Valeria Corrado
Testarda, io
Ilaria, adesso raccontami tutto‌ti prego
Libellula Edizioni
Valeria Corrado
Testarda, io
Ilaria, adesso raccontami tutto‌ti prego
Libellula Edizioni
Prefazione di Alberto Facchini Libellula Edizioni inizia con Valeria Corrado la collana “NovElle”, una sezione editoriale dedicata alla letteratura al femminile. “Testarda, io” è un libro di poche pagine che parlano della vita di una donna, o forse di molte donne. Un diario su cui Ilaria annota i suoi gesti quotidiani. I suoi pensieri su un mondo che le ha “riservato” la possibilità di pensare alle strade (lavorative e non) che le donne (ancora una volta molte) si trovano sbarrate. Le emozioni forti, cariche di sensualità, le sue frustrazioni e la sua morbosa necessità di conoscere se stessa. E di farsi conoscere da un universo maschile che pare esserle ostile in tutto, ma del quale non riesce a fare a meno. Non può esimersi dall’essere amata, a costo di compiacere fantasie che la portano a sfoghi violenti e inaspettati. Parla alle donne, Ilaria. Richiede complicità quando si tratta di guardarsi allo specchio che, inesorabile, le rimanda l’immagine di un corpo che avrebbe bisogno di seguire con più rigore una dieta o un po’ di palestra. E lei ancora una volta sfrutta queste necessità per ritrovarsi con le persone che ama. Parla alle donne. Quando ci presenta l’unico, vero, amore della sua vita: il figlio per il quale rinuncia a prospettive di solitudine. Parla alle donne quando, laconica, sentenzia “questa sono io”. Valeria Corrado usa un linguaggio diretto e senza formalismi. Dà alla protagonista la possibilità di sfogarsi, di lasciare che sia la tastiera del suo computer a dare il ritmo del racconto, che si fa leggere d’un fiato raccogliendo, però, pagina dopo pagina, frasi e riflessioni che riempiono la mente una volta giunti alla fine. È questa la vera forza del diario. Rimane nella testa di chi legge con la sua semplicità e con la sua voglia di farsi vivere.
Non è la solita storia dove una lei medita sulla vita e un giorno decide di prendere appunti. È una missione di auto-terapia. È la storia di una qualsiasi che vuole diventare “qualcuno“, per se stessa.
Non è vero che sono una fallita. Anche se non mi sono più laureata, anche se non ho un lavoro dignitoso, anche se il mio matrimonio è una presa per il culo… non sono una fallita. Non è vero nemmeno che sono una doppiogiochista quando decido di innamorarmi di un altro e me lo concedo. Non è assolutamente cattiva educazione e esagerazione se decido di troncare per sempre rapporti familiari senza una spiegazione chiara e una buona scusa. Esistono gli errori. Esistono quelli obbligati di una vita intera per capire e crescere, esistono i miei. I miei sono appassionati, arrabbiati, complessi. Il marcio si confonde con ogni buona attitudine e buon pensiero. Questa è arte dell’errore. Ho voglia di nuovo di sbagliare. Ora lo cerco e gli dico che se domani non viene da me, sentirò di nuovo dentro quel dolore allo stomaco che mi ricorda che ho bisogno anche di lui. Ma finirò per ricevere la solita fregatura e sarò nuda davanti a lui solo quando capirà che non sta morendo ed è più giovane di quello che crede. Lui ha sempre un buon motivo per sparire o non parlare. Oggi è la tosse, domani è il raffreddore, dopodomani (al contrario di oggi che entra ed esce dall’ufficio e non certo per venire da me) ”ha tanto lavoro da sbrigare”. Certo non è un comunicatore generoso, non è neanche un corteggiatore generoso, non è nemmeno materialmente generoso. Insomma, di che cavolo mi sarei innamorata? Non della sua perfezione fisica o dei suoi succinti discorsi sulla sua (fottuta) incapacità di provare quello che una povera cretina col mio nome, chiama ancora ostinatamente “amore”. Ma mi piace, mi attrae, mi seduce, mi incendia, mi catalizza l’anima e il corpo. Senza che io possa scegliere di lasciarlo perdere. Il problema è che lui lo sa perfettamente. Il problema è che lui lo rivede tutte le volte che riesce a guardarmi negli occhi. Il problema è quello che trova in ogni mio abbraccio. Non è niente di dissimile dall’amore e niente di distante dalla passione più grande. A volte in pochissime parole e in miseri gesti, c’è l’uomo che amo. Ma c’è anche l’uomo che detesto e ho deciso di sopportare. 7
