CAPITOLO
L’ESPRESSIONE GENICA: DAL DNA ALLE PROTEINE
B
3
DIMMI LA TUA!
DAT I I N A G E N DA
Mutazioni a Chernobyl
Anemia all’italiana
Ho letto che dopo l’incidente di Chernobyl gli animali hanno subìto delle mutazioni. Le mutazioni del DNA avvengono tutti i giorni, non c’entra l’incidente: è tutta una montatura mediatica contro il nucleare. Le radiazioni aumentano notevolmente il numero di mutazioni sul DNA. Guarda il video, poi rispondi alle domande. 1. Qual è la probabilità che due portatori sani abbiano un figlio malato di talassemia? 2. Qual è la regione italiana con il maggior numero di malati? 3. Quanti malati ci soni in totale in Italia? 4. Quanti portatori sani di talassemia sono presenti sul territorio italiano? 5. In che zone del mondo è più diffusa la talassemia e in quali invece è poco presente?
La fauna intorno alla centrale nucleare è viva ed è cresciuta, quindi le radiazioni non fanno poi così male… Domande: 1. Con quale posizione sei d’accordo e perché? 2. Quali affermazioni non ti convincono di una e dell’altra opinione e perché? 3. Cerca informazioni che ti consentono di argomentare la tua posizione e discutine in classe.
N AV I G A I L C A P I TO LO
La relazione tra DNA e proteine è descritta con
subisce è spiegata dal
l'espressione «un gene, un polipeptide»
dogma centrale della biologia molecolare
gli effetti delle mutazioni
LEZIONE 1
LEZIONE 2
LEZIONE 5
che possono che comprende
B60
la trascrizione
la traduzione
causare patologie
LEZIONE 3
LEZIONE 4
LEZIONE SALUTE 6
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1
LEZIONE
LO STUDIO DELLA RELAZIONE TRA GENI E PROTEINE La relazione tra geni e proteine
Escherichia coli
Saccharomyces cerevisiae
Neurospora crassa
Caenorhabditis elegans
Drosophila melanogaster
Mus musculus
Arabidopsis thaliana
Pisum sativum
attualmente è descritta con
fu descritta da
Beadle e Tatum come «un gene, un enzima» 1
l'espressione «un gene, un polipeptide» 2
1 La relazione
tra geni ed enzimi Gli scienziati che indagano su un fenomeno biologico cercano organismi modello che, oltre a mostrare il fenomeno in esame, siano anche facili da coltivare in laboratorio. Nei capitoli precedenti abbiamo incontrato vari esempi di organismi modello, fra i quali Pisum sativum ed Escherichia coli (Figura 1). A questo elenco aggiungiamo la comune muffa del pane, Neurospora crassa. È una muffa appartenente ai funghi pluricellulari ascomiceti; è facile da coltivare e per gran parte del ciclo vitale è aploide, il che rende immediata l’interpretazione genetica dei risultati, non essendoci rapporti di dominanza-recessività. I genetisti statunitensi George W. Beadle ed Edward L. Tatum ipotizzarono che l’effetto sull’organismo dell’espressione di un gene, cioè il fenotipo, fosse mediato dall’attività di un enzima; questa idea li portò a vincere il premio Nobel per la medicina nel 1958. I due ricercatori fecero crescere Neurospora su un terreno di coltura minimo. In questo terreno, gli enzimi dei ceppi selvatici di Neurospora erano capaci di catalizzare tutte le reazioni metaboliche necessarie a fabbricare i costituenti chimici delle cellule. In seguito sottoposero un ceppo selvatico di Neurospora a un trattamento con raggi X, che agiscono da agenti mutageni, ovvero provocano mutazioni. Quando esaminarono le muffe trattate, trovarono che alcuni ceppi mutanti non erano più in grado di svilupparsi sul terreno minimo, ma potevano farlo aggiungendo una sostanza nutritiva. I mutanti avevano subito muta-
Figura 1 I principali organismi modello
Pochi organismi costituiscono dei modelli per la comprensione dei processi vitali comuni a molti esseri viventi.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B61
I batteri vengono fatti crescere su un terreno di coltura, un mezzo (solido o liquido) capace di fornire loro quel che serve per crescere. Un terreno minimo contiene solo una fonte di carbonio organico e sali minerali. Un terreno completo è arricchito con estratti di proteine e vitamine.
zioni nei geni che codificano gli enzimi impiegati per sintetizzare quelle sostanze nutritive. Per ciascun ceppo, Beadle e Tatum individuarono il composto che, aggiunto al terreno minimo, bastava a sostenerne la crescita. Il loro lavoro sperimentale consentì di stabilire che le mutazioni avevano un effetto semplice e che ogni mutazione in un determinato gene causava la perdita di funzionalità dell’enzima specificato dal quel gene (Figura 2). Tale conclusione è diventata famosa come l’ipotesi «un gene, un enzima» (Video 3). Oggi conosciamo centinaia di malattie ereditarie in cui un gene difettoso determina un errore nella produzione di uno specifico enzima.
IPOTESI Ogni gene produce un enzima della via metabolica. METODO Si posizionano le spore (cellule singole che si dividono per produrre colonie di muffa) di ogni ceppo mutante «arg» su un substrato minimo, con o senza supplementi. RISULTATI
Neurospora in crescita in gel
Supplemento aggiunto al substrato minimo Ornitina Arginina Citrullina Nessuno Il ceppo selvatico cresce in tutti i substrati.
Tipo selvatico
RICORDA Grazie ad alcuni esperimenti su Neurospora
Il ceppo mutante 1 cresce solo in presenza di arginina.
crassa, Beadle e Tatum formularono l’ipotesi «un gene, un enzima». Ceppo mutante 1
Video 3
Gli esperimenti di Beadle e Tatum
2 Un passo in più: un gene, un polipeptide La relazione gene-enzima, poi, ha subito alcune modifiche. Innanzitutto oggi sappiamo che i geni sono sequenze di nucleotidi in una molecola di DNA. In secondo luogo, non tutte le proteine che influiscono sul fenotipo sono enzimi. Oltre a ciò, spesso le proteine, compresi molti enzimi, hanno una struttura quaternaria: sono composte cioè da varie catene polipeptidiche. L’emoglobina, per esempio, contiene quattro catene polipeptidiche, ogni catena polipeptidica è specificata da un gene distinto. Anziché dire «un gene, un enzima» è più giusto usare l’espressione «un gene, un polipeptide». In altre parole, la funzione di un gene è il controllo della produzione di un singolo polipeptide specifico. Il gene non costruisce direttamente il polipeptide, ma fornisce le informazioni che la cellula «traduce» nella catena polipeptidica corrispondente. Per questo si dice che il gene esprime un singolo polipeptide. Questa affermazione è valida per la maggior parte dei geni, ma non ha valore universale: alcuni geni si esprimono controllando altre sequenze di DNA. I geni che determinano la produzione di un polipeptide rappresentano il livello fondamentale di controllo dello sviluppo della cellula. RICORDA Ulteriori studi modificarono l’assunto di Beadle e Tatum in «un gene, un polipeptide».
Il ceppo mutante 2 cresce con arginina e citrullina. Converte la citrullina in arginina, ma non l’ornitina in citrullina.
Ceppo mutante 2
Il ceppo mutante 3 cresce se almeno uno dei tre supplementi viene aggiunto.
Ceppo mutante 3 Il ceppo 3 è bloccato qui. Gene a
Il ceppo 2 è bloccato qui.
Il ceppo 1 è bloccato qui.
Gene b
Gene c
Enzima A Enzima B Enzima C Precursore Ornitina Citrullina Arginina
Se un organismo non può convertire un dato composto in un altro, presumibilmente manca dell’enzima richiesto per tale conversione e la mutazione si trova nel gene che codifica per quell’enzima. CONCLUSIONE Ogni gene specifica un particolare enzima. Figura 2 Un gene, un enzima
Beadle e Tatum studiarono alcuni mutanti «arg » di Neurospora crassa che, per crescere, necessitano dell’aggiunta di composti al terreno di coltura (ornitina e citrullina sono due amminoacidi precursori dell’arginina), così da poter sintetizzare l’amminoacido arginina.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
Che cosa significa l’espressione «un gene-un polipeptide»?
La muffa Neurospora crassa trasforma la citrullina in arginina / ornitina.
Scegli un organismo modello e cerca in Rete le caratteristiche che lo rendono tale.
B62
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LEZIONE
2
Il DNA può duplicarsi.
Figura 4
L’INFORMAZIONE PASSA DAL DNA ALLE PROTEINE
Il dogma centrale L’informazione genetica fluisce dal DNA all’RNA e ai polipeptidi, come indicato dalle frecce.
Il passaggio d'informazione dal DNA alle proteine
DNA
RNA
L’informazione codificata nella sequenza delle basi del DNA passa a una particolare sequenza di basi dell’RNA.
L’informazione dell’RNA passa ai polipeptidi, ma non in senso inverso (dai polipeptidi agli acidi nucleici).
Involucro nucleare Poro nucleare
Interno del nucleo
richiede l'intervento di
avviene attraverso
DNA
Pre-mRNA
la trascrizione e la traduzione 3
Polipeptide
differenti classi di RNA 4
Trascrizione (Sintesi di RNA)
Maturazione mRNA Citoplasma
3 Il dogma centrale:
la trascrizione e la traduzione Una volta definita la struttura del DNA, molti scienziati spostarono la loro attenzione sui processi che consentono di passare dal DNA alle proteine. Il DNA è il detentore dell’informazione genetica ed è quasi interamente confinato nel nucleo, mentre le proteine determinano il fenotipo e sono sintetizzate nel citoplasma. Tra questi c’era uno degli scopritori della struttura del DNA, Francis Crick, che nel 1958 enunciò quello che lui stesso definì il dogma centrale della biologia molecolare: il gene è un tratto di DNA contenente le informazioni per la produzione di una catena polipeptidica, ma la proteina non contiene l’informazione per la produzione di altre proteine, dell’RNA o del DNA (Figura 4). Tale principio solleva due interrogativi: 1. in che modo l’informazione passa dal nucleo al citoplasma? 2. in che rapporto stanno una determinata sequenza nucleotidica del DNA e una determinata sequenza amminoacidica di una proteina? Francis Crick propose due ipotesi. La trascrizione e l’ipotesi del messaggero. Per spiegare in che modo l’informazione passa dal nucleo al citoplasma, il gruppo di Crick propose che da un filamento di DNA di un particolare gene si formasse per copia complementare una molecola di RNA. L’RNA messaggero o mRNA si sposta poi dal nucleo al citoplasma dove, a
Figura 5
Dal gene alla proteina Questo disegno riassume i processi della trascrizione e della traduzione negli eucarioti.
Polipeptide
Traduzione (Sintesi delle proteine) tRNA
Ribosoma
livello dei ribosomi, serve da stampo per la sintesi delle proteine. Il processo con cui si forma questo RNA si chiama trascrizione (Figura 5). Negli anni Settanta del secolo scorso, tuttavia, è stato scoperto un virus, chiamato retrovirus, che ha come materiale genetico una molecola di RNA ed è in grado, nel corso di un’infezione, di ricopiarla in DNA, grazie all’enzima trascrittasi inversa. La traduzione e l’ipotesi dell’adattatore. Per spiegare in che modo una sequenza di DNA si trasforma nella sequenza di amminoacidi di un polipeptide, Crick suggerì l’ipotesi dell’adattatore: deve esistere una molecola adattatrice capace di legarsi in modo specifico a un amminoacido e di riconoscere una sequenza di nucleotidi. La immaginò provvista di due regioni, una che svolge la funzione di legame e l’altra che svolge la funzione di riconoscimento. Tale molecola adattatrice è poi stata trovata: si tratta dell’RNA transfer, o tRNA. Dato che riconosce il messaggio genetico dell’mRNA e allo stesso tempo trasporta specifici amminoacidi, il tRNA è in grado di tradurre il linguaggio del DNA in lin-
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B63
guaggio delle proteine. Gli adattatori di tRNA legati agli amminoacidi si allineano lungo la sequenza dell’mRNA in modo tale da garantire la costruzione della giusta sequenza per la crescita di una catena polipeptidica: un processo chiamato traduzione (vedi Figura 5). L’osservazione della reale espressione di migliaia di geni ha confermato l’ipotesi che il tRNA agisca da intermediario fra l’informazione di una sequenza nucleotidica dell’mRNA e la sequenza amminoacidica di una proteina. RICORDA Il dogma centrale della biologia afferma che l’informazione genetica passa dal DNA, all’RNA e alle proteine tramite molecole adattatrici: i tRNA.
4 L’RNA è leggermente
diverso dal DNA Un intermediario fondamentale fra il tratto di una molecola di DNA corrispondente a un gene e il polipeptide che a esso corrisponde è, quindi, l’RNA (acido ribonucleico). Questo polinucleotide è simile al DNA, ma differisce per tre aspetti: 1. generalmente l’RNA è formato da un unico filamento; 2. la molecola di zucchero che si trova nell’RNA è il ribosio, anziché il desossiribosio del DNA; 3. tre basi azotate (adenina, guanina e citosina) dell’RNA sono le stesse del DNA, ma la quarta base dell’RNA è l’uracile (U), che ha una struttura simile alla timina che sostituisce.
STRANO MA VERO
Un’eccezione al dogma centrale: i virus a RNA
E
sistono virus a RNA e altri in grado di convertire il loro RNA in DNA. Molti virus, come il virus del mosaico del tabacco e il virus dell’influenza, hanno come materiale genetico l’RNA anziché il DNA. L’RNA è potenzialmente in grado di funzionare da trasportatore dell’informazione e di esprimersi nelle proteine, ma, se l’RNA di solito è a filamento singolo, come fa a duplicarsi?
L’RNA si appaia alle basi di un filamento singolo di DNA. Questo appaiamento obbedisce alle stesse regole di complementarietà delle basi che valgono per il DNA, salvo che l’adenina si appaia con l’uracile anziché con la timina. Inoltre l’RNA, pur essendo a filamento singolo, può ripiegarsi su se stesso e assumere forme complesse in seguito a un appaiamento di basi intramolecolare. Esistono numerose classi di RNA, ognuna delle quali svolge funzioni specifiche. • RNA messaggero (o mRNA): è «l’intermediario» che porta una copia delle informazioni di un tratto di DNA ai ribosomi. La sua caratteristica più importante è la sequenza lineare ; • RNA transfer (o tRNA): è «l’adattatore» che porta gli amminoacidi ai ribosomi e li colloca nella posizione corretta grazie a una precisa e complessa struttura tridimensionale ; • RNA ribosomiale (o rRNA): entra a far parte dei ribosomi e permette di realizzare la sintesi proteica. Ha quindi un ruolo strutturale e funzionale. Negli eucarioti esistono anche altri tipi di RNA. Per esempio l’hnRNA (RNA eterogeneo nucleare), che comprende alcuni pre-mRNA che non andranno incontro a maturazione, oppure l’snRNA (RNA piccolo nucleare) che partecipa alla maturazione dell’RNA. RICORDA L’RNA è un polinucleotide simile al DNA, ma è a unico filamento, contiene lo zucchero ribosio, ha l’uracile al posto della timina.
Generalmente i virus risolvono il problema con una trascrizione da RNA a RNA, da cui ottengono un RNA complementare al loro genoma. Questo filamento «opposto» viene usato per sintetizzare copie multiple del genoma virale. Il genoma del virus dell’immunodeficienza umana (HIV) e di certe forme tumorali rare è anch’esso a RNA, ma non si duplica da RNA a RNA. Dopo aver infettato la cellula ospite, questi virus, grazie alla trascrittasi inversa, convertono il proprio genoma in DNA e lo usano per produrre altro RNA. Questo RNA serve sia come stampo per fare altre copie del genoma virale sia come mRNA per produrre le proteine virali.
DNA
RNA
Polipeptide
La sintesi del DNA a partire da molecole di RNA prende il nome di trascrizione inversa; i virus che la mettono in atto sono detti retrovirus. La parte fondamentale del dogma di Crick, cioè il fatto che l’informazione genetica non può ritornare dalle proteine agli acidi nucleici, non è smentita da questa parziale eccezione. In altri termini, Crick ha affermato che il fenotipo non può passare informazioni al genotipo; tale postulato resta a tutt’oggi perfettamente confermato dai fatti.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cosa dice il «dogma centrale»? 2. Che cosa si intende per «trascrizione» e quali sono le sue funzioni? 3. Che cosa si intende per «traduzione» e quali sono le sue funzioni?
1. Un processo che va contro il dogma centrale è la reazione catalizzata dalla
Crea la «carta d’identità» dei tre principali tipi di RNA (mRNA, rRNA e tRNA). Disegna la loro struttura, evidenzia le differenze ed esplicita le loro funzioni. Cerca in Rete o sul libro tutte le informazioni che ti servono.
B64
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La molecola adattatrice ipotizzata da Crick corrisponde all’mRNA / al tRNA.
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3
LEZIONE
LA TRASCRIZIONE: DAL DNA ALL’RNA La trascrizione
avviene in
produce
tre tappe: inizio, allungamento e terminazione 5
mRNA «scritto» secondo un preciso codice genetico 6
5 La trascrizione
avviene in tre tappe All’interno di ciascun gene viene trascritto uno solo dei due filamenti di DNA, il filamento stampo, mentre il filamento complementare resta non trascritto. Questa differenza funzionale non vale per tutta la molecola di DNA: il filamento che in un gene è stampo, in un altro gene può non esserlo.
DNA Pre-mRNA mRNA Polipeptide
Trascrizione
Inizio Allungamento Terminazione
Il processo di trascrizione è suddiviso in tre stadi: inizio, allungamento e terminazione (Figura 6, Video 7). L’inizio richiede un promotore (o primer), una speciale sequenza di DNA alla quale si lega molto saldamente la RNA polimerasi. Per ogni gene (nei procarioti, per ogni serie di geni) c’è almeno un promotore. I promotori sono importanti sequenze di controllo che «dicono» all’RNA polimerasi tre cose: da dove far partire la trascrizione, quale filamento del DNA trascrivere e in quale direzione procedere. I promotori funzionano un po’ come i segni di punteggiatura, che stabiliscono come debba essere letta la sequenza di parole di una frase. Una parte di ogni promotore è il sito di inizio, dove incomincia la trascrizione. Ogni gene ha un promotore, ma non tutti i promotori sono uguali; alcuni sono più efficaci di altri nel dare inizio alla trascrizione. Ci sono differenze fra i promotori degli eucarioti e quelli dei procarioti. In questi ultimi, il promotore è una sequenza di DNA in prossimità dell’estremità 5' della regione che codifica una proteina. Un promotore procariote possiede due sequenze fondamentali: la sequenza di riconoscimento, riconosciuta dall’RNA polimerasi, e il TATA box (ricco di coppie di basi AT), dal quale il DNA inizia a denaturarsi per esporre il filamento stampo.
5′
3′
Maturazione
Traduzione
Filamento stampo
RNA polimerasi
Sito di terminazione
Svolgimento della doppia elica del DNA Sito d’inizio Promotore
Allungamento DNA in uscita
5′
2. La RNA polimerasi si sposta lungo il filamento stampo del DNA, producendo il trascritto di RNA aggiungendo nucleotidi sull’estremità 3’. Direzione della trascrizione
5′
3′
3′
5′ Ribonucleosidi trifosfato (ATP, UTP, CTP, GTP)
Trascritto di RNA 5′ in uscita
Il DNA è parzialmente srotolato dall’RNA polimerasi e fa da stampo per la sintesi di RNA. Al termine, il trascritto di RNA si allontana dal DNA, permettendo ai due filamenti del DNA di riavvolgersi a riformare la doppia elica. L’RNA polimerasi in realtà è molto più grande di come è mostrata nella figura, e copre un tratto di DNA pari a circa 50 paia di basi.
La trascrizione del DNA
1. La RNA polimerasi si lega al promotore e comincia ad aprire i due filamenti del DNA.
Inizio Filamento DNA complementare 3′ Riavvolgimento della doppia elica del DNA
Figura 6 La trascrizione del DNA
Video 7
Terminazione
Filamento stampo
3′
RNA 5′
3. Quando la RNA polimerasi raggiunge il sito di terminazione, il trascritto di RNA si stacca dallo stampo.
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Promotore DNA
Sito di inizio della trascrizione TATAT ATATA
TATA box
1. Il primo fattore di trascrizione si lega al promotore in corrispondenza del TATA box…
DNA
IRF3
Figura 9 Il fattore di trascrizione IRF3 lega il DNA
2. … e un altro fattore di trascrizione vi si aggiunge.
RNA polimerasi
3. L’RNA polimerasi si lega dopo il legame di numerosi fattori di trascrizione al DNA.
4. Altri fattori di trascrizione si aggiungono… RNA polimerasi
5. … e l’RNA polimerasi è pronta per trascrivere l’RNA. Figura 8 L'inizio della trascrizione negli eucarioti
A eccezione del primo, che si lega al TATA box, ogni fattore di trascrizione di questo complesso possiede siti di legame soltanto per altre proteine del complesso e non si lega direttamente al DNA.
Le cose sono notevolmente diverse negli eucarioti (Figura 8). L’RNA polimerasi degli eucarioti non è in grado di legarsi semplicemente al promotore e di iniziare a trascrivere; essa infatti si lega al DNA soltanto dopo che sul cromosoma si sono associate varie proteine regolatrici dette fattori di trascrizione. Il primo fattore di trascrizione si lega al TATA box, inducendo un cambiamento di forma sia di sé stesso sia del DNA, favorendo così il legame di altri fattori di trascrizione (tra cui l’RNA polimerasi) che vanno a formare il complesso di trascrizione.
B66
Modello molecolare del fattore di trascrizione per l'interferone avvolto attorno alla molecola di DNA che codifica per le catene α e β dell'interferone (proteina prodotta dai leucociti in risposta a un'infezione da virus).
Alcune sequenze del DNA, come il TATA box, si trovano comunemente nei promotori di molti geni eucarioti e vengono riconosciute da fattori di trascrizione presenti in tutte le cellule dell’organismo. Altre sequenze dei promotori sono specifiche di particolari geni e vengono riconosciute da fattori di trascrizione presenti soltanto in particolari tessuti (Figura 9). Questi specifici fattori di trascrizione svolgono un ruolo importante nel differenziamento, ossia nella specializzazione delle cellule durante lo sviluppo. Dopo che l’RNA polimerasi si è legata al promotore, comincia il secondo stadio della trascrizione: l’allungamento. La RNA polimerasi apre il DNA e legge il filamento stampo in direzione 3'→5'. Come la DNA polimerasi, anche la RNA polimerasi aggiunge i nuovi nucleotidi all’estremità 3' del filamento in crescita, quindi la direzione in cui cresce l’RNA è da 5' a 3', ma non ha bisogno di un primer per dare inizio al processo. Il nuovo RNA si allunga verso l’estremità 3' partendo dalla prima base che costituisce l’estremità 5'; di conseguenza l’RNA trascritto è antiparallelo al filamento stampo del DNA. Come fa l’RNA polimerasi a sapere quando smettere di aggiungere nucleotidi al trascritto di RNA in crescita? Analogamente al sito di inizio, sul filamento stampo del DNA ci sono particolari sequenze di basi che ne stabiliscono la terminazione (terzo stadio della trascrizione). Negli eucarioti il primo prodotto della trascrizione, o trascritto primario, è più lungo dell’mRNA maturo e deve andare incontro a un notevole processo di trasformazione prima di essere tradotto. RICORDA La trascrizione è il processo attraverso il quale si forma una molecola di RNA a partire da uno stampo di DNA. Avviene in tre tappe: inizio, allungamento e terminazione, e negli eucarioti coinvolge varie proteine regolatrici.
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Seconda lettera U
U
C
A
G
6 Il codice
UUU Fenilalanina UUC
UCU UCC Serina UCA UCG
UUA Leucina UUG CUU CUC CUA CUG AUU AUC AUA
CCU CCC CCA CCG
Leucina
Prolina
A
G
UAU Tirosina UAC
UGU Cisteina UGC
UAA Codone di stop UAG Codone di stop
UGA UGG
CAU CAC CAA CAG
Istidina Glutammina
CGU CGC CGA CGG AGU AGC
AAU AAC
Metionina; AUG codone d’inizio
ACU ACC Treonina ACA ACG
Lisina
AGA AGG
GUU GUC GUA Valina GUG
GCU GCC GCA Alanina GCG
GAU Acido GAC aspartico GAA Acido GAG glutammico
GGU GGC GGA GGG
Isoleucina
AAA AAG
Asparagina
Codone di stop Triptofano
U C A G U
Arginina
C A G
Serina Arginina
U C
Terza lettera
L’informazione genetica è codificata nell’RNA sotto forma di unità di tre lettere (codoni), formate dalle basi uracile (U), citosina (C), adenina (A) e guanina (G). Per decifrare un codone, si ricerca la prima lettera nella colonna a sinistra, quindi si scorre orizzontalmente cercando la seconda lettera nella fila in alto, e infine si legge l’amminoacido corrispondente alla terza lettera della colonna di destra nella casella così selezionata.
Prima lettera
Figura 10 Il codice genetico
C
A G U
Glicina
C A G
Il codice è degenerato ma non è ambiguo. Tolti i codoni
genetico La sequenza di nucleotidi che compone l’RNA (e quindi il gene) contiene le informazioni necessarie a reclutare e mettere in ordine gli amminoacidi: è il linguaggio del codice genetico. Secondo tale linguaggio, il messaggio contenuto nella molecola di RNA può essere visto come una serie lineare di parole di tre lettere. Ogni sequenza di tre basi (le tre «lettere») lungo la catena polinucleotidica dell’RNA è un’unità di codice, o codone, e specifica un particolare amminoacido. Ciascun codone è complementare alla corrispondente tripletta di basi nella molecola di DNA su cui è stato trascritto. Il codice genetico crea una corrispondenza tra i codoni e i loro specifici amminoacidi. Come puoi notare nella Figura 10, ci sono molti più codoni di quanti siano i diversi amminoacidi delle proteine. Con quattro possibili «lettere» (le basi) si possono scrivere 64 (43) parole di tre lettere (i codoni), ma gli amminoacidi specificati da questi codoni sono solo 20. AUG, che codifica la metionina, è anche il codone di inizio, il segnale che avvia la traduzione (o sintesi proteica). Tre codoni (UAA, UAG, UGA) funzionano da segnali di terminazione della traduzione, o codoni di stop; quando il dispositivo per la traduzione raggiunge uno di questi codoni, la traduzione si interrompe e il polipeptide si stacca. Il codice genetico presenta due caratteristiche principali.
di inizio e di stop, restano 60 codoni, molti di più di quelli necessari per codificare gli altri 19 amminoacidi: infatti a quasi tutti gli amminoacidi corrispondono più codoni. Perciò si dice che il codice è degenerato (si intende che è ridondante, ovvero esistono più «parole» che «oggetti»). Per esempio, la leucina è rappresentata da sei codoni diversi. Il codice genetico non è però ambiguo: un amminoacido può essere specificato da più codoni, ma un codone può specificare un solo amminoacido. Il codice genetico è (quasi) universale. Oltre 40 anni di esperimenti su migliaia di organismi di ogni tipo dimostrano che il codice è quasi universale, cioè nella maggior parte delle specie un codone specifica sempre lo stesso amminoacido. Quindi il codice deve essersi affermato in tempi remoti e da allora si è conservato immutato durante tutta l’evoluzione. Si conoscono tuttavia alcune eccezioni: il codice dei mitocondri e dei cloroplasti è un po’ diverso sia rispetto a quello dei procarioti sia delle cellule eucariote; in un gruppo di protisti, UAA e UAG codificano la glutammina anziché funzionare da codoni di stop. Il significato di queste differenze non è chiaro, ma sono modeste e rare. RICORDA La traduzione del messaggio in proteine richiede un codice genetico, ovvero una chiave di lettura universale per tutti gli organismi.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cos’è e come funziona un promotore? 2. Che cosa affermava la teoria dell’adattatore? 3. Che cosa si intende per «codice genetico» e quali sono le sue caratteristiche?
1. Dato che esistono codoni sinonimici, è corretto asserire che il codice genetico è degenerato / ambiguo. 2. Il terzo stadio della trascrizione è detto terminazione / allungamento.
Per spiegare l’origine del codice genetico, il genetista Francis Crick parlava di «frozen accident», accidente congelato. Cerca in Rete una definizione di questo termine che descriva l’idea di Crick e riassumila in 10 righe.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B67
UN CASO DA VICINO
Quattro lettere, venti parole
C
ome fanno le quattro basi (A, U, G, C) a specificare 20 diversi amminoacidi? Una possibilità era un codice a triplette, basato su codoni di tre lettere. Disponendo di sole quattro lettere (A, U, G, C), chiaramente un codice a una sola lettera poteva codificare in modo non ambiguo soltanto quattro amminoacidi, e non 20. Un codice a due lettere ne avrebbe codificati 4 x 4 = 16, ancora troppo pochi. Ma un codice a triplette avrebbe potuto render conto di 4 x 4 x 4 = 64 codoni, più che sufficienti per 20 amminoacidi. Il primo passo verso la decifrazione del codice genetico è stato compiuto nel 1961 dai biochimici Marshall W. Nirenberg e J. Heinrich Matthaei (Figura A), quando capirono che come messaggero potevano usare un semplice polinucleotide artificiale invece che un mRNA naturale, ben più complesso. Riuscirono, poi, a identificare il polipeptide codificato da tale messaggero artificiale.
IPOTESI
CONCLUSIONI
Un mRNA artificiale contenente solo una base ripetuta dirigerà la sintesi di una proteina contenente solo un amminoacido ripetuto.
METODO I due ricercatori prepararono un mRNA artificiale in cui tutte le basi erano costituite dall’uracile (un mRNA sintetico detto, appunto, poli U) e lo testarono in 20 provette. Ciascuna provetta conteneva tutti e 20 gli amminoacidi, ma in ognuna solo un amminoacido era etichettato con un marcatore radioattivo.
RISULTATI Isolando il materiale proteico contenuto in tutte le provette, i ricercatori osservarono che solamente in una provetta si era formato un polipeptide: una proteina costituita dal solo amminoacido fenilalanina ripetuto più volte.
Dunque un poli U codificava la fenilalanina; di conseguenza, UUU era la parola in codice – il codone – per specificare la fenilalanina (Figura B). Sulla scia di questo successo, Nirenberg e Matthaei dimostrarono ben presto che CCC codifica la prolina, e AAA codifica la lisina (poli G presentava qualche problema dal punto di vista chimico e inizialmente non fu preso in esame). UUU, CCC e AAA erano tre codoni fra i più facili; per venire a capo degli altri fu necessario modificare l’approccio sperimentale. Si prepara un estratto di cellule batteriche contenente tutte le componenti necessarie per sintetizzare le proteine, tranne l’mRNA.
+ poli U
Si aggiunge alla soluzione un mRNA artificiale contenente solo un’unica base ripetuta più volte.
U U U U U U U U U
Phe
Phe
Phe
+ poli C
C C C C C C C C C
Pro
Pro
Pro
Il polipeptide prodotto è sostituito da un solo amminoacido ripetuto.
Figura A Gli scienziati Matthaei (a sinistra) e Nirenberg (a destra) con i loro esperimenti trovarono la chiave per capire come andava decifrata la molecola della vita.
B68
Figura B Nirenberg e Matthaei usarono un sistema di «sintesi in vitro (in provetta)» per determinare gli amminoacidi specificati da mRNA sintetici di composizione conosciuta.
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In seguito, altri scienziati hanno scoperto che era possibile legare a un ribosoma semplici mRNA artificiali lunghi tre sole basi (ciascuno equivalente a un codone) e che il complesso risultante induceva la formazione di un legame fra il tRNA corrispondente e il suo amminoacido specifico. Così, per esempio, un semplice UUU faceva legare al ribosoma il tRNA che trasportava la fenilalanina. Dopo questa scoperta è stato relativamente semplice decifrare l’intero codice genetico (Figura C).
Figura C Una rappresentazione grafica del
codice genetico: partendo dal centro del bersaglio ogni tripletta indica l’amminoacido per cui codifica (scritto esternamente al bersaglio).
DOMANDE 1. Poli U, l’mRNA sintetico, è stato aggiunto a una provetta con la fenilalanina radioattiva insieme a tutti gli altri componenti necessari alla sintesi proteica in una miscela etichettata come «sistema completo». Altre provette differivano invece dal sistema completo, come indicato nella Tabella D. I campioni furono testati rispetto al loro livello di radioattività e i risultati semplificati sono raccolti nella tabella. Prova a spiegare i risultati per ciascuna condizione. 2. Poli U venne aggiunto alle provette a diversi intervalli temporali. I campioni vennero testati rispetto alla sintesi proteica tramite un amminoacido radioattivo incorporato a diversi intervalli temporali (e i risultati poi confrontati con un campione di controllo, in cui nessun RNA era stato aggiunto). I risultati sono mostrati in Figura E. Cosa dimostrano questi dati sulla dipendenza della sintesi proteica dall’aggiunta di RNA? 3. L’esperimento descritto nella domanda 2 fu poi ripetuto con diversi amminoacidi. I risultati semplificati sono mostrati nella Tabella F. Osservando questi risultati, che cosa puoi dire sulla specificità di appaiamento del codone del poli U? Contenuto della provetta
Livello di radioattività
Sistema completo Sottrazione di mRNA poli U Sottrazione di ribosomi Sottrazione di ATP Aggiunta di RNasi (idrolizza RNA) Aggiunta di DNasi (idrolizza DNA)
Alto Quasi nullo Quasi nullo Quasi nullo Basso Alto
Tabella D Il contenuto delle provette dell’esperimento e il rispettivo livello di radioattività.
