PRIGIONIERI DI GUERRA E INTERNATI ITALIANI NELL’AFRICA AUSTRALE (Un intervento di Emilio Coccia) (1)
Ringrazio Voi e la vostra Società per essere stato invitato a intervenire questa sera. E’ infatti un privilegio essere qui e condividere con Voi alcuni risultati di una ricerca iniziata 15 anni fa e ancora in corso, la ricerca per la storia (e la gloria) dei prigionieri di guerra italiani e internati civili nell’Africa australe durante la seconda guerra mondiale. Dicendo Africa australe mi riferisco principalmente alla Rhodesia del Sud e all'Unione del Sud Africa, in quanto questi due Paesi hanno avuto una solida economia, una buona infrastruttura e, naturalmente, un grande potenziale per la produzione di alimenti e altri beni necessari a sostenere lo sforzo bellico. Tutto iniziò nel settembre 1939, con l'invasione tedesca della Polonia e la conseguente dichiarazione di guerra alla Germania da parte di Gran Bretagna e Francia. Come parte del contributo delle nazioni del Commonwealth, al Sud Africa furono assegnati i campi di addestramento per le truppe, dove più di 200.000 uomini ricevettero adeguata disciplina militare, e in Rhodesia del Sud si costituì, tra l’altro, la Scuola di formazione dell’Aviazione imperiale con il compito di preparare i piloti e gli equipaggi per la guerra. Salisbury, Umtali, Gwelo (vecchi nomi) e Bulawayo, furono i principali centri per la formazione delle Unità più importanti, vale a dire: S.Rhodesia Reconnaissance Regiment, Rh. African Rifles, S.Rh Light Battery, S. Rh. Signals e S.Rh. Medical Corps. L'unità di servizio di maggiore prestigio era il R.Rh. Air Force, che combattè valorosamente in Etiopia, Somalia, Libia, Egitto, Italia e Normandia, guadagnando un numero significativo di medaglie al valore. Vorrei anche sottolineare il contributo delle donne rhodesiane alla guerra. Il Servizio Ausiliario Donne impiegò un migliaio di unità ... nella produzione di munizioni, nella Polizia, nella Air Force e in molte altre attività di supporto, come quelle impiegatizie, d’imballaggio dei paracadute, di guida di automezzi, di riparazione degli strumenti, di assistenza generale e ospedaliera, solo per citare le più importanti. Un ulteriore risultato positivo di questi impegno di "Donne Soldato" fu che un uguale numero di uomini poté rendersi disponibile ... per essere addestrato in azioni belliche di prima linea. Lo sforzo bellico sud-rhodesiano fu esteso anche a compiti di polizia fuori dai confini: per esempio, un grosso contingente della BSA Police rese un ottimo servizio nelle operazioni di …disarmo delle bande di irregolari dell’Africa orientale, ancora molto attive dopo la fine del conflitto in Abissinia, Eritrea e Somalia, nel 1942. La Polizia fu impiegata anche nei campi dei POW, degli internati e rifugiati. Devo spiegare, a questo punto, la definizione di tre diverse tipologie di detenuti: [POW: Militari (combattenti) catturati a seguito di un'azione di guerra. I cappellani, i medici specializzati e il personale sanitario e infermieristico non erano considerati come prigionieri di guerra dalla Convenzione di Ginevra e godevano di uno status speciale (assimilabile a quello di operatori umanitari, identificati come “personale protetto”); RIFUGIATI: civili in cerca di protezione che volontariamente si ponevano sotto la salvaguardia 1
