Il Calciatore N.3 Marzo-Aprile 2011

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Marzo-Aprile 2011

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza - Anno 39 - N. 3 Marzo-Aprile 2011 - Mensile

Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori

Intervista esclusiva al capitano dell’Inter

Javier Zanetti

leader gentiluomo

Inchiesta: dopo il “Viareggio” facciamo il punto con Ciro Ferrara

Primo Piano: incontro a Milano con i rappresentanti della Serie B


NELLA LOTTA ALLA DISTROFIA MUSCOLARE, TORNANO IN CITTÀ LE FARFALLE DELLA SOLIDARIETÀ

In oltre 500 piazze dal 1° al 3 Aprile 2011 Cerca Italia, la farfalla di peluche ripiena di cioccolatini, in uno degli oltre 500 banchetti UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Con una donazione di 5 €, sostieni la sezione UILDM della tua città nell’impegno quotidiano al fianco delle persone con distrofia muscolare e delle loro famiglie. Inoltre, con un SMS solidale al 45509, supporterai la costruzione del Centro Clinico NEMO Sud, nuovo punto di riferimento per le malattie neuromuscolari.

Con la collaborazione di: Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.

Dal 27 Marzo al 9 Aprile, invia un SMS al 45509

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editoriale

di Sergio Campana

Aria nuova nella Nazionale di Prandelli

Bosman: la storia triste dell’uomo-sentenza

Finalmente, dopo parecchio tempo, abbiamo avuto l’occasione di vedere una nostra Nazionale che diverte e si diverte. E questo concetto dovrebbe essere alla base del calcio, come lo vorrebbe la gente. È stata una settimana, quella che ha visto l’Italia impegnata a Lubiana contro la Slovenia e a Kiev contro l’Ucraina, che sicuramente è servita a riavvicinare i tifosi alla squadra azzurra dopo la delusione del Mondiale in Sudafrica. Molte scelte di Prandelli per questi due impegni, uno ufficiale e uno amichevole, avevano suscitato forti perplessità, e se alcune mancate convocazioni, riguardanti giocatori ritenuti fondamentali (De Rossi e Pirlo) erano dovute a motivi per così dire “disciplinari” o a infortuni, altre (Ambrosini, Gattuso, Zambrotta, Perrotta, Palombo e Di Natale, capocannoniere del campionato) sono state dettate da ragioni esclusivamente tecniche. Di sicuro, molti critici attendevano Prandelli al varco, ma le risposte sul campo dei giocatori da lui scelti sono state del tutto soddisfacenti. L’impressione è stata che gli azzurri siano scesi in campo senza particolari pressioni, con la voglia di giocare e di mostrare le proprie qualità, con la mente libera. E qui si deve pensare che il lavoro di Prandelli sia stato ottimale, che abbia preparato la squadra dal punto di vista tecnico, ma soprattutto psicologico. Occorre anche rilevare che Prandelli ha mandato in campo due formazioni diverse, cambiando almeno metà squadra nella seconda partita. Ebbene, il rendimento e l’atteggiamento agonistico non sono assolutamente cambiati, segno che il Commissario Tecnico è riuscito a inculcare nella testa dei giocatori una nuova mentalità, tesa a superare gli avversari sul piano del gioco. Ovviamente, per avviare un tale progetto occorrono giocatori di un certo tipo: ecco perché Prandelli ha orientato nettamente le sue scelte verso giocatori di talento. L’adozione di questo criterio è dimostrata dai centrocampisti mandati in campo nelle due partite: tutti calciatori di qualità (Montolivo, Aquilani, Thiago Motta, Marchisio, Mauri, Parolo) con un solo interditore (Nocerino), contro tutte le tradizioni. In difesa, fermi i due centrali (Chiellini e Bonucci o Gastaldello), Prandelli ha mostrato chiaramente la sua impostazione tattica: mancando due veri esterni in attacco, ha scelto terzini con spiccate caratteristiche offensive (Maggio, veramente straordinario, Balzaretti, Criscito, Santon). In avanti, Pazzini e Cassano, impiegati nella partita contro la Slovenia, sono stati avvicendati da Gilardino e Rossi in quella contro l’Ucraina. Indubbiamente il più brillante è apparso il giocatore italo-americano del Villarreal, unitamente a Giovinco, che è stata una bella sorpresa, con quel geniale colpo di tacco per Matri, mandato in gol nel suo debutto in azzurro. Prima di trarre conclusioni definitive, per prudenza, viste le recenti delusioni, aspettiamo dagli azzurri delle convincenti conferme. Ma intanto è positivo che il gruppo di Prandelli, in un momento non proprio felice del calcio italiano, abbia creato attorno a sé una nuova atmosfera e ci abbia offerto una bella boccata di aria fresca.

Circa 15 anni fa, esattamente il 15 dicembre 1995, Jean Marc Bosman, un centrocampista belga del Liegi, non famoso, avanti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea ottenne una sentenza favorevole che avrebbe rivoluzionato il mondo del calcio. Il processo era durato cinque anni, ma alla fine il calciatore aveva ottenuto ragione. Che cosa era avvenuto? Quale era stata la causa che aveva convinto Bosman ad intraprendere l’azione giudiziaria? Bosman aveva chiesto alla sua società di essere trasferito al Dunkerque, ma il Liegi aveva negato il consenso tenendolo vincolato e pretendendo una cifra esorbitante per il suo trasferimento. E quindi il giocatore si era rivolto alla Corte di Giustizia rivendicando il diritto, a fine contratto, di scegliere liberamente una nuova società. Com’era prevedibile, data l’importanza della posta in palio, la causa fu lunga e senza esclusione di colpi. Il Liegi era stato affiancato nel duro confronto dall’organizzazione europea delle società calcistiche e quindi i pronostici, anche di giuristi affermati, non erano certamente a favore del calciatore. Ma i giudici accolsero in pieno le richieste di Bosman scrivendo una pagina che entrò nella storia dei diritti delle persone e del sistema calcio. Da quell’istante, i calciatori a fine contratto, come ogni altro lavoratore della Comunità Europea, avrebbero potuto scegliere una nuova società senza che niente fosse dovuto a quella precedente. In sostanza, veniva cancellato il vincolo che per tanti anni aveva irrimediabilmente condizionato il rapporto tra società e calciatore, insomma una vera rivoluzione. Dopo un periodo di celebrità, in cui i giornalisti di tutto il mondo si contendevano una sua intervista, Bosman è sparito dalla circolazione, non sono più uscite notizie sulla sua attività, nessuno ha più parlato di lui. Solo recentemente è rientrato per così dire in scena, raccontando il seguito di quella sentenza inseritasi prepotentemente nella storia del calcio: un racconto pieno di amarezza e di tristezza. Ottenuta la libertà contrattuale, non è più riuscito a trovare una società che lo ingaggiasse, come fosse contagioso. Sono cominciati i problemi di carattere economico e i suoi tentativi di trovare aiuto, specialmente tra i calciatori (“erano schiavi - ha dichiarato - li ho fatti diventare re”), sono andati a vuoto. Ha provato perfino ad organizzare una partita con le stelle del calcio per racimolare denaro. Gli hanno risposto in tanti, anche Maradona, ma poi nessuno si è fatto vivo. Ha organizzato lo stesso una partita minore; sugli spalti c’erano sì e no 300 persone. Bosman era magro, vigoroso, soprattutto felice, convinto di aver scritto un pezzo di storia. Era vero, peccato che non fosse la sua. Almeno come se l’aspettava. Poi si è dato al bere, ha rovinato il suo fisico e solo recentemente sembra esserne uscito. Il grande Bosman, l’uomo-sentenza, ora vive con un sussidio.

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NASCE AriSLA

CRESCE LA SPERANZA Chi siamo

L’Agenzia di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica promuove e finanzia attività di ricerca scientifica sulla SLA. AriSLA nasce dalla comune volontà di Fondazione Cariplo, Fondazione Telethon, Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport ed AISLA. Per le sue caratteristiche e finalità AriSLA rappresenta una realtà unica in Italia ed in Europa e si candida a divenire punto di riferimento per la comunità scientifica impegnata nella sfida contro la SLA.

Il nostro obiettivo

Obiettivo principale di AriSLA è quello di offrire ai malati speranze di cura e migliori aspettative e condizioni di vita. Il nostro impegno quotidiano per un futuro senza SLA può diventare una prospettiva concreta con il sostegno di chi condivide con noi il raggiungimento di questa meta. Grazie al prezioso contributo di tutti possiamo concorrere al finanziamento dei migliori progetti di ricerca.

Come aiutarci

Donare ad AriSLA è semplicissimo e lo si può fare attraverso una pluralità di strumenti: • attraverso il tuo 5x1000 (nel modulo della dichiarazione firma nello spazio dedicato a Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e inserisci il codice fiscale di AriSLA: 97511040152) • con donazione on line (PayPal) • con bonifico bancario (Iban: IT71 E033 5901 6001 0000 0005 190) • con donazione continuativa (Domiciliazione bancaria o postale) Per saperne di più entra nel nostro sito www.arisla.org e troverai tutte le informazioni necessarie, oppure telefona al nostro numero 02 58012354.

Come operiamo

La nostra priorità è quella di operare affinché la ricerca finanziata sia di eccellenza, con risultati che abbiano ricadute concrete per i malati di SLA ed i loro familiari, anche attraverso la creazione di un network di scienziati, nazionali ed internazionali, che metta in sinergia le migliori risorse del settore.

Per un futuro senza SLA AriSLA – Agenzia di Ricerca per la Sclerosi Laterale Amiotrofica Via Camaldoli, 64 – 20138 Milano, Tel. 02 58012354 C. F. 97511040152, Iban IT71 E033 5901 6001 0000 0005 190

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Sommario

Sommario

l’intervista

di Pino Lazzaro

editoriale di Sergio Campana Aria nuova nella Nazionale di Prandelli

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attività aic 11

calcio e legge di Stefano Sartori Di anni ne ha adesso 37 e non si direbbe naturalmente. Che ne dimostri meno lo dice intanto il campo, quel suo moto perpetuo, gli impressionanti numeri che dicono da soli proprio tanto: Javier Zanetti racconta, e si racconta, in questa lunga chiacchierata. Una storia piena di avventure e successi, la storia di un leader gentiluomo con cui vale sempre la pena alzarsi in piedi…

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Marzo-Aprile 2011

Modifiche al Regolamento Agenti Figc

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l’inchiesta di Barnaba Ungaro Ciro Ferrara: “Crediamo nei giovani per un salto di qualità”

ilCalciatore

Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori

direttore direttore responsabile condirettore redazione

foto redazione e amministrazione

tel fax http: e-mail: stampa e impaginazione REG.TRIB.VI

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Sergio Campana Gianni Grazioli Nicola Bosio Pino Lazzaro Gianfranco Serioli Stefano Sartori Stefano Fontana Barnaba Ungaro Mario Dall’Angelo Maurizio Borsari A.I.C. Service Contrà delle Grazie, 10 36100 Vicenza 0444 233233 0444 233250 www.assocalciatori.it assocalciatori@telemar.it Tipolitografia Campisi Srl Arcugnano (VI) N.289 del 15-11-1972

calcio e legge di Stefano Sartori Addestramento tecnico: alcuni punti fermi

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come stai? Nicola Ventola

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io e il calcio di Pino Lazzaro Matteo Tagliariol

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pianeta lega pro di Pino Lazzaro Tommaso Chiecchi: “La C è cambiata: pochi soldi, troppi giovani”

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primo piano di Nicola Bosio Riunione con i rappresentanti di Serie B

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ha scritto per noi di Alessandro Comi Alessio Bifini, “el matador” grossetano Marzo-Aprile 2011

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1, DCB Vicenza - Anno 39 - N. 3 Marzo-Aprile 2011 - Mensile

Organo mensile dell’Associazione Italiana Calciatori

segreteria di Diego Murari

Intervista esclusiva al capitano dell’Inter

Javier Zanetti

Questo periodico è iscritto all’USPI Unione Stampa Periodica Italiana

Di porto in porto…

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leader gentiluomo

Inchiesta: dopo il “Viareggio” facciamo il punto con Ciro Ferrara

Member of

n.3

internet di Stefano Fontana Criscito e Floro Flores: il web si tinge di rossoblù

31 Primo Piano: incontro a Milano con i rappresentanti della Serie B

Finito di stampare il 05-04-2011

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l’intervista di Pino Lazzaro

Javier Zanetti, capitano dell’Inter

“Mio padre muratore, Ignazio Rodolfo; mia madre casalinga, Violetta. Il nostro quartiere dalle parti del porto di Buenos Aires, il Dock Sud, così si chiama. Avrò avuto trequattro anni quando mi hanno regalato il mio primo pallone, ricordo che quel che si faceva era comunque e sempre calciare qualcosa, se non c’era una palla qualcosa d’altro la si trovava sempre. Dai e dai, assieme ai vicini lì di casa, mio padre si è poi dato da fare per preparare un campo, a 200 metri da casa mia, bello regolare ma era tutto in cemento, occhio a cadere. Una realtà di “potrero” come diciamo noi in Argentina, di oratorio insomma come dite qui. È stato così che abbiamo potuto mettere assieme una squadra e iscriverci anche a un campionato regionale. Sino ai 15 anni ho giocato nelle giovanili dell’Independiente, poi sono passato alla polisportiva Talleres de Remedios de Escalada, sempre nell’area metropolitana di Buenos Aires, è stato con loro che sono arrivato ad esordire da professionista, in serie B. Sono anni quelli di cui ho un ricordo bellissimo. Mi divertivo, avevo tanti amici e proprio lì ho imparato tanto, è lì che mi sono

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“Rispettate Di anni ne ha adesso 37 e non si direbbe naturalmente. Che ne dimostri meno lo dice intanto il campo, quel suo moto perpetuo, gli impressionanti numeri che lì dalla scheda dicono da soli proprio tanto (chi ha giocato a calcio sa davvero che significano). Raccontano che ne dimostra di meno di anni anche per quelli che sono i riscontri dei test che continua a fare sul campo, dati oggettivi, la loro parte puntualmente sorprendenti. Ma meno gliene dai anche quando te lo trovi davanti, davvero complimenti. Incontro dunque col capitano dell’Inter e al solito in questo spazio ecco un lungo raccontare e raccontarsi. Un viaggio bello lungo il suo, che da un campo di cemento messo assieme con i vicini di uno dei quartieri della sterminata Buenos Aires dal padre muratore, lo ha portato su su sino a quelle incredibili cifre che ne condensano la carriera. Uno insomma con cui vale sempre la pena di alzarsi in piedi, quasi quasi mettendosi sull’attenti, sì. Buona lettura.


l’intervista

il calcio, sempre” formato: i valori, il rispetto, i compagni. Il mio di sogno come quello di tutti era di arrivare in prima squadra, loro ti formavano per questo, chi ce la faceva e chi no. Poi in casa io avevo pure lo stimolo di mio fratello Sergio, sei anni più vecchio di me, a fare il professionista ci è arrivato prima di me, lo ha fatto per parecchi anni, mancino lui, difensore di fascia, adesso anche lui è qui in Italia, allena nel settore giovanile del Como. Così con mio padre e tutti assieme si andava sempre a vederlo, lo seguivamo dappertutto, l’ho detto che è stato uno stimolo per me. Con la scuola? Ho fatto elementari e medie, poi ho lasciato, ho cominciato presto a fare il professionista. L’anno dopo sono passato al Banfield, ancora a Buenos Aires, in serie A: era stato sempre quello intanto il mio sogno. È stato lì, ma già c’era prima, che ho capito che era dunque il pallone la mia professione, che gli dovevo dedicare tutto quello che serviva, di cui c’era bisogno. Già a quel tempo arrivavo sempre tra i primi, sì, parecchio tempo prima dell’orario fissato; è un qualcosa che ho sempre avuto, che ho tuttora e devo dire che in questa nostra squadra adesso qui nell’Inter è in effetti una bella gara su chi arriva prima degli altri”.

tro sogno che avevo dopo l’esordio in serie A. È stato allora che mi è arrivata questa proposta dell’Inter, dall’Italia. Sì, anch’io ho una discendenza italiana, mio bisnonno veniva da Sacile. A quel tempo grazie alla televisione s’iniziavano a vedere partite dall’Italia, a Napoli c’era Maradona, questo quel che sapevamo. Ero molto giovane, il Banfield era una squadra piccola e avevo questa possibilità, in una grande squadra e in uno dei campionati più importanti al mondo, lontanissimo da quella che era la mia realtà. L’ho vista come una grandissima occasione da sfruttare, mai avrei potuto immaginare di poter fare un salto così grande, ero fiero e orgoglioso. Facile non era, c’era da cominciare d a

“Due campionati col Banfield, ho fatto anche l’esordio con la maglia della

zero, altro paese, altra gente, altra lingua: il tutto m’è servito per crescere come persona, non solo come calciatore”. Nazionale maggiore ed era quello un al-

