- Anno 2012 - Numero 110
CRISTOFORO PIOMBO da Tripoli a Zondewater C ominciamo dall’inizio, dalla Preistoria.
Sono nato il 19 gennaio del 1919 da Francesco Piombo e Vincenza Genna. Otto figli hanno ‘sfornato’, compreso me! Santino, Anna, Giuseppe ed Elisabetta (che non ci sono più), Caterina, Elvira e Maria che se n’è andata in America con suo marito ufficiale americano. E lì è rimasta, coi suoi figli che sono, uno ingegnere come il papà, e uno dottore.
Mia figlia m’ha fatto un regalo, qualche giorno fa ... un libro di memorie: I diavoli di Zonderwater, s’intitola. Parla della prigionia di quasi 100.000 italiani in Sud Africa, durante la seconda guerra mondiale. Per cinque anni c’ero anch’io, lì. - Papà, perché non scrivi pure tu qualcosa su quel periodo? - m’ha detto. - Ma io l’avevo scritto! Ogni giorno, in prigionia, scrivevo, annotavo ... solo che ... Avevo scritto a matita, ... le penne biro mica le avevano inventate e quando sono tornato a casa, beh, s’era cancellato tutto! Non si leggeva più niente. Proprio niente! E adesso, che mi metto a scrivere a fare, che saranno tutti morti quei compagni d’avventura/ sventura? Ma lei dice: - ... ma i figli ... i nipoti e poi, magari, qualcuno è ancora vivo, no? E che solo tu? E dài! Scrivi! - Va bene. Scrivo. E vediamo un po’ se c’è qualcuno che ricorda!
Da bambino ho frequentato le scuole elementari dai Fratelli Cristiani, e poi sono passato all’Avviamento professionale. Ottenuta la licenza, il mio professore di Ragioneria m’ha proposto di andare a lavorare allo studio del fratello ingegnere. Ho accettato. Mi dava 150 lire al mese, che per un ragazzo mica erano male! Intanto m’ero iscritto all’Istituto Meschini, che mi mandava a casa le dispense per diplomarmi in Ragioneria. Ci sono riuscito solo al ritorno dalla prigionia. Dopo due anni passati con l’ingegnere, mio zio, il dottor Zerilli, funzionario del Governo della Libia, m’ha fatto entrare alle Poste come fattorino telegrafico. Avevo solo sedici anni e non potevo essere assunto come impiegato stabile. E lavoravo già da due anni! A me quel lavoro piaceva proprio! Sempre in giro in bicicletta a portare telegrammi, che poi mi serviva anche come allenamento! Infatti, nel ’37 ho vinto la gara in pista valevole per il campionato tripolino di fondo. 66
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Dopo aver appreso le nozioni sulla mitragliatrice Schwarzlose che poi, col raffreddamento ad acqua, non è che fosse il massimo nel deserto! il mio tenente m’ha fatto passare in fureria, ché io ero quello più ... ‘istruito’! Dovevo occuparmi anche dei dieci Lanciarò in dotazione al Battaglione. Ovvio che chi faceva quel lavoro doveva anche saper guidare! E così, anche la patente. Di secondo grado.
Dovevo occuparmi anche dei 10 Lanciarò in dotazione al 63° Battaglione Mitragliatori Divisione Cirene.
Guido Costa, campione di ciclismo e uno dei più grandi tecnici della pista (44 medaglie d’oro e 80 record)
M’è stata davvero utile, poi, a Zonderwater! A Giugno del ’40 mancavano pochi mesi al congedo. Tanto atteso. E invece, niente. Guerra!
Il mio battaglione è stato spostato a Tobruk su un costone vicino all’aeroporto e sopra la base navale dove era ancorato l’incrociatore S. Giorgio, che fungeva anche da contraerea. Quello che è successo con l’aereo di Balbo l’ho già raccontato nell’Oasi n° 108.
Con Guido Costa, poi, abbiamo vinto pure un’Americana, gara fatta da un professionista (Costa) affiancato da un allievo. Appunto io! Giocavo anche a pallone con l’Ausonia. Nel ’37 abbiamo vinto il campionato ragazzi. Questa la classifica finale: 1. Ausonia - 2. S.A.L. - 3. Virtus - 4. Littoria 5. Bolaffi - 6. Adua - 7. Dominante - 8. Sinigallia
Dopo la morte di Balbo il battaglione, assieme ad altre truppe ha avuto l’ordine di avanzare in territorio egiziano. Gli inglesi non avevano truppe al confine. E così siamo arrivati fino a Marsa Matruk e lì ci siamo dovuti fermare.
