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Susanna Esposito Andrea Pession
Malattie infettive pediatriche
Prefazione
In un’epoca in cui la medicina si evolve di continuo e nuove sfide emergono costantemente, è fondamentale disporre di risorse aggiornate e approfondite per comprendere e affrontare le malattie che colpiscono i bambini. Le malattie infettive rappresentano una delle principali cause di morbilità e mortalità in età pediatrica in tutto il mondo. La loro gestione non solo richiede competenza medica, ma anche una comprensione approfondita degli agenti eziologici, dell’epidemiologia e delle strategie di diagnosi, prevenzione e controllo.
È con grande piacere e responsabilità che presentiamo questo volume dedicato alle malattie infettive pediatriche, che si propone di fornire una panoramica esauriente e aggiornata su questo importante ambito della medicina. Attraverso una trattazione chiara e approfondita, speriamo di offrire ai medici e a tutti i professionisti della salute un’utile risorsa per affrontare queste sfide con competenza e consapevolezza.
Nella prima sezione, abbiamo trattato gli agenti eziologici causa di malattie infettive pediatriche, dai batteri ai virus, dai protozoi ai funghi fino ai parassiti. La loro variabilità e la loro capacità di mutare e adattarsi rendono essenziale una costante vigilanza e una comprensione sempre aggiornata delle modalità di trasmissione, dei fattori di rischio e dei meccanismi patogenetici.
Nella seconda sezione abbiamo illustrato le manifestazioni cliniche in rapporto all’età del bambino e i principi generali della gestione clinica. Ogni capitolo è strutturato in modo da fornire una panoramica completa della malattia, comprese le caratteristiche cliniche, le modalità di diagnosi, le opzioni terapeutiche e le strategie preventive. Una particolare attenzione è riservata alle malattie infettive emergenti e riemergenti, in un contesto in cui la globalizzazione e i cambiamenti ambientali posso -
no favorire la diffusione di nuovi patogeni o la ricomparsa di vecchi. È fondamentale che gli operatori sanitari siano preparati ad affrontare queste sfide in continua evoluzione e questo libro fornisce gli strumenti necessari per farlo.
Da ultimo, vi è un’appendice in cui abbiamo descritto i principali test diagnostici, l’immunizzazione attiva e passiva e le raccomandazioni per soggetti o situazioni a rischio. È importante sottolineare che la prevenzione riveste un ruolo essenziale nella gestione delle malattie infettive pediatriche. Pertanto, abbiamo dedicato ampio spazio alla discussione dei programmi di vaccinazione, delle pratiche di igiene e delle misure di controllo delle infezioni, anche nosocomiali, fornendo consigli pratici per proteggere i bambini e la comunità dalle malattie infettive.
Profonda gratitudine va a tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questo libro, offrendo una prospettiva diversificata e aggiornata su questo vasto argomento. È grazie al loro impegno che possiamo offrire una trattazione esaustiva, riflettendo le più recenti evidenze scientifiche e le migliori pratiche cliniche.
Infine, rivolgiamo un invito agli operatori sanitari di ogni livello a utilizzare questo libro come guida e risorsa nella loro pratica quotidiana. Affrontare le malattie infettive pediatriche richiede non solo competenza clinica, ma anche un approccio empatico e consapevole delle sfide che i pazienti e le loro famiglie devono affrontare. Con una solida base di conoscenza e una dedizione al servizio, possiamo lavorare insieme per garantire un futuro più sano e prospero per tutti i bambini.
Buona lettura e buona pratica clinica.
I curatori Susanna Esposito Andrea Pession
Indice generale
Parte A - Agenti eziologici
Batteri
Febbre ricorrente da Borrelia recurrentis
Micoplasmi genitali: Ureaplasma urealyticum, Mycoplasma hominis e Mycoplasma genitalis
o endemico: Rickettsia typhi
Tifo epidemico o dei pidocchi: Rickettsia prowazekii
8.3.3 Tifo delle boscaglie o fluviale giapponese: Orientia tsutsugamushi
8.3.4 Febbre bottonosa del Mediterraneo: Rickettsia conorii
Miceti
Parte B - Quadri clinici
27.4
27.5
27.8
27.9
27.10
27.11
27.12
44.3 Pericardite
44.4 Vasculiti 477
44.4.1 Vasculite associata a infezione da HCV 4 80
44.4.2 Vasculite associata a infezione da HBV 4 81
44.4.3 Vasculiti associate a infezione da HIV 4 81
44.4.4 Altre vasculiti secondarie infettive 4 83
45 - INFEZIONI DELLA CUTE E DEI TESSUTI MOLLI
45.1 Impetigine
45.2 Scabbia
45.3 Infezioni micotiche
45.4 Verruche 490
45.5 Altre infezioni dei tessuti molli 491
45.5.1 Cellulite, erisipela e fascite 4 91
45.5.2 Ascessi cutanei 4 93
45.5.3 Cellulite orbitale e periorbitale 4
46 - LINFOADENITI
48 - INFEZIONE DA SARS-COV-2 E COVID-19
49 - RISCHIO INFETTIVO DELLE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE 540
49.1 Classificazione 541
49.1.1 Immunodeficienze combinate 5 41
49.1.2 Immunodeficienze combinate associate a sindromi 5 42
49.1.3 Difetti anticorpali 5 43
49.1.4 Malattie da immuno-disregolazione 5 46
49.1.5 Malattie da difetto dei fagociti 5 47
49.1.6 Immunodeficienze da difetti dell’immunità intrinseca e innata 5 48
49.1.7 Malattie autoinfiammatorie 5 49
49.1.8 Immunodeficienze da difetti del complemento 549
49.1.9 Insufficienze congenite del midollo osseo 5 50
49.1.10 Fenocopie degli errori congeniti del DNA 5 50
49.2 Conclusioni 550
50 - INFEZIONI NEL PAZIENTE CRONICO-COMPLESSO 552
50.1 Pazienti con impairment neurologico 553
50.2 Fibrosi cistica 556
50.2.1 Riacutizzazione polmonare 5 57
50.2.2 Infezione polmonare cronica 5 59
50.3 Deficit del sistema immunitario 559
50.4 Conclusioni 563
Parte C - Appendici
51 - TEST DIAGNOSTICI PER PATOGENI COMUNI 567
51.1 Introduzione 567
51.2 Test diagnostici per infezioni batteriche 569
51.3 Test diagnostici per infezioni virali 570
51.4 Test diagnostici per infezioni fungine 572
52 - IMMUNIZZAZIONE ATTIVA E PASSIVA 575
52.1 Attiva: vaccini 575
52.1.1 Vaccinazioni di routine 575
52.1.2 Vaccinazioni in soggetti particolari 5 83
52.1.3 Vaccinazioni nei viaggiatori 5 85
52.2 Passiva: immunoglobuline 587
52.2.1 Eventi avversi 5 88
52.2.2 Utilizzo adeguato di Ig 5 88
52.2.3 Profilassi contro il virus respiratorio sinciziale (RSV) 588
52.2.4 Interazioni tra vaccini e immunoglobuline 590
53 - R ACCOMANDAZIONI IN SITUAZIONI O SOGGETTI A RISCHIO
53.1 Vita di comunità
53.1.1 Scuola
53.1.2 Attività ludiche 596
53.2 Infezioni ospedaliere 59 6 53.3 Traumi (punture, morsi) 599
53.3.1 Contatto con animali domestici 59 9
53.3.2 C ontatto con animali della fattoria e con animali selvatici 6 02
53.3.3 Contatto con altri esseri umani 6 03
53.3.4 Contatto con insetti 6 03
53.3.5 C ontatto con animali potenzialmente velenosi 6 05
53.3.6 Contatto con animali marini 6 06
53.4 Viaggi internazionali (farmacia da viaggio) 608
53.5 Infezioni sessualmente trasmesse in adolescenza
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CAPITOLO 1 COCCHI GRAM POSITIVI
1.1 Stafilococchi
Gli stafilococchi rappresentano una delle cause più frequenti di infezioni batteriche localizzate e sistemiche e sono commensali ubiquitari della pelle e delle mucose. Sono cocchi Gram positivi che crescono in un caratteristico pattern che ricorda un grappolo d’uva. Si possono suddividere mediante il test della coagulasi in Staphylococcus aureus (coagulasi-positivi) e altre specie coagulasi-negative. Queste ultime sono meno virulente e agiscono come patogeni opportunisti in pazienti che sono immunocompromessi e/o sono portatori di dispositivi invasivi. La maggior parte degli stafilococchi sono in grado di crescere e potenzialmente causare malattie in varie condizioni, per esempio in atmosfera aerobica e anaerobica, in presenza di un’elevata concentrazione di sale (come il cloruro di sodio al 10%) e a temperature comprese tra 18 e 40 °C. Il genere è composto da oltre 80 specie e sottospecie, molte delle quali si trovano sulla pelle e sulle mucose degli esseri umani.
Gli stafilococchi causano infezioni opportunistiche e un’ampia gamma di malattie sistemiche potenzialmente fatali, tra cui infezioni della cute, dei tessuti molli, muscolo-scheletriche e delle vie urinarie. Le specie che provocano più comunemente infezioni sono S. aureus (il membro più virulento e conosciuto del genere), S. epidermidis , S. lugdunensis e S. saprophyticus. La maggior parte delle altre specie stafilococciche non produce coagulasi e sono definite collettivamente come stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS).
