"Apicoltura" scritto a Zonderwater da Costantino Antognelli

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Questo argomento è tratto dal quaderno-libro contenente le varie materie studiate nel campo di prigionia di Zonderwater dal prigioniero di guerra Costantino Antognelli, matricola 280208. Al termine della trascrizione seguono le foto delle pagine scritte di pugno da Costantino.

Come riportato anche in altre testimonianze, i prigionieri si dovevano ingegnare anche per ricavare l’inchiostro dalle cose piÚ strane che potevano avere a disposizione. Infatti nelle varie materie scritte nel quaderno-libro si trovano vari colori, abbastanza tenui, e non tutti duraturi nel tempo.


Apicoltura Come è composta la società della api: Con l’ape la natura ci offre forse il più meraviglioso esemplare di società di animali perfettamente organizzati con le più equilibrate leggi produttive di concordia, di ordine, di economia, in cui sta certo il segreto della grande attività che possono svolgere. Una famiglia normale di api è composta di tre ordini di individui: una sola ape madre, circa 2000 fuchi, 20… 50… 70… mila api operaie, (numero molto variabile secondo lo spazio dell’arnia, l’abbondanza della fioritura, i bisogni della famiglia). La madre delle api si chiama anche Regina. I fuchi sono i maschi; essi non lavorano, sono pigri e neghittosi. Le piccole operaie sono invece la provvidenza della colonia. Esse compiono con celerità molteplici e meravigliosi lavori: nutrono le covate, dedicano cure particolari alla madre, provvedono il cibo, costruiscono la casa, la puliscono, trasportano i morti e difendono l’intera colonia contro qualsiasi nemico. Come nasce l’ape e come si sviluppa: Nella vita naturale delle api, ogni nuova famiglia “alveare” proviene dalla moltiplicazione di uno sciame, cioè un gruppo completo di individui “madre, fuchi, api operaie” emigrati da un’altra famiglia. Dopo che le operaie hanno fabbricato la nuova casa, la madre, compiuto il volo di fecondazione, depone le uova, e la famiglia aumenta rapidamente, se le circostanze lo permettono, fino al completo riempimento della casa, con individui e con provvigioni, di tutto lo spazio disponibile. A questo punto,


se coincide la primavera, si inizia la costruzione degli alveoli per le nuove madri e dopo 16 giorni la conseguente emigrazione di una parte degli individui, cioè la formazione di un altro sciame. Descrizione e vita delle api: La storia naturale registra numerose specie del genere “api”, ma quella che interessa l’industria apistica è l’ape mellifica, appartenente all’ordine degli imenotteri. Come tutti gli insetti allo stato perfetto, il corpo delle api è diviso in tre parti: testa, addome o corsaletto e addome. La testa: nella testa delle api sono notevoli le antenne, che sono specialmente sensibilissimi organi del tatto. In virtù di esse le api si dirigono nel buio della loro casa e si comunicano le loro impressioni. Nelle antenne tante microscopiche fossette formano uno sviluppatissimo apparato olfattivo, il quale permette loro di distinguere l’odore delle intruse, che è diverso da quello del loro alveare, e di distinguere i fiori che offrono la maggior quantità di nettare e polline. L’ape ha cinque occhi: tre semplici piccolissimi, disposti a triangolo (posteriori) e due più grandi sfaccettati che si chiamano occhi composti, formati come dall’unione di numerosissimi occhi (anteriori) ben visibili quest’ultimi senza microscopio. I semplici pare che servano all’ape per vedere le cose lontane; i composti invece per osservare le cose vicine. Riguardo all’apparato bocale, è interessante la lingua muscolosa dell’operaia, perché più lunga e flessibili delle altre api, atta a penetrare nella corolla dei fiori per lambirvi il nettare da trasformarsi in miele. Il nettare ed il miele raccolto sulla lingua, viene dall’operaia mandato alla faringe e da quella all’esofago, e quindi ad un primo stomaco, detto sacco del