“La fascia di capitano sono dodici anni che la porto al braccio. E so-

cietà e squadra sanno come lo faccio il capitano, fascia o no quel che cerco è sempre il dialogo, massimo rispetto per tutti, per questo avverto che c’è anche rispetto nei miei confronti. Sono uno insomma che cerca sempre di far capire quelle che possono essere le difficoltà, di come affrontarle e così nello spogliatoio sono uno che non si tira certo indietro se c’è da parlare. Ma poi quel che dico cerco sempre di mostrarlo anche sul campo: sì, sono sempre davanti al gruppo a tirare in allenamento. Coi giovani credo di poter dire che per me va benissimo; ci sono ragazzi che hanno valori importanti e io assieme ad altri cerchiamo di indirizzarli sulla strada giusta, facendoli sempre sentire parte del gruppo e cercando di farli riflettere sull’opportunità che hanno a loro disposizione. Qualcosa magari da suggerire ai tanti giovani che cominciano? Mah, potrei dire loro soprattutto di dedicarsi con passione a quel che stanno facendo, di dedicare a questa loro passione il maggior tempo possibile, rispettando gli altri e anche quello che fanno, in tutti i sensi, dentro e fuori il campo”. “Con gli arbitri quel che cerco sempre di avere è del dialogo; credo sia necessario anche da parte nostra, di calciatori, cercare sempre di tenere presenti le tensioni che pure loro hanno. Sempre massimo rispetto naturalmente ma ci vuole anche del buon senso a volte, dai. Di espulsioni dirette ne ho avuta una in tutta la mia carriera, è capitato quella volta contro il Parma, prima c’è stata l’espulsione di Bergomi, poi quella di Colonnese e così il terzo sono stato io... Beh, si sa bene quanto sia il risultato a comandare un po’ tutto ma nonostante tutte le pressioni che ci sono, dato che siamo noi calciatori

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l’intervista

sino a un certo punto, non le abbiamo decise noi le regole che ci sono”. “Per me il sentire una partita non ha età, ne puoi aver giocate moltissime però l’avvicinamento alla gara è comunque un’emozione forte. Con l’esperienza la puoi controllare ma te la puoi anche godere di più: è bello sentire la tensione, la voglia di giocare, osservare la faccia dei tifosi mentre arrivi allo stadio, ascoltare dagli spogliatoi il volume dei cori che aumenta. Ci sono attese di partite che non dimentichi, penso a quella della finale di Champions a Madrid e altre invece che scorrono veloci. Il dopo di una partita in notturna è invece sempre lungo, soprattutto se si gioca

in trasferta e c’è il rientro in aereo o pullman: allora sì che è più difficile prendere sonno, è tutto molto più semplice da San Siro a casa. Riti? Scaramanzie? No, nessuna in particolare, forse solo l’”andiamo ragazzi, andiamo a vincere”che ripeto, ancora e ancora, ai compagni quando si esce dal tunnel per entrare in campo”. “Lo so, spesso siamo etichettati come viziati, gente a cui pare che per forza di cose sia tutto dovuto. Chi però vive da dentro il calcio professionistico sa bene che il tutto è molto meglio di come viene raccontato dall’esterno. Il fatto è che siamo vittime di molti luoghi comuni, delle minoranze che vengono trasformate

La Fondazione P.U.P.I. i protagonisti, dobbiamo ricordarci – senza mai dimenticarlo – che quel che facciamo è uno sport, che abbiamo comunque sempre con noi quella tanta passione che sempre ci accompagna. La gente negli stadi? Beh, pur giocando con l’Inter, ci si rende conto che ce n’è di meno di prima; oltre alla questione delle televisioni, ormai si gioca ogni tre giorni e come fa la gente a permettersi di spendere così tanto settimana dopo settimana?” “Lo sappiamo bene d’essere dei modelli, sappiamo bene per esempio che i bambini sono lì che ci guardano, che dobbiamo comportarci in un certo modo e ne parliamo tra noi nello spogliatoio di queste cose. E non è dell’occhio delle televisioni che ci dobbiamo preoccupare, sono altre le cose su ci dobbiamo stare concentrati per dare dei buoni esempi. Non credo che per noi calciatori sia possibile fare di più di quel che già facciamo quando succede magari qualcosa lì sugli spalti, vedi delle situazioni di razzismo. Già ci attiviamo subito con l’arbitro, ci stiamo attenti e lo facciamo presente ma credo che noi lì in campo si possa insomma arrivare

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Insieme alla moglie Paula, Zanetti ha fondato nel 2001 la Fundación P.U.P.I., organizzazione non-profit che si occupa del sostegno economico dei bambini disagiati e delle loro famiglie nella zona di Buenos Aires con progetti di istruzione, affido, adozione, formazione sportiva, avviamento al lavoro. Il termine P.U.P.I. deriva sia dal soprannome calcistico di Zanetti, appunto Pupi, ma è anche un acronimo che significa Por un piberío integrado (per un’infanzia integrata). Concentratasi inizialmente sul distretto di Lanús, una delle zone più disagiate di Buenos Aires, il programma della fondazione prevede, al mattino, l’accompagno dei bambini a scuola, per poi essere portati nelle sedi dell’organizzazione per altre attività, quali musica, disegno, teatro e sport (oltre alla casa madre di Lanús, si sono poi nel tempo aggiunte altre “succursali”). La fondazione collabora inoltre con alcune aziende, per insegnare ai padri dei piccoli un mestiere e anche le madri vengono assistite, sia a livello medico che sociale. Complessivamente la Fondazione si sta attualmente occupando di oltre mille persone, tra bambini e rispettive famiglie. Ecco il Zanetti pensiero: “Quando mi guardo indietro, e penso ai primi anni della mia vita, mi vengono in mente tante immagini, sia belle che brutte. Ho avuto un’infanzia non facile e anche se oggi non vivo nel mio paese, conosco profondamente la situazione che sta attraversando e l’effetto che questo ha sui bambini più poveri. Ho sempre pensato che ognuno di noi debba darsi da fare e considerare che ha una certa responsabilità sociale all’interno della sua comunità; per questo io penso si debba cercare di mettere tutto il proprio impegno e fare più sforzi possibili per raggiungere un obiettivo comune, proprio come si fa in una squadra di calcio. Da questa convinzione è nata l’idea di costituire una Fondazione che, raccogliendo aiuti, potesse mirare principalmente a soddisfare bisogni fondamentali come l’alimentazione, l’educazione, l’igiene e la cura dei bambini e di conseguenza aiutare le loro famiglie e la comunità in cui essi vivono”.


l’intervista

in etichette dai media. Nel calcio io ho sempre trovato una maggioranza positiva, pronta alla solidarietà, alla comprensione, alla condivisione dei problemi, anche al volontariato. Solo che tutto ciò non fa notizia e non finisce sui giornali o in televisione e questo è l’aspetto del calcio che non mi piace. Io, in tal senso, ci metto al faccia e la storia della mia carriera per cercare di far vedere gli aspetti belli del calcio”. “Giocare con l’Inter ha voluto dire anche tanta sicurezza economica, so bene che in tante altre squadre, specie nelle categorie inferiori, anche il prendere lo stipendio è un problema. Io penso che sia questo un problema che spetta alle istituzioni calcistiche di risolvere: i calciatori possono alzare la voce, utilizzare i colleghi più importanti per dare voce alle minoranze – e non mi sembra che qualcuno si sia mai tirato indietro – ma non possono controllare, verificare, squalificare. I calciatori di serie C hanno sempre potuto contare come ho detto su quelli della serie A, è uno spirito consolidato che è diventato esempio anche in altre parti del mondo, penso per esempio a quanto ha fatto il mio amico Cordoba per il calcio colombiano, per dare diritti ai colleghi meno fortunati di lui”. “Sì, il calcio italiano effettivamente nei numeri sta perdendo delle posizioni a livello internazionale, col rischio per esempio della perdita adesso di un posto nella Champions League. D’altra parte, su questo specifico argomento, voglio e devo parlare anche da capitano dell’Inter. Noi abbiamo fatto la nostra parte in modo meraviglioso direi. Abbiamo vinto in Europa e nel mondo, quindi abbiamo dato un contributo reale al calcio italiano: non è che abbia in effetti sentito molti “grazie”. A tratti ci hanno trattato come una squadra straniera, quasi con fastidio, facendoci la morale e non solo e poi hanno cercato di saltare sul carro dei vincitori. Allora, siccome questa storia noi dell’Inter l’abbiamo vissuta in prima persona, non abbiamo fatto le vittime e siamo andati avanti a testa alta, fieri di noi stessi e delle

Zanetti autore

Capitano e gentiluomo Una autobiografia in cui Zanetti ha modo di raccontare la sua vicenda umana, dai primi calci a un pallone all’aiuto che dava al padre muratore. Poi il sogno e i sogni del calcio, l’esordio nella A argentina e nella Nazionale, l’arrivo in Italia segnalato da Valentin Angelillo. Il fortissimo legame con l’Inter, le iniziative di solidarietà e (nella nuova edizione per la collana Bur Rizzoli) pure pagine dedicate alla passata, straordinaria stagione, “la migliore della mia vita”. scelte del nostro presidente Moratti. Mi chiedo se l’arretramento internazionale del calcio italiano non sia anche figlio di pregiudizi, di una mentalità sbagliata e non solo di processi economici e tecnici legati ad altri fattori, diciamo industriali. Sul fatto poi che si continua a fare riferimento all’Inter “per i pochissimi italiani in campo” (vedi che si arriva sempre a quel punto?), rispondo qui con le parole del mio amico e compagno Esteban Cambiasso: che basta andare sopra Genova per capire da dove lui arriva. Dai, abbiamo gli stessi doveri e gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini italiani, che forse dimenticano quando i loro nonni o bisnonni attraversarono l’oceano per andare in cerca di fortuna, fieri di essere italiani, ma senza bende sugli occhi”. “Il dopo? Non so, ho ancora tre anni di contratto, vedrò. È vero, non credo proprio che farò l’allenatore... quando adesso mi capita di

vedere Toldo e lo sento raccontare le sue avventure con Inter Campus non posso non vedere quanto entusiasmo ha negli occhi. Sono felice per lui e ancora più orgoglioso di aver condiviso la mia carriera con l’Inter di Massimo Moratti. Questa società può offrire opportunità uniche, che sicuramente valuterò quando smetterò di giocare. Come finiamo? Beh, vorrei dire a tutti, anche ai miei colleghi, di amare e rispettare il calcio sempre, a prescindere che si giochi in serie A, B, tra i dilettanti o nel giardino di casa. In ogni dove il calcio può dare di più di quello che dai al calcio”.


l’intervista

Leoni di potrero

La scheda

Dell’agosto del 1973, Javier Adelmar Zanetti è nato a Buenos Aires. Discendente da una famiglia di emigrati italiani friulani (da Sacile), ha esordito nella serie A argentina col Banfield dopo una stagione in B col Talleres de Remedios de Escalada, uno dei tantissimi club dell’area metropolitana di Buenos Aires. Il trasferimento all’Inter è nella stagione 1995/1996 e da allora una impressionante sequenza di partite (detiene tra l’altro pure il record di 137 presenze consecutive in serie A, da novembre 2006 ad aprile 2010) lo hanno portato nel corso di questa stagione targata 2010/2011 a superare Beppe Bergomi nel numero di presenze in campionato: l’ex campione del mondo a Spagna ’82 s’era infatti “fermato” a 519, con Zanetti per adesso

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“Io e Cambiasso sentivamo la voglia di fare qualcosa per il territorio, per questa città che ci ha aperto le porte di casa e non solo quelle di uno stadio. Tutto è così iniziato assieme a un gruppo di amici e l’idea è stata quella di una scuola calcio per i più giovani, dove lo sport sia visto come divertimento e formazione, non come ricerca del talento, un posto insomma dove i bambini si possano divertire e possano imparare a stare in gruppo. In Argentina il potrero è quel che in Italia è l’oratorio. Quel che abbiamo cercato di fare e tuttora stiamo facendo è appunto di riproporre quel tipo di realtà, anche in considera-zione di quanto “isolati” sisi ano adesso i ragazzini (com(com puter e il resto) e di quanto poca attività sportiva facciano. L’idea è insomma che questo cencen tro possa diventare un luogo in cui i ragazzi possano rincontrarsi, sperisperi mentando così tutta la “magia” che hanno potuto vivere tutti coloro che andavano un tempo a giocare nel potrero”.

Da quanto sopra, per volontà e impulso della coppia di argentini, ecco nascere nel corso del 2007, nel quartiere della Barona (zona sud di Milano), l’iniziativa della scuola calcio denominata “Leoni di Potrero”. Senza affiliazione alla Figc e con l’intento di avere una scuola giusto di formazione di gioco (istruttori qualificati), con classi d’età che arrivano come massimo a quella degli esordienti. Attività da settembre a giugno, che può contare nel periodo invernale della possibilità di poter usufruire pure di strutture al coperto. Il tutto è ben presto diventato un punto di ritrovo parecchio frequentato e ben “radicato” nel quartiere.

arrivato (chiusura del giornale a fine marzo) a 530. Prendendo in considerazione campionato, Coppa Italia e le varie competizioni europee, Bergomi è ancora davanti nella classifica dei più presenti in maglia nerazzurra (758 le sue presenze) ma ormai molto vicino si è fatto Zanetti, arrivato (sempre a fine marzo) a 738. Con la maglia dell’Inter, Zanetti ha sin qui vinto 5 scudetti: 2005/2006 (a tavolino), 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 e 2009/2010; 3 Coppe Italia: 2004/2005, 2005/2006 e 2009/2010; 4 Supercoppe Italiane: 2005, 2006, 2008 e 2010; 1 Coppa Uefa (1997/1998); 1 Champions League (2009/2010) e un Mondiale per club (2010). Esordiente a 21 anni con la maglia della Nazionale maggiore dell’Argentina, ha

fin qui totalizzato 139 presenze: record assoluto nella storia del calcio argentino. Argento olimpico ad Atlanta 1996 (Argentina sconfitta in finale per 3 a 2 dalla Nigeria), Zanetti ha partecipato a due edizioni dei Campionati del Mondo: quella del 1998 in Francia (eliminazione ai quarti da parte dell’Olanda) e quella del 2002 in Corea-Giappone (fuori già al primo turno di qualificazione). Con l’Argentina s’è piazzato per due volte secondo sia nelle edizioni del 1995 (Arabia Saudita) e del 2005 (Germania) della Confederations Cup che nel 2004 (Peru) e nel 2007 (Venezuela) della Coppa America. Sposato con Paula (si sono conosciuti quando entrambi frequentavano la polisportiva Talleres, Paula giocava a pallavolo), ha due figli: Sol e Ignacio.


attività aic

Avvenimenti

Incontri Calendario

3 gio Consiglio Federale Si è svolta a Roma la riunione del consiglio federale durante la quale è stata convocata per lunedì 20 giugno l’Assemblea per la riforma dello Statuto; approvata la norma, annunciata nel precedente Consiglio, per regolamentare i procedimenti di preclusione non definiti con il codice di giustizia sportiva vigente fino al 30 giugno 2007 che riguarda circa 40 tesserati; modificate alcune norme del Regolamento Agenti dei calciatori; aperto il dibattito in vista della definizione delle norme sulle Licenze nazionali, ripescaggi compresi, per la prossima stagione sportiva. È stato inoltre illustrato l’andamento dei lavori della Commissione per la Rifor-

ma dei campionati sottolineando che non esiste una norma che garantisce i ripescaggi quindi, in sede di iscrizione ai campionati, saranno valutate due tipologie di intervento: o un limite sul numero delle squadre da ripescare, oppure un blocco totale (in questo caso va definita una titolarità decisionale sul format dei campionati). Per quanto riguarda le Licenze nazionali per la prossima stagione sportiva, il Consiglio ha individuato due campi di intervento principali: i criteri economici (stipendi, scadenze di pagamento, parametri anche per le società di B) e i criteri sportivi e organizzativi (figure professionali obbligatorie per le società di A e B; obbligo di depositare un programma per l’attività giovanile; partecipazione ai corsi FIGC sulla formazione e il doping).

A Vicenza il prossimo 16 maggio

La tutela della salute nel calcio giovanile Si svolgerà a Vicenza (Teatro Comunale) il prossimo 16 maggio il Convegno Nazionale promosso dall’Associazione Italiana Calciatori dal titolo “La tutela della salute nel calcio giovanile”. Oltre il 70% degli adolescenti italiani pratica il gioco del calcio nelle sue varie forme, più o meno agonistiche. Il calcio è una palestra educativa e formativa che racchiude un insieme di aspetti che incidono profondamente nel percorso di crescita dell’adolescente, educandolo al rispetto, alla solidarietà, alla condivisione, all’aiuto, e contribuendo alla sua maturazione personale, col segnare la sua esperienza di vincoli di amicizia solidale, significativi fino all’età adulta. In considerazione della profonda valenza educativa del calcio, la tutela della salute psicofisica degli adolescenti è dunque un aspetto di cruciale importanza. Il Convegno vuole, dunque, essere un momento di riflessione, condotto insieme ad esponenti del mondo calcistico e istituzionale sulle strategie da porre in atto per favorire le conoscenze di prevenzione a tutela della salute e della crescita del giovane calciatore. E anche un confronto con rappresentanti prestigiosi del mondo calcistico (maggiori dettagli sui partecipanti alla tavola rotonda sul prossimo numero de Il Calciatore), con cui condividere esperienze personali di singoli atleti, che nella loro carriera hanno fronteggiato infortuni e difficoltà.