1.1.1 Staphylococcus aureus
S. aureus rappresenta un patogeno rilevante per l’uomo. La maggior parte dei ceppi rimane sensibile agli antibiotici comunemente usati (tranne la penicillina) e vengono definiti S. aureus-meticillino-sensibili (MSSA). La meticillina è un vecchio antibiotico β-lattamico a spettro ristretto, ora non più utilizzato. I ceppi di S. aureus-meticillino-resistenti (MRSA) sono resistenti anche alla flucloxacillina; spesso sono resistenti anche ad altre classi di antibiotici, come i macrolidi. MRSA è noto per causare gravi infezioni sia in pazienti ospedalizzati sia in comunità (Figura 1.1).
■ Epidemiologia
S. aureus è ubiquitario e colonizza la cute e le mucose nel 30–50% degli adulti e dei bambini
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Figura 1.1 Immagine al microscopio elettronico a scansione di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) e di un neutrofilo umano morto.
sani. Le narici anteriori, il faringe, il perineo, il retto e il moncone ombelicale del neonato sono siti frequenti di colonizzazione. Tassi di colonizzazione > 50% si riscontrano nei bambini con patologie cutanee, ustioni o che fanno uso frequente di aghi (diabete mellito, emodialisi, uso di farmaci per via endovenosa). La colonizzazione materna è stata associata alla colonizzazione neonatale.
S. aureus è una delle cause più frequenti di polmonite associata ad assistenza sanitaria dopo i CoNS ed è il patogeno più comune responsabile delle infezioni del sito chirurgico e di infezione nel soggetto con malattia granulomatosa cronica.
L’infezione si può sviluppare sia sottoforma di infezione endogena, quando i batteri commensali diventano invasivi, sia come infezione esogena, se viene acquisita da altre persone per contatto diretto con una persona infetta o indiretto con un ambiente contaminato.
Gli stafilococchi sono suscettibili alle alte temperature e a disinfettanti e soluzioni antisettiche. Tuttavia, gli organismi possono sopravvivere su superfici asciutte per lunghi periodi. Gli operatori sanitari colonizzati a livello nasale o cutaneo possono fungere da serbatoio per la trasmissione di S. aureus direttamente al paziente o da un paziente all’altro.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso, ceppi di MRSA sono diventati endemici in ambiente ospedaliero. I fattori di rischio per le infezioni da MRSA associate all’assistenza sanitaria comprendono ospedalizzazione, intervento chirurgico, dialisi, degenza a lungo termine nell’arco dell’anno precedente, presenza di un dispositivo fisso, presenza di ferite e storia di precedente infezione o colonizzazione da MRSA. Dagli anni ’90 sono emerse infezioni da MRSA associate alla comunità attribuibili a ceppi diversi dai tradizionali MRSA associati all’assistenza sanitaria che causano frequentemente ascessi cutanei e dei tessuti molli, oltre a infezioni più gravi. Queste infezioni comunitarie si verificano negli ambienti affollati, in condizioni di contatto cutaneo tra persone diverse, condivisione di oggetti personali, scarsa igiene personale, contatto con cute non integra
(es. piercing). I ceppi di MRSA associati alla comunità possono circolare anche negli ospedali. Il periodo di incubazione è variabile e può essere lungo, in alcuni casi, anche fino a 10 giorni.
■ Patogenesi
La patogenesi degli stafilococchi comprende la capacità di evadere il sistema immunitario, di produrre proteine di superficie che mediano l’adesione dei batteri ai tessuti dell’ospite durante la colonizzazione e di causare malattia mediante l’elaborazione di specifiche tossine ed enzimi idrolitici che portano alla distruzione dei tessuti.
S. aureus produce molte tossine, tra cui cinque tossine citolitiche o danneggianti le membrane (alfa, beta, delta, gamma e leucocidina P-V), due tossine esfoliative (A e B), numerose enterotossine (da A a E, da G a X, oltre a molte varianti) e TSST-1. Le citotossine possono lisare i neutrofili, causando il rilascio di enzimi lisosomiali che danneggiano successivamente i tessuti circostanti. La tossina esfoliativa A, le enterotossine e TSST-1 appartengono a una classe di polipeptidi noti come superantigeni. Ciò provoca un’elevata liberazione di citochine sia da parte dei macrofagi, sia da parte delle cellule T. Le enterotossine provocano le malattie correlate agli alimenti. Sono state identificate numerose enterotossine stafilococciche distinte, con l’enterotossina A associata più comunemente all’intossicazione alimentare. Le enterotossine C e D si trovano nei prodotti lattiero-caseari contaminati, mentre l’enterotossina B causa l’enterocolite pseudomembranosa stafilococcica. Pertanto, una volta che un prodotto alimentare è stato contaminato da stafilococchi produttori di enterotossine e le tossine sono state prodotte, né il riscaldamento leggero del cibo né l’esposizione agli acidi gastrici saranno protettivi.
Queste tossine sono prodotte dal 30 al 50% di tutti i ceppi di S. aureus. Non è ancora chiaro il meccanismo preciso dell’attività delle tossine, che sono superantigeni capaci di indurre l’attivazione non specifica delle cellule T e il rilascio massivo di citochine.
Tabella 1.1 Meccanismo patogenetico tossino-mediato di Staphylococcus aureus.
Manifestazione clinica
Sindrome della pelle scottata da stafilococco (SSSS)
Meccanismo patogenetico mediato dalle tossine
Tossine esfoliative (ETA e ETB)
Intossicazione alimentare da stafilococco Enterotossine
Sindrome da shock tossico (SST)
Esotossina TSST-1
Enterotossine B e (raramente) C
I ceppi di S. aureus possiedono due forme di coagulasi: la forma legata, che può convertire direttamente il fibrinogeno in fibrina insolubile e far agglomerare gli stafilococchi, e la forma libera, che produce lo stesso risultato reagendo con un fattore globulinico plasmatico (fattore reagente della coagulasi) per formare stafilotrombina, che è un fattore simile alla trombina.
Tutti i ceppi di S. aureus producono diverse lipasi che idrolizzano i lipidi e assicurano la sopravvivenza degli stafilococchi nelle zone sebacee del corpo.
Nella Tabella 1.1 vengono riassunte le principali condizioni cliniche causate dall’azione delle tossine di S. aureus.
■ Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche causate da S. aureus sono spesso dovute all’attività delle tossine, tra le quali troviamo la sindrome della pelle scottata, l’intossicazione alimentare e la sindrome da shock tossico. Tra le principali infezioni localizzate sono descritte celluliti, ascessi della cute e dei tessuti molli, foruncoli, impetigine bollosa e non, sinusite, ascessi peritonsillari, infezione di ferita. La batteriemia può essere associata a complicanze localizzate come osteomielite, artrite settica, endocardite, polmonite, empiema, pericardite, ascessi. La meningite si può verificare nel neonato pretermine in presenza di shunt ventricolo-peritoneali o di difetti acquisiti o congeniti della dura madre. L’infezione da S. aureus può essere grave e in alcuni casi fulminante nei soggetti portatori di device come un catetere, un drenaggio, una valvola o una protesi articolare. Allo stesso modo, i pazienti con malattie congenite associate a una risposta chemiotattica o fagocitica compromessa (es. la sindrome di
Job, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la malattia granulomatosa cronica) sono più suscettibili all’infezione da S. aureus
Sindrome della pelle scottata da stafilococco (SSSS) o malattia di Ritten [→ Capitolo 45]
La sindrome della pelle scottata stafilococcica è uno spettro di malattie caratterizzate da dermatite esfoliativa ed è mediata dalle tossine esfoliative A e B. È una malattia che colpisce principalmente l’età neonatale e l’infanzia, con un tasso di mortalità inferiore al 5%, ed è caratterizzata dall’insorgenza improvvisa di un eritema periorale localizzato che si diffonde su tutto il corpo entro due giorni. Una leggera pressione sposta la pelle (segno di Nikolsky positivo) e successivamente si formano grandi vesciche o bolle cutanee, seguite dalla desquamazione dell’epitelio. L’epitelio torna integro entro 7–10 giorni, quando compaiono gli anticorpi contro la tossina, senza formazione di cicatrici perché è coinvolto solo lo strato superficiale dell’epidermide. La mortalità è dovuta a un’infezione batterica secondaria delle aree cutanee denudate. Le infezioni negli adulti di solito si verificano in ospiti immunocompromessi o pazienti con malattia renale e, a differenza dei neonati, la mortalità può arrivare al 60%. L’impetigine bollosa è una forma localizzata di SSSS e si verifica principalmente nei neonati e nei bambini piccoli ed è altamente contagiosa. In questa sindrome, specifici ceppi di S. aureus produttori di tossine sono associati alla formazione di vesciche cutanee superficiali. A differenza dei pazienti con manifestazioni disseminate di SSSS, S. aureus è presente nelle vesciche localizzate dei pazienti con impetigine bollosa. L’eritema non si estende oltre i confini della vescica e il segno di Nikolsky non è presente.
CAPITOLO 13 HERPESVIRIDAE
13.1 Herpes simplex 1 e 2
Herpes simplex (HSV) 1 e 2 sono virus capsulati a DNA appartenenti alla famiglia degli Herpesviridae (Figura 13.1). HSV-2 è la causa principale di encefalite neonatale da HSV, mentre HSV-1 è più frequente nei bambini. L’infezione si trasmette principalmente per via orale. La principale causa di morbidità è legata alla neurovirulenza del patogeno e alla sua capacità di latenza. Il virus solitamente penetra nell’organismo attraverso le mucose, ascendendo al ganglio nervoso tramite il sistema nervoso periferico. Ha la capacità, dopo la prima infezione, di rimanere latente bloccando la sua replicazione, solitamente nel ganglio trigeminale o della radice dorsale. Di solito la prima riattivazione si presenta nei bambini e negli adolescenti, ma può avvenire in ogni momento. La riattivazione causa malattie ricorrenti nell’area di innervazione del ganglio interessato (es. herpes labiale ricorrente o herpes genitale).