inglese; INTERNATI: civili che rifiutavano di cooperare con l’Autorità britannica preposta alla detenzione e non disponibili a cercare la sua protezione (come ad esempio sfollati obbligati/non volontari). Le linee generali della politica di internamento prevedevano: la SEPARAZIONE: gli italiani dai tedeschi, i militari dai civili, donne e bambini dagli uomini, gli ufficiali dai non graduati. Fin dall'inizio delle ostilità alcuni campi di internamento furono assegnati alle colonie britanniche; tedeschi e italiani, residenti o catturati sul territorio del Commonwealth, furono arrestati, detenuti provvisoriamente in celle di polizia, e poi trasferiti nei campi di cui sopra, sia all'interno dello stesso Paese o nei territori vicini. Il primo contingente di internati italiani arrivò al porto di Durban, dal Kenia e dal Tanganica, nel mese di luglio 1940 e i prigionieri furono internati a Koffiefontein Camp (OVS), in attesa della costruzione di altri campi in Rhodesia del Sud. Qui, due campi erano già stati allestiti e riservati ai tedeschi, nove mesi prima, ed erano più o meno al completo. I due campi erano: il n°1 "Generale" e il n° 2 "Tanganica", che si trovavano entrambi a Salisbury (oggi Harare); essi ospitavano: circa 260 uomini, donne e bambini (il primo campo) e 600 donne e bambini ( il secondo campo). La maggior parte degli internati italiani arrivò in Sud Africa dall’Eritrea tra gennaio e aprile del 1942; fu trasferita in Rhodesia e ospitata in tre campi preparati appositamente. Purtroppo, l'ultimo contingente di civili, in arrivo da Massaua (Eritrea) e destinato alla Rhodesia del Sud, non toccò mai le sponde sudafricane. Il piroscafo "Nova Scotia", che trasportava 780 internati italiani, venne silurato nel novembre del 1942 da un sottomarino tedesco e affondò in prossimità della costa di Natal, portando con sé la maggior parte delle presenze a bordo. Gli altri tre campi di internamento già citati, appositamente creati per gli italiani, erano n° 3 "Gatooma" (ora Katoma), n° 4 "Umvuma (ora Mvuma) e n° 5" Fort Victoria "(ora Masvingo). Lì a Fort Victoria era stato aperto anche uno speciale "Camp Extension" per accogliere i cosiddetti "irriducibili" o "criminali", uomini che si rifiutavano di collaborare o avevano tentato, in tutti i modi possibili, di fuggire in Mozambico. E'qui, nel n°5 "Camp Extension", che una bella cappella venne costruita dagli internati e dedicata a S. Francesco, santo patrono d'Italia. Questa piccola chiesa è una vera opera d'arte, con affreschi e ornamenti in “soapstone” (tenera pietra “sapone”), belli e caratteristici. Nel 1953 furono aggiunte due ali all'edificio principale e qui sono sepolti i resti di 78 italiani, morti in prigionia. Tra loro ci sono due bambini, fratello e sorella: Roberto e Remigia Vitale, di età compresa tra 2 e 7, che morirono in un incendio nel campo n° 1 di Salisbury il 22 settembre del 1942. Successe quando una struttura con tetto di paglia e pareti in erba, utilizzata come scuola materna, prese fuoco casualmente e undici bambini, nove dei quali tedeschi, morirono di conseguenza. Il numero totale degli italiani rinchiusi nei campi della Rhodesia del Sud si aggirava intorno ai 5.300, tra uomini, donne e bambini: 1.600 tenuti in detenzione a Gatooma, 1.500 a Umvuma e 1.500/1.800 a Fort Victoria (n° 5 e n° 5A), il resto si trovava a Salisbury. I campi erano dotati di strutture sportive di base, terreni per giardini e spazi aperti per uso generale. In questi spazi alcuni detenuti intraprendenti avevano edificato proprie officine di fortuna. Le più comuni erano per svolgere attività di barbiere, fabbro, falegname, calzolaio e sarto. Questo era il modo migliore non solo per mantenere sani mente e corpo, ma anche per guadagnare un po' di denaro per le proprie necessità, in attesa della fine della guerra e il ritorno a casa. La guerra contro l'Italia e la Germania finì all'inizio di maggio 1945, ma gli internati, con solo 2
