yvonneartecontemporanea
CRISTINA TREPPO
Interno bianco a cura di Carolina Lio
CURATORE Carolina Lio COORDINAMENTO MOSTRA E CATALOGO Maria Yvonne Pugliese SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Giovanna Segalla FOTOGRAFIE Cristina Treppo STUDIO GRAFICO ED IMPAGINAZIONE Calleidos S.r.l. STAMPA Industrie Grafiche Vicentine S.p.A.
CRISTINA TREPPO
Interno bianco a cura di Carolina Lio
Vicenza - 23 settembre / 13 novembre 2010
Cristina Treppo durante l’allestimento della mostra Interno bianco
Leggerezza e pesantezza indecisa tra sospensione del volo e staticitĂ della materia, a terra. Includere e sospendere due modi apparentemente contraddittori vorrei restare vorrei andare fermare e lasciare scivolare. Cristina Treppo
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Installazione nella sede della galleria Yvonneartecontemporanea
CRISTINA TREPPO - INTERNO BIANCO di Carolina Lio
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Gli artisti si dividono tra quelli che sentono la necessità di creare nel mondo qualcosa che prima non esisteva e quelli che vedono già qui, intorno a noi, tutto il materiale utile a essere riplasmato per creare l’opera d’arte. Probabilmente è stata questa la prima scioccante rivoluzione della fotografia, ancora più importante delle innovazioni tecniche e scientifiche. Per la prima volta dalla storia dell’uomo la ricerca della bellezza non era qualcosa che andava immaginata e prodotta, ma bastava che un occhio umano la scorgesse nel mondo vissuto e che un occhio meccanico la immortalasse, passandoci allo stesso tempo due messaggi: la bellezza da una parte, la realtà dall’altra. In un certo senso il Novecento ha fatto di tutto per convincerci di un’idea azzardata e magnifica, e cioè che noi viviamo dentro un’opera d’arte immensa. Pensiamo velocemente a qualche spunto, un po’ come a dei flash che possono aiutarci a capire meglio. E’ il 1970 e Gilbert&George mettono in scena in una galleria di Londra Underneath the Arches, una scultura vivente in cui i due artisti cantano su un piedistallo annullando la divisione tra arte e vita. Nello stesso anno Robert Smithson costruisce sul Great Salt Lake nello Utah la Spiral Jetty, un’enorme serpentina di fango e pietra che è diventata l’opera più importante finora realizzata di land art e che cancellava la distinzione tra arte e natura. Nel 1985 Christo impacchetta il Pont Neuf di Parigi con un enorme telo di poliestere giallo e nel 1989 Orlan inizia a sottoporsi ad operazioni chirurgiche per adattare il suo viso a dei connotati di famose opere d’arte del passato. E infine, arriviamo al 1991, quando Damien Hirst mette sotto formaldeide e vetro uno squalo morto lungo circa cinque metri e crea The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, una delle opere più discusse e costose della storia. L’arte, insomma, smette di essere qualcosa da guardare come un corpo estraneo, finto, creato appositamente per essere esposto ed ammirato con una certa distanza di rispetto. Inizia a essere un qualcosa da vivere, anche e soprattutto in esperienze meno estreme da quelle che ho citato qui sopra. Per esempio l’assemblaggio, che si affermò come tecnica anche grazie alla mostra Art of Assemblage allestita nel 1961 al MoMA Museum of Modern Art di New York e curata da William Seitz. Il curatore disse allora una frase semplice e determinante: “L’attuale ondata di assemblaggio segna il passaggio da un’arte soggettiva e astratta a un nuovo tipo di rapporto con l’ambiente”. E’ in questa parola, nel termine “ambiente”, che si concentra tutto un nuovo modo di fruire l’arte contemporanea in una living-view che porta lo spettatore dentro l’opera, a contatto col materiale che la caratterizza così com’è già tutti i giorni a
contatto con gli oggetti del suo quotidiano. E questi e quelli differiscono di poco. Eccoci, infatti, oggi nella personale di Cristina Treppo che ricrea degli allestimenti ambientali in cui il visitatore è invitato non solo a entrare, ma ad aggirarsi e a scoprire ogni particolare come se si trovasse all’interno di una stanza. E sono oggetti comuni quelli che si possono individuare nelle varie sculture: sedie, tavoli, vasi, bicchieri, trasformati in modo da essere fusi tra loro in nuove forme. Amalgamati dalla cera, messi in collegamento, inclusi, creano delle situazioni intrise di una misteriosa e poetica sospensione e fragilità. Una scorsa anche solo ai titoli delle precedenti operazioni dell’artista