13.1.1 Infezione neonatale
■ Epidemiologia
L’incidenza è diversa tra i vari Paesi, più comune negli Stati Uniti (1:3000–1:20 0 00) rispetto all’Europa (1:60 0 00). Si trasmette principalmente dalla madre al bambino durante il parto. Sono stati descritti rari casi di infezione transplacentare, ancora più rara l’infezione trasmessa da lesioni orali da contatto. La prima infezione materna nel periodo peripartum ha un rischio più alto di trasmissione rispetto a una riattivazione. I casi di infezione neonatale da HSV sono principalmente associati a un’infezione
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Figura 13.1 Immagine al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) di Herpesvirus I virioni con un centro scuro hanno un capside senza DNA, mentre il virione con centro chiaro presenta un nucleocapside, costituito da un capside, più il suo nucleo di DNA.
materna asintomatica. Altri fattori che possono influenzare la trasmissione sono la prolungata rottura delle membrane, il parto vaginale e l’utilizzo di strumenti esterni che danneggiano le membrane muco-cutanee (forcipe, elettrodi applicati sullo scalpo fetale). Il periodo d’incubazione per l’HSV neonatale è di 1–6 giorni.
■ Manifestazioni cliniche
La severità delle manifestazioni cliniche è da ricondurre alla relativa immaturità della risposta immunitaria del neonato e alla capacità del virus di evadere la stessa. Le manifestazioni cliniche si possono distinguere in 3 patologie che possono sovrapporsi: sindrome pelle-occhi-bocca, malattia del sistema nervoso centrale (SNC) e forma disseminata
Tabella 13.1 Manifestazioni cliniche di infezione neonatale da HSV.
Sindrome pelle-occhi-bocca Malattia del SNC Disseminata*
Frequenza 45% 25% 30%
Manifestazioni cliniche
Vescicole diffuse (pelle, bocca, cuoio capelluto) o congiuntivite/ cheratite
Età d’insorgenza 5–14 giorni
Epatiti simil-sepsi, trombocitopenia, CID, polmoniti, interessamento del SNC, lesioni cutanee
5–10 giorni
Letargia, febbre, convulsioni, lesioni focali al neuroimaging
2–4 settimane
* Sindrome caratterizzata da infezione sistemica, con o senza interessamento del sistema nervoso centrale.
Abbreviazioni: SNC, sistema nervoso centrale; CID, coagulazione intravascolare disseminata.
(Tabella 13.1). La forma disseminata e la forma a interessamento del SNC sono quelle con maggior rischio di sequele e di mortalità.
■ Diagnosi
Gli esami di laboratorio strumentali da eseguire in neonati con sospetta infezione da HSV sono:
• colture da tamponi di superficie (tampone cutaneo della lesione sfregata, nasofaringeo, buccale, anale, congiuntivale) nelle prime 24 ore, per isolare il patogeno;
• esame colturale su liquor e sangue. Essenziale il liquor in caso di encefalite, seppur nelle prime ore di vita potrebbe risultare negativo in quanto la carica virale potrebbe essere ancora bassa. Va eseguita anche la conta cellulare e l’esame chimico-fisico su liquor;
• neuroimaging (TC o, meglio, RMN + ecografia cerebrale + EEG);
• emocromo, emocoltura, funzionalità epatica;
• consulenza oculistica per escludere retinite da HSV.
■ Trattamento
Il trattamento dell’infezione neonatale da HSV si basa principalmente su antivirali ed è illustrato nella Tabella 13.2. Dopo il trattamento, nel paziente con interessamento cerebrale è consigliato ripetere la ricerca di HSV-PCR su liquor. È consigliato il trattamento preventivo (aciclovir/valaciclovir) in donne con HSV genitale ricorrente in gravidanza dalla 36a settimana di età gestazionale per ridurre la comparsa delle lesioni al parto, riducendo quindi la necessità di cesareo. Infatti, il parto cesareo è consigliato nelle donne sintomatiche o con lesioni attive al parto, e dovrebbe essere eseguito entro 4–6 ore dalla rottura delle membrane. È stato dimostrato che questi approcci ostetrici possono ridurre, ma non eliminare, il rischio di trasmissione
Tabella 13.2 Trattamento dell’infezione neonatale da HSV (neonati con normale funzione renale e idratazione).
Trattamento acuto
Dalla nascita ai 3 mesi di vita > 3 mesi
Aciclovir EV: 20 mg/kg 3 volte/die per 21 giorni
Profilassi contro la ricorrenza di HSV
Dalla nascita ai 3 mesi di vita
• Aciclovir os: 300 mg/m2 3 volte/die per almeno 1 anno
• Valaciclovir os: non raccomandato in epoca neonatale (nessuna dimostrazione di efficacia)
Aciclovir EV: 10 mg/kg 3 volte/die per 21 giorni
Immunocompetenti > 3 mesi
• Aciclovir os:
– 300 mg/m2 3 volte/die per 6–12 mesi, oppure
– 1340 mg/m2 2 volte/die per 6–12 mesi
• Valaciclovir os: da un mese a 12 anni 25–40 mg/kg 3 volte/ die per almeno 3 mesi
Immunocompromessi > 3 mesi
• Aciclovir os:
– 300 mg/m2 3 volte/die per almeno 1 anno, oppure
– 1340 mg/m2 2 volte/die per almeno 1 anno
• Valaciclovir os: da un mese a 12 anni 25–40 mg/kg 3 volte/ die per almeno 1 anno
CAPITOLO
22 CORONAVIRIDAE
Alla famiglia dei Coronaviridae appartengono i coronavirus, un gruppo di virus a singolo filamento di RNA a senso positivo, non segmentato, con involucro. Il nome deriva dall’aspetto coronale della sua superficie quando osservato al microscopio elettronico. Esso presenta infatti degli spike proteici che lo rivestono. A differenza della maggior parte dei virus avvolti, la “corona” formata dalle glicoproteine permette al virus di resistere alle condizioni del tratto gastrointestinale e di diffondersi anche per via oro-fecale.
I coronavirus sono classificati nell’ordine dei Nidovirales. Possono infettare l’essere umano e varie specie animali, causando diverse sindromi cliniche. Sono stati descritti quattro generi distinti: Alphacoronavirus , Betacoronavirus , Gammacoronavirus e Deltacoronavirus . Gli HCoV 229E e NL63 appartengono al genere Alphacoronavirus. Gli HCoV OC43 e HKU1 appartengono al lignaggio A, il SARS-CoV-1 e il
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Figura 22.1 Immagine al microscopio elettronico a trasmissione (TEM), colorata in digitale, delle particelle del virus SARS-CoV-2.
SARS-CoV-2 (Figura 22.1) appartengono al lignaggio B e il MERS-CoV (Figura 22.2) appartiene al lignaggio C del genere Betacoronavirus.
I coronavirus sono la seconda causa più diffusa di raffreddore comune (i Rhinovirus sono la prima), ma possono anche causare epidemie con manifestazioni cliniche più gravi, come la sindrome respiratoria acuta grave (da cui deriva il nome SARS-CoV). Inoltre, casi di positività per coronavirus sono anche stati riscontrati in bambini e adulti con gastroenterite.
■ Epidemiologia
La maggior parte dei coronavirus umani replica a una temperatura ottimale di 33–35 °C,
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Figura 22.2 Immagine al microscopio elettronico a trasmissione (TEM), colorata in digitale, dell’involucro del virione del coronavirus della sindrome respiratoria mediorientale (MERS-CoV).
per questo motivo l’infezione generalmente resta localizzata alle vie respiratorie superiori. Il virus determina una sintomatologia simile al raffreddore comune causato dai Rhinovirus, ma con un periodo di incubazione più lungo (3 giorni di media). SARS-CoV e MERS-CoV possono replicare anche a temperature di 37 °C e possono causare manifestazioni cliniche sistemiche. L’infezione può anche esacerbare quadri di patologie croniche polmonari come asma e bronchite e in alcuni casi può causare polmonite.
I sierotipi HCoV 229E, OC43, NL63 e HKU1 sono diffusi in tutto il mondo. Causano la maggior parte dei quadri infettivi nei mesi invernali e primaverili dei climi temperati. L’esposizione è comune nella prima infanzia, con circa il 90% degli adulti sieropositivi per HCoV 229E, OC43 e NL63 e il 60% sieropositivi per HCoV HKU1. La trasmissione avviene principalmente per via aerosolica o per contatto diretto soprattutto nei primi giorni di malattia, con la comparsa delle manifestazioni cliniche, quando la carica virale nelle secrezioni respiratorie è al massimo. Il periodo di incubazione per HCoV-229E va da 2 a 5 giorni (mediana di 3 giorni).
Il SARS-CoV-1 ha causato un’epidemia in Cina nei primi anni 2000. Il virus è probabilmente l’evoluzione di un virus simile che ha come serbatoio naturale il pipistrello e che ha causato l’infezione dell’essere umano attraverso un animale ospite intermedio presente nei mercati alimentari della Cina. Gli interventi di sanità pubblica hanno infine interrotto l’epidemia. L’ultima segnalazione di SARS-CoV-1 nell’essere umano risale al 2004, in seguito a un’infezione acquisita in laboratorio.