30 mer Erasmus per lo Sport Un programma “Erasmus per lo sport” per offrire a migliaia di giovani atleti l’opportunità di andarsi a formare presso un club o una federazione estera: è una delle tante iniziative che potrebbero trasformarsi in opportunità in tutta Europa grazie al “Trattato di Lisbona” che è entrato in vigore lo scorso autunno. Al riguardo si è svolta a Bruxelles, mercoledi 30 marzo, presso la Commissione educazione e cultura del Parlamento europeo, un’audizione per rendere operative le mille possibilità che il Trattato offre agli Stati membri della Ue. All’incontro hanno partecipato Federazioni nazionali ed europee, club, sindacati (per l’Aic presente il Fiduciario Michele Colucci) e atleti che hanno portato la loro esperienza. Un primo passo del percorso che porterà alla redazione del “Rapporto del Parlamento europeo sullo sport”, atteso per ottobre. Sarà un documento nel quale tutti i Governi dei Paesi membri potranno trovare materiale di interesse per la messa a punto di politiche di interesse per il settore. “L’Unione europea ha il compito di sviluppare la dimensione europea attraverso lo sport», ha ricorda Michele Colucci, docente universitario di Diritto internazionale ed europeo dello sport e membro della Camera di risoluzione della Fifa. Nell’ultima audizione, tenutasi a novembre, Colucci ha presentato il progetto Erasmus nello sport, un programma “che può inserirsi come valido strumento nella nuova politica europea”. “Sarà un progetto di scambio che permetterà, per esempio, di organizzare tornei transnazionali per giovani atleti dilettanti. Sul valore dell’iniziativa ho ricevuto moltissimi consensi da parte delle Federazioni europee e, grazie al nuovo Trattato di Lisbona, sono sicuro che, in tempi brevi, potremo realizzarlo”.

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calcio e legge di Stefano Sartori

Questo mese parliamo di…

Alcune modifiche al

Regolamento

A seguito della recente sentenza del TAR del Lazio 11.11.2010, con CU 142 del 3.3.11 il Regolamento Agenti FIGC è stato modificato all’art. 4 (eliminazione del numero massimo di agenti soci) ma, soprattutto, all’art. 24 (clausola compromissoria), con conseguenze estremamente importanti per i calciatori. Infatti, l’abrogazione dei primi due commi dell’art. 24 comporta che le controversie tra agente e calciatore non verranno più sottoposte obbligatoriamente al giudizio del Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI (TNAS) ma, al contrario, saranno d’ora in poi devolute alla competenza del Tribunale Ordinario. Ciò significa che non solo tutti i contenziosi di natura economica ma anche, ad esempio, l’accertamento della revoca dell’agente per giusta causa (art. 18.4.) dovranno essere d’ora in poi accertati dal Tribunale Ordinario. Infine, nel caso in cui la controversia abbia una dimensione internazionale (agente e/o calciatore e/o società di federazioni diverse), la richiesta di procedura di arbitrato potrà continuare essere presentata alla Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA.

Vecchio testo

Nuovo testo

Art. 4

Art. 4

1. L’Agente che ha ricevuto uno o più incarichi è tenuto a rappresentare e tutelare gli interessi dei propri assistiti, che possono essere soltanto calciatori o società.

1. L’Agente che ha ricevuto uno o più incarichi è tenuto a rappresentare e tutelare gli interessi dei propri assistiti, che possono essere soltanto calciatori o società.

2. L’attività di Agente può essere effettuata solo da persone fisiche che abbiano ottenuto la Licenza. L’Agente ha tuttavia la facoltà di organizzare la propria attività imprenditorialmente, attribuendo ad una società, costituita ai sensi della legislazione civilistica vigente, i diritti economici derivanti dagli incarichi, a condizione che: a) ciò sia espressamente autorizzato dal calciatore all’atto del conferimento; b) l’attività dei dipendenti sia limitata a funzioni amministrative; c) la società abbia come oggetto sociale esclusivo l’attività disciplinata dal presente regolamento ed eventuali attività connesse e strumentali e che l’Agente non sia socio di altre società con analogo oggetto sociale; d) il numero degli agenti soci non sia superiore a cinque; e) la maggioranza assoluta del capitale sociale sia posseduta direttamente dai soci agenti; f) nessuno dei soci sia legato da rapporto di coniugio, di parentela o di affinità fino al secondo grado, con Agenti non soci o con soggetti comunque aventi un’influenza rilevante su società di calcio italiane o estere; g) nessuno dei soci sia una persona giuridica; h) i soci che non sono Agenti abbiano e mantengano i requisiti richiesti per il rilascio della Licenza, con l’eccezione del superamento della prova di idoneità, e comunque non versino in una delle situazioni di incompatibilità o divieto previste per gli Agenti dal presente regolamento; i) la rappresentanza legale della società sia attribuita ad un Agente socio.

2. L’attività di Agente può essere effettuata solo da persone fisiche che abbiano ottenuto la Licenza. L’Agente ha tuttavia la facoltà di organizzare la propria attività imprenditorialmente, attribuendo ad una società, costituita ai sensi della legislazione civilistica vigente, i diritti economici derivanti dagli incarichi , a condizione che: a) ciò sia espressamente autorizzato dal calciatore all’atto del conferimento; b) l’attività dei dipendenti sia limitata a funzioni amministrative; c) la società abbia come oggetto sociale esclusivo l’attività disciplinata dal presente regolamento ed eventuali attività connesse e strumentali e che l’Agente non sia socio di altre società con analogo oggetto sociale; d) il numero degli agenti soci non sia superiore a cinque; d) la maggioranza assoluta del capitale sociale sia posseduta direttamente dai soci agenti; e) nessuno dei soci sia legato da rapporto di coniugio, di parentela o di affinità fino al secondo grado, con Agenti non soci o con soggetti comunque aventi un’influenza rilevante su società di calcio italiane o estere; f) nessuno dei soci sia una persona giuridica; g) i soci che non sono Agenti abbiano e mantengano i requisiti richiesti per il rilascio della Licenza, con l’eccezione del superamento della prova di idoneità, e comunque non versino in una delle situazioni di incompatibilità o divieto previste per gli Agenti dal presente regolamento; h) la rappresentanza legale della società sia attribuita ad un Agente socio.

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calcio e legge

Agenti Figc Vecchio testo

Nuovo testo

3. L’elenco dei dipendenti e collaboratori, la copia autenticata dell’atto costitutivo della società, dello statuto, del libro dei soci, l’elenco nominativo degli organi sociali, nonché delle eventuali variazioni periodicamente intervenute, devono essere depositati presso la Commissione Agenti entro venti giorni dalla costituzione della società o dalle modifiche intervenute

3. L’elenco dei dipendenti e collaboratori, la copia autenticata dell’atto costitutivo della società, dello statuto, del libro dei soci, l’elenco nominativo degli organi sociali, nonché delle eventuali variazioni periodicamente intervenute, devono essere depositati presso la Commissione Agenti entro venti giorni dalla costituzione della società o dalle modifiche intervenute

Clausola compromissoria Art. 24

Controversie Internazionali Art. 24

1. Ogni controversia nascente dall’incarico di cui all’art.16 è decisa dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI (il “Tribunale” ) ai sensi del relativo regolamento pubblicato a cura del CONI

1. Ogni controversia nascente dall’incarico di cui all’art.16 è decisa dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport presso il CONI (il “Tribunale” ) ai sensi del relativo regolamento pubblicato a cura del CONI

2. Ai soggetti che non ottemperano ai lodi verranno applicate le sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva.

2. Ai soggetti che non ottemperano ai lodi verranno applicate le sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva.

3. In caso di controversie internazionali relative all’attività di Agente, una richiesta di procedura di arbitrato può essere presentata alla Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA.

1. In caso di controversie internazionali relative all’attività di Agente, una richiesta di procedura di arbitrato può essere presentata alla Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA.

4. Se dalla trattazione di una controversia emergono profili disciplinari, la Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA ovvero il giudice unico (se competente) trasmette gli atti alla Commissione Disciplinare con la richiesta di avvio di un procedimento disciplinare, in conformità con il codice di disciplina della FIFA.

2. Se dalla trattazione di una controversia emergono profili disciplinari, la Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA ovvero il giudice unico (se competente) trasmette gli atti alla Commissione Disciplinare con la richiesta di avvio di un procedimento disciplinare, in conformità con il codice di disciplina della FIFA.

5. La Commissione per lo Statuto dei Calciatori o il giudice unico (se competente) non possono avviare un procedimento disciplinare se sono trascorsi più di due anni dall’evento che ha dato origine alla controversia o se sono trascorsi più di sei mesi dalla cessazione dell’attività da parte dell’Agente coinvolto. La prescrizione è rilevabile d’ufficio.

3. La Commissione per lo Statuto dei Calciatori o il giudice unico (se competente) non possono avviare un procedimento disciplinare se sono trascorsi più di due anni dall’evento che ha dato origine alla controversia o se sono trascorsi più di sei mesi dalla cessazione dell’attività da parte dell’Agente coinvolto. La prescrizione è rilevabile d’ufficio.

6. Le singole procedure per la risoluzione delle controversie relative all’attività di Agente sono ulteriormente regolate dal regolamento di procedura della FIFA per i procedimenti innanzi la Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA e la Camera per la Risoluzione delle Controversie della FIFA.

4. Le singole procedure per la risoluzione delle controversie relative all’attività di Agente sono ulteriormente regolate dal regolamento di procedura della FIFA per i procedimenti innanzi la Commissione per lo Statuto dei Calciatori della FIFA e la Camera per la Risoluzione delle Controversie della FIFA.

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l’inchiesta

di Barnaba Ungaro

Facciamo il punto dopo il “Viareggio”

Ciro Ferrara: “Credia per un auspica

Prima la soddisfazione di riportare la “Beneamata” a rivincere in Versilia dopo due anni, e poi la soddisfazione di costituire una sorta di asse portante del nuovo biennio Under 21 affidato a Ciro Ferrara, neo Commissario Tecnico ex di Napoli e Juventus. Quattro sono i ragazzi interisti, reduci dal successo nella Coppa Carnevale, convocati da Ferrara nelle amichevoli di marzo contro Svezia e Germania: Francesco Bardi, classe 1992, premiato come miglior portiere, Cristiano Biraghi, esterno sinistro difensivo anch’egli del 1992, Davide Faraoni, esterno destro difensivo del 1991, e Lorenzo Crisetig, centrocampista del 1993. “Ma non si pensi a queste convocazioni come un premio per la vittoria

Dal Viareggio, comunque, ha trovato indicazioni importanti per la sua Under 21? “Non c’è dubbio che da sempre la Coppa Carnevale rappresenti l’eccellenza del calcio giovanile in Italia, ed anche in questa edizione nel abbiamo avuto la conferma. Ho seguito da vicino alcune partite della fase finale, e di qualità ne ho vista. Oltre ai ragazzi interisti, cito ad esempio, ho convocato anche un altro dei protagonisti della finale come Camporese. In linea di massima ho già un’idea del gruppo su cui lavorare per il prossimo biennio, e non escludo che vi possano essere inserimenti di ragazzi che si sono messi in evidenza nel Viareggio 2011, però questi giovani sarebbe auspicabile uscissero dal campionato Primavera”.

al Torneo di Viareggio” – puntualizza Ferrara – “in realtà Biraghi e Faraoni si erano già distinti da tempo, mentre con Bardi e Crisetig ho avuto la necessità di coprire ruoli con caratteristiche diverse rispetto a quelle già individuate nel gruppo che stiamo costruendo”.

Durante la Coppa Carnevale si dichiarò favorevole ad un abbassamento del limite di età della categoria Primavera. “Lo confermo. In chiave Under 21, ragazzi del 1991 e 1992 che il prossimo anno giocassero ancora in Primavera si ritroverebbero penalizzati nella loro crescita calcistica. Nella stagione in corso capita di vedere impegnati in questa categoria calciatori non solo del 1991, ma anche del 1990. Giocare tra ragazzi non è un arricchimento, muovendosi tra pari età non si migliora. Nell’ultima amichevole, abbiamo affrontato una Germania con 7/11 del 1990, molti dei quali già titolari in Bundesliga; un situazione impensabile oggi per la nostra Under 21. I nostri giovani valgono, dispongono di qualità, ma hanno una esperienza inferiore e diversa: inferiore perché giocano poco, e diversa perché tra quelli che giocano di più sono pochi quelli che lo fanno ad alto livello. Ed io devo convocare chi va in campo con più costanza; arrivo, come vedete, a chiamare ragazzi non solo di

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Qui sopra, la formazione dell’Inter festeggia la vittoria della Coppa Carnevale dopo la vittoria contro la Fiorentina. A destra, l’attaccante interista Dell’Agnello, grande protagonista della finale. Sotto, Masi della Fiorentina e Ardizzone del Palermo.

B e della Lega Pro, ma anche della Primavera”. Quali rimedi, quindi? Sembrerebbe mancare la mentalità giusta, lo si ripete da tempo. “In Italia ci sono più pressioni, questo è un dato di fatto, diventa più difficile lanciare i giovani. Nel mio ruolo di C.T. dell’Under 21 ovviamente spero in un cambio di rotta; per i rimedi, è compito delle istituzioni studiare, o meno, le possibili alternative”. Una prima soluzione potrebbe essere quella di abbassare il limite del campionato Primavera, per l’appunto.


l’inchiesta

amo nei giovani ato salto di qualità” “Sarebbe già un primo, significativo, passo di una riforma che a mio parere dovrebbe toccare anche le categorie inferiori, Allievi e Giovanissimi. Spesso si ripetono risultati che evidenziano una netta disparità, 6 a 0, 7 a 0... Una situazione così non serve a nessuno, i ragazzi non si formano adeguatamente”. La miglior medicina per lo sviluppo del nostro calcio, comunque, è quella, poi, di trovare il coraggio di lanciare i giovani. “Di società che sanno lavorare sui vivai in Italia ce ne sono, eccome. La Coppa Carnevale lo ha ribadito. Oltre all’Inter, guidata ottimamente anche sotto il profilo della crescita umana dal responsabile tecnico Roberto Samaden, ho notato altri clubs molto interessanti: il Varese, realtà emergente, l’Atalanta, all’insegna della tradizione così come la Fiorentina, e poi una Roma molto giovane, con molti ragazzi del 1993. Lo ripeto: per crescere non ci si fermi per troppo tempo con la Primavera. È un campionato valido, suggestivo ed interessante, ma deve essere formativo. Per il salto di qualità bisogna che i ragazzi crescano nei campionati professionistici”.

Coppa Carnevale 2011 Così l’Inter si è aggiudicata il Torneo di Viareggio; da notare che già dai quarti di finale vi fossero solamente squadre italiane: Finale (Livorno, 7 Marzo 2011) FIORENTINA – INTER 0-2 Reti: 4’ pt. Dell’Agnello (I); 24’ st. Dell’Agnello rig. (I). Fiorentina (4-3-3): Seculin; Piccini, Fatticcioni (1’ st. Masi), Camporese, Romiti; Salifu (13’ st. Seferovic), Agyei, Taddei; Matos (1’ st. Acosty), Iemmello, Carraro. A disposizione: Miranda, Bagnai, Biondi, Bittante, Panatti, Grifoni. All. Buso. Inter (4-4-2): Bardi; Natalino, Benedetti, Kysela, Biraghi; Faraoni, Romanò (20’ st. Carlsen), Crisetig, Jirasek; Dell’Agnello (34’ st. Bessa), Alibec. A disposizione: Gallinetta, Galimberti, Mannini, Knasmullner, Spendlhofer, Lussardi, Tallo. All. Pea. Arbitro: Rizzoli di Bologna (assistenti Ghiandai di Arezzo e Giordano di Caltanissetta). Note: spettatori 6000 circa; ammoniti Faraoni (I), Alibec (I), Dell’Agnello (I), Agyei (F) Semifinali: VARESE – FIORENTINA 1-2 INTER – ATALANTA 4-1 d.c.r. (0-0 d.t.s) Quarti di finale: SAMPDORIA – VARESE 1-3 INTER – GENOA 1-0 JUVENTUS – ATALANTA 1-3 FIORENTINA – PARMA 5-4 d.c.r. (0-0 d.t.s) Così l’Albo d’Oro nelle ultime cinque edizioni 2007: Genoa 2008: Inter 2009: Juventus 2010: Juventus 2011: Inter

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calcio e legge di Stefano Sartori

A proposito di “giovane di serie”

Addestramento tecni alcuni punti Una disamina accurata dei precedenti giurisprudenziali del Collegio Arbitrale ci consente di analizzare in via quasi definitiva l’istituto, tipicamente italiano, del “giovane di serie in addestramento tecnico” previsto dall’art. 33 NOIF. Premesso che si tratta di una qualifica che presenta profili discutibili alla luce del Regolamento FIFA e della più recente normativa comunitaria, vediamo i punti fermi posti a tutela del calciatore in addestramento tecnico nel corso degli anni.

