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J.R.R. TOLKIEN IL SIGNORE DEGLI ANELLI TRILOGIA (The Lord Of The Rings, 1956) INTRODUZIONE Tra il 1954 ed il 1955 usciva la trilogia di J.R.R. Tolkien, The Lord of the Rings: il maggior studioso di letteratura anglosassone e medievale aveva scritto a sua volta un'epopea secondo le regole del genere cavalleresco, diventando il servitore appassionato delle forze stesse che aveva sentito pulsare nei versi di uomini morti da più d'un millennio. Macpherson nel '700 aveva immaginato un bardo scozzese vestendosi dei suoi ruvidi gaelici panni, ma la sua era una frode, un fingersi antico, agitato da selvatiche furie e malinconie. Altri avevano giocato con l'antico parodiandolo, Mark Twain e J.B. Cabe si erano rassicurati sulla loro eccellenza di uomini evoluti e coscienti a cospetto delle leggende e dei cicli cavallereschi dei loro compassionevoli avi. Tolkien con costoro non ha niente da spartire, e nemmeno compone una favola romantica, magari riatteggiata come gioco surreale, tanto da mostrare di stare alle regole di buona creanza dell'avanguardia che tanto intimidiscono i timidi. Tolkien commise una lunga infrazione alle regole, specie a quelle che presiedono all'ancora (per poco?) vigente studio accademico delle letterature antiche. Esse vogliono che il filologo o lo storico del gusto partecipi per la parte riservata al suo ufficio all'opera di schedatura universale, nel quadro d'una Burocrazia come Essere che si svela a se stesso. Guai a far rivivere l'antico (uccidendo il moderno). In The Lord of the Rings Tolkien viceversa riparla, in una lingua che ha la semplicità dell'anglosassone o del medioinglese, di paesaggi che pare d'aver già amato leggendo Beowulf o Sir Gawain o La Mort d'Arthur, di creature campate tra il mondo sublunare ed il terzo cielo, di essenze incarnate in forze fantastiche, di archetipi divenuti figure. Naturalmente le infrazioni di Tolkien non potevano che suscitare le reazioni coatte, sonnamboliche e feroci che si sanno di prammatica. «Non è la sua un'opera staccata dalla realtà? Non è forse un'evasione?». Vi sono momenti di noncuranza, di distrazione, nei quali si tralascia l'ottimo consiglio di Nietzsche, che la vera critica sia un distogliere lo sguardo, e si parla perfino alla massa dannata. Avvenne a Tolkien in un


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