Il MERS-CoV si è probabilmente evoluto dai coronavirus dei pipistrelli e ha infettato cammelli e dromedari prima e l’essere umano poi, determinando un’epidemia in Medio Oriente. Il periodo di incubazione del MERS-CoV è stimato da 2 a 14 giorni. I casi di MERS-CoV continuano a verificarsi in questa regione, principalmente a causa del contatto ravvicinato con cammelli o tra persone infette. La trasmissione da individuo a individuo avviene generalmente in contesti sanitari e meno frequentemente
in contesti domestici e si ritiene che si verifichi più comunemente attraverso la diffusione per via aerosolica o per contatto diretto.
Il SARS-CoV-2 è emerso a Wuhan, in Cina, verso la fine del 2019. L’infezione si è rapidamente diffusa nella provincia di Hubei e in tutta la nazione. Nel gennaio 2020 sono stati rilevati i primi casi al di fuori della Cina. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato il SARS-CoV-2 una “emergenza sanitaria di rilevanza internazionale” il 30 gennaio 2020. L’OMS ha dichiarato lo stato di “pandemia globale” l’11 marzo 2020. A marzo 2021, si contavano più di 112 milioni di casi e 2,5 milioni di morti a livello globale. Il SARS-CoV-2 si trasmette principalmente attraverso goccioline e particelle respiratorie di grandi e piccole dimensioni tra persone vicine (generalmente entro un raggio di 2 metri), sebbene la trasmissione possa avvenire anche a distanze maggiori. Gli spazi affollati, chiusi e scarsamente ventilati sono ambienti particolarmente problematici per la trasmissione di SARS-CoV-2. Le persone infette sono contagiose da 2 giorni prima dell’insorgenza dei sintomi fino a 10 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi. La carica virale è più elevata nelle prime fasi dell’infezione per poi ridursi con il passare del tempo. I pazienti con malattia grave o che sono gravemente immunocompromessi possono rilasciare il virus vitale per più di dieci giorni. La trasmissione di SARS-CoV-2 è anche associata all’assistenza sanitaria, sebbene i focolai di infezione da SARS-CoV-2 si verifichino più facilmente in ambienti di aggregazione (es. strutture di assistenza a lungo termine, case-famiglia, carceri, rifugi, luoghi di lavoro aggregati, dormitori) e nelle famiglie.
■ Patogenesi
Il processo infettivo inizia con l’ingresso del virus nella cellula ospite. Questo avviene grazie all’interazione della proteina S che forma gli spike virali con i recettori cellulari di membrana. L’interazione tra proteina S e recettori cellulari è il principale determinante del tropismo tissutale dei coronavirus. Gli organi maggior-
CAPITOLO
23 RETROVIRIDAE
23.1 Retrovirus
I Retrovirus sono virus a RNA a singolo filamento positivo avvolto con una morfologia e una modalità di replicazione uniche.
I Retrovirus presentano una struttura sferica, sono capsulati e hanno un diametro che varia dagli 80 ai 120 nm. L’envelope virale, contenente glicoproteine virali, avvolge il capside che contiene due copie identiche del genoma a singolo filamento positivo a RNA (Figura 23.1). Il genoma virale dei Retrovirus più semplici contiene tre geni maggiori che codificano per tre
p15 Nucleocapside
p19 Matrice
p24 Capside
p62/p32 RT
gp21 Transmembrana
gp46 Envelope
proteine enzimatiche e strutturali: GAG, POL ed ENV. Il genoma dei Retrovirus più complessi come HTLV, HIV e altri Lentivirus esprime proteine che codificano per fattori di virulenza che richiedono dei processi trascrizionali più complessi (es. TAT, REV, VIF, VPU). Come dimostrato nel 1970, i Retrovirus codificano per una polimerasi deossiribonucleica RNA-dipendente e replicano attraverso un intermezzo di DNA definito provirus. La copia di DNA del genoma virale è quindi successivamente integrata nel cromosoma dell’ospite e viene trascritta in un gene cellulare.
Figura 23.1 HTLV: rappresentazione schematica della struttura di un virione.
Tabella 23.1 Sottofamiglie dei Retrovirus.
Sottofamiglia Ceppo Caratteristiche
Oncovirinae HTLV-1, HTLV-2, HTLV-5 Unici virus che hanno la capacità di trasformare le cellule target. Sono classificati dalla morfologia del core e del capside in tipo A, B, C e D
Lentivirinae HIV-1, HIV-2
Spumavirinae –
Virus lenti associati a patologia neurologica e immunosoppressiva
Sono in grado di esercitare un effetto citopatologico ma non sembrano essere in grado di causare patologia clinica
Il primo retrovirus a essere stato isolato è il virus di Rous, in grado di produrre tumori solidi (sarcomi) nei polli e presenta, come la maggior parte dei retrovirus, un limitato range di ospiti e specie che possono contrarre l’infezione.
Attualmente i Retrovirus sono suddivisi in tre differenti sottofamiglie, le cui caratteristiche sono riportate nella Tabella 23.1
Bibliografia
Manual of Childhood Infections: The Blue Book , by Royal College of Paediatrics and Child Health. 4th Edition, 2016.
Red Book: 2021-2024 Report of the Committee on Infectious Diseases, by Committee on Infectious Diseases, American Academy of Pediatrics, 32nd Edition, 2021.
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CAPITOLO 25 PROTOZOI
25.1 Giardia duodenalis
■ Eziologia
Giardia duodenalis (nota in passato come Giardia lamblia e Giardia intestinalis) è un protozoo flagellato che esiste in forma di trofozoita e di cisti; la forma infettiva è la cisti. Giardia subisce un ciclo di vita semplice che alterna la cisti ingerita per via orale al trofozoita mobile che risiede e si moltiplica nell’intestino tenue. L’incistamento avviene nell’intestino tenue inferiore e le cisti sono infettive quando vengono espulse (Figura 25.1).
L’infezione è limitata all’intestino tenue e alle vie biliari.
■ Epidemiologia
La giardiasi ha una distribuzione mondiale ed è la più comune infezione parassitaria intestinale dell’essere umano identificata a livello globale. Il picco di malattia si verifica dall’inizio dell’estate all’inizio dell’autunno. La trasmissione di G. duodenalis si verifica soprattutto in situazioni in cui è probabile l’esposizione a feci infette, tra le comunità infantili (es. le scuole), aree del mondo in cui la malattia è endemica, contatto ravvicinato (anche sessuale) con persone infette, ingestione di acqua contaminata. La durata della escrezione delle cisti è variabile, ma può variare da settimane a mesi.
La giardiasi è trasmissibile per tutto il tempo in cui la persona infetta espelle le cisti. Il periodo di incubazione è solitamente compreso tra una e tre settimane.
■ Manifestazioni cliniche
I sintomi dell’infezione da G. duodenalis sono attribuibili alla disfunzione dell’intestino tenue causata dai trofozoiti e vanno da un quadro asintomatico, nella maggior parte dei casi, a diarrea fulminante e disidratazione. I bambini sono più spesso sintomatici degli adulti. I pazienti sintomatici lamentano spesso crampi e gonfiori addominali intermittenti, con flatulenza e feci maleodoranti. Quest’ultima evenienza può essere peggiorata anche dalla concomitante intolleranza al lattosio e dal malassorbimento che si verifica in questi pazienti, provocando l’emissione di diarrea voluminosa spesso descritta come “grassa o untuosa” e maleodorante. L’infezione cronica è comune e spesso si accompagnata a perdita di peso. I sintomi cronici, simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile, possono essere confusi con la giardiasi e sono anche sequele della giardiasi stessa.
A volte predominano i sintomi atipici del tratto gastrointestinale superiore, come eruttazione, nausea e vomito. Febbre, muco e sangue nelle feci sono decisamente atipici e suggeriscono un’infezione da parte di un altro agente. La storia naturale delle infezioni acquisite e non trattate non è ben documentata. In questi casi la durata dell’infezione è in genere prolungata e può essere particolarmente lunga nei giovani, potendo durare anche anni nei soggetti immunocompromessi. Nei bambini, lo sviluppo dell’immunità è scarso e le infezioni ripetute sono comuni. La giardiasi non è associata a eosinofilia.
Contaminazione di acqua, cibo e mani con cisti infettanti
Anche trofozoiti sono emessi con le feci ma non sopravvivono nell’ambiente esterno
Stadio infettante
Stadio diagnostico
Cisti
Trofozoiti
Cisti
■ Diagnosi
Le cisti o i trofozoiti di G. duodenalis non sono presenti in modo costante nelle feci dei pazienti infetti. La sensibilità diagnostica può essere aumentata esaminando 3 campioni di feci nell’arco di diversi giorni. I nuovi test molecolari generalmente includono G. duodenalis come patogeno target. Le tecniche diagnostiche comprendono anticorpi a fluorescenza diretta (DFA, considerato il gold standard), test rapidi immunocromatografici, kit di immunoassorbimento enzimatico (EIA), microscopia con colorazione tricromica e test molecolari.
■ Trattamento
Alcune infezioni sono autolimitati e il trattamento può non essere necessario. Tinidazolo, metronidazolo e nitazoxanide sono i farmaci di scelta (Tabella 25.1).