Livelli di radioattività (conteggi/minuto/mg di proteine) 64 000 56 000 48 000 40 000 32 000 24 000
Aggiunta di poli U Campione di controllo
16 000 8000 0 0
15
30
45 Tempo (minuti)
60
75
90
Amminoacido radioattivo
Livello di radioattività
Amminoacido radioattivo Livello di radioattività
Fenilalanina Glicina Alanina Serina Acido aspartico Acido glutammico Leucina Isoleucina Treonina
Alto Quasi nullo Quasi nullo Quasi nullo Quasi nullo Quasi nullo Basso Basso Basso
Metionina Arginina Istidina Valina Lisina Tirosina Prolina Triptofano Cisteina
Tabella F I livelli di radioattività per diversi amminoacidi.
Basso Basso Basso Basso Basso Basso Basso Basso Basso
Figura E I livelli di radioattività in campioni con poli U e di controllo in diversi intervalli di tempo.
ARTICOLO ORIGINALE
Niremberg M. and Matthaei H. 1961. The dependence of cell-free protein synthesis in E. coli upon naturally occurring or synthetic polyribonucleotides. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 47: 1588-1602.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B69
4
LEZIONE
LA TRADUZIONE: DALL’RNA ALLE PROTEINE La traduzione
modifiche posttraduzionali 13
è seguita da
richiede l'intervento di
molecole di tRNA legate a un amminoacido 7
ribosomi si divide in
9
«caricato» grazie a
enzimi amminoaciltRNA-sintetasi 8
inizio
allungamento
terminazione
10
11
12
7 Il ruolo
del tRNA Come già aveva proposto Crick con la sua ipotesi dell’adattatore, la traduzione dell’mRNA in proteine richiede una molecola che metta in relazione l’informazione contenuta nei codoni dell’mRNA con specifici amminoacidi delle proteine. Questa funzione è svolta dal tRNA. Per garantire che la proteina fabbricata sia quella specificata dall’mRNA, il tRNA deve leggere correttamente i codoni dell’mRNA e associare a ciascuno l’amminoacido corrispondente. Per farlo la molecola di tRNA svolge tre funzioni: 1. «si carica» di un amminoacido; 2. si associa alle molecole di mRNA; 3. interagisce con i ribosomi. La struttura molecolare del tRNA è strettamente collegata a queste funzioni e non è univoca: per ognuno dei 20 amminoacidi c’è almeno un tipo specifico di molecola di tRNA. Ogni tRNA contiene circa 75-80 nucleotidi e presenta una configurazione che è mantenuta da legami a idrogeno fra i tratti della sequenza che contengono basi complementari (Figura 11). La configurazione di una molecola di tRNA è perfettamente adattata alle interazioni con speciali siti di legame sui ribosomi. All’estremità 3' di ogni molecola di tRNA si trova un sito di attacco per l’amminoacido: il punto in cui l’amminoacido specifico si lega in modo covalente.
B70
5′
Questa rappresentazione tridimensionale evidenzia le regioni interne della molecola interessate dall’appaiamento delle basi.
3′
Sito di attacco dell’amminoacido (sempre CCA)
L’anticodone è distante dal sito di legame dell’amminoacido.
3′ A OH C Il sito di legame C 5′ A in cui avviene Legami a idrogeno G C il caricamento C fra nucleotidi G dell’amminoacido C G complementari è sempre G C A 5'-CCA-3’. U A U A U C U A D G U G G G C C A A G C C U D G C C UGG C G T AG AG C Y C D G G G AAG G U Oltre alle basi azotate, U A nei «bracci» del tRNA A U Questo modello G C sono presenti regioni appiattito A Y di riconoscimento «a trifoglio» C A per i ribosomi che sottolinea U G vengono indicate con l’appaiamento C C G le lettere D, Y e Tψ. delle basi complementari. Modello al computer che mostra la struttura tridimensionale del tRNA.
Nelle figure che seguono, le molecole di tRNA saranno indicate con questo disegno. Figura 11 Modi diversi per rappresentare l’RNA transfer
La struttura a più steli con anse del tRNA si adatta bene alle sue funzioni: il legame con l’amminoacido, l’associazione con l’mRNA e l’interazione con il ribosoma.
Verso la metà della sequenza del tRNA c’è un gruppo di tre basi, chiamato anticodone, che costituisce il sito di appaiamento fra basi complementari con l’mRNA. RICORDA La traduzione richiede le molecole di tRNA per leggere i codoni sull’mRNA, associare a ciascuno l’amminoacido corrispondente e interagire con i ribosomi.
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I ribosomi hanno una forma irregolare e sono composti di due subunità, ognuna delle quali contiene rRNA e numerose proteine
Subunità grande
Sito E
Subunità piccola P
mRNA
Codone di partenza
3′
A
Figura 12 La struttura del ribosoma
Ogni ribosoma è formato da una subunità maggiore e da una subunità minore legate da forze intermolecolari. Quando il ribosoma non è impegnato nella sintesi proteica, le due subunità sono separate.
8 Gli enzimi attivanti legano
i tRNA agli amminoacidi Il caricamento di ciascun tRNA con l’amminoacido corrispondente è realizzato da una famiglia di enzimi attivanti noti con il nome di amminoacil-tRNA-sintetasi. Ogni enzima attivante è specifico per un solo amminoacido e per il tRNA corrispondente; grazie alla sua struttura tridimensionale il tRNA viene riconosciuto dall’enzima attivante, con un tasso di errore molto basso. Anche il tasso di errore nel riconoscimento dell’amminoacido è basso, dell’ordine di 1 su 1000. L’amminoacido si attacca all’estremità 3' del tRNA con un legame ricco di energia, formando un tRNA carico. Questo legame fornirà l’energia necessaria alla formazione del legame peptidico che manterrà uniti gli amminoacidi adiacenti. RICORDA Il caricamento dei tRNA avviene grazie agli enzimi amminoacil-tRNA-sintetasi, che legano l’amminoacido al tRNA.
9 Per la traduzione
Sito A
A U G
5′
E
Sito P
servono i ribosomi Un ruolo determinante nella sintesi proteica è svolto dai ribosomi. Essi non sono dei veri organuli, ma strutture complesse in grado di assemblare correttamente una catena polipeptidica, trattenendo nella giusta posizione l’mRNA e i tRNA carichi. I ribosomi non sono specifici per la sintesi di un solo polipeptide; ogni ribosoma può usare qualsiasi mRNA e tutti i tipi di tRNA carichi. La sequenza polipeptidica da produrre è specificata solo dalla sequenza lineare dei codoni dell’mRNA.
Vi sono tre siti per il legame del tRNA. Le interazioni codone-anticodone fra il tRNA e l’mRNA avvengono solo nei siti P e A.
Sebbene siano più piccoli rispetto agli organuli cellulari, i ribosomi hanno una massa di svariati milioni di dalton (Da, l’unità di massa atomica unificata) e ciò li rende assai più voluminosi dei tRNA carichi. Ogni ribosoma è costituito da due subunità, una maggiore e una minore (Figura 12) che si uniscono solo durante la traduzione. Negli eucarioti, la subunità maggiore è composta da tre molecole diverse di RNA ribosomiale (rRNA) e da 45 molecole proteiche differenti, disposte secondo una schema preciso; la subunità minore contiene una sola molecola di rRNA e 33 molecole proteiche diverse. I ribosomi dei procarioti sono un po’ più piccoli e contengono proteine ed RNA diversi, ma sono anch’essi formati da due subunità. Anche i mitocondri e i cloroplasti contengono ribosomi, simili a quelli dei procarioti. Sulla subunità maggiore del ribosoma si trovano tre siti di legame per i tRNA. Un tRNA carico scorre tra un sito e l’altro seguendo un ordine preciso. • Nel sito A (amminoacilico) l’anticodone del tRNA carico si lega al codone dell’mRNA, allineando l’amminoacido che va aggiunto alla catena polipeptidica in crescita. • Nel sito P (peptidilico) il tRNA cede il proprio amminoacido alla catena polipeptidica in crescita. • Nel sito E (dall’inglese exit, uscita) viene a trovarsi il tRNA che ha ormai consegnato il proprio amminoacido, prima di staccarsi dal ribosoma, tornare nel citosol e raccogliere un’altra molecola di amminoacido per ricominciare il processo. RICORDA I ribosomi sono complessi che consentono la sintesi proteica. Sono costituiti da due subunità separate che si uniscono durante la traduzione.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B71
Inizio
mRNA
Codone d’inizio AUG
5′
DNA
3′
Subunità piccola Pre-mRNA
Trascrizione Met
mRNA
2. Formazione del complesso d’inizio. Il tRNA caricato con la metionina si lega sul codone d’inizio AUG, completando così il complesso d’inizio.
Maturazione tRNA
Polipeptide
1. Riconoscimento dell’mRNA. La subunità minore del ribosoma si lega alla sua sequenza di riconoscimento sull’mRNA.
Inizio Allungamento Terminazione
Traduzione
5′
UA C AUG
Anticodone 3′
Met
Figura 14 L’inizio della traduzione
5′
Subunità grande
Sito Sito Sito P E UA C A AUG
3. Completamento del ribosoma. La subunità maggiore del ribosoma si unisce al complesso d’inizio, mentre il tRNA caricato con la metionina occupa il sito P. 3′
La traduzione incomincia con la formazione del complesso di inizio.
10 Le tappe della traduzione:
Video 13
La traduzione
l’inizio Come la trascrizione, anche la traduzione avviene in tre tappe: inizio, allungamento e terminazione (Video 13). Come abbiamo visto il codone di inizio nell’mRNA è AUG (vedi Figura 10). Per complementarietà delle basi, l’anticodone di un tRNA caricato con metionina si lega al codone di inizio. Perciò il primo amminoacido di una catena polipeptidica è sempre la metionina, anche se non tutte le proteine mature portano questo amminoacido come N-terminale; in molti casi, dopo la traduzione la metionina iniziale viene rimossa da un enzima. La traduzione dell’mRNA incomincia con la formazione di un complesso di inizio, costituito da un tRNA caricato con il primo amminoacido della catena polipeptidica (la metionina) e da una subunità ribosomiale minore, entrambi legati all’mRNA (Figura 14). Per prima cosa l’rRNA della subunità minore si lega a un sito di legame complementare lungo l’mRNA, situato «a monte» (verso l’estremità 5') del codone che dà effettivamente inizio alla traduzione. Dopo che il tRNA caricato con metionina si è legato all’mRNA, la subunità maggiore del ribosoma si unisce al complesso. A questo punto il tRNA caricato con metionina scorre nel sito P del ribosoma, mentre il sito A si allinea al secondo codone dell’mRNA. Queste componenti sono tenute insieme correttamente da un gruppo di proteine dette fattori di inizio.
11 Le tappe della traduzione:
l’allungamento L’allungamento procede e nel sito A rimasto libero entra il tRNA carico, il cui anticodone è complementare al secondo codone dell’mRNA (Figura 15). Quindi la subunità maggiore catalizza due reazioni: • nel sito P rompe il legame fra il tRNA e il suo amminoacido; • catalizza la formazione di un legame peptidico fra questo amminoacido e quello attaccato al tRNA situato nel sito A. Dopo aver consegnato la propria metionina, il primo tRNA si sposta nel sito E, quindi si stacca dal ribosoma e torna nel citosol per caricarsi con un’altra metionina. Il secondo tRNA, che ora porta un dipeptide, slitta nel sito P, mentre il ribosoma si sposta di un codone lungo l’mRNA. Il processo di allungamento della catena polipeptidica continua ripetendo le seguenti tappe: • il successivo tRNA carico entra nel sito A rimasto libero e qui il suo anticodone si lega al codone dell’mRNA; • l’amminoacido appena portato dal tRNA forma un legame peptidico con la catena amminoacidica presente nel sito P, prelevandola così dal tRNA del sito P; • il tRNA del sito P si sposta nel sito E, da cui poi si stacca. Il ribosoma avanza di un codone, cosicché il complesso tRNA-polipeptide si trova nel sito P libero. Tutte queste tappe si svolgono con la partecipazione di proteine dette fattori di allungamento.
RICORDA La traduzione inizia con la formazione del
RICORDA Durante la fase di allungamento un nuovo
complesso di inizio costituito da un tRNA carico e da
tRNA carico entra nel sito A della subunità maggiore,
un ribosoma, legati all’mRNA.
che promuove la formazione del legame peptidico.
B72
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Allungamento Estremo N-terminale
Met
Sito P
Sito Sito P Sito E UAC A AUG
5′
Terminazione
4. Riconoscimento del codone. L’anticodone di un tRNA in ingresso si lega al rispettivo codone nel sito A.
Pro
tRNA in ingresso
Estremo N-terminale
MettPro Tyr T Ala Leu
Anticodone
Sito Sito Sito E GP A AA C UUUA A
3′ 5′
Met
Pro
8. Il legame con un fattore di rilascio. Un fattore di rilascio si lega al complesso quando un codone di stop entra nel sito A.
5. Formazione del legame peptidico. La prolina è unita alla metionina grazie all’attività della subunità maggiore.
Sito Sito P Sito A E
Fattore di rilascio
3′
Codone di stop
Tyr Ala Leu P Pro Met
5′ 3′
GAA Met Pro
Direzione del movimento del ribosoma
Sito Sito P Sito A E AUG
UAC
5′
6. Allungamento. Il tRNA scarico si sposta nel sito E per poi essere rilasciato, quando il ribosoma scorre in avanti di un codone.
5′
7. La sintesi procede. Il processo si ripete.
3′
10. Terminazione del processo. Le componenti restanti (l’mRNA e le subunità del ribosoma) si separano.
3′ Met Pro Tyr Figura 15 La fase di
allungamento
Mentre la traduzione dell’mRNA procede, la catena polipeptidica si allunga.
C UUUAA
Tyr
Sito Sito P Sito A E AUG
5′
3′
9. Il distacco del polipeptide. Il fattore di rilascio distacca il polipeptide dal tRNA nel sito P.
3′
Met Pro
Sito Sito Sito A E P C UUUA A
5′
AUG
Sito E
5′ Sito Sito P A 3′
Figura 16 La fase di terminazione
La traduzione si arresta quando il sito A del ribosoma incontra un codone di stop sull’mRNA.
12 Le tappe della traduzione:
la terminazione La terminazione avviene quando nel sito A entra uno dei tre codoni di stop: il ciclo di allungamento si arresta e la traduzione ha termine (Figura 16). Questi codoni, UAA, UAG e UGA, non codificano nessun amminoacido e non si legano a un tRNA, ma a un fattore di rilascio che consente l’idrolisi del legame fra la catena polipeptidica e il tRNA nel sito P. A questo punto il polipeptide appena terminato si separa dal ribosoma; come C-terminale ha l’ultimo amminoacido che si è unito alla catena, mentre come Nterminale, almeno inizialmente, ha una metionina.
L’informazione che stabilisce quale configurazione finale avrà una proteina neo-sintetizzata e quale sia la sua destinazione cellulare definitiva è già contenuta nella sua sequenza amminoacidica. La catena polinucleotidica rilasciata dal ribosoma non è necessariamente già funzionale. Avverranno una serie di modificazioni post-traduzionali che possono influire sul ruolo e sulla funzione del polipeptide. RICORDA La fase di terminazione della traduzione avviene quando nell’mRNA compare un codone di stop: il ciclo di allungamento si blocca e il polipeptide si stacca dal ribosoma.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B73
Perossisomi
Interno della cellula (citosol)
Nucleo
Proteina Sintesi proteica nel citosol Figura 17
mRNA
Il viaggio a destinazione dei polipeptidi Sequenze segnale presenti sui polipeptidi di nuova sintesi si legano a specifici recettori sulla membrana esterna degli organuli a cui sono destinate. Una volta che la proteina si è legata, il recettore forma un canale nella membrana che consente alla proteina di entrare nell’organulo.
Ribosoma
Mitocondri
Agliorganelles organuli To or o citosol cytosol Plastidi
Reticolo endoplasmatico ruvido Lisosoma
Al reticolo endoplasmatico ruvido (RER)
La traduzione avviene su un ribosoma legato al RER Lume del RER Apparato di Golgi Membrana plasmatica
Proteina
Citosol 1. Il polipeptide si lega a un particella di riconoscimento del segnale e poi a un recettore nella membrana del RER.
2. La sequenza segnale viene rimossa da un enzima nel lume del RER.
3. Il polipeptide continua ad allungarsi finché la traduzione termina.
13 Le modifiche post-traduzionali
delle proteine L’informazione contenuta negli amminoacidi di ogni proteina fornisce due serie di istruzioni supplementari. 1. «La traduzione è finita, sganciati e spostati in un organulo.» Tali proteine sono spedite nel nucleo, nei mitocondri, nei plastidi o nei perossisomi a seconda dell’indirizzo indicato nelle loro etichette, oppure rimangono nel citosol. 2. «Interrompi la traduzione e spostati nel reticolo endoplasmatico.» Una volta completata la propria sintesi all’interno del RER, queste proteine possono rimanere nel reticolo endoplasmatico oppure raggiungere l’apparato di Golgi. Da lì potranno poi essere spedite ai lisosomi, alla membrana plasmatica o, in assenza di istruzioni specifiche, essere secrete dalla cellula mediante vescicole. A mano a mano che emerge dal ribosoma, la catena polipeptidica si ripiega fino ad assumere la sua forma tridimensionale. La configurazione di una proteina dipende dalla sequenza degli amminoacidi che la compongono e da fattori quali la polarità e la carica dei gruppi R. In definitiva, è grazie alla sua configurazione che una proteina può interagire con altre molecole della cellula, come un substrato o un altro polipeptide. Oltre a questa informazione strutturale, la sequenza amminoacidica di un polipeptide può contenere una sequenza segnale, una specie di «etichetta con l’indirizzo»
B74
Esocitosi Esterno della cellula
4. Il ribosoma viene rilasciato. La proteina si ripiega nel lume del RER.
che indica il punto della cellula dove dirigersi. Il luogo dove un polipeptide dovrà funzionare può essere molto lontano dal suo luogo di sintesi nel citoplasma; questo è specialmente vero per gli eucarioti. La sintesi proteica comincia sempre su ribosomi liberi nel citoplasma, e la destinazione di default di ogni proteina neoformata è il citosol. In assenza di una sequenza segnale, la proteina rimarrà nello stesso compartimento cellulare in cui è sintetizzata (Figura 17). La sequenza segnale lega uno specifico recettore proteico che si trova sulla superficie dell’organulo di destinazione, a questo punto si forma un canale nella membrana dell’organulo e la proteina può entrare. Per esempio, il segnale di localizzazione nel nucleo (NLS) ha questa sequenza: Pro-Pro-Lys-Lys-Lys-Arg-Lys-ValCome facciamo a saperlo? La funzione di questo peptide fu stabilita usando esperimenti come quello illustrato nella Figura 18. Se un polipeptide porta un particolare segnale di circa 20 amminoacidi idrofobici alla sua estremità N-terminale, allora sarà direzionato verso il reticolo endoplasmatico rugoso (RER) per un ulteriore processamento (vedi Figura 17). La traduzione si ferma momentaneamente, e il ribosoma si lega a un recettore sulla membrana del reticolo endoplasmatico rugoso. Una volta che il complesso polipeptide-ribosoma è legato, la traduzione riprende,
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IPOTESI È necessario un segnale di localizzazione nel nucleo (NLS) per importare una proteina all’interno del nucleo.
Traduzione
METODO
Si inietta nel citoplasma una proteina marcata con una sostanza fluorescente.
Maturazione post-traduzionale
RISULTATI Proteina iniettata: Nucleoplasmina, una proteina Nucleoplasmina nucleare contenente una da cui NLS è stata rimossa sequenza NLS
Piruvato chinasi, una proteina citoplasmatica senza NLS
Piruvato chinasi a cui è stato attaccato NLS
P P
L’azione di gruppi fosfato modifica la forma della proteina.
NLS
L’addizione di zuccheri è importante per le funzioni di indirizzamento e riconoscimento.
Il taglio del polipeptide permette ai frammenti di ripiegarsi nella loro forma attiva.
Figura 19 Le principali modifiche
CONCLUSIONE La sequenza NLS è essenziale per l’importazione della proteina nel nucleo e la sua presenza fa sì che una proteina di norma citoplasmatica venga indirizzata al nucleo.
Figura 18 L’identificazione della sequenza segnale
Richardson e colleghi eseguirono esperimenti per testare se fosse sufficiente il segnale di localizzazione nel nucleo (NLS) per importare una proteina all’interno del nucleo.
l’allungamento continua, e la proteina attraversa la membrana del RER. Questa proteina può essere mantenuta nel reticolo endoplasmatico rugoso, o può migrare da qualche altra parte attraverso il sistema di membrane (apparato di Golgi, lisosomi, o membrana plasmatica), dove può subire un’altra serie di modifiche post-traduzionali essenziali per il suo funzionamento finale (Figura 19). Se la proteina manca di specifici segnali di modifica che specificano la destinazione all’interno del sistema di membrane, viene generalmente secreta dalla cellula attraverso vescicole che si fondono con il plasmalemma.
post-traduzionali delle proteine
La maggioranza dei polipeptidi deve essere modificata dopo la traduzione per poter diventare proteine funzionali.
L’importanza di questi segnali è evidente nella mucolipidosi di tipo 2, una malattia genetica ereditaria che causa la morte in tenera età. Chi ha questa malattia possiede una mutazione nel gene che codifica un enzima dell’apparato di Golgi, la cui funzione è aggiunge zuccheri specifici alle proteine destinate ai lisosomi. Questi zuccheri funzionano come sequenze segnale, senza le quali gli enzimi necessari per l’idrolisi di varie molecole non possono raggiungere i lisosomi, dove sono normalmente attivi. Senza questi enzimi, le macromolecole si accumulano nei lisosomi con effetti drastici, fino alla morte precoce. RICORDA Nella sequenza amminoacidica di ogni proteina è indicata sia la sua conformazione strutturale sia la destinazione finale all’interno della cellula. Le proteine subiscono una serie di modifiche post-traduzionali.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cos’è un anticodone? 2. Quali siti si trovano nella subunità maggiore di un ribosoma? 3. Quali sono le fasi della sintesi proteica e, per ciascuna, l’evento più importante?
1. L’«etichetta con l’indirizzo» di una proteina è la sua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Le amminoacil-tRNA sintetasi presenti nella cellula sono una per ciascun codone / amminoacido.
Scrivi una serie di comandi schematici per guidare la sintesi proteica. I comandi possono essere messi in forma grafica (diagramma di flusso) e avere forme come: «Prendi…», «Unisci… », «Hai finito? (SI/NO)».
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B75
Mutazione germinale
5
LEZIONE
LE MUTAZIONI SONO CAMBIAMENTI NEL DNA possono essere
Le mutazioni
spontanee o indotte 20
Gameti Mutazione somatica Embrione L’intero organismo porta la mutazione (in eterozigosi)
Area mutata
Organismo
sono suddivise in
non sono sempre ereditarie 14
tre categorie 16 Gameti dell’organismo
hanno
diversi effetti 15
mutazioni puntiformi
mutazioni cromosomiche
mutazioni cariotipiche
17
18
19
14 Le mutazioni non sono
sempre ereditarie Abbiamo descritto le mutazioni come cambiamenti ereditari del patrimonio genetico e abbiamo visto che i nuovi alleli da esse prodotti possono dare origine a fenotipi alterati. Ora che conosciamo la natura chimica dei geni e il modo in cui si esprimono nel fenotipo, torniamo sul concetto di mutazione. In qualsiasi cellula, durante il ciclo cellulare, possono verificarsi errori di duplicazione del DNA. Negli organismi pluricellulari si riconoscono due tipi di mutazioni (Figura 20). 1. Le mutazioni somatiche sono quelle che si verificano nelle cellule del soma (organismo). In seguito alla mitosi, tali mutazioni si trasmettono alle cellule figlie e da queste alla loro discendenza, ma non vengono ereditate dalla prole generata per riproduzione sessuata. Per esempio, una mutazione in una singola cellula epiteliale umana può produrre una chiazza cutanea, che però non verrà trasmessa ai figli. 2. Le mutazioni nella linea germinale sono quelle che si verificano nelle cellule germinali, le cellule specializzate nella produzione dei gameti. Con la fecondazione, un gamete contenente una mutazione la trasmette al nuovo organismo. RICORDA Le mutazioni possono essere somatiche oppure mutazioni della linea germinale ed essere quindi ereditarie.
B76
Figura 20 L'ereditarietà delle mutazioni
Le mutazioni possono essere somatiche e quindi non ereditarie, oppure possono interessare la linea germinale e quindi trasmettersi alla progenie.
15 Gli effetti
delle mutazioni Tutte le mutazioni hanno effetti fenotipici? Non necessariamente: alcune mutazioni hanno effetto sulle proteine e sulle loro funzioni, altre no (Figura 21). • Una mutazione silente non ha effetto sulla funzione della proteina. Può essere una mutazione in una regione del DNA che non codifica per una proteina, oppure può essere nella parte codificante di un gene ma, come vedremo più avanti nel capitolo, non ha effetto effetto sulla sequenza di amminoacidi a causa della ridondanza del codice genetico. Le mutazioni silenti sono comuni e forniscono una variabilità genetica negli organismi che non è espressa come differenze di fenotipo. • Una mutazione con perdita di funzione danneggia la funzione della proteina. Una mutazione del genere può causare la mancata espressione di un gene o il gene può essere espresso ma produrre una proteina che non è più in grado di svolgere il suo ruolo nella cellula, come la funzione catalitica di un enzima. Negli organismi diploidi le mutazioni per perdita di funzione hanno quasi sempre eredità recessiva, perché la presenza di un allele di tipo selvatico fornirà generalmente abbastanza proteina funzionante alla cellula. Per esempio, negli esperimenti di Mendel, l’allele seme rugoso nelle piante di piselli è dovuto a una mutazione per perdita di funzione del gene SBE1.
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Mutazione
DNA
Trascrizione
Trascrizione
Traduzione
Traduzione
mRNA
Allele normale: Codifica per una proteina funzionale
Proteina funzionale Mutazione
La temperatura alle estremità è più bassa e permette l’espressione del gene per il colore nero della pelliccia.
La temperatura della maggior parte del corpo è troppo alta per l’espressione del gene per il colore scuro della pelliccia.
Mutazione silente: Codifica per una proteina funzionale
Proteina funzionale Mutazione
Trascrizione
Trascrizione
Traduzione
Traduzione Mutazione con perdita di funzione: Codifica per una proteina non funzionale
Proteina non funzionale
Proteina con una nuova funzione
Mutazione con acquisto di funzione: Codifica per una proteina con una nuova funzione
Figura 21 Mutazioni e fenotipo
Le mutazioni possono influenzare oppure no la funzione di una proteina e quindi il fenotipo.
Normalmente la proteina espressa da questo gene catalizza la ramificazione dell’amido mentre il seme si sviluppa. Nel mutante, la proteina SBE1 non è funzionale, e questo produce dei cambiamenti osmotici, che determinano il fenotipo rugoso. • Una mutazione con acquisto di funzione produce una proteina con una funzione alterata. Questo tipo di mutazione generalmente mostra eredità dominante, perché la presenza dell’allele di tipo selvatico non impedisce all’allele mutante di funzionare. Questo tipo di mutazione è comune nei tumori; per esempio, ci sono mutazioni che stimolano costantemente e in modo incontrollato la divisione cellulare. Alcune mutazioni producono il fenotipo a esse corrispondente soltanto in certe condizioni restrittive, mentre in condizioni permissive non sono visibili. Questi fenotipi prendono il nome di mutanti condizionali. Molti mutanti condizionali sono sensibili alla temperatura, cioè manifestano il fenotipo modificato soltanto a certe temperature (Figura 22). In un organismo di questo tipo l’allele mutante codifica per un enzima con una struttura instabile a certe temperature.
Figura 22 L’ambiente influenza
l’espressione genica
I genotipi di conigli e gatti «colourpoint» specificano per il colore scuro del manto, ma l’enzima per il colore scuro è inattivo alla temperatura corporea normale, cosicché solo le estremità – le regioni più fredde del corpo – esprimono il fenotipo.
16 Tre categorie
di mutazioni Le mutazioni sono cambiamenti nella sequenza nucleotidica del DNA; a livello molecolare, tuttavia, le possiamo suddividere in tre categorie: puntiformi, cromosomiche e del cariotipo. 1. Le mutazioni puntiformi sono mutazioni di una singola coppia di basi e quindi riguardano un solo gene: un allele (di solito dominante) si trasforma in un altro allele (di solito recessivo) a causa di un’alterazione (perdita, aggiunta o sostituzione) di un solo nucleotide, che dopo la duplicazione del DNA diventerà una coppia di basi mutante. 2. Le mutazioni cromosomiche sono alterazioni più estese e riguardano un segmento di DNA, che può subire un cambiamento di posizione o di orientamento senza una perdita effettiva di informazione genetica, oppure può essere irreversibilmente eliminato. 3. Le mutazioni del cariotipo riguardano il numero dei cromosomi presenti in un individuo, che possono essere in più o in meno rispetto alla norma. RICORDA Le mutazioni puntiformi coinvolgono
RICORDA Una mutazione può essere silente, oppure
una singola coppia di basi; le cromosomiche sono
può causare la perdita di funzione di una proteina o
alterazioni di un segmento di DNA; quelle del
l'acquisto di funzione diversa.
cariotipo riguardano il numero di cromosomi.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B77
A
B
Un esempio di mutazione silente La sequenza amminoacidica non subisce cambiamenti nonostante la mutazione del nucleotide in posizione 12.
Un esempio di mutazione di senso L’amminoacido in posizione 5 non è più lo stesso: l’asparagina è stata sostituita dalla valina.
Mutazione nella posizione 14 del DNA: A invece che T
Mutazione nella posizione 12 del DNA: A invece che C Filamento stampo DNA
3′
Le mutazioni puntiformi
mRNA
5′
Le mutazioni che interessano una singola base azotata possono avere effetti diversi.
Risultato:
T A C A C C G A G G G A C T A A T T
3′
T A C A C C G A G G G G C A A A T T
A U G U G G C U C C C U G A U U A A
3′
5′
A U G U G G C U C C C C G U U U A A
Met Trp Leu Pro Asp Stop
17 Le mutazioni
Polipeptide
puntiformi Le mutazioni puntiformi sono il risultato dell’aggiunta o della perdita di una base del DNA, oppure della sostituzione di una base nucleotidica con un’altra. Si possono produrre in seguito a un errore nella duplicazione del DNA sfuggito al processo di correzione di bozze, oppure a causa di agenti mutageni ambientali, come le radiazioni e certe sostanze chimiche. Come vedremo, le mutazioni puntiformi del DNA producono sempre un cambiamento nella sequenza dell’mRNA, ma non sempre hanno effetti sul fenotipo. Le mutazioni silenti. Per effetto della degenerazione (o ridondanza) del codice genetico, alcune sostituzioni di base non producono cambiamenti della sequenza amminoacidica prodotta per traduzione dell’mRNA alterato. Per esempio, la prolina è codificata da quattro codoni: CCA, CCC, CCU, CCG (vedi Figura 10). Se nel filamento stampo del DNA avviene una mutazione nell’ultima base della tripletta GGC, il codone di mRNA corrispondente non sarà più CCG, ma a questo codone si legherà comunque un tRNA caricato con prolina. Le mutazioni silenti (Figura 23A) sono piuttosto frequenti e stanno alla base della variabilità genetica, che non trova espressione in differenze fenotipiche. Le mutazioni di senso. Diversamente dalle mutazioni silenti, alcune sostituzioni di base modificano il messaggio genetico in modo tale che nella proteina troviamo un amminoacido al posto di un altro (Figura 23B). Un esempio particolare di mutazione di senso riguarda l’allele responsabile di un tipo di anemia, l’anemia falciforme, dovuto a un difetto nell’emoglobina, la proteina dei globuli rossi che serve a trasportare l’ossigeno. L’allele falciforme del gene che codifica una subunità dell’emoglobina differisce dall’allele normale per una sola base,
3′
Traduzione
Traduzione
Nessun cambiamento nella sequenza amminoacidica
5′
Trascrizione
Trascrizione
Figura 23
B78
5′
Amminoacido diverso Met Trp Leu Pro Val Stop in posizione 5; Polipeptide Val invece che Asp
perciò codifica un polipeptide che ha un solo amminoacido diverso dalla proteina normale. Gli individui omozigoti per questo allele recessivo presentano globuli rossi alterati, che assumono una caratteristica forma a falce e producono un’anomalia nella circolazione sanguigna, con conseguenze gravi per la salute. Una mutazione di senso può anche comportare la perdita di funzionalità di una proteina, ma più spesso si limita a ridurne l’efficienza. Pertanto, le mutazioni di senso possono essere compatibili con la sopravvivenza degli individui portatori, anche nel caso che la proteina colpita sia di importanza vitale. Nel corso dell’evoluzione, alcune mutazioni di senso possono perfino accrescere l’efficienza della funzione di una proteina. Le mutazioni non senso. Queste mutazioni costituiscono un altro tipo di sostituzione di base e spesso hanno un effetto più distruttivo delle mutazioni di senso. In una mutazione non senso (Figura 23C), la sostituzione della base fa sì che nell’mRNA risultante si formi un codone di stop, come per esempio UAG. Una mutazione non senso, interrompendo la traduzione nel punto in cui si è verificata, porta alla sintesi di una proteina più breve del normale, che normalmente non è attiva. Le mutazioni per scorrimento della finestra di lettura.