poche eccezioni, dovettero attendere per il rimpatrio fino a quando il trasporto via mare si rese possibile. Ciò si materializzò solo nel dicembre 1946 e dei convogli pieni di italiani lasciarono il Sud Rhodesia durante quel mese in direzione di Mombasa, Dar es-Salaam, Beira, Lourenço Marques (oggi Maputo) e Durban, dove le navi erano in attesa nei porti per il loro trasporto sulla via del ritorno a casa. L'ultimo treno lasciò Fort Victoria portando a Durban i cosiddetti "irriducibili" "criminali" "fascisti", per essere imbarcati sul piroscafo "Chitral" che lasciò l'Africa australe con un paio di migliaia di prigionieri di guerra e altri internati provenienti dai campi situati in Sud Africa . Essi sbarcarono il 21 gennaio 1947 a Napoli, dove, dopo sei lunghi anni di prigionia, finalmente divennero uomini liberi. Differente, per molti versi, fu la situazione nell'Unione del Sud Africa, dove i prigionieri arrivarono a contare ben 120.000 unità, a causa di diversi fattori geografici e funzionali e per periodi variabili da sei settimane a sei anni. I primi prigionieri di guerra italiani arrivarono dall'Egitto all'inizio dell’aprile 1941. Erano stati fatti prigionieri durante l'operazione chiamata in codice "COMPASS", la prima offensiva britannica portata dall'Egitto alla Libia, che iniziò nel dicembre 1940 e durò fino alla fine di febbraio 1941, con la presa della regione Cirenaica e la cattura di 60.000 soldati italiani. Questi 60.000 uomini furono trasferiti e rinchiusi temporaneamente in concentramento in Egitto; successivamente furono trasferiti in India (gli Ufficiali) e in Sud Africa (i graduati e la truppa). Nel luglio 1941, 20.000 prigionieri sbarcarono al porto di Durban e furono inviati in treno nel Transvaal, in un campo che doveva poi risultare il più grande campo di prigionia della seconda guerra mondiale: Zonderwater, vicino a Pretoria. L’etimo in lingua Afrikaans significa letteralmente senza acqua ma, essendo attraversata al centro da un flusso permanente di acqua, vengono date altre spiegazioni per questa denominazione. [Fornitura di acqua per le locomotive a vapore + Distillati alcoolici (Mampoer) per i lavoratori agricoli]. Zonderwater era una fattoria di proprietà dello Stato, utilizzata come campo di addestramento per l'UDF dal settembre 1939 fino al luglio 1940, quando le truppe furono trasferite in Kenya e distribuite sul fronte di guerra, in Somalia e l'Abissinia. Un’infrastruttura esistente di base, come l’acquedotto, alcuni negozi e un piccolo ospedale, fu il punto di partenza per lo sviluppo di quella che fu poi chiamata "la città dei prigionieri": 14 blocchi, ciascuno in grado di ospitare 8.000 uomini, con 30 km di strade, un nuovo ospedale con una capacità di 3.200 posti letto e .... tutto si espanse a poco a poco. All'inizio i POW furono sistemati in tende coniche, otto uomini per tenda, senza letti, ma solo pagliericci (che significava polvere o fango, pidocchi, freddo) e anche pericolosamente esposti ai fulmini. Infatti nove di loro persero la vita e molti altri furono gravemente ustionati durante i temporali tipici della piattaforma continentale del South Africa. Ma ... l’alloggio non fu l'unico serio problema legato alla violazione della convenzione di Ginevra. Nel novembre 1942 una commissione britannica ispezionò il Campo e presentò un rapporto che condannava le condizioni generali dei detenuti italiani: cibo e vestiario insufficienti, condizioni igieniche pessime, il sovraffollamento, la distribuzione della posta irregolare e i saccheggi dei pacchi provenienti da casa. Fu preso un immediato provvedimento e il Generale Jan Smuts nominò il colonnello Hendrik 3
Frederik Prinsloo al vertice del comando di Zonderwater. Prinsloo era un uomo saggio che aveva avuto una personale esperienza nei campi di concentramento, in quanto egli stesso, all'età di 12 anni, era stato internato con la madre durante la guerra anglo-boera. Come un soldato di vera professione (aveva combattuto con Jan Smuts contro i tedeschi nel Sud Africa occidentale, durante la prima guerra mondiale) il Col. Prinsloo considerava la Convenzione di Ginevra "il più bel Gentleman’s Agreement mai siglato tra le nazioni". Il suo principio si basò su "disciplina accoppiata con umana