Un ciclo di 5–7 giorni di metronidazolo ha un’efficacia dell’80–100% nei pazienti pediatrici. Una singola dose di tinidazolo ha un’efficacia mediana del 91% e ha meno effetti avversi del metronidazolo. Un ciclo di 3 giorni di nitazoxanide ha un’efficacia simile a quella del metronidazolo. Se il trattamento è necessario durante la gravidanza, la paromomicina ha un’efficacia del 50–70% ed è il trattamento raccomandato. Tra i bambini e gli adulti infetti da HIV senza AIDS, un’efficace terapia antiretrovirale combinata (ART) e una terapia antiparassitaria idonea sono i principali trattamenti iniziali per queste infezioni. Se la giardiasi è refrattaria al trattamento standard, i pazienti con infezione da HIV e AIDS vanno sottoposti a una durata più lunga del trattamento o va effettuata una terapia antiparassitaria combinata (es. tinidazolo, nitazoxanide o metronidazolo più uno dei seguenti: paromomicina, albendazolo o quinacrina).
eseguiti i test sierologici per IgG, IgM e IgA nel neonato. Devono essere inoltre inviati per la ricerca di T. gondii con PCR il liquido cerebrospinale, l’urina e il sangue intero. La presenza nel neonato di IgM anti-Toxoplasma positive (dopo 5 giorni di vita) e/o IgA positive (dopo 10 giorni di vita), insieme a IgG positive, permette di porre diagnosi di toxoplasmosi congenita. La diagnosi di toxoplasmosi congenita può essere fatta definitivamente anche in un bambino con persistenza di IgG per T. gondii dopo 12 mesi di vita.
I neonati valutati per la toxoplasmosi dovrebbero essere sottoposti anche a esami ematochimici comprensivi di emocromo con formula leucocitaria e funzionalità epatica oltre all’esame chimico-fisico del liquor che nei soggetti con infezione mostra pleiocitosi, proteine elevate, eosinofilia e ipoglicorrachia. Alla nascita è importante eseguire una valutazione oftalmologica e audiologica oltre a un’ecografia cerebrale o risonanza magnetica cerebrale. L’ecografia addominale è utile per valutare la presenza di epatosplenomegalia o di calcificazioni intraepatiche.
I neonati asintomatici con basso sospetto di toxoplasmosi congenita ma che inizialmente erano IgG positivi ma IgM e IgA negativi dovrebbero essere sottoposti a follow-up con ripetizione di IgG a intervalli di 4–6 settimane fino alla completa scomparsa, che di solito si verifica entro 6–12 mesi. Ciò permette di escludere con sicurezza la diagnosi di toxoplasmosi congenita.
■ Trattamento nella gravida
In caso di infezione materna certa o sospetta è normalmente indicato un trattamento con spiramicina, alla dose di 3 milioni di unità ogni 8 ore, allo scopo di prevenire la trasmissione materno-fetale dell’infezione. Perché tale trattamento risulti efficace è importante che la terapia venga iniziata il più precocemente possibile dopo l’infezione materna. In assenza di infezione fetale la terapia con spiramicina va proseguita senza interruzioni fino al parto. In caso di infezione fetale accertata è indicato modificare il trattamento, sostituendo la spira-
micina con l’associazione pirimetamina-sulfadiazina che sono in grado di superare in modo significativo la barriera placentare e quindi curare già in utero l’infezione fetale. La pirimetamina si somministra per via orale alla dose di 50 mg/die e la sulfadiazina alla dose di 3 g/die ripartiti in 2–3 somministrazioni. Questo trattamento è controindicato nel primo trimestre di gravidanza per la potenziale teratogenicità della pirimetamina e dovrebbe essere evitato in prossimità del termine della gravidanza (sospendere due settimane prima del parto) per il rischio di kernicterus nel neonato legato al sulfamidico.
■ Trattamento nel neonato
I neonati e i bambini con toxoplasmosi congenita confermata/fortemente sospetta devono ricevere una terapia orale con pirimetamina, sulfadiazina e acido folinico, solitamente per 12 mesi. Lo schema terapeutico è differenziato per quanto riguarda la pirimetamina a seconda che il neonato sia sintomatico o asintomatico ( Tabella 27.1 ). Tra gli effetti collaterali della terapia quello principale è la tossicità midollare con neutropenia reversibile (30%), anemia (20%), nausea e vomito. In presenza di segni clinici e/o strumentali di processi infiammatori in fase attiva come encefalite o corioretinite è raccomandata l’associazione di un corticosteroide (prednisone 1 mg/kg/die in 2 dosi per via orale) alla terapia di base, che andrà gradualmente sospeso dopo la risoluzione dei segni infiammatori. Durante il trattamento i neonati/ lattanti devono eseguire un follow-up clinico, ematochimico e sierologico. È importante inoltre eseguire un follow-up oftalmologico con fundus oculi, audiometrico e neurologico-comportamentale a lungo termine.
27.2 Virus
Virus a RNA, della famiglia Retroviridiae. Esistono due tipi (1 e 2, il tipo 1 più comune fuori dall’Africa Occidentale) e anche diverse classi
Tabella 27.1 Trattamento della toxoplasmosi congenita in base alla sintomatologia del neonato.
Neonato sintomatico
Pirimetamina: 2 mg/kg/die per i primi 2 giorni poi 1 mg/kg/die per 6 mesi, poi 3 volte/settimana per altri 6 mesi +
Sulfadiazina: 100 mg/kg/die in 2 somministrazioni per 12 mesi +
Acido folinico: 10 mg 3 volte/settimana
Se encefalite con protidorrachia > 1 g/dL o corioretinite
Prednisone: 1 mg/kg/die in 2 dosi (da iniziare 72 ore dopo l’inizio della terapia per Toxoplasma e proseguire fino a protidorrachia < 1 g/dL)
Neonato asintomatico
Pirimetamina: 2 mg/kg/die per i primi 2 giorni poi 1 mg/kg/die per 2 mesi, poi 3 volte/settimana per altri 10 mesi +
Sulfadiazina: 100 mg/kg/die in 2 somministrazioni per 12 mesi +
Acido folinico: 10 mg 3 volte/settimana
Durata del trattamento: 1 anno
o sottotipi (denominati A, B, C, D, E, F, G, H, J e K), diffusi in diverse regioni geografiche. Oltre il 90% dei casi di HIV in età pediatrica è associato alla trasmissione madre-bambino del virus, in calo grazie alla possibilità di trattare con terapia antiretrovirale (ART) le donne gravide. La trasmissione risulta ridotta nei Paesi industrializzati, e stabile purtroppo nei Paesi in via di sviluppo. I cut-off di riferimento per la viremia e per considerare la replicazione virale soppressa variano secondo i Paesi. Secondo le linee guida europee (2021) e italiane (2017) si considera soppressa la replicazione quando l’HIV-RNA materno risulta, in prossimità del parto, < 50 copie/mL. In Italia viene eseguito un parto vaginale solo se la replicazione è soppressa e i CD4+ risultano superiori a 200 cellule/ mm 3, in caso contrario è consigliato il taglio cesareo. Gli stessi cut-off vengono utilizzati per la somministrazione intrapartum di zidovudina profilattica (2 mg/kg in 60 minuti, seguiti da 1 mg/kg/ora in infusione continua fino al parto). Il bambino può contrarre il virus dalla madre in utero, durante il parto o tramite il latte materno. In tutti i neonati, anche in caso di madre trattata e con viremia soppressa, è consigliato l’ART profilattico per ridurre il rischio di trasmissione (entro 6–12 ore di vita). La scelta del farmaco da somministrare al bambino varia in base alla valutazione dei rischi materni, neona-
tali (quindi al rischio d’infezione, Tabella 27.2) e all’età gestazionale al parto. Essenziale il confronto multispecialistico tra neonatologo, infettivologo pediatra e ginecologo.
L’infezione materna da HIV è una delle poche cause di non somministrazione di latte materno. È dimostrato che, anche in caso di assenza di virus circolante o viremia soppressa, il DNA virale rimane identificabile a livello intracellulare, quindi può essere trasmesso con il latte materno. Ovviamente questo vale per i Paesi industrializzati, dove il latte in formula è una soluzione praticabile.
Il neonato sottoposto ad ART va monitorato in follow-up da un punto di vista clinico, ma anche laboratoristico (emocromo con formula, bilirubina, funzionalità epatica e renale). La letteratura consiglia il follow-up clinico anche nei pazienti esposti al virus e alla terapia materna in gravidanza. È da intraprendere la profilassi con cotrimossazolo dalla 4–6 a settimana di vita nei neonati infetti (per tutta la vita) e con infezione indeterminata (per il periodo di follow-up), per il rischio di polmonite da Pneumocystis jirovecii
27.3 Virus varicella zoster
L’infezione del feto conseguente alla varicella materna durante il primo e l’inizio del secon-
Tabella 34.1 Manifestazioni cliniche della meningite.