Non tutte le mutazioni puntiformi sono riconducibili alla sostituzione di una base con un’altra. Talvolta esse riguardano singole coppie di basi che si inseriscono nel DNA oppure vengono rimosse. Queste mutazioni prendono il nome di mutazioni per scorrimento della finestra di lettura (Figura 23D) e mandano fuori registro il messaggio genetico, alterandone la decodifica. Se all’mRNA si aggiunge o si toglie una base, la traduzione va avanti senza problemi fino al punto di inse-
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C
D
Un esempio di mutazione non senso La traduzione si arresta dopo il primo amminoacido e la proteina non viene sintetizzata.
Un esempio di mutazione per scorrimento della finestra di lettura Se si inserisce un nucleotide tra la posizione 6 e la 7, tutti gli amminoacidi a valle del punto di inserimento risultano cambiati.
Mutazione nella posizione 5 del DNA: T invece che C 3′
Mutazione per inserzione di una T tra le basi 6 e 7 nel DNA
T A C A T C G A G G G C C T A A T T
5′
3′
T A C A C C T G A G G C C C T A A T T
Trascrizione
5′
A U G U A G C U C C C G G A U U A A
3′
5′
A U G U G G A C U C C G G G A U U A A
Traduzione Un solo amminoacido tradotto; nessuna proteina
A
Traduzione Tutti gli amminoacidi Met Trp Thr Pro Gly Leu a valle del punto di Polipeptide inserzione sono cambiati
Met Stop Polipeptide
B
La delezione è la perdita di un segmento cromosomico.
C
La duplicazione e la delezione si verificano quando cromosomi omologhi si rompono in diversi punti…
L’inversione consiste nel reinserimento di un segmento rotto in modo invertito.
D
A B C D E F G
A B C D E F G
La traslocazione reciproca si verifica quando cromosomi non omologhi si scambiano frammenti.
A B C D E F G A B C D E F G
A B C D E F G
H I J K L M N
C D (perduto) A B E F G
A B E D C F G
A B E F G A B C D C D E F G Figura 24 Le mutazioni cromosomiche
I cromosomi possono rompersi durante la duplicazione e segmenti di questi possono poi riunirsi in modo scorretto.
rimento o sottrazione della base; da quel punto in poi, le «parole» di tre lettere del messaggio genetico risultano tutte scalate di una lettera. In altri termini, le mutazioni di questo tipo fanno scorrere di un posto la «finestra di lettura» del messaggio e di solito portano alla produzione di proteine non funzionali. RICORDA Le mutazioni puntiformi possono essere: silenti se non cambiano la sequenza amminoacidica, di senso, non senso e per scorrimento della finestra di lettura, se portano a proteine non funzionali.
18 Le mutazioni
cromosomiche L’intera molecola del DNA si può spezzare e ricongiungere, alterando totalmente la sequenza dell’informazione genetica. Le mutazioni cromosomiche, in genere prodotte da agenti mutageni o da grossolani errori nella duplicazione dei cromosomi, possono essere di quattro tipi.
5′
Trascrizione
A B L M N H I J K C D E F G
… e si riuniscono, scambiandosi i segmenti.
1. La delezione rimuove parte del materiale genetico
(Figura 24A). Le sue conseguenze possono essere gravi come quelle delle mutazioni per scorrimento della finestra di lettura, a meno che non riguardi geni non indispensabili o sia mascherata dalla presenza di alleli normali dei geni andati persi. È facile immaginare un meccanismo capace di produrre una delezione: un cromosoma si spezza in due punti e le due porzioni estreme si ricongiungono lasciando fuori il segmento di DNA intermedio. 2. La duplicazione si può verificare in contemporanea con una delezione (Figura 24B). Se i cromosomi omologhi si rompono in due punti diversi e poi ciascuno si va ad attaccare al pezzo dell’altro, si ha insieme una delezione e una duplicazione: uno dei due cromosomi sarà privo di un segmento di DNA (delezione), mentre l’altro ne conterrà due copie (duplicazione). 3. Anche l’inversione può essere il risultato della rottura di un cromosoma, seguita da un ricongiungimento errato. Un segmento di DNA può staccarsi e reinserirsi
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B79
3′
nello stesso punto del cromosoma, ma «girato al contrario» (Figura 24C). Se il punto di rottura contiene parte di un segmento di DNA che codifica una proteina, la proteina risultante sarà profondamente alterata e quasi certamente non funzionante. 4. Si ha traslocazione quando un segmento di DNA si distacca dal proprio cromosoma e va a inserirsi in un cromosoma diverso. Al pari delle duplicazioni e delezioni, le traslocazioni possono essere reciproche, come nella Figura 24D, o non reciproche. Spesso le traslocazioni portano a una duplicazione o a una delezione e, qualora alla meiosi ostacolino il normale appaiamento dei cromosomi, possono provocare disfunzioni nei gameti e sterilità. Le traslocazioni, inoltre, sono alterazioni frequenti in molte malattie genetiche e in alcuni tumori. Figura 25 Il cariotipo di un individuo affetto
RICORDA Nelle mutazioni cromosomiche interi cromosomi possono rompersi e poi riunirsi in modo errato. Esistono mutazioni per delezione,
dalla sindrome di Down
Questo corredo cromosomico mostra un cromosoma 21 in più rispetto al normale (indicato dal cerchio rosso).
duplicazione, inversione e traslocazione cromosomica.
19 Le mutazioni
cariotipiche Le mutazione cariotipiche si verificano quando un organismo presenta dei cromosomi in più o dei cromosomi in meno rispetto al normale. Se sono presenti interi corredi cromosomici in più o in meno si parla di euploidia aberrante; se invece è solo una parte del corredo cromosomico a essere in eccesso o in difetto, l’anomalia è chiamata aneuploidia. Negli organismi diploidi, compresi gli esseri umani, le forme di aneuploidia più frequenti sono la mancanza di un cromosoma da una coppia di omologhi (monosomia) oppure la presenza di un cromosoma in più in una coppia (trisomia). Più raro è il caso della perdita di una coppia intera di cromosomi omologhi. Il caso più frequente è la trisomia 21, chiamata sindrome di Down (Figura 25). Questa alterazione cromosomica comporta diversi effetti, tra cui un ritardo dello sviluppo più o meno accentuato, bassa statura, problemi cardiaci e respiratori. La trisomia 21 può derivare da due cause distinte: una non-disgiunzione meiotica, oppure una traslocazione di gran parte del cromosoma 21, di solito sul cromosoma 14. Sono note altre due trisomie, la sindrome di Patau (trisomia 13) e la sindrome di Edwards (trisomia 18). In ambedue i casi, quasi nessuno dei bambini che nasce supera i primi mesi di vita.
B80
Più frequenti sono le alterazioni legate ai cromosomi sessuali. La delezione di un intero cromosoma X causa la sindrome di Turner, con nascita di femmine X0 che di norma non maturano sessualmente e che spesso mostrano malformazioni allo scheletro o agli organi interni. La corrispondente sindrome di Klinefelter deriva invece da una non-disgiunzione e porta alla nascita di maschi XXY. Il quadro di questa alterazione è meno grave, anche se a volte comporta un ritardo mentale variabile, e colpisce lo sviluppo sessuale durante l’adolescenza. RICORDA Le mutazioni del cariotipo sono caratterizzate da un numero anomalo di cromosomi e causano patologie gravi come la sindrome di Patau o condizioni particolari come la sindrome di Down.
20 Le mutazioni possono essere
spontanee o indotte Le mutazioni possono essere classificate anche in base alla causa che le ha provocate. 1. Le mutazioni spontanee sono cambiamenti del materiale genetico che si verificano senza l’intervento di una causa esterna. In altre parole, sono una conseguenza dell’imperfezione dei dispositivi cellulari. 2. Le mutazioni indotte si verificano in seguito a un cambiamento del DNA provocato da un fattore esterno alla cellula, detto agente mutageno. Una mutazione spontanea può avvenire per vari motivi, qui di seguito descriveremo i più comuni (Figura 26).
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A Una mutazione spontanea
B Una mutazione indotta
N
N H
N
C
N
N
C*
N H
O Citosina (tautomero comune)
Questa base non può appaiarsi con G, ma si appaia con A.
H
H
H
Questa C non può formare legami a idrogeno con G, ma si appaia con A.
N N
O Citosina (tautomero raro)
C
O
H
Deamminazione per
N
O
N
opera di HNO2
i tipi di mutazione 1. Si verifica una mutazione spontanea o indotta di C.
O Forma deamminata della citosina (= uracile) 3. Sebbene la C mutata di solito ritorni normale grazie ai meccanismi di riparazione del DNA…
Filamento stampo
. . . AATGC TG. . . . . .T TACGAC . . .
. . . A ATG C TG . . . . . .T TAC A AC . . . . . . AATGCTG. . . . . .TTACGAC. . . Sequenza originale
...A ATG CTG . . . ...T TACG AC . . .
Figura 26 Mutazioni spontanee e indotte
base possono esistere due forme diverse, una frequente e una rara. Una base che abbia temporaneamente assunto la sua forma rara può appaiarsi alla base sbagliata, portando a una mutazione puntiforme. Le basi possono cambiare per una reazione chimica.
Per esempio, la perdita di un gruppo amminico (ovvero una deaminazione mediata da acido nitroso) trasforma la citosina in uracile. Alla duplicazione del DNA, la DNA polimerasi inserirà una A, anziché una G. La DNA polimerasi compie errori di duplicazione. Generalmente questi errori sono riparati dal complesso di duplicazione in fase di correzione di bozze, ma alcuni sfuggono a questa funzione e diventano permanenti. Il meccanismo della meiosi non è perfetto. Si può verificare una non-disgiunzione, ovvero la mancata separazione degli omologhi durante la meiosi, che porta all’aneuploidia. Eventi casuali di rottura e successiva
La replicazione è normale
Filamento stampo
(A) Tutte le basi azotate del DNA esistono sia in una forma comune sia in una rara. Quando una base passa spontaneamente alla forma rara, può appaiarsi con una base diversa. (B) Le sostanze chimiche mutagene, come l’acido nitroso (HNO2), possono indurre cambiamenti nelle basi. (C) In entrambe le mutazioni, il risultato è un cambiamento della sequenza di DNA in seguito alla duplicazione.
Le basi del DNA sono parzialmente instabili. Per ogni
. . . A ATG T TG . . . . . .T TAC A AC . . . Sequenza mutata
Filamenti neosintetizzati . . . A ATG C TG . . . . . .TTACG AC . . .
N H
2. La C mutata si appaia con A invece che con G.
C Le conseguenze di entrambi
U
4. ...la A mal appaiata resta nel DNA perpetuando una mutazione di sequenza.
ricongiunzione dei cromosomi producono delezioni, duplicazioni e inversioni o traslocazioni. Anche le mutazioni indotte da agenti mutageni presentano vari meccanismi di alterazione del DNA. Alcune sostanze chimiche possono convertire una base in un’altra, altre sostanze danneggiano le basi. Le radiazioni (come i raggi X o i raggi UV) possono danneggiare il DNA, alterandone la struttura o addirittura causando la rottura della molecola. Le mutazioni spesso producono organismi meno idonei all’ambiente, ma quelle della linea germinale sono fondamentali per la vita, poiché forniscono la variabilità genetica su cui agiscono le forze dell’evoluzione. RICORDA Le mutazioni possono essere spontanee, se i cambiamenti nel DNA non provengono da cause esterne, oppure indotte, se sono provocate da un fattore esterno, definito agente mutageno.
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Ora tocca a te
1. Che cos’è una mutazione? 2. Che cosa si intende per «mutante condizionale»? 3. Che cosa si intende per «mutazione spontanea»?
1. Le mutazioni che riguardano una singola coppia di basi si dicono spontanee / puntiformi. 2. La traslocazione è una mutazione cromosomica / cariotipica.
Cerca in Rete esempi di mutazioni in specie diverse dalla nostra, riassumile in una tabella indicando la specie, il tipo di mutazione e gli effetti. Poi scrivi un breve articolo divulgativo su un caso di particolare interesse.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B81
6
LEZIONE
SALUTE
LE MUTAZIONI E LA SALUTE UMANA Le mutazioni possono essere causate da
possono causare
sono
fondamentali per l'evoluzione 25 tumori 23 Figura 27 Il cenotafio in memoria
delle vittime delle radiazioni nucleari
mutageni naturali o artificali 21
malattie genetiche 22
che spesso sono
eventi multifattoriali 24
21 Mutageni naturali
e artificiali Molte persone associano i mutageni con composti prodotti dall’essere umano, ma ci sono tanti mutageni artificiali quanti di origine naturale. Alcuni esempi di mutageni artificiali sono i nitriti, usati per conservare le carni. Nei mammiferi i nitriti vengono convertiti nel reticolo endoplasmatico liscio (REL) in nitrosammine, che sono fortemente mutagene. Un esempio di mutageno naturale è l’aflatossina, che è prodotta dalla muffa del genere Aspergillus. Quando i mammiferi ingeriscono questa muffa, l’aflatossina viene convertita nel reticolo endoplasmatico in un prodotto che lega la guanina e causa mutazioni. Le radiazioni possono essere prodotte dall’essere umano o naturali. Alcuni isotopi prodotti nei reattori nucleari e le esplosioni delle bombe nucleari sono certamente pericolosi. Per esempio, molti studi dettagliati hanno mostrato un aumento di mutazioni nei sopravvissuti alla bomba atomica lanciata in Giappone nel 1945 (Figura 27). Anche la radiazione ultravioletta normale della luce solare può causare mutazioni, in questo caso interessando la timina e, in minor parte, le altre basi del DNA. Molte sostanze che causano il cancro (cancerogene) sono anche mutagene. Un esempio è il benzopirene che si trova nel catrame, nei fumi esausti delle automobili, nel cibo cotto alla brace e nel fumo di sigarette. Uno dei traguardi più importanti per il miglioramento della salute pubblica è la riduzione dei mutageni umani e naturali per la salute dell’essere umano.
B82
Questo monumento è stato eretto a Hiroshima (Giappone) in memoria delle vittime della bomba atomica.
Riportiamo qui due esempi. • Il protocollo di Montreal è l’unico accordo sull’ambiente firmato da tutti i membri delle Nazioni Unite. Vieta i clorofluorocarburi e altre sostanze che causano l’assottigliamento dello strato di ozono nell’alta atmosfera terrestre. Questa riduzione comporta l’aumento della radiazione ultravioletta, possibile causa di mutazioni somatiche che provocano il cancro alla cute. • Il divieto del fumo di sigarette si è velocemente diffuso nel mondo. Il fumo da sigarette causa il cancro perché aumenta l’esposizione delle cellule somatiche dei polmoni e della gola al benzopirene e ad altre sostanze cancerogene. RICORDA Le sostanze che provocano mutazioni, i mutageni, possono essere sia prodotte dall’essere umano, quindi artificiali, sia naturali.
22 Mutazioni
e malattie genetiche Le mutazioni geniche sono spesso espresse in proteine diverse dal tipo normale (selvatico o wild type). Anormalità in enzimi, proteine recettori, proteine di trasporto, strutturali, e la maggior parte delle altre classi funzionali di proteine, sono tutte state implicate in malattie genetiche. Analizziamo alcune malattie genetiche e le mutazioni che le hanno provocate. Perdita di attività enzimatica. Nel 1934, nell’urina di due giovani fratelli con ritardo mentale fu trovato acido fenilpiruvico, un sottoprodotto inusuale dell’amminoacido fenilalanina. Solo due decenni più tardi fu tracciata la causa molecolare che produceva la patologia che affliggeva i due bambini, chiamata fenilchetonuria (PKU).
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Degradazione delle proteine
CH2
CH
COOH
CH
2
NH
OH
Fenilchetonuria (PKU) CH
2
COOH
O Acido fenilpiruvico
2
Fenilalanina 1. Nella PKU l’enzima che converte la fenilalanina a tirosina non è funzionale.
C
CH
COOH
2. Dato che la conversione a tirosina è bloccata, la fenilalanina e l’acido fenilpiruvico si accumulano.
NH Tirosina
2
Figura 30 Globuli rossi falciformi e normali Figura 28 Un gene mutato dà una proteina disfunzionale
La fenilchetonuria, PKU, è causata da un’anomalia in un enzima specifico che metabolizza l’amminoacido fenilalanina.
La malformazione del globulo rosso a sinistra è dovuta a una mutazione di senso che porta all’incorporazione di un amminoacido sbagliato nella catena dell’emoglobina.
Nome della malattia
Pattern di eredità; frequenza di nascite
Gene mutato; prodotto proteico
Fenotipo clinico
Ipercolesterolemia familiare
Codominante autosomica; 1 su 500 eterozigoti Recessiva autosomica; 1 su 4000 Recessiva legata al sesso; 1 su 3500 maschi Recessiva legata al sesso; 1 su 5000 maschi
LDLR; recettore per la lipoproteina a bassa densità CFTR; canale ionico del cloro nella membrana DMD; distrofina (proteina di membrana del muscolo) HEMA; fattore VIII (proteina di coagulazione del sangue)
Colesterolo alto nel sangue, malattie cardiache
Fibrosi cistica Distrofia muscolare di Duchenne Emofilia A
Malattie immunitarie, digestive e respiratorie Debolezza muscolare Incapacità di coagulare il sangue dopo una ferita, emorragia
Tabella 31 Alcune malattie genetiche umane.
La malattia era dovuta a un’anomalia in un singolo enzima, la fenilalanina idrossilasi (PAH), che catalizza la conversione della fenilalanina assunta della dieta in tirosina (Figura 28). L’enzima non è attivo nel fegato dei pazienti affetti da PKU, con un conseguente eccesso di fenilalanina nel sangue. Da allora sono state individuate più di 400 mutazioni nella sequenza nucleotidica del gene PAH, tutte coinvolte nella malattia. Centinaia di patologie umane derivano da anomalie enzimatiche, alcune delle quali portano a ritardo mentale e morte prematura; molte di queste malattie sono rare: la PKU, per esempio, si sviluppa in uno ogni 12 000 neonati. Ma questo è solo la punta dell’iceberg delle mutazioni. Alcune mutazioni producono cambiamenti in amminoacidi che non hanno effetti clinici evidenti. Ci possono essere numerosi alleli di un gene: alcuni producono proteine che funzionano normalmente, mentre altri possono produrre varianti che causano patologie. Emoglobina anormale. Ricordiamo che l’anemia falciforme è causata da una mutazione di senso recessiva. Questo disordine sanguigno affligge più spesso le persone che hanno antenati nei tropici o nella regione mediterranea. Circa 1 su 655 afroamericani è omozigote per l’allele
falcemico e ha la malattia. Nell’anemia falciforme, uno dei 146 amminoacidi della beta globina è anormale: in posizione 6, un acido glutammico è sostituito da una valina (Video 29). Questo cambia la carica della proteina (l’acido glutammico è carico negativamente mentre la valina è neutra), e le fa assumere la forma di un aggregato lungo e a forma di ago, con la produzione di globuli rossi a forma di falce (Figura 30), incapaci di trasportare ossigeno. Le cellule falciformi tendono a bloccarsi nei capillari sanguigni, producendo così danni ai tessuti e infine morte per collasso degli organi. Poiché l’emoglobina è facile da isolare e studiare, le sue varietà nelle popolazioni umane sono state ampiamente documentate. Molte alterazioni dell’emoglobina non hanno effetto sulla sua funzione e circa il 5% della popolazione umana porta almeno una mutazione. Alcuni degli esempi più comuni di malattie ereditarie causate da specifici difetti proteici sono riportate in Tabella 31. Queste mutazioni possono essere dominanti, codominanti o recessive e alcune sono legate al sesso. RICORDA Diverse mutazioni di senso o con perdita di funzione causano malattie genetiche.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B83
Video 29
Anemia falciforme: un esempio di mutazione
A
Sezione del colon (Intestino crasso)
Fasi dello sviluppo del tumore del colon
B Confronto tra un colon
normale e uno canceroso
Cellule normali
Perdita del gene soppressore tumorale normale APC
1. Un polipo (a crescita lenta) si forma sulla parete del colon.
2. Cresce un tumore benigno precanceroso Attivazione dell’oncogene RAS
3. Cresce un adenoma (benigno) di classe 2.
sviluppi, sono necessarie di solito più di due mutazioni geniche. Il tumore del colon, una parte dell’intestino, progredisce in modo lento e per questo motivo è stato possibile identificare le mutazioni che determinano ciascuno stadio. La Figura 32 mostra la «biografia molecolare» di questa forma tumorale. Perché il tumore si sviluppi, in una cellula del colon devono essere mutati in sequenza almeno tre geni soppressori tumorali e un oncogene. Anche se può sembrare improbabile che tutti questi eventi si verifichino in una stessa singola cellula, si deve considerare che la superficie interna del colon contiene milioni di cellule, che derivano da cellule staminali in continua divisione, e che queste mutazioni possono verificarsi nell’arco di numerosi anni di esposizione a sostanze di origine naturale o sintetica presenti negli alimenti e che possono agire da mutageni. RICORDA L’insorgenza di un tumore richiede solitamente il verificarsi di due mutazioni geniche.
Perdita del gene soppressore tumorale DCC
24 Mutazioni, ambiente
4. Cresce un adenoma (benigno) di classe 3.
Perdita del gene soppressore tumorale p53
5. Si sviluppa un carcinoma (tumore maligno).
Altri cambiamenti; perdita di geni antimetastatici
6. Il cancro metastatizza (si diffonde agli altri tessuti).
Figura 32 Mutazioni somatiche multiple trasformano una cellula del colon in una cellula cancerosa (A) Almeno quattro geni devono mutare in una singola cellula per produrre un tumore del colon. (B) Queste immagini da un test di screening rivelano un colon normale (sinistra) e uno con tumore (destra).
23 Le mutazioni somatiche
e i tumori Nelle cellule tumorali, sono state individuate molte mutazioni cromosomiche e puntiformi. Queste mutazioni coinvolgono oncogeni, i cui prodotti stimolano la divisione cellulare, o geni soppressori dei tumori, i cui prodotti inibiscono la divisione cellulare. Affinché un tumore si
B84
e malattie L’esempio del tumore al colon illustra come molti fenotipi comuni, inclusi quelli che causano malattie, siano multifattoriali; cioè, siano causati dall’interazione di molti geni e proteine con uno o più fattori ambientali. Quando si studia la genetica, si tende a classificare gli individui come normali (altrimenti definiti tipo selvatico o wild type) o anormali (cioè mutanti); tuttavia, nella realtà ogni individuo contiene migliaia o milioni di variazioni genetiche che insorgono per mutazione. La nostra suscettibilità alle malattie è spesso determinata da interazioni complesse tra questi genotipi e i fattori ambientali, come il cibo che mangiamo o i patogeni che incontriamo. Per esempio, il genotipo determina chi di noi può assumere una dieta ricca di grassi senza un particolare rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari, o chi sarà particolarmente esposto a infezioni batteriche. Alcune stime suggeriscono che fino al 60% della popolazione umana sia affetto da malattie influenzate geneticamente. Identificare queste influenze genetiche è un altro dei compiti importanti della medicina molecolare, una branca della medicina moderna che studia le relazioni tra le patologie, i meccanismi biologici e il genoma umano. RICORDA Spesso l’insorgenza di una patologia è un evento multifattoriale, dovuto all’interazionte tra geni e ambiente.
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PER SAPERNE DI PIÙ
La scoperta delle mutazioni
P
er Darwin sarebbe stato utile potere spiegare da dove proviene la varietà che mostrano le specie viventi; egli però non aveva gli strumenti per elaborare una teoria genetica accettabile. Per spiegare le mutazioni egli accettò, almeno in parte, fattori come l’abitudine e l’influenza dell’ambiente, che di solito sono associati al nome di Lamarck. La mancanza di una base genetica per la varietà delle specie fu la ragione per cui molti tra i primi genetisti rifiutarono la teoria dell’evoluzione. Hugo De Vries (1848-1935), uno dei riscopritori del lavoro di Mendel, propose nel 1901 che l’origine di nuovi alleli dipendesse da un cambiamento improvviso e discontinuo del gene, che chiamò, appunto, «mutazione». In realtà i
casi studiati da De Vries risultarono dovuti non a mutazioni, ma a riarrangiamenti dei cromosomi; ciononostante il concetto di mutazione genetica entrò nel pensiero scientifico. Una definizione più corretta fu data, pochi anni dopo, da un collega di De Vries, il microbiologo e botanico Martinus Beijerinck. Egli, tuttavia, lavorava sui batteri, e sulla genetica di questi organismi si sapeva molto poco. I primi veri studi sulle mutazioni sfruttarono invece un altro organismo modello, il moscerino della frutta Drosophila melanogaster. Attorno al 1915, Thomas Hunt Morgan e i suoi collaboratori avevano individuato poco meno di un centinaio di caratteri mutanti, che non si trovavano in natura, ma che potevano essere isolati in laboratorio. Morgan riteneva, sulla scia delle idee esposte da De Vries, che gli individui mutanti derivassero da un cambiamento raro e spontaneo a carico di un determinato gene.
25 Le mutazioni sono la materia
prima dell’evoluzione Naturalmente non tutte le mutazioni sono negative: senza mutazioni non ci sarebbe evoluzione. Le mutazioni non sono la forza trainante dell’evoluzione, però ne costituiscono il presupposto, perché forniscono la variabilità genetica su cui agiscono la selezione naturale e gli altri agenti dell’evoluzione. Tutte le mutazioni sono eventi rari; la loro frequenza, tuttavia, varia da organismo a organismo e da gene a gene di uno stesso organismo. Di solito la frequenza di mutazione è di molto inferiore a una mutazione ogni 104 coppie di basi del DNA per duplicazione, e può scendere fino a una mutazione ogni 109 coppie di basi. Nella maggioranza dei casi si tratta di mutazioni puntiformi. Le mutazioni possono essere dannose per l’organismo, oppure essere neutre (cioè non influire sulla sua capacità di sopravvivere e riprodursi). Di tanto in tanto, possono anche migliorare la capacità di adattamento all’ambiente, diventando vantaggiose al mutare delle condizioni ambientali. In generale, fra le creature viventi che popolano la Terra, quelle complesse hanno più geni di quelle sem-
Nel 1927, il medico e genetista statunitense Hermann Joseph Muller che lavorava con Morgan, dimostrò che irradiando le drosofile con raggi X si aumentava enormemente la frequenza di mutazione dei geni. Inoltre, Muller fu in grado di dimostrare che esisteva una proporzionalità diretta tra la dose di raggi X e il numero di mutazioni. Egli ne dedusse che le mutazioni si verificavano a carico di entità ben precise, confermando in modo indiretto l’esistenza dei geni. Nelle idee di Muller il gene era un’unità di mutazione, e questa fu la definizione data dai genetisti negli anni seguenti. Nel 1941 George Beadle ed Edward Tatum fornirono un contributo fondamentale alla comprensione del significato funzionale delle mutazioni, mentre nel 1953 grazie a Watson e Crick divenne evidente che una mutazione può consistere nel cambiamento di una singola base del DNA.
plici. Il batterio E. coli, per esempio, possiede circa 5000 geni, il lievito S. cerevisiae circa 6000, la drosofila circa 14 000 e il topo da laboratorio ne possiede fino a 20 000, come l’essere umano. Da dove provengono i nuovi geni? Attraverso il meccanismo della duplicazione è possibile che un intero gene si duplichi e che il portatore di questa mutazione si venga a trovare in possesso di un’eccedenza di informazione genetica che potrebbe tornargli utile in seguito. Infatti, eventuali mutazioni in una delle due copie del gene non avrebbero effetti sfavorevoli per la sopravvivenza, dato che l’altra copia continuerebbe a produrre una proteina funzionante. Il gene soprannumerario potrebbe continuare ad accumulare mutazioni senza effetti negativi, perché la sua funzione originaria verrebbe svolta dall’altra copia del gene. Se questo accumulo casuale di mutazioni sul gene in più portasse alla produzione di una proteina utile, la selezione naturale manterrebbe in vita questo nuovo gene.
Un oncògene è un gene o una serie di nucleotidi che codifica per una proteina che potenzialmente indirizza la cellula verso lo sviluppo di un tumore.
RICORDA Le mutazioni rappresentano anche il presupposto dell’evoluzione, infatti offrono un’importante occasione di variabilità genetica per gli individui su cui può agire la selezione naturale.
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Ora tocca a te
1. Quali sono le due categorie in cui si suddividono i mutageni? 2. Quali sono le cause e i sintomi dell’anemia falciforme? 3. Per quali ragioni le mutazioni non sono considerate solo negative?
1. La PKU è causata da una perdita di attività . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Gli oncogeni / oncosoppressori stimolano la riproduzione cellulare. 3. Una patologia dovuta a interazioni tra geni e ambiente si dice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Allestisci un poster illustrativo in cui riassumi tutti i tipi di mutazione che hanno effetti sulla salute umana presenti in questa lezione. Il poster deve essere prevalentemente grafico, perciò seleziona con attenzione cosa scrivere e aggiungi figure e disegni.
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B3 | L’espressione genica: dal DNA alle proteine | B85
ESERCIZI CAPITOLO
B
ONLINE Mettiti alla prova con 20 esercizi interattivi
3
Costruisci la tua MAPPA INTERATTIVA
Ripassa i concetti
1. Completa la mappa inserendo i termini mancanti. degenerato / traduzione / cromosomiche / mRNA / allungamento / DNA / tRNA / somatiche / proteine / ribosomi / mutazioni può essere alterata da
L’ESPRESSIONE GENICA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
consente
divise in
il passaggio dell’informazione genetica dal
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
che possono essere
germinali
puntiformi
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
del cariotipo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
alle
attraverso la
inizio che avviene in tre tappe
trascrizione in . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
terminazione
seguita dalla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
ambiguo seguendo il
codice genetico
che è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
a cui partecipano molecole di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
legate a singoli
amminoacidi
costituiti da
due subunità
Definisci i termini
2. Dai una definizione per ciascuno dei seguenti termini associati. eucarioti: procarioti:
Organismi unicellulari e pluricellulari che possiedono un nucleo ben definito.
tRNA: mRNA rRNA:
L’adattatore porta gli amminoacidi ai ribosomi e li colloca nella giusta posizione.
codice genetico ambiguo: codice genetico degenerato:
Significa che un codone può specificare più amminoacidi.
mutazione non senso: mutazione di senso:
La sostituzione della base fa sì che si formi un codone di stop e la traduzione si arresti.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Verifica le tue conoscenze
3. Un modello per lo studio della genetica dello sviluppo nella nostra specie è
9. Quale tra le seguenti affermazioni relative al codice genetico è corretta?
A il topo.
C il lievito.
B il delfino.
D la cavia.
A i codoni sono ripartiti equamente tra gli amminoacidi.
4. Una proteina è formata da 4 polipeptidi di un primo tipo e 2 del secondo tipo. Sulla base della teoria «un gene, un polipeptide», per sintetizzarla occorre l’informazione di A 4 geni.
C 1 gene.
B 6 geni.
D 2 geni.
B monosomia.
C due amminoacidi possono condividere un codone.
D mutazione cromosomica.
D quattro codoni sono solo segnali speciali. 10. Il riconoscimento tra un tRNA e il suo amminoacido avviene grazie a A una sequenza nucleotidica. B un ribozima.
A trascrizione e maturazione.
D il ribosoma.
C un enzima.
11. Che cosa si lega al codone di stop nella fase di terminazione? A una specifica proteina. B un anticodone stop.
A l’rRNA.
C il tRNA.
D il ribosoma.
B il DNA.
D l’mRNA.
C niente.
A legare in modo stabile la RNA polimerasi.
A va nel citosol.
B fornire un breve segmento di partenza per la RNA polimerasi.
B viene distrutta.
C rendere disponibile energia per attivare il processo.
D resta nel comparo cellulare in cui è stata prodotta.
B viene letta solo un’elica in direzione 5’→3’. C le due eliche sono lette come per la replicazione del DNA. D le due eliche sono lette in direzione opposta.
D le inversioni, che rimescolano il patrimonio genetico. 17.
Which of these is a true statement?
B translation of mRNA can alter the protein product.
7. Qual è la funzione del primer?
A viene letta solo un’elica in direzione 3’→5’.
A le duplicazioni, che rendono disponibili copie extra di un gene.
A once an mRNA is made, a product always follows.
12. Che cosa accade a una proteina se è privata della sequenza segnale?
8. Come avviene la lettura del DNA da parte della RNA polimerasi?
16. In chiave evolutiva, le mutazioni cromosomiche più interessanti sono
C le traslocazioni, che possono modificare l’espressione di parecchi geni.