comprensione, fermezza mista a gentilezza e profondo desiderio di tener conto delle peculiarità del carattere italiano e della inevitabile sofferenza che la vita dietro il filo spinato comporta". Egli credeva che ogni nazione, dopo la guerra, sarebbe stata processata a livello internazionale e giudicata dal modo in cui i loro prigionieri di guerra erano stati trattati. Anche in questo caso la sua saggezza vinse e nel 1947 fece parte della delegazione del Sud Africa in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sul tema spinoso dei POW. Da metà dicembre 1942, quando prese il comando del Zonderwater Camp, la situazione cominciò a cambiare sostanzialmente. Fu avviata la costruzione di baracche permanenti, in modo che i POW potessero dormire su letti con materassi ed essere protetti dai fulmini sotto tetti di lamiera ondulata. Il nuovo già citato ospedale fu eretto in meno di un anno e venne completamente gestito da personale medico e infermieristico italiano. Ambulatori e laboratori di analisi fornivano la migliore assistenza possibile agli sfortunati pazienti: i presìdi operativi coprivano le 24 ore; pure i reparti odontoiatrico, radiologico e fisioterapico nonché il dipartimento di ricerca batteriologica e il laboratorio di gastroenterologia erano perfettamente funzionanti. Vale la pena di ricordare, a questo proposito, una ricerca importante nel campo della dermatologia, effettuata da un team di medici italiani, e gli speciali corsi di aggiornamento medico, che si tenevano a Zonderwater. Inoltre, un accordo di cooperazione era intervenuto tra l'Ospedale POW e l'Università di Città del Capo, per cui gli studenti di medicina facevano spesso visita a Zonderwater. Ora, secondo una recente testimonianza di un eminente professore italiano, che a quel tempo era un sergente di cavalleria, studente al terzo anno di Medicina e assistente patologo presso l’ospedale di Zonderwater, un gruppo di studenti, ai primi di marzo del 1942, arrivò da Città del Capo per assistere ad un insolito Post-mortem. Uno di loro si distinse per la sua personalità e il suo carattere curioso, e cominciò a bombardare il patologo italiano con domande riguardanti il cuore, le valvole e il sistema vascolare, chiedendogli di iniziare l'autopsia dal muscolo cardiaco. Il giovane era così entusiasta che il patologo acconsentì con piacere e iniziò il suo lavoro con la dissezione del cuore. Trenta anni più tardi, quando i media del mondo annunciarono la notizia del primo trapianto di cuore di successo nella storia della medicina, l'ex sergente di cavalleria Mino Andretta, peraltro medico esperto ben noto in Italia, improvvisamente si rese conto che aveva con tutta probabilità aiutato il giovane Christiaan Barnard nella sua ricerca appassionata sul massimo organo umano. Il colonnello Prinsloo profuse uno speciale impegno nel mantenere occupata questa moltitudine di uomini giovani, sia mentalmente che fisicamente; nessuno poteva avere alcuna idea di quando la guerra sarebbe finita ed egli sapeva benissimo che l’ozio sarebbe stato il peggior nemico dei prigionieri. Una delle sue prime priorità fu quella di incoraggiare e aiutare anche materialmente gli italiani disposti a praticare sport, frequentare scuole e laboratori e seguire qualsiasi abilità artistica o pratica che potesse essere sviluppata. La già esistente scuola elementare fu triplicata in sezioni e vennero aperte altre tre scuole. Furono inoltre istituiti dei Corsi secondari e molti libri di testo (di agronomia, igiene, chimica, geometria, elettrotecnica e tecnologia meccanica) furono compilati manualmente da cappellani, ufficiali medici 4