Segni da compressione delle radici dei nervi cranici e spinali
Secondari all’azione esercitata dal liquor iperteso. Più evidenti nel bambino di età superiore all’anno che nel lattante perché, quando la fontanella anteriore non è ancora chiusa, parte dell’aumentata pressione liquorale si può scaricare attraverso di essa, con ovvia riduzione della compressione delle radici nervose
• Difficoltà a piegare il capo
• Difficoltà a passare dalla posizione supina a quella seduta e a mantenere le gambe estese
• Mantenimento della posizione supina, con la testa iperestesa, le ginocchia flesse sulle cosce e queste sul bacino
• Opistotono (iperestensione del dorso)
• Segno di Kernig (flessione degli arti inferiori nel passaggio dalla posizione supina a quella seduta)
• Segno di Brudzinski (flessione degli arti inferiori in seguito alla flessione del capo sul tronco)
• Segno di Lasegue (limitazione della flessione delle gambe in estensione sul bacino)
Segni di ipertensione endocranica
Meno evidenti nel lattante per l’azione riducente sull’ipertono liquorale svolta dall’apertura della fontanella bregmatica
Segni di sofferenza cerebrale
Segni di irritazione sensitivo-sensoriale e del sistema neurovegetativo
Segni psichici
Segni di compromissione generale
Maggiormente presenti nel lattante
subdoli e atipici sono i sintomi, quali cefalea, fotofobia, vomito e rigidità del collo. In particolare, la cefalea è segnalata nel 2–9% dei bambini con meningite batterica fino a 1 anno di età e nel 75% dei bambini di età superiore a 5 anni. La febbre è il sintomo più comunemente riportato nella meningite batterica infantile, con un tasso di insorgenza del 92–93%. Il vomito è segnalato nel 55–67% dei bambini affetti da meningite batterica. Le convulsioni sono state segnalate nel 10–56% dei bambini. Uno stato mentale alterato è stato segnalato nel 13–56% dei casi di meningite batterica infantile. Alcuni segni o sintomi sono associati a specifici patogeni della meningite infantile: l’eruzione petecchiale e purpurica è solitamente segno di
• Cefalea, vomito (non correlato all’assunzione di cibo e non preceduto da nausea)
• Papilla da stasi (specie nei casi che datano da alcuni giorni)
• Convulsioni, paresi e paralisi dei nervi cranici e spinali, alterazione dei riflessi superficiali e profondi
• Fotofobia, ipersensibilità ai rumori, iperestesia cutanea, dermografismo rosso o bianco, sepsi, alterazione del respiro, bradicardia
• Agitazione psicomotoria, allucinazioni, delirio, torpore, stato stuporoso, coma
• Febbre elevata, apatia, astenia, inappetenza, anoressia, possibile quadro settico, segni di coagulazione intravascolare disseminata, emorragie diffuse cutanee e/o viscerali e possibili deficit funzionali degli organi colpiti (soprattutto nell’infezione da meningococco)
malattia meningococcica, sebbene un’eruzione cutanea sia stata descritta anche nella meningite pneumococcica. Altri segni classici di irritazione meningea descritti da Kernig e Brudzinski (Figura 34.1) hanno dimostrato di avere scarsa sensibilità (5–30%) per diagnosticare la meningite batterica. Focolai extrameningei d’infezione, come otite, sinusite, polmonite o endocardite, sono presenti in circa il 43% dei pazienti e sono più probabili negli episodi di meningite pneumococcica (51%) che in quelli da infezione meningococcica (6%).
Le complicanze della meningite batterica possono essere a breve termine come sindrome da inappropriata secrezione di ADH (SIADH), coagulazione intravascolare disseminata, shock
Figura 34.1 Segni da compressione delle radici dei nervi cranici e spinali: segno di Brudzinski e segno di Kernig.
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Figura 34.2 Esecuzione di una puntura lombare in un neonato. Controindicazioni: l’aumento della pressione intracranica aumenta il rischio di ernie; possibile cellulite nella zona della puntura; disturbi emorragici.
settico, cerebrite o infarto cerebrale, empiema subdurale e ascesso cerebrale, sepsi meningococcica. Le complicanze a lungo termine sono rappresentate da ritardo mentale, ritardo nell’acquisizione del linguaggio, convulsioni, disturbi comportamentali e sordità neurosensoriale.
■ Diagnosi
Quando si sospetta una meningite batterica acuta la diagnosi deve essere tempestiva così come precoce l’uso di antibiotici empirici. L’esecuzione della puntura lombare (Figura 34.2) per l’analisi e la coltura del liquido cefalorachidiano (LCR) è fondamentale per la diagnosi. Questa procedura può essere eseguita nella maggior parte dei casi in sicurezza a eccezione di rari casi in cui
è raccomandata l’esecuzione di un imaging cerebrale come la tomografia computerizzata (TC) all’encefalo: deficit neurologici focali (escluse paralisi dei nervi cranici), convulsioni di nuova insorgenza, stato mentale gravemente alterato (punteggio alla Glasgow Coma Scale < 10), stato di grave immunocompromissione.
Nei pazienti privi di queste caratteristiche, l’imaging cranico prima della puntura lombare non è raccomandato. Rappresentano controindicazioni all’esecuzione della rachicentesi la presenza di una coagulopatia, una trombocitopenia severa, una diatesi emorragica severa o l’infezione nel sito di puntura lombare. Nei neonati con meningite batterica la conta leucocitaria, il glucosio e i livelli delle proteine nel liquor sono fre-
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Figura 36.6 Esantema facciale di colore rosso tipico della quinta malattia. Le guance sembrano essere state “schiaffeggiate”.
pruriginosa – di solito si diffonde soprattutto nelle zone cutanee foto-esposte (braccia e gambe), ma anche al tronco, per poi attenuarsi in un paio di settimane.
Altre manifestazioni cliniche. Il Parvovirus B19 può essere responsabile di crisi aplastiche nei pazienti con anemia emolitica cronica (anemia falciforme), condizione molto grave e life threatening. Anche l’infezione del feto in gravidanza è potenzialmente fatale (specialmente nelle prime 20 settimane), potendo causare idrope fetale e aborto (rischio che si aggira fra il 2–6%). Nei soggetti in età pediatrica e negli adulti immunocompetenti l’infezione da Parvovirus B19 può essere responsabile della sindrome papulo-purpurica a guanto e calza ( petechial , papular-purpuric gloves-and-socks syndrome, PPGSS), con il caratteristico rash da cui la sindrome prende il nome.
Inoltre, l’infezione è stata associata a piastrinopenia, neutropenia e linfocitopenia; in rari casi si è assistito a casi di miocardite, epatite acuta, encefalopatie e linfoistiocitosi emofagocitica.
Negli adulti l’infezione è più spesso causa di poliartrite acuta.
■ Diagnosi
La diagnosi è essenzialmente clinica. Per la diagnosi di certezza, tuttavia, devono essere rilevate le IgM specifiche o la presenza del DNA virale tramite RT-PCR. La diagnosi di certezza
è fondamentale in alcune situazioni cliniche, per esempio in gravidanza per porre diagnosi differenziale tra eruzione cutanea da rosolia o da megaloeritema infettivo. L’isolamento virale non viene eseguito di routine.
■ Diagnosi differenziale
Include cause infettive e non infettive, tra cui altre infezioni virali (rosolia, morbillo, gastroenteriti), patologie cutanee e a carattere reumatologico (artrite acuta), reazioni a farmaci con conseguente rash.
■ Trattamento
Trattamento di supporto volto ad alleviare la sintomatologia (analgesici, antipiretici, antistaminici per la sintomatologia pruriginosa). Non vi è un trattamento antivirale specifico. Esistono dei vaccini per i Parvovirus felini e canini, ma non per quello umano.
La terapia endovenosa con immunoglobuline deve essere tenuta in conto nel trattamento dell’infezione da Parvovirus B19 in pazienti immunocompromessi, sebbene il regime posologico e la durata ottimale non siano univocamente definiti.
Nelle donne in gravidanza l’evidenza di un’infezione acuta da Parvovirus B19 deve essere attentamente monitorata, per esempio con esami ecografici seriati; in queste donne, inoltre, il liquido amniotico e i tessuti fetali devono essere considerati infettivi e quindi maggiori precauzioni devono essere impiegate in caso di probabile esposizione. Tuttavia, vista l’elevata prevalenza dell’infezione, la bassa incidenza di effetti avversi sul feto e la possibilità di diminuire ma non eliminare completamente il rischio di esposizione, l’esclusione delle donne incinte dal luogo di lavoro in cui si verificano casi di quinta malattia non è raccomandata.
36.5 Sesta malattia
I virus che causano la sesta malattia (conosciuta anche come roseola infantum o esantema critico), prevalentemente HHV-6B e in alcuni casi
HHV-7, appartengono al genere Roseolovirus, sottofamiglia Betaherpesvirinae , appartenenti alla famiglia degli Herpesviridae . Sono virus ubiquitari con tropismo linfocitario: si stima che percentuali superiori al 60–70% della popolazione sia sieropositivo per HHV-6 e HHV-7 già a partire dall’età di 2 anni, fino a sfiorare la quasi totalità della popolazione adulta. Per quanto riguarda la classificazione, dal 2012 HHV-6A e HHV-6B sono riconosciute come due distinte specie e non più varianti della stessa specie. Contrariamente a HHV-6B, l’infezione primaria da HHV-6A non è stata associata con alcuna patologia riconosciuta.
■ Patogenesi, immunità e cenni epidemiologici
L’infezione si verifica molto presto nel corso della vita. Il virus si replica nelle ghiandole salivari, per cui è presente in elevate quantità nella saliva e nei droplet; infatti, quella aerea è tra le principali vie di trasmissione. Questi virus, dopo la fase infettiva iniziale, solitamente stabiliscono un’infezione latente che dura per tutta la vita. HHV-6 B in particolar modo stabilisce un’infezione latente nelle cellule progenitrici ematopoietiche e nei linfociti T CD4+ che sono le prime cellule a essere infettate. Il virus nello stato latente può replicarsi una volta avvenuta l’attivazione delle cellule.
Similmente a ciò che avviene nell’infezione da Cytomegalovirus (CMV), le cellule in cui HHV-6 e HHV-7 si replicano appaiono molto grandi, con occasionali corpi di inclusione intranucleari e intracitoplasmatici. L’immunità cellulo-mediata gioca un ruolo fondamentale nel controllare la replicazione virale. Un’altra analogia che lega questi virus al CMV è il rischio di attivazione nei pazienti affetti da AIDS o disturbi linfoproliferativi/immunosoppressivi: in questi casi il rischio di malattia opportunistica è elevato. L’infezione da HHV-6 o una sua riattivazione è anche associata a reazione da ipersensibilità a farmaci come la sindrome DRESS (Drug Rash with Eosinophilia and Systemic Symptoms; rash da farmaci con eosinofilia e sintomi sistemici).