Diritto alla retribuzione in caso di trasferimento a titolo temporaneo Collegio Arbitrale Milano/CU n° 294/01.03.94 Nella vertenza tra il calciatore Volpi ed il Pisa S.C. (stagione sportiva 1992/93), viene discusso un aspetto importante: in caso di trasferimento a titolo temporaneo a favore di società dilettantistica, al calciatore deve essere riconosciuta l’indennità ex art. 33 NOIF? L’art. 33 comma 2 delle NOIF recita testualmente che il calciatore “giovane di serie” “nell’ultima stagione sportiva del periodo di vincolo” (e cioè la stagione che ha inizio nell’anno in cui il calciatore compie anagraficamente il 19o anno di età), “entro il termine stabilito annualmente dal Consiglio Federale, ha diritto, quale soggetto di un rapporto di addestramento tecnico e senza che ciò comporti l’acquisizione dello status di professionista, ad una indennità determinata annualmente dalla Lega cui appartiene la Società”. L’instaurazione di questo rapporto comporta per la società, oltre che l’obbligo di corrispondere un’indennità, anche la possibilità di esercitare un diritto corrispettivo: infatti, entro la scadenza stabilita dal Consiglio Federale (il 30 giugno di ogni stagione sportiva), “la società per la quale è tesserato il “giovane di serie” ha il diritto di stipulare con lo stesso il primo contratto di calciatore “professionista” di durata massima triennale”. Un’analisi della motivazione della delibera chiarisce senza ombra di

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dubbio le ragioni che hanno ispirato il Collegio, basate principalmente su due punti fondamentali: a) la scelta della società di cedere il giocatore a titolo temporaneo appare in tutta evidenza volta a garantire la conservazione del diritto di stipulare in esclusiva con lo stesso il primo contratto da professionista; b) in secondo luogo, l’indennità non costituisce il compenso del giocatore ma piuttosto la contropartita dovuta dalla società per conservare il diritto stesso (il c.d. sinallagma) Obbligo di fornire le prestazioni Collegio Firenze/CU n° 34/26.03.94 La società S.S. Gualdo chiede la risoluzione del rapporto di addestramento tecnico perché il calciatore Santarelli ha sospeso l’attività, e ciò nonostante un telegramma di diffida. Il Collegio argomenta che l’instaurazione di un rapporto di addestramento tecnico non equivale assolutamente all’instaurazione dì un rapporto contrattuale, per cui il calciatore non è soggetto alla disciplina prevista dall’Accordo Collettivo. Conseguentemente, la richiesta di risoluzione presentata della società, che presuppone la sussistenza di un contratto disciplinato dall’Accordo Collettivo e quindi risolvibile ai sensi dell’art. 15, lett. e), non può essere accolta stante la specifica natura del rapporto di addestramento. Infatti il calciatore non percepisce una retribuzione contrattuale ma una “indennità fissata annualmente dalla Lega cui appartiene la società”, dovu-

ta quale corrispettivo della possibilità da parte della società di esercitare un diritto esclusivo: la stipula del primo contratto da professionista, di durata massima triennale ed alle condizioni economiche (in genere pari al minimo federale) decise d’autorità dalla società stessa (ancora una volta ci si riferisce al c.d. sinallagma) Quindi, non intercorrendo tra società e calciatore alcun vincolo contrattuale che, se esistente, legittimerebbe l’applicazione delle norme collettive, il ricorso viene respinto per affermare il principio secondo il quale il “giovane di serie in addestramento tecnico” non è comunque tenuto a fornire obbligatoriamente le prestazioni. Spese di vitto ed alloggio Collegio Milano/C.U. n° 236/08.02.96 Nella vertenza Fusco/Udinese il Collegio risolve il quesito relativo alle spese di mantenimento del giovane in addestramento tecnico: devono essere considerate a carico della società o no? Il Collegio, motivando il mancato accoglimento della tesi esposta dal club, enuncia il seguente principio: se il “giovane di serie” dovesse provvedere anche alle spese di vitto ed alloggio attingendo esclusivamente da quanto versatogli con l’indennità (attualmente pari, in Serie A, ad € 889) quest’ultima verrebbe a perdere la caratteristica di contropartita per ridursi a semplice contributo, peraltro palesemente insufficiente a garantire la copertura delle spese di mantenimento del calciatore.


calcio e legge

nico: fermi È di tutta evidenza che con gli importi previsti è impensabile che un giovane calciatore riesca a mantenersi, magari lontano da casa, e pertanto alle società spetta l’onere di corrispondere al “giovane di serie in addestramento tecnico” l’indennità annua con l’aggiunta di quanto necessario a coprire le spese per il proprio mantenimento. Trasferimento a titolo temporaneo presso società fallita Collegio Milano/CU n° 9/06.11.2000 Un calciatore tesserato per la stagione sportiva 1999/2000 per la Juventus in virtù di un rapporto di addestramento tecnico viene successivamente trasferito a titolo temporaneo presso il Giorgione Calcio, al tempo militante nel Campionato di serie C2. La particolarità del caso consiste nel fatto che il club presso cui era stato trasferito, e cioè il Giorgione, al termine della stagione sportiva viene dichiarato fallito e quindi escluso dall’organico federale in seguito a provvedimento di revoca dell’affiliazione, con il calciatore che però rimane creditore di cinque dei dodici ratei mensili previsti dal rapporto di addestramento tecnico. Con il ricorso, il calciatore chiede che proprio la Juventus, in quanto titolare del tesseramento, sia obbligata al pagamento del relativo importo residuo, mentre ovviamente di diverso avviso è la società. Il Collegio, richiamando ancora una volta il “particolare vincolo, atto a permettere alla società” di addestrare e preparare il calciatore ed il sinallagma conseguente, accoglie il ricorso del calciatore e quindi, nel condizionare il mantenimento del diritto di prelazione da parte del

club al saldo del residuo dell’indennità annua prevista dal rapporto di addestramento tecnico, lo condanna al pagamento dei cinque ratei mensili pendenti. Risarcimento del danno per mancato addestramento Collegio Firenze/CU n° 25 del 26.03.05 Il calciatore Ferraro, tesserato con la società Teramo Calcio, propone un ricorso con cui chiede l’attribuzione della somma relativa all’indennità spettante ai “giovani di serie in addestramento tecnico” nonché, e qui sta la considerevole novità, il risarcimento del danno subito in ragione della sua esclusione da ogni attività di preparazione e di addestramento. In pratica, la società non ha rispettato la previsione contenuta nell’art. 33, punto 2 N.O.I.F., laddove si prevede testualmente che “i calciatori con la qualifica di “giovani di serie” assumono un particolare vincolo, atto a permettere alla società di addestrarli e prepararli all’impiego nei campionati disputati dalla stessa, fino al termine della stagione sportiva che ha inizio nell’anno in cui il calciatore compie anagraficamente il 19° anno

di età”. In pratica, ha abbandonato il calciatore al proprio destino non consentendogli di partecipare agli allenamenti. Ebbene, pur ammettendo che il danno subito è di difficile quantificazione nel suo preciso ammontare, il Collegio considera fondata la domanda del calciatore e delibera il riconoscimento di un risarcimento per l’inattività alla quale è stato costretto dalla società che, pur avendolo vincolato per l’addestramento, non ha provveduto a fargli svolgere alcuna preparazione formativa. Non frazionabilità dell’indennità Collegio Firenze/CU 26.01.07 Nell’accogliere la vertenza introdotta dal calciatore Sivilla nei confronti del Calcio Chieti, il Collegio precisa che un rapporto di addestramento tecnico, anche qualora venga instaurato dopo il 15 luglio di ciascuna stagione sportiva, comporta che l’indennità, in quanto non corrispettivo per l’attività svolta ma soltanto importo dovuto dalla società per acquisire lo speciale diritto di prelazione, non sia frazionabile nel suo ammontare e vada quindi corrisposta per intero.

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l’incontro

Come stai?

Nicola Ventola

“Cari amici, era inevitabile, prima o poi sarebbe arrivato questo momento, anche se, uno spera sempre che sia più poi che prima. La mia vita è sempre stata legata a questo fantastico gioco e mi reputo davvero fortunato di averne fatto parte. Il calcio mi ha dato tanto. L’ho sempre vissuto con intensità, regalandomi tante emozioni e soddisfazioni, ma talvolta, come nella vita, anche dolori e frustrazioni... e ora, pur avendo cercato di combattere ed andare ancora avanti, è arrivato il momento di guardare ad un futuro diverso; importanti problemi fisici che mi affliggono da tempo, purtroppo non mi consentono più di allenarmi e di continuare l’attività agonistica. A tutti: compagni di squadra ed avversari, tifosi, allenatori, presidenti, staff tecnici e a voi giornalisti, un abbraccio sincero, tutto resterà indelebile nella mia mente ma soprattutto, nel mio cuore. Grazie”. Quello qui sopra è il testo integrale della lettera d’addio di Nicola Ventola (sul sito del Novara Calcio) che ha dunque deciso di dire stop al calcio a soli 31 anni non ancora comcom piuti (a magmag gio). Contratto consensualmen consensualmente risolto col Novara e

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avanti, anche magari cercando di capire quel che potrà fare ora che il calcio giocato è stato per l’appunto messo da parte. Intanto la chiamata di Sky per fare da spalla tecnica per quel che riguarda le partite del suo ex Bari ed è lo stesso Ventola a riconoscere che ora come ora non ha certo idee chiare su quel che potrà essere il suo futuro. Lo abbiamo sentito.

Intanto: quale “il” problema per cui hai deciso di lasciare? “Dopo tutti gli infortuni che ho avuto alle ginocchia i problemi che avevo lì li ho risolti e così il problema principale che adesso mi ha portato a smettere di giocare è nato tre anni fa, ero col Torino. Mi capitò così di prendere un colpo da cui scaturì un’ernia cervicale che andava a toccare il midollo. Andavo avanti prendendo cortisone, avevo dolore, dovevo stare attento nei colpi di testa. C’era la possibilità di essere operato, rischiosa magari perché c’era il midollo di mezzo ma insomma con la tecnologia di adesso era una strada percorribile, però mi avrebbero applicato una placca di metallo al collo e non sarebbe stato certo il massimo per un calciatore. Poteva insomma anche succedermi paraliz qualcosa di grave, da stare paralizzato. Ho pensato così anche alla mia famiglia, ho moglie e un figlio... No, non è stata una decisione venu improvvisa, è venuta un po’ alla volta. In più all’inizio di questa stagione ero titolare, questo mi aveva dato parecchie motivazioni, poi c’è stata l’esplosione in attacco di

Bertani e Gonzalez: anche per questo mi sono deciso”. Professionista per 17 anni: era un sogno che avevi sin da ragazzo? “Sì, il calcio è stato da subito e da sempre una grandissima passione, credo d’essere nato con quel qualcosa che era già in me, dato che i miei genitori di calcio non ne sapevano assolutamente nulla, entrambi laureati, certo non pensavano a me come un calciatore. Con la scuola ho finito lo Scientifico, poi m’ero anche iscritto a Giurisprudenza a Bari, ne ho fatti anche cinque di esami ma poi ho lasciato stare. Sì, ho esordito in A a 16 anni ma è stato dopo, quando ne avevo 18, che ho capito che ci potevo stare anch’io, che lo potevo per davvero fare il calciatore. Quell’anno, dei miei 18 anni intendo, eravamo in B, siamo saliti in A, ho fatto 10 gol, tante squadre a volermi. Gli anni del settore giovanile li ho fatti a Bari, ne ho un buon ricordo, mi hanno trattato bene, a loro interessavo sì come calciatore, avevano un po’ scommesso su di me, ma guardavano anche alla persona, quanto hanno insistito anche loro perché continuassi con la scuola. Il mio “tassista” è stato il mio povero papà, quanti sacrifici hanno fatto i miei... a loro intanto bastava vedermi felice, è stato dopo che papà s’era anche appassionato”. Certo che non ci sei andato piano con gli infortuni... “Beh, così è andata. Quelli davvero gravi sono stati soprattutto due, uno dei quali, quello alla cartilagine di un ginocchio, m’ha tenuto fermo in pratica per un anno intero. Sempre sono stato però aiutato da persone capaci, che hanno fatto in modo che tenessi da un punto di vista mentale. Vedevo


l’incontro

comunque che da ogni infortunio riuscivo a recuperare, la tecnologia ti sa dare ormai una grossa mano, anche se dai e dai m’ero bene accorto che ne avevo perso di velocità e di forza fisica, quelle che erano in fondo le mie caratteristiche principali insomma. Ecco, magari avrei potuto fare una carriera simile a quella di Vieri, penso che le mie di caratteristiche somigliassero alle sue, avrei potuto così vincere qualcosa in più. Se rivado indietro, penso per esempio all’Under 21, ero allora l’elemento più rappresentativo e lì con me esordirono quattro campioni del mondo, penso a Pirlo, Gattuso,Totti e Buffon. Questo insomma per dire che certo avrei potuto fare di più. Ma in ogni caso mi ritengo lo stesso un fortunato, io ci credo nel destino e nonostante tutti i problemi che ho avuto sono lo stesso arrivato a giocare 190 partite in serie A”.

un’altra con l’Atalanta, per proteste, lì magari mi capitò di perdere un po’ il controllo ma devo dire che il mio è stato sempre un buon rapporto con gli arbitri e penso di essermi sempre comportato bene, a modo”.

Le stagioni più belle? Qualche gol ti è rimasto dentro? Quale invece che ancora non sai come hai fatto a sbagliare? E poi, come è andata con gli arbitri? “I campionati che ricordo con più piacere sono il mio primo all’Inter e quello fatto a 18 anni col Bari, quando siamo saliti in B, con lo stadio sempre pieno con 60.000 spettatori. Di gol belli me ne ricordo in particolare due: uno che ho fatto al Milan, giocavo con l’Atalanta, l’ho fatto al volo di sinistro ed è finito nel sette; l’altro con l’Inter, pensa che me l’ha toccata Ronaldo quella punizione. Di gol sbagliati ne ho parecchi purtroppo, quello che più ricordo è quello contro il Feyenoord, per la semifinale di Coppa Uefa, fu quello un errore un po’ clamoroso, passarono loro quella volta (del Feyenoord pure la vittoria finale: battuto il Borussia Dortmund per 3 a 2; n.d.r.). In carriera di espulsioni dirette ne ho avute due. Una con l’Inter quando l’unica cosa che avevo fatto era stata quella di cercare di difendere Baggio e mi ricordo il cazzotto che ho preso da Lassissi, ecco tutto, io c’entravo in quell’episodio giusto per il pugno che mi sono preso, nient’altro. Poi

E adesso? “Non lo so ancora che farò in futuro. Allenare no, col calcio potrei pensare a un ruolo da dirigente, forse anche come direttore sportivo ma comunque ora come ora non mi sentirei né mi sento pronto per fare nulla, devo studiare e prepararmi, per poi fare le cose anima e cuore. Intanto mi è arrivata questa proposta di Sky, per le partite del Bari: è calcio insomma, si parla di qualcosa che conosco e allora ci può stare”.

D’accordo, dura dare consigli: cosa ti sentiresti magari di dire a un giovane che comincia? “Mah, devo dire che mi par di capire Balotelli come prima potevo capire Cassano. Ci si trova catapultati su realtà così grandi, prendendo pure tanti soldi, senza averne la maturità, senza esserne pronti e nessuno può esserlo a quell’età. Allora ai giovani direi di farsi consigliare da coloro che vogliono loro bene, senza che abbiano interessi di mezzo, ai genitori per esempio, figure così, che riescano a farti capire quale sia la realtà, cercando di farti rimanere con i piedi per terra come sempre si dice”.

La scheda Di Grumo Appula, provincia di Bari, del maggio 1978, Nicola Ventola sull’almanacco della Panini ha le “misure” di m.1,85x80 kg. Cresciuto nelle giovanili del Bari, ha fatto il suo esordio in serie A esattamente il 6 novembre del 1994 subentrando nei minuti finali a Tovalieri in un Fiorentina-Bari terminato 2 a 0 per i toscani (reti di Cois e di Batistuta su rigore). Quattro le stagioni di Ventola al Bari tra A e B; ha poi giocato con le maglie di Inter, Bologna, Atalanta, Siena, Crystal Palace, Torino e Novara. Campione d’Europa con l’Under 21 nel 2000 (fase finale in Slovacchia), s’è piazzato al secondo posto nell’edizione del 1995 degli Europei Under 19 disputata in Grecia. Sono 21 le sue presenze con l’Under 21 (8 gol) mentre con la Nazionale maggiore c’è la convocazione per l’amichevole con la Svizzera nell’ottobre 1998 (a Udine, vittoria dei nostri per 2 a 0; c.t. Dino Zoff). Durante quella partita restò in panca e dunque nessuna presenza per lui. A questo proposito ecco il ricordo di Ventola (dalla Gazzetta dello Sport): “Fu quella contro la Svizzera la partita in cui debuttò anche Totti. Allora Zoff mi disse che il successivo novembre, c’era la partita contro la Spagna a Salerno, sarebbe toccato a me: tre giorni prima del debutto in azzurro, in Inter-Samp, mi faccio male al collaterale e salta tutto”. Sposato con l’ex modella Kartika Luyet, ha un figlio (Kelian).

