioso contributo come referee esterni o commentatori della rivista cartacea e delle Pagine elettroniche per l’anno 2024 i seguenti colleghi: Dante Baronciani, Francesco Baggiani, Sabrina Bulgarelli, Guido Caggese, Adriano Cattaneo, Angela Cazzuffi, Anna Maria Davoli, Patrizia Elli, Massimo Farneti, Martina Fornaro, Momcilo Jankovic, Maurizio Iaia, Riccardo Lera, Claudio Mangialavori, Massimo Molteni, Anna Maria Moschetti, Giuseppe Pagano, Sabrina Persia, Laura Reali, Luciana Nicoli, Gherardo Rapisardi, Annamaria Sapuppo, Leonardo Speri, Rita Tanas, Giacomo Toffol, Maria Luisa Tortorella, Elena Uga, Enrico Valletta, Federica Zanetto.
RESPONSABILE SCIENTIFICO:
MICHELE GANGEMI
Direttore della rivista “Quaderni acp”
DIAGNOSI E TERAPIA DELLE
PATOLOGIE NELL’ AREA PEDIATRICA IN AMBITO TERRITORIALE E OSPEDALIERO.
XII EDIZIONE
Melodie Aricò, Emma Bonaguri, Desiree Caselli, Anna Ragazzini
MODULO 2: 12 SETTEMBRE 2024 - 28 FEBBRAIO 2025 ENTEROPATIE EOSINOFILE
Martina Fornaro, Enrico Valletta
MODULO 3: 16 DICEMBRE 2024 - 30 MAGGIO 2025 SOSTANZE DI ABUSO NEL BAMBINO E ADOLESCENTE
Marco Marano, Mara Pisani
Quote di iscrizione
€. 25 per singoli moduli (SOCI ACP)
€. 60 per intero corso (SOCI ACP)
€. 30 per singoli moduli (NON SOCI)
€. 80 per intero corso (NON SOCI)
Il pagamento è da effettuarsi tramite bonifico bancario alle seguenti coordinate:
275 Memory-making in newborn bereavement in the health care setting. Historical aspects and ethical reflections
Giancarlo Cerasoli, Sara Patuzzo Manzati
279 Info
281 Books
284 Movie
285 Meeting synopsis
286 Index 2024
Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP
La quota d’iscrizione per l’anno 2025 è di 130 euro per i medici, 30 euro per gli specializzandi, 30 euro per il personale sanitario non medico e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato attraverso una delle modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina «Come iscriversi».
Se ci si iscrive per la prima volta occorre compilare il modulo per la richiesta di adesione e seguire le istruzioni in esso contenute, oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, le pagine elettroniche di Quaderni acp e la newsletter mensile Appunti di viaggio. Hanno anche diritto a uno sconto sull’iscrizione alla FAD di Quaderni acp; a uno sconto sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino (come da indicazioni sull’abbonamento riportate nella rivista); a uno sconto sull’abbonamento a Uppa (se il pagamento viene effettuato contestualmente all’iscrizione all’ACP); a uno sconto sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP.
Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento e formazione a quota agevolata. Potranno anche partecipare ai gruppi di lavoro dell’Associazione. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.acp.it.