pasquale murru riqualification of testimonzos

NUORO: LA RIQUALIFICAZIONE URBANA

DELL’AREA DI TESTIMONZOS

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A babbo, mamma, Mauro e gli amici di una vita

Analisi Inquadramento territoriale Sistema infrastrutturale Sistema ambientale Inquadramento storico Definizione aree di intervento Versante Ovest Rio Cannas Asse attrezzato Viale Don Bosco - Città Nuova Tanca ‘e s’Ena Testimonzos

Progetto

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Strategia progettuale 88 Versante Ovest Rio Cannas 94 Asse Attrezzato Viale Don Bosco - Città Nuova 98 Tanca ‘e s’Ena 102 Borgo agricolo di Testimonzos 106 Sistema ortivo Sistema vivaistico Sistema frutteto Sistema urbano/residenziale/scientifico Asse attrezzato Viale Murichessa

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Centro Polifunzionale frutteto

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Bibliografia

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Progetto architettonico

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Analisi ambientale e storica

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Inquadramento territoriale Regione: Sardegna Provincia: Nùoro Altitudine: 554 m s.l.m.

Superficie: 192,27 km² Abitanti: 36.454 /31-12-2006 (ISTAT) Densità: 189,6 ab./km² Frazioni: Lollove, Pratosardo Nùoro è la città capoluogo dell’omonima provincia della Sardegna centro-settentrionale,centro geografico ed ideale della Barbagia. La provincia di Nuoro per estensione è la seconda dell’isola, subito dopo Sassari, mentre è la terza per numero di abitanti; occupa cioè il 16,3% del territorio totale dell’isola ed ospita il 10% della sua popolazione.

La città conta circa 37.000 abitanti e la sua provincia è una delle meno popolose d’Europa. Una delle principali infrastrutture viarie che serve la città è la SS 131 dcn, superstrada che collega Nuoro con Olbia e Cagliari. La città sorge su un altopiano granitico a circa 600 metri sul livello del mare, circondato da vallate e da catene montuose e dominato a est dal Monte Ortobene. La città di Nuoro risulta, anche al nuovo visitatore, subito divisa in due grandi parti anche grazie alla sua conformazione morfologica. L’accesso principale odierno alla città avviene da nord dalla strada di collegamento con la statale 131 diramazione Cagliari-Olbia. La strada di avvicinamento alla città entra nel centro all’altezza del cosiddetto Quadrivio, un punto nevralgico che divide la città tra due grandi parti: la est e la ovest. Ad est si trova la città storica, la città Littoria e gli ampliamenti degli anni ‘60. Ad ovest si trova la città “nuova” conseguente allo sviluppo urbanistico del piano regolatore, e alla scelta progettuale del cosiddetto “asse attrezzato” ma anche ai quartieri abusivi quali Città Giardino e al caso particolare dell’area di Testimonzos.

La città ha quindi due pesi relativi molto diversi: la parte est ha una estensione pari al 28% ed un volume costruito pari al 23% del totale, la parte ovest pesa al 72% per superficie urbanizzata e per un 77% dell’edificato. Nella parte est si trovano tutti i servizi pubblici e privati principali, mentre la parte ovest è quasi completamente riservata alla residenza.

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Il sistema infrastrutturale Nelle prossime pagine si cercherà di illustrare l’evoluzione urbana della città di Nuoro, a partire dalla sua origine come “congresso di villaggi”. I suoi nuclei originari e distinti di Seuna e Santu Pedru furono legati insieme dalla Via Majore, da sempre considerato il “salotto” della città e più genericamente chiamato “Il Corso”. La via Majore, nella parte alta verso il Monte Ortobene, ha un suo terminale nella piazza San Giovanni (storicamente la piazza del Mercato, che potrebbe considerarsi una porta del quartiere di Santu Pedru), e prosegue all’interno del tessuto storico nella via Chironi o, in alternativa, limitando lo stesso quartiere, sulla valle ai piedi del Monte Ortobene, con il Viale Ciusa.

Proseguendo questa stessa direzione, giungiamo alla piccola Chiesa della Solitudine, nota in quanto ospita le spoglie di Grazia Deledda.

Terminale basso della Via Majore è il punto nodale del sagrato della Chiesa delle Grazie Nuove: il cosiddetto Ponte ‘e Ferru che annuncia il quartiere di Seuna (che ospita al suo interno la Vecchia Chiesa delle Grazie). Il prolungamento della via Majore, appena varcato il Ponte ‘e Ferru, è la Via Lamarmora, asse che, insieme alle sue parallele, ha generato l’espansione di Nuoro fino agli anni Cinquanta e che oggi troviamo concludersi nel nodo del Quadrivio, crocevia di quattro strade importanti, oltre che della ferrovia (Nuoro-Macomer).

La presenza della Casa Cantoniera ci consente di cogliere il fatto che la Via Lamarmora (e quindi la Via Majore), altro non sia che la Strada Statale 129 meglio nota come Trasversale Sarda, la stessa che oggigiorno divide in due la Nuoro ovest,: in un primo momento con la via Repubblica, in un secondo momento con il viale Murichessa che a sua volta sancisce la fine del tessuto urbano nel momento in cui costeggia l’area di Testimonzos. È questa la strada che, partendo dalla costa orientale, taglia in due la Sardegna e attraversa il suo interno.

Inizia a Marina di Orosei e, dopo aver intersecato la strada statale 125 Orientale Sarda nel centro di Orosei (di cui Marina di Orosei è frazione), si snoda verso l’interno dell’isola.

Non tocca moltissimi centri nella prima parte del suo percorso, ma tra questi vi sono Galtellì, appunto Nuoro e Oniferi.

Area nevralgica per il sistema infrastrutturale dell’intera città è senza dubbio il nodo del Quadrivio che raccoglie in maniera diretta, oltre alla 13

SS129 già sopra descritta, la Strada Statale 389(Buddusò - Correboi) e l’odierno accesso principale alla città, che avviene da nord e per mezzo della strada di collegamento con la statale 131dcn.

Il sistema ambientale La città di Nuoro è circondata da diversi colli, sui quali la città è cresciuta.

Provenendo dall’ingresso a nord, tenendo sullo sfondo il Monte Ortobene e il Monte Corrasi, troviamo a sinistra il Colle di Ugolìo, area rimboschita a gestione dell’ente foreste che conserva uno dei Nuraghi della città, mentre troviamo a destra il Colle di Biscollai, che discende fino al Quadrivio, ospitando il Parco dell’Ospedale Zonchello e la sede di Abbanoa, il gestore unico del servizio idrico integrato della Sardegna. Questo colle individua il quartiere di Monte Gurtei, divisore naturale in quelle due parti della città precedentemente descritte.

Il tessuto urbano ci consentirebbe due direzioni, una verso il Monte Ortobene e l’altra verso il Monte di Oliena: nel primo caso si giunge alla Cattedrale della città che volge le spalle alla Valle di Isporosile ai piedi del Monte Ortobene; mentre, nel secondo caso, ci si apre verso la vallata di Oliena, ai piedi del Colle del Nuraghe (Cucullìo).Tra le due valli è il Colle di Sant’Onofrio, un’area parco della città.

Ai fini dell’inquadramento ambientale è importante citare la valle del Rio Cannas, che costituisce un versante del quartiere di Preda e’ Istrada e definisce i limiti della città.

La dominante ambientale: il Monte Ortobene Il Monte Ortobene (in sardo nuorese: Orthobène) è un’antica altura granitica, che si eleva ad est della città di Nuoro e alta 955 metri sul livello del mare. Può considerarsi, a livello affettivo, la montagna dei nuoresi. I parchi principali sono due: Sedda Ortai (altitudine media: 740 metri slm, estensione: 15.69.27 ettari di cui bosco di pino e leccio 14.23.34 ha) con la pista ciclabile e la pista di pattinaggio, e il Redentore. Altre località rilevanti sono Farcana con la piscina comunale e il maneggio (già campo di calcio in terra battuta), e Solotti con la colonia estiva per ragazzi (che però è chiusa da anni; recentemente ricostruita, non è stata ancora riaperta). Non lontano

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da Solotti, nel lato opposto della strada, si trova la Casa Diocesana (comunemente detta “Casa del Vescovo”), utilizzata saltuariamente per incontri e ritiri spirituali. Vi sono inoltre numerose fonti, anche se la maggior parte sono attualmente prosciugate. Scendendo dal parco del Redentore nel versante opposto alla città si ha un’importante apertura panoramica verso la vallata e i monti di Oliena, ma è possibile raggiungere con lo sguardo anche la Baronia. Ai piedi del monte in località Borbore si trova inoltre una interessante zona nuragica dove vi sono delle Domus de Janas. Il monte di Oliena, ovvero il Monte Corrasi, per quanto non appartenga in senso stretto alla città di Nuoro, è presente e visibile dall’interno della città e offre una relazione diretta, per quanto di carattere “contemplativo”. Quindi anche il Supramonte (che si estende nei comuni di Dorgali, Orgosolo, Oliena, Baunei, Urzulei) attraverso il Corrasi, che è la cima più alta, si fa presente nella città di Nuoro. Rispetto al Monte Ortobene è di natura calcarea ed è ben visibile dai mari che bagnano la Sardegna.

Le punte più importanti sono: Corrasi (1.463 m), Carabidda (1.327 m), Ortu Hamminu (1.331 m), Sos Nidos (1.348 m). La presenza dei Monti di cui si è detto sopra, è di notevole importanza, in quanto risultano essere potenti elementi orientativi,(ma anche identificativi) per la città.

La città di Nuoro è circondata anche da diversi colli, sui quali la città è cresciuta. Provenendo dall’ingresso a nord, tenendo sullo sfondo il Monte Ortobene e il Monte Corrasi, troviamo a sinistra il Colle di Ugolio, che conserva uno dei Nuraghi della città, mentre troviamo a destra il Colle di Biscollai, che discende fino al Quadrivio, ospitando il Parco dell’Ospedale Zonchello. Proprio in prossimità del quadrivio si offre uno degli scenari più interessanti della città, per quanto ad oggi, Nuoro, non faccia altro che offrire il suo retro e limitarsi a causa della forte pendenza: è la valle del Rio Cannas, che costituisce un versante del quartiere di Preda ‘e Istrada.

Il tessuto urbano ci consentirebbe due direzioni, una verso il Monte Ortobene e l’altra verso il Monte di Oliena. Nel primo caso si giunge alla Cattedrale della città che volge le spalle alla Valle di Isporosile ai piedi del Monte Ortobene mentre, nel secondo caso, ci si apre verso la vallata di Oliena, ai piedi del Colle del Nuraghe. Tra le due valli il Colle di Sant’Onofrio, un’area parco della città.

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“Nuoro è situata nel punto in cui il monte Orthobene (più semplicemente il suo Monte) forma quasi un istmo, diventando altopiano: da un lato l’atroce valle di Marreri, segnata dal passo dei ladri, dall’altro la mite, se qualcosa può essere mite in Sardegna, valle di Isporòsile, che finisce in pianura, e sotto la grande guardia dei monti di Oliena, dilaga fino a Galtellì e al mare.”

S. Satta - Il Giorno del Giudizio

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Inquadramento storico Nessun osservatore della città attuale, per quanto attento, sarebbe in grado di risalire in profondità nei secoli più in là del 1600, epoca di costruzione della Chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie. Eppure la città è molto più antica.

Il territorio di Nuoro, situato nella Sardegna centro-orientale, tra le Baronie, la Barbagia di Ollolai e il Goceano, conserva numerose testimonianze di insediamenti umani da tempi antichissimi, almeno dal neolitico recente, cioè da circa 4000 anni a.C. Regione di transito tra piccole pianure prospicienti il Mar Tirreno, ampie vallate solcate da importanti corsi d’acqua, quali il Cedrino e l’Isalle, i massicci montuosi centrali e gli altipiani digradanti a occidente verso la grande piana del Tirso, ricca di boschi, pascoli e torrenti, dovette rappresentare da sempre un sicuro interesse per tribù a vocazione prevalentemente pastorale. Nel contempo, lo stanziamento sull’altopiano, con il contorno di picchi più elevati e della montagna dell’Ortobene, permetteva il controllo costante degli accessi e l’eventuale difesa da invasori. Le testimonianze archeologiche, benché non particolarmente rilevanti, sono tuttavia ampiamente sufficienti per poter parlare di una presenza umana diffusa in quest’area già dal IV millennio a.C. A provarlo sono numerosissime domus de janas, scavate nel granito, presenti nel territorio, anche oltre i precisi limiti dell’attuale giurisdizione. I più antichi insediamenti di tipo “urbano” presenti a Nuoro si trovano presso il nuraghe Tanca Manna, dove sorgono i resti di abitazioni di un villaggio prenuragico del 2000 a.C. costituito da circa 800 capanne, rilevate agli infrarossi, in un insediamento dell’estensione di oltre 2 ettari. Alcune di queste capanne presentano ancora l’originario pavimento costituito da un battuto di argilla e sughero adatto per l’isolamento termico. Tale insediamento fa di Nuoro uno dei centri di tipo urbano più antichi della Sardegna. Negli ultimi secoli dell’età del rame, verso la fine del III millennio a.C. cominci. La civiltà dei nuraghi, che caratterizza in modo indelebile la preistoria sarda, diventandone contrassegno fondamentale. Presso le alture vicine a “Sedda Ortai” nel monte Ortobene sono presenti tracce di muratura di una fortificazione verosimilmente dell’età del Rame. La civiltà nuragica, a partire dal 1500 a.C. e fino all’invasione romana, ha lasciato una impronta nella storia di Nuoro come dimostrano i 18

numerosissimi nuraghi presenti nella zona, i quali coronano tutti i colli della città risultando ormai inglobati nel tessuto urbano (nuraghi Tanca manna, Ugolio, Biscollai) o collocati nelle periferie (Corte, Tigologoe, Tèrtilo, Tres Nuraghes, Gabutèle), spesso accompagnati da tombe dei giganti o da villaggi nuragici.

Dal Neolitico alla fine del mondo antico 17 Poco o nulla resta nel territorio di Nuoro a testimoniare una presenza della colonizzazione fenicia e punica della Sardegna che, come si sa, interessa particolarmente le aree costiere occidentali, con alcuni ampliamenti di interesse strategico militare nell’interno da parte cartaginese, come nel caso dell’antica Macopsisa, ovvero l’attuale Macomer.

Ben più consistente dovette risultare da subito la penetrazione romana ed è proprio a questo periodo che dobbiamo affidarci per avere notizie, seppur vaghe, di un primo insediamento urbano.

Le popolazioni indigene costruiscono il primo villaggio sul Monte Ortobene, in prossimità del “ribu e Seuna”, verso la fonte Emilianu.

Fu più tardi, in epoca imprecisata, che gli abitanti del primo villaggio scesero dall’Ortobene sull’altipiano di Nuoro e si insediarono lungo la vallata di Seuna, attorno alla prima Chiesa, dedicata a Sant’Emilianu, trasferendo con se anche i nomi dell’insediamento precedente.

Sorse quindi il più antico rione di Nuoro: Seuna. Nell’Itinerario di Antonino, risalente all’apogeo della floridezza economica e della potenza militare dell’Impero, la Barbagia è percorsa da almeno due grandi arterie.

Una, la “per mediterranea” (chiamata anche Alio itinere Ulbia Karalis) univa Olbia a Cagliari passando nell’interno dell’isola per Caput Tirsi (presso le sorgenti del Tirso, forse nell’attuale sito archeologico di Su Romanzesu), l’area di Nuoro, Sorabile (presso Fonni), Austis, il Mandrolisai, il Sarcidano e il Campidano di Cagliari, con alcune deviazioni, come quella verso l’Ogliastra e l’altra verso Forum Traiani (Fordungianus).

La seconda, trasversale, univa Orosei con Macomer e Bosa, passando ancora una volta per Nuoro.

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Il primo insediamento urbano 18 Il crollo dell’impero romano nel corso del V secolo portò in Sardegna la dominazione dei Vandali. Tuttavia, soprattutto con le zone interne, ebbero contatti modesti, dal momento che preferirono lo sfruttamento commerciale dell’area di Cagliari, soprattutto per la presenza di un porto ben attrezzato. Alla fine dell’impero romano Plinio il Vecchio menziona i celeberrimi popoli Ilienses situati nella Sardegna centrale per la particolare bellicosità.Tra questi nella zona tra Nuoro e Orotelli erano situati i “Nurritani”. Nell’età vandalica e bizantina si inizia a parlare dei “Barbaricini” per le testimonianze dirette di Procopio e di Gregorio Magno, sensibile oltre che agli aspetti religiosi anche alle tristi condizioni dei sudditi di Sardegna, Sicilia e Corsica oppressi dalla fiscalità bizantina che spesso costringeva le popolazioni a vendere i figli e familiari ai barbari (Longobardi) per pagare le tasse.

Papa Gregorio I (590-604) con 39 lettere ricostruisce il quadro politico e religioso di due Sardegna di cui una oramai romanizzata, nonostante l’incursione degli Ostrogoti di re Totila, cristianizzata e bizantina (quella dei Provinciales) e una interna, costituita da aggregati cantonali, con forte identità etnica, di religione “idolatra e pagana”, la Gens Barbaricina agli ordini del carismatico Dux Hospiton, coinvolta, quest’ultima, in una vicenda bellica con le forze armate imperiali agli ordini del Dux Sardiniae Zabardas. A partire dal 534 d.C., la Sardegna subì per oltre quattro secoli la dominazione Bizantina. I Bizantini controllavano l’isola anche per l’importanza strategica che essa continuava a conservare nel bacino occidentale del Mediterraneo, ma la grande lontananza dalla capitale dell’impero Costantinopoli e gli impegni militari nei territori orientali minacciati costantemente dall’avanzata degli Arabi finirono per far abbandonare la Sardegna a se stessa. Anche sul periodo bizantino, purtroppo, le testimonianze storiche sono scarne, soprattutto a confronto con il lungo arco di tempo della dominazione. Per quanto concerne il nostro contesto, possiamo porre l’attenzione su due fatti di notevole rilievo: la cristianizzazione della Barbagia e la diffusione del monachesimo.

Infatti nell’estate del 594 si conclude una pace tra Bizantini (vincitori) e Barbaricini che prevede tra le clausole la conversione al Cristianesimo e il probabile riconoscimento ad Hospiton (di cui si esaltano il carisma 20

e le virtù cristiane) delle insegne del comando della sua gens sotto l’egida dell’Impero e sotto il controllo di una serie articolata di castra tutt’attorno al ducato dei barbaricini.

La prima denominazione del villaggio 19 Il massimo promotore della penetrazione del cristianesimo nelle cosiddette civitates Barbarie fu senz’altro il papa Gregorio Magno (590-604). Egli invi. varie lettere ad autorità religiose e civili della Sardegna, tra cui il capo dei Barbaricini, Ospitone, “unico cristiano in mezzo ad una popolazione ancora completamente pagana”. Gregorio chiedeva di appoggiare l’azione missionaria dei suoi inviati, in quanto “tutti i barbaricini vivono come animali senza ragione ignorando il vero Dio e adorando legne e pietre”. Il processo di cristianizzazione dovette essere lungo e difficile, sia per la millenaria cultura religiosa sarda, lontanissima da quella sostenuta dai cristiani, sia per la forte diffidenza dei barbaricini nei confronti di tutto ciò che arrivava dall’esterno, con le armi o senza armi, a sconvolgere la loro vita, comprese le loro antiche tradizioni. Verosimilmente, come osserva il Turtas, il pontefice dovette consigliare l’adozione di un metodo di evangelizzazione simile a quello proposto al missionario Agostino qualche anno dopo per la conversione degli Angli in Britannia: eliminare gli idoli, ma non distruggere i luoghi di culto. Le popolazioni della Barbagia, insomma, non avrebbero più venerato i vecchi monumenti di pietra, come i betili e i menhir dell’antichissima civiltà megalitica, né avrebbero coltivati con riti pagani il culto delle acque, ma si sarebbero ancora riuniti intorno ai loro santuari per venerare il dio dei cristiani e i suoi santi e martiri. In effetti, a chi osservi attentamente riti e tradizioni religiose popolari delle zone interne dell’isola non sfuggirà che essi sono connotati da forme di devozione interpretabili come risultato di un complesso sincretismo tra paganesimo e cristianesimo.

Altro elemento è la caratterizzazione bizantina del cristianesimo sardo. Essa iniziò a manifestarsi solo dopo la metà del VII secolo, cioè dopo la conquista dei territori sud-orientali dell’impero romano d’Oriente da parte degli Arabi. Gli influssi bizantini sulla religiosità sarda possono essere riconosciuti attraverso vari elementi: l’importanza dei riti della Settimana Santa, l’esaltazione della Croce, le feste di 21

Natale, dell’Epifania, della Pasqua, il culto della Madonna, soprattutto dell’Assunta e del Buon Cammino o Itria, di San Michele, protettore degli eserciti imperiali, di San Giorgio, dei santi Cosimo e Damiano, di Sant’Antonio e San Basilio, due tra i più illustri monaci della tradizione orientale. Proprio San Basilio diede una grande spinta al monachesimo, che si trasferì anche in Sardegna tra il VII e il IX secolo.