ci aiuta già a entrare nel campo semantico delle emozioni che esplora, trovando nelle opere del passato nomi da Impalpabile a Lo stato incerto delle cose. C’è, infatti, nel suo lavoro, la ricerca di un senso inafferrabile che si nasconde dietro le cose di tutti i giorni, un misto tra nostalgia, precarietà e cambiamento che si mescolano tra loro in alchimie magiche capaci di aprire delle soglie di passaggio. E il bianco, come scelta di colore predominante – anzi, quasi totalizzante – è tutt’altro che casuale. Nella nostra struttura simbolica contemporanea il bianco è il colore della luce e della purezza. Scientificamente è il risultato che si ricava dall’unione e dalla convivenza di tutte le frequenze visibili. Nella religione cattolica è il colore dei battesimi e del matrimonio, mentre in Cina e India, al contrario, del lutto e della morte. E’ allo stesso tempo unione del tutto e momento di transizione, simbolo di un’unione perfetta ma in divenire, anzi, sul punto di compiere un cambiamento cruciale. Per questo inoltrandosi negli ambienti costruiti da Cristina Treppo si ha la sensazione di essere in attesa e che da un momento all’altro l’equilibrio delicato che tiene gli oggetti l’uno sull’altro e che fa restare immobili le perle che pendono dal soffitto in forme organiche, debba aprirsi verso chissà quale rivelazione. Lo spettatore quindi si muove aspettando l’arrivo di uno stato di grazia che nascerà e sboccerà come una pianta o un fiore da questa sospensione che lascia fluttuare a mezz’aria dei disegni trasparenti che creano delle quinte, delle tende aperte verso le finestre e che prendono vita dalla luce che gli passa attraverso scoprendovi sopra dei disegni leggerissimi. E’ - in piccolo - una sensazione vagamente simile a quella che si può provare nelle grandi installazioni attraversabili di Ernesto Neto o di Tobias Rehberger, come nel lavoro di quest’ultimo esposto alla 50ma Biennale di Venezia, Ends of the World, in cui delle grandi sfere di vetro erano sospese in una grande sala ad altezze e profondità diverse. Ma c’è anche qualcosa di assimilabile alle cascate di lampadine di Felix Gonzales-Torres e al letto sfatto di Tracy Emin, oltre a un richiamo molto forte all’arte povera. Bisogna ricordare, infatti, che il percorso dell’artista è iniziato anche da un
Cristina Treppo e Yvonne Pugliese durante l’allestimento
workshop con Luciano Fabro e che in alcune opere di Cristina Treppo si trovano un misticismo e un pragmatismo sintetico simili ad opere come, ad esempio, la Croce del 1986 ora al Castello di Rivoli e Tre modi di mettere le lenzuola del 1990 che si trova alla Foundaciò Joan Mirò di Barcellona. Specialmente in quest’ultima ritroviamo parte della disposizione dei fogli trasparenti di Cristina Treppo mentre la forma di alcune sculture, in particolare quella centrale alla mostra, dove un grande recipiente sta quasi in bilico su un piccolo tavolo rotondo, ricorda vagamente i bicchieri traslucidi in fibra di vetro dell’opera Ripetition Nineteen III in collezione al MoMA di New York e realizzata nel 1968 da Eva Hesse, artista della Process Art, un movimento americano analogo e
contemporaneo alla nostra Arte Povera. La nota contemporanea che Cristina Treppo aggiunge a queste grandi esperienze del nostro immediato passato, è un’umanità limpida e porosa, che traspare da tutto, che penetra dovunque, che brilla nelle gocce e nelle perle di vetro e che lancia un’occhio romantico e quasi malinconico, quasi decaduto e in un certo senso nobile su se stessa. Nella parete frontale rispetto all’entrata trovate, difatti, una foto di un vecchio soffitto di un palazzo nobiliare, fotografato da un’angolazione in cui sembra come arrestato e frenato dal cadere. Rappresenta, come il titolo spiega meglio di qualsiasi altra cosa le Consequences of Time, in contrapposizione alla situazione nuova, al cambiamento e alla leggerezza dei disegni in trasparenza che si trovano dalla parte opposto della sala. La fotografia e i disegni racchiudono quindi l’installazione vera e propria che si svolge nello spazio in mezzo, facendo la prima da ambientazione e la seconda da sublimazione. In più si guardano e si richiamano, visto che i soggetti tracciati così leggeri a penna sui fogli di pvc sono dei fiori vagamente simili alla decorazione del soffitto fotografato, ma così eterei, così privi di peso, così luminosi e in ascensione da rappresentare una spiritualità in netta contrapposizione con la