e da numerosi studenti universitari presenti nella truppa. I risultati furono eccellenti. 9.000 uomini analfabeti impararono a leggere e scrivere, la metà di loro ottenne il Certificato di Scuola Primaria di frequenza, che fu poi convalidato in Italia, dopo il rimpatrio, ed contribuì per molti di loro a trovare un lavoro. Un'altra istituzione molto importante, frequentata da coloro che volevano imparare o migliorare le attività manuali e creative, fu il " Centro professionale H. F. Prinsloo ", dove più di 800 prigionieri produssero oggetti di libera iniziativa personale in laboratori di grandi dimensioni, utilizzando strumenti e macchinari elettrici. Le maggior parte delle attività seguite riguardavano l’ebanisteria, l’intaglio del legno, la produzione di manufatti in acciaio e argento, mentre altri mestieri specializzati concernevano: la realizzazione di strumenti musicali ad arco (violini, mandolini, banjo) e di strumenti a fiato (cornamuse, flauti dolci, ocarine), la legatoria, il modellismo e l’orologeria. A proposito di quest'ultima attività, un prigioniero ingegnoso fece un bellissimo orologio, con il meccanismo a molla eseguito con un capello preso dalla criniera di un cavallo, e lo vendette a una delle guardie per un paio di sterline. Dopo un giorno o due il meccanismo smise di funzionare e la guardia tornò dal prigioniero a chiedergli cosa non andasse. L'orologiaio furbo aprì la cassa, mostrò come ri-avvolgere la molla e lo restituì alla guardia con un grande sorriso, chiedendogli molto cordialmente che cosa potesse aspettarsi per solo per un paio di sterline! Con astuzia, un altro prigioniero riuscì a produrre decine di banconote da Una Sterlina, iniziando a stampare su carta, con un cliché ben scolpito in legno, la parte anteriore e le immagini della Sterlina e facendo poi a mano il ritocco. Quando il trucco venne scoperto (facendo casualmente il confronto tra due banconote) nessuna azione legale venne intrapresa perché sulle note, con esattamente lo stesso tipo di carattere, invece di "Prometto di pagare il portatore ecc" fu scritto, in italiano, "Io ho fatto questo non per commettere una frode, ma per alleviare le mie precarie condizioni di salute ... " e senza la firma del Governatore, ma con la firma di un Italiano prigioniero di guerra. Una parte del Centro professionale venne riservata agli studi per artisti (soprattutto pittori e scultori), dove persone, con una vocazione per l'arte, potevano studiare insieme (e scambiarsi conoscenze e idee), sotto la supervisione di un noto pittore (nonché Ufficiale medico a Zonderwater) . Gli scultori produssero veri e propri capolavori con stucco di Parigi, arenaria, argilla o cemento, mentre i pittori diedero libero sfogo alla loro ispirazione con oli e acquerelli, con carbone e con matite colorate. I manufatti realizzati dal POW furono esposti all’annuale Mostra delle arti e dell'artigianato, in un edificio all’uopo dedicato all'interno del Campo, e furono venduti al pubblico, attratto dal passaparola, proveniente da tutto il Transvaal. È interessante conoscere i criteri socio-economiche stabiliti dagli stessi prigionieri relativamente alla vendita degli oggetti: i proventi erano così suddivisi: 50% per il produttore e 50% per il Fondo Welfare dei POW. [Il denaro veniva utilizzato per l'acquisto di materiale prime, per occhiali / dentiere / farmaci particolari o integratori alimentari per i bisognosi, ecc.] [Posso dire senza riserve che grandi erano la bellezza e la qualità dei manufatti. Diverse centinaia di questi oggetti sono stati donati, negli ultimi 20 anni, al nostro Museo. La maggior parte di loro sono ancora in ottime condizioni, a testimonianza della eccezionale maestria di gente così semplice, ma di talento.] Il Comandante del campo era anche un appassionato sportivo (giocatore di rugby, pugile esperto e vincitore di numerosi trofei di nuoto) e fece di tutto per procurarsi l'attrezzatura necessaria per effettuare tutti i tipi possibili di sport. Il più popolare, naturalmente, era il calcio. Palloni di cuoio, 5