■ Manifestazioni cliniche e complicanze
Il periodo medio di incubazione per HHV-6B varia fra 9 e 10 giorni; per HHV-7 il periodo di incubazione non è conosciuto.
La roseola è una condizione benigna e auto-limitantesi; l’infezione acuta da HHV-6B è di solito accompagnata da una caratteristica linfoadenopatia post-occipitale cervicale (a distanza di 2–4 giorni dopo l’inizio della febbre), da sintomi gastrointestinali o respiratori e spesso da infiammazione delle membrane timpaniche (sono stati descritti anche casi di congiuntivite palpebrale). La febbre può essere molto alta con temperature superiori a 39,5 °C, potendo persistere dai 3 ai 7 giorni; è spesso accompagnata da irritabilità (ma in molti altri casi le condizioni generali sono buone, con bambini vigili e reattivi). Si stima che una percentuale attorno al 25% delle visite in pronto soccorso dei bambini febbrili tra 6 e 12 mesi di vita siano attribuibili a HHV-6B.
Alla risoluzione della febbre compare solitamente un rash, che può durare da ore a giorni.
Circa il 10–15% dei bambini con infezione primaria HHV-6B sviluppa convulsioni febbrili, prevalentemente tra i 6 e i 24 mesi; in effetti, sebbene si tratti solitamente di un’infezione che non comporta gravi complicanze, la sesta malattia è la più comune causa di crisi convulsive febbrili in età pediatrica, che in taluni casi possono progredire sino allo stato di male epilettico.
L’infezione da HHV-7 comporta manifestazioni cliniche meno chiare rispetto a quelle da HHV-6B: la maggior parte delle infezioni primarie da HHV-7 presumibilmente decorre in modo asintomatico o lieve, quindi spesso non vengono diagnosticate. Alcune infezioni primitive possono presentarsi come una tipica sesta malattia e possono spiegare casi di roseola ricorrente. Anche durante l’infezione da HHV-7 la febbre può essere molto alta, comportando anche in questo caso la presentazione di crisi convulsive.
Caratteristiche del rash. Eruzione cutanea eritematosa-maculo-papulare a livello del collo e
Tabella 39.1 Eziologia e diagnosi differenziale delle epatiti in età pediatrica. Adattata da Pediatria di Nelson, 2023.
Infezioni epatiche virali
Virus epatotropici
• HAV
• HBV
• HCV
• HDV
• HEV
• Epatite da virus non-A-E
Infezioni epatiche non virali
• Ascessi
• Amebiasi
• Brucellosi
• Sepsi batterica
Epatiti autoimmuni
• Epatite autoimmune
• Colangite sclerosante
Epatiti di origine metabolica
• Deficit di α-1-antitripsina
• Tirosinemia
Epatiti da intossicazione
• Iatrogena o farmaco-indotta (paracetamolo)
Epatiti derivanti da danno strutturale
• Cisti del coledoco
Epatiti di origine emodinamica
• Shock
• Scompenso cardiaco congestizio
Steatosi non alcolica
• Idiopatica
cali del mondo, ma casi sporadici sia nell’adulto sia nel bambino sono stati riportati anche in Europa. La peculiarità dell’infezione da HEV è rappresentata dal grave rischio di mortalità nelle donne in stato di gravidanza.
I virus epatitici minori possono causare epatopatia acuta di grado variabile nel corso dell’infezione sistemica e sono responsabili di circa l’1,5% dei casi totali di epatite virale. Le
Infezione sistemica comprensiva di epatite
• Adenovirus
• Arbovirus
• Coxsackievirus
• Cytomegalovirus
• Enterovirus
• EBV
• Virus “esotici” (febbre gialla)
• Herpes simplex
• Virus dell’immunodeficienza umana acquisita (HIV)
• Paramyxovirus
• Rosolia
• Varicella zoster
• Sindrome di Fitz-Hugh-Curtis
• Istoplasmosi
• Leptospirosi
• Tubercolosi
• Lupus eritematoso sistemico
• Artrite reumatoide giovanile
• Malattia di Wilson
• Ambientale (pesticidi)
• Atresia biliare
• Sindrome di Budd-Chiari
• Sindrome di Reye
epatiti virali sono estremamente diffuse, ubiquitarie, endemiche e alcune di esse mostrano una particolare stagionalità. I principali agenti eziologici sono il virus Epstein-Barr (EBV), il virus Herpes simplex (HSV), il Cytomegalovirus (CMV), il virus della varicella-zoster (VZV), il virus dell’immunodeficienza umana acquisita (HIV), il virus della rosolia, l’adenovirus, gli Enterovirus, il Parvovirus B19 e gli Arbovirus
Tabella 48.3 Caratteristiche dei principali test diagnostici per infezione da SARS-CoV-2.
Metodo Caratteristiche
Test molecolare
Test antigenico
Test sierologico
• Gold standard diagnostico
• Può essere eseguito solo da personale addestrato
• Può fornire informazioni sulla carica virale
• Può tipizzare le varianti
• Meno sensibile, ma ugualmente specifico
• Può essere autosomministrato
• Maggior numero di falsi positivi
• Può fare diagnosi di malattia acuta o pregressa
• Non è valido da solo per diagnosticare la malattia in atto
• Un risultato negativo non esclude una pregressa infezione o vaccinazione
associata a leucocitosi, dovuta alla necrosi o all’apoptosi dei linfociti. La gravità della linfocitopenia è direttamente proporzionale alla gravità delle manifestazioni cliniche. In aggiunta, si potrà rilevare un aumento degli indici di flogosi aspecifici come la proteina C reattiva (PCR). Possono essere aumentate anche la ferritina sierica e la lattato-deidrogenasi sierica; meno frequentemente pro-calcitonina, solitamente elevata in caso di coinfezione, la velocità di eritrosedimentazione (VES) e IL-6. I marcatori di coagulopatia come il d-dimero possono essere elevati e, meno frequentemente, i biomarcatori di danno d’organo come i parametri di funzionalità epatica, la troponina, il peptide natriuretico di tipo pro-B (proBNP) e la creatinina chinasi MB (CK-MB).
La radiografia (Rx) del torace è l’esame strumentale da eseguire in caso di clinica suggestiva per polmonite. L’Rx mostrerà opacità a chiazze (Figura 48.1). La TC del torace è un esame riservato ai soli casi severi di malattia, e mostrerà opacità a vetro smerigliato, margini mal definiti, ispessimento interlobulare settale liscio o irregolare, broncogramma aereo, ispessimento della pleura.
■ Complicanze
Sebbene la COVID-19 sia stata una malattia relativamente lieve nella maggior parte dei bambini, spesso i casi gravi portano allo sviluppo di complicanze come insufficienza respiratoria, danno cardiaco acuto, danno renale acuto,
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Figura 48.1 Radiografia (Rx) del torace in presenza di polmonite da COVID-19.
shock, coagulopatia e insufficienza multiorgano, ma possono presentarsi anche complicanze più gravi e complesse, come la MIS-C o il cosiddetto “Long COVID”.
Sindrome infiammatoria multisistemica nei bambini (MIS-C)
La MIS-C o sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica temporalmente associata alla SARS-CoV-2 (PIMS-TS), è una condizione infiammatoria post-infettiva associata ad anomalie della funzione immunitaria, disfunzione cardiaca ventricolare sinistra, aneurismi coronarici, blocco atrioventricolare e deterioramento clinico con coinvolgimento multiorgano, simile per manifestazioni cliniche e laboratoristiche alla malattia di Kawasaki con cui entra in
qualsiasi altro dispositivo (es. tubo gastrostomico oppure cateterizzazione vescicale) – pur con tutte le differenze date dalle specificità dei singoli dispositivi medici impiegati – che in definitiva garantiscono al paziente e al nucleo familiare un aiuto nella gestione quotidiana delle problematiche disabilitanti, per ottenere un fattivo miglioramento della qualità di vita. In tale contesto, la gestione del rischio infettivo è fondamentale.
A chiusura di tale sezione si possono estrarre dei principi generali in termini di approccio e gestione, per attuare una riduzione del rischio infettivo in questo particolare setting:
• team multidisciplinare che sceglie in accordo col nucleo familiare la migliore strategia terapeutico-assistenziale, coadiuvata se necessario da dispositivi medici;
• periodo adeguato di formazione genitoriale nell’utilizzo di tali dispositivi;
• verifica dell’apprendimento pre-dimissione;
• verifiche periodiche delle condizioni cliniche del paziente, dello status dei devices e del loro corretto impiego;
• cambiamenti periodici, possibilmente programmati, dei dispositivi.
50.2 Fibrosi cistica
La fibrosi cistica (FC) – patologia multisistemica causata da varianti patogenetiche del gene CFTR, situato sul cromosoma 7 – può essere presa a modello di malattia cronico-complessa dove, peraltro, il tema del controllo del rischio infettivo e degli episodi infettivi (grazie al miglioramento della terapia antibiotica e alle nuove opportunità terapeutiche) ha determinato proprio il cronicizzarsi della condizione di base assieme al miglioramento della qualità di vita di questi pazienti.
In effetti le infezioni polmonari sono le principali determinanti della patologia polmonare cronica (Figura 50.1), che rimane la causa primaria di morbilità e mortalità in questi pazienti.