Lui non è certo mio marito, l’uomo che ho sposato, giovanissima e innamorata. Grazie ai suoi baci, mi perdevo a pensare che avevo finalmente tutto dalla vita. Una sensazione meravigliosa e tanto tanto breve. Perché lentamente, col passare del tempo e una convivenza priva di ogni forma di autonomia, capisco che non aveva torto quel ragazzo carino, moro, che mi rimorchiò per strada mentre ero ancora la sua amabile fidanzata ufficiale. Disse: ”Tu sai che qualcosa in te non va e non vuoi affrontarla”. Di sicuro ho iniziato ad affrontare la mia sessualità, scoprendo che fare l’amore significava anche altre cose diverse: come stare insieme e scoprire il piacere reciproco anche più di 10 minuti. Ma soprattutto cominciavo a sentire l’entusiasmo e la voglia di una nuova ragazza in me, con meno tabù e più piacere e gioia di vivere. Non ero né onesta né leale, ma ero felice e ricominciavo ad amare lo specchio. Intanto fregature, studi, concorsi, delusioni e niente che riuscisse a raccontare e far riconoscere al mondo chi fossi, cosa volevo e cosa potevo fare di buono. Di sicuro avvertivo la mancanza sana di qualcosa che riaccendesse il mio cervello e lo rimettesse in moto, in sfida. Mi son ritrovata così, da un giorno all’altro, per strana curiosità e fatalità, davanti ad un computer a conversare, con i tasti, con un perfetto sconosciuto. Quello sconosciuto era maledettamente affascinante... Finalmente mi diceva le parole che stavo sognando “dagli altri”, non da mio padre o mia madre: “dagli altri”. Riconosceva la mia abilità verbale, la mia profonda (ma quanto, eh?) intuitività e attenzione verso le cose e le persone. Insomma, la mia dialettica e intelligenza non serviva più né ad un esame universitario né a spiegare la ricetta nuova della sera prima alla mia amica. Potevo ambire al gioco di seduzione più articolato e intrigante che pareva esistere. Le telefonate e la sua voce diventarono lentamente la mia linfa vitale, la mia maniera per vivere e lavare i pavimenti di casa col sorriso stampato e l’attesa di risentirlo prestissimo. 8
Fino all’incontro (il cosiddetto appuntamento al buio) con quest’uomo, ben lontano dai canoni di bellezza maschile. Quella volta sotto il sole e la consapevolezza che ci potesse vedere chiunque, in quel posto di campagna poco isolato, è accaduto un nuovo destino: è arrivata una spinta nella testa talmente forte da farmelo desiderare per anni senza arrendermi. Era un dialogo giornaliero costante, un cumulo di attenzione per me e un confronto serrato su ogni pezzo della nostra vita. Questo eravamo noi. Dicevamo di amarci. E allora quel giorno, cosa cercavo nello studio di quel bellissimo chirurgo estetico? Non stavo (e perché diamine non ne ho approfittato?) certo per una liposcultura, visto le entrate che non c’erano. Ero di nuovo travolta dalla bellezza di un uomo. Questa volta il pacco includeva anche quella fisica. Parlava tre lingue, e come me, conquistava velocemente con la sua dimestichezza verbale. È riuscito ad incantarmi, è riuscito a farsi leccare dovunque, fino ai testicoli il Ferrari ghiacciato appena stappato per noi. Ero io. Anche quella ero io. Ma quella passione si sarebbe spenta e per motivi legati ad un suo amico. Non ho mai capito tutto di quella storia; di certo l’amico oltre al lavoro, voleva offrirmi altro. Finita una passione, finiti tanti dubbi ho ripreso l’amore per l’altro. Ma ho anche ripreso a pensare e sentirmi inadeguata verso il resto del mondo. Intanto è il ruolo di mamma a cambiarmi questa esistenza, e mettermi di fronte a ben altro che un incontro d’amore con un uomo adulto e vissuto. Era nata una creatura fantastica, un groviglio di emozioni e timori imprevedibili. E sarebbe diventato immediatamente l’impegno più difficile e gratificante della mia vita. Già l’esperienza del parto mi aveva fornito il doloroso sentore che nulla sarebbe stato, da quel momento, facile e scontato. Cosa vuoi m’importasse di divertirmi e uscire la sera? Cosa vuoi mi importasse se a malapena arrivavamo a fine mese? Cosa vuoi mi fregasse se avevo perso di vista l’amore per me stessa e la voglia di lavorare o studiare? Ero stanca e questo figlio iniziavo a crescerlo da sola e con la forza delle mie braccia e delle “mie” nottate. Ma iniziava a crescere anche la mia insoddisfazione personale. Le 9