Che c’è qualcuno che si ricorda? Ecco la formazione della squadra vincente: Russo - Cassaro - Campolillo - Breda - De Carlo - Abate - Tomasello - Scandullo - Massetti Piombo -Campo A diciotto anni, finalmente, sono stato assunto come Ufficiale Postale e assegnato all’ufficio di Misurata e allora ... addio allo sport! Per fortuna dopo un anno, grazie sempre a mio zio sono rientrato a Tripoli. Sportello Raccomandate. A Febbraio ’39 hanno chiamato alle armi i nati nel 1918 e, siccome la classe ’18 era piuttosto povera, per via della guerra ’15-’18, hanno chiamato anche quelli del primo trimestre del ’19. E così m’hanno fregato! Assegnato al 63° Battaglione Mitragliatori della Divisione Cirene e spedito a Barce.
Dopo aver appreso le nozioni sulla mitragliatrice Schwarzlose ...
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Ci mancava tutto. Acqua, benzina, viveri. La flotta inglese, oltre a bombardarci, non faceva passare nessuna nave italiana. E neanche i rifornimenti terrestri passavano. Eravamo stremati, infreddoliti, affamati. Sporchi. Intanto gli Inglesi si organizzavano. Truppe dall’India, dal Kenia, dal Sud Africa arrivavano in Egitto. I nostri attacchi disperati sono stati respinti. E così, dopo alcuni giorni di assedio, a Bardia, ci siamo dovuti arrendere. Il 4 Gennaio del ’41. Dopo quindici giorni avrei compiuto 22 anni. L’assedio fu tremendo. Ci bombardavano da terra e dal mare. Dal mare arrivavano bombe da 381 mm. Un massacro. Eravamo 40.000, la Cirene, la Marmarica ed una divisione di libici. Tutti insufficientemente armati. La prima parola inglese che ho sentito è stata: “Come on!”
Cristoforo Piombo, (seduto, il secondo da sinistra) tra i compagni di prigionia.
E così ci hanno imbarcato a Sollum, porto egiziano al confine con la Libia. Da lì ad Alessandria, e tre mesi dopo a Geneifa, sui Laghi Salati. Infine a Suez. Qui hanno montato le tende accanto al campo di aviazione e a tre contenitori di benzina enormi, tre metri per cinque! Sperando così che i nostri non avrebbero bombardato per non colpire noi. Sbagliavano, però. I nostri, dopo le ricognizioni diurne, venivano di notte e illuminavano a giorno con i bengala. E colpivano loro! e le cisterne di benzina, al mattino, ancora fumavano! A Suez abbiamo proprio sofferto la fame. Molti si ammalavano per mancanza di vitamine. C’erano certi che la sera non ci vedevano più. Dovevamo accompagnarli pure al bagno. E a tanti si spaccava la pelle, la lingua, le labbra. E all’infermeria ti davano la cipolla! Bella terapia! Finalmente a ottobre ci siamo imbarcati e dopo una sosta a Mombasa, in Kenia, abbiamo proseguito per Durban, in sud Africa.
Da lì, dopo un viaggio di una notte intera in treno, siamo arrivati a Zonderwater. A 50 Km da Pretoria, la capitale. Qui avevano recintato dieci campi di concentramento su un territorio arido. Terra rossa, senza un filo d’erba. In ogni campo, circa 10.000 prigionieri provenienti da Eritrea, Abissinia, Somalia e Africa Settentrionale. Dormivamo a terra, sotto tende a cono. Dopo alcuni mesi i prigionieri hanno costruito delle camerate in muratura con letti a castello e finalmente materassi e coperte e lenzuola. Davvero una cosa alla quale non eravamo più abituati! Un lusso! Avevamo le cucine, delle costruzioni aperte sul davanti, che si riempivano sempre di terra quando arrivavano i camion con i rifornimenti, visto che la strada davanti non era certo asfaltata. Nessuna strada era asfaltata. Si doveva, per impedire che la terra entrasse nei pentoloni sui fornelli, bagnare a terra continuamente.
“Zonderwater” Fu il più vasto campo di concentramento per prigionieri di guerra del 2° conflitto mondiale. Fatto costruire nel 1941 dagli Inglesi nella regione sudafricana del Transvaaal, in una conca a 1700 metri sul livello del mare, diviso in 14 blocchi da 2000 prigionieri ciascuno, ospitò dopo la battaglia di El Alamein oltre 100 mila prigionieri italiani. Il campo fu attrezzato con ogni struttura presente nella società civile: Chiesa, teatri, biblioteche, scuole, campi sportivi ... Ai prigionieri fu data la possibilità di un lavoro nell’agricoltura locale e nell’edilizia, nella costruzione di fognature, ponti, strade ...
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Il sergente m’ha portato in prigione. La chiamavamo la Casetta Rossa, galabush, una piccola costruzione a mattoni rossi, appunto. Lì ci chiudevano, dopo un breve processo, i prigionieri che avevano commesso gravi mancanze. Evasioni verso la vicina Angola Portoghese, furti, addirittura omicidi! Davanti al carcere c’era un grande cortile. Lì i prigionieri passavano il tempo caricando sassi su una cariola e portandoli a dieci metri di distanza per scaricarli e poi ricaricarli e riportarli al punto di partenza. Per due ore di fila! Io però non ho fatto niente perché non ero ancora stato processato. Era sabato! Il lunedì mattina è arrivato il comandante ed ha chiesto: “Chi è Piombo?” e così m’ha portato nella sua stanza dove c’era il mio Capitano. Appena m’ha visto, momenti mi si mangia! “Hai messo le salsicce nell’acqua sporca! Potevi avvelenare tutto il campo! Incosciente!”. Io gli ho spiegato che tutto era sigillato nella plastica. Niente avvelenamento! Tutto asciutto e pulito. Insomma, mi fa uscire di prigione dicendo: “Domani ricominci a lavorare!”. E certo! Gli servivo! Ché, oltre ad innaffiare la terra, io prendevo tutti gli avanzi commestibili delle cucine e li portavo ad una farm di un suo amico allevatore di maiali! Beh ... i maiali mi hanno salvato! Certo una buona stella ha brillato su di me in quegli anni. Anni della giovinezza regalati alla Patria, come hanno fatto tanti altri della mia età. Che chissà se leggeranno ... qualcuno, almeno ... queste pagine ... ricordando e commuovendosi nel ricordo. Spero.
Le mie cinque sorelle … più di qualche anno dopo. A casa non sapevano se fossi vivo o morto. Solo dopo tre mesi dalla cattura riuscii a far pervenire alla sorella più grande che era in colonia in Italia, grazie alla Croce Rossa, una cartolina prestampata, nella quale si diceva che ero vivo e stavo bene. Non potevamo aggiungere niente di nostro pugno. Solo la firma. E lei lo comunicò a casa con una lettera. Con infinita gioia di mamma e papà. Conservo ancora la risposta che papà inviò a mia sorella Anna, appunto la più grande. Lettera commossa e piena di gioia. Oltre tutto, la buona notizia arrivò loro per la Santa Pasqua. E mai Pasqua fu più lieta, diceva appunto papà.
Un giorno cercavano qualcuno che sapesse guidare e che potesse passare con un’autobotte ad innaffiare. Quel qualcuno ero io. Con l’autobotte andavo al fiume vicino, caricavo acqua e poi tornavo al campo ad innaffiare. Ma non facevo solo questo! M’ero organizzato! C’era, vicino al fiume, oltre ad una caserma inglese, uno shop indiano, con ogni ben di Dio! Noi prigionieri avevamo a disposizione uno scellino al giorno, e molti mi chiedevano, visto che potevo uscire, di riportare cioccolato, sigarette, biscotti ... ed io andavo e compravo. E ci facevo il mio guadagnuccio, ovviamente! Uno, un giorno, m’aveva chiesto di portargli delle salsicce. Detto fatto. Tutto quello che compravo lo calavo, chiuso in una busta di plastica, dentro l’autobotte. E stava al sicuro. Naturalmente gli invidiosi non mancano da nessuna parte! E qualcuno ha fatto la spia. E così, proprio il giorno che riportavo le salsicce, quando sono arrivato al campo il soldato inglese addetto ad alzare la sbarra mi fa: “Wait a moment, Piombo!”; prende un bastone, sale sull’autobotte, apre il coperchio e rovista dentro. Si accorge della busta di plastica. Mi fa entrare. Dice: “Apri l’acqua e annaffia”. In inglese, ovvio. E io eseguo. E così, a secco, mi fa prendere la busta e mi porta al Comando. Per mia fortuna era sabato. Il sergente, al Comando, mi fa aprire la busta e saltano fuori pure le salsicce. Il comandante del campo non c’era. Il sabato gli Inglesi non lavoravano. Io dovevo essere processato.
Cristoforo Piombo Tel. 06 2315359
Cimitero italiano a Zonderwater. Durante la prigionia a Zonderwater tra il 1941 e il 1947 morirono 279 prigionieri italiani (203 per le ferite riportate in combattimento e 76 per incidenti). Furono sepolti nel cimitero dove ogni anno, la 1a domenica di Novembre, sono onorati dalla comunità italiana.
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