gravità dell’elemento architettonico. Dialogando in questo modo, spiritualità e fisicità, leggerezza e pesantezza, instaurano un’armonia di mediazione, un equilibrio da giusta dose. E se uso la parola “dose” non è senza pensarci bene. La serie dei disegni di Cristina Treppo si chiama, infatti, La cura e il veleno, e rappresenta i fiori di piante medicinali che se prese in dose eccessiva sono velenose. Un po’ come insegnano i migliori gialli, una quantità eccessiva di qualcosa di benefico può uccidere. E l’artista prende a prestito questo concetto per rimarcare un’idea di moderazione, di bilanciamento, di temperanza, che dà a tutta la mostra il sentore di un’incredibile serenità a cui abbandonarsi. Il bianco, il minimalismo, i giochi di richiami e sguardi tra le opere, creano un’atmosfera pacata e distensiva, calma, a cui abbandonarsi. Tranne per un punto. A parte un giallo pallido nei fiori di una scultura, un colore così tenue che non crea nessun disturbo visivo, esiste solo un punto in cui la violenza cromatica esplode tanto da richiamare subito l’attenzione della vista. E’ Inclusione #5 – Respiro bianco, in cui un cuscino bordeaux è tenuto stretto all’esile gamba del tavolo da un filo. L’inclusione è spostata verso il fondo della stanza, al centro rispetto alla lunghezza della sala, fungendo da punto di fuga prospettico per tutti gli elementi e sembrando essere quindi la soglia e il passaggio – o almeno un suo anticipo – che tutti gli altri elementi sembrano prometterci. Quasi un varco dimensionale verso un nuovo modo di pensare, di intendere e di vivere, un punto di potere verso un cambiamento radicale che ogni visitatore deve desiderare e cercare prima di tutto in se stesso.
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The Consequences of Time (Napoli), 200x130, fotografia digitale - 2010
Inclusione#7, tavolino, vaso di vetro, cera, fiori artificiali, 132x41x34,5 cm - 2010
Inclusione#6, piedistallo, vaso di vetro, cera, legno, 112x26x25,5 cm - 2010
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Sospeso, perle di vetro, filo di ferro e di nylon, dimensioni variabili - 2010
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Inclusione#5 (respiro bianco) tavolino, vaso di vetro, cera, cuscino, filo, 90x37x37 cm - 2010
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Inclusione#4, piedistallo, vasi di vetro, cera, 106x33x33 cm - 2010
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Inclusione#3, piedistallo, candelabro di vetro, cera, 85x28x30 cm - 2010
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La cura e il veleno La Cura e il veleno è una serie di disegni a penna su pvc. Le piante, dietro la loro apparente fragilità , nascondono un enorme potere allo stesso tempo curativo e tossico. Possiamo servirci delle sostanze che le compongono per avvelenare o rigenerare. Nei loro steli, foglie, petali, semi, radici, sono contenuti principi di bene e di male. Uno stesso composto, che assunto in una certa dose potrebbe nuocerci, in piccolissima quantità ci aiuta a guarire.
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Installazione La cura e il veleno presso la galleria Yvonneartecontemporanea
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Hyoscyamus niger Come altre piante della famiglia delle Solanacee anche il Giusquiamo contiene delle sostanze allucinogene e tossiche. Negli organi di questa particolare specie sono contenuti due alcaloidi che hanno proprietà psicoattive: la scopolamina e la hyoscyamina. Questi due composti provocano delirio, dilatazione delle pupille, allucinazioni e stati alterati di coscienza. E’ utile sottolineare che gli estratti del Giusquiamo hanno anche degli intensi effetti calmanti. Nel XV secolo il Giusquiamo serviva come narcotico ed analgesico durante le operazioni chirurgiche. Nell’Amleto Shakespeare fa avvelenare il Re dormiente con il succo di Giusquiamo versato nell’orecchio.
La cura e il veleno, disegno a penna su pvc, dimensioni variabili - 2010
Atropa Belladonna Prima della comparsa dei moderni anestetici quest’erba veniva applicata sulla pelle dei pazienti per renderli incoscienti prima dell’operazione, il preparato era detto ”pomata dello stregone”. Esiste una spiegazione del suo nome di Belladonna: potrebbe derivare dal francese “belle femme”, termine usato nel medioevo per indicare le streghe. Esse infatti la utilizzavano, insieme alla mandragora e allo stramonio, per preparare pozioni e unguenti.