■ Workout diagnostico e terapeutico
L’approccio al trattamento delle infezioni nei pazienti con FC è proteiforme: da un lato l’antibioticoterapia, che nelle ultime decadi ha prodotto sia nuovi farmaci sia nuove metodologie di somministrazione, specifiche per la condizione polmonare di base; dall’altro lato
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CAPITOLO
TEST DIAGNOSTICI
PER PATOGENI COMUNI 51
51.1 Introduzione
Nell’ottica di ottimizzare i trattamenti nella popolazione pediatrica, evitando abuse, ma anche misuse di antibiotici, risultano fondamentali gli strumenti di diagnostica per l’identificazione dei patogeni, cause del quadro clinico.
La diagnosi può avvenire in tre modalità (Figura 51.1): diretta, finalizzata a stabilire la presenza dell’agente patogeno, la sua identità e la sua sensibilità agli antibiotici, direttamente nel campione mediante esame microscopico, esame colturale (isolamento), identificazione (a livello di specie), antibiogramma; rapida, che permette in tempi brevi un’identificazione mediante ricerca di antigeni e ricerca di sequenze geniche; indiretta, che avviene mediante la rilevazione della risposta immunitaria, di tipo anticorpale, dell’ospite all’agente infettivo.
1. Diagnosi diretta .
• Esame microscopico. Il campione può essere osservato previa colorazione (es. colorazione di Gram), per la ricerca “mirata” di specifici gruppi microbici/patogeni, oppure “a fresco”, ossia non colorato. Sulla base del patogeno sospettato viene utilizzata una diversa tecnica: microscopia in campo chiaro (frequente utilizzo), microscopia in campo oscuro (es. per visualizzare Treponema pallidum), microscopia a contrasto di fase (frequente utilizzo), microscopia in fluorescenza (con maggiore sensibilità perché si utilizzano anticorpi per la ricerca del microrganismo).
• Isolamento del patogeno su terreni semi solidi (agarizzati) e liquidi (brodi nutritivi). Sul-
la base della qualità dell’informazione che forniscono, si distinguono i seguenti terreni: non selettivi (consentono la crescita batterica di gran parte delle specie note), selettivi (consentono la crescita di una/alcune specie batteriche, inibendo la crescita delle altre), elettivi (favoriscono la crescita di una o alcune specie batteriche, sebbene non inibiscano la crescita di altre), differenziali (consentono di differenziare le specie batteriche sulla base delle loro caratteristiche biochimiche).
• Per l’identificazione microbiologica si utilizzano:
– metodiche biochimiche, attraverso la definizione del corredo enzimatico del microrganismo in esame;
– metodiche sierologiche, attraverso la ricerca di antigeni specie-specifici utilizzando anticorpi complementari. Per esempio: reazione di agglutinazione, reazione di immunofluorescenza, saggio immunoenzimatico (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay, ELISA);
– metodiche molecolari, con ricerca di sequenze nucleotidiche (DNA o RNA) specie-specifiche. Per esempio: amplificazione genica (Polymerase Chain Reaction, PCR), con cui una sequenza genica viene amplificata fino alla sua rilevazione, ibridazione con una “sonda”, ossia una sequenza di acido nucleico a singolo filamento (RNA oppure DNA) complementare rispetto alla sequenza target di uno specifico patogeno.
• Antibiogramma. Tra le tecniche utilizzate per l’esecuzione dell’antibiogramma viene
Infezioni ematiche
Infezioni delle basse vie respiratorie
Infezioni delle vie urinarie
Infezioni del sito chirurgico
Infezioni gastrointestinali
Infezioni a occhi, orecchie, naso, gola
Altre infezioni
Figura 53.2 Infezioni correlate all’assistenza (ICA) divise per tipologia e fascia d’età. Adattata da Zingg, 2017.
■ Strategie per la riduzione
La prevenzione e il controllo delle ICA in tutte le strutture assistenziali rappresentano interventi irrinunciabili per ridurre l’impatto di queste infezioni e, più in generale, per ridurre la diffusione dei AMR e in particolare i batteri antibiotico-resistenti (ABR). La Figura 53.3 riassume l’articolazione del Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2022-2025.
Al fine di ridurre le ICA risulta fondamentale definire un elenco di buone pratiche di assistenza. Le seguenti rappresentano le misure di base:
• lavaggio corretto delle mani;
• riduzione di procedure diagnostiche e terapeutiche non necessarie;
• corretto uso di antibiotici e di disinfettanti;
• sterilizzazione dei presidi e rispetto dell’asepsi;
• controllo del rischio di infezione ambientale;
• adeguata profilassi antibiotica;
• corretta immunoprofilassi di pazienti e operatori sanitari;
• sorveglianza delle infezioni con identificazione e controllo tempestivi delle epidemie.
Nello specifico, l’OMS e il Centers for Disease Control and Prevention (CDC) raccomandano diverse strategie:
• pianificare una sorveglianza epidemiologica;
• implementare i sistemi di sorveglianza esistenti;
• attuare interventi di prevenzione;
• istituire un sistema di segnalazione rapida di alert organisms e cluster epidemici;
• organizzare protocolli operativi per le emergenze infettive;
• diffondere informazioni relative a ICA sia agli operatori sanitari sia alla popolazione generale (Figura 53.4).
53.3 Traumi (punture, morsi)
In qualsiasi contesto il bambino può trovarsi a interagire con altri individui, animali o insetti. Da questa interazione possono verificarsi diverse tipologie di traumi, come morsi, graffi, punture e colpi che possono causare danni, in particolare problematiche di tipo infettivologico, dovute ai microrganismi che possono penetrare attraverso la porta di ingresso creata (Tabella 53.4).
Piano Nazionale di Contrastro all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2022-2025
Sorveglianza e monitoraggio
• ABR
• ICA
• Uso antibiotici
• Monitoraggio ambientale
Appendice: funghi, virus e parassiti
Prevenzione delle infezioni
• ICA
• Malattie infettive e zoonosi
Buon uso antibiotici
• Ambito umano
• Ambito veterinario
• Corretta gestione e smaltimento
Informazione, comunicazione e trasparenza Ricerca, innovazione e bioetica
Figura 53.3 Piano Nazionale di Contrasto all’Antibiotico-Resistenza (PNCAR) 2022-2025. Abbreviazioni. ABR, antibiotico-resistenza; ICA, infezioni correlate all’assistenza. Adattata da Ministero della Salute, 2022.
Prevenzione e controllo delle infezioni
• Igiene delle mani
• Screening per i portatori/pazienti potenzialmente infetti da batteri multiresistenti
• Isolamento dei pazienti infetti o portatori
Programmi di gestione degli antibiotici
Formazione del personale sanitario
Educazione e informazione dei pazienti e dei loro parenti su ciò che possono fare per prevenire le ICA e sull’uso prudente degli antibiotici
Sorveglianza delle ICA a livello locale e nazionale
Miglioramento del supporto da parte dei laboratori di microbiologia negli ospedali e nelle strutture di lungodegenza
Figura 53.4 Misure di prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza. Adatta da Zingg, 2017.
53.3.1 Contatto con animali domestici
Morsi e/o graffi di cane. Il numero dei cani domestici è recentemente aumentato; i bambini possono essere facilmente morsi o graffiati da cani (propri o altrui) perché giocano frequentemente con loro e, involontariamente (o, talvolta, volontariamente), possono infastidirli o far loro del male.
Come prevenire morsi/graffi di cane: non lasciare mai soli bambini e cani; chiedere al proprietario del cane se ci si può avvicinare e interagire con esso; non infastidire i cani mentre mangiano, dormono o sono con i propri cuccioli; non infastidire cani che sembrano affamati, malati o arrabbiati; non toccare cani sconosciuti senza padrone, anche se appaiono socievoli e in salute; utilizzare il guinzaglio (e in alcuni contesti
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Prima edizione: giugno 2024
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Susanna Esposito
Andrea PessionMalattie infettive pediatriche
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Le malattie infettive sono tra le principali cause di morbilità e mortalità in età pediatrica in tutto il mondo. La loro gestione richiede una comprensione approfondita degli agenti eziologici, dell’epidemiologia e delle strategie di diagnosi, prevenzione e controllo; comprensione che questo manuale si propone di impostare e sostenere con uno strumento solido, utile e rapido da consultare.
Nella prima sezione si descrivono gli agenti eziologici causa di malattie infettive pediatriche, dai batteri ai virus, dai protozoi ai funghi e ai parassiti. La loro variabilità e la loro capacità di mutare e di adattarsi impone una comprensione dinamica delle modalità di trasmissione, dei fattori di rischio e dei meccanismi patogenetici.
Nella seconda sezione si illustrano i quadri clinici: ogni capitolo presenta le caratteristiche cliniche, le modalità di diagnosi, le opzioni terapeutiche, le strategie preventive e gli strumenti per la gestione delle patologie. Particolare attenzione è riservata alle malattie infettive emergenti e riemergenti, in un contesto di globalizzazione e di cambiamenti ambientali che può favorire la diffusione di nuovi ola ricomparsi di vecchi patogeni. In appendice si descrivono i principali test diagnostici, gli aspetti dell’immunizzazione attiva e passiva e le raccomandazioni per soggetti o situazioni a rischio. La prevenzione ha un ruolo essenziale nella gestione delle malattie infettive pediatriche; perciò, ampio spazio è riservato ai programmi di vaccinazione, alle pratiche di igiene e alle misure di controllo delle infezioni.
Susanna Esposito è professoressa ordinaria di Pediatria presso l’Università di Parma e direttrice dell’UOC Clinica Pediatrica all’Ospedale dei Bambini Pietro Barilla dell’AOU di Parma.
Andrea Pession, già professore ordinario di Pediatria presso l’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, è stato anche direttore dell’UO di Pediatria dell’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola di Bologna.