reti, scarpe con tacchetti e altri oggetti furono rapidamente raccolti ed entro un anno il numero di squadre di calcio crebbe da 13 a 28. Grazie alla disponibilità di attrezzature, in gran parte donate da varie organizzazioni di assistenza italiane, dal Vaticano e dalla Croce Rossa Internazionale, gli entusiasti prigionieri poterono praticare tutte le diverse discipline di atletica, e anche la pallavolo, il basket e persino la scherma (qui devo dire qualcosa speciale!). Uno degli allievi di scherma, di nome Ezio Triccoli, era chiaramente dotato e in breve tempo diventò uno dei formatori. Inoltre ideò e realizzò un certo tipo di impugnatura delle spade, che 10 anni dopo, fu adottato a livello internazionale e ufficialmente riconosciuto dal Comitato Olimpico. [Questo prototipo, tra l'altro, è una delle reliquie esposte nel nostro museo]. Tornato a casa nel 1946, Ezio Triccoli partì dopo un certo tempo con una propria scuola di scherma e qualche anno più tardi tre dei suoi allievi (Stefano Cerioni, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali ripagarono il loro Maestro arrivando alla medaglia d'oro olimpica. Notevole impulso fu dato anche alla boxe e la presenza nel campo di diversi ben noti pugili, campioni nazionali italiani, attirò l'interesse del pubblico sudafricano. Storico fu l’incontro tenutosi l'8 settembre 1943, per il titolo dei pesi medi tra Verdinelli e Manca, alla presenza di 15.000 spettatori (sia prigionieri di guerra sia fans sudafricani). Storico a causa della data (annuncio dell’Armistizio = inizio della guerra civile in Italia), ma anche storico per il modo in cui si concluse: Verdinelli era un fascista dichiarato, Manca un realista convinto: quando il gong suonò la fine dell'ultimo round si abbracciarono l'un l'altro in vero modo fraterno, dimostrando che lo sport poteva essere più forte della politica o delle ideologie. Ma, nonostante questa spontanea dimostrazione di unità, lo stato d'animo nel campo era cambiato e la divisione ideologica era divenuta più profonda. Molti prigionieri rimasero fedeli alle loro credenze, altri non diedero più importanza ai principi o agli ideali e cercarono di adattarsi alla nuova situazione. La possibilità di lavoro al di fuori divenne una sorta di "valvola di sicurezza" e rappresentò in una certa misura, per mezzo milione di prigionieri di guerra (a livello mondiale), la risposta al dilemma sorto con la firma dell'armistizio. In Sud Africa, diverse migliaia di italiani avevano già lasciato Zonderwater, un anno prima, in quanto assegnati alla costruzione di alcuni passi di montagna molto importanti. Questi progetti erano stati approvati dal Parlamento sudafricano ancora nei primi anni '20 e successivamente accantonati per mancanza di fondi. I piani di costruzione vennero riproposti nel 1941, quando il provvidenziale lavoro dei prigionieri di guerra si rese disponibile. Così, tra il novembre '42 e l'ottobre '45, 1.500 POW costruirono una nuova strada, provvista di tunnel a Du Toit'skloof, sulle montagne del Capo, creando un collegamento più breve e più facile tra Lower Karoo e Città del Capo. Nello stesso periodo, un uguale numero di prigionieri fu impiegato per aprire il nuovo passo di montagna tra la città di George e l'entroterra, così come per abbattere gli alberi per l'industria mineraria e delle costruzioni in sei campi forestali, sempre nella zona circostante George. Per controllare nella zona i movimenti, la logistica e le esigenze mediche di quella massa di persone, un nuovo campo fu aperto presso il Worcester e non meno di 10.000 prigionieri di guerra furono gestiti da quel campo. Con questa grande forza lavoro disponibile, altamente qualificata e a basso costo, anche l’Amministrazione provinciale approfittò della situazione e assunse centinaia di uomini per effettuare miglioramenti sui passi di montagna, quali il Sir’Lowry e Houhoek (tra Somerset e 6