Orchidea (Thunia marshalliana) In Cina le orchidee erano associate alle festività primaverili e per scongiurare l’infertilità e la sterilità. Nel Medioevo venivano preparati dei filtri d’amore proprio con le radici di queste piante. In passato diverse popolazioni hanno sfruttato sia le proprietà mediche delle mucillagini delle orchidee che le qualità nutritive dei loro tuberi, questi infatti una volta cotti, seccati e tritati danno una specie di farina ricca di proteine, amidi e zuccheri.
Erodium laciniatum Ha proprietà tonico-astringenti, antinfiammatorie, antiemorragiche. Ha azione emostatica e antisettica. Le foglie fresche vengono usate per cicatrizzare piaghe e ferite della pelle e delle mucose. Da questa pianta si ricavano repellenti e coloranti. La credenza popolare consigliava di tenere alcuni rametti di questo Geranium con due castagne d’india negli armadi per tenere lontane le tarme.
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Bryonia dioica Pianta dal sapore acre, amaro, un tempo veniva utilizzata nel trattamento dell’ipertensione, dell’asma e delle infiammazioni in generale. Esternamente si applicava come rimedio per i dolori muscolari. Per la sua alta tossicità, se ne sconsiglia l’uso domestico.
Pulsatilla vulgaris L’Anemone Pulsatilla appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee. Ha dei fiori a campanula che oscillano al vento, da cui deriva il nome: “ Pulsa con il vento”. Cresce spontanea nei campi e nelle praterie di Nord America, Europa e Asia. Molto bella all’apparenza, è però altamente tossica per l’uomo. Le sue tossine rallentano il battito cardiaco. In omeopatia si prescrive per risolvere problemi di carattere nervoso e neurologico.
Gelsemium sempervirens Originaria degli Stati Uniti di essa si utilizzano le radici fresche e la corteccia dei rizomi. In dosi non omeopatiche provoca disturbi muscolari che possono condurre a paralisi, difficoltà respiratorie, panico, affaticamento e, in quantità elevate, alla morte. Il Gelsemium, in omeopatia, è il rimedio caratteristico della paura e del panico.
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Biografia (Udine 1968). Dopo un periodo trascorso a Berlino (1999) e un workshop con Luciano Fabro si laurea in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia specializzandosi in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo. MOSTRE PERSONALI SELEZIONATE 2010 Situazione Transitoria, Museo Civico chiesa di Sant’Antonio, Cascia (Pg), a cura di Carlo Sala; Perfect Number, Sponge living space, Pergola (Pu), a cura di Carlo Sala; Interno bianco, Galleria Yvonne Arte Contemporanea, Vicenza, a cura di Carolina Lio. 2009 Darkroom, a cura di Carlo Sala, Ex Chiesetta di S. Antonio, Morgano, Treviso. 2009 Friday Musicart, a cura di Galleria Michela Rizzo, Hotel Metropole, Venezia. 2008 The Consequences of Time, a cura di Martina Cavallarin, Galleria Michela Rizzo, Palazzo Palumbo Fossati, Venezia. 2007 Naturale/Artificiale, Interno 31, Mestre, Venezia. 2006 Paesaggi/Landscapes, a cura di Gloria Vallese e Giuseppe Ulian, Spazio Mondadori, Venezia. 2006 Female Aspects of Creation: Debora Hirsch e Cristina Treppo, a cura di Maria Luisa Trevisan, Galleria Radar Arte Contemporanea, Mestre, Venezia. 2005 Fioriture artificiali, a cura di Giuseppe Ulian, Spazio Mondadori, Venezia. PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE 2010 L’Arte è nella vita, Ospedale S. Matteo, Spoleto, a cura di Studio A’87; Selection 2010, Galleria Yvonne Arte Contemporanea, Vicenza, a cura di Carolina Lio; Liquida Festival d’Arte Contemporanea (Liquida-Preview, Treviso, Museo di Santa Caterina; Dis-abitare: per una riflessione sui luoghi, Onè, Ex Area Commerciale; Arcadia, Castelfranco Veneto, Museo Casa Giorgione), a cura di Carlo Sala; Living/Leaving, Venezia, Oratorio di San Ludovico e Once I Lived Here, Asolo, Museo Civico, nell’ambito di: la Reggia Portatile, quattro eventi per Caterina Cornaro, a cura di Gloria Vallese, Carlo Sala e Vittorio Urbani; 2009 The Cream Society, a cura di Gloria Vallese e Carlo Sala, La Fornace dell’Innovazione, Asolo, Treviso. 