20 Sorsero in quel periodo grandi e piccoli monasteri un po’ dappertutto, apportando ovunque notevole sviluppo all’agricoltura, con la coltivazione soprattutto di quei frutti che, come il fico e l’ulivo, erano direttamente legati alle esigenze della liturgia e del nutrimento dei monaci. La Sardegna centrale conserva i segni di quella storia e di quella civiltà in luoghi tra i più suggestivi della tradizione religiosa sarda: i santuari con le caratteristiche cumbessias dei noveranti di San Cosimo (Mamoiada), Sa Itria (Lodine e Gavoi), San Mauro (Sorgono), Santa Sabina (Silanus), Buon Cammino (Dorgali). Anche Nuoro dovette essere coinvolta dall’opera di cristianizzazione gregoriana, anche se non abbiamo testimonianze precise sul fenomeno. Potremmo, comunque ricollegare allo stesso, seppure non direttamente ma per la persistenza dell’antica tradizione, la presenza delle chiese di San Nicola, Santa Barbara, Santa Marina e Sant’Onofrio (oggi scomparse), del Salvatore e di Santa Croce. Con l’affievolirsi del controllo imperiale anche in seguito all’affermarsi della potenza islamica nel mediterraneo nascono in Sardegna i Giudicati, quattro regni autonomi che spartiscono la Barbagia sotto la propria autorità.

Nel periodo giudicale la Villa (bidda) di Nuoro e la “Curatoria Dore-Orotelli” appartenne al giudicato del Logudoro o di Torres, dal nome della primitiva capitale, soppiantata nel XII secolo da Ardara.

In realtà il centro barbaricino si trovava in un’area di confine: ad est si estendeva il giudicato di Gallura, da Oliena a Galtell., da Orosei a Posada e a Civita (Olbia); a sud confinava con il giudicato di Arborea, comprendente anche il limitrofo territorio di Mamoiada; ad ovest c’era la curatoria di Dore, cui Nuoro apparteneva, con le vicine Ville di Orgosolo e Locoe e con quelle più distanti di Sarule, Orani e Oniferi, Orotelli ed Ottana. Quest’ultimo villaggio a partire dai primi decenni del XII secolo fu sede dell’omonima diocesi, con la bella cattedrale romanica di San Nicola, edificata tra il 1120 e il 1140 d.C. 22

Con Gonario (1127-1153) si rafforzò la presenza degli ordini monastici arrivati nell’isola nel secolo precedente. Ne sono una testimonianza i condaghes, cioè i libri di amministrazione di alcuni di quei centri, interessanti per essere i primi esempi di testi di scritti in lingua sarda.

21 Ed è appunto nei condaghes che appare per la prima volta in assoluto il nome di Nuoro, indicato come Nugor. Il villaggio di “Nugor” di poche centinaia d’abitanti si rileva su carte medievali risalenti al 1147 (spesso con la dicitura “Nori”). Per ritrovare il nome di Nuoro nella documentazione storica occorre arrivare alla metà del Trecento. Il Villaggio sorgeva attorno alla chiesa di “Santu Milianu” nel quartiere “Seuna” ed alla chiesa di “Santu Pedru” nel quartiere omonimo. Il nome di Sant’Emiliano è fondamentale nella storia di Nuoro in quanto testimonia il passaggio della popolazione dal monte Ortobene, località “Milianu”, al quartiere Seuna, in cui si preservò, tramandandola, la tradizionale devozione al Santo da parte della comunità. Ha inizio da allora il dualismo fra i nuclei di Seuna e di San Pietro che caratterizzò la vita del paese fino al 1600, quando il Corso Garibaldi, allora via Majore, operò una saldatura fisica fra i due insediamenti, i quali tuttavia, conservarono per lungo tempo caratteristiche economiche e sociali riconoscibili, fino ad epoche molto recenti, attraverso l’analisi della struttura fisica del loro patrimonio urbanistico ed architettonico.

22 Di questi aspetti una perfetta sintesi è scritta da Salvatore Satta ne “Il giorno del giudizio”: Nuoro è situata bel punto in cui il monte Orthobene (più semplicemente il suo Monte) forma quasi un istmo, diventando altopiano: da un lato l’atroce valle di Marreri, segnata dal passo dei ladri, dall’altro la mite, se qualcosa può essere mite in Sardegna, valle di Isporòsile, che finisce in pianura, e sotto la grande guardia dei monti di Oliena, dilaga fino a Galtellì e al mare. Protetta dal colle di sabt’Onofrio, che Dio sa che Santo doveva essere, se non ha lasciato la minima traccia di sé, neppure in nome di battesimo, Nuoro comincia dalla chiesetta della Solitudine, che sorge su quest’istmo, scende dolcemente verso il Ponte di Ferro, dove par che finisca, e invece ricomincia subito dopo una breve salita per morire davvero poco prima del Quadrivio, un nodo dal quale si dipartono le paurose strade verso l’interno. È in quest’ultimo tratto che sorge la prima parte di Nuoro. Si chiama Sèuna, e sorge per modo di dire perché 23

un nugolo di casette basse, disposte senz’ordine, o con quell’ordine meraviglioso che risulta dal disordine, tutte a un piano di una o, le più ricche, di due stanze […]. I Seunesi sono tutti contadini, dal primo all’ultimo, fanno paese nel paese, e si dice che costituiscano il nucleo originario dell’insediamento. […] I pastori si raccolgono tutti nella parte opposta, nell’altro paese nel paese, che si chiama San Pietro, sebbene nessuna chiesa vi sia di questo nome. San Pietro, Santu Pedru, è il cuore nero di Nuoro. Sèuna è la tavolozza di un pittore che diventa quadro. I confini di San Pietro erano incerti, non come quelli di Sèuna, che erano segnati dal Ponte di Ferro. Io li metterei lungo quella linea spezzata che parte dalla caserma vecchi dei carabinieri, piega verso la Piazza di san Giovanni, che ne resta fuori, giunge all’imbocco di quel vicolo strettissimo dove abita Maria Pisu, sempre seduta in mezzo al patio dentro la ruota delle sue sottane orlate di rosso, e si disperde infine a Monte Longu, che è già campagna, in vista del Monte.

Per farla breve – e questo è quello che importa – San Pietro finisce dove comincia il lungo Corso appena lastricato di Nuoro, simbolo della terza Nuoro, la Nuoro del tribunale, del Municipio, delle scuole, dell’episcopio […]. Il Corso si estendeva con una lieve pendenza dalla Piazza di San Giovanni, dove era il mercato, al Ponte di Ferro”.

23 Nel XII secolo Nuoro fu annessa alla sede vescovile di Galtellì, nell’ambito del Giudicato del Logudoro; la diocesi assunse nel tempo titolo di “Galtellì e Nuoro”, sino a che il vescovo spagnolo Roich non la trasferì definitivamente nel capoluogo nel 1779, ottenendone il decreto da Papa Pio VI. Fra il 1300 ed il 1400 l’importanza di Nugor cresce insieme ad i suoi abitanti, più di mille, e fra il 1341 e 1342 viene indicato come uno dei villaggi che versavano le più alte tasse alla Diocesi di Ottana. Nel frattempo, nel corso del XIII secolo, erano crollati i tre giudicati di Cagliari, di Gallura e di Torres. Con l’arrivo dei conquistatori catalani nel 1323-1324, il giudicato arborense mantenne con questi, per tre decenni, rapporti di alleanza, che gli permisero di conservare il dominio dei suoi territori. Sarà Mariano a rompere i rapporti di alleanza con gli invasori, dando inizio ad una guerra sanguinosa che, salvo brevi intervalli, durerà circa 50 anni, sconvolgendo la Sardegna intera, con protagonisti quali lo stesso Mariano e la figlia Eleonora per gli arborensi, che sognarono la realizzazione di un grande stato sardo indipendente, e i sovrani e i comandanti militari catalani per la 24

Corona d’Aragona. Dopo oltre 30 anni di guerra violenta, all’inizio del 1388 fu stipulata la pace tra aragonesi e sardi. In tale occasione, per dare all’atto la sanzione più solenne e più ampia, che doveva preludere ad una età nuova, furono chiamati a prestare il giuramento di rispetto degli accordi i rappresentanti di tutte le comunità sarde.

Nelle copie dei documenti d’archivio leggiamo che il 12 gennaio 1388 si riuniscono nell’attuale chiesa di Santa Croce di Orani (allora Sancti Petri) i rappresentanti dei villaggi della contrada o “curatoria Dore” (Sarule, Orani, Ottana, Orotelli, Oniferi, Nuoro, Locoe e Orgosolo). La pace ebbe però breve durata. La guerra riprese e chi non moriva in battaglia poteva morire di malaria o di peste, come accadde alla stessa Eleonora. Nel 1409 le forze arborensi ricevettero una gravissima sconfitta, che le costrinse a capitolare. Finiva così anche il quarto ed ultimo dei giudicati sardi.

Si consolidò, durante il XV secolo, il processo di feudalizzazione dell’intera isola, che significò per le popolazioni sarde un ulteriore aggravamento delle già tristi condizioni economiche e sociali. Il regime feudale si manterrà per oltre quattro secoli, fin quasi alla metà dell’Ottocento. Le lunghe guerre, le frequenti carestie e pestilenze, la repressione feudale provocarono uno spaventoso decremento demografico.

24 Seuna, il primo nucleo insediativo, continua ad essere il centro principale e la sede del Pievano viene istituita, intorno al 1400, presso la Chiesa di Sant’Emiliano. Tale chiesa già costruita da secoli, fu restaurata nel 1300 e, successivamente, lasciata in abbandono fino a completa distruzione dopo il 1500. Fino al 1793 se ne conserv. La campana che recava una iscrizione del 1336. La tradizione vuole che il rosone della vecchia Chiesa delle Grazie appartenesse alla Chiesa di Sant’Emilianu. Si consolidò, durante il XV secolo, il processo di feudalizzazione dell’intera isola, che significò per le popolazioni sarde un ulteriore aggravamento delle già tristi condizioni economiche e sociali. Il regime feudale si manterrà per oltre quattro secoli, fin quasi alla metà dell’Ottocento. Il processo di infeudamento dei territori sardi si potenzi. nel secolo successivo. Anche la curatoria di Dore, fino ad allora sostanzialmente libera dal dominio iberico, subì la sorte degli sconfitti. Nel 1499 fu divisa dalla contea del Goceano e data in feudo alla potentissima famiglia dei Carroz d’Arborea. Solo qualche anno 25

dopo il territorio di Nuoro subì un altro duro colpo. Fu soppressa la Diocesi di Ottana che nel 1503 entrò a far parte della nuova diocesi di Alghero. Nuoro, come tutte le altre Ville della curatoria di Dore, fece parte della diocesi di Ottana presumibilmente fin dalla originaria costituzione della stessa, nei primi decenni del XII secolo. Il centro barbaricino farà parte della nuova diocesi di Alghero per poco meno di tre secoli, fino a quando, nel luglio del 1779, assurgerà esso stesso a sede di diocesi. Nel 1600 Nuoro contava già 1600 abitanti.

Durante questo secolo infatti la villa barbaricina diede discreti segnali di crescita, acquisendo un peso sempre maggiore come capoluogo dell’encontrada omonima, all’interno del marchesato. L’economia, certo, risentiva profondamente delle gravi condizioni di sottosviluppo dell’intera isola, condizionata pesantemente dal regime feudale. Le attività di gran lunga prevalenti erano quelle agricole e pastorali, con pochissime persone dedite esclusivamente al commercio, con una modesta rappresentanza nobiliare e un piccolo gruppo di ecclesiastici che, come vedremo, seppe sfruttare anche doti individuali, di cultura e di iniziativa politica, per farsi strada nell’intricato mondo delle carriere. Il regime feudale era un sistema sostanzialmente statico, con un sistema gerarchico di dipendenze di ruoli in tutti i campi, basato ufficialmente sul rispetto dei codici scritti, ma di fatto soggetto molto spesso all’arbitrio dell’uno e dell’altro funzionario.

Il periodo feudale La maggior parte degli storici afferma che, pur cambiando di dominazione (da quella spagnola si pass. nel 1720 a quella sabauda, dopo pochi anni di amministrazione austriaca), la Sardegna continuò per circa 120 anni a subire il regime feudale, che registrò poche scosse, soprattutto per quanto concerne il sistema di esazione fiscale.

Appare qui opportuno sottolineare comunque, quella piccola crescita, cui prima si è accennato, a proposito di Nuoro.

Così lo storico Vico descrive, nel Seicento, il villaggio: l’altra regione della curatoria di Oria è quella di Nuoro, che prende nome dalla Villa, che si chiama così, che per il suo clima, il suolo ed altre qualità è segnalata tra tutte quelle di questo regno, perché è molto grande e molto popolosa e i suoi abitanti sono principales, ricchi, persone di grande operosità, abilità ed ingegno e vivono come quelli di qualsiasi 26

città del regno. Questa Villa annovera, tra le molte altre chiese, un bel convento dei frati francescani dell’Osservanza, fatto edificare a sue spese da Gabriele Manca e dal frate Paolo Escatronio di Sassari, provinciale dell’ordine, che ne fu il primo guardiano e che lo fece abbellire con grande sollecitudine. La Villa vanta, inoltre, terreni molto fertili, monti e valli coltivate, fiumi e fonti abbondanti, molti e ricchi oliveti.

Due cose ci interessano in particolare: - la presenza a Nuoro, in età moderna, di famiglie di prestigio economico, sociale e culturale; - la presenza a Nuoro dei frati francescani, più precisamente dei Minori Osservanti, che secondo gli storiografi dell’ordine arrivarono nel centro barbaricino negli ultimi anni del Cinquecento, per l’esattezza nel 1593.

Su un terreno attiguo alla chiesetta di San Paolo fece costruire a sue spese il convento. L’area destinata ai frati si trovava allora alla periferia dell’abitato, in corrispondenza con una scelta tradizionale degli Osservanti, che in tal modo intendevano difendere la loro riservatezza e nel contempo indicare un possibile nuovo sviluppo urbano, intorno a un centro religioso. Il primitivo impianto architettonico fu più tardi ampliato, acquisendo la fisionomia del grande edificio che ancora oggi si può osservare, pur avendo subito varie modificazioni dopo la soppressione dell’ordine nel 1866.

26 Come osserva lo storico P. Pisanu, nonostante l’intitolazione a San Paolo, per la presenza di una precedente chiesetta dell’apostolo, il convento fu dedicato a San Francesco. I frati francescani dovettero assumere da subito un ruolo importante nello sviluppo della Villa di Nuoro, soprattutto in termini culturali. Solitamente, infatti, la fondazione di un convento era sostenuta dalla popolazione di una Villa e dai suoi rappresentanti, non solo per la devozione religiosa, ma anche perché i frati si impegnavano ad aprire nei loro locali una scuola. Spesso si trattava di un indirizzo primario corrispondente a una modesta scuola elementare, ma per gli elementi più capaci, incoraggiati dalle famiglie, gli studi erano potenziati con nozioni di retorica, di filosofia e di teologia. Di qui, come appunto avvenne a Nuoro, con risultati prestigiosi, era facile la spinta verso la vocazione e la carriera religiosa. Volendo restare nell’ambito dell’indagine sulla 27

storia religiosa della città, cogliamo l’occasione per conoscere meglio la consistenza dell’architettura ecclesiastica dell’epoca. Nel 1608 quando il vescovo di Alghero si trova a Nuoro visita le diverse chiese, per lo più modeste, presenti nella città. Il 26 aprile il vescovo emana un decreto che concerne l’edificazione della chiesa di Nostra Signora del Monte sull’Ortobene. Si tratta del primo dei tre santuari di cui si arricchì la comunità nuorese nel Seicento, tutti dedicati alla Vergine.

Alle origini di questa straordinaria espressione di sentimento religioso sta certamente il clima generale di ripresa della devozione cattolica, favorito dalla politica controriformistica attuata dalla Chiesa di Roma, grazie al sostegno operativo degli ordini religiosi sia all’iniziativa di privati cittadini. La tradizione vuole che la chiesetta del Monte Ortobene sia stata costruita nell’arco di un mese, intitolandola alla Vergine di Monte Nero, come voto fatto da tre nuorese (che la costruirono a proprie spese) di ritorno da un pellegrinaggio al santuario della Vergine di Montenero presso Livorno. Nel 1683 fu la volta della chiesetta dedicata alla Madonna di Valverde, fatta edificare da un altro devoto nuorese alle falde settentrionali dello stesso Monte Ortobene, in una conca ridente non molto lontana dal quartiere pastorale di San Pietro. Il terzo santuario è quello di Nostra Signora delle Grazie, particolarmente caro ai Nuoresi, santuario “che doveva essere intitolato alle Grazie in un declivio vicino alla chiesa di San Giuliano”. La data dovrebbe essere quella del 1680, contraria a quella errata del 1670 riportata nell’epigrafe sulla facciata. Inoltre da alcuni documenti pare che nel 1793 per rifondere una campana della cattedrale “si è presa una campana delle chiesa di San Giuliano Martire, della quale si tramanda che fosse la prima parrocchia di Nuoro e dall’iscrizione della stessa campana risulta che fu fatta per la chiesa nel 1336.

27 I Mercedari dovevano essere i primi destinatari della donazione di Ruju Manca (che edificò il santuario) ma non si sa per quali motivi non poterono venire a Nuoro, per cui il benefattore nuorese designò al loro posto i Gesuiti che già operavano attivamente nella Villa di Oliena.

Fondarono accanto alla chiesa delle Grazie una “casa di residenza” che amministrò l’azienda ecclesiastica accrescendone notevolmente il patrimonio, con censi, case e terreni. Negli stessi locali fu aperta una scuola di grammatica e di retorica, che funzionò 28

fino alla soppressione dell’ordine nel 1773.

In questo periodo le chiese rurali pare fossero: San Nicola, Santa Marina, Santa Lucia, Nostra Signora della Solitudine, Sant’Orsola, la Vergine del Rosario, Santa Maria Maddalena, San Carlo, San Lucifero (nell’attuale via Roma, quasi sotto l’oratorio di Santa Croce), Santa Croce, San Salvatore, Nostra Signora delle Grazie. Il 10 ottobre 1704 alcuni nuoresi interessati all’edificazione della chiesa di San Giovanni Evangelista, vendono a tale scopo a Giovanni Nivoli Simala una vigna e un chiuso a Preda Istrada. Ci troviamo nel periodo delle guerre di successione spagnole e a ridosso della breve dominazione austriaca.

In questo periodo registriamo, tramite alcuni documenti che avveniva una distinzione tra Seuna e Santu Pedru, il che significa che essi costituivano in pratica ancora due Ville ben distinte. Dopo il breve periodo di dominazione austriaca la Sardegna, nel 1720 passò dalla dominazione spagnola a quella dei Savoia. La struttura feudale però, non subì reali grosse scosse. Terminato con la pace di Aquisgrana del 1748 il lungo e convulso periodo delle guerre di successione, inizi. in Europa occidentale una nuova età, caratterizzata da un forte movimento riformatore che investì, come vedremo anche la Sardegna.

Una sintetica e sbrigativa nota sullo stato dell’Isola del viceré De Viry, durante la sua visita del 1746, è molto caustica nel giudizio morale sugli abitanti, con l’accusa gravissima di “ladri ed assassini” riferita non ad un gruppo ridotto di persone, ma alla maggioranza. La valutazione è troppo pesante ed eccessiva rispetto alla realtà storica.

Nel 1770 un’altra visita, questa volta del viceré Des Hayes fa intuire la predominanza dell’attività pastorale e accenna al malessere derivante dalla cattiva amministrazione della giustizia. Per il resto, in tale periodo, Nuoro continuava a crescere economicamente e in popolazione, superando anche la Villa di Orani che per secoli aveva predominato e che restava capoluogo del marchesato. Documenti d’archivio ci parlano anche di nuorese che continuano a spostarsi altrove, per fini diversi.

28 Negli anni che segnarono la fine del regime feudale, oltre le gravi sommosse provocate dall’editto delle chiudende, su cui si ritornerà più avanti, la documentazione d’archivio ci riporta alcuni fatti significativi non solo del clima di malessere sociale che caratterizzò ancora una volta la vita della Villa di Nuoro, che nel frattempo era 29

diventata Capoluogo di Provincia, ma anche delle difficoltà in cui si dibatteva l’amministrazione pubblica, spesso per mancanza di soggetti capaci di governare con serietà ed efficienza. Questo era del resto, un male comune alla gran parte, se non a tutte, le amministrazioni delle ville sarde. Tornando indietro agli ultimi decenni del Settecento, la storia di Nuoro registra un fatto di particolare rilievo, costituito dall’erezione della diocesi nel 1779, di cui fu prescelta come sede.

Motivi che erano stati avanzati dal Consiglio Comunicativo di Nuoro per la scelta erano in primo luogo la centralità di Nuoro rispetto a tutto il territorio diocesano, si vantavo poi il clima salubre del villaggio ed un temperamento d’aria, la più sana e la più pura fra tutti i paesi del Vescovado, per cui il Vescovo può tranquillamente “girare in carrozza”.

Nuoro è inoltre “il villaggio più abbondante d’ogni sorta di viveri e quello che tiene maggior commercio con Cagliari e Sassari per la gran moltitudine di negozianti, che in ogni tempo portano a dette città lor bestiame”.

Nuoro dispone poi di un gran numero di buoni medici, chirurgi e “spezierie” (cioè farmacie) oltre che di sacerdoti e di un convento francescano. E’ stata anche residenza dei Gesuiti. Il Vescovo può dimorare in un palazzo paragonabile a quelli dei Vescovi di Cagliari ed Alghero, cioè una casa parrocchiale e plebania “assai comoda” che in tutto si compone di ventotto stanze. Vi è, inoltre, una casa di esercizi spirituali vicina alla plebania, che si può trasformare in seminario tridentino, con la dotazione finanziaria dai beni già di proprietà dei Gesuiti.