6. Quale molecola riconosce sia sequenze di nucleotidi sia di amminoacidi?
D aprire la molecola del DNA per renderla accessibile.
C euploidia aberrante.
B le non-disgiunzioni, che rendono disponibili copie extra di un cromosoma.
B trascrizione e traduzione. D trascrizione e trascrizione inversa.
A aneuploidia.
B ogni codone specifica per un solo amminoacido.
5. Il dogma centrale della biologia si basa principalmente sui processi di
C traduzione e mutazione.
15. Le api hanno 32 cromosomi, ma i loro maschi solo 16. Si tratta di un particolare caso di
C translational control can alter the amount of a protein product. D proteasomes degrade mRNA molecules. 18.
C è libera di muoversi.
13. Una mutazione non può essere ereditata se è A silente.
C somatica.
B cromosomica.
D indotta.
A a person has an infectious desease. B a person inherits a genetic disorder. C transcription and translation occur. D all of these are correct. 19.
14. Se una mutazione comporta il cambiamento del numero di nucleotidi, si tratta di una mutazione
How would you know that a genetic mutation has occurred?
Quale delle seguenti affermazioni relative all’RNA non è corretta?
A i tRNA sono coinvolti nella traduzione. B i tRNA sono i prodotti del processo di traduzione.
A a slittamento del sistema di lettura.
C gli mRNA vengono sintetizzati su stampo di DNA a singola elica.
B non senso.
D il DNA codifica per mRNA, rRNA, tRNA
C silente.
E gli rRNA sono trascritti nel nucleolo.
D di senso.
[dalla prova di ammissione a Veterinaria, anno 2019]
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B3 | Esercizi di fine capitolo | B87
Verifica le tue abilità
20. Leggi e completa le seguenti affermazioni relative alle mutazioni. a)
Le mutazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . sono mutazioni di una singola coppia di basi.
b)
Le mutazioni del . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . riguardano il numero dei cromosomi presenti in un individuo.
c)
La . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . si verificano quando cromosomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . si rompono in diversi punti e riuniscono, scambiandosi i segmenti.
24. Associa a ciascun tipo di mutazione le caratteristiche che la contraddistinguono.
21. Sottolinea l’alternativa corretta. Una mutazione con acquisto / perdita di funzione produce una proteina con una funzione alterata / migliore. Questo tipo di mutazione generalmente si manifesta con eredità dominante / recessiva, perché la presenza dell’allele selvatico impedisce / non impedisce all’allele mutante di funzionare / replicarsi. È una mutazione comune in alcune forme di tumore / malattie autoimmuni, perché stimolano / inibiscono una divisione cellulare controllata / incontrollata.
a
b
c
Sequenza di mRNA
I ribosomi sono / non sono dei veri organuli, perché privi / dotati di una membrana. Queste strutture complesse sono costituite da rRNA / tRNA e sono in grado di assemblare una catena polipeptidica / nucleotidica, trattenendo nella giusta posizione mRNA e rRNA / tRNA carichi. I ribosomi sono / non sono specifici per la sintesi di uno specifico polipeptide / nucleotide e contengono / non contengono la sequenza da produrre, poiché quest’ultima è / non è specificata dalla sequenza lineare dei codoni / degli amminoacidi dell’mRNA / rRNA. 23. Associa a ciascun tipo di RNA le rispettive caratteristiche. a. hnRNA b. mRNA c. rRNA d. snRNA e. tRNA
1. Comprende pre-mRNA che andranno incontro a maturazione. 2. È un piccolo RNA nucleare che partecipa alla maturazione dell’RNA. 3. Fa parte della struttura dei ribosomi. 4. Ha un ruolo sia strutturale sia funzionale. 5. Ha una struttura «a trifoglio». 6. La sua caratteristica più importante è la sua sequenza lineare. 7. Porta gli amminoacidi ai ribosomi. 8. Porta una copia delle informazioni dal DNA ai ribosomi. 9. Può essere definito «l’adattatore». 10. Può essere definito «l’intermediario».
a
b
B88
1. Determina la sostituzione di un amminoacido con un altro. 2. Interrompe la traduzione nel punto in cui si verifica. 3. Manda fuori registro il messaggio genetico e altera la codifica della proteina. 4. Modifica il codone AAA in AGA. 5. Modifica il codone GGA in GG. 6. Modifica il codone UAU in UAA. 7. Modifica il codone UCU in UCG. 8. Non comporta nessuna modifica alla sequenza amminoacidica.
d
e
d
25. Aiutandoti con la tabella del codice genetico presente nel capitolo, individua che catena polipeptidica generano queste sequenze di mRNA. Ricorda che la traduzione parte sempre dal codone d’inizio e finisce con un codone di stop.
22. Sottolinea l’alternativa corretta.
c
a. Mutazione di senso b. Mutazione non senso c. Mutazione per scorrimento d. Mutazione silente
Sequenza di amminoacidi
UUCUAUGACACAGUGUUGATT AAAAUGAAAAAGAAAAGAACAUAA AUGUUUACCUAGUAUUACAGUGAA UUUAACGGAGGGAUGAAAUGA UAUAUGGCAGAAUGUAUUGUAUGA 26. Scrivi almeno tre sequenze di mRNA che possono essere tradotte in questa sequenza amminoacidica. Metionina-Glicina-Arginina-Istidina-Serina-Alanina a)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
b)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
c)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27. Completa l’immagine inserendo le etichette necessarie.
5′
A U G
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3′
Allena le tue competenze DISCUTI
IPOTIZZA E DISCUTI
28. Un mRNA comincia con la sequenza da tradurre AUGCAUGGC, prosegue per 619 nucleotidi e termina con AAACUGUAG. Che cosa può fare sospettare che il gene sia mutato? Spiega che tipo di mutazione puoi supporre che sia avvenuta.
31. L’immagine qui riportata, tratta dall’articolo originale di Francis Crick, rappresenta il punto di partenza della sua riflessione. Chiarisci il significato delle diverse frecce e del perché alcune siano state eliminate. Quelle eliminate erano tutte davvero inaccettabili?
RIFLETTI ED ELABORA
29. Le trisomie autosomiche note nella nostra specie sono sempre a carico di cromosomi catalogati con numeri abbastanza alti (13, 18, 21). Riesci a trovare una ragione a questo fatto?
DNA
IMMAGINA E APPLICA
30. Immagina di trovarti all’estero, in un Paese di cui non conosci la lingua. Trovi un’iscrizione che attira la tua attenzione, la fotografi e dopo la traduci usando un dizionario online. In questo esempio ci sono diverse analogie con i processi che hai studiato nel capitolo. Riporta le analogie dentro una tabella dove indicherai anche chi o che cosa, nella tu vicenda, svolge una funzione corrispondente a ciascuno dei tre RNA.
PROTEIN
RNA
Dati in agenda CERCA ALTRE FONTI
33. Con il termine anemia vengono identificate tutte quelle situazioni in cui una persona ha un numero di globuli rossi insufficiente a trasportare abbastanza ossigeno. Esistono due tipi di anemia cronica: la talassemia e l’anemia falciforme. Cerca nel tuo libro e in Rete le differenze tra queste due condizioni e confrontale. Concentrati soprattutto sull’aspetto genetico e molecolare: che cosa determina una malattia e l’altra? Quali mutazioni e quali proteine? Scrivi un testo di 2000 battute su questo argomento. FAI UN PASSO IN PIÙ
Anemia italiana ANALIZZA LA NOTIZIA
32. Scegli il termine corretto. La talassemia o anemia mediterranea / indiana è una malattia genetica diffusa solo in Europa / tutto il mondo. In Italia ci sono 3 milioni di malati / portatori sani e 7000 malati / portatori sani. La regione in cui la presenza di portatori sani è maggiore è la Sardegna / Puglia con il 13% della popolazione regionale.
34. La talassemia è una malattia cronica grave perché rende fragili i globuli rossi del sangue e limita la loro funzionalità. Ciononostante, si è rivelata uno scudo contro un’altra malattia: la malaria. La malaria è una malattia infettiva grave perché il parassita che la provoca distrugge i globuli rossi del sangue. A scoprire questa correlazione è stato il biologo britannico John B.S. Haldane negli anni Quaranta del secolo scorso. Fai una ricerca sulla scoperta di Haldane e prepara una presentazione di 10 slide in cui racconti come la talassemia ha ridotto la diffusione della malaria nella zona mediterranea. Includi almeno una cartina e due fotografie. Try it in English!
Watch the video and answer the questions. Italian anemia Sadava, Hillis, Heller, Hacker - La nuova biologia.blu / Genetica, DNA, evoluzione, biotech S
B3 | Esercizi di fine capitolo | B89
CAPITOLO
REGOLAZIONE GENICA E SVILUPPO EMBRIONALE
B
4
DIMMI LA TUA!
DAT I I N A G E N DA
Tu t t i a n t i c o r p i
L’ a t l a n t e d e l l e p r o t e i n e
Ieri stavo male e mi sono preso un antibiotico. Ma te l’ha detto il medico? Usare antibiotici a caso facilita la comparsa di «superbatteri». Esagerata! Male non mi fa e non vado mica a spargere batteri in giro. Su quello i batteri si arrangiano: si scambiano DNA e la resistenza agli antibiotici tra di loro.
Guarda il video, poi rispondi alle domande. 1. Qual è la percentuale di geni censiti dal progetto Human Protein Atlas? 2. Qual è la struttura cellulare che ha più proteine esclusive? 3. Qual è la struttura cellulare che ha più proteine in comune con le altre strutture? 4. Quale struttura cellulare ha più proteine esclusive rispetto alle altre strutture?
N AV I G A I L C A P I TO LO
sono
Domande: 1. Con quale posizione sei più d’accordo e perché? 2. Quali affermazioni non ti convincono di una o dell’altra opinione e perché? 3. In questo capitolo sottolinea i titoli dei paragrafi che trattano questo argomento, cerca informazioni in Rete che ti consentono di argomentare la tua posizione e discutine in classe.
I genomi sono soggetti a
oggetto di studio della genomica
regolazione prima della trascrizione
regolazione durante la trascrizione
regolazione dopo la trascrizione
LEZIONE 1
LEZIONE 5
LEZIONE 6
LEZIONE 7
che ha individuato
le caratteristiche del genoma dei procarioti LEZIONE 2
le caratteristiche del genoma degli eucarioti LEZIONE 4
che consentono
il corretto sviluppo dell'embrione LEZIONE 8
la produzione di anticorpi diversi LEZIONE 9 che ci difendono dalle
che possiede molti
geni che si spostano LEZIONE 3
B90
infezioni dei virus LEZIONE SALUTE 10
Sadava, Hillis, Heller, Hacker - La nuova biologia.blu / Genetica, DNA, evoluzione, biotech S
1
LEZIONE
COME STUDIARE I GENOMI I genomi
sono costituiti da
sono
studiati attraverso il sequenziamento 1
diverse sequenze genomiche 2 tra cui
i trasposoni 3
1 Il sequenziamento
del DNA Come facciamo a sapere quali nucleotidi compongono una molecola di DNA? Occorre sequenziare il DNA, una tecnica frutto delle ricerche compiute in campo biotecnologico sui batteri e poi sugli eucarioti. Sequenziare vuol dire determinare l’ordine dei nucleotidi nella molecola di DNA. A volte il sequenziamento viene confuso con la «decifrazione» del DNA, ma in realtà esso è solo il primo passo in questa direzione (Figura 1). Dopo avere sequenziato una molecola di DNA, infatti, i biologi molecolari devono studiarla per capire cosa significhino le sequenze identificate. Il sequenziamento del DNA permette di stabilire la sequenza delle basi presenti in una molecola di DNA e si basa sull’utilizzo di nucleosidi modificati artificialmente. Nel 1995 fu sequenziato il primo genoma completo di un essere vivente, quello di 1,8 milioni di paia di basi del batterio Haemophilus influenzae, con un genoma di notevoli dimensioni. Prima di allora era stato effettuato il sequenziamento del virus batterico phi X174 e del DNA mitocondriale umano, completati entrambi all’inizio degli anni Ottanta. Una volta affinata la tecnica sono stati sequenziali i genomi di centinaia di specie, compreso l’essere umano. I primi genomi eucarioti sequenziati sono stati quelli degli organismi modello Saccharomyces cerevisiae e Caenorhabditis elegans. Il sequenziamento del DNA umano si è, invece, concluso nel 2003 grazie al cosiddetto Progetto Genoma Umano.
Figura 1 Il sequenziamento del DNA
Attraverso alcune tecniche di laboratorio è possibile sequenziare il DNA, cioè determinare la sequenza di nucleotidi che compongono una molecola; tuttavia questo metodo non fornisce nessuna informazione sulle «funzioni» di quella sequenza.
2 Le sequenze
genomiche Le informazioni fornite dalle sequenze genomiche sono usate nella genomica funzionale e comparativa. Nella genomica funzionale, i biologi usano le informazioni di sequenza per identificare le funzioni di varie parti del genoma: • le regioni codificanti dei geni, che sono riconosciute dai codoni di start e stop della traduzione: uno degli scopi principali della genomica funzionale è capire la funzione di ciascuna regione codificante in ogni genoma; • le sequenze amminoacidiche delle proteine, che possono essere dedotte applicando il codice genetico alle sequenze di DNA delle regioni codificanti; • le sequenze regolatorie, come i promotori e i terminatori della trascrizione, che sono vicine alle regioni codificanti e contengono sequenze consenso per il legame di specifiche proteine regolatrici dette fattori di trascrizione; • i geni per RNA, per esempio gli rRNA e i tRNA; • sequenze non codificanti classificate in diverse categorie. La genomica comparativa si occupa, invece, di confrontare i genomi sequenziati (o parti di essi) con le sequenze di altri organismi. Questo approccio può essere usato per tracciare le relazioni evolutive tra i diversi organismi.
RICORDA Il sequenziamento del DNA consente di
RICORDA Le sequenze genomiche di molti organismi
determinare l’ordine dei nucleotidi di un molecola di
contengono diversi tipi di informazioni utili sia per la
DNA.
genomica funzionale sia per quella comparativa. Sadava, Hillis, Heller, Hacker - La nuova biologia.blu / Genetica, DNA, evoluzione, biotech S
B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B91
UN CASO DA VICINO
L’analisi comparativa del genomadella tigre
L
a tigre, Panthera tigris, è forse l’animale in pericolo d’estinzione più noto. Allo stato selvatico, rimangono meno di 4000 esemplari. Nel secolo scorso esistevano nove sottospecie geneticamente distinte, mentre ora quattro di queste sono andate estinte. Le cinque rimanenti includono la tigre del bengala, che di solito vediamo negli zoo, e la tigre dell’Amur (o tigre siberiana), che vive nelle regioni nevose della Russia, della Cina e della Corea del Nord. Mentre i genomi di altri felini, come il leone, il leopardo delle nevi e il gatto domestico, sono stati già sequenziati, quello della tigre non lo era ancora, prima di questo studio.
IPOTESI Il sequenziamento dei genomi dei grandi felini può rivelarci se la variazione fenotipica adattativa osservata nel gruppo dei felini sia dovuta a variazioni genetiche.
METODO Un team internazionale guidato da Jong Bhak del Genome Research Foundation di Suwon, nella Corea del Sud, ha determinato la sequenza del DNA della tigre, confrontandola con quella del leone, quella del leopardo delle nevi (Figura A) e poi con quella del gatto domestico.
RISULTATI Il genoma della tigre (20 226 geni che codificano proteine) e il genoma del gatto domestico (22 285 geni che codificano per proteine) hanno mostrato una somiglianza di sequenza del 95,6%. Invece i genomi dei grandi felini (tigri, leoni e leopardi delle nevi) hanno mostrato 1376 mutazioni condivise per funzioni potenzialmente migliorate rispetto ad animali appartenenti ad altri gruppi. Alcune delle mutazioni riguardavano la codifica di proteine legate allo sviluppo della muscolatura.
3. Osservando il diagramma di Venn, quante famiglie di geni sono condivise da tutti i mammiferi esaminati? 4. Quante famiglie di geni compaiono unicamente nel genoma della tigre e in quello del gatto domestico? Quante sono uniche per gli umani e i topi? 5. Che cosa dicono questi dati sul genoma di base dei mammiferi? 6. Il genoma della tigre è stato analizzato per sequenze di geni codificanti proteine di funzioni note. I tipi di geni seguenti sono stati trovati in numero relativamente alto rispetto al gatto domestico: • recettori olfattivi 289 geni • trasduzione di segnali 295 geni • metabolismo delle proteine 220 geni Cosa ci dicono questi dati sul fenotipo della tigre? 1. Si prelevano campioni di sangue da tigri, leoni e leopardi delle nevi.
Panda, cane 210 124 Tigre, Uomo, 99 142 119 gatto topo 103 179 413 231 Opossum
186 14425 185 927 134 364
DOMANDE 1. Il genoma della tigre è stato confrontato con quello del gatto domestico. Come riferimento, viene fornito anche un confronto tra genoma umano e genoma del gorilla. Sono state stimate anche le distanze evolutive (cioè il posizionamento nel tempo dell’ultimo antenato in comune). I risultati sono mostrati in tabella. Cosa ne ricavi sulla velocità dei cambiamenti evolutivi tra i due genomi felini e tra quello umano e del gorilla? Gruppi a confronto
Ultimo antenato in comune (milioni di anni fa)
Somiglianze nel genoma (%)
Gatto domestico e tigre Umani e gorilla
10,8
95,6
8,8
94,8
2. Esistono 20 226 geni codificanti proteine nel genoma della tigre, ma alcuni di essi sono famiglie di geni; pertanto, alcuni geni sono ampiamenti simili ad altri con le stesse funzioni. Il team di scienziati è andato alla ricerca di genomi di altri mammiferi, per verificare se vi fossero presenti le stesse famiglie di geni identificati nel genoma della tigre. I confronti effettuati sono mostrati nel diagramma di Venn in Figura B. Il numero nelle intersezioni rappresenta il numero di famiglie di geni condivise. Per esempio, la tigre e il gatto domestico condividono 99 famiglie di geni con il genoma dell’opossum.
B92
Figura B Un diagramma di Venn che mostra il numero di famiglie geniche uniche e condivise tra sette genomi di mammiferi.
2. Si isola il DNA dalle cellule del sangue.
3. I campioni di DNA vengono sequenziati e analizzati.
4a. Il genoma della tigre viene confrontato con quello del gatto domestico.
4b. Il genoma dei grandi felini (tigri, leoni, leopardi delle nevi) viene confrontato con il genoma di cani, umani, e topi.
Figura A Il metodo di studio per l’analisi comparativa del genoma di diversi felini.
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ARTICOLO ORIGINALE
Cho Y.S. et al. 2013. The tiger genome and comparative analysis with lion and snow leopard genomes. Nature Communications 4: 1-7.
A Un trasposone semplice distrugge una sequenza codificante
Elemento trasponibile DNA A
B
C
opiato
B
E
F
mRNA
Viene c
A
D
C
e inser
ito
D
E
B Un trasposone composito inserisce una sequenza codificante
addizionale Altri geni
Elemento trasponibile
Trasposone composito
Un trasposone composito è formato da due elementi trasponibili adiacenti a uno o più altri geni. L’intero trasposone viene copiato ed è inserito in blocco.
Figura 2 Sequenze di DNA che si spostano
I trasposoni sono sequenze di DNA che si spostano. (A) Nella trasposizione «copia e incolla», la sequenza di DNA è replicata e la copia è inserita in un’altra posizione. (B) I trasposoni compositi contengono geni aggiuntivi, fiancheggiati da due elementi trasponibili.
3 I trasposoni:
A
F
mRNA alterato
Elemento trasponibile
Se un trasposone viene copiato e inserito all’interno di un gene, quel gene è trascritto in un mRNA alterato.
geni che «saltano» Sia nei genomi procarioti sia in quelli eucarioti esistono i trasposoni o elementi trasponibili (dall’inglese transposable elements). Un trasposone è una sequenza di DNA lunga qualche migliaia di coppie di basi che può muoversi da una posizione all’altra del genoma, andando a inserirsi in un punto diverso dello stesso o di un altro cromosoma (Figura 2). La scoperta di questi frammenti di DNA mobili avvenne negli anni Cinquanta del secolo scorso, grazie agli esperimenti sul mais della biologa statunitense Barbara McClintock. La scienziata si incuriosì osservando come, nelle pannocchie di mais, alcuni chicchi, le cariossidi, cambiavano colorazione apparentemente in modo casuale (Figura 3). Tuttavia la comunità scientifica reagì con diffidenza alla scoperta di McClintock e i suoi meriti furono riconosciuti solo vent’anni dopo, quando la scienziata aveva ormai abbandonato il suo lavoro. Nei batteri i trasposoni sono sequenze relativamente brevi, che raggiungono in genere 1000-2000 coppie di
B
Figura 3 La scoperta dei trasposoni
(A) La biologa Barbara McClintock scoprì i trasposoni studiando (B) le variazioni di colorazione delle cariossidi di mais.
basi. Gli elementi trasponibili procarioti si spostano in due modi: alcuni trasposoni vengono tagliati dalla loro posizione originaria nel genoma e si inseriscono in un’altra, con una modalità di trasposizione nota come «taglia e incolla». Questi trasposoni non si recidono in maniera netta, ma lasciano corte sequenze di poche coppie di basi che diventano mutazioni permanenti nei geni colpiti. Generalmente il trasposone porta con sè i geni che codificano per gli enzimi necessari per questi movimenti. Altri trasposoni si duplicano prima di spostarsi e successivamente le nuove copie si inseriscono in altri siti del genoma. Questa modalità di trasposizione è detta «copia e incolla». Trasposoni di grosse dimensioni possono portare con sè uno o più geni batterici, producendo una duplicazione genica. Questi eventi hanno un ruolo importante nell’evoluzione, in quanto aumentano la variabilità genetica. RICORDA I trasposoni sono sequenze di DNA capaci di spostarsi nel genoma secondo un meccanismo «taglia e incolla» oppure «copia e incolla».
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1. Che cos’è il sequenziamento del DNA? 2. Che sequenze codificanti ci sono nel DNA? 3. Che cos’è un trasposone?
1. La genomica studiata in chiave evolutiva è detta comparativa / funzionale. 2. I . . . . . . . . . . . . . . . . . . sono elementi trasponibili.
Cercando materiale in Rete, prepara un manuale di istruzioni che spieghi a grandi linee come funziona il metodo Sanger.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B93
2
LEZIONE
LE CARATTERISTICHE DEL GENOMA PROCARIOTE
Gran parte del DNA batterico è presente nel citoplasma batterico all’interno di un unico cromosoma.
I genomi procarioti sono
sono oggetto di
piccoli, compatti e dotati di plasmidi 4
regolazione dell'espressione genica 5
sono trascritti grazie a
gli operoni
sequenziati
6
9 Nel citoplasma sono presenti uno o più plasmidi circolari che contengono informazioni accessorie e che possono essere trasferiti da una cellula all’altra.
anche per studiare
l’operone lac 7
sono stati
l’operone trp 8
come il
genoma minimo 10
4 I genomi
dei procarioti Nel 1995 un gruppo di ricercatori capeggiato da Craig Venter e Hamilton Smith sequenziò il primo genoma completo di un microrganismo a vita libera, il batterio Haemophilus influenzae. Sono poi seguite altre sequenze procariote, che hanno rivelato non solo come i procarioti ripartiscano i geni per svolgere le funzioni di base, ma anche come vengano svolte le funzioni specializzate. Le principali caratteristiche dei genomi batterici sono tre. 1. Sono relativamente piccoli: i genomi procarioti vanno da 160 000 a 12 milioni di paia basi e sono organizzati in un unico cromosoma circolare costituito da DNA a doppia elica. 2. Sono compatti: più dell’85% del DNA è formato da sequenze per proteine o RNA. 3. Oltre al cromosoma principale, i procarioti hanno spesso delle piccole molecole circolari di DNA chiamate plasmidi, che possono essere trasferiti da una cellula all’altra. È inoltre importante ricordare che la cellula batterica non è divisa in compartimenti come quella eucariote (Figura 4): tutte le attività metaboliche avvengono nel citoplasma, spesso contemporaneamente. La zona del citoplasma che ospita il cromosoma non è delimitata da una membrana ed è chiamata nucleoide. RICORDA I genomi procarioti rispetto a quelli eucarioti sono piccoli, molto compatti e spesso contengono molecole circolari di DNA dette plasmidi.
B94
Figura 4 Il genoma procariote
In un batterio l’informazione genetica è contenuta in un grande cromosoma circolare e in un numero variabile di plasmidi.
5 Un esempio di regolazione
genica: E. coli e il lattosio In una cellula batterica alcune proteine vengono prodotte a ritmo costante, perché sono sempre necessarie; altre invece sono prodotte solo quando il batterio ne ha bisogno. In questo caso la cellula dimostra di riconoscere una variazione chimica dell’ambiente esterno e di saper attivare o bloccare i suoi geni in relazione alla nuova situazione. Il metabolismo del lattosio in Escherichia coli è un buon esempio per descrivere questa capacità di adattamento. Essendo un normale inquilino dell’intestino umano, E. coli deve essere capace di adattarsi agli improvvisi cambiamenti del suo ambiente. Il suo ospite infatti può metterlo in contatto con un certo tipo di cibo e, poche ore dopo, con uno totalmente diverso: queste variazioni costituiscono una sfida metabolica per il batterio. La fonte di energia preferita da E. coli è il glucosio, lo zucchero più facile da metabolizzare; però non tutto il cibo ingerito dall’ospite contiene un’elevata quantità di glucosio. Per esempio, il batterio può trovarsi improvvisamente sommerso dal latte, che contiene lo zucchero lattosio. Il lattosio è un disaccaride contenente una molecola di galattosio legata a una molecola di glucosio. Per essere assorbito e metabolizzato da E. coli, il lattosio deve subire l’azione di tre proteine, una delle quali è la β-galattosidasi, un enzima che catalizza la scissione del legame tra i due monosaccaridi (Figura 5). Quando E. coli viene fatto crescere in un terreno contenente glucosio ma privo di lattosio, i livelli di queste tre
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STRANO MA VERO
Batteri semisintetici con genomi «arricchiti»
D
a quando la vita è comparsa sulla Terra, ogni organismo noto, dal batterio alla balena, codifica le proprie informazioni genetiche utilizzando due coppie di basi nucleotidiche: A-T e G-C. Tuttavia un batterio semisintetico creato in un laboratorio della California contiene, oltre alle due coppie naturali, una terza coppia artificiale che chiameremo X-Y (i veri nomi sono d5SICS e DNAM). Mentre varie combinazioni delle due coppie naturali possono codificare per 20 diversi amminoacidi, che formano migliaia di proteine, la coppia X-Y non codifica per nulla, almeno per ora. In futuro, infatti, un codice espanso basato su 3 coppie di basi potrebbe codificare per ben
172 diversi amminoacidi, sia naturali sia artificiali. Ciò rappresenta un enorme potenziale per la produzione di nuovi farmaci o materiali utili. Il nuovo superbatterio semisintetico, ottenuto da Escherichia coli, contiene un gene estratto da microalghe che codifica per una proteina in grado di agganciare le basi nucleotidiche sintetizzate X e Y e trascinarle dentro alla cellula (Figura A). I nuovi nucleotidi, ospitati all’interno di plasmidi (piccoli anelli di DNA), hanno superato il controllo di particolari molecole che riparano gli errori del DNA e sono stati normalmente copiati dalle cellule in divisione senza ostacolarne la crescita. I batteri semisintetici sono quindi il primo organismo in grado di ospitare stabilmente e di replicare un codice genetico espanso. Sebbene oggi esistano già batteri ingegnerizzati in grado di produrre farmaci (come l’insulina umana) o molecole che non esistono in natura, il nuovo alfabeto potrebbe essere
sfruttato in futuro per numerose applicazioni. Tra queste, la sintesi di proteine con una vasta gamma di nuove funzioni chimiche, utili per la produzione di farmaci e nanomateriali innovativi.
Figura A Il batterio semisintetico è stato ottenuto partendo da un batterio di E. coli.
Figura 6
Una coltura batterica di E. coli
Figura 5 La β-galattosidasi di E. coli
L’enzima, rappresentato in questo modello molecolare, demolisce il lattosio nei monomeri glucosio e galattosio. I batteri esprimono il gene che lo codifica solo quando crescono in un ambiente ricco di lattosio.
proteine sono molto bassi: i geni che le codificano sono «repressi», cioè inattivi. Se però l’ambiente cambia e il lattosio diventa lo zucchero più abbondante (Figura 6), il batterio si affretta a produrre tutte e tre le proteine. In questo caso i geni che codificano queste proteine vengono attivati, cioè trascritti e tradotti; di conseguenza la concentrazione delle proteine nella cellula aumenta rapidamente. In media, in una cellula di E. coli che cresce su un terreno privo di lattosio si trovano soltanto due molecole di β-galattosidasi; la presenza di lattosio, invece, può indurre la sintesi di 3000 molecole di β-galattosidasi per ogni cellula. Se dal terreno di coltura di E. coli si toglie il lattosio, la sintesi di β-galattosidasi si arresta quasi subito. Le
Le masse rosa sono colonie di E. coli cresciute su un terreno per i batteri capaci di metabolizzare il lattosio. In seguito alla fermentazione si formano dei composti acidi che colorano di rosso intenso il mezzo di coltura.
molecole di enzima già prodotte non scompaiono, ma si diluiscono nel corso delle successive divisioni cellulari fino a quando la loro concentrazione all’interno di ogni cellula batterica torna al livello iniziale. I geni che codificano i tre enzimi coinvolti nel metabolismo del lattosio di E. coli sono un esempio di geni strutturali, cioè geni che codificano proteine che svolgono un ruolo enzimatico, strutturale, di riserva o di difesa all’interno della cellula. RICORDA I batteri sono in grado di regolare l’espressione genica in base alle condizioni ambientali. In presenza di lattosio, per esempio, si attivano alcuni geni strutturali coinvolti nel metabolismo di questo zucchero.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B95
Figura 7 L’operone lac di E. coli
L’operone lac (dall’inglese lactose) corrisponde a un segmento di DNA che comprende tutte le sequenze necessarie a esprimere gli enzimi coinvolti nel metabolismo del lattosio.
Operone lac
DNA Pi Promotore gene i
Plac
i
Gene per il repressore
Promotore dell’operone lac
6 Gli operoni sono le unità
Video 8
L’operone lac
Video 11
L’operone trp
di trascrizione dei procarioti I tre geni strutturali che codificano le proteine coinvolte nel metabolismo del lattosio sono disposti fisicamente uno vicino all’altro nel cromosoma di E. coli; questa disposizione non è casuale, ma è dovuta al fatto che i tre geni sono trascritti in un unico mRNA e sono regolati insieme. La cellula, infatti, deve produrre tutte e tre le proteine o nessuna. I tre geni condividono anche uno stesso promotore, ovvero la sequenza di DNA a cui si lega la RNA polimerasi; fra il promotore e i geni strutturali si trova un breve segmento di DNA definito operatore che lega una proteina regolatrice, il repressore. Esiste infine un terminatore, cioè una sequenza che segnala alla RNA polimerasi che la trascrizione è terminata. I geni strutturali, il promotore, l’operatore e il terminatore costituiscono un unico «blocco» funzionale chiamato unità di trascrizione. Si possono, quindi, verificare due situazioni: • quando il repressore è legato all’operatore, la RNA polimerasi non riesce a legarsi al promotore e la trascrizione è bloccata; • quando il repressore non è legato all’operatore, la RNA polimerasi può legarsi al promotore e iniziare a trascrivere il DNA producendo un mRNA: i geni quindi vengono espressi. Nei procarioti l’unità di trascrizione viene detta operone (Figura 7). Un operone comprende sempre un promotore, un operatore, un terminatore e due o più geni strutturali, ed è controllato da uno specifico gene regolatore che codifica la proteina repressore. Diversamente da promotore e operatore, il gene regolatore può trovarsi anche a notevole distanza dai geni strutturali che controlla. Esistono due tipi di operoni: inducibili e reprimibili. • Negli operoni inducibili il repressore blocca stabilmente l’operatore e viene rimosso solo quando giunge dall’esterno una molecola segnale chiamata induttore che ne causa il distacco. • Negli operoni reprimibili il repressore entra in funzione solo in presenza di una molecola esterna, chiamata corepressore, che lo rende capace di legarsi all’operatore.
B96
o Operatore
z
y Gene per la β-galattosidasi
a Gene per la β-galattoside permeasi
Gene per la β-galattoside transacetilasi
In entrambi i casi la caratteristica più importante del repressore è la capacità di cambiare forma in presenza del corepressore o dell’induttore: questi cambiamenti modificano la sua capacità di legarsi all’operatore. RICORDA L’operone è l’unità trascrizionale dei batteri, composta da due o più geni strutturali associati e sequenze di DNA regolatrici.