2009 Palinsesti, a cura di Emanuela Pezzetta, Castello di San Vito al Tagliamento, Pordenone. 2009 Cream in Paradise, a cura di Gloria Vallese, Giardini della Biennale, Venezia. 2009 La leggerezza della scultura, a cura di Studio A87, Art Park, Cerrina Monferrato, Alessandria. 2008 Devozioni domestiche, a cura di Riccardo Caldura, Galleria Contemporaneo, Mestre, Venezia. 2008 Arte Laguna International Artprize, a cura di Carlo Sala, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica, Venezia. 2008 Arte Laguna International Artprize, a cura di Igor Zanti, Fondazione Benetton, Spazi Bomben per la Cultura, Treviso. 2008 Open11 Internazional Exhibition of Sculptures and Installations, a cura di Gloria Vallese, Paolo De Grandis, Edward Rubin, Anna Caterina Bellati, Isola di San Servolo, Venezia. 2008 L’anima e il corpo due abiti dell’uomo, a cura di Maria Campitelli e Gruppo 78, Serra di Villa Rivoltella, Trieste. 2008 Libro(di sé)9, International Exhibition of Artist Book, a cura di Stefania Missio, Biblioteca Casanatense, Roma. 2007 Open10 Internazional Exhibition of Sculptures and Installations, a cura di Achille Bonito Oliva, Paolo De Grandis, Gloria Vallese, Alanna Heiss, Chang Tsong-Zung, Lido di Venezia, Venezia.
2007 2006 2006 2006 2006 2006 2005 2005 2005 2005 2005 2004 2000
Roseto dialettico, fenomenologia di un fiore, a cura di Maria Luisa Trevisan, Barchessa di Villa Donà delle Rose, Mirano, Venezia. Premio Fondazione Arnaldo Pomodoro, International Competition for Young Sculptors, a cura di Cosme de Barañano, Sokari Douglas Camp, Susan Ferleger Brades, Tom L. Freudenheim, Hou Hanru, Arturo Carlo Quintavalle, Arnaldo Pomodoro, Fondazione ArnaldoPomodoro, Milano. Open9, Internazional Exhibition of Sculptures and Installations, a cura di Paolo De Grandis, Gloria Vallese, Vincenzo Sanfo, Chang Tsong-Zung, Venezia Lido, Venezia. Fuori Luogo/Out of Place, a cura di Stefania Missio: Biblioteca Casanatense, Roma - Centro Pecci, Prato - Museo Morandi, Bologna - Biblioteca Bertoliana, Vicenza - MART, Rovereto. Rabbit & House. 4th International Artist Book Triennal, a cura di Kestutis Vasiliunas: Arka Gallery, Vilnius, Lithuania - Book Fair, Leipzig - International Book Arts Fair, Seoul, South Korea. Tangenze arte moda, a cura di Gloria Vallese, Villa Vecelli Cavriani, Verona. Atelier Aperti: Work in Progress, a cura di Gloria Vallese e Paolo De Grandis, evento collaterale alla 51ma Biennale di Venezia, Fondaco Marcello, Venezia. Atelier Aperti, a cura di Gloria Vallese, evento collaterale alla 51ma Biennale di Venezia, Accademia di Belle Arti, Venezia. Controluce, a cura di Saverio Simi de Burgis, evento collaterale alla 51ma Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Giardini della Biennale, Venezia. Premio Arte, a cura di Maurizio Sciaccaluga, Palazzo della Permanente, Milano. Views from Venezia, a cura di Matilde Dolcetti, The Center for Book Arts, New York. Technè pittura_ricerca, a cura di Saverio Simi de Burgis e Angela Vettese, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia. L’immagine naturale, a cura di Luciano Fabro, Ai Colonos, Villacaccia di Lestizza, Udine.
PREMI / PRIZES 2008 Finalista al Premio Arte Laguna sezione scultura, Treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche – Spazio Bomben per la Cultura. 2008 Finalista al Premio Arte Laguna sezione Arte Fotografica, Venezia, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica. 2006 Finalista al Premio Internazionale Arnaldo Pomodoro per la Giovane Scultura, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro. 2005 Finalista al Premio Arte/Cairo Communication, Milano, Palazzo della Permanente 2004 Finalista al Premio Arte/Cairo Communication, Milano, Palazzo della Permanente
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Finito di stampare nel mese di Settembre 2010
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