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Io e il calcio

l’intervista

Matteo Tagliariol, schermitore (spada)

“Sin da piccolo, ma proprio piccolo, era D’Artagnan il mio idolo, proprio così. Già a tre anni prendevo i legnetti, per me erano spade e sempre a lui pensavo quando ci giocavo. Poi a sei anni, per caso, sono capitato dentro a una sala scherma e mi sono reso conto che era quello lo sport di D’Artagnan, dunque non poteva che essere anche il mio. Di sport ne ho fatti altri, sci e nuoto per esempio, sempre da “individualisti”, mi ci ritrovo meglio; con gli sci andavo anche bene, avevo delle soddisfazioni, ma è stata insomma la scherma proprio a catturarmi. Ho iniziato così a sei anni, le gare solo più avanti, quando ne avevo 9-10: ero sì uno promettente ma nemmeno poi tantissimo, in confronto avevo avuto più risultati con lo sci, ma avevo proprio ‘sta fissa per la scherma, poco da fare”.

“Perché proprio la spada? È successo così. Sino ai 13 anni facevo sia fioretto che spada, me la cavavo bene con entrambi anche se a me piaceva di più il fioretto. Lì a Treviso, la mia città, avevo un maestro, Ettore Geslao, lui era stato uno spadista e anche nel modo d’insegnare tendeva a portarci verso la spada ma non poi così tanto però, importante per lui è che io facessi quel che volevo, quel che sentivo di più. Poi c’è stato l’incontro con l’allora c.t. dell’Under 20, se non sbaglio era Macchi. Ebbene, lui a dirmi che era la spada il mio futuro, che era ormai tempo che cominciassi a specializzarmi, che era importante, che il livello è tale ormai che non bisogna trascurare nulla eccetera. All’inizio io non ci volevo stare, lui insisteva e fu il mio maestro a chiedermi un giorno cosa poi vedessi nel fioretto, come mai insomma lo preferissi così tanto. Ricordo che risposi perché a mio modo di vedere era l’arma più libera che c’è nella scherma, una cosa questa di cui io sentivo di aver bisogno, proprio che per

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il carattere che ho. Allora il mio maestro Geslao mi propose di fare alcune lezioni specifiche sulla spada, un ripasso come diciamo noi. Fu così che capii che era invece proprio la spada quella che più lascia ognuno libero di fare quel che vuole, è l’arma in cui non ci sono praticamente regole, ognuno può interpretarla a modo proprio. Ed è una cosa questa che effettivamente la si riscontra nel mio modo di fare spada, imprevedibile ed estroso: come ho detto, anche di carattere sono così”. “Il maestro Geslao ora non c’è più, sono stato con lui sino ai miei 19 anni. È stato lui a darmi le basi su cui poi ho costruito la mia carriera. Di suo era uno un po’ rigido ed era quello che mi ci voleva, avrei anche la tendenza di mettere i piedi in testa a tutti io, serve insomma uno d’autorità con me. È stato in definitiva un secondo padre, con cui ci sono stati dei periodi in cui ho passato più tempo che con i miei genitori (non sto esagerando). Mi ha insegnato tanto, in pedana e fuori: è stata per lui la prima dedica sin che a Pechino avevo la medaglia d’oro al collo”. “Anche a calcio ho giocato, adesso caca pita che si giochi a calcetto ma tendo a giocare solo con gli amici, loro sanno che ci devo stare attento, lo tirano via insomma il piede, non mi fanno delle entrate. In effetti io l’ho dato un piede al calcetto, me lo sono rotto giocando. C’è poi il discorso dell’individualismo, già da piccolo vedevo che non mi andava quel solito discorso che è la squadra che perde, non il singolo. Ma quando si perdeva perché c’era chi sbagliava io non ero d’accordo; avevo sì insomma perso anch’io ma perché era stato lui a sbagliare. Stessa cosa se per

dire ero stato io a fare il gol decisivo: pensavo che ero stato io a far vincere gli altri, non era insomma di tutti il merito. Sin da piccolo ho sempre tifato Milan, quanto ho ammirato quella squadra con Gullit e Van Basten, mi piaceva anche come giocava, non solo perché vinceva. Non sono però un tifoso sfegatato, quasi sempre sono via, seguo in televisione o in internet, non ci vado molto allo stadio ma appena posso la vado a vedere la partita. È dal 2003 che vivo a Milano e ogni tanto capita così di conoscere di persona qualche calciatore, tipo Abbiati, era vicino di tavolo, ci siamo fatti quella volta i reciproci complimenti, uno proprio alla mano lui”. “Lo spazio che viene riservato al calcio lo trovo esagerato, è questo che un po’ mi rompe. Sì, sono consapevole quanto muove in soldi e tutto, non è possibile certo fare paragoni con la scherma, però qualcosa la si potrebbe fare. In Francia per esempio, quando rugby e anche la stessa scherma riescono a centrare il grande risultato, le proporzioni si spostano, non è insomma come da noi dove se vinci hai massimo tre righe.


l’intervista

Ricordo la pagina della Gazzetta per il mio oro a Pechino: metà dello spazio era per me e metà per un gol di Giuseppe Rossi in allenamento! Vedrei così qualche pagina di meno per il calcio e più per altri sport e non sto parlando solo della scherma. Dove noi abbiamo comunque quella che considero il campione più grande dello sport italiano, Valentina Vezzali. Ma come, lei vince e a volte non mettono nemmeno un richiamo in prima pagina?!?” “È vero, quel che si vede è quel nostro tempo in pedana durante gli assalti, però dietro c’è veramente un grosso lavoro. Adesso che ho modo di essere a contatto con dei calciatori, mi sto rendendo conto che noi facciamo di più, quasi sempre è doppio allenamento tutti i giorni, con dentro lavori con i pesi, a corpo libero e col lavoro tecnico che lo si fa almeno cinque volte la settimana. Lavoriamo anche noi con figure di professionisti, tipo il vostro preparatore atletico; adesso ho cominciato ad avere pure una mental coach: tutti sempre a dirmi che sono un gran talento e come mai non riuscivo più a vincere? Visto che i miei problemi possono essere per esempio sul piano della concentrazione, perché non fare in modo di allenare pure quella? Anch’io, come so che capita ai calciatori, è specialmente dopo le gare che faccio fatica a dormire. Di mio sono anche troppo calmo e così devo lavorare su di me per alzare il livello della tensione: se sono teso allora sì che sto più attento. Oltre allo staff della Nazionale, ho poi altri professionisti che lavorano per me (uno di questi è la mental-coach) e così nella mia preparazione c’è lo spazio pure per visionare filmati degli altri spadisti, sono una ventina adesso coloro che sono proprio in cima alla piramide. È un qualcosa che anche gli altri atleti ora stanno facendo presente alla Federazione, è proprio vero che più si va avanti, più c’è bisogno di tutti”. “Paura del dolore? Beh, sì, ci si fa male con le spade ma lì ci aiuta l’adrenalina. È un qualcosa con cui si deve convivere, come quell’altra “paura” dell’avversario che hai davanti. Perdere da noi significa in pratica che sei proprio morto, in più sei lì con la spada, l’arma che in fondo più si avvicina al duello vero e proprio. È un qualcosa che c’è, con cui devi come

La scheda Matteo Tagliariol è nato a Treviso nel gennaio del 1983. Ha iniziato con la scherma fin da bambino e la sua prima società è stata la “Lame della Marca trevigiana” (maestro Ettore Geslao). Spadista, ha vinto a Pechino all’olimpiade del 2008, l’oro nella prova individuale e il bronzo in quella a squadre (assieme a Stefano Carozzo, Diego Confalonieri e Alfredo Rota. Campione del mondo giovanile con la squadra azzurra a Danzica (Polonia) nel 2001, a livello di mondiali è stato argento individuale ad Antalya (Turchia) nel 2009 e ancora argento a squadre a San Pietroburgo (Russia) nel 2007; per quel che riguarda gli Europei: argento individuale a Gand (Belgio; 2007); bronzo a squadre sia nel 2008 a Kiev (Ucraina) che nel 2009 a Plovdiv (Bulgaria). Quattro poi le sue vittorie in Coppa del Mondo: dopo Tallin (Estonia), Berna (Svizzera) e Montreal (Canada) nella stagione 2007/2008, in questo marzo 2011 è arrivata la vittoria nel prestigioso “Challenge Monal” a Parigi (Francia). Fa parte del Centro Sportivo dell’Aeronautica Militare. detto convivere, devi saperla tenere dentro la linea. Di momenti liberi avrò in tutto dieci giorni all’anno e questo è un “sacrificio” che mi dà meno fastidio di prima. Già, i miei amici fuori a bersi una birra da qualche parte e io in palestra: perché devo farlo? Per fortuna ci sono i risultati che aiutano e soprattutto il fatto che mi piace molto questo che faccio, molto. Con la scuola ho fatto il classico, anche un anno di università ma poi ho smesso. L’ho fatto per scelta, non ho mai avuto un buon rapporto con la scuola, spesso scontri con i professori. Non così per la cultura, sono affamato di leggere e ho poi in casa un esempio, mia madre, che ha preso la sua seconda laurea a 40 anni: dunque per me quello della scuola lo vedo più che altro un appuntamento che sto ancora rinviando”. “Per arrivare alle Olimpiadi di Londra del prossimo anno c’è ora la qualifica olimpica: otto gare più gli Europei e i Mondiali (a Catania). Per essere sicuri bisogna piazzarsi tra i primi dodici e tra

questi dodici essere nei primi due italiani. No, da campione olimpico in carica non ho nessuna wild card, bisogna riguadagnarsi tutto. Ora come ora sono al nono posto, dopo tanto tempo sono tornato a vincere in una prova di Coppa del Mondo (anche queste danno punteggio). L’essere in forma lo sento con la giusta preparazione fisico e mentale, vedo che in gara sbaglio meno, il tempo e la misura, cose essenziali per noi, le avverto come amplificate e mi trovo così ad essere sempre una mossa avanti a chi mi sta di fronte. Sono giovane ancora, se tutto va bene ho ancora 7-8 anni davanti, non escludo così che possa arrivare anche alle Olimpiadi in Brasile. Poi non so bene che farò. Intanto farmi una famiglia, questo è sicuro, poi continuare a stare dentro la Federazione o il Cio, non so. Per ora i miei sogni sono solo sul piano sportivo; li facevo anche da bambino e quando capii che era l’Olimpiade la gara più importante, sin da subito fu quella che m’ero messo in testa di vincere”.

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pianeta Lega Pro di Pino Lazzaro

Tommaso Chiecchi, rappresentante Aic del Lecco

“La C è cambiata: pochi soldi,

“Nella mia famiglia c’è stato mio nonno che a suo tempo ha giocato a calcio, anche lui difensore centrale; lì nel mio paese, a Zevio, una ventina di chilometri da Verona, poi lui ha smesso per andare a lavorare, erano altri tempi allora. Io ho cominciato da pulcino sempre a Zevio, poi sono venuti a vedermi anche quelli del Chievo, potevo andare al Verona o al Chievo e ho preferito il Chievo, mi pareva una realtà più giusta per me quella. I miei “tassisti” sono stati i miei genitori, anche mio nonno poi mi ha seguito; il tutto è andato avanti sin quando ho cominciato ad andare a scuola a Verona. Con l’autobus, via alla mattina molto presto e ritorno a casa alle sette e mezzo di sera, panini e via per pranzo. Con la scuola sono arrivato, purtroppo, solo sino alla quinta geometri, poi ho lasciato stare. Ero in giro per la serie C, gli impegni che avevo non erano solo quelli da studente: peccato che lì a scuola non mi abbiano dato una mano, non è insomma che si siano sforzati di capire, di vedere di venirmi un po’ incontro, anzi! Di quel mio periodo nel settore giovanile del Chievo – ho avuto la fortuna di farli tutti da loro i miei anni da ragazzo – ho un ricordo bellissimo. A quel tempo eravamo praticamente tutti da Verona, non era come adesso, con tanti stranieri e tanti anche che vengono da fuori, da più lontano. Così ci si conosceva tutti, ci si incontrava anche a scuola, era un po’ come essere a casa: si stava bene col Chievo ed è stata questa una delle fortune che ho avuto col calcio”. “No, non mi pare d’aver mai sognato di voler fare proprio il calciatore, non sono mai stato “attaccato” a questa idea, no. Quel che a me piaceva era

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insomma proprio giocare, stare sul campo, anche la televisione la guardavo poco: c’era meno di adesso, ma non stavo lì tanto a seguire. Anche quando ho esordito in B col Chievo non è che avessi del tutto capito la situazione. L’importante per me era dunque sempre il giocare, il divertirmi: ero nella squadra della città, ero giovane e magari anche un po’ incosciente. I primi anni di C sono stati un divertimento, il calcio non era ancora un mestiere ed è stato più avanti, quando sono cresciuto e mi sono fatto una famiglia, che è diventato un lavoro e a poco a poco è diventato quel che è adesso: la cosa più importante della mia vita. Se sono uno “serio”? Sì, chi mi conosce sa che tipo sono. Penso insomma di essere sempre stato serio e umile; certo, errori ne ho fatti anch’io da giovane, come tutti fanno, ma giusto per dirne una quando ho incontrato quella che adesso è mia moglie, avevo 21 anni”. “Se potevo fare di più? È una domanda che mi faccio spesso anch’io, però subito me ne viene un’altra di domanda: poteva andare peggio? Alla fine insomma uno ha la carriera che ha; alcune scelte le ho fatte giuste, altre meno però la realtà dice che ancora sto giocando, che ancora mi sto divertendo e dunque va bene così. Al dopo ci penso, più di qualche volta. L’ambiente del calcio mi piace e penso che mi piacerebbe rimanerci, soprattutto a livello

di campo, non certo di uffici. Potrei fare così l’allenatore dei giovani o avere comunque la possibilità di stare a contatto con loro. Credo che ci potrei stare e il tutto con calma, non ho nessun sogno particolare se mai farò l’allenatore”. “Sono il rappresentante dell’Associazione perché è un ruolo che mi piace, che in qualche modo responsabilizza. Qui


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pianeta Lega Pro

troppi giovani” sono anche il capitano e poi ho un buon rapporto col delegato dell’Aic, con Paolo Bianchet, un qualcosa che mi fa piacere fare insomma. Qui prima di me c’era Corrent che faceva il capitano, lui è poi andato via, s’era rimasti in pochi e l’allenatore ha scelto me. Credo d’essere un caca pitano permissivo, ecco, non sono insomma di quelli che attaccano i compagni al muro, come si dice,

Tommaso Chiecchi, rappresentante Aic del Lecco, è nato a Zevio (Verona) nel novembre del 1979. Cresciuto nel settore giovanile del Chievo, ha esordito in prima squadra nella stagione 1996/1997, il Chievo allora era in serie B. Dopo un’altra stagione col Chievo (sempre in B), ha via via giocato con Brescello (C1), Spal (C1), Lumezzane (C1), Lucchese (C1), Varese (C1), Foggia (C1), Vittoria (C1), ancora in B con Modena e Chievo, Lumezzane (Prima Divisione) e Pro Patria (Prima Divisione). Sposato con Silvia, una figlia di 4 anni di nome Asia, è alla sua prima esperienza nella Seconda Divisione (la ex C2).

specie i giovani poi. Io sono cresciuto in un calcio in cui c’erano delle regole che sarebbe bene ci fossero anche adesso ma quel che davvero conta penso siano il comportamento e l’impegno, questi sì sono fattori importanti. È poi il campo a far vedere chi fa bene e chi no, non servono tante parole per questo. Sì, direi che sono invece un capitano abbastanza silenzioso e l’importante, lo ripeto, è lo stare dentro le regole e questo vale per tutti, sia giovani che vecchi; tenendo anche conto che in questa quelcategoria sono proprio i giovani quel li ad essere fondamentali e decisivi. Con loro vado d’accordo, cercando maniedi dire sempre le cose nella manie ra giusta, anche in questo bisogna stare attenti, senza essere antipatici, prepotenti o “fenomeni””. “Per me le cose non sono sempre andate bene a livelli di società, ricordo il fallimento della società a Foggia e pure i problemi avu che abbiamo avuto a Vittoria. Così ho avuto bisogno dell’Associazione e continuo volentieri a rimanerci in contatto. Devo dire che anche al sud mi sono trovato bene, purtroppo noi calciatori siamo sempre condizionati dall’andamento delle partite, dalla classifica e dunque arrivare a fine stagione con un fallimento come a Foggia, rimanendo tanto tempo senza prendere gli stipendi, mi potrebbe

far dire che tutto è stato negativo, che lì il calcio funziona in un certo modo eccetera. Però la verità è che anche al sud mi sono trovato bene. Ecco, qualche stimolo in più può magari venirti per la presenza di parecchi spettatori, di campi di un certo tipo, ma ambienti calorosi ci sono anche qui al nord, penso a piazze come Ferrara, Modena e Varese, la stessa nostra di Lecco: non ho sentito poi tutta ‘sta gran differenza insomma. Magari a livello di strutture invece la si può notare la differenza”. “Qui a Lecco la società è seria e sana, anche ambiziosa. Purtroppo l’ambiente viene da una retrocessione, hanno cambiato parecchio: l’obiettivo sono intanto i playoff, speriamo. Per dire delle ambizioni e intenzioni del presidente, c’è il progetto di creare un centro sportivo, ha questo lui in mente. Pubblico ce n’è abbastanza: è una piazza questa di Lecco in cui la prima cosa che ti chiedono è quella di vincere, la vorrebbero anzi avere sempre questa cosa... purtroppo nel calcio bisogna sempre tenere presente che ci sono anche gli altri. La C? È cambiata tantissimo. Prima c’era molta più meritocrazia; ora invece ci sono pochi soldi in giro e tantissimi giovani, per questo motivo ce ne sono tanti di calciatori che sono a casa: penso anch’io che si sia abbassato – e di molto – il livello tecnico”. “Qualcosa per finire? Vorrei qui approfittare per dire grazie a mia moglie Silvia. Lei mi è sempre stata vicina, per farlo ha anche deciso di abbandonare il suo lavoro ed è una presenza molto importante per me: abbiamo una figlia di quattro anni, l’abbiamo chiamata Asia, è qui a Lecco che va in asilo”.