Nella stessa antica residenza gesuitica, accanto alla chiesa della Madonna delle Grazie si stanno completando dei locali utilizzabili come casa di esercizi spirituali. Dopo due anni, nel 1779, si stabil. che la sede fosse Nuoro. E di l. la denominazione di “diocesi di Galtell.Nuoro”. Fu decisivo insomma il fatto che Nuoro ci fossero 15 chiese nel centro abitato, 7 nell’agro, un convento con circa 15 frati, una casa di residenza dei Gesuiti e una casa di esercizi spirituali, ma anche meriti di natura civile come la presenza di famiglie di cavalieri e di benestanti, dei laureati, otto notai. La stessa comunità nuorese volle manifestare ulteriormente il suo interesse con una deliberazione del Consiglio Comunicativo, presieduto dal sindaco Antonio Corda , che in data 7 agosto 1778 decise di contribuire alla erezione della diocesi con 1000 scudi per la costruzione della cattedrale.

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L’elevazione di Nuoro a sede della diocesi pu. essere vista come la felice conclusione di un lungo periodo di notevole vivacità religiosa, iniziata, come abbiamo avuto modo di osservare già dai primi decenni del Seicento, consolidatosi già nel corso di quel secolo ed ora accresciuta nel Settecento. I francescani contribuirono notevolmente allo sviluppo della devozione religiosa. Il Convento poi era sede di studio filosofico, rappresentando un importante punto di riferimento per la formazione culturale di parecchi giovani nuorese. Anche quelli che non intendevano intraprendere la carriera ecclesiastica, ma avviarsi a studi giuridici o di medicina, ricevevano dall’insegnamento dei francescani i primi rudimenti di grammatica, retorica e filosofia. I rapporti tra i frati e il clero secolare non erano solitamente improntati a sentimenti di fratellanza o almeno di buon vicinato. I motivi non erano certo legati a dispute dottrinali ma piuttosto alla soddisfazione di interessi materiali. I Gesuiti, come si è già detto, fondarono accanto alla chiesa della Madonna delle Grazie una cosiddetta “casa di residenza”, un collegio per giovani studenti. Durante la loro permanenza a Nuoro, dal 1720 al 1777, quando l’Ordine fu temporalmente soppresso, contribuirono notevolmente alla crescita culturale della Villa e offrirono suggerimenti e buoni esempi pratici per il miglioramento dell’agricoltura, e in particolare furono promotori della olivicoltura tra Nuoro, Oliena e Dorgali. Tra gli impegni che derivavano dalla costituzione della diocesi, ce n’erano due di particolare rilievo: l’apertura di un seminario vescovile e la trasformazione della chiesa parrocchiale di Santa Maria in cattedrale. Il seminario fu eretto dove c’era nel secondo Settecento una casa di esercizi spirituali. Nel 1829 il Comune offr. 1000 giornate per l’ammodernamento del fabbricato.

Tale intervento, voluto dal monsignor Bua, arcivescovo di Oristano e amministratore apostolico della diocesi di Galtellì. Nuoro fu eseguito su progetto di architetto Giuseppe Cominotti tra il 1829 e il 1831.

L’edificio sorse dove già sorgeva l’antico seminario, nei pressi della cattedrale e di fronte all’episcopio.

I lavori per la cattedrale, invece furono iniziati solo nel 1836, presso il sito dove sorge l’antica parrocchiale, che fu demolita per fare spazio al nuovo edificio, ben più ampio ed imponente, progettato dal frate sassarese Antonio Canu in stile neoclassico.

30 Le difficoltà finanziarie furono certamente notevoli, soprattutto per le 31

modeste disponibilità della chiesa nuorese e della stessa municipalità, che dal 1836 al 1840 affitt. il cosiddetto “prato di San Michele” a esclusivo beneficio della ricostruzione della chiesa. Nel frattempo fungeva da cattedrale la chiesa della Purissima, sita sulla Via Maiore, all’altezza dell’attuale agenzia del Banco di Sardegna (sorta dopo la demolizione del palazzo Mereu, già sede municipale), che non riusciva a contenere più di 400 persone e rischiava, oltretutto, di crollare.

Il 14 luglio 1840 alcuni cittadini scrivevano alle autorità comunali, affermando che a loro parere non si dovevano spendere altri soldi per la costruzione della nuova cattedrale e che il frate progettista e direttore dei lavori era un incapace (ricordando che erano crollate le chiese di Oristano e Sorso progettate dallo stesso). Il consiglio comunicativo, però non tenne affatto conto di tale opinione.

Poche settimane più tardi però, riapparve l’incubo dell’incompiuta: morì infatti, nel crollo di un ponteggio il frate sassarese e un mese dopo morì anche monsignor Bua, che era stato il fervido sostenitore dell’impresa. Dopo tante ulteriori difficoltà e ritardi (nel frattempo, dal 1847, fungeva da cattedrale la chiesa delle Grazie) la nuova cattedrale fu benedetta il 29 giugno 1853.

31 Un altro importante tema della storia di Nuoro è quello dell’elevazione del centro barbaricino a città. Il titolo di città venne conferito dal governo sabaudo alle Ville di Ozieri, Tempio e, appunto, Nuoro, con l’evidente intento di ingraziarsi un ulteriore consenso dei sudditi del regno appartenenti a quei paesi e al loro circondario, dopo le gravi sommosse delle chiudende dei primi anni ’30. Nel clima di entusiasmo per il titolo di città a novembre del 1837 viene pubblicato un volumetto di poesie per il compleanno del re. Nello stesso periodo, per il ritorno del re in Sardegna, si esprimono ancora una volta, con particolare enfasi, sentimenti di viva gratitudine al sovrano sabaudo, cogliendo per. l’occasione per chiedere un intervento a favore della realizzazione della strada statale per Orosei (la futura S.S. 129 Orosei-Bosa). Dal 1777 furono istituite le scuole pubbliche, mentre il 6 giugno 1823 si registra l’istituzione della scuola elementare. Le prime lezioni venivano impartire a pochi scolari nei locali della chiesetta ormai sconsacrata di San Giovanni e del convento. Per molto tempo la scuola non funzionò bene, anzi si lamentò la carenza di buoni maestri, mentre funzionava la scuola privata religiosa. Per quanto riguarda la sanità, Nuoro aveva 32

otto unità. Altro edificio che si preparava ad essere costruito è il carcere, in sostituzione di quello fatiscente del passato. I lavori per le nuove prigioni furono appaltati il 26 marzo 1839, con progetto originario dell’ingegner Marchesi. Il 24 maggio 1845 fu dato l’ordine di sgombrare le carceri sussidiarie di Posada e Mamoiada ed altre con il trasferimento dei prigionieri alle nuove carceri provinciali di Nuoro.

Centotrenta anni più tardi il carcere con la sua rotonda, luogo di tante tristi memorie per Nuoro e per la Barbagia, ma anche edificio di notevole pregio architettonico, è stato demolito. È dal 1800, con la prima cartografia manoscritta, che la storia si può leggere attraverso l’urbanistica. La gran parte del paese si è sviluppata attorno al quartiere di San Pietro e nelle adiacenze della via Majore; la Cattedrale è in periferia; il Cimitero è annesso al Convento; il vicinato di Seuna è slegato dal centro e costituisce ormai una periferia poco ambita, a giudicare dalla densità delle costruzioni in San Pietro in raffronto alla scarsa utilizzazione delle aree in Seuna. Probabilmente è questa ragione di minore “centralità” e quindi di minore pregio a determinare la differenziazione storica fra San Pietro e Seuna che vede San Pietro diventare il quartiere dei pastori e dei proprietari terrieri e Seuna il quartiere dei contadini; e pertanto, come conseguenza della diversa collocazione economica, vede nascere la tradizionale classificazione di San Pietro quartiere dei ricchi e Seuna quartiere dei poveri.

Nuoro è città 32 La città del 1800 appare infatti come il risultato di una crescita spontanea e non preordinata di isolati, anch’essi molto frazionati in modo apparentemente casuale, che si aggregano attorno all’asse principale costituito dalla Nuoro-Macomer, dalla sua prosecuzione lungo la Via Majore e, a Nord, dalla via Chironi. Non si vedono piazze progettate come tali solo slarghi lungo gli incroci delle strade. Non si vedono grandi proprietà accorpate né grandi edifici, se si escludono la Cattedrale e le Carceri. Non c’è una gerarchia nelle strade, ad eccezione dell’asse principale, e la città si sfrangia verso la campagna.

Il gotico, il rinascimento, il barocco, il neoclassico sarebbero parole senza significato se si cercasse di individuarne i caratteri attraverso l’esame della cartografia di Nuoro.

Un fattore costante dell’economia della terra, in Sardegna, è stato il 33

predominio dell’attività pastorale. Su tale dato risulta particolarmente acuta e illuminante l’opinione espressa dall’illustre storico Braudel, che definendo la Sardegna “montuosa, eccessivamente divisa, prigioniera infine della sua povertà, un continente, un mondo a sé, con la sua lingua, le sue usanze, le sue economie arcaiche” parla di una “vita pastorale invadente, in alcune zone eguale a quella conosciuta da Roma in passato”. Quell’aggettivo “invadente” appare particolarmente significativo e incisivo sulla visione dei fattori dominanti dell’economia sarda. E se questo è vero per il periodo recente, a cui si riferisce Braudel, lo è ancor di più per quello che stiamo esaminando, cioè tra fine ‘700 e primo ‘800. Della necessità impellente di un cambiamento di rotta furono coscienti in tanti, allora, anche grazie agli influssi di scuole di pensiero diffuse in Toscana, il Piemonte e la stessa Sardegna.

In tale contesto si inquadra la pubblicazione di vari saggi economici e tra questi l’opera “Rifiorimento della Sardegna, proposto nel miglioramento di sua agricoltura” del P. Francesco Gemelli. Questa la tesi centrale del trattato: la riforma agraria doveva portare dall’uso comune della terra alla proprietà privata.

Un saggio del 1780 esprime preoccupazione per la miseria materiale e morale dei sardi, che i governanti non potevano ignorare. Si parla di mancanza dei vari generi di commercio derivanti dall’agricoltura e di quello pastorale. Avverte la necessità di preparazione umana: istruzione agraria dei contadini, intervento del governo per fare adeguare le colture ai terreni, con un apposito commissario visitatore aiutato da esperti di ogni singolo paese, anche in vista della formazione di un catasto rustico. Dalla documentazione d’archivio, e non solo per quanto riguarda Nuoro ma anche varie altre Ville dell’Isola, emerge che il problema della privatizzazione delle terre pubbliche e delle chiusure non inizia con l’Editto delle Chiudende del 1820, ma alcuni decenni prima. Si può affermare che il provvedimento legislativo sia frutto di un dibattito, di un indirizzo politico ed economico, di una serie di fatti, che portarono il governo alla convinzione di dover intervenire in modo giuridicamente più incisivo sulla questione dell’uso delle terre. L’Editto delle chiudende viene promulgato il 6 ottobre 1820, ma la pubblicazione definitiva, dopo vari intoppi, è del 4 aprile 1823. Sullo sfondo si ripresenta per anni uno scenario drammatico: dietro i chilometri di muri a secco, spesso innalzati di fretta e di notte, con chiusura di strade e di fontane pubbliche, stanno 34

agguati, incendi, diroccamenti, omicidi. Le gravi ferite inferte alla pace comunitaria resteranno aperte a lungo, come il dibattito sulle ragioni degli uni o degli altri.

L’editto delle chiudende e lo scontro sulla terra 34 Avvengono poi gravi contrasti tra pastori poveri e contadini da una parte e ricchi e possidenti dall’altra. Inoltre emerge un dato, cioè rispetto alle chiusure realizzate nelle altre Ville quelle di Nuoro erano un’immensità: ben 525 per una superficie di 6400 ettari. Nell’estate del 1832 scoppiano vari tumulti a Nuoro, in Barbagia e nel Goceano.

Il fuoco della rivolta contro le chiudende sembra inarrestabile. Tra novembre e febbraio furono celebrati in 22 sedute 45 processi con 97 imputati, di cui 50 furono giudicati in contumacia. Il 23 gennaio 1833, mons. Bua scrive da Oristano al viceré, illustrando le difficoltà di amministrazione della diocesi di Nuoro e chiedendo un autorevole intervento. Le liti per il pascolo, in particolare per l’introduzione di bestiame rude nel prato comunale, sembrano non finire mai. Il problema dell’uso dei terreni pubblici continuerà ad essere scottante per lungo tempo, come emergerà drammaticamente anche nella seconda metà del secolo, con i moti del “Su Connottu”.

35 Alla fine del primo decennio del secondo Ottocento il governo centrale decise la soppressione della provincia di Nuoro che diventò circondario della provincia di Sassari. Nel frattempo la fine del regime feudale, che avrebbe dovuto aprire migliori prospettive di progresso per le comunità sarde, lasciava in eredità un peso rilevante di problemi finanziari. Il riscatto dei feudi, infatti, fu posto a carico dei Comuni.

La Sardegna, che aveva partecipato per prima al processo di unità nazionale italiana con la scelta della cosiddetta “perfetta fusione” con gli Stati di terraferma del regno sabaudo, rinunciando all’Indipendenza, entrava nella nuova storia del Regno d’Italia con una serie di gravi problemi economici e sociali fino ad allora irrisolti. Essi avrebbero pesato troppo a lungo sul suo successivo sviluppo. Nuoro e il suo circondario subirono pesantemente l’assenza dello Stato, mentre nel Nord dell’Italia e in gran parte dell’Europa occidentale iniziava una seconda industrializzazione. E Nuoro perse per circa 70 anni anche il ruolo e il titolo di provincia. In tale quadro appare modesto anche 35

il dibattito politico, se si eccettua la battaglia pressoché isolata del deputato Giorgio Asproni, che invano chiedeva in parlamento, con ripetuti e appassionati interventi, una seria attenzione per l’isola e per le sue zone interne. Il 21 maggio 1860 si chiede un aumento di organico dell’arma dei carabinieri, perché sono aumentati a dismisura i fatti criminosi. Tra i cittadini, certamente, non manca l’insoddisfazione o il fermento e il desiderio di mutamento delle tristi condizioni di vita. Del resto, dal 1836 il grosso villaggio è diventato città. Ancora si discuteva sulle chiudende e ci fu la necessità di imporre per ogni chiudenda di lasciare libere le strade e gli accessi alle fonti oppure di ridurre la superficie da chiudere, in quanto risultava che fosse superiore a quanto rivendicato come proprietà. Nel 1866, si verificarono alcuni casi di morte per fame. La gente, pur abituata da sempre a soffrire, restò gravemente colpita e scoppiarono dei tumulti.

Da metà Ottocento alla prima guerra mondiale 36 Nel 1867 si registrò una forte carestia. Il fonnese mons. Casula così scriveva: “Oggi tutto è in stato di fallimento. E crisi abbiamo nei frutti della terra, crisi nel bestiame, crisi nel lavoro, crisi nelle arti, nel negozio, nella proprietà, nella moneta, nel credito, nelle stagioni. Quindi i proprietari o sospendono o restringono la coltura dei loro predi. Gli operai e gli artigiani mancano di occupazione alle loro braccia. I coloni si abbandonano scoraggiati o dalla mancanza della semente o dalla impossibilità dislocare una terra fatta d’acciaio da un cielo reso di bronzo. I pastori errano per lontane e sterili campagne incerti delle loro sorti, affannati per lo stato infelice delle proprie meschine famiglie, ansiosi per la magrezza delle loro greggi”.

Il 26 aprile 1868 scoppia il tumulto popolare al grido di “A su connottu!”: i protagonisti della sommossa volevano ritornare, appunto, a quanto conosciuto nel passato, cioè alla comunione dei pascoli, che comportava innanzitutto l’abbattimento delle chiudende.

Il sottoprefetto non accolse le ragioni dei rivoltosi, affermando che bisognava osservare la legge. La folla accorsa subito dopo si diresse verso il Municipio, abbattendone le porte e impadronendosi dei fucili della Guardia Nazionale. Il Municipio fu saccheggiato e furono bruciati gli arredi e l’archivio, compreso quello anagrafico. Il Consiglio 36

Comunale fu costretto a dare le dimissioni. In agosto ci furono nuove elezioni con vittoria del partito avverso ai vecchi consiglieri. Il dibattito che seguì ai moti di Su Connottu, a livello comunale, vide in particolare l’emergere di due posizioni: da una parte si sosteneva la necessità di superare una volta per tutte la pastorizia nomade e di indire un’asta pubblica per la vendita delle terre pubbliche; dall’altra si affermava che i poveri non avrebbero potuto partecipare all’asta, non avendone i mezzi, per cui sarebbe stato preferibile che le terre restassero nelle mani del Comune, in attesa di dividerle tra tutti i cittadini. Prevalse la prima posizione e si deliberò all’asta pubblica.

Nonostante la vendita dei terreni, i pastori continuarono per., ad introdurvi il loro bestiame e ad usufruire dell’antico diritto consuetudinario delle ghiande e del legnatico, rifiutandosi tra l’altro di pagare una tassa per l’uso de terreni negli anni precedenti. Tra le richieste più importanti rivolte dall’amministrazione comunale di Nuoro al governo centrale ci fu, in varie occasioni, nel periodo post unitario e in quello umbertino, quella della dotazione di una linea ferroviaria.

37 Si stava, infatti, realizzando la ferrovia progettata dall’ingegner Piercy, che non prevedeva il collegamento con il centro barbaricino. La giunta municipale arrivò addirittura alle dimissioni, nel 1885, per tale motivo.

Nel 1890 venne istituita la Scuola Normale Superiore, cioè il corso completo di studi magistrali, il primo in Sardegna.

Nel 1887 don Francesco Guiso Gallisai fu promotore di una importante iniziativa imprenditoriale: l’installazione d un mulino industriale, che rappresenta una svolta nel sistema di produzione della farina e che diventò ben presto il volano per un’ulteriore sviluppo delle capacità di impresa della famiglia. Essa, infatti, è stata protagonista di gran parte della storia industriale di Nuoro e del Nuorese per quasi un secolo, fino alla seconda metà del ‘900. Si pensi in particolare, alla produzione di energia elettrica e allo sfruttamento delle miniere e delle cave di talco.

Nel 1894 furono terminati i lavori di sistemazione a lastricato del Corso Garibaldi, già via Maiore.

In Sardegna la situazione generale era caratterizzata da una persistente crisi economica, soprattutto nel settore agricolo e pastorale, colpito duramente dalla guerra delle dogane, ma era anche aggravata da due 37

fattori specifici: da una parte i pesanti condizionamenti strutturali dell’insularità e dall’altra il fenomeno del banditismo. L’insularità non è in assoluto un elemento negativo per i processi di sviluppo economico di un’area, se si utilizzano le potenzialità che essa può possedere. Nel caso della Sardegna, il discorso è più che mai attuale, forse anche perché irrisolto, pur in presenza di prospettive economiche internazionali non sfavorevoli all’Isola nell’ottica di una crescita complessiva delle regioni mediterranee. L’insularità, purtroppo, si è trasformata in maggiore isolamento proprio in età moderna e contemporanea.

Il secondo fattore, invece, quello del banditismo, può essere collocato tra i fenomeni di rivolta che, come il brigantaggio meridionale, si espressero nei decenni presi in esame contro uno Stato centralistico, fiscalista, poliziesco, poco attento ai bisogni delle cosiddette classi subalterne. Il banditismo sardo, già presente nell’isola in tutta l’età moderna, si manifestò più virulento nelle Barbagie del secondo Ottocento.

Vere e proprie bande armate imperversarono per alcuni decenni, spesso impunemente, soprattutto nel circondario di Nuoro. Ai reati a danno del patrimonio si aggiungevano quelli ascrivibili al codice della vendetta barbaricina, che si espresse in sanguinose e interminabili faide tra famiglie, gruppi parentali o intere comunità.

38 Il sigillo su tale clima sociale fu posto, in chiusura del secolo, la notte del 16 maggio 1899, quando i carabinieri arrestarono 373 persone, tra cui amministratori pubblici, accusati di furti ed assassini, condotti in catene nel carcere della Via Roma passando per lo stradone che collegava piazza San Giovanni con la stazione ferroviaria di recente costruzione, s’istrada abbellita da splendenti guide in granito. Fra il 1800 ed il 1900 Nuoro passa da 3200 a 4000 abitanti. La città è cresciuta, anche se di poco, e si sono ampliati i quartieri sorti intorno a San Pietro e al Corso Garibaldi, mentre Seuna rimane pressoché immutata e diventa ancora più periferia. Il Corso Garibaldi è l’asse principale della città, e la realizzazione della Piazza Cavallotti alla sua sommità (e della successiva Via Aspromonte) sminuiscono l’importanza della deviazione per Via Angioi e via Chironi escludendo cos. anche San Pietro dalla funzione di quartiere centrale e relegandolo ad una vita sempre più autonoma, anche se di grande rilievo. Lo sviluppo casuale 38

comincia ad acquistare una logica più organica. Nascono nuove strade ed alcune delle vecchie sono chiamate a svolgere un ruolo diverso.

I vecchi quartieri si consolidano con l’edificazione delle aree ancora libere mentre i nuovi si strutturano come entità autonome, con strade di distribuzione interne che confluiscono su una viabilità di collegamento alla scala urbana. Nascono in quest’epoca la Via Sa Vena (attuale via Gramsci, limite sud di Seuna), la strada vicinale di Mughina (limite ovest dello stesso quartiere, la via Vittorio Emanuele, la prosecuzione della Via Roma, la strada comunale di Sa ‘e Sulis (che accenna l’attuale via Ballero), la Via Manzoni ed altre ancora. Il 30 maggio 1901 fu collocata sul Monte Ortobene la statua del Redentore, in bronzo e realizzata dallo scultore calabrese Vincenzo Jerace. Nel 1902 fu proposto l’ampliamento della linea ferroviaria, che avrebbe dovuto collegare Nuoro con il mare di Orosei. Nel 1907 Francesco Ciusa scolpisce La Madre dell’ucciso, vincitrice alla biennale di Venezia. Nel ricostruire il quadro della società nuorese tra metà ‘800 e primi decenni del ‘900 non possiamo tralasciare un riferimento alla vita culturale della città nello stesso periodo. Si tratta, a parere unanime di tutti gli studiosi, dell’età più vivace culturalmente per Nuoro, di quella, per intenderci, che le ha fatto guadagnare il titolo di “Atene Sarda”.