7 L’operone
lac L’operone che codifica le proteine coinvolte nel metabolismo del lattosio si chiama operone lac ed è un esempio di sistema inducibile (Video 8). Qui la proteina repressore presenta due siti di legame: uno per l’operatore e l’altro per l’induttore, che è la molecola di lattosio. In un ambiente ricco di lattosio, esso si lega al repressore e ne modifica la struttura tridimensionale. In seguito a questo cambiamento di forma, il repressore non può più legarsi all’operatore, così la RNA polimerasi si lega al promotore e i geni strutturali vengono trascritti (Figura 9). Il trascritto passa poi nel citoplasma ed è tradotto nelle tre proteine necessarie al metabolismo del lattosio. Quando la concentrazione dello zucchero si abbassa, le molecole di lattosio si separano dal repressore, che riacquista la sua forma originaria e si lega all’operatore, bloccando la trascrizione dell’operone lac. Con la rapida degradazione dell’mRNA prodotto, poco dopo cessa anche la traduzione. È dunque la presenza o meno dell’induttore lattosio a regolare la formazione del legame fra repressore e operatore e quindi anche la sintesi delle proteine per il metabolismo del lattosio. Per questo l’operone lac è definito sistema inducibile. Le principali caratteristiche dei sistemi inducibili sono: • in assenza dell’induttore, l’operone è inattivo; • il controllo è esercitato da una proteina regolatrice (il repressore) che disattiva l’operone; • l’aggiunta dell’induttore trasforma il repressore e attiva l’operone. RICORDA L’operone lac è un sistema inducibile: la trascrizione si attiva quando è presente un induttore (il lattosio) che inibisce il repressore.
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A
Lattosio assente
2. L’RNA polimerasi non può legarsi al promotore; la trascrizione è bloccata.
1. Il repressore inibisce la trascrizione, legandosi all’operatore.
Triptofano ASSENTE r DNA
Pi
i
Plac
o
z
Repressore attivo B
1. Il gene regolatore (r) produce un repressore inattivo incapace di legarsi all’operatore.
mRNA
DNA y
a
Repressore inattivo
3. Senza mRNA, non c’è sintesi dell’enzima.
RNA polimerasi
Lattosio presente
1. Il lattosio induce la trascrizione perché si lega al repressore e impedisce il suo legame con l’operatore.
i
ptrp
i
Repressore inattivo
RNA polimerasi Pi
La trascrizione procede
Induttore (lattosio)
o
e
o
z
y
i
Plac
2. Quando il repressore non è legato all’operatore, l’RNA polimerasi può trascrivere i geni per gli enzimi.
o
z
y
b b
e
Enzimi della via metabolica del triptofano
a
a
DNA
a 2. L’RNA polimerasi trascrive i geni strutturali. La traduzione produce gli enzimi della via metabolica del triptofano.
d
E
Pi
c
c
Trascritto di mRNA
Direzione della trascrizione Plac
d
D
C
B
A
Triptofano PRESENTE
a
Corepressore (triptofano)
r
Trascrizione Trascritto di mRNA
DNA
1. Se la quantità di triptofano presente è sufficiente, lo stesso amminoacido lega il repressore.
Traduzione mRNA
Enzimi del metabolismo β-galattosidasi Permeasi Transacetilasi del lattosio Repressore inattivo
Figura 9 L’operone lac è un sistema inducibile
Traduzione
Repressore attivo
Il lattosio porta alla sintesi degli enzimi coinvolti nella sua stessa via metabolica, grazie all’inibizione del legame del repressore con l’operatore. i
ptrp
o
e
d
c
b
a
DNA
8 L’operone
trp Abbiamo visto quanto sia utile per E. coli possedere un sistema inducibile per il metabolismo del lattosio, che si attiva soltanto quando è presente lo zucchero. Altrettanto utile per un batterio è la capacità di bloccare la sintesi di un enzima, in risposta all’accumulo dei prodotti finali della reazione da esso catalizzato. Un esempio è costituito dall’amminoacido triptofano, un costituente essenziale delle proteine; quando il triptofano è presente in concentrazioni elevate all’interno del citoplasma, la cellula sospende la produzione degli enzimi coinvolti nella sua sintesi. L’operone trp, che controlla la sintesi del triptofano, è un esempio di sistema reprimibile: la proteina repressore può bloccare il proprio operone soltanto se prima si è legata a un corepressore, che è lo stesso prodotto metabolico finale (in questo caso il triptofano), oppure un suo analogo (Figura 10, Video 11).
2. Il triptofano inibisce il legame dell’mRNA polimerasi, impedendo la trascrizione dei geni strutturali, quindi la sintesi degli enzimi coinvolti nella via metabolica del triptofano. Figura 10 L’operone trp è un sistema reprimibile
L’operone trp controlla la sintesi del triptofano, che agisce da corepressore. Se il triptofano è assente, il repressore non può legarsi all’operatore e l’operone viene trascritto con la massima velocità. Quando, invece, è presente, il repressore si lega all’operatore e l’operone si blocca.
RICORDA L’operone trp è un sistema reprimibile, in cui il triptofano agisce da corepressore attivando il repressore che lega l’operatore e blocca la trascrizione.
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Figura 12
I geni passano da un batterio all’altro Studi su ceppi di Salmonella (in fucsia) hanno evidenziato la presenza di geni tipici di altri batteri, a dimostrazione che lo scambio genico è frequente.
9 Le conseguenze
del sequenziamento Il sequenziamento di un numero crescente di genomi procarioti ha numerosi risvolti applicativi, tra cui il numero crescente di informazioni su microrganismi importanti in agricoltura e medicina. Gli scienziati che analizzano le sequenze hanno scoperto geni prima sconosciuti e proteine che possono essere isolate e oggetto di studi funzionali. Inoltre, sono emerse relazioni sorprendenti tra questi organismi, suggerendo che i geni possano essere trasferiti tra specie diverse. • Le specie del genere Rhizobium sono batteri che formano associazioni simbiotiche con le piante e vivono dentro le radici dei legumi come fagioli, piselli e trifoglio. I batteri fissano l’azoto atmosferico dall’aria e lo convertono in una forma utilizzabile dalle piante, riducendo così la necessità di fertilizzanti che contengono azoto. Le sequenze genomiche di molte specie di Rhizobium sono state utilizzate per identificare i geni implicati nel successo della simbiosi, e queste informazioni sono utili sia per migliorare l’efficienza della fissazione sia per ampliare il numero delle piante che possano trarre beneficio da questa associazione. • Il ceppo O157:H7 di E. coli produce alcune patologie anche gravi; il suo genoma ha 5416 geni, di cui 1387 sono diversi da quelli dei ceppi di laboratorio innocui di questo batterio. Molti di questi geni sono presenti anche in altri batteri patogeni, come Salmonella e Shigella (Figura 12). I dati raccolti suggeriscono che c’è stato uno scambio genetico tra le specie, e che si rischia di veder comparire «superbatteri» che possano aver acquisito geni multipli per la resistenza agli antibiotici. • La Sindrome Respiratoria Acuta Grave (SARS, dall’inglese severe acute respiratory syndrome) fu evidenziata nelle regioni meridionali della Cina nel 2002 e si
B98
espanse rapidamente nel 2003. Non esiste ancora una terapia efficace e il 10% delle persone infettate muore. L’isolamento dell’agente della SARS, un virus, e il rapido sequenziamento del suo genoma rivelò parecchie nuove proteine che potevano essere bersaglio per farmaci antivirali o vaccini. Il sequenziamento genomico fornisce informazioni anche su organismi implicati nei cicli ecologici del pianeta. Oltre al diossido di carbonio, il metano, è un altro importante gas che contribuisce al riscaldamento globale. Alcuni batteri, come il Metanococcus, producono metano nello stomaco dei bovini; altri, come il Methylococcus, rimuovono metano dall’aria e lo usano come risorsa energetica. Il genoma di entrambi i batteri è già stato sequenziato, l’identificazione dei geni implicati nella produzione e consumo del metano può aiutare a rallentare il processo di riscaldamento globale. RICORDA Il sequenziamento del DNA di molti microrganismi è stato utile per studiare i genomi di procarioti che possono avere risvolti importanti per l’essere umano e per l’ecosistema.
10 Quali geni sono necessari
per la vita cellulare? Quando si confrontano i genomi dei procarioti e degli eucarioti, si nota subito un fatto sorprendente: certi geni sono presenti in tutti gli organismi. Come possiamo aspettarci, tra questi ci sono i geni i cui prodotti sono implicati nella duplicazione del DNA, nella trascrizione e nella traduzione dell’RNA in proteine. Queste scoperte suggeriscono che possa esistere un antico «insieme minimo» di sequenze di DNA che è comune a tutte le cellule. Un modo per definire il genoma minimo è prendere un organismo con un genoma semplice e mutare deliberatamente un gene alla volta per vedere che cosa accade. Mycoplasma genitalium (un batterio parassita che colonizza il sistema urogenitale e respiratorio umano) ha uno dei genomi più piccoli conosciuti: solo 482 geni codificanti proteine. Anche se sono così pochi, alcuni di questi geni sono superflui in certe condizioni. Per esempio, M. genitalium ha geni per metabolizzare sia il glucosio sia il fruttosio, ma può sopravvivere in laboratorio su un mezzo di coltura contenente uno solo di questi zuccheri: in queste condizioni, non ha bisogno dei geni per metabolizzare l’altro zucchero. Esistono altri geni di cui il batterio può fare a meno? Un gruppo di ricercatori capitanato dal biologo statunitense Craig Venter ha affrontato questa domanda con esperimenti che hanno impiegato i trasposoni.
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IPOTESI Solo alcuni dei geni presenti nel suo genoma sono essenziali per la sopravvivenza della cellula batterica. METODO Si posizionano le spore (cellule singole che si dividono per produrre colonie di muffa) di ogni ceppo mutante «arg» su un substrato minimo, con o senza supplementi.
Figura 13 Cellule sintetiche
M. genitalium possiede 482 geni; qui ne sono rappresentati solo due.
Esperimento 1 A B
Gene B inattivo
Ciascun mutante viene posto in un mezzo di coltura.
RISULTATI
CONCLUSIONE Dopo avere proceduto a inattivare e analizzare un gene per volta, è possibile determinare un «genoma minimo».
Un trasposone si inserisce a caso in uno dei geni, inattivandolo.
Gene A inattivo
Cellule di Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0, il primo organismo sintetico; sono qui mostrate in una microfotografia colorata artificialmente.
Quando i trasposoni di un batterio vengono attivati, si inseriscono casualmente nei geni, mutandoli e inattivandoli. I batteri mutati vengono testati per crescita e sopravvivenza, e il DNA dai mutanti più interessanti viene sequenziato per trovare quali geni contengono i trasposoni. Il risultato sorprendente di questi studi è che M. genitalium può sopravvivere in laboratorio con un genoma minimo di soli 382 geni codificanti proteine. Il fine di questa ricerca è di produrre in laboratorio nuove forme di vita utilizzabili per scopi specifici, come i batteri che puliscono le fuoriuscite di petrolio. Il prossimo passo sarà creare un genoma artificiale e inserirlo in cellule batteriche. Nel 2010 il gruppo di Venter ha sintetizzato un intero genoma di Mycoplasma mycoides e ha immesso questo genoma in cellule di una specie diversa, Mycoplasma capricolum, il cui DNA era stato idrolizzato (scisso in più parti per effetto dell’acqua). Il nuovo DNA ha indotto la cellula a svolgere tutte le funzioni biochimiche della vita, inclusa la riproduzione. Poiché il nuovo genoma della cellula ha sequenze extra, questo è un organismo interamente nuovo, che venne chiamato Mycoplasma mycoides JCVI-syn.1.0 (Figura 13). Quando ha ricevuto il nuovo DNA, la cellula possiede ancora tutte le proteine originali: ma dopo circa 30 divisioni, tutte le proteine nella nuova colonia di cellule sono prodotte utilizzando il genoma sintetico (Figura 14).
Esperimento 2
La crescita del batterio significa che il gene A non è essenziale.
L’assenza di crescita batterica significa che il gene B è essenziale.
Figura 14 Grazie ai trasposoni si può determinare un «genoma minimo»
Inattivando uno per volta i geni di Mycoplasma genitalium, gli scienziati hanno determinato quali sono essenziali alla sopravvivenza di questo organismo unicellulare.
Negli anni successivi il lavoro è proseguito e a inizio 2016 lo stesso gruppo di scienziati ha annunciato la creazione di JCVI-syn 3.0, un batterio che presenta un genoma di appena 531 kb e 473 geni. Circa 300 di questi geni svolgono funzioni legate al metabolismo energetico, all’organizzazione della membrana plasmatica, alla duplicazione, alla trascrizione e alla sintesi proteica. I geni restanti, invece, hanno una funzione ancora sconosciuta ed è nella loro identificazione che proseguirà il lavoro dei ricercatori. RICORDA Esiste un genoma minimo che è sufficiente a garantire le funzioni di base delle cellule procariote. Studi sul genoma minimo possono portare alla creazione di specie artificiali.
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Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cos’è un plasmide e dove è possibile osservarlo? 2. Quali operoni si dicono reprimibili? 3. Che cosa si intende per «genoma minimo»?
1. Gli operoni svolgono una funzione protettrice / regolatrice. 2. Il repressore è una proteina che agisce legandosi alla sequenza del promotore / dell’operatore.
Vuoi creare in laboratorio un batterio in grado di digerire il saccarosio attraverso un sistema sia inducibile sia reprimibile. Disegna la struttura dell’operone che ti consentirebbe di farlo. Aiutati anche con una ricerca in Rete.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B99
PER SAPERNE DI PIÙ
Coltivare batteri in laboratorio
I
biologi impiegano spesso i batteri in laboratorio perché sono facili da coltivare e crescono rapidamente. Il batterio E. coli, un bacillo intestinale, per esempio, è diventato un organismo modello perché è facile da coltivare ed è in grado di riprodursi ogni 20 minuti circa; nel corso di una giornata, quindi, si possono originare in teoria oltre 70 generazioni di batteri. Queste caratteristiche hanno indotto gli scienziati a usare i batteri come modelli sperimentali per comprendere le basi molecolari di diversi processi cellulari, tra cui la replicazione del DNA e l’espressione genica. Per farle crescere in laboratorio, i microbiologi hanno definito i bisogni nutrizionali di numerose specie batteriche e hanno sviluppato terreni di coltura diversi a seconda di tali esigenze. Un terreno di coltura tipico contiene una fonte di carbonio (per esempio uno zucchero), nutrienti come azoto e fosforo, vitamine e ioni; questo terreno è detto terreno minimo e permette la crescita di batteri che presentano genotipo selvatico, cioè il genotipo più comune in natura. I ceppi mutanti di batteri, che per esempio mancano di enzimi necessari per la sintesi di una o più biomolecole essenziali, possono crescere solamente su terreni arricchiti con queste sostanze; per esempio, un ceppo di batteri incapace di sintetizzare l’amminoacido leucina (il cui genotipo si indica con la sigla leu–) non può crescere su un terreno minimo, ma crescerà invece in un terreno al quale sia stata aggiunta leucina; questi mutanti sono detti mutanti nutrizionali. Per fare crescere contemporaneamente più colonie con esigenze metaboliche non definite o variabili si usano infine terreni complessi, addizionati con carne o estratto di lievito che forniscono tutti i nutrienti necessari. Le colture batteriche crescono in provette che contengono un terreno di coltura liquido e sterile; A
1. Un terreno di coltura solido viene incubato con un piccolo numero di batteri.
Crescita
nella provetta si inseriscono pochi batteri che si dividono e aumentano di numero fino a quando i nutrienti non si esauriscono o i prodotti di rifiuto del metabolismo non raggiungono livelli di tossicità. In alternativa si possono coltivare i batteri su piastre di Petri, in un terreno reso solido grazie all’aggiunta di agar, un polisaccaride ricavato dalle alghe (Figura A). Se il numero di cellule inoculate sul terreno è basso, ogni cellula darà origine a una colonia batterica isolata. Quando, invece, sul terreno viene inoculato un numero elevato di cellule, la loro crescita confluirà in uno strato superficiale continuo. Le tre tecniche illustrate in Figura B sono utilizzate in differenti applicazioni. Raccogliendo i batteri di una singola colonia, per esempio, si possono isolare ceppi di batteri geneticamente puri. Per isolare i ceppi batterici mutanti e studiarne il fenotipo, i microbiologi si basano spesso sulle loro esigenze nutrizionali.
Figura A Da diverse specie di alghe rosse (nella foto lasciate essiccare), si ottiene una sostanza chiamata agar, che contiene l’agarosio: un polisaccaride che riscaldato è liquido e diventa solido raffreddandosi. B
1. Un terreno di coltura solido viene incubato con 108-109 batteri.
C
2. Si forma un «tappeto» solido di batteri.
Figura B Alcune tecniche di crescita batterica.
B100
1. Un terreno di coltura liquido viene incubato con batteri.
Crescita
Crescita 2. Dove si deposita un batterio si forma una colonia.
Immaginiamo di voler studiare i mutanti leu–: per prima cosa, dovremo isolarli dalla coltura batterica di partenza, che contiene sia i mutanti leu– sia i batteri con genotipo selvatico leu+. Per farlo spargiamo i batteri su una piastra contenente un terreno arricchito con leucina, dove cresceranno entrambi i tipi di batteri; poi trasferiamo alcune cellule di ciascuna colonia su due nuove piastre, una con terreno arricchito con leucina e uno con terreno minimo. Questa operazione, che si chiama piastratura delle repliche, deve essere fatta in modo da mantenere la posizione reciproca delle colonie.Osservando le colonie che crescono possiamo dedurre se sono mutanti oppure selvatiche: le colonie che crescono su entrambi i tipi di terreno saranno mutanti, mentre quelle che crescono solo sul terreno arricchito sono formate soltanto da cellule mutanti leu-; i mutanti possono poi essere isolati e coltivati per effettuare altri studi.
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2. Il terreno diventa sempre più torbido a mano a mano che i batteri si moltiplicano.
LEZIONE
3
I GENI CHE SI SPOSTANO
L’alone trasparente attorno al dischetto indica che il batterio è sensibile all’antibiotico.
I geni si spostano grazie a
elementi genetici mobili
i plasmidi 11
15 Figura 15 L’antibiogramma
la coniugazione batterica 12
la trasduzione 13
la trasformazione batterica 14
11 I plasmidi: molecole
circolari di DNA Le cellule batteriche sono prive di nucleo e possiedono un unico cromosoma circolare. Tuttavia, non tutta l’informazione genetica è contenuta nel cromosoma: in aggiunta al cromosoma principale, molti batteri ospitano filamenti di DNA circolari più piccoli detti plasmidi, che hanno una grande importanza per la vita e l’evoluzione dei batteri. I plasmidi sono molecole circolari di DNA a doppia elica lunghe poche migliaia di paia di basi; per confronto, considera che un cromosoma batterico possiede mediamente un milione di paia di basi. Ogni plasmide contiene in media 10-12 geni e ha una propria origine di replicazione che ne consente la duplicazione sincrona con quella del cromosoma principale, in modo da essere ereditato dalle cellule figlie. I geni portati dai plasmidi si distinguono in tre categorie. 1. Operoni metabolici specializzati, per esempio geni che conferiscono la capacità di metabolizzare composti organici complessi, come gli idrocarburi. 2. Geni per la resistenza agli antibiotici, sviluppati dai batteri per aggirare le difese di altri organismi, per esempio le muffe. I geni per la resistenza, portati dai plasmidi R, sono importanti anche per la salute umana: molti batteri patogeni, infatti, sono diventati insensibili agli antibiotici utilizzati in terapia proprio grazie all’acquisizione di plasmidi di resistenza (Figura 15). 3. Geni per la coniugazione, che risiedono nei plasmidi F e codificano per proteine in grado di promuovere il trasferimento di geni tra cellule batteriche.
Il test permette di valutare se un batterio, in questo caso Staphylococcus aureus, è sensibile a un determinato antibiotico. Diversi antibiotici (i dischetti colorati) sono testati su un terreno di coltura che ospita le colonie batteriche, di colore giallo.
I plasmidi possono passare facilmente da una cellula batterica all’altra. Per esempio, quando un batterio muore e la cellula si rompe, i plasmidi rilasciati possono essere acquisiti da cellule batteriche adiacenti. RICORDA I plasmidi sono molecole circolari di DNA a doppia elica separate dal cromosoma principale.
12 La coniugazione
batterica I batteri si riproducono per scissione binaria. Il risultato è la generazione di due cellule figlie che, a meno di mutazioni casuali, sono geneticamente identiche alla cellula progenitrice: si tratta quindi di cloni. Tuttavia, nei miliardi di anni della loro storia evolutiva, i batteri si sono differenziati in migliaia di specie diverse. Le sole mutazioni casuali (che sono eventi rari) non sono sufficienti a spiegare questa grande variabilità genetica. Come fanno, allora, i batteri a rimescolare i loro geni? Le cellule batteriche possono scambiarsi il materiale genetico attraverso un processo chiamato coniugazione, per alcuni aspetti analogo alla riproduzione sessuata (Video 16). La coniugazione richiede l’unione fisica tra due cellule batteriche, attraverso un canale filamentoso proteico, detto pilo sessuale, che mette in comunicazione il citoplasma delle due cellule. Inoltre, così come nella riproduzione sessuale si ha l’unione di un individuo maschio e uno femmina, anche nella coniugazione si ha l’unione di un batterio donatore o F positivo (F+) e uno ricevente o F negativo (F–). La distinzione si basa sulla presenza o meno del plasmide F, che porta i geni per la sintesi del pilo e per il trasferimento del DNA.
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Video 16
La coniugazione batterica
A
B
Un plasmide possiede un’origine (ori) di duplicazione del DNA e geni per altre funzioni. Batterio con plasmide
ori
Frammento di DNA plasmidico (dal cromosoma della cellula donatrice)
Batterio senza plasmide Cromosoma batterico
Siti di crossing over
A+
B+
C+
A+
B+
a–
b– c–
a–
b– c–
C+
1. Mediante il crossing over il DNA della cellula donatrice viene integrato nel cromosoma della cellula ricevente.
Cromosoma della cellula ricevente
Plasmide
Pilo sessuale
1. Durante la coniugazione, un plasmide in fase di duplicazione può passare attraverso il pilo sessuale, o canale di coniugazione, ed entrare nella cellula ricevente.
2. Il segmento reciproco, a –b –C +, non essendo connesso a un’origine di duplicazione, va perduto.
a– b– A+
C+
3. La sequenza A +B +c – si integra nel cromosoma del batterio ricevente.
B c– +
Divisione A+
2. Il plasmide diventa una componente del genoma della cellula ricevente.
B+ c–
A+
B+ c–
Figura 17 La coniugazione batterica
(A) La formazione di un pilo sessuale mette in contatto due cellule batteriche, permettendo lo scambio di materiale genetico tra cellula donatrice e cellula ricevente. (B) La coniugazione permette il trasferimento e l’integrazione di geni batterici mediante crossing over.
Video 18
La trasduzione batterica
Il plasmide F può essere presente nei ceppi F+ separato oppure integrato nel cromosoma batterico. Ciò avviene in ceppi batterici detti Hfr (High frequency of ricombination). Quando una cellula F+ si unisce tramite il pilo sessuale a una F–, una copia del plasmide F fluisce attraverso il pilo dal donatore al ricevente. Se il plasmide F era integrato, questo processo può produrre il trasferimento da una cellula all’altra dei geni batterici fiancheggianti il plasmide; il frammento di DNA trasferito potrà così ricombinarsi con il cromosoma batterico mediante il crossing over. In questo modo si ha scambio di geni tra due batteri di una medesima popolazione (Figura 17). RICORDA La coniugazione permette alle cellule batteriche di scambiarsi materiale genetico, aumentando la propria variabilità genetica. Questo può avvenire grazie a un pilo sessuale e al plasmide F.
B102
13 La trasduzione
e i batteriofagi Una conseguenza dell’infezione di un particolare tipo di virus, i batteriofagi o fagi, in una popolazione di batteri è il trasferimento di DNA batterico da una cellula all’altra: questo meccanismo prende il nome di trasduzione e rappresenta un’importante fonte di variabilità genetica negli organismi procarioti (Video 18). I fagi durante l’infezione possono compiere un ciclo litico, cioè riprodursi immediatamente uccidendo la cellula ospite, oppure compiere un ciclo lisogeno, cioè posticipare la riproduzione inserendo il proprio acido nucleico nel genoma della cellula ospite (vedi Paragrafo 37). Durante il ciclo litico, il fago utilizza alcuni dei suoi enzimi per fare a pezzi il DNA batterico. In questo modo si procura i nucleotidi per sintetizzare il proprio DNA. Nelle fasi finali dell’infezione, i nuovi fagi sono riempiti
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A trasduzione
B trasduzione
generalizzata
specializzata
1. Un fago infetta un batterio e introduce al suo interno il proprio DNA.
A+
2. Il batterio compie un ciclo litico: gli enzimi virali idrolizzano il genoma batterico, mentre il DNA virale è duplicato e vengono sintetizzate le proteine del capside.
A
+
B+
3. Vengono assemblati i virioni: la maggior parte contiene il DNA virale, ma alcuni possono contenere un frammento del genoma batterico (gene A+).
Figura 19
La trasduzione I batteriofagi possono mediare il trasferimento di materiale genetico da un batterio all’altro, in modo casuale (trasduzione generalizzata, A) o specifico per determinati frammenti di DNA batterico (trasduzione specializzata, B).
B+
A+
1. Il genoma batterico presenta il DNA virale sotto forma di profago (ciclo lisogeno).
2. A seguito di particolari stimoli ambientali, il profago è escisso dal cromosoma batterico, ma questa operazione isola anche parte del DNA batterico (gene A+)
A+
A+
B+
B+
B+
A+
3. Vengono assemblati i virioni: la maggior parte contiene il DNA virale, ma alcuni possono contenere una parte del DNA virale legato al DNA batterico. A+
A+
B–
A
–
A+
B–
con il DNA del virus, ma il processo non è preciso e a volte ci finisce anche un pezzo di DNA batterico. Quando il virus così formato infetterà un’altra cellula, trasferirà al suo interno sia il proprio DNA sia quello batterico acquisito dalla cellula precedente, il quale potrà ricombinarsi con il cromosoma del batterio ricevente. Dato che il frammento di DNA batterico viene inglobato dal virus in maniera del tutto casuale, si parla di trasduzione generalizzata (Figura 19A). Nel ciclo lisogeno, il DNA virale si integra all’interno del cromosoma batterico. Nel momento in cui dalla fase lisogena si passa a un nuovo ciclo litico, il DNA virale è estratto dal cromosoma e fa da stampo per la duplicazione. Anche questo meccanismo non sempre avviene con precisione: a volte al DNA virale rimangono attaccate le
4. I nuovi fagi infettano una nuova cellula e al suo interno introducono i geni dell’ospite precedente, che si appaiano sul cromosoma e vanno incontro a ricombinazione.
5. Il DNA dell’ospite presenta i geni introdotti dal virus, che hanno sostituito una parte del genoma originale (geni A–).
B–
A+ A
–
A+
B–
sequenze di DNA batterico fiancheggianti. Queste verranno così duplicate insieme al DNA virale e impacchettate all’interno dei nuovi batteriofagi. Quando questi fagi infetteranno una nuova cellula, essi trasferiranno al suo interno sia il DNA virale sia le sequenze batteriche a esso contigue. Poiché molti fagi integrano il loro DNA in punti specifici del cromosoma, tenderanno a portarsi dietro sempre lo stesso frammento di DNA batterico che tenderà a inserirsi sempre nello stesso locus del cromosoma batterico: si parla allora di trasduzione specializzata (Figura 19B). RICORDA La trasduzione è il trasferimento di geni che avviene per mezzo dei batteriofagi che infettano le cellule batteriche.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B103
Cromosoma batterico frammentato 1. Da un batterio lisato si liberano frammenti di DNA…
Cellula batterica
2. … alcuni dei quali possono penetrare in una cellula viva.
Cromosoma della cellula ricevente
Figura 21
La trasformazione Il DNA trasformante può fuoriuscire da cellule morte ed essere assunto da cellule vive, che possono così incorporare i nuovi geni presenti su di esso.
3. Si verifica un evento di ricombinazione tra il frammento di DNA e il cromosoma ospite.
14 La trasformazione
Video 20
La trasformazione batterica
batterica Oltre alla coniugazione e alla trasduzione, esiste un terzo modo attraverso il quale i batteri si scambiano materiale genetico: la trasformazione, che avviene quando un batterio acquisisce DNA lineare che si trova libero nell’ambiente (Video 20). Questo fenomeno si manifesta in natura in alcune specie di batteri, quando le cellule muoiono e il loro DNA fuoriesce (Figura 21). Una volta che il DNA trasformante è entrato nella cellula ospite, il cromosoma di quest’ultima può incorporare nuovi geni con un processo molto simile alla ricombinazione eucariote. Anche questo processo è sfruttato in biologia molecolare per incorporare nuovi segmenti di DNA nelle cellule. I processi di trasformazione, coniugazione e trasduzione prendono il nome di trasferimento genico orizzontale in quanto permettono lo scambio di materiale genetico tra batteri che non discendono gli uni dagli altri. La trasmissione di geni dai genitori alla progenie costituisce invece il trasferimento genico verticale. RICORDA La trasformazione si verifica quando una cellula batterica incorpora DNA che si trova libero nell’ambiente.
B104
15 Gli elementi
genetici mobili Un’altra fonte di trasferimento orizzontale di geni, che gioca un ruolo molto importante nell’evoluzione dei genomi procarioti ed eucarioti, è rappresentata dai trasposoni. Come abbiamo visto, un trasposone è un elemento genetico mobile, cioè una sequenza di DNA in grado di spostarsi autonomamente da un sito cromosomico a un altro all’interno della stessa cellula. Gli elementi mobili alterano la struttura dei cromosomi in due modi: 1. possono inserirsi direttamente all’interno di un gene, causandone l’inattivazione; 2. possono modificare una sequenza di DNA con funzioni regolative. Inoltre, la presenza sui cromosomi di più copie dello stesso elemento mobile crea numerose regioni di omologia (cioè che contengono la stessa sequenza di DNA) a livello delle quali può avvenire la ricombinazione omologa. Come conseguenza, si verifica lo scambio delle regioni cromosomiche comprese tra due copie dello stesso trasposone, con un fenomeno analogo al crossing over che si verifica durante la meiosi. I trasposoni si dividono in due classi: i trasposoni a DNA e i retrotrasposoni. I trasposoni a DNA. I trasposoni a DNA si trovano sia negli eucarioti sia nei procarioti. Un cromosoma batterico contiene tipicamente molti trasposoni, presenti in più copie. Il moscerino D. melanogaster può arrivare a contenere oltre 50 copie di ciascun trasposone, per un totale di diverse centinaia di elementi trasponibili per genoma. I trasposoni batterici più semplici sono detti elementi IS (Figura 22A) e sono costituiti da semplici sequenze di inserzione che codificano gli enzimi (trasposasi ) che consentono loro di spostarsi lungo il cromosoma. Esistono poi trasposoni complessi formati da due sequenze IS che fiancheggiano una regione codificante, contenente spesso geni per la resistenza agli antibiotici (Figura 22B). Elementi trasponibili analoghi esistono nelle cellule animali e vegetali. I retrotrasposoni. Abbiamo visto che i retrovirus generano una copia a DNA a doppia elica del proprio genoma a RNA detta provirus grazie all’enzima trascrittasi inversa. Il provirus viene poi integrato all’interno del cromosoma cellulare e può rimanere in stato latente per tutta la vita cellulare. Poiché questi eventi di integrazione possono riguardare anche le cellule germinali, la progenie erediterà, oltre al DNA parentale, anche quello del retrovirus. I retrotrasposoni, presenti solo nelle cellule eucariote, sono residui di infezioni di antichi retrovirus che hanno colpito la cellula anche diverse generazioni prima.
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A
gene
elemento IS A
B
C
D
E
F DNA mRNA
L’elemento IS si duplica e «salta» in un altro punto del cromosoma. A
B
C
D
E Se il trasposone cade all’interno di un gene, quest’ultimo dà origine a un mRNA alterato.
Figura 22
I trasposoni
Gli elementi IS (A) e i trasposoni complessi (B) si spostano da una regione all’altra del genoma.
mRNA alterato B
elemento IS
altri geni
Un trasposone complesso consiste di due elementi IS che fiancheggiano un altro gene o altri geni. L’intero trasposone viene copiato e inserito in blocco in un’altra regione del genoma.
elemento IS
trasposone complesso
Nel corso dell’evoluzione, tutte le specie animali sono state infettate da migliaia di retrovirus. Molte di queste infezioni sono rimaste allo stato latente per cui, nelle generazioni successive, il DNA provirale è stato trasmesso alla progenie. Durante questo processo, il provirus può perdere la funzione dei geni necessari a produrre nuove particelle virali, mantenendo però i geni per la trascrittasi inversa e per l’endonucleasi (l’enzima in grado di tagliare il DNA): è diventato un retrotrasposone (Figura 23). Nella specie umana, per esempio, circa il 20% del genoma è costituito da sequenze trasposoniche. Il meccanismo con cui i retrotrasposoni si spostano nel genoma è diverso da quello dei trasposoni a DNA. Quando la RNA polimerasi cellulare trascrive i geni del retrotrasposone, si generano sia gli mRNA per la trascrittasi inversa e la endonucleasi, sia il trascritto primario corrispondente all’intero retrotrasposone. Questo lungo RNA è riconosciuto dalla trascrittasi inversa che ne genera una copia a doppia elica di DNA; a questo punto, l’endonucleasi del retrotrasposone introduce un taglio in un nuovo sito cromosomico e vi inserisce la copia a DNA del retrotrasposone. In pratica, i retrotrasposoni ripercorrono le prime fasi della replicazione del retrovirus da cui sono derivati (la sintesi del DNA provirale e la sua integrazione) ma non sono più in grado di compiere un ciclo litico.
DNA
gene per l’endonucleasi
retrotrasposone
trascrizione
nuova copia del retrotrasposone
geni per la trascrittasi inversa endonucleasi
RNA retrotrascrizione dell’RNA a DNA
traduzione trascrittasi inversa
RNA cDNA
inserimento del retrotrasposone ad opera dell’endonucleasi
sintesi del secondo filamento di DNA retrotrasposone
Figura 23 I retrotrasposoni
Grazie alla trascrittasi inversa, i retrotrasposoni possono generare copie a DNA della propria sequenza; queste copie possono poi integrarsi in altre regioni del genoma della stessa cellula.
RICORDA I trasposoni si dividono in trasposoni a DNA (elementi IS e trasposoni complessi) e retrotrasposoni, che derivano da antichi virus.
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Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cos’è e come si svolge la coniugazione batterica? 2. Che differenza c’è tra la trasduzione generalizzata e la trasduzione specializzata? 3. Che cos’è un elemento IS?
1. I geni per la resistenza agli antibiotici sono portati dai plasmidi F / plasmidi R. 2. Nei ceppi Hfr il plasmide F è separato / integrato nel cromosoma batterico. 3. I retrotrasposoni sono presenti solo nelle cellule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La scoperta dei trasposoni si deve alla biologa statunitense Barbara McClintock. Cerca in Rete informazioni sulla scienziata, sui suoi esperimenti e sul perché le fu dato il Premio Nobel per la medicina solamente 35 anni dopo la pubblicazione delle sue ricerche.
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LEZIONE
4
LE CARATTERISTICHE DEL GENOMA EUCARIOTE I genomi eucarioti
contengono
famiglie geniche 17
hanno
sequenze ripetute 18
caratteristiche che li distinguono da quelli dei procarioti 16
geni interrotti trascritti grazie allo splicing 19
16 I genomi
degli eucarioti Gli organismi eucarioti presentano una varietà di forme molto superiore a quella dei procarioti. I regni degli eucarioti infatti sono quattro: protisti, funghi, piante e animali. Gli studi sul genoma eucariote sono stati effettuati partendo dalle forme unicellulari, più semplici da studiare, fino alle forme pluricellulari più complesse, e hanno messo in luce molte differenze con il genoma procariote (Tabella 24 e Figura 25). 1. I genomi eucarioti sono più grandi e possiedono più geni che codificano proteine. Quasi tutti gli organismi eucarioti sono pluricellulari, contengono cellule specializzate per forma e funzioni e svolgono attività che richiedono un gran numero di proteine, tutte codificate dal DNA. Inoltre gli organismi pluricellulari devono possedere anche i geni per le proteine che servono a tenere unite le cellule in tessuti, i geni per il differenziamento cellulare e i geni per la comunicazione tra le cellule. Per questo, mentre il DNA di Escherichia coli contiene 4,6 milioni di coppie di basi (bp) e 4288 geni, nel caso degli esseri umani troviamo 3,2 miliardi di paia di basi e 21 000 geni. Tuttavia, la quantità di DNA di un organismo non è sempre proporzionale alla sua complessità: una pianta di riso, per esempio, possiede ben 43 000 geni. 2. Negli eucarioti sono presenti più sequenze regolatrici. La complessità degli eucarioti richiede un elevato livello di regolazione, che si manifesta nei meccanismi di controllo legati all’espressione del genoma eucariote. Tali meccanismi comprendono sia le sequenze regolatrici sia le proteine che vi si legano.
B106
Caratteristica
Procarioti Eucarioti
Dimensioni del genoma (in bp) Sequenze ripetute DNA non codificante all’interno di sequenze codificanti Separazione spaziale fra trascrizione e traduzione DNA segregato in un nucleo DNA legato a proteine Promotori Amplificatori/silenziatori Presenza di cappuccio e di coda nell’mRNA Splicing dell’RNA Numero di cromosomi per genoma
104 – 107 poche raro
108 – 1011 molte comune
no
sì
no in parte sì rari no raro uno
sì tutto sì comuni sì comune molti
Tabella 24 Un confronto tra genomi procarioti ed eucarioti.
3. Gli eucarioti possiedono cromosomi lineari multi-
pli. Diversamente dall’unico cromosoma circolare dei procarioti, i cromosomi eucarioti sono lineari; inoltre possiedono origini multiple della duplicazione, un centromero che tiene uniti i cromatidi fratelli durante la mitosi e brevi sequenze chiamate telomeri posti alla fine di ogni cromosoma. La parte terminale del filamento lineare di DNA infatti è molto instabile, ed è soggetta a ricombinazioni più frequenti del resto della molecola. I telomeri evitano i danni causati dalla perdita di nucleotidi alle estremità del DNA durante la duplicazione. 4. Nel genoma degli eucarioti sono presenti sequenze ripetute e geni interrotti. Con il termine sequenze ripetute si intende sequenze presenti in più di una copia; la maggior parte di tali sequenze non viene tradotta in proteine. I geni interrotti sono, invece, geni che contengono sequenze codificanti alternate a sequenze non codificanti; un gene interrotto è sempre più lungo dell’mRNA che produce. 5. La trascrizione e la traduzione avvengono in ambienti separati. La sintesi dell’mRNA avviene nel nucleo, mentre la sintesi proteica ha luogo nel citoplasma; prima di uscire dal nucleo, l’mRNA subisce un processo di «maturazione», assente nei procarioti. La separazione spaziale fra trascrizione e traduzione fa sì che prima dell’inizio della sintesi proteica vi siano molte occasioni di regolazione per la cellula: durante la sintesi del trascritto primario (pre-mRNA), durante la sua maturazione e infine durante il trasferimento dell’mRNA nel citoplasma. RICORDA Esistono importanti differenze tra il genoma procariote e quello, più complesso, eucariote.
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Un cromosoma è una singola molecola di DNA contenente sequenze specializzate per la duplicazione e la trascrizione, per la mitosi (centromero) e per il mantenimento delle estremità (telomeri).
Promotore della trascrizione
Cromosoma (in mitosi) Sequenze centromeriche Sequenze telomeriche
ORF, quadro di lettura aperto (sequenza codificante per proteina; esoni)
Le sequenze altamente ripetute sono brevi sequenze non codificanti che sono ripetute centinaia di volte una di seguito all’altra.
DNA
Terminatore della trascrizione
mRNA RNA polimerasi
Geni per tRNA
Geni per rRNA
Figura 25
Il genoma eucariote I geni per RNA sono trascritti in RNA che non vengono tradotti in proteine. Questi comprendono gli rRNA e i tRNA, che fanno parte dell’apparato per la sintesi delle proteine, e i miRNA coinvolti nel controllo dell’espressione genica.
Il DNA degli eucarioti ha un livello di complessità superiore ai procarioti.
17 Le famiglie
geniche Circa la metà di tutti i geni eucarioti che codificano proteine è presente in singola copia nel genoma aploide (quindi in due copie nelle cellule somatiche, che sono diploidi); il resto dei geni è presente in copie multiple, che si sono originate per duplicazione genica. Nel corso dell’evoluzione, le copie di uno stesso gene hanno spesso subìto mutazioni diverse, dando origine a un gruppo di geni imparentati che formano una famiglia genica. Alcune famiglie geniche, come i geni che codificano le globine dell’emoglobina (Figura 26), contengono pochi membri; altre, come i geni che codificano gli anticorpi, ne possiedono centinaia. Nel genoma umano, ci sono circa 21 000 geni codificanti proteine, ma 16 000 di questi geni sono membri di famiglie geniche. Perciò solamente un terzo dei geni umani è unico. Come i membri di qualsiasi famiglia, anche le sequenze di DNA di una famiglia genica di solito sono un po’ differenti l’una dall’altra. Fintanto che almeno un membro codifica la proteina funzionante, gli altri possono mutare in modo più o meno esteso dando origine a diverse varianti della proteina, che spesso funzionano in modo diverso da quella originale. Nel corso dell’evoluzione, la disponibilità di copie multiple di geni ha costituito un’importante fonte di variabilità genetica: le mutazioni vantaggiose, poiché contribuiscono a un aumento della probabilità di sopravvivenza degli organismi portatori, vengono selezionate e trasmesse alle generazioni successive; se invece la mutazione non si dimostra vantaggiosa, la copia non mutata del gene salva la situazione.
Trasposoni
tRNA Ribosomi
Le sequenze moderatamente ripetute comprendono i geni per RNA.
Fra i diversi membri della famiglia genica si trovano segmenti di DNA «spaziatore» non codificante.
Raggruppamento dei geni per le α-globine ζ2
ψζ1
ψα1
α2
α1
DNA Cromosoma 16 Raggruppamento dei geni per le β-globine ε
Pseudogeni non funzionali Cromosoma 11
Gγ
Aγ
ψβ1
δ
Figura 26 La famiglia genica delle globine
I raggruppamenti dei geni per la α-globina e per la β-globina, appartenenti alla famiglia genica delle globine umane, sono localizzati su cromosomi differenti. I geni di ciascun raggruppamento sono separati da segmenti di DNA «spaziatore» non codificante. Gli pseudogeni non funzionali sono indicati dalla lettera greca psi (ψ). Il gene γ ha due varianti: Aγ e Gγ.
Oltre ai geni che codificano proteine, molte famiglie geniche includono pseudogeni non funzionali derivati da mutazioni che causano la perdita della funzionalità del gene. La sequenza del DNA di uno pseudogene può anche essere non molto diversa dagli altri membri della famiglia: in certi casi lo pseudogene è privo del promotore, in altri casi manca il sito di riconoscimento per lo splicing del pre-mRNA. In alcune famiglie geniche, gli pseudogeni superano in numero i geni funzionali e apparentemente non svolgono alcuna funzione. RICORDA Copie di uno stesso gene che hanno subito mutazioni differenti danno origine a una famiglia genica e costituiscono una fonte di variabilità per l’evoluzione.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B107
β
A Un gene rRNA
Nei mammiferi, quattro diverse molecole di rRNA costituiscono il ribosoma: gli rRNA 18S, 5,8S, 28S e 5S (S sta per Svedberg, un’unità di misura della massa). I geni 18S, 5,8S e 28S sono trascritti insieme come singolo RNA precursore.
DNA
Regione trascritta di 13 000 bp
18S
5,8S
28S
Trascritto di pre-rRNA
Fasi di processamento rimuovono gli spaziatori fra le regioni trascritte.
Figura 27 Una sequenza
moderatamente ripetuta codifica per gli rRNA
rRNA 18S
(A) I geni che codificano tre dei quattro tipi di RNA ribosomiale umano sono raggruppati in un’unica unità trascrizionale, ripetuta centinaia di volte nel genoma in modo da fornire un elevato numero di stampi per la sintesi di rRNA. (B) Questa fotografia al microscopio elettronico mostra la trascrizione dei geni multipli per l’rRNA.
Regione spaziatrice non trascritta di 30 000 bp
5,8S
B Trascrizione di molteplici geni rRNA
Filamenti di RNA
18 Le sequenze ripetute
nei genomi I genomi degli organismi eucarioti si sono rivelati pieni di sequenze ripetute che non codificano per polipeptidi; tra queste vi sono le sequenze altamente ripetute, quelle moderatamente ripetute e i trasposoni. 1. Le sequenze altamente ripetute sono brevi sequenze (meno di 100 bp) ripetute migliaia di volte una dietro l’altra; non sono mai trascritte e la loro proporzione nei genomi eucarioti varia dal 10% nell’essere umano a circa metà del genoma delle drosofile. Altre sequenze altamente ripetute si trovano sparse nel genoma: per esempio, i cosiddetti microsatelliti (STR) lunghi da 1 a 5 bp possono essere ripetuti fino a 100 volte. Il numero di copie di un STR varia da persona a persona ed è ereditabile, perciò si può usare per stabilire l’identità di un individuo. 2. Le sequenze moderatamente ripetute sono ripetute da 10 a 1000 volte nel genoma eucariote. Un esempio sono i geni per produrre i tRNA e gli rRNA utilizzati nella sintesi proteica. La cellula produce tRNA e rRNA in maniera costante, ma anche alla massima velocità di trascrizione copie singole di questi geni sarebbero inadeguate per fornire la grande quantità di molecole necessaria per la maggior parte delle cellule; di conseguenza il genoma possiede copie multiple di questi geni (Figura 27).
B108
I precursori degli rRNA vengono trascritti da geni multipli per l’rRNA.
28S
La trascrizione comincia qui...
... l’RNA si allunga...
... fino a che viene rilasciato qui.
DNA
3. II trasposoni eucarioti si distinguono per la lunghez-
za (da 100 a 8000 bp) e per il meccanismo con cui si spostano. La maggior parte è costituita da retrotrasposoni, che si muovono nel genoma in un modo particolare: prima sono trascritti in RNA, che fa poi da stampo per nuovo DNA. Il nuovo DNA si inserisce in un nuovo punto del genoma. Questo meccanismo produce due copie del trasposone: una nella posizione originale e l’altra nella nuova (vedi Figura 23). Un singolo tipo di retrotrasposone lungo 300 bp è presente in milioni di copie e rappresenta da solo l’11% del genoma umano. I trasposoni a DNA, invece, non utilizzano intermedi di RNA: come i trasposoni procarioti, si staccano dalla loro localizzazione originale e si inseriscono in una nuova senza essere duplicati. L’inserzione di un trasposone nella regione codificante di un gene, tuttavia, può avere conseguenze importanti, per esempio produrre una mutazione. Questo fenomeno spiega alcune rare forme di malattie genetiche umane, come l’emofilia e la distrofia muscolare. Può succedere anche che un gene adiacente al trasposone sia duplicato insieme a esso, producendo una duplicazione genica. RICORDA Le sequenze altamente ripetute non sono mai trascritte; le sequenze mediamente ripetute codificano per i tRNA e gli rRNA; i trasposoni sono sequenze mobili che si spostano nel genoma.
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Codone Promotore d’inizio
Siti di splicing
Codone di stop
Terminatore
DNA
Figura 28
La maturazione del trascritto negli eucarioti Prima di essere esportato nel citoplasma, il trascritto è processato per mezzo dello splicing.
Pre-mRNA
mRNA
Trascrizione
5′ DNA 3′ Esone 1 Introne 1 Esone 2
Introne 2
Esone 3 Gli esoni e gli introni vengono trascritti.
Maturazione Pre-mRNA
Polipeptide
3′ 5′
5′
3ʹ
Traduzione mRNA 5′
3′
Gli introni sono rimossi.
Esone 1 Esone 2 Esone 3
Gli esoni saldati dallo splicing costituiscono l’mRNA maturo, pronto per essere tradotto.
19 I geni interrotti
e lo splicing Gli studi sul genoma eucariote hanno portato a una sorprendente scoperta: molti geni che codificano proteine contengono anche sequenze non codificanti, dette introni, intercalate ai tratti codificanti che sono chiamati esoni (Figura 28). I geni formati da esoni e introni sono chiamati geni interrotti; ognuno di essi inizia e finisce con un esone. Ogni esone codifica una piccola parte della proteina dotata di una precisa struttura secondaria e di una funzione specifica; queste parti sono definite domìni. Per esempio, i polipeptidi delle globine che formano l’emoglobina possiedono ciascuno due domini (uno per legarsi all’eme e uno per legarsi all’altra subunità di globina), che sono codificati da esoni distinti del gene per la globina. Gli introni sono presenti in quasi tutti i geni degli organismi eucarioti. Il numero di introni e di esoni varia in un intervallo molto ampio: il gene umano più lungo, quello della proteina muscolare chiamata titina, possiede 363 esoni, che codificano in tutto 38 138 amminoacidi. Nel caso dei geni interrotti, la produzione di mRNA comporta, oltre alla trascrizione, un passaggio ulteriore: la rimozione dal trascritto primario di mRNA, definito premRNA, dei trascritti degli introni e la successiva saldatura dei trascrittti degli esoni. Questo passaggio avviene prima che l’mRNA maturo lasci il nucleo e si trasferisca nel citoplasma. Se le sequenze di RNA corrispondenti agli introni non venissero eliminate, il risultato sarebbe
una proteina con una sequenza amminoacidica molto diversa, quasi sicuramente non funzionante. La rimozione degli introni e la giustapposizione degli esoni avviene attraverso un processo definito splicing dell’RNA. Lo splicing dell’RNA avviene grazie a un grosso complesso enzimatico chiamato spliceosoma, costituito da alcune proteine e da cinque ribonucleoproteine nucleari chiamate snRNP (che in inglese si legge «snurp»). Ogni snRNP è formato da una piccola molecola di RNA nucleare (snRNA, small nuclear RNA) associata a numerose proteine. Le cinque snRNP che compongono lo spliceosoma si chiamano U1, U2, U4, U5 e U6 e si assemblano in modo sequenziale durante le diverse fasi del processo di splicing. La maturazione del trascritto primario comporta anche l’aggiunta di un piccolo «cappuccio» all’estremità 5' e di una lunga «coda» all’estremità 3'. In genere il cappuccio è un nucleotide G, mentre la coda è una sequenza di circa 200 nucleotidi A (poliA). Cappuccio e coda servono per facilitare il legame con i ribosomi e per proteggere l’mRNA dall’attacco degli enzimi idrolitici presenti nel citoplasma che potrebbero degradarlo. Per questo l’mRNA eucariote maturo è più stabile e ha una durata più lunga di quello dei procarioti.
Splicing è un termine inglese che significa «unione» e si usa, per esempio, riferendosi a corde o a pellicole. Da qui l’estensione alla molecola del DNA.
RICORDA Molti geni eucarioti sono formati da sequenze codificanti, gli esoni, e sequenze non codificanti, gli introni, rimossi dopo la trascrizione attraverso il processo di splicing dell’RNA.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cosa si intende per «famiglia genica» e quale può essere un esempio rappresentativo? 2. Che cosa sono le sequenze ripetute e quali sono le tipologie principali?
1. Il genoma eucariote è più ricco di sequenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . rispetto a quello batterico. 2. I geni per i tRNA e gli rRNA sono sequenze altamente / moderatamente ripetute.
Le sequenze non codificanti hanno comunque una qualche funzione? Cerca in Rete informazioni sul cosiddetto «junk DNA» e sul «progetto ENCODE» e prepara una presentazione di 5 minuti.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B109
5
LEZIONE
Nucleo
1. Rimodellamento della cromatina.
LA REGOLAZIONE PRIMA DELLA TRASCRIZIONE La regolazione prima della trascrizione
DNA
è
avviene anche grazie al
diversa tra procarioti ed eucarioti 20
rimodellamento della cromatina 21
2. Controllo trascrizionale.
divisa in
eucromatina ed eterocromatina 22
20 La trascrizione: un confronto
tra eucarioti e procarioti Come nei procarioti, in un tipico gene eucariote si trovano un promotore, che lega la RNA polimerasi e che è posto subito prima della regione codificante, e un terminatore posto a valle. È importante non confondere il terminatore con il codone di stop: il terminatore infatti si trova fuori dal tratto codificante, di solito dopo il codone di stop, e segnala la fine della trascrizione. Le somiglianze tra procarioti ed eucarioti tuttavia finiscono qui: mentre nei procarioti i geni con funzioni affini si trovano raggruppati in operoni e sono trascritti come un’unica entità, negli eucarioti essi tendono a essere dispersi nel genoma. Pertanto, la regolazione simultanea e coordinata di più geni, richiede che essi condividano alcuni elementi di controllo, per poter rispondere tutti allo stesso segnale. Inoltre, negli eucarioti l’inizio della trascrizione è diverso da quello dei procarioti: l’RNA polimerasi non riconosce direttamente la sequenza del promotore, ma ha bisogno di altre proteine per il riconoscimento, il complesso di trascrizione. Infine, diversamente dai batteri che dispongono di una sola RNA polimerasi, gli eucarioti ne hanno tre, ciascuna delle quali catalizza la trascrizione di uno specifico tipo di gene: • l’RNA polimerasi II trascrive i geni per le proteine; • l’RNA polimerasi I trascrive i geni per gli rRNA; • l’RNA polimerasi III trascrive i geni per i tRNA. Oltre alle polimerasi, negli eucarioti anche i promotori sono di tipi differenti; alla loro azione si somma quella delle sequenze supplementari, che contribuiscono a una regolazione più fine della trascrizione.
B110
3. Controllo della maturazione.
Pre-mRNA
mRNA
4. Controllo del trasporto.
Poro nucleare
6. Controllo della sintesi proteica.
5. Controllo della stabilità dell’mRNA.
mRNA inattivo
7. Controllo post-traduzionale dell’attività proteica.
Citoplasma
8. Degradazione della proteina.
Proteina attiva/ inattiva
Figura 29 Punti potenziali per la regolazione
dell’espressione genica
L’espressione genica può essere regolata prima della trascrizione (1), durante la trascrizione (2, 3), dopo la trascrizione ma prima della traduzione (4, 5), alla traduzione (6) o dopo la traduzione (7, 8).
Nei procarioti l’alternativa è netta: trascrizione o blocco dell’espressione genica; invece, negli eucarioti si può ottenere una modulazione dell’intensità del processo: quindi un gene può essere trascritto di più o di meno. RICORDA Negli eucarioti, i geni sono sparsi nel genoma e sono presenti tre RNA polimerasi diverse.
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Inizio
Doppia elica del DNA
Nucleosoma DNA
1. La prima proteina di rimodellamento si lega a monte del sito di inizio, disgregando il nucleosoma.
2 nm Istoni
Proteine istoniche
DNA di collegamento
Proteina rimodellante
Nucleosoma
2. Adesso il complesso di trascrizione può legarsi e iniziare la trascrizione.
Complesso di trascrizione Cromatina
30 nm 300 nm
mRNA 700 nm
Allungamento
1. Una seconda proteina rimodellante si lega al nucleosoma…
Proteina rimodellante
Cromosomi condensati Durante la mitosi, le anse si avvolgono ulteriormente a formare un cromosoma condensato.
1400 nm
mRNA 2. … permettendo la trascrizione senza disassemblare il nucleosoma. Figura 31 Il rimodellamento della cromatina
Figura 30 I gradi di spiralizzazione del DNA
Il nucleosoma, formato da DNA e istoni, costituisce l’unità fondamentale del DNA condensato negli eucarioti.
21 L’espressione genica
e la struttura della cromatina Come puoi vedere nella Figura 29, la regolazione dell’espressione genica può avvenire in vari punti del processo di trascrizione e traduzione di un gene in una proteina. Alcuni meccanismi di regolazione agiscono prima della trascrizione andando a modificare la struttura della cromatina. Nei cromosomi degli eucarioti il DNA è avvolto attorno a proteine chiamate istoni a formare una struttura detta nucleosoma (Figura 30). L’impacchettamento del DNA nei nucleosomi può rendere il DNA inaccessibile all’RNA polimerasi e al resto del macchinario coinvolto nella trascrizione in modo analogo a ciò che accade nei procarioti, dove il legame del repressore all’operatore impedisce la trascrizione dell’operone lac.
L’inizio della trascrizione richiede un cambiamento strutturale a livello dei nucleosomi, che diventano meno compatti. Questo rende il DNA accessibile al complesso di trascrizione.
La trascrizione di un gene eucariote dipende quindi dalla struttura della cromatina; attraverso un processo chiamato rimodellamento della cromatina (Figura 31), specifiche proteine modificano la struttura del nucleosoma rendendo la cromatina accessibile al complesso di trascrizione. Nelle cellule eucariote queste modificazioni strutturali sono mediate da una complessa serie di attività enzimatiche che modificano le proteine che compongono i nucleosomi e ne alterano l’associazione con il DNA utilizzando molecole di ATP. RICORDA La struttura più o meno condensata della cromatina può ostacolare oppure favorire la trascrizione; questo processo è definito rimodellamento della cromatina.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B111
Il corpo di Barr è il membro condensato e inattivo della coppia di cromosomi X della cellula.
Figura 32 Un corpo
di Barr nel nucleo di una cellula di un individuo di sesso femminile
Il numero di corpi di Barr nel nucleo è uguale al numero di cromosomi X meno uno: i maschi normali (XY) non possiedono corpi di Barr, e le femmine normali (XX) ne possiedono uno.
L’altro X non è condensato ed è attivo nella trascrizione.
Figura 33 Uno strano caso di disattivazione
22 I meccanismi di regolazione
sull’intero cromosoma In un nucleo in interfase, colorato e osservato al microscopio, si distinguono due tipi di cromatina: • l’eucromatina, dispersa e poco colorata, contiene il DNA che viene trascritto in mRNA; • l’eterocromatina, condensata e intensamente colorata, contiene geni che di solito non vengono trascritti. Il cromosoma X inattivo dei mammiferi è un esempio di eterocromatina. Una cellula di femmina di mammifero possiede due cromosomi X, mentre un maschio possiede un X e un Y. Tra maschi e femmine esiste quindi una notevole differenza nel «dosaggio» dei geni associati al cromosoma X: ogni cellula femminile li possiede in duplice copia e quindi potrebbe produrre il doppio delle relative proteine rispetto alle cellule maschili. Ciononostante, per il 75% dei geni situati sul cromosoma X di solito la trascrizione è la stessa nei maschi e nelle femmine. Com’è possibile che questo accada? Durante le prime fasi dello sviluppo embrionale di una femmina, uno dei due cromosomi X in ogni cellula rimane in gran parte inattivo dal punto di vista trascrizionale. Lo stesso cromosoma X rimane poi inattivo in tutte le cellule discendenti. La «scelta» della copia da inattivare è casuale: poiché uno dei due cromosomi X deriva dal padre e l’altro deriva dalla madre, in una cellula embrionale di un individuo femminile il cromosoma X trascritto può essere quello paterno, mentre nella cellula adiacente può essere quello materno. Il cromosoma X inattivo è ben visibile nel nucleo perché rimane estremamente compatto anche durante
del cromosoma X
I gatti a squama di tartaruga hanno questa particolare caratteristica cromatica del manto a causa dei meccanismi di regolazione che agiscono disattivando l’intero cromosoma X.
l’interfase: al microscopio ottico esso appare come un ammasso di cromatina denominato corpo di Barr dal nome del suo scopritore, Murray Barr (Figura 32). In una cellula femminile normale (XX) è presente un solo corpo di Barr, mentre nelle persone con trisomia X (che sono XXX) se ne osservano due. Nei maschi il corpo di Barr non è mai presente. La condensazione in corpo di Barr del cromosoma X inattivo fa sì che il suo DNA risulti inaccessibile al complesso di trascrizione. In natura, troviamo un esempio della disattivazione del cromosoma X nei gatti che presentano il manto a macchie rosse e nere (Figura 33), anche detti gatti con il manto a «squama di tartaruga». Questi gatti sono eterozigoti per il gene responsabile del colore del manto, situato sul cromosoma X. Per ottenere il fenotipo squama di tartaruga, quindi, devono essere presenti sia l’allele per il pelo rosso sia l’allele per il pelo nero. Come abbiamo già detto, se una femmina è eterozigote per un gene presente sul cromosoma X, vuol dire che una parte delle sue cellule esprimeranno un allele e l’altra parte l’altro allele; nel caso specifico le zone rosse del manto saranno espresse dalle cellule che hanno attivo il cromosoma X con l’allele per il rosso, viceversa per le zone nere. RICORDA A livello cromosomico si distinguono l’eucromatina e l’eterocromatina.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cosa sono le sequenze supplementari? 2. Che cos’è il rimodellamento della cromatina?
1. Il corpo di Barr è la forma attiva / inattiva di un cromosoma X. 2. I geni destinati alla traduzione sono trascritti dalla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La regolazione dell’espressione genica mediante modificazioni della cromatina è uno dei punti chiave dell’epigenetica. Informati su che cosa sia e produci un’infografica.
B112
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LEZIONE
6
Le sequenze che legano specifici fattori di trascrizione possono essere distanti dal sito di inizio della trascrizione.
LA REGOLAZIONE DURANTE LA TRASCRIZIONE La regolazione durante la trascrizione
Fattori generali della trascrizione
Fattori specifici della trascrizione
DNA
RNA polimerasi II
Enhancer Legame Sito di legame della proteina per il fattore regolatrice di trascrizione
avviene grazie a
Legame Regione della RNA trascritta polimerasi
Promotore
produce
la diversità cellulare 25 Trascrizione
la trascrizione differenziale 23
fattori di trascrizione e sequenze regolatrici 24
l'amplificazione genica 26
23 La trascrizione differenziale Il secondo livello di regolazione dell’espressione genica corrisponde alla trascrizione; un primo meccanismo di regolazione è la trascrizione differenziale. Le proteine e gli enzimi fondamentali per il metabolismo di tutte le cellule sono codificati da geni detti costitutivi o housekeeping: questi geni sono sempre trascritti indistintamente in tutti i tipi di cellule, da quelle del cervello o del muscolo o del sangue, a quelle del fegato. Al contrario, i geni che codificano proteine specifiche del cervello oppure del fegato sono trascritti solo nelle cellule encefaliche e nelle cellule epatiche: nessuna di queste cellule trascriverà i geni che codificano le proteine caratteristiche del muscolo o di altri tipi di cellule specializzate (cioè differenziate) dell’organismo. RICORDA Grazie alla trascrizione differenziale i geni housekeeping sono espressi in tutte le cellule, mentre altri geni sono trascritti solo in alcuni tessuti.
24 I fattori di trascrizione
e le sequenze regolatrici Nei procarioti, il promotore è una sequenza di DNA situata in prossimità dell’estremità 5' della regione codificante di un gene o di un operone, in corrispondenza della quale l’RNA polimerasi inizia la trascrizione. Negli eucarioti, invece, l’RNA polimerasi II non è in grado di legarsi da sola al promotore e iniziare a trascri-
Figura 34 L’inizio della trascrizione negli eucarioti
Il ripiegamento della molecola di DNA permette ai fattori che legano le sequenze enhancer di interagire con il complesso della RNA polimerasi.
vere; può farlo soltanto dopo che sul DNA si sono radunate specifiche proteine dette fattori di trascrizione (Figura 34). Inoltre, a monte del promotore si trovano altre due sequenze, dette sequenze consenso, alle quali si legano proteine regolatrici che attivano il complesso di trascrizione. Molto più lontano (fino a 20 000 bp di distanza) si trovano invece gli intensificatori o enhancers, che legano gli stessi fattori di trascrizione che riconoscono il promotore stimolando ulteriormente l’attività del complesso di trascrizione attraverso ripiegamenti del DNA che portano l’enhancer in contatto con il promotore. Esistono, infine, sequenze con effetto opposto chiamate silenziatori o silencers, che arrestano la trascrizione in seguito al legame con specifici repressori proteici. La combinazione di diversi fattori di trascrizione determina la velocità finale della trascrizione, che dipende dai bisogni della cellula. I globuli rossi immaturi del midollo osseo, per esempio, producono grandi quantità della proteina β-globina: in queste cellule sono attivi 13 fattori di trascrizione che stimolano la trascrizione del gene della β-globina. Nei globuli bianchi immaturi questi 13 fattori non sono presenti, e il gene della β-globina non viene quasi trascritto. Il destino di una cellula è quindi determinato da quali geni sono effettivamente espressi, anche se tutte le cellule possiedono lo stesso corredo genetico. RICORDA La trascrizione del genoma eucariote è attivata da fattori di trascrizione che si legano sia al promotore sia a intensificatori.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B113
Housekeeping significa «sbrigare le faccende domestiche»: un buon termine per quei geni che assolvono alle necessità di base di tutte le cellule.
IPOTESI L’espressione di fattori di trascrizione neurone-specifici nei fibroblasti li trasforma in neuroni. Fibroblasti 1. Un DNA contenente tre fattori di trascrizione neuronali con promotori molto attivi è introdotto nei fibroblasti.
METODO
Geni per i fattori di trascrizione
RISULTATI Dopo sei giorni, i fibroblasti si sono sviluppati in neuroni funzionali, che hanno formato tra loro le caratteristiche sinapsi.
DNA
2. I geni per i fattori di trascrizione sono stati incorporati nei genomi dei fibroblasti ed espressi.
Attualmente c’è un forte interesse nella terapia cellulare: essa consiste nel fornire nuove cellule funzionali a un paziente affetto da una patologia che determina la degenerazione di certi tipi cellulari. Un esempio è la malattia di Alzheimer, che produce la degenerazione dei neuroni nel cervello. Per evitare una possibile reazione del sistema immunitario, il paziente dovrebbe ricevere le proprie cellule, modificate in qualche modo perché possano essere funzionali. Poiché il differenziamento è mediato dai fattori di trascrizione, si potrebbero trasformare le cellule staminali in un determinato tipo di cellule, alterando l’espressione dei fattori di trascrizione. Marius Wernig e colleghi dell’Università di Stanford hanno ottenuto risultati importanti in questo senso (Figura 35). Mettendo in coltura i fibroblasti di topo, hanno manipolato l’espressione dei fattori di trascrizione nelle cellule per trasformarli in neuroni. RICORDA Il differenziamento delle cellule si verifica grazie alla modulazione dell’espressione genica.