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primo piano di Nicola Bosio

Il 21 marzo scorso a Milano

Riunione con

i rappresentanti di S

Nell’ottica di andare ad analizzare nello specifico le problematiche relative a ciascun settore, l’Aic ha deciso di organizzare alcuni incontri specifici cominciando dalla Serie B, i cui rappresentanti sono stati riuniti a Milano il 21 marzo scorso.

Crisi economica I problemi che allo stato attuale riguardano questo campionato sono abbastanza differenti rispetto alle altre categorie e i rappresentanti intervenuti hanno subito posto l’accento sulle gravi difficoltà economiche che da alcuni anni attanagliano le società cadette, soprattutto da quando sono sensibilmente calati gli introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi e, non ultima, dopo la scissione della Lega di Milano in Lega Serie A e Lega Serie B. È evidente, come da tempo sottolinea l’Aic, che l’attuale distribuzione delle risorse del nostro sistema calcio continua ad essere iniqua e a farne le spese è proprio la serie cadetta in quanto, se il passaggio (retrocessione) dalla A alla B viene in qualche modo contenuto da un punto di vista economico, i problemi maggiori riguardano il passaggio dalla B alla Lega Pro, che negli ultimi anni ha determinato i fallimenti di molte società non più in grado di onorare i contratti ed iscriversi ai campionati di competenza. A tal proposito è stato evidenziato che le attuali regole per l’iscrizione ai campionati di Lega Pro sono molto più rigide rispetto a quelle della Serie B, conseguentemente la società che retrocede difficilmente riesce a superare i paletti

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imposti. Del resto, da una statistica riferita alla stagione scorsa, se fossero applicati gli stessi parametri richiesti dalla Lega Pro, nemmeno la metà delle attuali società cadette si sarebbero potute iscrivere in Serie B. Partendo naturalmente dal concetto che deve essere rivisto il sistema che regola le distribuzione delle risorse, una strada percorribile (ma al riguardo la Lega non sembra assolutamente disponibile) dovrebbe essere quella di un graduale irrigidimento delle regole al fine di rendere più virtuose le società che si iscrivono al campionato di B e rendere meno traumatico l’eventuale passaggio alla serie inferiore. Limitazione delle rose e giovani Altro problema che riguarda specificatamente questo settore è quello della limitazione delle rose (ormai gli organici sono scesi a 18 unità dal momento che un posto viene sempre tenuto disponibile per eventuali correzioni di mercato) e dell’utilizzo/imposizione dei giovani, politiche nate per un contenimento dei costi più che per la “mission” di facciata della “valorizzazione dei giovani calciatori”. Politiche che non solo non hanno portato beneficio da un punto di vista economico, ma che hanno abbassato notevolmente il livello tecnico del campionato. Se il giovane va in campo perché imposto e non per meriti tecnici, è evidente che viene meno lo spirito della regola; se il giovane va in campo perché è effettivamente di valore crea un’asta che viene meno anche al concetto di contenimento dei costi. Senza contare che, nel primo caso, una volta uscito dall’età richiesta, il giovane è destinato a scendere

di categoria fino a sparire dall’area professionistica; nel secondo caso, si arriva a valutazioni di mercato decisamente esagerate e senza dubbio controproducenti per il giovane stesso. Guardando il problema a 360 gradi ne consegue che il “prodotto calcio Serie B” è diventato, anno dopo anno, meno appetibile con la logica conseguenza di minori entrate da tv, sponsor e presenze di spettatori allo stadio. Rinnovo Accordo Collettivo Altro argomento affrontato è stato quello del rinnovo dell’Accordo Collettivo che, come per la Serie A, dovrà essere discusso a breve con la Lega di Serie B. Al riguardo la Lega ha presentato una serie di richieste che i rappresentanti intervenuti hanno ritenuto assolutamente irricevibili, come ad esempio la riduzione automatica degli emolumenti in caso di retrocessione, la gestione dei “fuori rosa” per gruppi, la cessione dei diritti di immagine alla società, la possibilità di tagliare un contratto dopo un certo periodo di inattività, ecc. Molte richieste, per certi versi, sono esattamente le stesse formulate in prima istanza della Lega di Serie A e che sono state oggetto del lun-


primo piano

Il 28 marzo scorso a San Nicolò (PC)

Serie B

Qui sopra e in basso, alcuni momenti della riunione con i rappresentanti di Serie B che si è tenuta a Milano il 21 marzo scorso.

go contenzioso che ha portato nei mesi scorsi l’Aic a proclamare lo sciopero. Ovviamente gli stessi punti “rigettati” per i calciatori della massima serie verranno respinti anche con la Lega di Serie B, cercando di adeguare il più possibile i due Accordi Collettivi e dando loro la massima omogeneità.

Inaugurato il mini pitch

di Filippo Inzaghi

È stato inaugurato a Piacenza (località San Nicolò) il campo AIC mini-pitch intitolato a Filippo Inzaghi che l’attaccante campione del Mondo ha deciso di donare al comune dove è nato calcisticamente nell’ambito del progetto dell’Associazione Italiana Calciatori, in collaborazione con l’Istituto Credito Sportivo, l’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e patrocinato dalla Figc, denominato “23 campi per 23 campioni”. Si tratta di un’iniziativa di carattere sociale proposta direttamente dai calciatori della Nazionale Italiana; un’idea nata all’indomani della vittoria del Campionato del Mondo dagli azzurri che, rinnovando la loro disponibilità a destinare parte dei loro proventi (integrata dall’intervento dell’Aic) ad iniziative di carattere beneficoumanitario, avevano suggerito di legare un progetto alla vittoria della Coppa 2006, per celebrare degnamente i 23 campioni, forse mai particolarmente “valorizzati” come meritavano per la straordinaria impresa mondiale. L’iniziativa si è così concretizzata con un progetto per la costruzione di ventitre mini-pitch (per calcio, basket, pallavolo, tennis) destinati ai ragazzi, ed intitolati ad ognuno dei campioni di Berlino. Sotto, foto di gruppo con i bambini del San Nicolò, società dove ha iniziato a giocare Filippo Inzaghi. A fianco, la consueta firma accanto al numero della maglia Campione del Mondo.

Punti di intervento In chiusura di riunione, da un punto di vista prettamente operativo, si sono gettate le basi per una sempre maggior collaborazione tra Aic e calciatori individuando 4 principali punti di intervento: 1) creazione di un “gruppo di lavoro” formato da rappresentanti di squadra e rappresentanti Aic; 2) riunioni “settoriali” per individuare problematiche e cercare soluzioni; 3) visite più frequenti di rappresentanti Aic ai ritiri delle squadre; 4) creazione di una sorta di “forum” sul sito internet Aic per dare la possibilità ai calciatori di discutere degli argomenti più sentiti, avere risposte a quesiti di qualsiasi natura, dare suggerimenti e fare osservazioni.

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ha scritto per noi di Alessandro Comi

Attaccante della Sanremese

Alessio Bifini,

“el matador” grossetano con il Castelnuovo che milita in Eccellenza; qui ho anche ritrovato come allenatore Carlo Calabria che è stato mio compagno d’attacco ai tempi della Sanremese in C2 nel 1997, dopo che avevamo vinto il campionato di serie D l’anno prima. Per il resto c’è stato un po’ di caos a livello societario perché sono stati arrestati i presidenti, padre e figlio, Riccardo e Marco Del Gratta. Speriamo di riuscire nell’impresa di salvarci, anche se la situazione non è facile”.

Nato il 26 aprile del 1975 a Grosseto, Alessio Bifini è un attaccante di razza, capace di tirar fuori dal cilindro la giocata più impensabile che ti risolve la partita. Bizzarro nel suo modo di essere, estroverso e con stile, dal fisico longilineo ma non possente, ha nelle sue doti migliori una tecnica invidiabile con ambedue i piedi. Ha sempre dedicato il suo tempo al calcio facendolo diventare, oltre che la sua passione, anche il suo lavoro. È tra i pochi calciatori che può dire di aver giocato 3 Universiadi di fila con la Nazionale Universitaria, rispettivamente in Italia a Palermo (medaglia d’oro), in Spagna a Palma di Maiorca (medaglia d’argento) e a Pechino in Cina. Sposato con Stefania ha un figlio Mattia di 6 anni. Come procede la tua stagione calcistica a Sanremo viste le ultime vicissitudini che sono ruotate negativamente intorno alla Sanremese? “Per quanto mi riguarda le cose non stanno andando male, anzi: sono a Sanremo dove già avevo giocato in passato, mi trovo a meraviglia ed è stato bello ritornare nei professionisti. Sono arrivato a gennaio dopo la prima parte di campionato disputata

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Tra le varie esperienze calcistiche hai nel tuo palmares una vittoria nel Campionato del Mondo Universitario… “Ho avuto la fortuna di disputare 3 Universiadi, (le universiadi sono come le olimpiadi ma solo per studenti universitari): in Sicilia nel 1997 dove vincemmo laureandoci campioni del mondo, poi nel 1999 arrivammo secondi a Palma di Maiorca e infine nel 2001 a Pechino in Cina dove arrivammo settimi. Quali altre soddisfazioni nella tua carriera calcistica? “Bei ricordi sono le stagioni passate a Arezzo e Sanremo dove le vittorie del campionato mi son rimaste nel cuore: ad Arezzo, con allenatore Serse Cosmi, passammo dalla D alla C2 nella stagione 1995-1996; a Sanremo nella stagione 1997-1998

sempre dalla D alla C2. Poi stagioni indimenticabili all’Albinoleffe, società seria e di stampo familiare del presidente Andreoletti, dove mi son trovato veramente bene. Mentre sul campo ricordo un Livorno-Albinoleffe davanti a 14.000 spettatori

all’Ardenza: il mio allenatore Piantoni mi disse, da buon toscano: “oggi qui devi fare cinema”… e cinema fu. Grande partita con personale doppietta che ci fece pareggiare 2-2, per il Livorno segnò 2 gol Protti. Delusioni? “Non ne ho in particolare e nemmeno rimorsi. Mi son sempre divertito e ho sempre apprezzato tutto quello che ogni singola partita mi ha regalato, ogni emozione nel bene o nel male la considero un esperienza affascinante”. Dal futuro cosa ti aspetti? “In questo momento, oltre al calcio, sto assistendo un po’ più da vicino il mio babbo che ha avuto dei problemi di salute. Per il resto cerco di godermi al meglio la vita e la mia famiglia, mi svago ogni tanto con l’hobby della pesca e se avrò la fortuna di rimanere nel mondo del calcio sarò ben contento di rendermi utile per stare a contatto con lo sport più bello del mondo”.


amarcord

La partita che non dimentico

Mi ritorni in mente…

Federico Agliardi (Padova) “Intanto mi piace qui cominciare con la partita con cui a Bochum, in Germania, vincemmo l’Europeo con l’Under 21. Me la ricordo anche se in effetti non ero io

in porta, c’era Amelia, era quello nostro un gruppo davvero tosto, con giocatori come Gilardino, Bovo, Donadel, Zaccardo e così via: se non sbaglio è stata proprio quella l’ultima vittoria europea dell’Under 21. Poi la partita che abbiamo giocato a Roma contro la Lazio e io ero in porta col Palermo. Una di quelle giornate in cui capisci d’essere in una specie di stato di grazia, dove ti trovi così a fare delle cose anche speciali; me la ricordo anche perché ne feci proprio tante di parate, specie nel primo tempo. Ma se proprio devo indicare “la prima”, allora vado ad Ancona-Brescia del 2002/2003, avevo 20 anni, seconda partita in serie A per me, l’esordio l’avevo fatto la settimana prima contro il Bologna. Quel giorno devo dire che pure io ho contributo al pareggio, 1 a 1. Perdevamo 1 a 0 e poi per fortuna ci pensò Baggio che si inventò un gol superando con un dribbling lì sulla linea di fondo il loro portiere. Insomma mi capitò di fare delle belle parate, specie una su Ganz: mi aveva fatto un pallonetto, io in effetti ero un po’ in avanti e comunque ci arrivai, riuscendo anche a tenerla”.

Luigi Piangerelli (Cesena) “Di campionati ne ho vinti cinque, dunque di cosiddette partite decisive ne potrei ricordare più d’una ma quella che per prima mi viene alla mente, forse perché è stata la più recente, è una dello scorso campionato, proprio l’ultima quando col Cesena siamo andati a Piacenza. Per essere promossi in A noi dovevamo vincere ma poteva anche non bastare, bisognava anche vedere cosa avrebbe fatto il Brescia a Padova. Grande tensione dunque in campo, con un orecchio anche a quanto ci dicevano dalla panchina. In effetti tutte quelle ultime settimane erano state lunghe, non solo quella prima di Piacenza. A Cesena la serie A mancava da 19 anni e in più tieni conto che eravamo una neopromossa dalla C. S’era partiti per salvarci, a mano a mano c’è stata la consapevolezza poi che non solo potevamo raggiungere i playoff ma che lo si poteva anche proprio vincere il campionato. La partita della svolta è stata credo quando siamo andati a vincere a Lecce, lì sì ci siamo convinti che potevamo anche puntare direttamente ai primi due posti. A Piacenza abbiamo vinto per 1 a 0, il Brescia a Padova ha perso: serie A per noi! Da Cesena erano venuti in 7-8000 a Piacenza; quando siamo tornati a Cesena

hanno aperto lo stadio, erano in 20.000 ad aspettarci: che soddisfazione, io poi che ci abito a Cesena...”. Nazzareno Scopelliti (Gela) “L’anno è il 2004/005, mi ricordo anche il giorno, era il 19 giugno 2005. Ritorno della finale playoff contro la Cavese, lì da loro avevamo pareggiato, 0 a 0: se dunque alla fine pareggiavamo andavamo su noi del Gela. Stadio stracolmo, ancor più di quanti potevano starci come capienza. Loro forti, noi pure. Verso la fine del secondo tempo l’arbitro ha espulso uno di loro e così siamo andati ai supplementari con un uomo in più. Tanta paura sino alla fine, loro che non avevano più nulla da perdere e che si buttavano avanti, però dietro eravamo forti, non ne abbiamo preso nemmeno uno di gol in tutte le quattro partite dei playoff. Però non si sa mai e a 2’ dalla fine abbiamo segnato noi. Subito c’è stata una prima invasione di campo, tutti matti dalla gioia, quando abbiamo ripreso abbiamo giocato ancora qualche minuto e poi è finita per davvero, è stato un macello alla fine, che festa! Abbiamo così conquistato la C1, traguardo storico per Gela e pensa che quell’anno, pur salendo di categoria, abbiamo finito per perdere dei soldi, proprio così. Per tutto il campionato sempre problemi societari e stipendi che non arrivavano. Già dall’estate c’erano stati dei problemi, sino all’ultimo non si sapeva se la società si sarebbe iscritta, la squadra è stata fatta all’ultimo, in agosto e quel che ne è venuto fuori è stato proprio un bel gruppo, forte e unito. Gran campionato, abbiamo finito terzi con 67 punti. Tantissimi problemi e lo stesso siamo saliti in C1”.

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segreteria

di Diego Murari

Uno per tutti, tutti per Unico1

Di porto in porto… con Diego Murari

Come sempre grazie Ciao ragazzi, ciao a tutti voi capitani valorosi. Perdonatemi se mi ritrovate qui a issare le vele, pronto a salpare in questo lungo e interminabile viaggio verso il ritorno alla mia isola più preziosa... la mia vita. Dal mio cuore un immenso abbraccio va a ogni N1 di Voi... che in ogni partita mi fa ancora ascoltare i brividi mentre stendendosi compie l’ennesimo miracolo, l’ennesima parata... e a chi con un meraviglioso dribbling si avvicina alla porta avversaria e insacca all’incrocio. Ma un mio abbraccio va anche a ogni terzino che instancabilmente difende la sua porta, a ogni mediano che corre in lungo e in largo in ogni angolo di campo e a chi a centrocampo sa costruire il gioco per realizzare un gol, una magia. E poi nel mio abbraccio a tutti voi Campioni meravigliosi, vorrei infine ricordare con affetto ogni magazziniere, dirigente, i responsabili di ogni squadra perché è anche grazie a tutti loro se il Calcio è diventato questo splendido Sport... già il calcio, dove migliaia di persone si rivedono, si ritrovano, si conoscono in ogni partita: che bello il calcio, ragazzi, che bello vedervi rincorrere il pallone, attaccare, difendere... che bello ascoltare il rumore delle vostre azioni, dei vostri gesti, dei vostri gol. Che belle le vostre divise, i vostri colori, i vostri compagni e che bello quell’intenso abbraccio con il mister a bordo campo dopo un gol... e che bello respirare il profumo nello spogliatoio prima della partita, gli sguardi, le grida... gli allenamenti, gli scatti, le sconfitte. Che bello tutto il calcio, ragazzi. Che bello sognare lo stadio pieno di gente, di striscioni colorati, di tifosi, di bambini...eppure sei Tu steso in un letto, ma Tu lo sogni perché il calcio è bello. Tu sogni

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di tuffarti per parare quel diagonale... Tu sogni di rincorrere quella palla... Tu sogni quel cross dove staccherai e di testa infilerai la porta avversaria. Tu lo sogni quello spogliatoio, quegli abbracci, quelle grida intorno a te... già... Tu lo sogni tutto questo e non ti importa se a segnare oggi sei Tu o la squadra avversaria, non importa se c’è un risultato, i punti, la classifica. No, ragazzi speciali, quando sei in questo lettino, non contano le differenze reti perché Tu sai che non serve arrivare primo per alzare le braccia o per vincere lo scudetto. Tu sai bene che semplicemente aprendo gli occhi in ogni nuovo giorno... Tu hai vinto Sempre. Tutto questo è il Calcio, tutto questo siete Voi, lo regalate Voi... e noi non siamo altro che delle persone fortunate, perché grazie a tanti dolori, a tante sofferenze, riusciamo a trovare

in Voi la forza e il coraggio di alzare ogni giorno le braccia al cielo sapendo nel nostro cuore che tutti i bambini che vi seguono in ogni partita hanno trovato in Voi gli esempi più importanti e leali per affrontare con lealtà e impegno ogni gara che la vita riserva loro. Grazie campioni meravigliosi di questo Sogno... lungo e indimenticabile tra le mie lacrime. Con Michele Scarponi Avevo l’appuntamento con Lui a Milano, dove io ero per una visita e Lui si preparava per partire alla famosa Milano-Sanremo. Arrivò in albergo e venne subito da me abbracciandomi, già pronto per il riscaldamento e per la partenza della corsa: Michele Scarponi, il grande campione di ciclismo. Io come sempre tremavo dall’emozione e mentre Lui mi prendeva in giro, io lo osservavo con un nodo alla gola. Non sentivo nulla intorno a me, mi sembrava tutto cosi strano, lontano... sentivo soltanto una lacrima che mi solcava il viso, perché non capivo come un piccolo uomo come me fosse lì, davanti a un campione cosi grande. Ci sedemmo e iniziò a raccontarmi dei suoi ultimi giorni in cui aveva lottato per vincere la Tirreno-Adriatico e per poco non gli era riuscita

Michele Scarponi alla Milano-Sanremo si è poi piazzato al sesto posto (era nel gruppetto di testa; vittoria all’australiano Goss), dopo essersi reso protagonista di uno spettacolare inseguimento in solitaria, a partire dalla salita della Cipressa, per riportarsi nel gruppo dei battistrada. In questa stagione 2011 due sinora i suoi successi: la tappa di Gesturi al Giro di Sardegna e la tappa di Chieti alla Tirreno-Adriatico. Nel prossimo Giro d’Italia sarà l’uomo classifica della Lampre-Isd.


l’impresa. Era un po’ stanco ma continuava a ridere, scherzare, a prendermi la stampella e a lanciarla lontano... che forza, pensai dentro me, e tra un oretta parte per fare 300 km di gara, caspita, non avevo parole. “Capitano, come fai a essere così sereno?” gli chiesi. Lui si mise a ridere, come sempre... “Perché sono interista” mi rispose “e noi interisti siamo un po’ difettati, siamo così” disse ridendo come un matto. Non sapevo più cosa dirgli, mi aveva praticamente lasciato senza parole; nel frattempo mi aveva ordinato un the’ caldo, prendendo in giro anche i camerieri, chiedendo anche un thermos per portarselo in gara. Parlammo un po’ dei suoi lunghi allenamenti sull’Etna, dove era stato in ritiro per alcuni giorni con il suo nuovo team Lampre. “Sai Unico – come mi chiama Michele – quest’anno ho bisogno di te, devi starmi vicino, venire alle gare” mi disse improvvisamente. Avevo il cuore che scoppiava nel petto... Michele Scarponi davanti a me mi chiedeva che io aiutassi Lui! “Ma a che fare? – risposi io istintivamente – sei matto?”. “No, non sono matto – mi disse – vorrei vincere il Giro, è il mio obiettivo del 2011 e tu Unico mi dai la forza e l’umiltà di capire quanto io sia fortunato. Quando ti vedo o penso a te, io non ho paura di scalare nessuna salita”. Stavo piangendo e il mio cuore avrebbe voluto potergli dare ogni suo sogno, ogni sorriso... “Ma che fai, piangi – mi disse – si vede che Tu non sei interista” e abbracciandomi si mise a ridere ancora. Non avevo parole... ma mi rendevo conto che Michele è veramente un vero Esempio, un immenso Campione di vita. Sorseggiai il the, gli chiesi – cercando di fermare le mie lacrime – cosa faceva in quei suoi pochi momenti lontani dalla bici. “Sto con Anna, mia moglie;

ci piace viaggiare e così, quando possiamo, andiamo a vedere posti nuovi, cercando di amare la vita in ogni suo angolo... e poi ovviamente guardo la mia squadra del cuore, di cui sono tifosissimo, l’Inter, anche se Anna è juventina” disse ridendo. Già, il calcio, “che ne dici del calcio Michele?” Rimase un po’ in silenzio, poi mi rispose: “Penso che ci siano tanti soldi, interessi... ma credo anche, da atleta, che il calcio sia ancora uno sport che insegna ai più giovani la disciplina, il rispetto per i compagni,e che riesca ancora a trasmettere valori importanti. Ciò che conta è che la Lega e le istituzioni aiutino i ragazzi perché la vita non è fatta soltanto di denaro o di belle auto... ma anche di cose che devono essere capite fin da piccoli”. Gli leggevo dentro la sua onestà, il suo voler trasmettere la voglia di fare sport con la lealtà di chi ama lo sport, senza pensare a soldi o altri interessi.”. “E del ciclismo – gli chiesi – come sta il ciclismo?”. Mi guardò e si mise a ridere. “Ma la smetti – mi disse – di chiedermi ‘ste cose? Chiedimi chi vince lo scudetto e te lo dico subito, l’Inter” e scoppiò a ridere. “Ma no dai, il ciclismo è sempre uno sport fantastico – continuò – è certo più duro e faticoso di altri, ma credimi, quando arrivi davanti e alzi le braccia... è tutto tra le tue mani ed è questo ciò che vorrei regalare a ogni bambino”. Mi sentivo molto più piccolo dopo quelle parole, ma sentivo che grazie a persone come Michele Scarponi la vita di moltissimi ragazzini diventerà densa di un sole, di un colore, di un fiore... perché calcio o tennis o ciclismo: tutto non conta, se non riesci ad ascoltare il cuore. Salì sulla bici, mi abbracciò ancora e ridendo mi disse: “Bene Unico, ora che ti ho detto chi vince lo scudetto,

ti dico anche chi vincerà la Champions, ma non dirlo a nessuno, l’Inter”. Scoppiò a ridere e lentamente si allontanò in sella alla sua bici. “Felice Milano-Sanremo, Michele... Felice Vita, immenso Campione Unico e N1 nel Cuore”... Grazie di esserci Ecco splendidi compagni di viaggio, in questa tappa, in questa isola, ho tentato di parlare di quanto ognuno di Voi N1, ogni Campione, di qualsiasi sport, riesca a donare. Vorrei un giorno riuscire a farvi capire quanto sia difficile la disperazione, il male, la sofferenza... quanto sia duro riuscire a svegliarsi ogni mattina non sapendo se ci saranno altri risvegli colorati o semplicemente densi di tristezza, dove l’unico sole che ti resta sono gli occhi di chi ami, di chi ti ascolta, ti accarezza, ti prende la mano. Cercando in te quel gesto o quel sorriso che potrebbe far dimenticare ogni buio istante in cui stai vivendo la tua vita. E in quei momenti ti ritorna sempre la stessa infinita domanda: Dio, dimmi se ora sto vivendo. Vi chiedo perdono se ora butto l’ancora, lasciandovi con queste tristezze nel cuore. Ma queste emozioni sono i miei ricordi. Perché i miei ricordi non sono una spiaggia, un mare, un cielo azzurro... i miei ricordi sono gli occhi di mia madre. Grazie dal cuore, grazie con il cuore, meravigliosi Campioni della mia Vita. Grazie per tutto quello che ogni fine settimana mi regalate, senza nulla chiedere... grazie a tutti di essere il mio Esempio, grazie di lasciarmi sognare di essere uno di Voi. Ciao a tutti ragazzi speciali, Unici e N1 nel cuore. Vi aspetto come sempre allo 3391082481 e vi ringrazio di essere diventati tantissimi.

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internet

di Mario Dall’Angelo

I link utili

Giochiamo insieme

ai “Leoni di Potrero”

Tanti bambini e ragazzi giocano a pallone nel campo vicino a casa, che spesso è un semplice prato su cui vengono sistemate quattro felpe a segnare i pali delle porte e lo spogliatoio è una siepe o dei rami a cui si appendono i soprabiti. La semplicità con cui si può organizzare una partita di calcio è uno dei segreti che rendono così popolare il gioco più bello del mondo. Generazioni di calciatori, professionisti e dilettanti, hanno cominciato così da giovanissimi. Con immediatezza e in piena libertà. A questi concetti si richiama il nome della scuola calcio del capitano dell’Inter Javier Zanetti e del suo compagno di squadra e di nazionalità argentina Esteban Cambiasso. Sulla home page del sito Leoni di Potrero (www.leonidipotrero.com), a fianco dell’immagine dei due campioni, c’è un’introduzione dagli accenti poetici: «Il potrero è il luogo dove quattro magliette diventano due porte, dove lo spogliatoio è un albero di qualche campo sperduto, è il posto dove tutti sognano di essere veri campioni, dove vuoi che la partita non finisca mai, ma finirà soltanto quando il pallone andrà sopra quel “maledetto” albero. Per questo abbiamo creato Leoni di Potrero, per recuperare insieme quella palla e finalmente poter continuare a giocare». Entrando nella sezione “presentazione”, troviamo le motivazioni che hanno indotto Zanetti e Cambiasso a fondare il loro centro di formazione calcistica, ispirandosi al modo più improvvisato e creativo di allestire una partita a pallone. I due campioni manifestano la loro preoccupazione per la “disconnessione” che molti giovani d’oggi manifestano nei confronti della realtà. Si tratte-

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rebbe di un fenomeno provocato dalle nuove tecnologie della comunicazione, che tendono a spersonalizzare i rapporti interpersonali impedendo di svilupparli correttamente. Un altro fatto preoccupante, secondo Javier ed Esteban, è che i giovanissimi d’oggi si spostano dalla scuola al computer, riducendo così di molto i loro movimenti. Dunque, difficoltà di comunicazione associata a meno attività fisica provocano isolamento sociale, un vero e proprio male contro il quale si deve agire per il bene delle giovani generazioni, come spiegano i due fuoriclasse: «Leoni di Potrero ha l’obiettivo di contribuire alla risoluzione delle problematiche legate all’isolamento sociale e alle difficoltà nello sviluppo corretto delle capacità motorie. Tutto ciò senza dimenticare che lo sviluppo della formazione calcistica resterà sempre un obiettivo ulteriore da raggiungere. La loro missione è quella di fare diventare il centro un luogo nel quale i giovani possano ridimensionare i propri valori sociali e individuali, rafforzando l’importanza di tornare “alle basi”, a tutta la “magia” che avvolgeva chiunque giocasse a pallone nel “Potrero”». Quindi, la scuola insegna sì il

calcio ma prima ancora cerca di essere un luogo di formazione in cui si insegnano i valori positivi della vita e la loro corretta gerarchia. Nella galleria fotografica sono disponibili molte belle foto delle attività, tutte con un nome che si rifà a quello della scuola: allenamenti da leoni, amichevoli da leoni, trofeo leoni. Non mancano però gli scatti di momenti extracalcistici, come feste di carnevale e feste della famiglia con i genitori sui campi assieme ai figli. La scuola, come detto, non ha solo finalità di apprendimento calcistico ma anche e soprattutto sociali, educative e tendenti a un sano sviluppo psicofisico. È per queste ragioni che sono state avviate delle iniziative per aiutare i genitori nella crescita dei figli. Una di queste è un accordo con una clinica oftalmica, dove i bambini vengono visitati con il preciso intento di prevenire, tra le altre patologie, la ambliopia, nota come “occhio pigro”. Altri momenti speciali sono i festeggiamenti per il Natale e per le feste della mamma e del papà. Evento d’eccezione è stato certamente lo stage estivo di un settimana ad Alassio nel 2008, con 25 bambini provenienti da tutta Italia e la partecipazione in prima persona di Zanetti e Cambiasso. Leoni di Potrero ha sede in Milano, nel centro sportivo Franco Bettinelli in Via Lago di Nemi 31. Vengono accolti solo ragazzi residenti a Milano e vengono stabilite 8 categorie con un massimo di 25 bambini ciascuna. Gli allenamenti prevedono due sedute settimanali, cominciando a fine settembre per concludersi a fine maggio, con una pausa durante le vacanze invernali, come per dei veri piccoli campioni.


internet

di Stefano Fontana

Calciatori in rete

Criscito e Floro Flores:

il web si tinge di rossoblù

www.domenicocriscito.it Sito ufficiale per Domenico Criscito, difensore del Genoa e della Nazionale italiana. Classe 1986, cresce cal-

cisticamente nelle giovanili del Virtus Volla, per poi approdare alle giovanili del Genoa. Esordisce in Serie B giovanissimo, a soli 16 anni. Successivamente passa in comproprietà alla Juventus, ove ha modo di accumulare esperienza nella Primavera. Nella stagione 2006/2007 torna al Genoa, in Serie B. In queste circostanze Criscito si fa notare per le sue doti di visione di gioco ed intuito rispetto alle manovre offensive degli avversari, tanto da essere convocato per giocare nella Nazionale Under 21. Nel 2007 torna alla Juventus, per riapprodare nuovamente l’anno successivo al Genoa, formazione ove milita tutt’ora. Lo spazio internet di Domenico Criscito ha un look estremamente sobrio ed elegante: l’homepage ha una struttura verticale, come accade nei blog. Troviamo tutte le notizie più recenti riguardo le sue gesta e del Genoa, riportate con dovizia di particolari e corredate da interessanti approfondimenti. Tra le varie sezioni del sito, la pagina denominata “Serie A” racchiude un comodo tabellino della massima divisione calcistica ita-

liana, ovviamente con un occhio di riguardo alla posizione e alle statistiche del Genoa. Davvero ben organizzata e ricca di contenuti la photogallery. Al suo interno troviamo infatti moltissime foto raggruppate per stagione. Si tratta per la maggior parte di immagini che lo vedono in azione con la maglia del Genoa. Oltre alle classiche foto di gioco durante gare ufficiali, ci sono alcune trovate originali e divertenti, come la gallery interamente dedicata al ritiro estivo del Genoa. Non mancano, ovviamente, foto in campo con la Nazionale Under 21 e con la Juventus. Anche la pagina dedicata ai video lascia ampiamente soddisfatti. Sono infatti presenti filmati in quantità, relativi a marcature messe a segno da Domenico o a gesti atletici particolarmente degni di nota all’interno del rettangolo di gioco. In conclusione, un ottimo sito, piacevole da navigare e ricco di contenuti. www.antoniofloroflores.com Una fotografia molto suggestiva di Antonio Floro Flores al centro dello stadio apre il sito internet personale dell’attaccante di origine napoletana in forze attualmente al Genoa. Antonio nasce nel 1983 nel capoluogo campano: si avvicina in tenera età al calcio mettendo immediatamente in luce notevoli capacità. Attaccante naturale, Floro Flores cresce nelle giovanili del Napoli per poi militare nella Sampdoria, nel Perugia, nell’Arezzo e nell’Udinese. Dal gennaio 2011 Antonio gioca nelle fila del Genoa, come già accennato in apertura, ove si è subito integrato con i compagni ed ha realizzato una marcatura nell’esordio contro il Milan. La formula adottata è il prestito con riscatto. La sezione “profilo”

del sito ufficiale di Floro Flores raccoglie due pagine molto importanti: quella dedicata alla carriera ed un’altra inerente la biografia. La pagina “carriera” contiene abbondanti dati statistici sulla militanza di Floro Flores in club e Nazionale Under 21. La pagina “biografia” è un autentico gioiello: difficilmente ci è capitato, una volta conclusa la lettura di una pagina di cenni biografici in siti di questo tipo, di avere un quadro umano così nitido e dettagliato del calciatore in questione. Il mistero è presto svelato: l’avventura umana e calcistica di Antonio è raccontata dalla moglie Michela, con la quale ha formato una splendida famiglia, estremamente unita e legata ad alti valori e sani principi. La sezione multimediale è ricca di fotografie e video, mentre uno spazio in homepage è interamente dedicato al web 2.0: sono infatti presenti i link alle pagine Facebook, Twitter, Myspace e Youtube di Floro Flores. Facile, quindi, approfondire la conoscenza del giocatore e perfino contattarlo direttamente.