Tra i protagonisti di questo periodo Sebastiano Satta che raggiunse la fama maggiore tra i poeti nuorese, pittori come Antonio Ballero o scultori come Francesco Ciusa, scrittrici come Grazia Deledda, che vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1926.

39 La Sardegna pagò un altissimo tributo di sangue nella prima guerra mondiale, con il sacrificio della vita da parte di molte migliaia di suoi figli. L’inizio del Novecento sardo è caratterizzato, tra le altre cose, dalla nascita del Partito Sardo d’Azione. Nel 1921 ci fu la proposta di legge (lasciata cadere) del giovane deputato sardista Piero Mastino per la ricostituzione della provincia di Nuoro. Stessa proposta con stesso esito fu presentata nel 1924 e nel 1925. Sarà però accolta nel 1927, quando Nuoro fu ricostituita provincia e definita Provincia del Littorio. Mussolini approvò per il finanziamento di numerose opere pubbliche. Nel 1927 il primo prefetto della rinata provincia, Ottavio Dinale, impostò subito le pratiche per la costruzione di vari edifici pubblici e 39

di un palazzo con 20 appartamenti per gli impiegati. Con l’istituzione della provincia furono costruite la Banca d’Italia, le Poste, la Casa del Fascio, l’Artiglieria, le Scuole elementari (oggi intitolate a Ferdinando Podda), la Casa della Madre e del Fanciullo, l’Intendenza di Finanza, il Mercato, le Magistrali, la sede della Gioventù Italiana, la Camera di Commercio, il palazzo degli impiegati della prefettura. Negli anni Quaranta la popolazione arriva a 14000 abitanti e si richiede il proseguo dell’attività edilizia, con l’apporto di nuove agevolazioni. Le agevolazioni riguardavano, in particolare, una riduzione del 75% sulle imposte di consumo sui materiali da costruzione e del 50% della tariffa dell’acqua occorrente per le stesse costruzioni, nonché un premio di 200 lire per ogni vano di nuova costruzione adibito a civile abitazione.

I lavori però, dovevano essere ultimati entro un anno dalla data di inizio. Il provvedimento giungeva dopo la relazione, nel 1941, del Piano Regolatore dal parte del prof. Cesare Valle, di cui si parlerà in seguito. L’istituzione della “Provincia del Littorio” a Nuoro avvenne nel 1927, insieme con altre 18 città italiane di media importanza, elevate al rango di capoluogo, nascondendo appena la volontà di attuare un controllo diretto del territorio attraverso la presenza di altrettante sedi di prefettura e di questura. Nuoro recuperava cos. uno status durato precedentemente soltanto dal 1848 al 1859 e poteva sperare in un miglioramento delle sue condizioni. Caduto il Fascismo, nel referendum del 1946 i nuorese espressero 3899 voti a favore della monarchia e 2813 voti a favore della Repubblica.

Nuoro Provincia del Littorio 40 Con il passare degli anni la città si va trasformando lentamente. I suoi quartieri storici restano inalterati e lo sviluppo cerca nuove aree sul perimetro e, soprattutto a Nord. Ma le nuove funzioni da “città” non possono essere ospitate nel centro, e la città è chiamata ad ospitare l’Ospedale, il liceo Ginnasio, l’istituto Magistrale, il palazzo delle Poste, la Questura, il Palazzo del Governo, gli uffici finanziari, le nuove scuole elementari, il mercato, la ferrovia, il sanatorio.

Nasce allora la Via Deffenu; vengono realizzate la Piazza Dante e la Piazza Vittorio Emanuele, meglio nota come “giardinetti”. San Pietro ed i quartieri attorno al Corso ed alla Cattedrale restano immutati o quasi. Ancora più immutata appare Seuna, che resta sempre più 40

emarginata dalle nuove direttrici di sviluppo e vede orma la sua propaggine settentrionale, il nucelo di “Sos sette fochiles”, isolato ed avulso dal contesto del quartiere, separato a valle per la realizzazione della via La Marmora e circoscritto a monte dalla via Deffenu e dalle nuove case comunali, incassato fra le due strade, senza collegamenti funzionali e senza sbocchi, cristallizzato nella sua configurazione ottocentesca, destinato ad un degrado inarrestabile che lo farà pervenire ai giorni nostri ormai cadente. Emblematicamente Nuoro può essere presa a modello per gli interventi di politica urbana ed edilizia del fascismo, tanto più che all’epoca, il centro barbaricino, popolato da soli 8534 abitanti, era ancora caratterizzato da un aspetto paesano, con una strada principale, bia majore, e che case che raramente superavano pochi piani. La città barbaricina conservava dunque l’aspetto di un paese essenzialmente statico almeno dall’Ottocento, quando la costruzione della nuova cattedrale di Santa Maria della Neve aveva segnato la parte orientale dell’abitato.

In effetti l’attività del fascio a Nuoro fu determinante dal momento che il vasto complesso di opere pubbliche realizzate equivale ad un rinnovamento radicale della fisionomia e dell’assetto urbano così che a buon diritto si può parlare di una Nuoro “rifabbricata”.

La trasformazione della città, naturalmente, obbliga a tener conto del livello di partenza estremamente carente riguardo ai servizi delle infrastrutture. A Nuoro la costruzione di molti uffici, indispensabili per il nuovo status della provincia, che richiedeva un ingente numero di opere pubbliche destinate agli apparati burocratici e amministrativi, precedette in parecchi casi la realizzazione di un tracciato regolare e programmato della viabilità, e non di rado fu anzi di stimolo alla attività edilizia successiva, creando inevitabilmente un mercato delle aree, del tutto nuovo in un centro fino ad allora molto limitato.

Le operazioni architettoniche della Nuoro Littoria 41 Ancora oggi la Nuoro Littoria è perfettamente individuabile sia per gli edifici pubblici, sia per i non pochi interventi di edilizia sovvenzionata, i primi esempi di costruzioni multipiano in città.

Particolarmente evidente dovette risultare allora il divario tra l’abitato dei rioni di Seuna e di San Pietro. Nuoro appare quasi un laboratorio sperimentale dove la città di regime si trova in bilico tra ideologia e prassi, ma con risultati spesso negativi. Anche qui si può ritrovare 41

il fallimento di un piano regolatore. L’esigenza di programmare lo sviluppo attraverso uno strumento urbanistico è già avvertita e trova finalmente argomentazioni organiche nella relazione predisposta dall’allora Tecnico Comunale per gli Amministratori ed allegata ai primi studi. Ancora prima della istituzione della nuova provincia, nel 1923 l’Ufficio tecnico comunale aveva predisposto un Piano Regolatore di Ampliamento, interessante la zona sud-orientale oltre la cattedrale.

In realtà, l’area veniva disegnata in modo del tutto empirico con un tracciato ad isolati curvilinei che facevano capo ad una “piazza della fontana”, destinati ad essere ornati con essenze omogenee derivanti dal nome dei viali e delle aiuole. Nello stesso anno della costituzione della provincia veniva inaugurato il primo dei grandi edifici pubblici che successivamente avrebbero costituito il cuore della grande Nuoro, determinando lo sviluppo nella zona occidentale: l’edificio delle Poste, su progetto di Angiolo Mazzoni. Contemporaneamente questa costruzione diveniva il punto di raccordo per un piano regolare di fabbricazione che arriva fino alla Stazione ferroviaria soprastante, per una superficie di circa 24000 mq, con una serie di isolati destinati a funzioni pubbliche e private. Vi erano compresi in modo eterogeneo edifici pubblici (camera di commercio, alberghi, scuole, uffici) e residenze con fabbricati per abitazioni civili, mediocivili e popolari, con una sorta di zonizzazione per censo degli abitanti.

Già nel 1925, quando il fascismo divenne un regime di tipo totalitario e nel quadro delle nuove funzioni-guida che Nuoro è chiamata a svolgere, che diventò pressante l’esigenza di dotare la città di un Piano Regolatore. Entrambi i piani non ebbero alcun esito, ma nel 1928 la nuova realtà di provincia portò l’incarico di un piano d’ampliamento all’ingegnere Aldo Satta, residente a Genova ma originario di Nuoro, il quale indicava come zona d’espansione quella situata a nord-ovest, predisponendo un tracciato che in realtà tagliava le strade in funzione degli edifici pubblici e della edilizia abitativa necessaria per i funzionari e gli impiegati legati alla nuova struttura amministrativa.

42 Se l’andamento delle strade seguiva l’altimetria nella parte settentrionale, era decisamente più accentuato il disegno regolare della parte occidentale anche con il ricorso a piazze geometriche.

La sequenza di inaugurazioni interessava di volta in volta - le scuole elementari e il liceo classico (1932); 42

- l’ospedale San Francesco (1933); - gli uffici finanziari e la sede del Genio Civile (1936); - l’istituto magistrale e la Stazione (1937); - il Palazzo delle Corporazioni (1938); - il Sanatorio (1939); - la Casa della Mare e del Bambino e il Mercato (1939); - la Casa del Mutilato (1940); tutti edifici che dotavano la città di servizi per la collettività con una concentrazione localizzata soprattutto nella parte occidentale soprastante l’antico rione di Seuna. Erano proprio questi edifici a segnare il tracciato stradale, guidando fatalmente un mercato delle aree in crescita continua. Si può considerare che i grandi lavori pubblici avevano il merito di alleviare la crisi occupazionale della città, ma nello stesso tempo la costruzione degli uffici governativi contribuiva a risolvere la crisi degli alloggi, spesso occupati fortunosamente da tali organismi. D’altra parte, l’afflusso di funzionari ed impiegati per le nuove strutture amministrative aveva favorito anche una attività edilizia concentrata soprattutto nella fascia compresa tra la via La Marmora e la via Deffenu con edifici multipiano e “caratterizzati da una dignità costruttiva del tutto estranea alla tradizione nuorese e destinata a cambiare radicalmente il volto urbano”. Contemporaneamente, però, continuava il disordine edilizio del vecchio centro dove la mancanza di allineamenti delle case sui fronti stradali e la presenza di abitazioni malsane costituivano una norma consolidata. Il piano di ampliamento Satta, infatti, limitandosi a predisporre la nuova viabilità, aveva trascurato completamente proprio il vecchio nucleo “bisognoso di un intervento di riordino contro l’anarchia edilizia, che lo aveva caratterizzato da sempre”.

In questo contesto il Palazzo delle Poste segna veramente una svolta per la qualità della veste architettonica, anche perché dal punto di vista cronologico è il primo edificio pubblico della neonata provincia.

43 44 Il progettista Angiolo Mazzoni, autore di diverse stazioni ferroviarie e di alcuni tra i più interessanti edifici postali italiani - da quello di Palermo a quello di Ostia, entrambi successivi a quello nuorese adotta un linguaggio teso ad esaltare materiali tipicamente isolani, il granito grigio lasciato grezzo e la trachite rosa lavorata a superfici 43

piane, piegate a volumi forti e netti, che un apparato decorativo esalta nei particolari. Il Palazzo ha subito una sciagurata demolizione del lato sinistro in funzione di un volume edilizio assolutamente anonimo.

A monte dell’edificio postale furono realizzati di seguito alcuni edifici rappresentativi come il Liceo Classico, l’Istituto Magistrale e il Palazzo delle Corporazioni. Nello stesso anno del Liceo Classico viene realizzato, su progetto dell’ingegner Bruno Cipelli, secondo uno schema diffuso dal secondo Ottocento, la scuola elementare nella Piazza Vittorio Emanuele (Scuola Podda). Questo ha una pianta a U, aperta verso un cortile interno e caratterizzata da un vasto fronte principale perfettamente simmetrico con due avancorpi laterali che movimentano la massa monumentale. Del tutto aderenti al linguaggio razionalista sono invece le altre due costruzioni, che situate in prossimità l’una dell’altra si impongono per un interessante scambio di andamenti curvilinee concavi e convessi. In tutti e due i casi prevale una funzionalità riscontrabile in maggior misura nell’Istituto magistrale, dotato di ampie aperture in lunghezza e di una soluzione architettonica ad andamento curvilineo, che risolve brillantemente l’isolato in rapporto all’altro occupato dal Palazzo del Consiglio dell’Economia.

L’episodio più significativo di questo periodo fu il concorso nazionale per la costruzione del Palazzo del Governo, con gli uffici di prefettura.

L’edificio doveva essere costruito in un’area trapezoidale antistante la (vecchia) Stazione ferroviaria, adagiata su livelli diversi, e ad esso erano affidate le aspettative della città anche in rapporto con il forte carattere rappresentativo della nuova struttura. La realizzazione non ebbe seguito per ragioni essenzialmente economiche. Il Palazzo del Governo si insedi. Infatti nell’edificio destinato in origine al Genio Civile dove tuttora si trova la prefettura, in una delle arterie - la via Deffenu - privilegiate per quanto concerne lo sviluppo della città nuova. È indubbio che la fondazione littoria da una impronta unitaria all’ambiente urbano e trova esempi interessanti anche nell’edilizia residenziale: sono da segnalare infatti alcuni edifici dell’INCIS, costruiti a più riprese in parti diverse della città: il primo di questi inaugurato nel 1928 nell’area che risolve l’inizio della via La Marmora. Spetta invece ai due palazzi progettati nel 1934 da Cesare Valle e realizzati qualche anno dopo nella via Trieste, denunciare pienamente il linguaggio razionalista.

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45 Appare dunque ancor più legata al passato la costruzione della Villa Antonietta sul Colle di Sant’Onofrio, su progetto del 1930, che ricorre al modello del “castello” medioevale di memoria eclettica ormai superata. È tuttavia singolare che in questo profluvio di costruzioni, che riguardano indistintamente edifici pubblici e residenze, rimanessero esclusi due tra i servizi maggiormente richiesti dalla collettività: la Stazione e il Mercato Civico. Della prima si parlerà in seguito, mentre il secondo ebbe lunghe vicende interessanti: la scelta dell’area e la presentazione del progetto (1934) fino alla consegna dello stabile avvenuta nel 1939. L’edificio riprendeva le dimensioni del mercato di Iglesias inaugurato nel 1935. Presenta uno schema basilicale dove riserva la navata centrale al prodotto ortofrutticolo e le parti laterali alla vendita di carne e pesce. Tutti gli interventi, ad eccezione dell’ospedale San Francesco (ing. Aldo Satta) e la Casa del Mutilato (ing. Giuseppe Marongiu), sono frutto di progetti affidati per incarico diretto ai tecnici provenienti in genere da Roma oppure agli uffici tecnici degli enti periferici dello Stato, secondo una prassi presente anche altrove.

46 Il Piano Regolatore di Vicario 49 Frattanto, alla fine del 1932, le nuove dimensioni assunte dalla città inducevano la delegazione nuorese dell’Associazione Fascista della Proprietà Edilizia in Sardegna a sollecitare la redazione di un Piano Regolatore, dato anche lo status di provincia, mentre prosegue un Piano di Ampliamento per la sistemazione della zona compresa fra la stazione ferroviaria ed il Corso Garibaldi e stendendosi verso SudOvest lungo il lato destro della strada nazionale verso il Quadrivio.

Nuoro, dotata già di alcuni uffici e servizi di livello cittadino, dovrà quindi rappresentare ed interpretare una cultura che non è la sua, dovrà simboleggiare anche in provincia la potenza del regime, il suo ordine, la romanità. Per conseguire questo fine nel 1935 viene incaricato l’arch. Vicario della redazione del Piano Regolatore.

La filosofia ispiratrice del Piano Regolatore emerge dalla relazione di accompagnamento al Piano: 45

Il problema dal lato sanitario si presenta gravissimo” e ancora prevede di “radere al suolo la massima parte delle abitazioni malsane (...)

Attraverso le zone demolite passeranno facilmente le nuove arterie del traffico che avranno come unico ostacolo da sorpassare quello assai complesso della accidentatissima altimetria”.

Il piano regolatore Vicario fu presentato nel 1936, ma venne bocciato dal Consiglio superiore della Sanità al Ministero dell’Interno. Esso si basava essenzialmente su abbondanti sventramenti del vecchio centro che dovevano consentire un ridisegno totale della viabilità, suscitando molte perplessità: se da un lato si plaudiva alla fine dell’anarchia edilizia, dall’altro si metteva in guardia sull’eccessivo numero di demolizioni. Il previsto raddoppio del corso Garibaldi e della via Lamarmora con nuove arterie di traffico, infatti imponeva che il rione di Seuna fosse praticamente cancellato da una viabilità sovrapposta al tessuto edilizio. La stessa sorte, seppur in misura minore, toccava alla zona di San Pietro.Il problema della sistemazione della piazza Vittorio Emanuele rimaneva comunque irrisolto, mentre era proposta una nuova piazza del Governo che si collocava intorno agli edifici pubblici già costruiti o in via d’esecuzione nel cuore della città nuova, a ridosso delle Poste centrali. Il Piano, in linea con i contenuti della relazione, è essenzialmente un progetto di viabilità assolutamente indifferente rispetto alle costruzioni esistenti. Tale piano tuttavia non ha lasciato segni tangibili della sua esistenza all’interno della città e l’unica previsione che, avanzata allora, conserva ancora oggi una sua attualità è la circonvallazione Sud che, circoscrivendo Sant’Onofrio e passando a valle della Cattedrale. In una serie di considerazioni, apparse nel 1937 sulla stampa locale, l’ingegnere Giuseppe Marongiu sosteneva in via preliminare la necessità di privilegiare i diradamenti piuttosto che i drastici sventramenti, sposando in toto le teorie dell’accademico Gustavo Giovannoni. Proponeva inoltre di non spostare il vecchio centro, ridisegnandolo, ma piuttosto di crearne nuovi grazie alla disponibilità di aree a sud-ovest, a monte e a valle della Stazione ferroviaria, della quale era auspicabile il trasferimento in una zona meno centrale, salvaguardando comunque le aree verdi di Sant’Onofrio e di Tanca Manna. Marongiu entrava anche nel merito delle costruzioni civili, proponendo la demolizione di catapecchie a fronte di nuovi edifici multipiano sorti nella parte nuova della 46

città, auspicando infine la sistemazione delle strade con il bitume piuttosto che con l’anacronistico acciottolato. Nel cuore della città nuova intanto continuava la costruzione o il completamento di edifici pubblici: cos. il vecchio ospedale San Francesco, costruito ai primi del Novecento, veniva ingrandito e raccordato nella parte a valle del comprensorio sanitario con un ingresso curvilineo di marca prettamente funzionalista. Più esplicito è invece il richiamo a tale linguaggio nel Palazzo degli Uffici finanziari che si sviluppa nella via Lamarmora su un lungo e omogeneo fronte a tre livelli, interrotto da un corpo curvilineo dotato di un’ampia pensilina per l’ingresso. La Casa del Mutilato risolve invece la sua posizione su un dislivello con una serie di volumi che decrescono con l’aumentare del pendio.

50 Il Piano Valle Nel 1941, del Piano Regolatore dal parte del prof. Cesare Valle. In esso si evidenziavano due elementi in parte contrastanti tra loro. Da una parte si riteneva di non dover “sventrare i nuclei antichi sia per ragioni di rispetto al carattere e all’ambiente, sia per ragioni organicità ed economia” e si proponeva quindi, di ampliare la città verso nuove aree periferiche. Da un’altra parte però, il Piano prevedeva un parziale sventramento di San Pietro (in senso longitudinale) e molte demolizioni a Seuna, di case “indecorose, malsane, malsicure” per fare spazio a una strada larga, che dallo slargo tra via La Marmora e via San Nicolò doveva portare alla Via Manzoni, passando acanto alla vecchia chiesa delle Grazie. Il Piano prevedeva anche l’abbattimento delle case di Sos settes fochiles, con una strada che partendo dall’edificio delle Finanze sarebbe arrivata a via Cagliari e di qui alla piazza Crispi.

Nel 1941 l’ingegnere Cesare Valle ebbe l’incarico per la redazione di un piano regolatore, approvato nel 1942 e mai attuato per gli interventi bellici. Il piano Valle poggiava su tre elementi cardine: - l’espansione urbana, - il traffico

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- il problema del risanamento igienico Vi sono in questo Piano alcuni elementi di indubbio interesse.

Innanzitutto si progetta per la prima volta l’intera città, presente e futura, e non ci si limita alla pianificazione delle sole aree di ampliamento.

Si legge nella relazione che l’ampliamento “non dovrà svolgersi in direzioni che interessino il vecchio nucleo cittadino, secondo i sani criteri dell’urbanistica moderna, che si oppone agli sventramenti dei nuclei antichi sia per ragioni di rispetto al carattere ed all’ambiente, sia per ragioni di organicità e di economia”. Tuttavia riteneva necessaria la semi-distruzione di Seuna, ignorato come quartiere storico, ed interventi di sventramento sostanziosi nella parte alta di San Pietro.

Le previsioni di verde pubblico attrezzato sono infatti estremamente carenti e questo pare dipendere più da una scelta urbanistica che da uno stato di necessità se solo si considera l’enorme disponibilità di aree centrali e la grande quantità di espropriazioni per uso pubblico che il Piano prevedere di realizzare. Se era prevista la valorizzazione del Colle Sant’Onofrio, il verde interno era invece trascurato, essendo “il primo vero grande giardino della città (...) il territorio che la circonda”. Lo sviluppo edilizio privilegiava tre direttrici principali: la zona di Istiritta per le case Popolari, il quartiere a monte della vecchia Stazione (di cui, ancora una volta, era considerato improrogabile lo spostamento) per le case isolate, e la zona di ampliamento a sudest, nonostante i problemi di natura topografica. Era raccomandata la progressiva rarefazione dell’abitato dal centro verso la periferia mediante il passaggio dai palazzi continui alle palazzine isolate, alle case in serie isolate o a nastro, ai villini e alle “casette” singole. Si tratta di una zonizzazione secondo opere che vanno dal carattere intensivo a quello estensivo, che superava il ricorso al disegno di una nuova viabilità sovrapposta al tessuto antico, che aveva contraddistinto i piani precedenti. Non erano dimenticate alcune soluzioni panoramiche, oltre alla indicazione di una serie di edifici a carattere pubblico, ancora mancanti a Nuoro, con l’evidente intento di completare la città nuova.

Nella versione finale una sorta di circonvallazione esterna avrebbe dovuto aggirare le zone di Istiritta e della via Lamarmora a valle, lasciando una visuale panoramica aperta, come era previsto a monte tramite una sopraelevata che doveva superare il livello della ferrovia.

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Fra le tante cose pianificate allora, infatti, alcune hanno trovato poi applicazione e sono ancora oggi individuabili. Gli interventi edilizi appaiono particolarmente pesanti intorno al Palazzo delle Poste e sono oggi in parte visibili, dal momento che si tratta di uno dei pochi interventi realizzati nel dopoguerra insieme con l’altro, rimasto per incompiuto, del Palazzo di Giustizia. Il Palazzo di Giustizia e la parte terminale di Via Manzoni (la prima parte tagliava Seuna partendo da Via La Marmora all’altezza della piazzetta di San Nicolò e si ricongiungeva in via Manzoni sfiorando la vecchia chiesa delle Grazie, creando un rettilineo lungo mezzo chilomentro e largo 20 metri) sono una delle realizzazioni parziali di questo Piano. Non è stata mai completata infatti la viabilità di disimpegno laterale al Palazzo di Giustizia che dava un senso urbanistico alla via Manzoni che proseguiva lungo diverse direttrici compresa quella che, circoscrivendo Sant’Onofrio e passando alle spalle della Cattedrale, tracciava ala circonvallazione Sud della quale ancora si parla. E’ quindi causa di questa realizzazione incompleta che oggi la Via Manzoni ed il Palazzo di Giustizia, appaiono interventi incomprensibili per la loro manifesta estraneità al tessuto urbano circostante. Essi infatti paiono casuali se non fossero, come in effetti sono più semplicemente, realizzazioni parziali di un piano diverso da oggi non riconoscibile ne più attuabile. La stazione ferroviaria è stata costruita dove venne ipotizzata allora, e così pure la Chiesa di San Giuseppe ed il palazzo oggi sede del Comune e della Provincia. Ma, se pure alcune realizzazioni corrispondono a quelle previsioni urbanistiche, va detto che il piano Valle non ha inciso in misura considerevole sulla crescita della città. E’ rimasta inattuata comunque la sua filosofia ispiratrice, che era quella di piegare l’esistente alla realizzazione razionale, ordinata e un po’ sontuosa di un prototipo di cittadina di provincia, con i suoi edifici- simbolo e con le sue “immagini” politico-urbanistiche precostituite, efficiente, semplice e, perché no, con una qualità ed una coerenza progettuali apprezzabili anche se oramai non condivisibili. La coerenza sistematica con la quale città si è dotata di strumenti urbanistici che poi non ha attuato, o ha attuato a metà, indipendentemente dal maggiore o minore pregio di tali strumenti e dalla portata del dibattito che li ha accompagnati.

Questa tendenza, se pure ha prodotto talvolta risultati di pregio (quando ad esempio ha consentito che non si desse corso ad alcuni sventramenti previsti dal piano Valle o dal Piano Patteri) è comunque 49

inaccettabile come costante metodologica ed è certo una delle cause della evidente confusione nello sviluppo urbanistico attuale. Il risultato che si consegue non è, come si crede, la semplice eliminazione di un presunto errore, ma la attuazione di interventi episodici in assenza di una programmazione generale o, se si preferisce, la gestione parziale di un programma edificatorio contingente non inserito in una visione urbanistica coerente e completa. La Via Manzoni ed il Palazzo di Giustizia quali oggi appaiono, sono la manifestazione più lampante di tale modo di procedere, ed il doveroso plauso per la mancata realizzazione della strada che avrebbe distrutto il quartiere di Seuna non può essere disgiunto da un giudizio critico sulla manifesta assurdità del risultato finale: un breve tronco di strada a quattro corsie che parte da una via stretta per disperdersi subito dopo in altre vie altrettanto strette prima ancora di raggiungere l’edificio in funzione del quale è stata realizzata (Il Palazzo di Giustizia).

Né d’altronde sarebbe oggi possibile proseguire oltre, poiché mancano quelle strade che avrebbero dovuto esserci per dare un senso finito a tutto l’intervento. Il Piano Valle, come già detto, prevedeva più che lo sventramento l’effettivo annientamento del quartiere di Seuna. Infatti, oltre alla strada già citata che collegava la Via Lamarmora con il Palazzo di Giustizia, vi erano diverse altre strade che, sfiorando la vecchia (ed allora unica) Chiesa delle Grazie, facendo scomparire l’intero tessuto urbanistico-architettonico di Seuna. Un’altra strada, partendo da via Lamarmora, avrebbe distrutto l’intero isolato di “Sos sette fochiles”. Queste previsioni danno il senso dello scarso ruolo che svolgeva nella città di allora il quartiere di Seuna, la cui eliminazione doveva essere apparsa non solo irrilevante nella economia generale, ma addirittura, opportuna. Il piano Valle, approvato nel 1942, provocherà, nello stato anno, la presentazione di innumerevoli ricorsi da parte dei cittadini proprietari delle case interessate agli sventramenti di Seuna e di San Pietro. Così il Piano, a seguito dell’emanazione della Legge Urbanistica del 1942, avrebbe dovuto essere riesaminato ed estesa all’intero territorio comunale.

Da allora, e prima della definitiva approvazione ed entrata in vigore, il piano tramonta lasciando come eredità alcune realizzazioni disorganiche che si mimetizzano facilmente nella casualità generale che ha guidato, unica costante in lunghi decenni di pianificazioni, la 50

crescita di questa città.

Il Piano Patteri Il 19 agosto del 1946 per impedire che i villani continuino a deturpare il monumento di Sebastiano Satta e per evitare che i vandali continuino a distruggere gli alberi del Colle di Sant’Onofrio, il consigliere Francesco Ledda chiede che il Consiglio “Provveda a rimuovere il monumento dal predetto colle ad altro punto più centrale e concedere poi ai privati parte del terreno libero per costruirvi dei villini”. Ledda ritiene infatti che “rendendolo abitato si cancellerà così anche la grave vergogna di vedere con umiliante ripugnanza quel colle trasformato in comodo ritrovo di amori illeciti, invece di essere una piacevole ed incantevole passeggiata”. La proposta però non venne realizzata. E purtroppo in anni più recenti il vandalismo ha portato alla distruzione dello stesso monumento. E nel contempo si è registrato il progressivo abbandono del colle di Sant’Onofrio, solo da poco riproposto alla fruizione pubblica. Il settore agropastorale comunque continua ad essere preponderante nell’economia della comunità nuorese. Degna di nota, tra gli interventi culturali, l’approvazione (il 5 maggio 1947) dello Statuto del Consorzio della Biblioteca “Sebastiano Satta”. Esso stabiliva che a Nuoro, in quanto capoluogo di provincia, venisse aperta la biblioteca civica con risorse finanziarie delle due amministrazioni comunale e provinciale. Il 3 agosto 1950 viene costituito il Consorzio del Govossai, tra i Comuni di Nuoro, Oliena, Dorgali, Galtellì, Lula, Onanì, Bitti e Orune, per la gestione dell’acqua potabile. Il consorzio si amplierà successivamente con l’ingresso di molti altri comuni della Barbagia e della Baronia. Il 21 marzo 1953 viene approvato il progetto di massima del nuovo Municipio, redatto dall’ingegner Francesco Porru, in previsione dell’abbandono dei vecchi ed ormai inadeguati locali del Palazzo Mereu del Corso Garibaldi.

Purtroppo tale palazzo è stato più tardi demolito per lasciare spazio all’edificazione della sede di una importante banca. L’elevazione a capoluogo di Provincia ha, frattanto, avviato quei fenomeni di inurbamento e di terziarizzazione che caratterizzeranno lo sviluppo successivo di Nuoro. La città cresce. I quartieri a Nord della Via Trieste (Nuoro Nuova) si sviluppano anch’essi; la stazione ferroviaria continua ad essere quella di Piazza Italia; non sono comunque ancora realizzate 51

né la via Manzoni né il Palazzo di Giustizia. È il 1950: nasce il Piano Regolatore Generale di Patteri: strumento che inciderà per circa 20 anni in misura significativa sullo sviluppo della città, che succederà ad alcune elaborazioni del Piano Valle operate dall’ingegner Melis. Il piano Patteri è un piano di mediazione fra gli obiettivi urbanistici-formali del prof. Valle e le esigenze edilizie e di risanamento dell’ingegner Melis.

Ad ogni modo Patteri sceglie una soluzione che recupera alcuni punti del piano Valle, ma lasciava completamento irrisolto il problema del centro storico. La sua filosofia ispiratrice e la cultura che la pervade sono fra le espressioni tipiche dell’urbanistica dell’epoca: lo sviluppo è visto fondamentalmente in termini di insediabilità residenziale ed il centro storico come un quartiere inadeguato alle esigenze abitative e quindi bisognoso di un risanamento da attuarsi attraverso la sostituzione degli edifici e la apertura di nuove strade, indifferenti rispetto alle preesistenze urbanistiche ed architettoniche, che lo attraversano indiscriminatamente al solo scopo di facilitare i collegamenti con gli altri quartieri della città. Questo piano ha gestito e guidato gli anni del boom edilizio, incentivando e legittimando in veste urbanistica il mito del condominio e della palazzina, così estraneo alla cultura architettonica e sociale nuorese, ma accolto acriticamente quale verità finalmente rivelata per risolvere il problema della casa per i nuoresi. Sono gli anni dell’abbandono del centro storico, del rifiuto e del fastidio quasi ossessivo per tutto ciò che è vecchio e ricorda il passato, la miseria, i servizi igienici nei cortili, i selciati, le case in pietra con le stanze fredde, piccole e comunicanti fra loro; sono gli anni in cui il “blocchetto di cemento” sostituisce la pietra, il cemento armato sostituisce il legno dei solai ed i “tecnici” sostituiscono i campimastri nella progettazione delle case; sono gli anni dell’accettazione paludente per le proposte di demolizione e per gli sventramenti ed anche gli anni delle trasformazioni più rapide e sostanziali, rese possibili dall’eco lontana, ma pur avvertibile, di quel “miracolo economico” che tutta l’Italia allora viveva. È la nuova filosofia del dopo-guerra che trionfa. L’inconscio collettivo tende a cancellare le memorie del passato, le distruzioni, il fascismo, la miseria e la guerra. Così il modello proposto è quello di centro di provincia che, rifiutano la propria identità, anela a diventare una piccola città adottando, a scala ridotta, i modelli urbanistici e tipologici che normalmente vengono attribuiti alle città. Il Piano invece, oltre al rifiuto concettuale della esistenza di 52

un centro storico meritevole di riqualificazione, prevede una notevole quantità di zone di completamento con indici costantemente molto elevati e tali da prefigurare la realizzazione di “palazzine”. Ma unitamente alla scelta culturale fra insediamento intensivo o estensivo, non va trascurata la scelta economica e sociale che sta alla base dell’una o dell’altra realizzazione e per effetto della quale l’intervento unifamiliare estensivo può essere intrapreso dal singolo indipendentemente dalla disponibilità economica immediata e può essere graduato, per la sua realizzazione nel tempo, in modo autonomo, mentre l’inserimento in una tipologia condominiale presuppone, sotto il profilo economico, l’accettazione di scadenze comune e predeterminate, e quindi una considerevole disponibilità finanziaria la cui assenza, nel caso di Nuoro, ha sottratto al mercato legale dell’edilizia migliaia di utenti incanalandoli verso un abusivismo che si veste pertanto di necessità e, come tale, finisce per essere lungamente tollerato o, addirittura, ignorato. Con l’attuazione del Piano Patteri, Nuoro si trasforma profondamente. La periferia diviene città. Cresce e si completa il quartiere di Istiritta, nascono i quartieri di Gruches e di Furreddu, si costruisce a Biscollai, a Ugolio, sul Colle di Sant’Onofrio; i quartieri a monte di Via Trieste si saturano completamente. Nel centro storico ha inizio la sistematica sostituzione di quelle piccole tessere che costituivano il mosaico originario di una logica di esclusivo risanamento igienico, secondo le direttrici del Piano.

Quartieri che fondavano la propria peculiarità su un precario equilibrio fra dimensione ed architettura degli edifici da un lato e dimensione e materiali dei vincoli dall’altro, vivono lentamente la sostituzione di uno degli elementi fondamentali: la architettura e la dimensione degli edifici. È Seuna, in questa fase, ad operare il maggior numero di sostituzioni fra i propri edifici. Infatti il sorgere di Istiritta e la realizzazione della via Gramsci fanno recuperare a Seuna una centralità che aveva perso da parecchi secoli e le sue costruzioni, un tempo periferiche ed addirittura condannate all’annientamento dal Piano Valle, si trovano in posizione e baricentrica rispetto alla nuova città che si è andata delineando in quegli anni. La normativa di piano non prevede, per il centro storico, alcun limite di volume né alcuna salvaguardia per gli edifici più significativi. È solo la scarsa disponibilità finanziaria della Amministrazione che impedisce l’attuazione degli sventramenti previsti del piano fino a renderli ormai inattuabili. In 53

tutte le edificazioni realizzate, il Piano incoraggia la logica del massimo profitto. In tutti i nuovi quartieri vi è una notevole carenza di verde, sia pubblico che privato. In nessuno vi è una piazza progettata come tale.

L’unico spazio rilevante a scala urbana sotto il profilo sociale continua ad essere il Corso Garibaldi, cuore sempre più eccentrico di una città che punta altrove per il suo sviluppo ma non sa dotarsi di altri riferimenti di vita collettiva. È in queste condizioni che l’inserimento sul mercato di aree esterne al Piano Regolatore nelle località di Sa ‘e Sulis, Preda ‘e Istrada, il Nuraghe, Monte Jaca e Mughina, trova le condizioni ideali per innescare i fenomeni di abusivismo di considerevole dimensione. Essere fuori dal Piano Regolatore diventa un facile alibi per non rispettare alcuna norma. Questi sono gli anni della giunta di Attilio Mastino, in cui si acquistano le aree per la realizzazione del Museo del Costume nella collina di Sant’Onofrio, della nuova stazione ferroviaria, dell’albergo dell’ESIT al Monte. E si sviluppa intensamente l’edilizia economica popolare, anche in seguito a un forte incremento demografico, dovuto in gran parte al fenomeno dell’inurbamento. Tale fenomeno proseguito nel corso degli anni Sessanta era in gran parte legato all’acuirsi della crisi delle tradizionali attività agropastorali, che provocò il progressivo spopolamento di molti paesi. Il flusso migratorio principale si volse, in un primo periodo, verso le città industriali del Nord e verso la Francia e il Belgio, nelle cui miniere entrarono decine di migliaia di lavoratori italiani.

Successivamente sarà la Germania a richiedere i nostri emigranti. Una quota più piccola di nuclei familiari si spostò, invece, verso i capoluoghi di provincia sardi e tra questi anche a Nuoro. Insieme quindi, allo sviluppo del settore delle costruzioni accompagnato dall’approvazione dell’appena citato “piano regolatore Patteri”, si muove l’intervento dell’amministrazione comunale a favore di una migliore dotazione di infrastrutture primarie e di servizi: si allargano varie strade del centro storico, si progettano la nuova sede della Banca di Italia, il Jolly Hotel, il nuovo palazzo della Provincia, le scuole elementari di Via Veneto e di San Pietro. La scolarizzazione di massa, dopo l’istituzione della scuola media inferiore obbligatoria, fa crescere ulteriormente il peso del capoluogo rispetto ai paesi del circondario. Il Piano Patteri sarà per due decenni lo strumento fondamentale dello sviluppo urbanistico di Nuoro, caratterizzato da una forte espansione, e sarà solo parzialmente superato da varianti, in attesa di un nuovo piano ancora oggi in fase di 54

elaborazione. Quando infine fu evidente che il problema edilizio non poteva più essere risolto all’interno del piano Patteri, già quasi completamente edificato, e che gli incrementi demografici contemporanei e connessi con l’illusione dello sviluppo della zona industriale di Ottana richiedevano una soluzione urbanistica urgente, si decise di dare una risposta edilizia ad un problema che appariva di quantità di aree disponibili. Da queste esigenze e su queste premesse nacque il concorso per il Piano Regolatore Generale dell’ampliamento della Città di Nuoro: uno dei più macroscopici errori che la città abbia patito. Si tentò infatti, attraverso questo piano, di pianificare una metà futura di città escludendo dalla progettazione sia la zona di sviluppo industriale di Prato Sardo che il Monte Ortobene. Si presenta come un rifiuto di una visione globale del problema urbano. Il Piano Regolatore dell’ampliamento, con la sua rilevante potenzialità insediativa, fu quindi varato e, nonostante la stesura successiva di una normativa unitaria che intendeva ricucire formalmente ciò che nella progettazione era stato diviso, la città ebbe per lungo tempo due strumenti urbanistici operanti per singole aree circoscritte. Ognuno con una sua filosofia ispiratrice ed una sua logica, ognuno con una pretesa autonomia ad autosufficienza (l’uno per essere nato come Piano Regolatore generale, sia pure vetusto e saturo; l’altro per aver tentato, per la natura stessa dell’incarico, di ricostruire in se stesso una autosufficienza ed una complessità di funzioni artificiale conseguente alla assenza di riferimenti storici reali al proprio interno). È da ciò che deriva il dualismo formale fra il vecchio centro storico ed il nuovo asse attrezzato, cuore artificiale di un ampliamento senza radici; è ancora da ciò che deriva la mancata soluzione del punto di contatto fra i due piani (l’Area della Artiglieria e del Quadrivio), periferia per entrambe ma, in realtà, l’unico vero baricentro dell’unica città indivisibile oggetto delle due pianificazioni. Frattanto si aggrava oltre ogni limite recuperabile il problema dei quartieri periferici abusivi, frutto imprevisto del Piano Patteri, esclusi proprio in quanto esistenti (sia pure illegittimamente) dal bando del concorso per l’ampliamento della città. Si è andata avanti per un lungo periodo di tempo con la realtà irrisolta dei quartieri periferici e con la dicotomia del Piano Patteri e Piano dell’Ampliamento. Nel nuovo Piano si prevedeva inoltre la predisposizione di alcuni piani per la edilizia economica popolare e del piano particolareggiato del quartiere di Badu ‘e Carros.

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Evoluzione urbana di Nuoro

Al tempo stesso però non poteva sfuggire l’esigenza, ormai insopprimibile, di arginare l’edificazione abusiva dei quartieri riportando in legge, per quanto possibile, una realtà che, oltre ad esistere, diventava sempre più ingombrante ed ingovernabile.

La Variante Generale La variante, finalizzata alla “riperimetrazione della città” con l’inserimento dei quartieri periferici, alla adozione di una normativa unitaria, non poteva costituire le valenze di un Piano Regolatore con una propria filosofia-guida originale e riconoscibile; non può quindi progettare un’altra città con un differente modello di sviluppo utilizzando, per la propria elaborazione, solo ciò che fisicamente esiste già ed ignorando le previsioni precedenti non ancora attuate. Il Piano di variante aveva la finalità di adeguare le previsioni alle nuove esigenze apportando qua e la modifiche non sostanziali sia sui perimetri delle aree edificabili sia sugli indici che regolano le volumetrie consentite.

Inoltre fra le ragioni che diedero il via alla elaborazione del Piano di Variante fu proprio la necessità di adeguerà gli indici delle zone di espansione e la normativa del Piano nuovo Decreto Urbanistico Regionale del 1977. Il Piano di variante parte quindi con l’obiettivo di modificare le previsioni urbanistiche in relazione ad alcune specifiche e circoscritte esigenze, tra le quali: - riperimetrare la città dando legittimità urbanistica ai quartieri periferici sorti abusivamente e stabilendo per essi i confini e le dotazioni di servizi nel rispetto delle previsioni già elaborate con gli studi preliminari dei Piani particolareggiati.

- modificare il perimetro edificabile di alcune aree per dare risposte ai numerosi interrogativi irrisolti e ad equivoci di interpretazione, accogliendo al contempo talune richieste di costruzione ritenute compatibili con l’impostazione del Piano.

Tali erano gli obiettivi da raggiungere e tale fu il risultato. Non si ottenne, poiché non lo si volle, un nuovo progetto alternativo a quello precedente anche se i primi segnali di una stasi nello sviluppo demografico e il declino delle illusioni create dalla nuova zona 58

industriale di Ottana avrebbero forse potuto far nascere alcune perplessità sui criteri di impostazione del Piano. E’ pur vero che il nuovo Piano Regolatore era stato varato troppo di recente perché si pensasse di abbandonarlo. La variante allarga quindi il perimetro delle aree incluse nel piano, continua ad ignorare sia la zona industriale di Prato Sardo che il Monte Ortobene, rinunciando ad analizzare le interconnessioni fra la città e questi episodi emergenti al di fuori del perimetro urbano, cancella definitivamente le previsioni di sventramento del Centro Storico e, al contempo, ripropone il dualismo fra asse attrezzato e centro cittadino conservando inoltre, come isole autonome ed intoccabili, tutte quelle aree, e sono ormai tante, dotate già di piani urbanistici esecutivi. Nel frattempo la Città continua a svilupparsi, sia pure con ritmo più lento che nel passato; continua ineluttabile la sostituzione di molte tessere all’interno del mosaico del centro storico; si edificano i nuovi piani di edilizia economica e popolare. La crescita demografica è continuata, nel corso degli anni ’60, anche in seguito alla realizzazione di una serie di interventi di industrializzazione nella Sardegna centrale (si è citata Ottana), che per alcuni anni ha provocato positive ricadute economiche anche sulle attività commerciali della città di Nuoro. A partire dai primi anni ’70 però, tale crescita si è arrestata, mentre non si è arrestato il fenomeno di spopolamento di molti paesi dell’interno. Nuoro non ha più rappresentato il polo di attrazione sicuro per una serie di motivi.

L’apparato industriale, concentrato in misura preponderante sul polo petrolchimico, ha manifestato ben presto segni di fragilità, trasformatisi negli anni successivi in risultati fallimentari. Nel frattempo l’illusione dell’occupazione nel settore industriale si è rivelata eccessiva ed insieme ha provocato un’accelerazione dell’abbandono delle tradizionali attività agropastorali. L’agricoltura, già in crisi da decenni, ha subito un ulteriore tracollo, mentre la pastorizia ha dovuto fare conti pesanti con il mercato nazionale e internazionale, pagando anche per i forti ritardi nella riforma del settore. La piccola industria inizia timidamente ad esprimersi con i primi insediamenti nell’area del Consorzio Industriale di Prato Sardo, una realtà faticosamente, m positivamente cresciuta in questi ultimi anni. Sul piano urbanistico negli anni ’70 e ’80 si assiste ad una proliferazione di nuovi agglomerati, sorti per dare risposta ad una pressante richiesta di case che si scontrava con un piano regolatore inadeguato. Su questo terreno le amministrazioni hanno rincorso 59

affannosamente i problemi, con inevitabili condizionamenti, più che affrontarli con una seria programmazione, tollerando o non riuscendo ad arginare efficacemente anche rilevanti fenomeni di abusivismo. E le ferite della spinta disordinata allargamento dello spazio edificabile sono ancora aperte, come resta aperto il dibattito sul futuro del monte Ortobene, altra annosa e delicata questione non solo urbanistica, ma anche economica. Sul piano culturale, ma con forti risvolti economici, è approdata ai primi risultati la battaglia iniziata alla fine degli anni ’70 per l’istituzione dell’università. Anche se appare inesatto parlare di un terzo polo, rispetto a quelli storici di Cagliari e Sassari, la presenza di alcune facoltà universitarie nel capoluogo barbaricino non solo non va sottovalutata, ma occorre interpretarla come stimolo per un’ulteriore crescita nel complesso campo della formazione superiore.

Verso il PUC Nell’ultimo ventennio la città di Nuoro ha tentato, invano di dotarsi di un Piano Urbanistico Comunale, di cui al giorno d’oggi risulta prima, per quanto dovrebbe essere approvata abreve termine. Le vicende hanno interessato l’architetto Paolo Portoghesi, che dopo 14 anni ha deciso di abbandonare l’incarico. Le indicazioni e le problematiche che erano state avanzate negli anni sono comunque state raccolte da chi, attualmente sta predisponendo il PUC di Nuoro, ovvero la Veneta Progetti, che nel luglio del 2008 ha presentato la sua proposta e della quale riportiamo alcune tracce che ci aiutino a comprenderne le logiche e gli obiettivi. Fin dalla premessa pare essere obiettivo del nuovo PUC la centralità dello spazio pubblico e rafforzamento dell’identità urbana, la tutela del paesaggio e del territorio. La riflessione dello sviluppo socio-economico passa per il dimensionamento demografico del PUC, politiche della residenza, delle attività produttive, politiche turistiche.

Di un certo interesse è l’attenzione del PUC nei confronti di quella che definisce “emorragia demografica” che negli ultimi anni investe la città, sottolineando come la stessa abbia interessato soprattutto la parte più giovane della popolazione e che costituisce, pertanto, uno dei maggiori fattori di debolezza del sistema sociale oggetto di osservazione. Nell’arco temporale di riferimento la popolazione di Nuoro è diminuita del 3,16%. La popolazione ha toccato il picco più alto nel 1995 per poi diminuire costantemente fino a raggiungere il 60

minimo storico del 2005. Il censimento del 2002 e del 2003, tuttavia, registra un trend relativamente positivo e una crescita di poco più di 200 unità, imputabili, in parte, alla immigrazione della popolazione straniera.

Così è riportato nella proposta del PUC: “Lo spostamento del luogo di residenza tra i comuni risponde in genere ad una serie di variabili socio/economiche: la popolazione è infatti influenzata da fattori che condizionano la decisione di localizzazione. Si possono ipotizzare sia ricerca di lavoro che possibile assunzione in una località lontana dal luogo di residenza; riteniamo relativamente più plausibile eventuali trasferimenti di residenza per poter beneficiare di una qualità di vita migliore. Queste caratteristiche sono generalmente sintetizzate nel concetto economico/geografico di agglomerazione e dispersione, concetto che è condizionato da una serie di variabili non sempre identificabili. Le dimensioni suddette sono, come penso concordiamo, frutto della struttura urbana e delle propri caratteristiche socio/ economiche.”

Ad ogni modo la città, costituisce un relativo punto di attrazione per i flussi di immigrati, ma assume valori nettamente inferiori se paragonati ai dati regionali e nazionali. Nel complesso si conferma un decremento della popolazione nuorese e in particolare Nuoro si caratterizza per l’invecchiamento della popolazione. Si riduce invece la fascia di popolazione di età inferiore ai 14 anni. Di fatto, se ne conclude che la voglia di andare via, di emigrare in cerca di un posto di lavoro, sta privando la comunità delle sue risorse umane giovanili. Sul fronte sanitario è necessario individuare la prevenzione come una delle vie principali da perseguire sul fronte socio-assistenziale. Sono importanti non solo le azioni riparatrici per il superamento del dramma ma anche quelle finalizzate alla prevenzione che difficilmente trovano spazio all’interno delle diverse progettazioni. Appaiono problematiche le condizioni di vivibilità del territorio Nuorese e troppo numerose le barriere architettoniche da abbattere. L’obiettivo operativo che il Piano Urbanistico Comunale deve pertanto puntare al miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi e delle strutture a sostegno dei disabili per una effettiva integrazione sociale. Nuoro non sembra possieda motivi di attrazione di flussi di immigrati che compensino il 61

calo demografico e dai risultati delle elaborazioni della Veneta Progetti è evidente una certa tendenziale staticità nel ricambio generazionale.

Nel corso di venticinque anni, infatti, a Nuoro il contenimento delle nascite ha prodotto un progressivo invecchiamento strutturale della popolazione residente, con un aumento consistente della popolazione anziana. Quindi una popolazione attiva non proprio giovane, ma anche una realtà in cui pesa la carenza di posti di lavoro con una presenza di non indifferenti percentuali di disoccupazione. L’analisi di settore mostra che il valore aggiunto deriva soprattutto dalle attività del terziario (i servizi concorrono per più di 2/3), il settore industriale contribuisce in misura notevolmente inferiore, Il contributo del settore agricolo non differisce sostanzialmente da quanto si verifica a livello regionale. Le attività dei servizi costituiscono un settore scarsamente innovativo, caratterizzato soprattutto per l’elevata incidenza delle attività commerciali, della pubblica amministrazione e dell’istruzione, che insieme detengono un’alta percentuale degli addetti complessivi (poco meno del 50%). Un discorso a parte merita l’area industriale di Pratosardo, localizzata alle porte della città di Nuoro. Questa si rivolge prevalentemente all’imprenditoria locale. Pratosardo può essere definita un’area economico/produttiva mista, infatti, il 51% delle imprese presenti appartiene al terziario, il restante 49% è costituito da imprese industriali. Non rappresenta un’area industriale anomala, ma una zona industriale che segue la tendenza comune ad altre esperienze regionali e nazionali.

Tra le indicazioni della Veneta Progetti sottolineiamo: - raggiungere la città da sud (depotenziando l’accesso a nord) e allungare la circonvallazione sud di 1km sino alla base di una piccola pianura. Qui realizzare unparcheggio e inserire una risalita meccanica che raggiunge il belvedere della Chiesa di S.M. della Neve. Da qui a piedi si possono raggiungere sia i posti di lavoro “terziari” e/o iniziare la visita culturale/turistica della città antica.

- sistemare il Quadrivio/ Utilizzo della Caserma, il “buco” delle ferrovie, lo stadio del calcio per Università, parcheggi di assestamento, edificazione direzionale/residenziale.

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- sistemare e recuperare l’area ex Polveriera di Prato sardo per parco cittadino e impianti sportivi e proporre un percorso ciclabile lungo il tracciato ferroviario che non ha senso di esistere.

- completare il proseguimento del parco attrezzato del “biscione” per ribilanciare le due città (est ed ovest del Quadrivio) / inserire la residenzialità e le altre destinazioni continuando un disegno di “binario stradale” già presente nel piano attuale di Ramazzotti.

Il Piano è stato costruito tenendo conto del disegno della città iniziato circa 30 anni fa dal precedente progettista prof.Ramazzotti. Il disegno di piano tiene conto della previsione dell’”asse attrezzato” non ancora completato e lo sviluppa riproponendolo in continuazione verso ovest.

L’asse si trasforma in Parco Lineare al servizio della città che tiene al suo interno atrrezzature e servizi di interesse pubblico. Il disegno di città viene inoltre contenuto all’interno di un perimetro ideale compreso tra la parte montagnosa a nord, nord-est e la circonvallazione sud. Il tema che si è cercato di affrontare è stato quindi quello di “riequilibrare” la città sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Questo disegno era già presente nel precedente piano Ramazzotti (in parte ripresa anche dalla proposta Portoghesi mai portata a termine). Il piano cerca di continuare questo disegno prolungando l’ex asse attrezzato per trasformarlo in “parco lineare”. La nuova espansione viene portata prevalentemente ad ovest, ma questa porta con se una nuova serie di aree per servizi pubblici e di attività direzionale e terziarie per controbilanciare l’utilizzo della città verso quella parte. E’ un disegno di lungo periodo che, iniziato con precedente piano, deve essere continuato e rafforzato. Un secondo tema forte è quello della fruibilità della città storica. La proposta progettuale prevede di attivare anche un accesso da sud alla città storica attraverso un prolungamento della circonvallazione (il meno invasivo possibile) e la realizzazione di una risalita meccanica che permetterebbe agli utenti di arrivare direttamente alla piazza della Madonna della Neve, uno dei fulcri del Centro nuorese. Altro tema riguarda il progetto strategico del Quadrivio: l’obiettivo sarebbe quello di sistemare e rifunzionalizzare una parte di città molto importante ai fini dell’accesso da nord. L’area 63

è incerneriata all’incrocio di cinque strade importanti che mettono in interconnessione l’entrata/uscita a/da Nuoro con la parte est (città storica) e con la parte ovest espansione recente).

In modo particolare si prevede: - la rifunzionalizzazione della caserma dell’Artiglieria per adibirla a Servizi pubblici con destinazione d’uso Campus Universitario; - la rifunzionalizzazione dell’area libera posta a sud, la sostituzione del campo sportivo per eventi quando lo stesso sarà delocalizzato con un parco cittadino e impianti sportivi di quartiere; - la rifunzionalizzazione dell’area della stazione ferroviaria mantenendo la destinazione esistente ma prevedendo la realizzazione sopra lo stesso sedime, sfruttando le differenze di quota, di un parcheggio scambiatore al servizio della città esistente, la realizzazione di volumetria a destinazione residenziale, commerciale e per uffici.

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Definizione delle aree di intervento

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Il versante Ovest della Valle del Riu Cannas

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Inquadramento geografico La Valle del Riu Cannas riveste una notevole importanza per via delle caratteristiche morfologiche che contribuiscono a definire i limiti dell’intera città. Infatti, a causa principalmente dell’elevata pendenza dei versanti, orientati in direzione NO-SE, essa definisce un’area nella quale lo sviluppo urbano si arresta per orientarsi in corrispondenza dell’Ospedale sanatoriale “Cesare Zonchello” con il quartiere di Biscollai. La Valle si apre quindi in direzione nord-est verso la più ampia valle del Rio di Lucula, che, a sua volta, va ad alimentare il Rio Marreri. Il versante NO si allunga in direzione del colle di Ugulìo(622 m slm); nel suo punto più basso la valle raggiunge la quota di 450 m slm, circa 200 m al di sotto dell’altitudine media del centro urban Sotto il profilo geologico l’area in oggetto appartiene al complesso granitoide del nuorese che si sviluppa in tutta l’omonima area; anche i suoli (Palexeralfs; Haploxeralfs) non presentano caratteristiche differenti da quelli degli areali circostanti, con rocciosità e petrosità elevate e scarsa profondità. Non sussistono corpi idrici significativi; il Rio di Cannas è un tipico corso d’acqua a carattere temporaneo stagionale nel cui alveo, pressoché costantemente asciutto, abbonda una fitta vegetazione costituita in prevalenza da specie arbustive (quali rubus ulmifolius). Le pendici, come già affermato, presentano un’elevata pendenza che ha sempre costituito un forte fattore limitante le attività agricole (ad eccezione forse dell’allevamento ovino); attualmente, dal punto di vista vegetazionale, si caratterizzano per la presenza di una macchia termofila in cui domina, specialmente nel versante sudorientale, la Pistacia lentiscus. Decisamente minoritaria la componente arborea; che invece a nord va a costituire la tipica formazione boschiva a quercus ilex e quercus pubescens. Sul crinale settentrionale invece si affaccia la pineta di Ugolìo, formata esclusivamente da pinus pinea, quercus ilex e un relitto frangivento a eucalyptus. A tutti gli effetti quindi si potrebbe dire che la vallata vada a configurarsi come la vera centralità di Nuoro dividendo la città in due parti: la parte est, con i quartieri storici di Seuna, Santu Predu e l’area di espansione fino agli anni 60; la parte ovest, con i quartieri di Biscollai, Città Nuova, Città Giardino e Testimonzos sviluppatisi negli ultimi trent’anni. La città si affaccia sulla valle attraverso la Via Mannironi, importante via d’accesso alla città; malgrado la posizione privilegiata, essa attualmente non sfrutta la suggestiva vista offerta, limitandosi a costituire un’arteria del

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traffico veicolare cittadino. Altra particolarità del versante ovest della vallata è l’isolato, composto prevalentemente da residenze unifamiliari disposte in cima al pendio in modo da creare un confine tra lo stesso versante e la già citata pineta del colle di Ugolìo quest’ultima diventata negli ultimi anni un’importante area ricreativa.

Cenni storici Il toponimo Cannas è probabilmente legato al nome del proprietario dei poderi ivi presenti, ma potrebbe indicare l’abbondante presenza, in prossimità dell’omonimo corso d’acqua, di vegetazione ascrivibile alla specie arundo donax. A causa della forte pendenza delle proprie pendici, la valle di Cannas, nel sistema produttivo agricolo nuorese riveste un ruolo piuttosto marginale. A sud di essa, nella prima metà del XX secolo la città si espande lungo l’asse costituito dall’attuale viale Trieste, con la linea ferroviaria che corre lungo la cresta della valle e che alla fine degli anni venti subisce una variazione del tracciato che la porta più a Sud; a Nord, fino agli anni sessanta l’area (corrispondente attualmente al quartiere della via Mannironi e dell’Ospedale San Francesco) costituisce la via d’accesso settentrionale alla città ed è dominata dalla coltura dei seminativi, pratica col tempo abbandonata in special modo dopo il secondo conflitto mondiale.

Negli anni trenta è inoltre completato, su progetto dell’architetto Ghino Venturi, il complesso sanatoriale (attualmente Ospedale “Zonchello”) che va ad assumere una posizione centrale rispetto alla città futura. I grandi interventi di rimboschimento realizzati nel territorio comunale degli anni sessanta e settanta, che portano alla creazione di estese superfici forestali, a quercus ilex e pinus pinea in particolare, riguardano anche l’area a monte della pendice settentrionale della valle di Cannas, dove viene realizzata la pineta di Ugolìo che prende il nome dal colle omonimo. In prossimità della linea ferroviaria vengono realizzate, specialmente a partire dalla fine degli ottanta, edifici destinati a residenza, perlopiù unifamiliari, che vanno a formare la cortina visibile dalla parte opposta della valle. Attualmente l’area, vitale nodo del traffico cittadino, è interessata da interventi di risistemazione della rete viaria su gomma e su rotaia.

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Asse attrezzato Viale Don Bosco - CittĂ Nuova

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Inquadramento geografico

L’area approssimativamente corrispondente alla zona storica di Biscollai è in sostanza una valle inserita tra il versante nord-occidentale dell’omonimo Monte(IGM 25000) più comunemente noto come Monte Gurtei(627 m slm) e il versante meridionale del colle di Lugurulei(616 m slm). Nel tessuto urbano, l’area s’inserisce tra il Quartiere dell’Ospedale civile San Francesco e Città Nuova, assumendo una forma di quadrilatero allungato in direzione NE-SO, in cui si sviluppano un asse composto prevalentemente di servizi che connette l’area ospedaliera e dei servizi commerciali con il contesto residenziale di cui fanno parte i quartieri Città Nuova - Città Giardino - Badu ‘e Carros. L’area poggia su un asse viario principale, arteria fondamentale del traffico cittadino, costituito dalle vie Pertini /Pau e dalla Via Don Bosco che vanno a definire i limiti rispettivamente settentrionale e meridionale dell’intero sistema.

Attualmente lungo l’asse viario sussistono sia un sistema articolato di servizi pubblici, primari, di culto e ricreativo/sportivi sia attività commerciali. L’area tuttavia si presenta ancora in decisa fase di espansione, con l’edificato, solitamente multilivello e con volumetrie rilevanti, che si alterna ad aree aperte di servizio (parcheggi) e ad ex aree agricole destinate a divenire aree di completamento. Queste ultime sono residui di ampli poderi frazionati sin dagli anni ’80, di fatto abbandonati e oggetto di interesse per il mercato immobiliare solo in tempi relativamente recenti. Dal Punto di vista ambientale particolare rilevanza assume il rilievo di monte Gurtei; dalle foto aree storiche emerge come, sessant’anni fa il colle si presentasse come ricoperto da una vegetazione composta da un rado strato arboreo (quercus ilex e pubescens) e uno erbaceo/arbustivo tipico della macchia termofila.

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Cenni storici

Il termine “Biscolai”, di probabile origine Paleosarda, suggerisce la presenza di vischio nella zona. La morfologia dolce e poco accidentata favorisce lo sviluppo dell’agricoltura, seminativi e pascoli su tutti, in quanto la scarsità di risorse idriche limita decisamente il fiorire di un’agricoltura specializzata. La zona è periferica rispetto alla via di comunicazione che collega storicamente l’area con la Serra di Orotelli e il Marghine; Il vicino Nuraghe di Cucullìo testimonia una frequentazione in età nuragica, del resto accertata da ritrovamenti archeologici comuni in tutto il territorio comunale. L’area condivide le vicissitudini storiche del centro urbano, che esce dall’anonimato solo alla fine del seicento. Ancora nel novecento l’area è suddivisa nelle tanche delle famiglie ricche della città, e mentre nel secondo dopoguerra inizia l’espansione nel versante meridionale di monte Gurtei, l’area resta ancora ai margini dello sviluppo. Il potenziamento della rete stradale, negli anni 80, segna di fatto l’inizio dello sviluppo urbano di quest’area, lungi dall’essere completato ancor oggi. Vengono infatti realizzati negli ultimi decenni una serie di servizi generali e commerciali, a cui si sommano, in tempi recentissimi, interventi di edilizia economica e popolare e privata. La crisi di un certo modello di commercio cittadino(siamo oramai alla fine del XXI secolo), associata alla disponibilità di aree edificabili, all’attuale sistema dei servizi commerciali, destinato in via definitiva al completamento laddove è reso disponibile il potenziale edificatorio.

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La Valle di Tanca ‘e s’Ena

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Inquadramento geografico L’area nota come Furreddu si estende in corrispondenza degli importanti assi viari Viale Costituzione - Viale Sardegna, che corrono pressoché paralleli In direzione NE-SO. Da un punto di vista morfologico la si individua come un pendio che corre, con una pendenza che si attesta mediamente intorno al 5%, in direzione OE, dal centro abitato verso l’area nota come Tanca ‘e s’ena. A Nord si estende l’area urbana che ha nella via Costituzione l’asse portante, mentre a Sud il pendio si interfaccia col Colle di Tertilo(519 m slm), che, insieme ai colli di Cucullìo(653 m slm) e Tuccurutai(663 m slm) va a definire il margine meridionale del tessuto urbano cittadino. Il sistema idrografico della zona è articolato nel compluvio del corso d’acqua S’ena che, una volta ricevuto il Rio ‘e Tiesi proveniente da Nord, procede in direzione sud, andando ad alimentare il Riu su Grumene, importante corso d’acqua che s’inserisce nell’omonima area agricola.

IL sistema delle infrastrutture viarie contribuisce a definire l’area, con la circonvallazione sud che costituisce un margine sudorientale e il già citato Viale Costituzione che definisce il limite occidentale. L’area è in sostanza l’ingresso meridionale della città, con sensibili volumi di traffico da e verso il centro dell’isola. È anche direttamente collegata la centro cittadino e dunque all’importante snodo Piazza Sardegna/ via Mannironi attraverso la via Sardegna, vera e propria arteria di collegamento tra il nord e il sud della città. Le residue aree non edificate sono aree marginali dal recente passato agricolo; nello specifico il versante sudoccidentale del colle di tertilo, che presenta i connotati del caratteristico pascolo alberato a Quercus ilex in cui l’allevamento ovino e bovino semiestensivo è tutt’oggi praticato. Per quanto concerne l’edificato urbano, Furreddu in particolare è stata interessata da interventi di sviluppo legati alla creazione di isolati destinati ad interventi di edilizia pubblica popolare. Nell’area sussiste pure un sistema di servizi legati alle attività culturali e ricreative, su una superficie piuttosto considerevole, attesta intorno ai 1° ettari complessivi. La parte più meridionale, corrispondente al compluvio del Riu Tanca ‘e s’ena, ha uno sviluppo più recente, che vede la realizzazione, a cavallo degli ultimi decenni di una serie di aree pubbliche di servizio e di edifici privati destinati ad abitazioni. Restano tuttavia delle aree marginali che “bucano” il tessuto urbano e sono suscettibili di ulteriore espansione.

Il restante tessuto residenziale, è realizzato in un lasso di tempo che

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va dal 1960 e continua ancora oggi, si configura in un ampio ventaglio di tipologie con una direttrice di sviluppo sudorientale. Le aree più meridionali sono notoriamente le più sensibili dal punto di vista della tutela della qualità dell’ambiente; il venir meno dell’azione di presidio del territorio da parte degli agricoltori ha innescato una serie di processi, dai connotati preoccupanti, di degrado e inquinamento che coinvolge in massima parte le acque e il suolo.

Cenni storici Importante snodo del traffico sin dall’antichità, col Nuraghe di Tertilo a sorvegliare l’ingresso dall’alto del colle omonimo, l’area di Furreddu è probabilmente sede di uno dei primi insediamenti; il nome stesso, traducibile come “piccolo forno” indica univocamente la presenza (di cui oggi non resta traccia se non nella toponomastica), delle classiche tombe ipogee note più comunemente come Domus de Janas.

L’area nel corso dei secoli conserva la destinazione silvo-pastorale, con orticoltura concentrata nelle vicinanze delle aree più umide, non seguendo il destino della vicina area di Su Grumene, in cui le più miti condizioni climatiche invernali e la relativa abbondanza d’acqua consentono una specializzazione verso l’ulivicoltura. Nella prima meta del XX secolo l’area è marginalmente interessata dal processo di evoluzione della città fascista; le direttrici di sviluppo seguono in effetti altri orientamenti. Furreddu acquista una centralità differente con il boom edilizio degli anni sessanta, dove, nella parte più settentrionale, subito adiacente al sistema dei servizi di via Repubblica – Viale Sardegna ( Sede del Comando Artiglieria, Consorzio agrario, Campo sportivo comunale) vengono portati avanti interventi di sviluppo urbano, principalmente di edilizia popolare nella via Costituzione, continuati in maniera significativa lungo il corso degli anni settanta e ottanta. Quasi parallelamente si viene a creare un sistema di servizi essenziali, adiacente al tessuto residenziale, costituito da scuole primarie secondarie, nonché da un complesso sportivo completato negli anni ’80 e che si estende per circa 4 ettari. La parte più meridionale, corrispondente al compluvio del Riu Tanca ‘e s’ena, ha uno sviluppo più recente, che vede la realizzazione, a cavallo degli ultimi decenni di una serie di aree di servizio, nello specifico aree ricreative e di culto, di supporto alla normale attività dei mezzi di trasporto pubblico, e una piazza mercatale.

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Testimonzos

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Inquadramento ambientale Col toponimo Testimonzos si indica genericamente il settore sud-occidentale della città; si tratta approssimativamente di un’area pianeggiante, situata mediamente a 550 m s.l.m. che degrada dolcemente verso sud. Facente ormai parte integrante del tessuto urbano, è idealmente delimitata a Nord dalla SS 129 e a Sud dalla circonvallazione della 389. La vegetazione spontanea occupa attualmente una superficie estremamente limitata, concentrata nelle aree di margine tra i poderi e quelle di pascolo abbandonate, in cui si configura un ripristino della macchia termofila e la copertura arborea è praticamente assente; le uniche formazioni arboree significative sono le residue linee frangivento, realizzate a Eucalyptus. L’area è sostanzialmente rappresentata da una maglia di lotti di piccole/piccolissime dimensioni (1000-2000 m) che ospitano seconde abitazioni e piccoli poderi in cui si coltivano prevalentemente ortaggi e alberi da frutto. Nelle marginali aree in cui l’attività agricola è svolta razionalmente, prevale l’allevamento semi estensivo di ovini e bovini, nonché, in quota decisamente minoritaria, la foraggicoltura. Anche se di relativa importanza, sono presenti piccole attività artigianali, la cui nascita è stata favorita nel tempo dalla facilità di collegamento con il resto della città e la vicinanza con le aree residenziali di “Città Giardino e Badu ‘e Carros”.

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Cenni storici e stato attuale Anticamente costituisce una via commerciale privilegiata per i traffici che dall’interno dell’isola sono diretti al porto fluviale di quello che oggi è il centro di Orosei e a Terranova (l’attuale Olbia). Sono testimonianza di attività in età Romana i numerosi ritrovamenti archeologici di età imperiale; la presenza, nella parte meridionale, di una cintura di nuraghi (Saju, Tresnuraghes e Tigologoe) ne dimostra la rilevanza in età nuragica come snodo commerciale e luogo di produzione agricola. Nelle epoche successive l’area perde gradatamente importanza, costituendo un’area agricola marginale, destinata al pascolo e all’orticoltura, attività decisamente meno remunerative rispetto all’agricoltura più specializzata della vite e dell’ulivo, concentrate nelle pendici delle valli del Riu Marreri e Grumene. Negli anni cinquanta e sessanta vengono effettuati alcuni miglioramenti fondiari nell’area più meridionale, mentre lo sviluppo urbano circoscritto alle situate più a est. La realizzazione delle SS 389 e 129 riportano l’area al centro delle linee di traffico provinciali; malgrado ciò il PRG vigente (1981) individua l’area di Testimonzos, e più generalmente tutta l’area sud occidentale della città come zona H di particolare pregio naturalistico/paesaggistico e, per la restante parte, zona agricola E. Dal 1985, a partire da una lottizzazione abusiva, che porta in breve tempo alla costituzione di una teoria di lotti della superficie di 1000 – 2000 mq, nell’area inizia un processo di edificazione abusiva per una volumetria che all’attualità si aggira intorno a 235.000 mc. In rapida successione si realizzano, tramite vendita o frazionamento ulteriori lottizzazioni (17) per complessivi 200 ettari.

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Dal 1985, a partire da una lottizzazione abusiva, che porta in breve tempo alla costituzione di una teoria di lotti della superficie di 1000 – 2000 mq, nell’area inizia un processo di edificazione abusiva per una volumetria che all’attualità si aggira intorno a 235.000 mc. In rapida successione si realizzano, tramite vendita o frazionamento ulteriori lottizzazioni (17) per complessivi 200 ettari. I dati relativi alle proporzioni del fenomeno sono così riassunti:

Dati Abusivismo Area Testimonzos* Lottizzazioni abusive

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Lotti interessati Estensione Volumi censiti (1999) Manufatti realizzati in zona H (fino al 1999) Manufatti realizzati in zona H (dopo il 1999) Manufatti totali zona H Manufatti realizzati in zona E/EI (fino al 1999) Manufatti realizzati in zona E/EI (dopo il 1999) Manufatti totali zona E/EI Totale manufatti (zona H/E/EI) Nuclei familiari residenti

1000 200 ha 200 000 mc 195 43 238 84 45 129 367 55

*Fonte: Ufficio Tecnico Comune di Nuoro

Dei complessivi 367 fabbricati, solo 55 sono adibiti a residenza principale, per cui la maggior parte degli insediamenti sono seconde case di tipo prevalentemente stagionale, o edifici appoggio per poderi coltivati saltuariamente e destinati principalmente a orti.

In sostanza gli edifici, per la maggior parte realizzati, abusivamente, presentano, per la quasi totalità, fenomeni di degrado sia per la povertà dei materiali usati sia per l’assenza di una progettazione razionale.

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Progetto

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Strategia progettuale

Dall’analisi di fatto del contesto nuorese, emerge un’immagine della città definibile come un insediamento modellato attraverso una insieme di patch, un’unione non ragionata di varie trame abitative, con quartieri che si sommano nel tempo. In definitiva, le singole aree si configurano come unità praticamente indipendenti con caratteristiche e dominanti ambientali ben distinte.

Preso atto di tale complessità, gli obiettivi che si intendono raggiungere si articolano in una riqualificazione urbana, a partire dalle idee progettuali emerse ed elaborate nella tesi sulla “Nuova centralità per Nuoro”. In quest’ultima, la strategia prevede una serie di interventi relativi a quattro macro - aree, in cui si riprogetta il reale centro urbano a partire dal sistema ambientale. Questa disamina, nell’esposizione e risoluzione delle criticità del centro urbano, esclude di fatto le problematiche relative ad alcune l’area di espansione occidentale dagli anni settanta in poi, ad eccezione del quartiere di Biscollai.

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Si tratta, come emerso nella fase di analisi, dei quartieri dormitorio della parte occidentale della città che si caratterizzano per la totale assenza (o quasi ) di un sistema articolato di servizi. Inoltre, attorno al centro urbano evidenziato, con le sue problematiche, sussistono aree che benché connesse direttamente al centro urbano, non hanno trovato la corretta “soluzione”, il giusto compromesso tra il sistema ambientale e quello urbano. D’altro canto le stesse aree hanno una potenzialità “ambientale” elevata e suscettibile di miglioramento. La strategia progettuale è pertanto rivolta a restituirgli una dignità urbana che garantisca delle linee guida per uno futuro sviluppo razionale della città.

Tra le aree a forte criticità, quella di Testimonzos è certamente una di quelle in cui gli strumenti urbanistici hanno trovato maggiore difficoltà nell’azione, con lo sviluppo dominato dall’abusivismo e dalla precarietà dell’edificato, che ha preso il sopravvento in un’area in cui storicamente, la vocazione agricola è la prevalente. In questo caso quindi, l’azione progettuale prevede una riqualificazione finalizzata a riportare l’attività agricola – silvocolturale nella condizione di costituire il volano di sviluppo dell’intera area.

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Planimetria tesi “Nuova centralità di Nuoro”

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Planimetria di progetto

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Il Versante Ovest della valle del Riu Cannas

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L’intervento si concretizza nella creazione di un limite tra tessuto urbano e un’area a maggiore naturalità. Questo bordo ha la testata meridionale che confluisce sulla piazza prevista nel progetto de “la nuova centralità per Nuoro”, mentre a nord si aggancia al sistema dei percorsi pedonali già esistenti all’interno dell’area ricreativa della pineta di Ugolìo. L’intervento si configura come un unico sistema articolato in tre parti: −

Parte adiacente la via Mannironi, in cui si prevedono terrazze – belvedere che trasformano l’arteria, da semplice (per quanto importante) snodo del traffico veicolare cittadino in un sistema complesso che permette un’interazione, seppur solo visiva, con tutto il territorio circostante, nello specifico i massicci settentrionali del nuorese e l’abitato di Orune. Le terrazze si articolano su vari livelli, coerentemente rispetto la pendenza attuale della strada.

−

Parte centrale del sistema, costituita da edifici multilivello plurifamiliari che completano l’edificato esistente,che si sviluppa NO-SE partendo dall’Ospedale Civile San Francesco e concludendosi laddove la via Mannironi è costretta a piegarsi a causa prospiciente dislivello della vallata, caratterizzata dalla stessa tipologia e situati a ovest rispetto al tracciato stradale.

−

Parte terminale, che interagisce e risolve l’isolato esistente, completando l’unica strada di accesso presente e creando una fascia costituita da due distinti livelli, uno, quello più distante dalla linea ferroviaria, composto da abitazioni monofamiliare, coerentemente con l’edificato esistente, e un secondo, quasi a diretto contatto col tracciato ferroviario, composto da orti urbani. Questa sistema è realizzato in modo tale da garantire un passaggio graduale da un sistema ad elevata naturalità ad uno con naturalità zero, corrispondente al tessuto urbano. Trasversalmente rispetto alla fascia edificata esistente, son previsti dei percorsi pedonali che connettono gli orti urbani con la pineta di Ugolìo.

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L’asse attrezzato Viale Don Bosco - Città Nuova

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Il progetto asseconda in parte quelli che sono i processi in atto; tuttavia l’intervento non si vuole configurare solo come un asse commerciale, bensì come un sistema lineare polivalente, che va a sopperire alla attuale mancanza di servizi primari e secondari di quelli che si presentano a tutt’oggi come dei quartieri dormitorio(Città Nuova, Badu ‘e Carros, Città Giardino). L’intervento prevede anche linee guida per il futuro sviluppo residenziale delle aree di interfaccia col quartiere di Biscollai e di completamento del quartiere di Città Nuova.

Gli edifici studiati si strutturano come multipiano, i cui livelli inferiori sono adibiti a servizi, mentre quelli superiori sono destinati a residenze. Il sistema interpreta la pendenza del terreno organizzandosi su tre livelli. L’intervento si compone attraverso moduli a pianta rettangolare costituiti da due elementi verticali, di altezze differenti, connessi nei piani inferiori da porticati continui che delimitano il perimetro del modulo, alternando a spazi di verde pubblico l’edificato.

L’intervento ingloba l’edificato esistente, cambiando alcuni suoi connotati ma rimanendo unitario nella sua proposta generale: l’attuale edificio ad uso commerciale “le Torri” risulta inserito con la sua pianta quadrata, all’interno del sistema dei moduli, configurandosi come eccezione rispetto alla tipologia studiata.

L’area situata nell’estremità sud occidentale è quella che, allo stato di fatto, presenta la maggiore varietà di edifici per tipologia e funzione, ospitando rispettivamente: la caserma del Corpo Provinciale dei Vigili del Fuoco, la sede territoriale della Telecom e il centro parrocchiale - sportivo – didattico dei salesiani. Proprio quest’ultimo, vista la sua pluralità di funzioni si configura come principale polo attrattivo dell’intero quartiere di Città Nuova, essendo l’unico centro ricreativo della zona.

Pertanto il sistema studiato in quest’area punta a rafforzare tale complesso creando un centro polisportivo articolato con strutture ed edifici differenti; uno di questi, quello che costituisce la testata meridionale dell’intero sistema, è destinato ad essere impiegato come piscina indoor. È prevista la realizzazione di un sistema di parcheggi, di cui una parte interrata, in corrispondenza dell’asse di servizi centrale, ed una di superficie in prossimità del centro salesiano. L’edificio ubicato nella testata settentrionale dell’asse, in connessione con l’area

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residenziale di progetto, è destinato ad ospitare la sede provinciale di Abbanoa, con l’intento di destinare la vecchia sede, situata in cima del vicino colle di Monte Gurtei, (caratterizzato dall’avere una posizione privilegiata su praticamente tutta la città) a osservatorio cittadino. Al fine di collegare l’asse al suddetto osservatorio, viene prevista la realizzazione di un percorso pedonale che, risalendo le pendici meridionali(a maggior naturalità) del colle giunge a tale edificio per poi ricollegarsi con il percorso pedonale che si conclude nella pineta di Ugolìo.

Il progetto ha altresì l’intento di unire il Quartiere di Biscollai con quello di Città Nuova, attualmente divisi dall’asse viario che porta all’uscita occidentale della città. L’area di intervento anche in questo caso è caratterizzata da una forte pendenza; la soluzione progettuale infatti prevede residenze unifamiliari a due livelli che seguono la pendenza del terreno organizzandosi secondo uno schema a gradoni, in cui ciascun terrazzamento ospita l’edificio mentre il terrazzamento sottostante ospita il giardino ad esso annesso. La maglia residenziale è attraversata trasversalmente da percorsi pedonali che uniscono l’attuale via di Funtana Buddia al viale Don Bosco. Gli edifici situati nel margine orientale hanno un’altezza superiore, al fine di integrarsi col tessuto esistente. Il progetto prevede anche la risistemazione dell’interfaccia tra il quartiere di Città Nuova e la Pineta di Ugolìo, attualmente non risolta. In corrispondenza dell’attuale ingresso alla pineta è prevista la realizzazione di un edificio a supporto delle attività ricreative; inoltre si prevede la creazione di percorsi pedonali che di fatto corrono lungo il limite dell’area boschiva e tessuto residenziale, chiudendo gli isolati presenti.

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Tanca ‘e s’Ena

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Obiettivo fondamentale dell’intervento è la creazione di un quartiere residenziale che si sviluppa longitudinalmente attorno ad un nuovo viale realizzato al fine di collegare il centro cittadino, e più precisamente il nuovo quartiere direzionale, così come previsto dalla “Nuova centralità per Nuoro”, con il tracciato della vecchia 389 e dunque con l’uscita meridionale della città.

Nel dettaglio, la proposta si concretizza, accompagnando, all’apertura del Viale, la creazione di una serie di edifici comparabili a quelli esistenti per altezze e volumi, disposti in modo da creare un bordo al tessuto urbano. Il nuovo ingresso diventa così un accesso cittadino attraverso un’area urbanizzata, a differenza della precedente configurazione, in cui la strada d’ingresso si presentava come essenzialmente una strada extra urbana in un contesto ex agricolo con caratteri non urbani.

Il centro sportivo noto come CSEN viene sostituito da edifici e dal tracciato del nuovo viale; superifici da adibire a strutture sportive vengono ridistribuite all’interno degli spazi che si creano tra i nuovi isolati. L’intero quartiere è da intendersi di edilizia economica e popolare, interpretando quella che è la vocazione “storica” dell’area, in cui nel tempo si sono succeduti alcuni tra i più importanti interventi ascritti a questa categoria.

Nonostante l’attuale Viale Costituzione presenti alcuni servizi urbani fondamentali quali scuole primarie, secondarie e tecniche, l’area manca di servizi di tipo commerciale; pertanto l’intervento prevede che i livelli inferiori dell’edificato ex novo vengano destinati appunto a tali attività.

Nelle aree residue sono previsti degli spazi destinati a parco ricreativo, sfruttando, in alcuni casi, la vegetazione arborea relitta.

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Borgo agricolo di Testimonzos

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“Il primo uomo fu un agricoltore, e ogni nobiltà storica riposa sull’agricoltura.”

R.W. Emerson

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La riqualificazione di quest’area passa inevitabilmente per la rivalutazione della SS 129 attraverso il recupero della sua importanza urbana e territoriale. Attualmente essa infatti costituisce nella pratica un limite ben definito tra due aree con connotati opposti; l’area a Nord, quartiere di Città Giardino, e l’area agricola di Testimonzos a Sud. La prima è essenzialmente un quartiere residenziale dove e la tipologia dell’abitazione unifamiliare è prevalente ma in cui i servizi sono pressoché assenti e con spazi ancora non definiti. La seconda parte è un’area a vocazione agricola in cui negli ultimi trent’anni si è innescato un processo di degrado dettato da fenomeni di abusivismo edilizio che ne hanno stravolto i connotati originari. L’azione progettuale vuole recuperare l’area nella sua interezza, riassegnando funzionalità specifiche ai vari sottosistemi, riportandoli alle loro rispettive vocazioni originarie. Quest’azione è perseguita tramite una risistemazione progettuale concreta che conferisca un determinato assetto funzionale all’area. Sulla base di queste considerazioni si è giunti alla definizione di 6 aree di intervento: Sistema degli orti In buona parte dell’area a sud della SS 129, a partire dalla maglia esistente costituita da lotti edificati, e non, con superfici ortive o a pascolo, si creano, attraverso successivi accorpamenti, appezzamenti da destinare all’orticoltura. La maglia così creata è costituita da poderi di superfici sufficientemente ampie da garantire un’attività agricola condotta in maniera razionale. Al fine di ottimizzare la risorsa suolo e ridurre gli input agronomici, si attua una rotazione e avvicendamento, principalmente annuale, delle colture, con uno schema scalare che garantisce una modalità di conduzione dei fondi, che, oltre ad avere positive ripercussioni sul piano ambientale ridefinisce il contesto agricolo sotto il profilo paesaggistico.

I nuovi orti saranno dal punto di vista produttivo divisi in 3 macro categorie come segue: Schema “A” Avvicendamento annuale delle colture secondo quest’ordine:

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1° Anno: leguminose(fave, piselli, ecc.)

2° Anno: ortaggi da “frutto”(zucchine, melanzane ecc.) o ad alto consumo di nutrienti (patate) 3° Anno: ortaggi da foglia (lattuga cicoria ecc.)

4° anno: ortaggi a basso consumo (carote, cipolle aglio ecc.)e una parte a riposo 5° anno: riposo per buona parte della superfice, la restante a colture in consociazione a basso consumo(cipolle + aglio, in piccole superfici)

Schema “B” Avvicendamento annuale delle colture secondo quest’ordine: 1° anno: riposo per buona parte della superfice la restante a colture in consociazione a basso consumo(cipolle + aglio, in piccole superfici) 2° Anno: leguminose(fave, piselli, ecc…)

3° Anno: ortaggi da “frutto”( zucchine, melanzane ecc...) o ad alto consumo di nutrienti (patate) 4° Anno ortaggi da foglia (lattuga cicoria ecc…)

5° anno ortaggi a basso consumo (carote, cipolle aglio ecc...)e una parte a riposo

Schema “C” Relativo agli appezzamenti più grandi e riguarda la coltivazione di più specie di vegetali contemporaneamente (consociazione). La consociazione permette appunto di utilizzare più proficuamente la stessa superficie di terreno, ottenendo una maggiore produzione e riducendo il periodo improduttivo dell’appezzamento. È stato verificato infatti

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che la vicinanza di alcuni ortaggi aumenta la velocitĂ dello sviluppo, le dimensioni e la qualitĂ dei frutti.