West/Hermanus ), il Passo Tradow (nella zona Swellendam / Barrydale), il Picco di Chapman (appena a nord di Cape Point) e Bain’Kloof (tra Wellington e Worcester) – soltanto per citare i più importanti. Altri progetti molto importanti, presi in considerazione dal governo sudafricano, per la produzione agro-alimentare e la sua conseguente commercializzazione furono i sistemi di irrigazione in aree semi-desertiche. Il più grande di tutti fu quello a beneficio dell’insediamento di fattorie “Orange River”, vicino a Upington, dove i POW realizzarono, in meno di 4 anni, un reticolo di canali per irrigare oltre 1.500 km quadrati di terreno. E, nel tempo libero, gli italiani costruirono una grande chiesa in quella città, la Cattedrale di S. Agostino. Questa zona sta ora producendo, tra l'altro, frutta e vini che vengono esportati anche in Italia. Nello stesso periodo, a sud di Upington, circa 1.000 prigionieri di guerra completarono tre grandi insediamenti agricoli: il Vaal/Harz [Warrengton], il Rietrivier [Kimberley] e il Olifant River [Vredendal] nel Northern Cape, mentre a Loskop, a est di Pretoria, 39.000 ettari di terreno furono recuperati per l'agricoltura. Le competenze degli italiani nel settore dell’edilizia furono utilizzate per costruire edifici governativi, chiese, scuole, palazzi, tutte strutture tuttora in uso e che costituiscono un esempio di architettura eccezionale e di elevata qualità di edificazione. Alcune di esse, come la 'Madonna delle Grazie "chiesa a Pietermaritzburg, il Mulino a vento olandese e il Sunken Garden a Johannesburg sono stati dichiarati monumento nazionale. La maggior parte dei prigionieri di guerra che optarono per l'attività lavorativa esterna fu assegnata al settore agricolo dell'economia, come la produzione di derrate alimentari, che rappresentava, sia per il consumo regionale che per il fronte di guerra, una priorità assoluta. Inoltre, mentre 5.000 italiani lavoravano su progetti del governo, altri 25.000 di loro furono impiegati in migliaia di aziende agricole (farmers) nelle quattro province dell'Unione. Erano tutti giovani uomini, in buona salute, e lavoratori molto appassionati, coloro che intendevano abbandonare il campo per cercare di guadagnare un po'di più, avere un cibo migliore e, soprattutto, una maggiore libertà e un po' di pace interiore. La buona volontà dimostrata nei confronti dei loro datori di lavoro, unita all’evidenza di alcune abilità sconosciute in Sud Africa, fu subito notata, apprezzata e (perché no?) anche sfruttata dai proprietari dei fondi agricoli. Di conseguenza, nonostante la legge vietasse il loro impiego come artigiani o in qualsiasi altro lavoro specializzato, gli italiani furono adibiti a ogni lavoro che fossero in grado di svolgere. Di conseguenza, nelle fattorie furono realizzate alcune opere mai viste prima nel Paese, come ad esempio acquedotti di stile romano, silos per lo stoccaggio dei foraggi, la produzione di semi in laboratori di cortile, sistemi di raffreddamento all'aperto per cisterne d'acqua e diverse altre strutture architettoniche, improvvisate ma sempre di gradevole aspetto. Falegnami ed ebanisti produssero una quantità di mobili raffinati mai visti in precedenza, sarti e calzolai fornirono nuovi guardaroba a famiglie intere e fabbri, meccanici e altri tecnici intervennero rapidamente a rimediare a qualsiasi possibile rottura che si verificasse nelle fattorie isolate. In poche parole, fu una vera benedizione per i produttori agricoli sudafricani essere stati in grado di utilizzare questo lavoro poco costoso ma altamente qualificato. Ora gli italiani, come ho detto, erano giovani, pieni di vita, facili ad adattarsi, in modo che non ci volle molto, per la maggior parte di loro, ad essere assimilati dai boeri, a dispetto della legge di emergenza, che erano, in generale, più comprensivi verso gli italiani che verso gli inglesi. 7
Venivano invitati a preparare il cibo italiano, a cantare e suonare; ebbero anche il permesso di dormire nella casa colonica, che era un crimine punibile nell'Unione. In lontane zone agricole, squadre di POW giocavano tornei di calcio a mezzogiorno della domenica, cambiando settimanalmente la sede di gioco da fattoria a fattoria e finivano per essere viziati con vino e dolci offerti orgogliosamente dai generosi agricoltori. In breve, gli italiani entrarono a far parte ... delle famiglie nella vita di tutti i giorni. In queste condizioni fu facile che le scintille d'amore diventassero incendi. Numerosi matrimoni ebbero luogo, sia formali che "casual", e centinaia di bambini mezzo latini nacquero: il sangue italiano e la cultura italiana trasmessi all’interno del Sud Africa. Alla fine della guerra, i prigionieri, come richiesto dalla Convenzione di Ginevra, dovettero essere inviati di ritorno nel loro Paese e, a tutto il febbraio 1947, tutti, fatta eccezione per 900, furono rimpatriati. Questi 900 si erano candidati per avere la residenza permanente nell'Unione e la loro richiesta fu accolta. Più di un migliaio aveva chiesto di rimanere e di stabilirsi nell'Unione ... ma un po' di opposizione, sia in Sud Africa che in Italia, aveva reso impossibile accogliere tutte le domande. Tuttavia, la porta per l'immigrazione fu lasciata aperta e, nel giro di pochi anni, la presenza di coloni italiani aumentò da 2.500 a più di 40.000. L'impatto economico, sociale e culturale fu grande; in particolare, furono molto apprezzati l’input artistico e l'influenza derivante dalla presenza dei prigionieri di guerra. Gregorio Fiasconaro, uno del 900 che si adoperò per non essere rimpatriato nel 1947, divenne un famoso tenore e, in seguito, docente di Musica presso la UCT e direttore a tempo pieno della Scuola dell'Opera, guadagnando alla fine il titolo di "Padre dell’Opera in Sud Africa". Un altro artista degno di nota fu Armando Baldinelli, un ufficiale prigioniero di guerra che si stabilì in Sud Africa nel 1953 e subito iniziò a produrre i più bei murales a mosaico, diventando famoso per le opere realizzate al centro commerciale Hide Park e all'aeroporto Jan Smuts di Johannesburg, ma soprattutto per l'imponente e indimenticabile murale "Le ali e le onde della musica" presso il Teatro di Stato di Pretoria. E forse il più grande dei nomi nella storia della scultura moderna in Sud Africa fu Edoardo Villa, le cui centinaia di statue vengono ammirate ovunque in Sud Africa e in Italia; a lui fu intitolato il Museo d’Arte presso l’Università di Pretoria. Edoardo Villa morì nel maggio dello scorso anno e le sue ceneri furono deposte all’interno della cappella del cimitero, a Zonderwater, sotto il Crocifisso gigantesco che egli aveva fatto 65 anni prima. In sintesi, e per concludere, la presenza di un gran numero di prigionieri di guerra e internati italiani ha segnato una pietra miliare nella storia del Sud Africa, così come ha fatto avviare il processo di trasferimento di nuove tecnologie, nuova arte e cultura, nuovo sangue e nuovi orizzonti per quanto riguarda le relazioni economiche, politiche e umane. E se si guarda anche l’altro lato della medaglia, si può vedere che l’Italia e l’Europa hanno altresì beneficiato di questa storia epica, diventando esportatori non solo della musica e della moda, ma anche di piastrelle di qualità eccezionale, di autovetture di alta classe e dei sempre popolari, deliziosi “spaghetti”. 1)
Presidente dell’Associazione “Zonderwater Block – Sud Africa”. Intervento in lingua inglese effettuato nel corso di un ciclo di conferenze organizzate nel maggio del 2012 ad Harare (Zimbabwe) - (Traduzione di Marzio Muraro)
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