Segnaliamo infine la presenza di una sezione dedicata alle news, aggiornata con frequenza e realizzata con cura. Siamo di fronte ad un ottimo sito internet, moderno e navigabile.

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scatti

di Maurizio Borsari

Incongruenze

Inter-Shalke 04 2-5

Auguri Italia

Reti tricolori per il 150° “compleanno

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scatti

Per il Giappone

Marco Di Vaio in Bologna-Genoa 1-1

Per la Lega contro i tumori Gennaro Gattuso in Milan-Inter 3-0

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scatti

di Maurizio Borsari

3 punti (forse anche di pi첫)

Emiliano Viviano in Bologna-Genoa 1-1

Dentro o fuori?

Albin Ekdal in Bologna-Catania 1-0


scatti

FelicitĂ Azzurra Gol di Thiago Motta in Slovenia-Italia 0-1

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sfogliando di Nicola Bosio

frasi, mezze frasi, motti, credi proclamati come parabole, spesso vere e proprie “poesie”

Alle volte il calcio p diverte di più Chi ha pazienza, in Italia? Nessuno. Ma come si può tirar su una casa, se non ti danno il tempo? Luigi Del Neri (Juventus) L’allenatore prende sempre le colpe di tutto. Roberto Mancini (Manchester City) Poi si sa che nel mondo del calcio è più facile cambiare un allenatore

Roberto Donadoni allenatore del Cagliari “Serve insegnare calcio” L’istruzione è fondamentale anche nel calcio. Perché, se è vero che il talento è innato, è vero anche che va incanalato. Serve chi insegna calcio, bisogna saper insegnare a giocare a calcio. Invece si è abbandonata questa strada, si curano molto poco le persone che sanno insegnare ai bambini i fondamentali. E in questo campo, prima che in tutti gli altri, che bisogna investire e avere coraggio. che venti giocatori. Giorgio Chiellini (Juventus) Gli allenatori bravi ci sono in giro. Le società devono avere coraggio e dire: io ti faccio un contratto triennale, ti do 40 mila euro all’anno e tra tre

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anni facciamo il punto; se i ragazzini di otto anni sono diventati potenziali campioni di undici allora ti rinnovo il contratto. Ma se a questa gente do mille euro al mese, come posso pretendere che diano tutto? Avranno delle famiglie da mantenere, dovranno fare anche altro e in questo modo penalizzeranno il calcio. Così restano gli allenatori che hanno una grande passione. Ma non sanno fare il proprio mestiere. E magari fanno pure danni. Roberto Donadoni (Cagliari) C’è sempre una verifica per un allenatore, tutte le domeniche. Luigi Delneri (Juventus) Spesso si dice che esistono maestri di calcio e allenatori motivatori: penso che si possa essere l’uno e l’altro, insegnare e insieme vincere. Francesco Guidolin (Udinese) Se sei un attaccante devi segnare, non c’è verso. Devi usare l’istinto. Gli attaccanti non ci devono pensare: tutte le volte che lo faccio, combino disastri. Le cose d’istinto vengono meglio. Luca Toni (Juventus) La tensione ti porta via energie e fluidità di gioco. Giorgio Chiellini (Juventus) Per principio, prima di andare in campo, non firmo mai per il pari, voglio andare a giocarmela, pensare in maniera diversa sarebbe come perdere in partenza. Alex Pinardi (Novara) Se vai là per lo zero a zero perdi sempre. Alberto Paloschi (Genoa) Non c’è oggi un divario impossibile tra le piccole e le grandi. Alcuni dicono che il campionato è regredito, io la penso in maniera opposta. Secondo me, è migliorato e ogni partita è meno scontata rispetto ai tornei scorsi. Walter Mazzarri (Napoli) Puoi vincere o perdere, ma devi uscire dal campo avendo dato tutto. Giorgio Chiellini (Juventus) L’adrenalina fa sì che delle botte te ne accorgi solo il lunedì o il martedì, i giorni peggiori. Giandomenico Mesto (Genoa) Ogni partita è decisiva, l’importante è interpretarla in modo giusto. Luigi Delneri (Juven-

Roberto Mancini allenatore del Manchester City “Stadi italiani allucinanti” Quello italiano è un campionato più povero rispetto a quello inglese. Bisognerebbe ricominciare a portare in Italia i grandi talenti, che adesso sono in Spagna e in Inghilterra. E prima, riavere la gente allo stadio: che brutto vedere le tribune mezze vuote, anche in grandi impianti come l’Olimpico di Roma o San Siro. Quindi bisognerebbe costruirne di nuovi: quelli attuali sono allucinanti. tus) Ho capito che per dare il massimo dobbiamo essere sempre al cento per cento, in campo e fuori. Alberto Paloschi (Genoa) Ognuno porta sul terreno di gioco la propria disponibilità e le sue caratteristiche. So quali sono le mie, insieme ai miei limiti, perciò devo dare sempre il 100 per cento, fare una corsa in più se può servire. Mi rimbocco le maniche. Giandomenico Mesto (Genoa) Il mio pensiero è dare il massimo sul campo. Alberto Aquilani (Juventus) Se sono in campo posso aiutare di più la squadra di quanto possa fare stando in panchina. Clarence Seedorf (Milan) Ci sono alcune realtà in Italia dove si insegna a giocare a calcio e ogni anno da


sfogliando

parlato del calcio giocato qui escono talenti. Ma sono poche. Soprattutto in giro si vedono scuole calcio nelle quali non si programma e non si investe. Roberto Donadoni (Cagliari) Bisogna dare ai giovani la possibilità di sbagliare. Aggiungo che ai giovani deve essere concessa la possibilità di dimostrare quello che valgono. Sebastian Giovinco (Parma) Se si fischia un giocatore senza nemmeno dargli il tempo di sbagliare una partita, lo si costringe ad avere anche il pubblico come avversario. Fabio Cannavaro (Al Ahli) Tutti i miei ragazzi, o quasi tutti, faticano a

Ciro Ferrara C.T. Under 21 “Investiamo sui giovani” In Italia ci sono stati e ci saranno sempre giocatori di qualità, però i club rischiano meno, puntano sugli stranieri. Bisognerebbe spingere le società, anche attraverso regolamenti, ad investire sui giovani italiani, invece le cifre che si spendono per il vivaio sono notevolmente inferiori rispetto alla Spagna.

trovare spazio nei club ed ecco perché la loro vetrina diventa l’Under 21. Paradossale, ma è così. Auguro loro di poter trovare spazio nei club anche perché nell’Under 21 non avrebbero la possibilità di fare lo stesso lavoro tecnico, tattico e fisico. Ci vediamo una volta al mese, non c’è tempo. Sicuramente il ritmo partita non si acquisisce in Nazionale. Ciro Ferrara (C.T. Under 21) A me il calcio italiano piace così. Come dicono gli inglesi: no pain, no gain. Se non sudi non c’è gusto. Alberto Paloschi (Genoa) Viviamo in uno sport e con uno stile di vita per cui non ci si può mai sedere. Giandomenico Mesto (Genoa) Nel calcio valgono i risultati: un palo-gol o un palo-fuori cambiano le opinioni. Come i cambi che fai: se vinci sei bravo e se perdi sei scarso. Luigi Delneri (Juventus) Dico che calciatore e allenatore sono due mestieri diversi. Il giocatore di alto livello diventa un patrimonio per la società quando decide di smettere, ma dovrebbe sempre allenare almeno 2 anni nelle giovanili per trasferire quello che ha imparato da protagonista. Serse Cosmi (allenatore) Nel calcio le cose possono cambiare velocemente. Zlatan Ibrahimovic (Milan) Può succedere di tutto, soprattutto in Serie A. Dejan Stankovic (Inter) Per creare una squadra vincente ci vogliono anni. In Europa le italiane si confrontano con chi ha fatturati molto più alti. Questo fa la differenza. Massimiliano Allegri (Milan) Non siamo inferiori a nessuno, siamo solo penalizzati dal fatto che i ragazzi non giocano. Ciro Ferrara (C.T. Under 21) Sono così di natura. Vorrei vivere nascosto. Mi piacerebbe fare l’allenatore dal martedì al sabato e alla partita, soprattutto dopo la partita, mandare qualcun altro. Anche quando le cose vanno bene. Francesco Guidolin (Udinese) Chiunque giochi in serie A deve avere l’obiettivo azzurro, così come

Zlatan Ibrahimovic attaccante del Milan “Viva la sincerità” Smetterò quando sarò ancora al top, non starò a giocare quando sarò al cinquanta per cento. Ora sono al top. Ci sono stato gli ultimi dieci anni. A 35 anni credo che non sarò più al top. A quel punto staremo in un bel posto rilassati a fumare. Forse non il miglior esempio per i giovani... Ma sarà bello. ogni calciatore di serie B ha quello di salire di categoria. Giandomenico Mesto (Genoa) Quello degli oriundi è un falso problema. Nei settori giovanili c’è il 60% di stranieri: sono una risorsa in più. Cesare Prandelli (C.T. Nazionale) Noi giocavamo spesso su campi di patate e i rimbalzi strani della palla ti costringevano a diventare più sensibile. Quindi se giocavi poi su un prato perfetto difficilmente sbagliavi un cross. Roberto Donadoni (Cagliari) Sono abituato a guardare avanti e non penso al passato. Alberto Aquilani (Juventus) Quando cambi tanto non è semplice trovare l’equilibrio. Luigi Delneri (Juventus) Non si può pensare di vincere i campionati con dieci punti di vantaggio. Francesco Guidolin (Udinese) Nel calcio quello che oggi è giusto, domani è sbagliato. Luigi Delneri (Juventus)

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tempo libero

musica

libreria

Franco Angeli Edizioni

Tempi supplementari

di Croce, Piani, Russo – 128 pagine - €18,00

Il problema della fase post-carriera degli atleti professionisti esiste dacché lo sport stesso ha intrapreso il percorso di professionalizzazione. La peculiarità di tale carriera, strettamente legata a un ciclo temporalmente e anagraficamente limitato, pone una condizione di potenziale sofferenza dal carattere strutturale e non incidentale per l’attore sociale che svolge la professione di agonista. Di fatto, una candidatura al precariato professionale ed esistenziale. E tuttavia, a dispetto di una realtà così consolidata, mai è stata fin qui avviata un’azione organica di formazione, informazione e riqualificazione. Il calcio non fa eccezione e anzi, nel contesto italiano, esso si presenta come un caso paradigmatico: perché ha un rilievo schiacciante rispetto alle altre discipline, perché storicamente genera un volume economico-finanziario fra i più elevati a livello mondiale, perché il profilo del calciatore si presenta come un tipo sociale desiderabile. Il volume analizza e commenta i risultati di tre diverse indagini condotte sotto l’egida del Centro Studi del Settore Tecnico della FIGC. Il materiale è passato in rassegna attraverso il filtro di tre diversi punti di vista. Quello sociologico di Pippo Russo, quello psicologico di Isabella Croce, quello più prossimo allo stesso mondo del calcio di Paolo Piani. Le considerazioni analitiche esposte vogliono rappresentare, da un lato, l’apertura di un percorso d’analisi a più ampio raggio sul tema, dall’altro, un patrimonio da mettere in comune per tutto lo sport italiano affinché si possano realizzare programmi indispensabili per garantire una fase post-agonistica sicura agli atleti. Pezzino Editore

Palermo, rosa e verde

di Roberto Gueli e Paolo Vannini- 124 pagine – €10,00

Sulla scia del titolo italiano vinto per la prima volta dal Palermo Primavera, è nato un libro che ha voluto attraversare la storia del settore giovanile rosanero, dagli anni pionieristici fino all’era attuale, soffermandosi in particolare sullo scudetto conquistato a giugno 2009, con una ampia gallery fotografica, schede di tutti i campioni della “Primavera” ed altre singolari curiosità. In uno sport sempre più disattento ai valori di base, un’iniziativa inedita che ci riporta a pensare che il calcio è anche e soprattutto passione genuina. Roberto Gueli e Paolo Vannini, da oltre un ventennio ormai attenti osservatori del fenomeno calcistico, hanno cercato di tratteggiare anche l’importanza sociale di un simile risultato in una città come Palermo, non abituata a ottenere vittorie eclatanti, eppure dotata certamente di potenzialità e valori spesso inespressi. Limina

L’Equilibrista

di Emiliano Fabbri – 145 pagine - €20,00

Il racconto appassionante e appassionato della vita e della carriera di Esteban Cambiasso, un fuoriclasse d’altri tempi, capace quasi da solo di reggere e alimentare il motore della squadra campione di tutto. El Cuchu, così com’è soprannominato, dopo aver rischiato, a dirla tutta, di diventare Michael Jordan per la passione familiare per il basket, è diventato il play maker nerazzurro che resiste alle mode e ai tempi, sempre col suo stile, sia dentro che fuori del campo: un elogio della semplicità di un giocatore sempre essenziale e insieme determinante, raccontato con la nostalgia per un calcio che sta scomparendo. Insomma un viaggio inedito, attraverso tutta la carriera del campione argentino: dagli esordi, alle imprese con la Nazionale e l’Inter, passando attraverso aneddoti mai raccontati, suggestioni con i suoi più illustri antesignani, che descrivono un Esteban in buona parte sconosciuto al grande pubblico. Un giocatore a cavallo tra due mondi, da sempre collegati, Argentina e Italia: un mediano d’altri tempi, uno dei più forti al mondo, che ha legato il suo cuore, per sempre, ai colori neroazzurri e alla sua storia, entrando inevitabilmente a farne parte, come uno dei suoi eroi più fulgidi.

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Subsonica

Eden

Il sesto album in studio dei Subsonica arriva a 14 anni dal loro omonimo esordio: “Eden” è il disco più pop della band torinese, piuttosto “lontano” dal precedente “L’Eclissi”, sia per quanto riguarda i testi che la musica. Un’inversione di rotta che, da atmosfere decisamente cupe, passa ad un’aria più respirabile, quasi fosse un viaggio nella natura, per sfuggire dalle inquietudini e dalle nevrosi metropolitane. Undici tracce (scelte tra una quarantina) completamente differenti tra loro, sostenute da una maturità stilistica che pur orientandosi tra svariati riferimenti e suggestioni, non smarrisce l’inconfondibile matrice della band. Eden è un album vitale e colorato, che in una forma quasi “concept”, si presenta come un percorso di stati d’animo. Testi sempre più introspettivi (uno “autoironico” addirittura creato insieme ai fan tramite fitto scambio di mail), melodie sempre più sofisticate: elettronica, dubstep, techno ambient, pop e ballate si fondono alla perfezione con la voce del frontman Samuel Romano e gli arrangiamenti studiati da Max Casacci e Boosta. Il gruppo torinese riesce non a sorprendere, ma a dimostrare che ci sono ancora ed i loro nuovi dischi non sono affatto un folle modo per rimanere a galla. Insomma, alla sesta prova i Subsonica hanno rallentato un po’ il ritmo e cercato la strada della maturità, aprendosi con decisione all’elettropop orchestrale. La loro forza però è stata quella di non fare un disco scontato, che flirtasse con il pop “facile”, ma che è rimasto coerente con il loro percorso e ci ha regalato una nuova serie di canzoni davvero brillanti.


Foto: Liba Taylor/ActionAid - Grafica: Marco Binelli

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