3 minute read

I fatti nostri Il piacere (e il dovere) della diversità

Next Article
Hi-tech

Hi-tech

I FATTI NOSTRI

Il piacere (e il dovere) della diversità

In questi tempi di relativa cuccagna, con le note nubi all’orizzonte autunnale che però, per il momento, oscurano solo una parte del cielo dell’italico suolo, registro con piacere che non tutte le rivendite edili nostrane stanno pensando di mettere da parte il più possibile in attesa dei tempi bui. La notizia, non scontata, è che c’è chi ha deciso di investire, di diversificare, di perfezionare i suoi servizi e le sue performance per migliorare la sua competitività globale. Quindi, solo per fare qualche esempio, c’è chi si è avventurato in una digitalizzazione più convinta, chi ha (di nuovo) scoperto che l’offerta di un «pacchetto completo» è sempre meglio che la vendita di qualche prodotto qua e là, e che oltretutto questa opportunità è molto gradita dal cliente privato, forse meno dalle imprese, ma tant’è: pensare di lavorare come trent’anni fa è già di per sé un’idea ridicola. Altri colleghi hanno aperto nuovi settori merceologici interni alla tradizionale attività del magazzino, cercando di soddisfare quel vecchio principio apparentemente sconclusionato, di moda un po’ di anni fa, che veniva definito dai più ottimisti il «genaralismo specializzato». Inoltre, assistiamo a un ampliamento degli spazi dei magazzini, con l’idea, oggi rivoluzionaria, di riempirli di prodotti. Non pochi di voi, addirittura, assumono nuovi collaboratori. Il motivo della mia soddisfazione è che il nostro settore, in generale, si mantiene vivace, anzi, opera con spirito positivo. Sistemare un po’ la nostra attività, adeguarla ai tempi, individuare sentieri di crescita, sono intenzioni che appartengono al dna di ogni buon imprenditore. Diversi lustri fa, il mercato dell’edilizia proponeva una situazione simile a quella di oggi. Più precisamente, eravamo in quel momento storico in cui una rivendita doveva decidere come programmare il suo futuro. I piccoli dovevano cercare di diventare medi, i medi, grandi. Qualcuno aveva pensato di risolvere il dilemma entrando a far parte di un gruppo (ma mantenendosi «piccolo» nello spirito). Qualcun altro aveva investito direttamente nella sua attività. Purtroppo, sappiamo come è andata, perché quella che si è poi dimostrata una fragorosa bolla speculativa ha messo in ginocchio molte rivendite. Oggi la situazione è simile, anche se non parliamo di bolle ma di ridimensio-

In attesa di scoprire come cambierà il modello economico del nostro settore e quali sorprese ci regaleranno gli ultimi quattro mesi dell’anno, molti rivenditori stanno ristrutturando il carattere della loro offerta commerciale

namento del mercato. Non è una sciagura inaspettata, è un ciclo che si chiude come se ne sono chiusi a bizzeffe negli ultimi trent’anni, con però la consapevolezza che in futuro ci aspetta una tipologia ben precisa di mercato, che mi azzardo a definire «selezionato». Selezionato dal cliente, dal distributore e dal produttore. Del resto, è un classico dei momenti di flessione del mercato. Ricorderete che il Cresme, nella sua ultima Congiunturale, indicava che il mercato degli interventi di riqualificazione incentivati si era chiuso lo scorso anno con oltre 66 miliardi euro, quando la media annua, fra il 2013 e il 2020 era stata di 28 miliardi di euro. Ovvio che cifre e modello economico di questi due o tre ultimi anni ben difficilmente si ripeteranno, non ci sono più i presupposti, e soprattutto non ci saranno più i soldi. La rivendita edile è chiamata quindi a una nuova prova di abilità imprenditoriale. Un’abilità fondata su un tipo di equilibrio che non può essere uguale per tutti, non fosse altro che per le profonde diversità territoriali esistenti sul nostro territorio. Un equilibrio strutturale che non dovrà perdere per strada le conquiste qualitative degli ultimi anni ma che, al tempo stesso, dovrà trovare un sapiente bilanciamento della proposta commerciale, tenendo in particolare evidenza i costi di gestione e lo sfruttamento degli spazi. Detto brutalmente: non appesantire il magazzino o non trasformare una sala mostra in un bazar, ma verticalizzare l’offerta con proposte pensate per garantirne l’originalità. Non abbiamo bisogno di essere tutti uguali, ma di essere preferibili. Credo che puntare alla diversità, chiamiamola specializzazione così è più chiaro, sarà in futuro sempre più importante. L’idea di molti colleghi di affiancare alla vendita una consulenza adeguata, magari anche il servizio chiavi in mano, è già una differenza sostanziale nella specializzazione. Impostando l’attività in questo modo, probabilmente, ma non avendo la sfera di cristallo mi dovete concedere qualche margine di errore, caleranno i fatturati e aumenteranno le marginalità. Ma i fatturati caleranno ugualmente in ogni caso, quindi... di Roberto Anghinoni Giornalista

This article is from: