Faenza memoria
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Dal 1941 al 1947 oltre centomila Italiani furono tenuti in prigionia in Sud Africa
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uesto nome in lingua boera dice poco ai Faentini di oggi, né è facile trovarlo sulle carte geografiche del Sud Africa, nella Regione del Gauteng, fino al 1994 Transvaal, capitale Johannesburg. Sicuramente però settanta anni fa molte famiglie della nostra città lo avevano ben presente, perché dopo che il Governo del generale Jan Smuts ebbe scelto l’alleanza con la Gran Bretagna, in una landa desolata e arida a forma di anfiteatro vicino alla miniera di Cullinan (dove nel 1905 era stato trovato il più grande diamante grezzo del mondo, del peso di 3.106,75 carati), fu creato il più vasto campo per prigionieri italiani dell’ultimo conflitto. Qui vennero convogliati dai fronti dell’Africa settentrionale, dell’Etiopia e dell’Eritrea molti soldati originari anche della nostra zona. Tra di loro mio padre Bruno Bonzi che, catturato nella battaglia di Sidi el Barrani, in Egitto, nel dicembre 1940, vi arrivò nel settembre 1941. In quel tempo le baracche non erano ancora state costruite, i prigionieri dovevano dormire all'addiaccio nelle tende e subire un trattamento molto rude da parte delle guardie; l’approvvigionamento alimentare si rivelava del tutto insufficiente. Alla fine dell’anno seguente venne chiamato a dirigere il campo il colonnello Hendrik Frederik Prinsloo che, confinato bambino in campo di concentramento dagli Inglesi nella guerra che li aveva visti opposti ai Boeri, conosceva in prima persona la durezza della segregazione. Egli seppe quindi dare prova di concretezza e umanità, facendo costruire dai prigionieri stessi una piccola città di 14 Blocchi, ognuno con 4 Campi di 2000 uomini, a loro volta con 24 baracche dal tetto in lamiera. Un agglomerato destinato ad accogliere oltre 100.000 soldati, con 30 km di strade, mense, teatri, scuole, palestre, ove gli internati potessero trovare impegni e interessi per evitare inedia e disperazione; nonché ospedali con complessivi 3000 posti letto e chiese dove i cappellani militari cercavano di imporre quel minimo di disciplina che gli altri ufficiali, inviati in India in spregio alla Convenzione di Ginevra, non potevano più garantire. All’interno dell’esiguo spazio del Blocco, recintato da filo spinato e sorvegliato da sentinelle armate dall’alto di torrette, i p.o.w. (prisoners of war) potevano circolare liberamente, ma si trattava sempre di prigionia, dopo mesi o anni di combattimenti e di privazioni, di ferite, di umiliazione per la sconfitta, di sconforto, nell’incertezza sulla data del ritorno che metteva a dura prova la
Zonderwater senza acqua psiche di ognuno. Alcuni di loro letteralmente impazzivano e venivano ricoverati in uno speciale reparto dell’ospedale. Chi tentava la fuga verso il Mozambico, ove era aperto un Consolato italiano, e veniva ripreso, scontava il suo gesto con 28 giorni di permanenza nella casetta rossa, ove subiva un trattamento punitivo abbastanza duro. Per ognuno veniva fatto un censimento (talvolta anche due mesi dopo la cattura, periodo durante il quale il soldato era stato dichiarato “disperso”) e redatta una scheda clinica, a prescindere dallo stato di salute. Sono oggi tutte conservate presso l’associazione Zonderwater Block ex POW (che custodisce amorosamente il sito pur nelle ristrettezze di bilancio), dopo che previdentemente si era provveduto a fare copia di quelle spedite
in Italia su una nave che fece naufragio. Abbastanza spesso i prigionieri venivano trasferiti da un blocco all’altro. Questa procedura seguì precisi criteri ideologici dopo l’8 settembre 1943, quando le comprensibili tensioni di animi già esacerbati si acuirono a seconda dei diversi orientamenti politici. Fu allora che venne chiesto e richiesto in maniera pressante a ogni internato la disponibilità a essere cooperatore, cioè a lavorare fuori dal Campo, con adeguata remunerazione e miglior vitto, nella costruzione di edifici, strade e ponti o nelle aziende agricole. Alcuni di loro, godendo di una relativa libertà di movimento, ebbero relazioni con donne nere, dimenticando poi di lasciare un recapito al momento del rimpatrio a loro ed ai figli anche se riconosciuti. Era facile riconoscerli dal
IN BASSO IMMAGINI DEL MUSEO DI ZONDERWATER. SOPRA, DAVANTI AI TRE ARCHI, SCULTURA DI EDOARDO VILLA, EX POW, MORTO NEL 2011; E MEDAGLIA REALIZZATA PER LA RECENTE COMMEMORAZIONE. IN ALTO, IMMAGINE DELLA CERIMONIA DEL 6 NOVEMBRE SCORSO.
A 70 anni dalla creazione del campo, che ospitò migliaia di Romagnoli, il 6 novembre 2011 si è svolta la solenne commemorazione servizio a cura di Enzo Bonzi
portafoglio gonfio di banconote, l’orologio al polso e la valigia di pelle, che contrastava con quelle di lamierino che i non cooperatori si erano costruite. Una volta in Italia, una disposizione del nostro Governo, che aveva vietato l’invio di denaro ai p.o.w. da parte delle famiglie anche dopo la fine della belligeranza, stabilì che essi non potessero salire sui treni passeggeri, e fu così che mio Padre impiegò sei giorni da Napoli a Faenza, stipato con altri compagni di sventura in un carro merci. Egli rifiutò di aderire alla cooperazione, e questo fino agli ultimi giorni della prigionia, in quanto aveva fatto un giuramento all’Italia e non si sentiva di tradirlo facendone un altro a Sua Maestà Britannica. Infatti sapeva che, per ogni paio di braccia al servizio del Sudafricani, un altro fucile sarebbe stato inviato a sparare su qualche fronte contro gli Italiani. Tale decisione gli sarebbe costata il ritorno con la terz’ultima nave, la Chitral, secondo uno specifico piano concordato tra le autorità dei due Stati, prima soltanto degli irriducibili, così definiti coloro che si sentivano ancora fascisti. Durante gli oltre sette anni trascorsi lontano dall'Italia, di cui sei nell'inedia della prigionia di due campi, Zonderwater e Pietermaritzburg, fra ruberie e violenze soprattutto da parte di Italiani, in condizioni fisiche talvolta precarie, mio Padre era confortato dalle lettere della Moglie, non tutte purtroppo pervenute e sempre oggetto di doppia censura; e per non interrompere idealmente il legame con la famiglia scrisse - inizialmente sulle fascette delle confezioni di marmellata, in seguito su 222 pagine di quaderno - speranze e illusioni di un conflitto breve e vittorioso prima, sofferenze e patimenti di una guerra combattuta con assoluta inferiorità di mezzi poi, e da ultimo l'abbattimento della vita di prigioniero. segue
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Paolo Ricci, il prigioniero che scelse di non tornare Continua Nel 2006 ho pubblicato queste riflessioni col titolo Bruno Bonzi, Diario di guerra e di prigionia (19391947), Casanova editore, Faenza, e ciò mi ha permesso di entrare in contatto con molti figli di ex p.o.w. che erano transitati per gli stessi campi, di condividere e scambiare ricordi, nel tentativo di forzare il muro comunicativo che i padri avevano eretto a difesa del loro passato. Ne è nata un’amicizia che si è voluta concretizzare nella organizzazione di un viaggio-pellegrinaggio in una ricorrenza particolare, fatta coincidere con la abituale commemorazione dei Defunti, ogni prima domenica di novembre: il settantesimo della costruzione a Zonderwater da parte degli Italiani di un manufatto, chiamato per la sua forma Tre Archi, che è tutto ciò che resta, assieme al museo e a una piccola cappella all'interno del cimitero, dopo che sono state smantellate nel 1947 le baracche del vastissimo campo. In tale giornata, in quello spazio sui cui l'Italia esercita dal 1986 il diritto d'uso, ideale punto d'incontro in quel lembo di continente, ogni anno si ritrova la comunità italiana, una volta molto più numerosa, assieme a tanti Sudafricani. Alla presenza del nostro Ambasciatore Elio Menzione, del Console generale Enrico De Agostini, del Vicecomandante dell'Arma dei Carabinieri Michele Franzè, di molti ufficiali delle Forze Armate sudafricane, è stata celebrata una S. Messa da padre Giuseppe Delama, missionario stimmatino che vive a Pretoria, accompagnata dalla banda dell'Aeronautica e da due cori. La funzione religiosa, preceduta dal passaggio a volo radente di aerei, dal lancio di paracadutisti con le due bandiere nazionali, dai discorsi ufficiali e dalla deposizione di corone, si è conclusa con la benedizione delle 252 tombe di coloro che non superarono la prigionia, mentre un elicottero spargeva petali di fiori. Il lunedì seguente, 7 novembre, l'ing. Emilio Coccia, un parmense trasferito là molti anni fa, presidente e vera anima della Associazione Zonderwater Block, si è messo a nostra disposizione per farci da guida nel museo, dove sono conservati piccoli e grandi lavori di artigianato dei prigionieri, lettere, documenti, busti, divise (tra cui quella del colonnello Prinsloo, donata dalla seconda moglie). Poi ci siamo recati a Pietermaritzburg, capoluogo della provincia del KwaZulu-Natal, campo di passaggio della capienza di 6-8.000 uomini sulla ferrovia a scartamento ridotto che dal porto di Durban conduce a Zonderwater; qui, nel piccolo cimitero e sacrario della chiesetta della Madonna delle Grazie, a Epworth, costruita dai p.o.w. italiani e proclamata monumento nazionale dal Governo sudafricano, il 30 ottobre era avvenuta la commemorazione dei 35 soldati italiani morti in prigionia e dei 655 militari e civili italiani periti nell'affondamento della nave inglese Nova Scotia per opera di un sottomarino tedesco, l'U-Boot 177, nell'Oceano Indiano al largo di Durban, il 28 novembre 1942. I poveri resti riposano lì. È stato un salto all'indietro nel tempo di settanta anni, che procura un brivido e coinvolge ognuno nella Storia con la propria storia in prima persona. Mi piace concludere con una riflessione di Lucio Anneo Seneca, dalle Lettere Morali a Lucilio: “Nemo patriam quia magna est amat, sed quia sua” (VII, 66). www.zonder water.com e pagina ‘Zonder water’ su Facebook
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lla fine del conflitto, iniziò il rimpatrio sulle navi che, facendo rotta verso l'emisfero australe, riportavano in Sud Africa i soldati dai fronti dell'Africa settentrionale e dell'Europa e in direzione opposta i prigionieri italiani dei vari campi; i quali smaniavano per imbarcarsi e porre fine alla segregazione di anni. Tutti tranne circa 600 che preferirono fermarsi nell'immenso Paese e proseguire una vita là dove, uscendo dai reticolati per svolgere una qualche attività, avevano incontrato simpatia nella popolazione e avevano posto le premesse per ben integrarsi e continuare il loro lavoro. Altri 2000 circa ottennero negli anni seguenti di tornare da un’Italia ancora stremata, portando con sé la famiglia, ben accolti perché volonterosi, instancabili e rispettosi, e perché aumentavano la percentuale della minoranza bianca in un Paese che si reggeva sull'apartheid. Si andava profilando un nuovo cittadino italo-sudafricano che si sarebbe affermato nella società fino a raggiungere livelli di responsabilità e di potere. Uno dei 600 di allora e uno dei tre superstiti di oggi è Paolo Ricci, classe 1920, un Romagnolo di Savignano sul Rubicone, oggi provincia di Rimini, ancora lucidissimo e in grado di leggere senza occhiali, che ha accettato di raccontare brevemente la sua vita, in particolare le motivazioni della scelta che fece a guerra finita. Figlio di agricoltore con 4 fratelli, dopo la scuola elementare imparò a fare il sarto, fino a quando il 4 febbraio 1940 fu chiamato a rivestire il grigioverde nel 26esimo Artiglieria di Rimini, col ruolo di goniometrista, e inviato in Africa settentrionale alla fine del mese seguente. Catturato a Tobruk il 21 gennaio 1941 con altri 4-5000 soldati, venne portato ad Alessandria per una decina di giorni, e poi imbarcato a Suez per Durban. Furono 29 giorni trascorsi nella stiva, senza vedere la luce del sole, con gli abiti pieni di pidocchi. Ricorda con affetto e riconoscenza il colonnello Prinsloo, che era stato chiamato dal Presidente Smuts mentre, ormai in pensione dopo la morte della prima moglie, gestiva la propria azienda agricola vicino a Pretoria, a organizzare il campo di Zonderwater; e prima della costruzione delle baracche dormì per quasi tre anni con sette compagni nelle tende a cono, sorrette da un palo metallico, che attirava i fulmini durante i furiosi temporali (che uccisero complessivamente nove prigionieri e alcune guardie zulu). Sorride di coloro che tentarono la fuga verso il Mozambico, subito rinchiusi dagli Inglesi nella casetta rossa e condannati fra l'altro a correre con un sacco pieno di terra sulle spalle. Terminata la guerra, con altri romagnoli andò presso una famiglia sudafricana a svolgere lavori di giardinaggio, uscendo quindi dai reticolati. E, nel 1946, al momento della partenza decise di
PAOLO RI CCI , C L AS S E 1 9 2 0
rimanere in quel Paese ove aveva trovato buona accoglienza e qualcuno garantiva per lui, ma fu una decisione presa non senza molte perplessità: infatti, quando l'ultimo treno carico di Italiani partì dalla stazione di Pretoria verso il porto di Durban, si mise in ginocchio chiedendosi che decisione avesse mai preso, e quando mai avrebbe potuto pagarsi il biglietto. Tuttavia questa perplessità sarebbe stata fugata negli anni seguenti, tanto che Paolo non si è mai pentito della decisione presa. Si sposò nel 1949 con una signorina originaria di Lucca, la cui famiglia era in Sud Africa dal 1914, e tornò in Italia in viaggio di nozze in nave, col raccapriccio di trovare una Rimini quasi rasa al suolo. L'aereo lo avrebbe preso solo nel 1962.
(1^ strofa) Siamo partiti un dì chiamati dalla Patria, sorretti dalla fede con l’ideale dell’avvenir. Difendere così il nostro sacro suolo, con un dovere solo combatterem fino a morir. (Ritornello) Siam prigionieri di guerra che la sorte risparmiò, tutto per te, lontana terra, quanto sangue si versò. Rinchiusi dentro quel reticolato per molti anni vivere così. Siam prigionieri di guerra ritornati in libertà; noi ringraziamo questa terra che da vivere ci dà. Uniti siamo per l’Italia nostra Con grande fede che giammai morirà.
ED OA RDO CA ST I GLI ON I, EX POW, CLA SSE 1 91 1 A SIN I STR A, M USEO D I Z OND ERWAT ER. SOT TO, CHI ESET TA DI PIET ERM A RI T ZB U RG E A F I AN C O E P I G R A F E AL L A BA S E D E I T R E A R C H I .
(2^ strofa) Sveglia, che l’alba è già; soldato, c’è la guerra, difendi il tricolore che con valor ti guiderà. Nella battaglia uscì forte il nemico altero. Fui fatto prigioniero e trasportato a Zonderwater.
La famiglia d’origine non cercò di trattenerlo e assecondò il suo desiderio di vivere in Africa, anzi fratelli e genitori si recarono a trovarlo. Purtroppo il padre morì lì, e la mamma dovette rientrare sola. Da uomo libero ha svolto varie attività: prima fece il sarto, mestiere imparato in Patria (ricorda di avere confezionato gli abiti per le rappresentazioni di operette a Zonderwater), poi lavorò in un’azienda agricola per 16 anni, in seguito aprì una fabbrica di ceramica e si impegnò nell'edilizia. Si è trovato molto bene, ma rispettando sempre le regole del Paese. All'Italia non rimprovera nulla e come Italiano non si è mai sentito discriminato. Ha fatto parte di vari comitati e ricorda che il Primo Ministro John Vorster gli inviò un aereo personale per averlo a pranzo a Città del Capo, dove ebbe parole di apprezzamento per gli Italiani. Un onore unico. Uscendo da Zonderwater Paolo conosceva l'essenziale per comunicare nella lingua inglese, che poi ha velocemente imparato, tanto da venire talvolta chiamato come interprete. Non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana, ottenendo più privilegi lui col nostro passaporto di chi aveva chiesto quello sudafricano. Si vanta di conservare la schiettezza romagnola, che fu apprezzata anche da un generale alla cui moglie Paolo, una sera che li aveva ospiti a cena, riuscì a tappare la bocca cogliendola in contraddizione. La fine dell'apartheid non gli ha creato alcuna difficoltà in quanto il passaggio dall'una all'altra forma di governo è avvenuto ordinatamente, tanto che per lui nulla è cambiato. La figlia abita a Rimini, città dalla quale molti lo hanno aiutato ad aprire attività in Sud Africa. I nipoti italiani gestiscono un agriturismo a Cusercoli e si incontrano di frequente col nonno. Dopo la perdita della moglie, tre anni fa, si è ritirato dal lavoro e vive sempre a Pretoria col figlio che si occupa della produzione di infissi in alluminio, venduti in tutto il Sud Africa: attività iniziata in Italia con l'acquisto di due containers pieni di materiale ed inutilizzati. Gli altri nipoti sono ben inseriti nella società sudafricana e sono bilingui. Consapevole e fiero di essere una delle ultime memorie storiche di Zonderwater, coltiva ancora molti interessi, riceve tutte le notizie dall'Italia e soffre per il dito puntato di chi gli fa rilevare le anomalie della nostra politica: do you see in Italy? Grazie Paolo! Persone come Te fanno onore al nostro Paese.
A SINISTRA, “INNO DEL PRIGIONIERO DI GUERRA”, PAROLA E MUSICA DI GIUSEPPE FILIPPI, DALLA COLLEZIONE DI EMILIO COCCIA. SOTTO, CHIESETTA DI ZONDERWATER.
IN A LTO, IM M AG I NE DI AR CHI VI O DI ZOND ERWAT ER, DEPOSI ZI ON E D I U N A CORON A DA PA RT E D ELL’ AM B ASCI ATO RE E S. M ESSA I N OCCA SI ONE D ELLA C O M ME M O R A Z I O N E . A D ESTR A, I L GR U PPO DI RAVEN NAT I E FA ENT I NI CHE SI SO NO RECATI I N S U D AF R I C A . SOT TO, I M M AGI N I D EL CIM I T ERO E CORO CHE H A ACCOM PAG NATO L A M ESSA .
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documenti
Campo di prigionieri di guerra italiani, visitato dal dr. E. Grasset e dal rev. H.P. Junod il 27 aprile 1942 (2^ visita)
Zonderwater, Sud Africa
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uello che segue è, in sintesi, un documento ottenuto dalla Croce Rossa Internazionale, con sede a Ginevra, nella traduzione dal francese di Cristina Bertola, con la relazione di una Commissione inviata a Zonderwater in data 27 aprile 1942, quindi antecedentemente alla direzione del colonnello Prinsloo, per verificare le condizioni del campo e la corrispondenza del trattamento dei prigionieri alle norme della Convenzione di Ginevra.
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l campo si è considerevolmente sviluppato, se si confrontano le 5 sezioni (“Block”) occupati dai prigionieri durante la prima visita. Tre nuove sezioni, no. 6 -7 e 8 sono state create. L’Amministrazione e le condizioni generali del campi sono rimaste le stesse menzionate nel rapporto precedente... Non ci sono cambiamenti rispetto alla visita precedente (vedi rapporto): tutti i prigionieri sono ancora alloggiati in tende, in generale 8 per tenda, mentre nella zona più recente del campo esistono tende da 10
PRIMA DELLA COSTRUZIONE DELLE BARACCHE, I PRIGIONIERI FURONO OSPITATI IN TENDA. A DESTRA, ALCUNE PAGINE DEL NUMERO DI NATALE 1943 DEL GIORNALE REALIZZATO DAI POW ITALIANI: ‘TRA I RETICOLATI’.
prigionieri... Abiti La quantità di abiti distribuita è rimasta la stessa indicata nel rapporto precedente. Più reclami sono stati fatti in merito ad irregolarità nella distribuzione dei diversi articoli d’abbigliamento e i medici hanno sottolineato la necessità urgente di completare e regolarizzare la distribuzione prima dell’arrivo dell’inverno... Malattie curate Il solo caso serio verificatosi è stato un empiema. La media quotidiana dei malati curati all’ospedale durante gli ultimi 6 mesi è stata di circa un migliaio...
La malattia più frequente è la dissenteria amebica dovuta alla presenza nel Campo di portatori di amebe, apparentemente in buona salute, ma che provengono da regioni in cui la malattia è diffusa. Ne risultano epidemie periodiche di dissenteria amebica, malgrado tutte le severe misure prese per impedirne lo sviluppo... Cure dentali Costituiscono sempre un problema importante. Un gran numero di prigionieri arriva al Campo sofferente di malattie dentali... I trattamenti si limitano alle estrazioni, otturazioni e altre cure urgenti. Tuttavia, i prigionieri hanno il
diritto di richiedere trattamenti a loro spese... Decessi Si sono registrati 42 decessi dalla data di creazione del campo, il 24 aprile 1941, ovvero circa un anno fa. C’è stato un suicidio; due prigionieri sono stati uccisi da sentinelle... I giornali, apparecchi radio e cinema sono vietati al Campo... Corrispondenza Come già rilevato durante la prima visita, ci sono ovunque lamentele in merito ai ritardi eccessivi subiti dalla posta in arrivo da oltremare, ovvero dall’Italia, che in media impiega un minimo di 4 – 5 mesi per arrivare al campo. Come si vedrà più avanti, un
DA SINISTRA, ARRIVO DI PRIGIONIERI A ZONDERWATER, INAUGURAZIONE CHIESA DEL CAMPO DI PIETERMARITZBURG (1944) E COPERTINA DEL GIORNALE DEI POW DELLO STESSO CAMPO. SOTTO, PIANTA DEL CAMPO DI ZONDERWATER E IMMAGINE AEREA ODIERNA (DA GOOGLE) DEL SITO SU CUI INSISTEVA IL CAMPO.
numero considerevole di prigionieri, malgrado le numerose lettere inviate alle loro famiglie, sia dal Medio Oriente dopo la loro cattura, sia dopo il loro arrivo in Sud Africa, non hanno ancora ricevuto risposta... Il maresciallo R.M. Santono Giuseppe, no. 189.303, in quanto Rappresentante di Settore, interrogato dai delegati, ha attirato l’attenzione in merito a: 1. Lo stato fisico dei prigionieri in seguito a 15 mesi passati in tenda 2. La mancanza di risorse pecuniarie o di guadagno per soldati e “marescialli” durante lo stesso lasso di tempo 3. Il ritardo dello stesso o l’assenza completa di notizie dalle famiglie (circa 2000 prigionieri di questa sezione non hanno ancora ricevuto notizie) 4. La deficienza fisica e il basso morale dei prigionieri derivante dal loro stato di prigionia 5. L’inesistenza di mense 6. Il desiderio dei prigionieri di ricevere una maggiore quantità di pasta e pane…