Sinapsi tra neuroni
26 L’amplificazione
Neurone Neurone
CONCLUSIONE L’espressione di appena tre fattori di trascrizione è sufficiente per trasformare un fibroblasto in un neurone. Figura 35 L’espressione di specifici fattori
di trascrizione trasforma i fibroblasti in neuroni Marius Wernig e colleghi hanno studiato se l’espressione di fattori di trascrizione neuronali nei fibroblasti era sufficiente a farli diventare dei neuroni.
25 L’espressione dei fattori
di trascrizione Tutte le cellule differenziate contengono un genoma completo, e le loro caratteristiche specifiche compaiono a causa di espressioni geniche differenziali. Durante lo sviluppo di un organismo complesso, dall’uovo fecondato all’adulto, le cellule diventano sempre più differenziate (specializzate). In molti casi il differenziamento è mediato da cambiamenti nell’espressione genica, risultante dall’attivazione (o inattivazione) di vari fattori di trascrizione (come vedremo nella lezione 7).
genica Un altro sistema con cui una cellula può sintetizzare un certo prodotto genico in quantità maggiori rispetto a un’altra cellula è la sintesi di più copie del relativo gene, che verranno poi tutte trascritte. La sintesi di più copie di un gene al fine di aumentare la velocità di trascrizione viene definita amplificazione genica. Le uova delle rane e dei pesci, per esempio, devono disporre di miliardi di ribosomi per far fronte alla massiccia sintesi proteica che segue la fecondazione. Nella cellula destinata a diventare una cellula uovo, il gruppo genico per gli rRNA è presente in meno di 1000 copie che, anche lavorando al massimo, impiegherebbero 50 anni per produrre un miliardo di ribosomi. La cellula risolve il problema amplificando selettivamente il gruppo di geni per gli rRNA, fino a fargli superare il milione di copie che, trascritte alla massima velocità, riescono a produrre in pochi giorni i ribosomi necessari (vedi Figura 27). RICORDA L’amplificazione genica produce più copie di un gene così da aumentarne la velocità di trascrizione.
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Ora tocca a te
1. Che cosa sono le sequenze consenso? 2. Quali geni si dicono housekeeping e come vengono espressi? 3. Su che cosa si basa la terapia cellulare?
L’incremento della trascrizione grazie alla produzione di numerose copie del gene coinvolto è detto amplificazione genica / differenziamento.
Cerca in Rete informazioni sulla terapia cellulare, individua quali tipologie esistono e quali patologie si possano potenzialmente curare e crea una scheda riassuntiva.
B114
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LEZIONE
7
DNA
Esone 2
Esone 3
1
2
3
avviene grazie a
i micro-RNA
Trascritto primario mRNA maturi 1
Esone 5
Esone 6
4
5
6
Splicing alternativo
2
4
5
6
1
3
Traduzione
6
1
5
5
4
5
i controlli posttraduzionali 30
2
4 1
6
Proteina 1
3
6
Proteina 2
Figura 36 Lo splicing alternativo
27 Lo splicing
alternativo L’espressione di un gene può essere regolata anche subito dopo che il gene è stato trascritto, attraverso il processo di splicing che abbiamo visto nel paragrafo 19. Nello splicing, il pre-mRNA viene rielaborato mediante rimozione degli introni e successivo montaggio degli esoni. Per molti geni può verificarsi però uno splicing alternativo, in cui alcuni esoni sono eliminati insieme agli introni. Grazie a questo meccanismo, è possibile generare una famiglia di proteine diverse a partire da un singolo gene (Figura 36). Nei mammiferi, per esempio, esiste un unico pre-mRNA per la tropomiosina, una proteina filamentosa coinvolta nella contrazione muscolare. Il pre-mRNA viene tagliato in maniera differente in cinque tessuti distinti, per dare origine a cinque diversi mRNA maturi, che sono poi tradotti nelle cinque forme di tropomiosina che si ritrovano nel muscolo scheletrico e liscio e nelle cellule del tessuto connettivo, del fegato e del cervello. Prima del 2003, anno in cui fu completato il suo sequenziamento, si prevedeva che nel genoma umano si trovasse un numero di geni compreso tra 80 000 e 150 000; fu davvero una sorpresa scoprire che invece erano solamente 21 000, molti meno rispetto alla diversità delle proteine prodotte. La maggior parte di questa differenza numerica deriva da meccanismi post-trascrizionali come lo splicing alternativo. RICORDA Lo splicing alternativo permette di ottenere proteine diverse a partire dalla stessa
Traduzione
1
28
sequenza di pre-mRNA.
3
Traduzione
1
i controlli traduzionali
5
29
4
lo splicing alternativo 27
Esone 4 Trascrizione
LA REGOLAZIONE DOPO LA TRASCRIZIONE La regolazione dopo la trascrizione
Esone 1
Negli eucarioti uno stesso pre-mRNA può essere processato in modi diversi: partendo dallo stesso trascritto, lo spliceosoma (il complesso proteico responsabile dello splicing) può riunire gli esoni in modi alternativi, portando a proteine differenti.
28 I controlli
traduzionali I progressi nel settore delle biotecnologie hanno permesso agli scienziati di comprendere sempre meglio che cosa avviene all’interno del nucleo di una cellula; quello che succede nel citoplasma, invece, rimane per molti aspetti un mistero, anche se oggi i ricercatori sono più vicini a comprendere meglio quali eventi si verificano e come sono regolati. La sintesi delle proteine ha inizio con la trascrizione, durante la quale le informazioni contenute nei geni vengono trasferite da un frammento di DNA a una molecola di RNA. Se un gene codifica per una proteina, la trascrizione è il primo passo per produrre un RNA messaggero (mRNA) che, una volta passato nel citoplasma, è tradotto nella sequenza di amminoacidi che costituirà la proteina funzionale. Non sempre però la quantità di una proteina presente in una cellula dipende direttamente dalla quantità del suo mRNA: molto spesso, infatti, le due concentrazioni non sono proporzionali. Analizzando la relazione tra l’abbondanza di mRNA e delle proteine corrispondenti nel lievito, i biologi molecolari hanno scoperto che per un terzo dei geni analizzati esiste una chiara correlazione: più mRNA produce più proteine. In due terzi, invece, non è stata trovata alcuna relazione apparente. In questi casi la concentrazione delle proteine nella cellula deve essere determinata da fattori che agiscono dopo la maturazione dell’mRNA.
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3
5 6
Proteina 3
6
1. Proteina destinata alla degradazione.
2. Un enzima attacca l’ubiquitina alla proteina…
breve sequenza genomica dalla quale si originano i cosiddetti microRNA primari lunghi qualche migliaio di basi. I microRNA primari sono poi tagliuzzati in miRNA immaturi che escono dal nucleo e passano nel citoplasma dove completano la propria maturazione. Nella loro forma finale, i miRNA possiedono brevi sequenze a singolo filamento, complementari agli RNA messaggeri da inattivare; l’appaiamento con il miRNA indirizza l’mRNA verso la degradazione.
Ubiquitina
Proteasoma 3. … che viene riconosciuta da un proteasoma.
4. L’ubiquitina è rilasciata e riciclata.
Figura 37 Un proteasoma demolisce una proteina
5. Il proteasoma idrolizza la proteina bersaglio.
Una proteina marcata per la demolizione forma un legame con l’ubiquitina, che «indirizza» la proteina bersaglio al proteasoma.
RICORDA I microRNA regolano la traduzione appaiandosi agli mRNA e «marcandoli» per la degradazione.
30 I controlli
Il termine
ubiquitina rimanda a ubiquità, la capacità di essere in più posti contemporaneamente. Il nome deriva dal fatto che questa proteina è diffusa ovunque nella cellula.
La cellula può controllare la traduzione in molti modi, per esempio grazie a repressori proteici che si legano all’mRNA bloccando il sito di attacco del ribosoma. In altri casi la traduzione viene accelerata o rallentata modificando chimicamente la coda di poliA che si trova all’estremità 3' del mRNA. RICORDA La concentrazione di una proteina nelle cellule è regolata rallentando o accelerando i processi di maturazione dell’mRNA.
29 I microRNA Non tutti gli RNA trascritti a partire dal DNA sono RNA messaggeri. Oltre agli RNA di trasporto (tRNA) e agli RNA ribosomiali (rRNA) vi sono anche RNA la cui funzione non riguarda direttamente l’espressione del codice genetico. Essi sono perciò chiamati non coding RNA (ncRNA) e comprendono una vasta famiglia di RNA di piccole dimensioni o smallRNA, che contribuiscono alla regolazione dell’espressione delle proteine. A tale gruppo appartengono i microRNA (miRNA), frammenti di 20-24 nucleotidi di importanza cruciale per il corretto funzionamento delle nostre cellule. Un solo miRNA è in grado di controllare l’espressione di centinaia di geni. Oggi nella specie umana si conoscono circa 600 microRNA, ma il numero è destinato a crescere. La prima fase della loro sintesi consiste nella trascrizione di una
post-traduzionali Un altro sistema per controllare l’attività di una proteina in una cellula è di regolarne la longevità. Il meccanismo che attiva la degradazione inizia «marcando» la molecola da demolire con una piccola proteina di 76 amminoacidi chiamata ubiquitina. Successivamente, alla catena iniziale di ubiquitina se ne attaccano altre, formando una catena di poliubiquitina. Il complesso proteina bersaglio-poliubiquitina entra nel proteasoma (Figura 37), un enorme complesso proteico a forma di cilindro cavo; il proteasoma dapprima stacca l’ubiquitina e poi demolisce la proteina bersaglio in piccoli frammenti peptidici e amminoacidi liberi. La concentrazione di gran parte delle proteine cellulari dipende più dalla loro degradazione a livello dei proteasomi che dall’espressione differenziale dei rispettivi geni. Esistono però alcuni virus capaci di sabotare questo sistema: l’HPV (Human Papilloma Virus o papillomavirus umano), che si trasmette per via sessuale, aggiunge l’ubiquitina alle proteine p53, marcandole per la degradazione. Poiché p53 inibisce la divisione cellulare, il calo della sua concentrazione determina una divisione cellulare priva di controllo, che può portare al cancro della cervice uterina. RICORDA L’ultimo meccanismo di controllo è a valle della traduzione e si basa sulla degradazione delle proteine che prima sono marcate con una catena di ubiquitina, poi sono demolite dai proteasomi.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cosa significa splicing alternativo? 2. Che cosa sono e che attività svolgono i miRNA? 3. Che cos’è un proteasoma?
1. La regolazione dopo la trascrizione agisce sulle molecole di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La marcatura di proteine da demolire è la funzione tipica dell’ubiquitina / dei miRNA.
L’interferenza dell’RNA (RNAi) è uno dei meccanismi d’azione dei miRNA. Cerca notizie in Rete sul suo funzionamento e disegna uno schema che lo rappresenti in maniera chiara.
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LEZIONE
8
LA REGOLAZIONE GENICA NELLO SVILUPPO EMBRIONALE Lo sviluppo embrionale
è stato Figura 38 Un embrione di drosofila
avviene grazie a
proliferazione, differenziamento e morfogenesi 31
l'apoptosi 33
studiato in modo approfondito nella drosofila 32
31 Le tappe dello sviluppo
negli eucarioti Negli organismi pluricellulari le cellule sono specializzate e organizzate a formare tessuti, organi e apparati. L’organizzazione e la specializzazione si determinano in modo diverso da specie a specie durante la vita embrionale, nel corso della quale avvengono tre processi fondamentali: 1. la proliferazione cellulare, che avviene per mitosi; 2. il differenziamento delle cellule, che assumono una funzione e una forma specifiche pur mantenendo un identico patrimonio genetico; 3. la morfogenesi, cioè l’organizzazione delle cellule in organi e apparati secondo l’architettura della specie. Lo sviluppo embrionale pone alla genetica molti interrogativi. Come può una cellula dare origine in breve tempo ad altre cellule che hanno proprietà differenti l’una dall’altra, anche se conservano gli stessi geni? Come possono formarsi organi e apparati secondo un modello prestabilito che conferisce al corpo una forma tridimensionale ben precisa? L’espressione differenziale dei geni dello sviluppo. Il processo di differenziamento cellulare avviene principalmente grazie all’attivazione o alla disattivazione di geni diversi in cellule che hanno destino e compiti diversi. Molti di questi geni codificano fattori di trascrizione che agiscono su proteine coinvolte in cascate di eventi. I geni dello sviluppo sono stati studiati a partire dalla metà degli anni Ottanta sui cosiddetti «mutanti di sviluppo». L’organismo modello più utilizzato per studiare
Immagine al microscopio elettronico a scansione (SEM) di un embrione di drosofila, in cui sono evidenti le singole cellule che rivestono lo strato esterno.
questo processo è Drosophila melanogaster e in particolar modo i suoi embrioni (Figura 38). Queste ricerche hanno permesso di identificare i geni e i prodotti genici responsabili dello sviluppo degli insetti e hanno valso il premio Nobel nel 1995 alla biologa tedesca Christiane NüssleinVolhard, assieme a Eric Wieschaus ed Edward B. Lewis. Utilizzando le tecniche della genomica comparativa, i ricercatori hanno scoperto che un corredo genetico simile a quello di drosofila esiste anche nei vertebrati. La scoperta di un corredo comune di geni dello sviluppo in organismi evolutivamente molto distanti, come la drosofila e il topo, portò i biologi a trarre un’importante conclusione: la straordinaria diversità degli organismi è prodotta da un numero modesto di geni regolatori. Le differenze osservate a livello della forma corporea derivano da differenze spaziali e temporali con cui i geni sono attivati o inattivati. I morfògeni e l’informazione posizionale. Gli studiosi della biologia dello sviluppo insistono spesso sull’importanza del «qui e ora» per determinare il destino di una cellula, vale a dire «dove e quando» una data cellula o un gruppo di cellule si trovano. Questa informazione posizionale proviene da particolari segnali chimici, definiti morfògeni, che diffondono lungo l’asse corporeo, instaurando un gradiente di concentrazione che permette, per esempio, di distinguere la parte anteriore dell’embrione da quella posteriore. Le diverse concentrazioni di morfògeni esercitano la loro azione regolando in modo differenziale l’espressione genica nelle relative cellule bersaglio. RICORDA Lo sviluppo negli animali è un processo che avviene per tappe ed è controllato da gruppi di geni che si attivano a cascata, esprimendo fattori di trascrizione che si distribuiscono lungo l’asse corporeo dell’embrione.
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Morfogenesi deriva dal greco morphé, «forma», e génesis, «nascita», per indicare il processo da cui prende origine il cosiddetto «piano corporeo».
Nucleo
Figura 39
La segmentazione corporea
Embrione
Nella mosca adulta si ritrovano strutture specializzate, come le ali e le antenne, provenienti da segmenti diversi dell’embrione.
1a divisione
5a divisione
9a divisione
Figura 40 Un embrione multinucleato
Microfotografia di un embrione di drosofila a diversi stadi di divisione. I nuclei sono marcati con una colorazione fluorescente.
32 I geni dello sviluppo
nella drosofila Come tutti gli insetti, la drosofila ha un piano corporeo caratterizzato dalla ripetizione di segmenti molto differenti in diverse regioni del corpo. Il moscerino adulto possiede un capo (formato da più segmenti fusi), tre diversi segmenti toracici e otto segmenti addominali. Segmenti diversi portano strutture specializzate: per esempio, le antenne e gli occhi si sviluppano dai segmenti della testa, le ali da quelli del torace (Figura 39). Lo sviluppo di drosofila da uovo fecondato ad adulto dura circa due settimane a temperatura ambiente. Dall’uovo si schiude una larva che forma una pupa, la quale infine si trasforma in mosca adulta. Dal momento in cui appare la larva – circa 24 ore dopo la fecondazione – sono già riconoscibili i segmenti corporei. I segmenti toracici e addominali sembrano tutti uguali, ma il destino delle loro cellule è già stato determinato. Come per altri organismi, in drosofila la fecondazione porta a una rapida serie di mitosi. Tuttavia, i primi 12 cicli di divisione nucleare non sono seguiti da citodieresi. In questo modo si forma un embrione multinucleato invece di un embrione pluricellulare (Figura 40). Senza alcuna membrana plasmatica da attraversare, i morfogeni possono diffondersi facilmente all’interno dell’embrione. Gli eventi che portano alla determinazione del destino cellulare in Drosophila sono stati scoperti utilizzando le tecniche di genetica sperimentale: dapprima sono stati identificati alcuni mutanti dello sviluppo, per esempio un ceppo di moscerini in cui le larve presentavano due teste oppure quattro ali al posto di due (Figura 41). Il mutante è poi stato confrontato con le mosche di tipo selvatico e sono stati isolati il gene responsabile dell’errore di sviluppo e il suo corrispettivo prodotto proteico. Infine
B118
Ali
Figura 41 Mutanti di drosofila
Un confronto tra un moscerino di tipo selvatico (a sinistra) e un mutante (a destra), che presenta due paia di ali.
sono stati eseguiti esperimenti sia con il gene (producendo moscerini geneticamente modificati) sia con la proteina (iniettandola in un uovo o in un embrione) per confermare i loro ruoli nel processo di sviluppo. Questi approcci hanno rivelato una cascata di espressioni geniche che produce la determinazione di ciascun segmento entro le 24 ore dalla fecondazione. In questo processo sono implicate diverse classi di geni: • geni a effetto materno, determinano gli assi maggiori (antero-posteriore e dorso-ventrale) dell’uovo; • geni per la segmentazione, determinano i confini e la polarità di ciascun segmento; • geni omeotici, o Hox, determinano quale organo verrà creato in una data localizzazione. I geni a effetto materno. L’asse antero-posteriore e quello dorso-ventrale dell’uovo sono determinati grazie all’espressione dei geni a effetto materno. Questi geni sono trascritti nelle cellule dell’ovaio e i loro mRNA vengono
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A Bicoid
Anteriore
mRNA di bicoid localizzato
Distribuzione dell’mRNA di bicoid
Distribuzione della proteina Bicoid
La concentrazione maggiore della proteina Bicoid è all’estremità anteriore, dove induce lo sviluppo di strutture anteriori.
Distribuzione dell’mRNA di nanos
Distribuzione della proteina Nanos
La proteina Nanos diventa concentrata nell’estremità posteriore dell’uovo e inibisce la formazione di strutture anteriori.
Distribuzione dell’mRNA di hunchback
Distribuzione della proteina Hunchback
Posteriore
L’mRNA di bicoid è concentrato all’estremità anteriore dell’uovo.
B Nanos
Anteriore
Posteriore
L’mRNA di nanos è concentrato all’estremità posteriore dell’uovo.
mRNA localizzato di nanos
C Hunchback
Anteriore
Posteriore
L’ mRNA di hunchback è distribuito uniformemente. Figura 42 Le concentrazioni delle proteine Bicoid e Nanos
determinano l’asse antero-posteriore
L’asse antero-posteriore di Drosophila viene determinato grazie ai gradienti dei morfogeni codificati da (A) bicoid e (B) nanos. Insieme, Bicoid e Nanos stabiliscono il gradiente di concentrazione di Hunchback (C).
passati all’uovo per mezzo di «ponti citoplasmatici». Gli mRNA vengono poi tradotti producendo specifiche molecole segnale all’interno del citoplasma. Un caso molto studiato è costituito dai due geni a effetto materno bicoid e nanos, che determinano l’asse antero-posteriore dell’uovo e controllano lo sviluppo delle strutture anteriori di drosofila. Gli mRNA di bicoid e nanos diffondono dalle cellule della madre in quella che sarà la parte anteriore dell’uovo. L’RNA di bicoid viene tradotto nella proteina Bicoid, un fattore di trascrizione che diffonde a partire dall’estremità anteriore, formando un gradiente nel citoplasma dell’uovo (Figura 42). Contemporaneamente, il citoscheletro dell’uovo trasporta l’mRNA di nanos dalla parte anteriore dell’uovo (dove è stato depositato) alla parte posteriore, dove viene tradotto. Le azioni di Bicoid e Nanos producono un gradiente di un’ulteriore proteina, chiamata Hunchback, che determina le estremità anteriori e posteriori dell’embrione. All’inizio, l’mRNA di hunchback è distribuito uniformemente, ma Nanos inibisce la sua traduzione, impedendo l’accumulo della proteina nella parte posteriore dell’embrione. Nella parte anteriore dell’embrione, invece, Bicoid
stimola la trascrizione del gene hunchback, in modo da accrescere ancora il gradiente della proteine Hunchback. I geni per la segmentazione. Il numero e l’orientazione dei segmenti larvali di drosofila sono controllati dai geni per la segmentazione, espressi dopo circa tre ore dalla fecondazione, quando nell’embrione sono presenti 6000 nuclei. Questi geni codificano proteine che determinano il numero dei segmenti, i confini tra le varie regioni e la loro polarità. Diverse classi di geni regolano, in sequenza, i dettagli sempre più fini della segmentazione: • I geni gap organizzano ampie aree lungo l’asse antero-posteriore. Mutazioni dei geni gap determinano la mancanza di segmenti larvali. • I geni pair rule dividono l’embrione in unità, ciascuna comprendente due segmenti. Mutazioni a livello dei geni pair rule portano alla formazione di larve che mancano del secondo segmento di ogni unità. • I geni per la polarità dei segmenti determinano i confini e l’organizzazione antero-posteriore dei singoli segmenti. Mutazioni a livello di questi geni originano segmenti in cui le strutture posteriori risultano sostituite da strutture anteriori speculari.
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Nanos inibisce la traduzione dell’mRNA di hunchback all’estremità posteriore; la proteina Hunchback è prodotta solo nella parte anteriore.
A
A1 A2 T1 T2
T3
A3 A4
B
A5 A6
A7 A8
Nel moscerino adulto questo segmento… Embrione di Drosophila (10 ore) Testa
lab
pb
Torace (T1-T3)
Dfd Scr Antp
Addome (A1-A8)
Ubx
Cluster Antennapedia
1. I geni gap definiscono numerose aree grossolane e regolano…
… viene determinato da questo gene.
C
2. … i geni pair rule, che definiscono le posizioni dei segmenti e regolano…
Cluster Bithorax
Figura 43 I geni omeotici in drosofila
Due gruppi di geni situati sul cromosoma 3 determinano la funzione dei segmenti nel moscerino adulto (in alto). Questi geni vengono espressi nell’embrione (in basso) molto tempo prima che le strutture compaiano effettivamente.
3. … i geni per la polarità dei segmenti, che determinano i confini e l’orientamento anteroposteriore di ogni segmento.
Dopo la segmentazione, i geni omeotici definiscono il ruolo di ciascun segmento.
Figura 44 La cascata genica che porta allo sviluppo corporeo in drosofila
(A) La formazione dei piani organizzativi nell’embrione di drosofila. (B) I prodotti di due geni gap (in arancione e in verde) si sovrappongono; entrambi questi geni vengono trascritti nell’area gialla. (C) Un gene pair rule viene trascritto nelle aree blu scuro. (D) Il gene per la polarità dei segmenti (verde chiaro) si osserva in una posizione più avanzata rispetto a quanto illustrato in (A).
L’espressione dei geni per la segmentazione è sequenziale: i prodotti dei geni gap attivano i geni pair rule che a loro volta attivano i geni della polarità. Alla fine della cascata, i nuclei dell’embrione «sanno» di quale segmento faranno parte nella mosca adulta. I geni omeotici. I geni Hox vengono espressi in varie combinazioni lungo l’asse antero-posteriore dell’embrione e codificano una serie di fattori di trascrizione che determinano il destino di ogni cellula all’interno di ciascun segmento. In altre parole, l’espressione di un gene Hox dice alle cellule di un certo segmento della testa di produrre occhi e antenne, a quelle di un segmento del torace di produrre le ali e così via. I geni Hox di drosofila sono disposti in due gruppi sul cromosoma 3, nello stesso ordine lineare dei segmenti che controllano (Figura 43). Il primo gruppo di geni Hox, il gruppo antennapedia, codifica fattori di trascrizione che controllano i segmenti anteriori del corpo, a partire dalla testa, fino ai segmenti toracici.
B120
D
AbdA AbdB
Il disegno illustra in maniera approssimativa la posizione dell’espressione genica nell’embrione.
Omeotico deriva dal greco hómoios, «simile», e allude al fatto che, a causa di una data mutazione, una parte del corpo può diventare simile a un’altra.
I geni a effetto materno determinano l’asse antero-posteriore e inducono tre classi di geni per la segmentazione.
Il secondo gruppo, chiamato bithorax, inizia con un gene che specifica l’ultimo segmento toracico, seguito da un gene per i segmenti addominali anteriori, per chiudersi con un gene per quelli addominali posteriori. Nell’embrione di drosofila, quindi, la formazione dei piani organizzativi è controllata da una cascata genica (Figura 44). La maggior parte delle informazioni sui geni omeotici derivano dalle mutazioni omeotiche, nelle quali un organo viene sostituito da un altro. In una mutazione del gruppo di geni antennapedia, per esempio, le zampe crescono al posto delle antenne; nel mutante bithorax su un segmento toracico cresce una coppia di ali in più (Figura 45). Anche la formazione del paio di bilancieri che caratterizza tutti i ditteri è dovuta a un gene Hox chiamato ultrabithorax (Ubx) (Figura 46). La sequenza homeobox. I geni antennapedia e bithorax condividono una sequenza di DNA di 180 bp chiamata homeobox che codifica un polipeptide di 60 amminoacidi, definito omeodominio. L’omeodominio riconosce
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A
B
Antenna
C
Zampa al posto dellÕantenna
Secondo segmento toracico
Ala normale
Terzo segmento toracico
Ala duplicata
Figura 45 Le mutazioni nei geni omeotici provocano
la formazione di parti del corpo in segmenti errati
(A) Una drosofila con genotipo normale (selvatico). (B) Un moscerino mutante antennapedia. (C) In un mutante bithorax il terzo segmento toracico, che normalmente non sviluppa ali, viene convertito in un duplicato del secondo segmento toracico (provvisto di ali). Torace (T1-T3)
Capo
Addome (A1-A8)
Ala Embrione di Drosophila (10 ore)
Bilanciere
lab
Embrione di Drosophila
pb
Dfd
Scr Antp
Ubx AbdA
AbdB
Drosophila Hox-C T1 T2 T3
Topo Hoxb
Fattore di trascrizione
Tubo neurale
Embrione di topo (12 giorni) Proteina Ubx
Gene per l’ala
DNA
Corda dorsale Trascrizione
Promotore
Nessuna trascrizione
Figura 46 La differenziazione di ali e bilancieri
Il legame di una singola proteina, Ultrabithorax (Ubx), determina se un dato segmento toracico di Drosophila darà origine ad ali oppure a bilancieri.
e lega una specifica sequenza di DNA nei promotori dei suoi geni bersaglio. L’omeodominio è presente nei fattori di trascrizione che regolano lo sviluppo di molti animali (Figura 47), compreso l’essere umano. Il fatto di trovare sequenze homeobox in organismi tanto distanti tra loro può essere considerata una prova che tali sequenze sono comparse
Figura 47 I geni regolatori manifestano quadri d’espressione simili
I geni omologhi codificano fattori di trascrizione simili e sono espressi secondo lo stesso quadro lungo l’asse antero-posteriore sia negli insetti sia nei vertebrati.
molto presto nella storia del regno animale, e che gran parte degli animali oggi esistenti li ha ereditati da un antenato comune molto antico. RICORDA I geni dello sviluppo in drosofila sono i geni a effetto materno, i geni per la segmentazione e i geni omeotici.
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B4 | Regolazione genica e sviluppo embrionale | B121
A
41 giorni dopo la fecondazione: i geni per l’apoptosi vengono espressi nel tessuto tra le dita. B
Figura 48
Lo sviluppo della mano avviene grazie all’apoptosi All’inizio del secondo mese di sviluppo embrionale, il tessuto membranoso che unisce le dita (A) viene eliminato in seguito a fenomeni di apoptosi (B) e le dita si separano.
Figura 49
Il nematode dalle cellule contate
33 La morte cellulare
Apoptosi deriva dal greco apoptôsis, che significa «caduta», usato per indicare lo staccarsi autunnale delle foglie; un fenomeno che richiamava il suicidio cellulare e che, come si è scoperto, è dovuto proprio all’apoptosi.
Un esemplare adulto di C. elegans è costituito esattamente da 959 cellule; durante lo sviluppo 131 cellule vanno incontro ad apoptosi.
56 giorni dopo la fecondazione: l’apoptosi è completata; le cellule delle dita hanno assorbito i residui delle cellule morte.
programmata Un aspetto sorprendente del controllo genetico dello sviluppo è il fatto che esso prevede anche la morte programmata di interi gruppi di cellule. Tale fenomeno, chiamato apoptosi, è necessario affinché gli organi assumano la forma corretta. In un embrione umano nelle prime fasi di sviluppo, per esempio, sia le mani sia i piedi sembrano piccole palette: i tessuti che diventeranno le dita delle mani e dei piedi sono uniti da tessuto connettivo. Tra i 41 e i 56 giorni di sviluppo, le cellule tra le dita muoiono, liberando le singole dita (Figura 48). Molte altre cellule e strutture si formano durante lo sviluppo, per poi successivamente scomparire, con processi che implicano l’apoptosi. Gli organismi modello nelle forme selvatica e mutante sono stati molto utili per studiare i geni e le pro-
teine implicati nell’apoptosi. Per esempio, il nematode C. elegans produce precisamente 1090 cellule somatiche quando si sviluppa da un uovo fecondato in adulto, ma 131 di queste cellule muoiono, lasciando così 959 cellule nel verme adulto (Figura 49). Il sistema che controlla l’apoptosi in C. elegans è molto simile a quello che si attiva nello sviluppo embrionale umano. Il fatto che questi sistemi siano così conservati in due specie separate da più di 600 milioni di anni di evoluzione ne evidenzia l’importanza: la maggior parte delle mutazioni nei geni che controllano l’apoptosi sono svantaggiose e vengono eliminate per selezione naturale. RICORDA Durante lo sviluppo si verifica la morte programmata di gruppi di cellule e tessuti determinati.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Che cos’è un morfogeno e quali sono le sue funzioni? 2. Quale funzione svolgono i geni a effetto materno? 3. Quali caratteristiche accomunano i geni omeotici o geni Hox? 4. Che cos’è l’apoptosi e che ruolo svolge nello sviluppo embrionale?
1. Si dice differenziamento / morfogenesi l’assunzione da parte delle cellule di specifiche funzioni e forme. 2. L’organizzazione di parti dell’embrione in direzione antero-posteriore è una funzione dei geni gap / pair rule. 3. Antennapedia e bithorax sono esempi di geni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lo sviluppo embrionale della drosofila è stato studiato approfonditamente e si conoscono i meccanismi molecolari che lo guidano. Prepara una linea del tempo con i principali eventi che si susseguono, a partire dalla fecondazione di un uovo di drosofila, fino all’espressione dei geni Hox. Utilizza anche dei disegni o delle illustrazioni.
B122
Sadava, Hillis, Heller, Hacker - La nuova biologia.blu / Genetica, DNA, evoluzione, biotech S
LEZIONE
9
A
LA PRODUZIONE DEGLI ANTICORPI Gli anticorpi sono
proteine con funzione difensiva 34
V S
S
V
S S
C
S
S
S
C S S S
C S
S
V V
Catena pesante
34 Ogni individuo produce milioni
SS SS
S
S S
C
S
S
S S SS
Legami disolfuro
di anticorpi diversi Nei mammiferi gli anticorpi sono molecole proteiche con funzione «difensiva», prodotte da un tipo particolare di globuli bianchi, i linfociti B. Gli anticorpi riconoscono, grazie a un meccanismo a «incastro», sostanze estranee presenti nel sangue e vi si legano, per inattivarle. Le sostanze estranee riconosciute e attaccate dagli anticorpi sono chiamate antigeni. Gli anticorpi appartengono alla classe delle immunoglobuline e sono formati da quattro catene polipeptidiche, identiche a due a due: due catene pesanti e due catene leggere, ciascuna delle quali possiede una regione costante e una regione variabile (Figura 50): 1. le regioni costanti sono simili in tutte le immunoglobuline e determinano la classe dell’anticorpo, vale a dire la sua funzione; 2. le regioni variabili delle catene sono invece specifiche per ciascun anticorpo. Le catene leggere sono più corte di quelle pesanti a cui sono unite da ponti disolfuro in modo da formare una Y. Alle estremità dei bracci della Y si trovano le regioni variabili di entrambe la catene che, unendosi, formano il sito di legame per l’antigene. La diversa struttura primaria delle catene (cioè la sequenza amminoacidica) comporta una diversa struttura terziaria, ovvero una differente forma dell’anticorpo e, in particolare, del sito in cui esso riconosce l’antigene. Così ogni anticorpo risulta specifico per un diverso antigene. Ogni individuo ha la capacità di produrre nel corso della sua esistenza milioni di anticorpi diversi, ciascuno dei quali ha una struttura e una funzione specifica. Ogni linfocita B, inoltre, produce sempre e solo un unico tipo di anticorpo. Dal punto di vista genetico ciò pone un quesito fondamentale: in che modo un singolo organismo può produrre milioni di proteine differenti?