La consociazione di tali orti dovrĂ avvenire come riportato da schema:

Ortaggi

Consociabili

Non consociabili

Asparagi Barbabietole

Pomodori, prezzemolo, basilico Cipolle, ravanelli, cavoli, rape Cipolle, ravanelli, piselli, lattuga, cicoria, porri, rosmarino, salvia, pomodori Barbabietole, cetrioli, fagioli rampicanti, fagioli nani, fragole, lattuga, piselli, pomodori, porri, spinaci, ravanelli, sedani Cavoli, fagioli, granturco, piselli, ravanelli, girasoli, finocchi Carote, fagioli rampicanti, lattuga, finocchi, pomodori Zucchine, barbabietole, fragole, pomodori, lattuga, camomilla Carote Patate, carote, cetrioli, cavoli Zucchine, ravanelli, patate, cetrioli, granturco, fragole, sedani, santoreggia Cavoli, ravanelli, patate, cetrioli, granturco, fragole, sedani, santoreggia Cetrioli, cicoria, lattuga, piselli Ravanelli, fagiolini nani, spinaci, lattuga, cavoli

Fagioli rampicanti

Carote Cavoli Cetrioli Cicoria Cipolle e Aglio Erba cipollina Fagioli Fagioli rampicanti Fagiolini nani Finocchi Fragole

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Aneto Aglio, cipolle, patate Patate, erbe aromatiche Piselli, fagioli, cavoli Piselli, fagioli Cipolla, aglio, gladioli Cipolle, barbabietole, finocchi, girasoli Cipolle, barbabietole, finocchi, girasoli Fagioli rampicanti, fagiolini nani -

Il sistema ortivo è stato pensato sotto il profilo architettonico come una serie di gradoni che assecondano dolcemente la pendenza del terreno. Come già detto in sede d’analisi l’intera area si configura come un pianoro con pendenze rilevanti solo su grandi dimensioni proprio tale caratteristica fa si che l’intervento di livellazione del terreno non risulti eccessivamente dispendioso e di semplice realizzazione. Il Progetto prevede la demolizione degli innumerevoli muri di confine tutt’oggi caratterizzanti l’intera area (derivanti appunto dalla lottizzazione abusiva). ripristinando così il rapporto principalmente visivo tra l’intero sistema ortivo e il territorio circostante. Per quanto concerne l’edificato presente l’intervento punta a creare le condizioni di innesco di fenomeni di riqualificazione, infatti come già detto precedentemente la demolizione dei muri di confine degli stessi appezzamenti elimina di fatto la connotazione “privata del lotto” integrandola in un sistema ben più ampio con maggiori qualità dal punto di vista paesaggistico.

Il sistema alterna a una trama regolare, costituita dai poderi coltivati durante tutto l’anno, altre aree destinate alla foraggicoltura da sfalcio attraverso la semina di leguminose e graminacee in consociazione al fine di ottenere una buona resa in abbinamento ad una resistenza a condizioni microclimatiche avverse. L’alternanza di sistemi ortivi e sistemi di foraggio compone l’intero invento sia da un punto di vista paesaggistico sia da un punto di vista funzionale dividendo in fasce l’intero territorio e creando dal punto di vista compositivo un’alternanza cromatica derivante dai processi biologici stagionali dei diversi sottosistemi. Un sistema produttivo del genere mostra i segni di un’intensività dipendente in maniera maggioritaria dal quantitativo di acqua che si rende disponibile durante il corso di tutta la stagione agraria. Assume pertanto estrema importanza la corretta gestione della risorsa idrica.

L’approvvigionamento della stessa avviene attraverso due modalità: una tradizionale, attraverso l’emungimento dell’acqua di falda e l’altra volta a recuperare l’acqua meteorica attraverso una rete di adduzione connessa ad un sistema di accumulo. La pendenza dell’area favorisce il trasferimento per gravità dell’acqua dalle aree situate più in alto verso il basso. Il sistema di adduzione e di raccolta dell’acqua meteorica è inoltre potenzialmente estendibile anche all’area urbana, coinvolgendo la rete di scolo delle acque bianche, rendendo così l’intero sistema 113

autosufficiente dal punto di vista idrico. Lo stesso sistema idrico diventa a sua volta caratterizzante sotto l’aspetto architettonico: infatti il sistema di vasche di raccolta presenti all’ interno della maglia ortiva crea un elemento paesaggistico architettonico importante creando aree dove la trama ortiva interrotta dallo specchio d’acqua lascia spazio a una seduta con un punto d’osservazione paesaggistico.

In questo contesto la dimensione verticale della vegetazione è praticamente assente; l’altezza massima, raggiunta in particolare dalle varietà foraggere, non raggiunge il metro di altezza. Questo sistema articolato di avvicendamenti comporta un’estrema varietà cromatica vegetazionale, rivestendo anche un elevato valore in termini di biodiversità animale; gli ecosistemi agrari che si vanno a costituire in questo modo ospitano infatti un apprezzabile varietà di specie appartenenti alla micro e macrofauna. L’intero sistema ortivo che, come precedentemente detto, ha un altezza pressoché nulla, è dotato di un sistema di frangivento a siepe. Tale sistema, pensato per favorire le condizioni microclimatiche delle aree da destinarsi alla produzione, funziona come barriera per i venti principalmente provenienti da N-O e costituisce l’eccezione alla dimensione prevalentemente orizzontale dell’intera area. Lo studio di tali elementi si compone anche come un elemento compositivo-funzionale dell’intero sistema creando appunto un confine tra la strada carrabile e gli orti veri e propri e andando a costituire nella sua testata una piccola volumetria da destinarsi a supporto dell’attività agricola.

L’intero sistema agricolo prevede un fitto sistema di passerelle che, attraversando i vari scenari studiati, crea un percorso naturale pedonale di forte carattere naturalistico.

Eccezione all’intero sistema, che come già detto si configura come un’alternanza di fasce adibite a foraggio e fasce ad uso ortivo, è la fascia mediana dell’area: questa presenta allo stato attuale un piccolo corso d’acqua interrato. La presenza di quest’ultimo è a sua volta caratterizzante della proposta progettuale, che prevede la rimessa in luce dello stesso corso d’acqua creando attorno a esso un parco urbano con finalità prettamente ricreative .

L’interazione tra quest’ultima e il sistema ortivo avviene a sua volta tramite un’area alberata che, definendo un confine verticale, si confi-

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gura come un’area cuscinetto con destinazione d’uso forestale.

Sistema vivaistico Nell’area di Città Giardino – Badu ‘e Carros esisteva fino a pochi anni fa un vivaio del corpo Forestale di Vigilanza ambientale di una certa importanza, con uno sviluppo in termini di superficie piuttosto cospicuo (4 ha circa). La strategia progettuale prevede il recupero dell’idea di un vivaio inserito in qualche modo nel contesto urbano; in questo caso il vivaio che si intende realizzare è pensato sacrificando in parte i principi e la prassi delle pratiche silvo-vivaistiche alle esigenze dettate dalla necessità di ridefinire i contorni dell’espansione urbana del quartiere di Città Giardino in particolare. Alla consueta pianta poligonale regolare, tipica di questa categoria di impianti, si è preferito sostituire uno sviluppo allungato che si snoda lungo il marginale occidentale dell’area intervento realizzando così una sorta di fascia tampone verde tra l’edificato e la zona agricola di Predas Arbas. Tutte le aree funzionali del vivaio, sia quelle coperte che quelle aperte su terra, sono connesse tra loro attraverso un sistema di viabilità interna che di fatto avvolge il margine occidentale e in parte meridionale dell’area; al sistema infrastrutturale della viabilità se ne accompagna uno costituito da un complesso di aree di servizio, destinato alle operazioni di scarico e carico e riguardanti grandi macchine operatrici, nonché aree di stoccaggio temporaneo dei materiali necessari al funzionamento della normale attività lavorativa. Nel margine meridionale è collocata la collezione degli esemplari destinati alla produzione dei semi per i semenzai; nel margine occidentale, in successione, sono posizionati i locali per le altri differenti fasi di crescita e trattamento delle piante; semenzai, piantonai, nestai, aree di coltivazione. In questo modo, malgrado “l’anomala” conformazione dell’impianto, la normale attività di produzione delle piante è resa del tutto funzionale. Inserito nel tessuto degli orti vi è un secondo vivaio, questo con funzioni didattiche. Parte integrante del Sistema vivaistico è l’area centrale dell’intero borgo agricolo situata a immediato contatto con l’area parco.

Essa assume una duplice funzione: come area cuscinetto per lo stesso creando un’area intermedia tra il sistema ortiva e quello ricreativo; e come collezione vegetale di specie mediterranee da adibire a semenzaio. Di rilevanza per quanto riguarda la conformazione fisica del 115

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vivaio è la parte adibita alla crescita in serra di alcune specie: tale area si configura come l’unico volume coperto dell’ intero sistema vivaistico e proprio per tale caratteristica si va a inserire a cavallo tra l’asse attrezzato del Viale Murichessa e il tessuto urbano dell’ area di Città Giardino creando nell’incrocio delle due linee immaginarie (asse attrezzato e linea vivaistica) una piazza che si andrà a configurare come la vera e propria testata dell’ Asse di Servizi, nonché di ingresso alla città. Anche in questo caso, come nel sistema di orti, le aree aperte destinate alle attività vivaistiche seguono la pendenza del terreno organizzandosi sempre in gradoni della dimensione massima di 200 mq: dimensione ottima per la gestione funzionale. Eccezione alla Linearità del sistema vivaistico è l’area estesa da destinarsi a innesti e potature: tale area, a diretto contatto con l’asse viario della circonvallazione Sud, si presenta come un’area alberata filtro tra l’area parco e la stessa infrastruttura. Confine Sud Est della linea vivaistica è l’area didattica: presentandosi in piccole aree organizzate secondo terrazzamenti di minore dimensione rispetto a quelli standard, prevede l’alternarsi di aree verdi (orti didattici ) a terrazze con pannelli didattici dove è possibile svolgere l’attività didattica all’aperto.

Sistema del frutteto L’area è storicamente poco o nulla interessata da miglioramenti fondiari volti all’introduzione della frutticoltura o in alternativa dell’olivicoltura. Malgrado ciò, nell’estremità sud orientale dell’area d’intervento, le condizioni microclimatiche e pedologiche, previo investimento in input aziendali, rendono possibile la creazione di un frutteto, da svilupparsi, su appezzamenti a pianta quadrata secondo un sesto regolare, attorno ad una costruzione dei primi del novecento attualmente sede di un’azienda zootecnica. Il frutteto conserva parzialmente la maglia preesistente, di cui sfrutta il reticolo stradale che va a costituire il sistema viario interaziendale. All’interno dell’intero borgo agricolo l’area in questione presenta una morfologia particolare, con pendenze maggiori rispetto all’area destinata a uso ortivo. L’impluvio formato dalle pendenze del terreno va proprio in quest’area a formare un canale idrico di notevole importanza rispetto a quelli presenti nell’

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intero sistema. La maglia già esistente di tale area risulta essere leggermente ruotata rispetto alla trama ortiva: proprio tale caratteristica si configura come vantaggio per la coltivazione di alberi da frutta, garantendo una corretta insolazione delle piante lungo tutto l’arco della giornata. Il sistema anche qui come nel sistema ortivo si organizza per terrazzamenti seguendo la pendenza del terreno. L’area a diretto contatto con il sistema ortivo e in particolare con le aree da destinarsi al foraggio, si configura sotto il profilo architettonico con la composizione di sistemi di muri e vasche di raccolta dell’acqua. Tali sistemi assumono il duplice compito di bordare in maniera definita l’area del frutteto, e di creare degli spazi pubblici architettonicamente validi all’interno della fitta maglia dello stesso. L’edificato esistente, in questo caso rappresentato da volumetrie maggiori rispetto a quello caratterizzante il sistema agricolo, viene riqualificato innescando processi che limitino la spontanea iniziativa del privato, lasciando spazio a un disegno complessivo dell’area. La zona est confinante con il sopracitato corso d’acqua sarà lasciato come area naturalistica in toto, consentendo la spontanea crescita delle specie autoctone. Il collegamento con l’asse viario di accesso situato nella parte est del canale avviene tramite percorsi pedonali che, partendo dagli spazi comuni delle vasche di raccolta dell’acqua scendono verso l’area naturale del corso d’acqua passando per il nuovo centro sino a giungere allo stesso asse viario.

All’interno dell’intero sistema agricolo, l’area di frutteto si va a configurare come un’area alberata di grossa importanza rispetto allo sviluppo prevalentemente orizzontale dell’intero borgo: tale particolarità lo configura a sua volta come un’area di interfaccia tra il vicino sistema urbano e l’area agricola riportata alla sua vocazione storica.

Sistema urbano-residenziale-scientifico Tale sistema si compone come una serie di più interventi non tutti localizzabili in una stessa area fisica. Gli interventi residenziali previsti dal progetto si configurano come completamento del tessuto residenziale esistente, che allo stato attuale risulta essere composto da alcuni “vuoti urbani” interpretando il contesto urbano circostante composto da case unifamiliari. La tipologia proposta è quella della casa a patio

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articolata su due livelli e si può distinguere a sua volta in 2 tipologie differenti a seconda della dimensione della stessa: - la tipologia A di 230 mq - la tipologia B di 120 m2 Come già accennato in fase di Analisi allo stato attuale l’edificato di Città Giardino presenta una grossa area verde proprio nel suo centro fisico. Tale Area, probabilmente progettata per essere destinata a servizi, riveste per l’intero borgo agricolo una fondamentale importanza.

Il progetto prevede la riqualificazione dell’intera area attraverso la creazione di un centro scientifico polifunzionale. Lo stesso isolato si presenta a sua volta come un mondo a se stante, con delle complessità multiple. Infatti la stessa pluralità di funzioni che assume (Centro Ricerche, Scuola Forestale, Caserma Forestale) lo porta alla creazione di una serie di spazi differenti: qui i laboratori si svilupperanno secondo uno schema lineare, mentre gli orti sperimentali si configureranno come dei grossi patii a pianta quadrata.

Asse attrezzato Il nuovo asse attrezzato si sviluppa sull’attuale viale Murichessa, che come emerso già in sede d’analisi si configura allo stato attuale come una strada “extraurbana”, elemento divisorio tra le aree di Città giardino e Testimonzos. Il progetto prevede la trasformazione dell’intero asse viario, associando ad esso una nuova funzione e assegnandogli una dignità urbana che tutt’oggi non ha più. Il nuovo asse si andrà a configurare come un Asse di Servizi di quartiere ad uso delle aree di Città Giardino e Testimonzos. Confinato a Ovest con le Serre Forestali e il nuovo edificio dell’Ente Foreste e dalla rispettiva piazza, l’intervento si configura come un viale urbano che ripercorrendo il tracciato della SS 129 si ricollega attraverso un nuovo collegamento all’asse attrezzato di Viale Don Bosco.

Vista la complessità dell’intervento suddivideremo da Est a Ovest lo stesso, analizzandone le sue caratteristiche:

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Area Su Pinu Il progetto prevede la creazione di una piccola biblioteca, in prossimità dell’albero da cui prende il nome l’intero quartiere.Tale biblioteca sarà affiancata da un giardino pubblico con la funzione di limitare l’espansione del quartiere ma anche di creare una testata all’intero intervento. Per quanto concerne l’area non edificata attualmente adibita a vivaio forestale, l’intervento prevede la creazione di una serie di residenze monofamiliari della tipologia a patio con lo scopo di completare il tessuto urbano esistente rimanendo fedele alla tipologia abitativa caratterizzante l’intero quartiere di città giardino.

Area Belvedere Proprio in corrispondenza dell’incrocio tra l’asse progettato e il viale Don Bosco il progetto prevede la creazione di punti panoramici di belvedere sfruttando la quota sopraelevata del piano stradale rispetto al borgo agricolo circostante. L’intervento in tale area, oltre a creare dei punti panoramici, organizza la sezione stradale su più livelli creando spazi che alternano edificato a spazi pubblici. Il punto a contatto con il quartiere di Su Pinu viene riqualificato tramite la costruzione di un percorso pedonale che, circoscrivendo l’area edificata, giunge sino al centro polivalente previsto nel frutteto. La risistemazione di tale area prevede nell’area settentrionale una serie di residenze di completamento al tessuto urbano del quartiere di Città Giardino.

Area Mercatale Situata proprio al centro del nuovo asse attrezzato, tale area si presenta allo stato attuale come una grossa spianata asfaltata adibita al deposito di veicoli usati. Il progetto prevede la riqualificazione di quest’area tramite la creazione di una piazza da adibire ad uso mercatale. Impostata su due livelli e confinata da edifici porticati nei due lati, la nuova piazza mercatale si configura come il vero cuore dell’intero intervento. L’edificio principale situato nella piazza si articola come un edificio ponte permettendo la continuità con il sistema di terrazze e accesso al parco urbano presente alla sua sinistra.

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Area Ingresso Parco Urbano L’area rappresenta l’accesso al parco urbano, come quasi la totalità dell’asse attrezzato. Anche in questo caso l’interazione tra il sistema naturalistico-agricolo e l’asse avviene tramite la creazione di più livelli che, superando il naturale dislivello del terreno connettono l’area parco con il quartiere posto in prossimità. L’intervento prevede proprio in questo punto la creazione di un’area adibita a parcheggio a servizio dell’intero asse. Particolarità di quest’area è l’interazione che si crea tra il sistema vivaistico e il sistema urbano. Proprio qui, infatti, la fascia alberata della collezione si scontra con l’asse urbano, creando un sistema di 3 terrazzamenti con funzioni differenti.

Area Caserma Forestale/Serra Tale area si configura come la testata ovest dell’intero asse attrezzato. È caratterizzata dalla confluenza di una serie di sistemi. Il progetto prevede la creazione di una piazza nella quale si affaccino l’edificio Serra del complesso vivaistico, la nuova caserma della Forestale e il grosso edificio ad uso artigianale già presente nell’area: sempre da tale piazza, posizionata su un livello superiore rispetto al piano di campagna del borgo agricolo, vi è l’accesso alla parte sud dell’intero sistema vivaistico forestale che andrà a concludersi nell’area destinata ad orti didattici adiacente all’area parco.

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Il centro polifunzionale del frutteto

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Progetto Architettonico L’intervento intende riqualificare l’area centrale al frutteto, attualmente occupata da un’azienda agricola dei primi anni del ‘900. L’edificio si presenta in completo stato di degrado ed è adibito principalmente a ricovero per bestiame.

Nonostante ciò lo stesso mostra interessanti qualità, sia dal punto di vista architettonico sia dal punto di vista della composizione planimetrica, articolandosi in una figura ben definita che va a rompere l’intera maglia derivante dalla lottizzazione abusiva, nata successivamente alla costruzione dello stesso.

Il muro perimetrale realizzato con pietrame, che dal punto di vista compositivo costituisce il recinto di un sistema a patio composto da due corti, si presenta allo stato attuale in buono stato con i segni di una stratificazione muraria avvenuta negli anni. L’interfaccia tra il suddetto volume e gli appezzamenti circostanti avviene allo stato attuale tramite un’area-verde attualmente caratterizzata dalla bassa qualità anche ambientale, derivante dalla presenza di una serie di discariche abusive.

L’idea di progetto prevede la risistemazione di tale area in quanto polo centrale dell’ area frutteto.

L’intervento intende creare un’interazione più efficace tra il nuovo sistema del frutteto e la sua trama composta da una maglia quadrata, riqualificando l’attuale area adibita a discarica.

Il progetto prevede la costruzione di un sistema di due recinti: il primo a diretto contatto con l’area frutteto, composto da un muro attrezzato contenente funzioni a servizio della stessa (depositi, smistamento, ecc); il secondo rappresentato dal muro storico del fabbricato esistente, accostato dalla costruzione di nuove volumetrie da destinarsi ad uso didattico.

Le nuove volumetrie costruite all’interno del muro storico, tenendo conto della vocazione originaria dell’intero impianto, si affacciano su una serie di patii alternando muri ciechi con muri aperti.

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L’intervento prevede a sua volta la creazione di un percorso pedonale che, partendo dalla strada principale, sale tramite una serie di scale sino alla quota del centro didattico; qui a sua volta si piega per accostarsi al muro perimetrale attrezzato di nuova costruzione, pensato con una serie di nicchie-sedute. Giunge infine, attraversando la serie di patii su cui si affacciano gli spazi del centro didattico, alla terrazza belvedere. L’alternanza di materiali di pavimentazione rappresenta il connotato fondamentale del progetto che caratterizza il percorso.

Partendo dall’asse stradale, il susseguirsi di legno, terra arata, ghiaia, prato verde porta l’utente ad avere una percezione non solo spaziale ma anche fisica dei diversi ambienti che si percorrono.

Per quanto riguarda le volumetrie di nuova fabbrica, come già detto, il nuovo muro perimetrale è da intendersi come un grosso recinto bianco. A loro volta anche le nuove volumetrie sono pensate come volumi bianchi puri che, contrastando con il muro storico al quale si affiancano, consentono un’immediata lettura della cronografia dell’ intero intervento.

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“L’Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce.”

Le Corbusier

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Bibliografia

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Grazie.

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