Antigene S
Regione costante della catena pesante S S
S Catena leggera
Determinante antigenico
Regione variabile della catena pesante
S
presentano
miliardi di varianti grazie a meccanismi di ricombinazione genica 35
Sito di legame dell’antigene
Regione variabile della catena leggera
Regione costante della catena leggera
SS B
Catene leggere
Sito di legame dell’antigene
Catene pesanti
Figura 50 La struttura delle immunoglobuline
(A) Le quattro catene polipeptidiche, due leggere e due pesanti, che costituiscono la molecola di un’immunoglobulina. (B) Un modello tridimensionale di una molecola di anticorpo con lo stesso orientamento del disegno a fianco.
Una delle prime ipotesi formulate per rispondere a questa domanda era che esistessero milioni di geni sia per le catene leggere sia per le catene pesanti degli anticorpi. Ciò non è possibile: se ciò fosse vero, infatti, il nostro intero genoma sarebbe costituito solo da geni per gli anticorpi. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso è stata formulata un’ipotesi alternativa: tutte le cellule di un mammifero neonato possiedono inizialmente un corredo identico di informazioni genetiche per la sintesi delle catene leggere e pesanti degli anticorpi; durante lo sviluppo dei linfociti B, però, i loro genomi vengono tagliati, rimescolati e modificati in modo che ogni linfocita B sia in grado di produrre un solo tipo di catena. In tal modo linfociti B diversi sviluppano genomi lievemente differenti, che codificano per anticorpi differenti. La composizione dei geni per gli anticorpi presenti nei linfociti B risulta differente anche rispetto alle altre cellu-
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Anticorpo ha il significato letterale di «contro il corpo», ma attenzione: il corpo a cui ci si riferisce è un corpo estraneo che sia penetrato nel nostro organismo. Antigene deriva dalla fusione dei termini inglesi antibody generator, nel senso di sostanza che induce la produzione di un anticorpo.
La regione variabile della catena pesante di uno specifico anticorpo viene codificata da un gene V, da un gene D e da un gene J. Ciascuno di questi geni deriva da un insieme di geni simili.
La regione costante viene selezionata da un altro insieme di geni. Geni che codificano la regione costante
Geni che codificano la regione variabile
V1, V2…V~100 (geni responsabili della variabilità)
DNA
1 2 3
4… 100
D 1, D 2…D~30 (geni responsabili della diversità)
1
2… 30
J1, J 2…J 6 (geni di giunzione)
1…6
μ δ
γ3
γ1
γ2b
γ2a
ε
α
Figura 51 I geni che codificano le catene pesanti
Le catene pesanti delle immunoglobuline di topo possiedono quattro regioni, ognuna delle quali è codificata da uno di una serie di possibili geni selezionati da un gruppo di geni simili.
le somatiche dello stesso individuo. Tale rimescolamento dell’informazione genetica, insieme all’associazione casuale tra catene pesanti e leggere, determinerebbe la straordinaria diversità degli anticorpi. Questa seconda ipotesi è la teoria attualmente accettata dalla genetica molecolare. RICORDA La diversità anticorpale è dovuta a un meccanismo di rimescolamento dell’informazione genetica a livello del DNA dei linfociti B.
35 La diversità degli anticorpi
e la riorganizzazione del DNA Secondo la teoria attualmente accettata ciascun gene che codifica una catena di immunoglobulina (ricordiamo che un anticorpo ne contiene due coppie) costituisce in realtà un «supergene», costruito a partire da gruppi di geni più piccoli distribuiti all’interno di una porzione di cromosoma (Figura 51). Ogni cellula dell’organismo possiede centinaia di questi piccoli geni, raggruppati in modo indipendente, potenzialmente in grado di partecipare alla sintesi delle regioni variabili e costanti delle catene polipeptidiche delle immunoglobuline. Nella maggior parte delle cellule e dei tessuti, questi geni rimangono intatti e indipendenti l’uno dall’altro. Invece, all’interno di ciascun linfocita B in via di sviluppo essi subiscono un profondo rimaneggiamento: di ogni gruppo viene conservato un solo gene selezionato casualmente, mentre i tratti restanti vengono tagliati ed eliminati. I segmenti di DNA selezionati vengono poi riuniti secondo un ordine preciso.
B124
In questo modo si assiste all’assemblaggio di un «supergene» unico a partire da «porzioni» selezionate casualmente. Ciascuna cellula precursore di un linfocita B provvede all’assemblaggio dei due propri supergeni per gli anticorpi, uno per una specifica catena pesante e uno per una specifica catena leggera. I «supergeni» per le catene pesanti e leggere delle immunoglobuline sono geni interrotti, nei quali gli introni separano le sequenze codificanti provenienti dalle diverse famiglie di geni. Dopo la trascrizione si assiste quindi alla rimozione degli introni, cosicché l’mRNA maturo contiene una sequenza continua che codifica la catena pesante o leggera di una immunoglobulina. La traduzione produce, infine, le catene polipeptidiche che si combinano per formare l’anticorpo attivo (Figura 52). Attraverso questo straordinario processo di differenziazione cellulare, nel medesimo organismo (quindi dal medesimo genoma originario), in cellule diverse, vengono generati numerosissimi anticorpi diversi, uno per ogni linfocita B. Come esempio consideriamo quanto accade nel genoma del topo. I gruppi di piccoli geni che codificano per le catene pesanti degli anticorpi si trovano su cromosomi diversi rispetto a quelli che codificano per le catene leggere (come sappiamo ogni catena è assemblata unendo una regione costante e una variabile). • La regione variabile della catena leggera viene codificata da due famiglie di geni, mentre quella della catena pesante viene codificata da tre famiglie di geni denominate V, D e J. • La regione costante viene codificata da una sola famiglia di geni (che chiameremo gruppo C).
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A
Riorganizzazione del DNA Regione costante
Regione variabile
Segmenti C
Segmenti J
D
V
μ DNA embrionale
B
Trascrizione e splicing dell’RNA
δ
Riunione dei segmenti VDJ
DNA del linfocita B V
D
μ
J
Trascrizione
Trascritto primario di RNA
μ Splicing
mRNA V
D
J
μ
Traduzione
Figura 52 I meccanismi di riorganizzazione
e di splicing di un gene che codifica le catene pesanti Catena leggera
Per la formazione di un anticorpo sono necessari due tipi di riorganizzazione all’interno del gruppo di geni che codificano la catena pesante. (A) Prima della trascrizione, il DNA è riorganizzato in modo tale da unire ognuno dei geni V, D, e J in un «supergene» corrispondente alla regione variabile. (B) Dopo la trascrizione, lo splicing dell’RNA provvede a unire la regione VDJ alla regione costante.
La Figura 51 mostra con diversi colori le quattro famiglie geniche che codificano le regioni variabili e costanti della catena pesante di topo. Queste famiglie contengono rispettivamente: 100 geni V, 30 D, 6 J e 8 C. Ogni linfocita B impegnato nella produzione di un anticorpo seleziona in maniera casuale un gene da ognuno di questi gruppi per produrre la sequenza codificante finale della catena pesante, VDJC. In questo modo il numero di catene pesanti diverse che può essere prodotto attraverso questa ricombinazione casuale è piuttosto elevato (100 V x 30 D x 6 J x 8 C = 144 000 possibili combinazioni nel topo).
Catena pesante
Se consideri che le catene leggere vengono prodotte in modo simile, scoprirai che il numero complessivo di combinazioni derivato dall’unione di catene leggere e pesanti di immunoglobulina è pari a 144 000 catene leggere diverse x 144 000 catene pesanti diverse = 21 miliardi di possibilità. RICORDA L’enorme diversità anticorpale di ogni organismo si ottiene attraverso un processo di differenziazione cellulare che porta a un numero elevatissimo di possibili combinazioni genetiche per ogni anticorpo.
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Scegli le parole
Ora tocca a te
1. Qual è la forma di un anticorpo e da quali parti è composto? 2. Qual è la funzione della parte costante degli anticorpi? 3. Perché i geni che codificano per le catene degli anticorpi sono definiti anche «supergeni»?
1. Gli antigeni / anticorpi appartengono alla classe delle immunoglobuline 2. Le catene polipeptidiche di un anticorpo sono unite da legami idrogeno / disolfuro. 3. Il numero di diversi anticorpi che un singolo linfocita B può produrre si aggira attorno a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le differenze presenti nella sequenza amminoacidica della regione costante consentono di dividere gli anticorpi in classi (chiamate anche isotipi). Cerca quanti e quali classi di anticorpi esistono e che funzione svolgono. Riassumi tutte le informazioni che hai raccolto in una tabella.
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10
LEZIONE
SALUTE
I MECCANISMI DI INFEZIONE DEI VIRUS I virus
batteriofagi che infettano i batteri 37
sono
parassiti cellulari 36
tra cui
virus a DNA che infettano gli animali 38 virus a RNA che infettano gli animali 39
36 I virus sono parassiti
Video 54
Il ciclo litico e il ciclo lisogeno
delle cellule La parola virus deriva dal latino e significa «veleno»; in passato si usava per indicare genericamente qualsiasi agente invisibile in grado di causare malattie, ovvero, usando un termine tecnico, un patogeno. I virus sono presenti in ogni tipo di ambiente e sono anche molto numerosi; tutti insieme costituiscono la cosiddetta virosfera. Oggi sono state classificate circa 5000 diverse specie virali, ma si stima che in natura ne esistano almeno 1 000 000. Di fatto, i virus rappresentano gli elementi più abbondanti della biosfera, migliaia di volte più abbondanti dei batteri. Tutti i virus sono costituiti da un involucro di proteine di forma geometrica, che racchiude al suo interno una molecola di acido nucleico. Da solo non è capace di riprodursi: per farlo ha bisogno di penetrare all’interno di una cellula, in un processo chiamato infezione, e utilizzare le strutture cellulari per produrre nuove copie di sé stesso. I virus quindi sono parassiti intracellulari obbligati. All’esterno delle cellule ospiti, i virus si presentano sotto forma di particelle singole, definite virioni. Un virione, l’unità fondamentale del virus, è formato da un acido nucleico avvolto da un capside, un rivestimento di natura proteica. L’acido nucleico costituisce il genoma del virione e può essere DNA oppure RNA. L’acido nucleico può essere costituito a seconda dei casi da un filamento lineare o circolare, doppio o singolo. Il virione inoltre può avere forma semplice o complessa e talvolta è avvolto da una membrana (Figura 53). RICORDA I virus sono parassiti intracellulari obbligati, incapaci di riprodursi al di fuori di una cellula.
B126
Figura 53 Il virione del virus dell’influenza
La ricostruzione al computer mostra il materiale genetico del virus (RNA a singolo filamento) circondato dal capside (in giallo), all’esterno del quale è visibile la membrana lipidica esterna (in verde), su cui sono inserite tre diverse proteine di membrana.
37 I cicli
dei batteriofagi I virus che infettano i batteri vengono chiamati batteriofagi, o fagi. Il riconoscimento dei potenziali ospiti avviene attraverso un legame che si stabilisce fra le proteine del capside e specifici recettori situati sulla parete del batterio ospite. I virioni, i cui acidi nucleici devono superare la parete batterica per poter infettare la cellula ospite, sono spesso muniti, a livello della coda, di un complesso molecolare in grado di iniettare l’acido nucleico del fago attraverso la parete del batterio ospite. Una volta che l’acido nucleico è penetrato nella cellula ospite, possono succedere due cose, a seconda del tipo di fago (Video 54): • Il virus compie un ciclo litico, cioè si riproduce immediatamente, uccidendo la cellula ospite che va incontro a lisi (si rompe), liberando la progenie del fago. Un virus che si riproduce esclusivamente attraverso il ciclo litico viene definito virulento. Dopo che un virus virulento si è legato a un batterio e vi ha iniettato il proprio acido nucleico, quest’ultimo assume il controllo dell’attività metabolica dell’ospite. • Il virus compie un ciclo lisogeno, cioè posticipa la riproduzione inserendo il proprio acido nucleico nel genoma della cellula ospite. In questo caso il batterio infettato non va incontro a lisi e ospita, invece, l’acido nucleico virale nel proprio genoma. I batteri che ospitano particelle virali non litiche sono detti batteri lisogeni e i virus vengono definiti temperati.
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7. Vengono liberati 7 fagi e il ciclo nuovi ricomincia.
INIZIO
1. Il batteriofago si lega a una cellula batterica. Cellula batterica
6. L’assemblaggio di nuovi6 fagi è completo. Un enzima codificato dal fago provoca la lisi della cellula ospite.
5. In rari casi, il profago può separarsi dal cromosoma ospite e la cellula entra nel ciclo litico.
2 2. Il DNA fagico penetra nella cellula ospite.
5. La cellula ospite trascrive il DNA del fago e traduce l’RNA virale, producendo proteine fagiche.
CICLO LITICO
CICLO LISOGENO
3.3Il DNA dell’ospite viene digerito.
Figura 55 Il ciclo litico
4. Il cromosoma con il profago integrato si duplica. Ciò può continuare per molte divisioni cellulari.
Profago
e il ciclo lisogeno di un batteriofago Nel ciclo litico l’infezione di un batterio da parte del DNA virale porta direttamente alla moltiplicazione del virus 4 e alla lisi della cellula ospite. Nel ciclo lisogeno un profago inattivo viene replicato come parte del cromosoma ospite.
4. Si forma nuovo DNA fagico a spese dei nucleotidi provenienti dalla digestione del DNA della cellula ospite.
Nei batteri lisogeni il DNA fagico si integra nel cromosoma batterico. Il virus così integrato è un’entità non infettiva e viene denominato profago. Il profago può rimanere inattivo all’interno del genoma batterico per molti cicli di divisione cellulare. Però, a volte, un batterio lisogeno può essere indotto ad attivare il proprio profago. Tale attivazione dà origine a un ciclo litico, in cui il profago abbandona il cromosoma batterico e produce nuove particelle virali. Molti virus si riproducono esclusivamente attraverso il ciclo litico, mentre altri vanno incontro a entrambi i tipi di ciclo riproduttivo (Figura 55). La capacità di passare dal ciclo lisogeno a quello litico è di grande utilità per il fago, perché gli permette di sfruttare al massimo l’opportunità di produrre particelle virali figlie. Quando la cellula ospite è in fase di rapida crescita e riproduzione, il profago rimane nello stato lisogeno. Quando, invece, la cellula ospite si è logorata o è stata danneggiata da agenti mutageni, il profago interrompe lo stato di incubazione e attiva il ciclo litico. RICORDA I batteriofagi si riproducono attraverso
3. Il DNA fagico si integra nel cromosoma batterico, trasformandosi in profago non infettivo.
38 I virus animali
a DNA I virus degli animali sono molto diversi tra loro. Alcuni sono semplici particelle formate da proteine avvolte attorno a una molecola di acido nucleico. Altri presentano una membrana, derivata dalla membrana citoplasmatica della cellula ospite precedentemente infettata, e sono detti virus con rivestimento. Alcuni virus animali possiedono DNA come materiale genetico, altri RNA; di solito il genoma virale è piccolo e codifica poche proteine. Molti virus animali a DNA compiono un ciclo litico simile a quello dei batteriofagi. La penetrazione nelle cellule ospiti può avvenire in due modi: 1. per endocitosi quando il virus, con o senza rivestimento, viene inglobato dalla cellula e, giunto all’interno, si libera e si attiva; 2. per fusione tra la membrana cellulare e il rivestimento virale, ovviamente solo se il virus lo possiede. Altri virus a DNA possono integrarsi nel DNA dell’ospite; in tal caso non distruggono immediatamente la cellula ospite. Il DNA virale integrato in un cromosoma di una cellula eucariote è chiamato provirus.
il ciclo litico, che provoca la morte del batterio infettato, o il ciclo lisogeno, che integra il materiale
RICORDA Molti virus a DNA degli animali compiono
genetico nella cellula ospite.
un ciclo litico simile a quello dei fagi.
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Involucro glicoproteico Rivestimento Capside RNA virale
Virus dell’influenza
1. Le glicoproteine virali si legano a recettori sulla membrana plasmatica della cellula ospite e il virus penetra nella cellula mediante endocitosi.
Cellula ospite 3. L’RNA virale funge da stampo per la produzione di mRNA a opera di una RNA polimerasi virale RNA dipendente.
RNA virale
4. L’mRNA virale viene tradotto in proteine virali. Figura 56 Il ciclo
mRNA RNA virale
Ribosoma
riproduttivo del virus dell’influenza
Il virus dell’influenza entra nella cellula ospite mediante endocitosi. Una volta penetrato nella cellula, la fusione tra la membrana del virus e quella delle vescicole provoca la liberazione del genoma virale, che si duplica e dirige la produzione di nuovi virioni.
5. L’RNA virale produce nuovi genomi virali a RNA grazie all’azione di due eventi successivi di RNA polimerasi.
RE 6. Il virione viene assemblato.
Apparato di Golgi
7. Il rivestimento glicoproteico viene prodotto a livello del RE della cellula ospite e trasportato alla membrana plasmatica, passando per l’apparato di Golgi.
Glicoproteine
39 I virus animali
I retrovirus possiedono un cromosoma di RNA e, quando infettano la cellula, operano una specie di trascrizione al contrario, cioè retrotrascrivono l’RNA in DNA.
2. La membrana del virus e quella della vescicola endocitotica si fondono, il capside degenera e l’RNA virale si libera.
a RNA Un certo numero di virus animali contiene RNA a filamento singolo. Anche in questo caso si osservano comportamenti diversi. Consideriamo, come esempi, due virus importanti: il virus dell’influenza e il virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Entrambi i virus sono a filamento di RNA singolo, ma i rispettivi cicli vitali differiscono profondamente nelle strategie di infezione e di duplicazione del genoma. Il virus dell’influenza penetra nella cellula ospite per endocitosi, all’interno di una vescicola membranosa (Figura 56).
B128
8. L’assemblaggio di nuove particelle virali avviene mediante gemmazione, con conseguente liberazione dei virus.
La fusione della membrana virale con quella della vescicola porta alla liberazione del virione all’interno della cellula. Il virus contiene l’enzima necessario per la duplicazione del proprio genoma a RNA. Questo enzima è un’RNA polimerasi particolare, che utilizza come stampo l’RNA (a differenza delle RNA polimerasi cellulari che come stampo utilizzano il DNA). Il filamento di RNA virale così sintetizzato serve poi sia da mRNA per la sintesi di proteine virali sia da stampo per la sintesi, per appaiamento complementare delle basi, di nuovi genomi virali. I retrovirus, come l’HIV, presentano un ciclo riproduttivo più complesso che richiede l’intervento di enzimi specifici (Figura 57).
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1. L’HIV aderisce alla proteina CD4 situata sulla membrana plasmatica della cellula ospite.
Retrovirus HIV Rivestimento glicoproteico Due copie di RNA retrovirale Trascrittasi inversa Cellula ospite di mammifero (di regola un linfocita o un macrofago)
Rivestimento virale Capside
2. Il rivestimento virale si fonde con la membrana plasmatica, il capside degenera e l’RNA viene liberato.
CD4 Trascrittasi inversa
3. L’RNA virale utilizza la trascrittasi inversa per produrre DNA complementare (cDNA).
RNA virale
Stampo di RNA
Filamento di cDNA
4. L’RNA virale degenera. 5. La trascrittasi inversa sintetizza un secondo filamento di DNA. DNA della cellula ospite
6. Il cDNA entra nel nucleo e viene integrato nel cromosoma della cellula ospite, dando origine a un provirus.
7. In seguito all’attivazione, il DNA del provirus viene trascritto in RNA virale, che viene trasportato nel citoplasma.
Nucleo
Figura 57 Il ciclo
riproduttivo dell’HIV
Questo retrovirus penetra nella cellula ospite e attiva la trascrizione inversa del proprio RNA per produrre un provirus a DNA che instaura un’infezione latente.
8. Nel citoplasma, a livello dei ribosomi della cellula ospite, l’RNA virale viene tradotto in proteine.
9. Vengono assemblati le glicoproteine virali, i nuovi capsidi, l’RNA e i rivestimenti virali. 10. Un virus assemblato si libera dalla cellula per gemmazione.
In questo caso il virus penetra nella cellula per fusione diretta tra il rivestimento virale e la membrana plasmatica dell’ospite. La caratteristica peculiare del ciclo vitale dei retrovirus è la sintesi di DNA guidata dall’RNA. Questo processo, catalizzato dall’enzima virale trascrittasi inversa, produce un provirus a DNA che rappresenta la forma sotto cui il genoma virale si integra nel DNA della cellula ospite. Il provirus risiede stabilmente nel genoma della cellula ospite, attivandosi di tanto in tanto per produrre nuovi virioni. Quando ciò accade, il provirus viene trascritto in mRNA, che poi viene tradotto nelle proteine virali.
Le glicoproteine virali si inseriscono nella membrana plasmatica della cellula ospite, che poi diventerà il rivestimento virale. Altre proteine virali formeranno il capside, che racchiude le molecole di RNA virale. La liberazione dei virioni dalla cellula ospite avviene per un processo di gemmazione molto simile all’esocitosi. RICORDA I virus a RNA possono comportarsi come il virus dell’influenza, il cui RNA è trascritto in mRNA e poi tradotto in proteine, oppure come i retrovirus, il cui RNA è convertito in DNA e poi in mRNA da tradurre.
Rispondi
Scegli le parole
Ora tocca a te
Qual è il meccanismo di riproduzione dei batteriofagi?
Il ciclo riproduttivo dei retrovirus sfrutta l’enzima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cerca in Rete il meccanismo d’azione dei farmaci antiretrovirali e spiegalo in 10 righe.
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ESERCIZI CAPITOLO
B
ONLINE Mettiti alla prova con 20 esercizi interattivi
4
Costruisci la tua MAPPA INTERATTIVA
Ripassa i concetti
1. Completa la mappa inserendo i termini mancanti. operone trp / differenziale / rimodellamento / genomi / procarioti / inducibile / splicing alternativo / operoni / amplificazione / microRNA riguarda i
LA REGOLAZIONE GENICA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
di la cui trascrizione è regolata
eucarioti
organizzati in
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
a più livelli di tipo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
prima della trascrizione
durante la trascrizione
dopo la trascrizione
attraverso il
attraverso
attraverso
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
della cromatina
come l’
come l’
operone lac
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
trascrizione
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
selettiva
reprimibile
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
controlli post-traduzionali
Definisci i termini
2. Dai una definizione per ciascuno dei seguenti termini associati. L’unità di trascrizione nei procarioti.
operone: operatore:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
repressore: corepressore: terminatore:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Molecola che si lega al repressore e blocca la trascrizione degli enzimi di una determinata via. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
plasmide: trasposone: retrotrasposone:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sequenze di DNA capaci di spostarsi da una parte all’altra del genoma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cromatina dispersa che contiene il DNA che viene trascritto in mRNA.
eucromatina: eterocromatina:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
homeobox: omeodominio:
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Polipeptide di 60 amminoacidi codificato dall’homeobox.
B130
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Verifica le tue conoscenze
3. I trasposoni sono A un tipo di batteriofagi.
8. Per quali ragioni il DNA eucariotico differisce da quello procariotico?
14. Perché è raro trovare gatti maschi con il pelo a squama di tartaruga?
B enzimi tipici dei procarioti.
A i suoi geni sono interrotti da introni.
A il tratto comporta la sterilità nei maschi.
C enzimi tipici degli eucarioti.
B possiede sequenze dette promotori.
D sequenze di DNA che si spostano.
C può contenere dei plasmidi.
B i maschi non possono essere eterozigoti per quel gene.
D possiede sequenze dette operatori.
C il gene si trova in una parte di eterocromatina.
A garantire che le tre proteine coinvolte siano prodotte nelle giuste quantità.
9. Fornisci la corretta definizione di pseudogeni.
D il gene si trova in una parte di eucromatina.
B produrre le proteine per digerire il lattosio solo quando necessario.
A l’insieme di esoni codificanti e di introni non codificanti.
C produrre i tre tipi di proteine nella giusta sequenza.
B i geni che portano l’informazione per codificare gli RNA e non le proteine.
D evitare che per errore sia digerito uno zucchero diverso.
C le copie di un gene non funzionanti a seguito di mutazioni.
4. L’operone lac consente di
5. Tutti i componenti di un operone sono necessariamente vicini tra loro, tranne
D tutte le copie dei geni che formano quella che è si definisce famiglia genica.
A il gene regolatore.
10. I retrotrasposoni
B il promotore.
A aumentano nel tempo il numero delle loro copie.
C l’operatore. D il segnale di termine della trascrizione. 6. Se il gene regolatore dell’operone trp subisce una mutazione che lo inattiva A la cellula potrà sopravvivere solo in terreni che contengano triptofano. B la cellula produrrà gli enzimi per la sintesi di triptofano in qualsiasi condizione. C il triptofano sarà sostituito da una molecola simile. D la cellula non potrà sopravvivere in alcun modo. 7. Per genoma minimo si intende A i geni la cui attività consente a una cellula di vivere nelle condizioni più restrittive. B la rete di geni coinvolti quando l’attività della cellula è al minimo. C il genoma delle cellule più piccole che esistono in natura. D l’insieme dei geni indispensabili per la sopravvivenza della cellula.
B possono tornare a essere indipendenti.
15. Gli intensificatori si trovano distanti dal promotore perché A i peptidi per i quali portano l’informazione sono liberi di muoversi nel nucleo. B i miRNA per i quali portano l’informazione sono liberi di muoversi nel nucleo. C nella conformazione spaziale del DNA si trovano comunque adiacenti. D come i trasposoni possono spostarsi in altri punti del genoma. 16.
In operon models, the function of the promoter is to
C sono virus a RNA che infettano le cellule eucariotiche.
A code for the repressor protein.
D si riproducono con il meccanismo «taglia e incolla».
C bind to the repressor.
B bind to RNA polymerase. D code for the regulatory gene.
11. Fornisci la corretta definizione di snRNPs.
17.
A sono i complessi molecolari che operano lo splicing.
A accept only proteins that have been properly tagged.
B sono le sequenze di riconoscimento del confine tra un esone e un introne.
B are cell structures.
C sono i ribozimi che si occupano di processare il pre-mRNA.
D all of these are correct.
D sono le sequenze esoniche unite tra loro. 12. Negli eucarioti, quale o quali RNA polimerasi intervengono nella trascrizione? A la II.
C la I.
B tutte.
D la I e la III.
13. L’impacchettamento del DNA eucariotico è consentito da A i telomeri.
C gli esoni.
B gli introni.
D gli istoni.
Proteasomes
C contain catalytic enzymes.
18.
Nei procarioti l’operone è
A il sito di legame per il repressore posto tra promotore e geni strutturali. B l’unità funzionale della trascrizione. C un fattore della trascrizione. D un plasmide utilizzato come vettore genico. E una polimerasi in grado di trascrivere più geni contemporaneamente. [dalla prova di ammissione a Medicina e Odontoiatria, anno 2018]
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B4 | Esercizi di fine capitolo | B131
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19. Leggi e completa il seguente testo sugli operoni. L’unità di trascrizione negli organismi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . è definita operone e contiene sempre un . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , cioè una sequenza a cui si lega l’RNA polimerasi, un . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che lega una proteina regolatrice chiamata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sono presenti due o più geni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , un . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ovvero una sequenza che segnala all’RNA polimerasi che la trascrizione è finita e un gene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che controlla l’operone codificando la proteina regolatrice. 20. Leggi e completa il seguente testo sull’espressione genica degli eucarioti. Nei cromosomi degli eucarioti il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . è avvolto attorno a proteine chiamate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . a formare una struttura detta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Questo impacchettamento rende inaccessibile il materiale genetico all’RNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . che non può procedere con la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tuttavia il processo di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . della . . . . . . . . . . . . . . . . . . . consente di modificare la struttura del . . . . . . . . . . . . . . . . . . . rendendo accessibile il . . . . . . . . . . . . . . . . . . . per la . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
24. Associa ciascuna meccanismo di regolazione al momento in cui avviene. a. Regolazione prima della trascrizione b. Regolazione durante la trascrizione c. Regolazione dopo la trascrizione
a
1. Amplificazione genica 2. Controlli traduzionali 3. Marcatura con ubiquitina e demolizione 4. MicroRNA 5. Rimodellamento della cromatina 6. Splicing alternativo 7. Trascrizione differenziale
b
c
25. Osserva la figura e rispondi alle domande.
21. Sottolinea l’alternativa corretta. a)
I genomi eucarioti sono più grandi / piccoli di quelli procarioti e possiedono più / meno geni che codificano proteine.
b)
Negli eucarioti sono presenti più / meno sequenze regolatrici.
c)
Gli eucarioti possiedono cromosomi circolari / lineari multipli.
d)
Nel genoma degli eucarioti sono / non sono presenti sequenze ripetute.
e)
Nel genoma degli eucarioti la trascrizione e la traduzione avvengono simultaneamente / separatamente.
•
22. Sottolinea l’alternativa corretta. a)
I plasmidi R / F possiedono i geni necessari per la coniugazione.
b)
La coniugazione / trasduzione richiede l’unione fisica tra due cellule procariote / eucariote tramite un pilo sessuale / trasposone.
c)
Nel ciclo litico / lisogeno, i batteriofagi si riproducono uccidendo immediatamente la cellula ospite.
d)
I retrotrasposoni / trasposoni sono presenti solo nei procarioti / eucarioti e sono residui di vecchi retrovirus / batteriofagi.
23. Associa ciascuna RNA polimerasi alla sua funzione. a. RNA polimerasi I 1. Trascrive i geni per gli rRNA. b. RNA polimerasi II 2. Trascrive i geni per i tRNA. c. RNA polimerasi III 3. Trascrive i geni per le proteine. a
b
B132
• •
•
Che cosa rappresenta? Che cosa indicano le linee tratteggiate sulla parte sinistra della figura? Che cosa rappresentano le bande colorate a destra delle frecce? Quali conseguenze ha il processo descritto sulle proteine codificate dal gene in questione?
26. Dato che il genoma eucariotico non è organizzato in operoni, come può avvenire l’attivazione in sincrono dei geni di una data via? Questa organizzazione non è meno precisa di quella procariotica? Rispondi al massimo in dieci righe. 27. Numerosi studi hanno confermato che il genoma umano contiene molte sequenze «virali». Quale pensi sia la loro origine? Quali effetti potrebbero aver avuto queste sequenze sull’evoluzione del genoma umano?
c
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RICERCA ED IPOTIZZA
28. Il Fattore VII è una molecola proteica fondamentale nel processo di coagulazione del sangue. Il gene che ne porta l’informazione si trova sul cromosoma X e quindi è soggetto alla possibile disattivazione, eppure le femmine eterozigoti sono portatrici sane. Come spieghi questo fenomeno? Sostieni la tua risposta descrivendo brevemente le tue ipotesi.
29. Le ricerche sui geni indispensabili per la costituzione di un genoma minimo potrebbero avere molte applicazioni pratiche. Approfondisci il discorso cercando informazioni in Rete sui microrganismi che sono stati usati per questi studi e illustra alcune applicazioni possibili nel campo del biorisanamento.
Dati in agenda FAI UN PASSO IN PIÙ
L’atlante delle proteine ANALIZZA LA NOTIZIA
30. Guarda il video e completa la tabella. Nome del progetto di ricerca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Percentuale di proteine che si trova in più di un comparto
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Organulo in cui ci sono più proteine esclusive che in comune
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Organulo in cui ci le proteine esclusive sono pari a quelle in comune
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Numero assoluto di geni censiti
32. I grandi progetti di ricerca si occupano spesso di argomenti difficili da spiegare a un pubblico di non esperti. Questo accade nella biologia, ma anche nella fisica. Ne sono esempi lo Human Protein Atlas e il progetto ENCODE, ma anche per gli esperimenti ALICE e CMS del CERN di Ginevra. Ciononostante, anche questi progetti hanno aperto dei profili sui principali social network e sfruttano questi canali per informare i cittadini sui risultati che raggiungono. Però, non sempre la comunicazione che viene fatta attraverso questi canali è efficace. Cerca in Rete un progetto di ricerca e analizza le sue pagine social. Confrontale tra loro e vedi se il linguaggio e lo stile cambia a seconda del social network oppure no. Compila una tabella con i punti di forza e i punti di debolezza di ciascun profilo che analizzi. Scegli poi un social network tra quelli che conosci e prova a immaginare come dovrebbe essere fatta la comunicazione del progetto che hai analizzato. Puoi usare tutti i materiali che trovi sul sito internet del progetto. Per essere davvero efficace, definisci: • obiettivo che vuoi raggiungere attraverso il canale social (per esempio, educare la cittadinanza, mostrare i ricercatori al lavoro, essere ironico, essere di moda); • periodicità delle pubblicazioni (più volte al giorno, una volta al giorno, una volta a settimana); • tipo di pubblicazioni (video, fotografie, testi).
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31. Lo Human Protein Atlas è un progetto di ricerca molto ambizioso, che comprende vari progetti: Tissue Atlas, Cell Atlas, Pathology Atlas, Blood Atlas, Brain Atlas e Metabolic Atlas. Cerca informazioni su uno di questi progetti e prova a descriverlo. Scrivi un testo di 1000 battute in cui siano presenti: • il campo di ricerca, • gli obiettivi, • lo stato di avanzamento del lavoro, • le ultime scoperte ottenute.
Watch the video and answer the questions. Human Protein Atlas
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