miele o borsa melaria. Qui esso viene modificato dal succo delle ghiandole salivari e poi in parte passato nel vero stomaco e dall’intestino, viene utilizzato come alimento dall’insetto, e in parte rigurgitato nelle celle per il bene dell’avvenire. La lingua è conformata in modo da poter contenere una notevole quantità di nettare, racchiusa in una specie di guaina tra due palpi labiali e due mascellari. Le mandibole delle operaie sono forti e coriacee e servono per compiere quasi tutti i lavori, mentre le mascelle tengono fermi gli oggetti sui quali l’operaia lavora con le mandibole. Il torace: il torace dell’ape, detto anche corsaletto, consta di tre segmenti. Porta inserite nella parte posteriore due paia di ali, e nella parte inferiore tre paia di zampe. Le ali, potente mezzo per l’attività delle api operaie, hanno una forza che supera, in proporzione, quella delle ali degli uccelli più veloci. L’operaia vola di fiore in fiore in cerca di polline e nettare, per uno spazio di circa tre chilometri di raggio intorno all’alveare. Me le ali servono anche ad altro che al volo. Nelle afose giornate estive, alcune operaie si dispongono innanzi alla porticina della loro casa, e per ore ed ore, mediante un rapido movimento delle ali, ne rinnovano l’aria a guisa d’un ventilatore. Delle sei zampe tutte articolate, interessantissimo è il terzo paio dell’ape operaia. La fedele massaia dell’arnia, ha le ultime due zampe fornite al tarso di una serie di peli in guisa di spazzola. Con esse spazzolandosi il dorso raggruppa il polline, che serve come alimento. Lo deposita in una cavità delle zampine posteriori, chiamata cestella. Così ben provvista, l’operaia ritorna frettolosa al suo nido, avendo fatto il suo ufficio e guadagnato il suo pane. L’ape madre ed i fuchi sono privi di spazzola e di cestella perché non lavorano. Ogni zampa termina con due uncini a guisa di tenaglia, i quali permettono all’ape


di sospendersi in qualunque punto dell’arnia. Inoltre, per sospendersi al soffitto o ai corpi levigati, l’ape, come la mosca, porta in fondo ad ogni zampa, in mezzo agli uncini, degli organi speciali che in qualche libro antico sono paragonati a delle ventose, ma che si sa ora essere invece costituiti da numerosissimi e folti peli che aderiscono alla superficie liscia, per i fenomeni di adesione capillare, di un liquido di cui sono sempre bagnati. L’addome: l’addome delle api è composto di nove anelli. Le api operaie, alla base dei segmenti dell’addome, hanno tre paia di sacchi membranosi detti sacchi della cera, perché servono alla fabbricazione di questo materiale che trasuda sotto forma di esili lamine. Nell’ultimo anello dell’addome, l’ape operaia porta nascosta la sua tanto temuta difesa “il pungiglione”. I fuchi sono privi di pungiglione. La madre ne porta uno a forma ricurva che toglie dal fodero solo per combattere con altra madre, sua rivale. L’ape operaia punge iniettando veleno solo se è molestata e per difendere la madre, le sorelle inermi, la casa. L’ape che punge generalmente muore, perché lascia appeso al pungiglione parte degli intestini. Con un’azione meccanica l’operaia spinge nella nostra pelle il pungiglione e schiaccia nell’urto la vescichetta piena di veleno “acido formico” che, attraversando il pungiglione entra nella profondità della ferita, e produce per azione chimica una enfiagione , che se data da più punture è talvolta considerevole. La ragione per cui l’ape dopo la puntura muore è che dopo aver inserito il pungiglione dentellato nella pelle, essa tenta di ritrarlo con un forte strappo, cagionando la fuoriuscita del suo intestino. Le api operaie: Il numero delle api operaie è estremamente variabile, come la popolazione totale dell’arnia. Una famiglia normale ne conta di soli-


to circa 30 mila, mentre una famiglia che abiti in un’arnia di 45 cm per 45 alta 30, all’epoca del grande raccolto può arrivare ad una popolazione di 60…70 mila, ed in determinate speciali circostanze a 100 mila api operaie. Queste provvide piccole massaie dell’arnia, lavorano senza tregua dall’alba al tramonto in cerca di nettare, polline, propoli e acqua. Per un raggio di tre chilometri circa, le api adulte, dette raccoglitrici o esploratrici, volano di fiore in fiore, con la lingua lambiscono il nettare che trasformano in miele, raccolgono e trasportano il polline che è il cibo preferito per alimentare le covate. Il propoli, sostanza tenace, viene raccolto sulle gemme, specie sulle piante resinose, e con esso le operaie cementano le pareti e chiudono le fessure dell’arnia. Con la cera, che le operaie secernono da speciali ghiandole dell’addome, costruiscono le celle, l’insieme delle quali formano i favi. Il lavoro nell’arnia è meravigliosamente diviso a vantaggio della comunità, per amore dell’avvenire. Oltre alle api operaie raccoglitrici e quelle che funzionano da muratori, ve ne sono altre che, quali dame d’onore della madre, vigilano ogni suo atto. Altre come nutrici delle covate o per insegnare i primi voli sui fiori alle giovani api, come i primi passi nell’arnia. Altre ancora montano la guardia, davanti alla porticina dell’arnia, pronte a difendersela fino alla morte; altre ventilano la casa nelle giornate afose e troppo calde. La madre: La madre delle api, non come già si potrebbe credere dal nome di regina, il capo dell’alveare. La madre è la sola femmina completa, dotata della possibilità di riprodurre la specie. In un’arnia non può regnare che una sola madre. Essa si distingue dai fuchi e dalle operaie, per la forma più lunga e più snella, per le ali corte, e


per il colore di un bel giallo dorato, e soprattutto per il suo incedere lento, veramente maestoso. La madre è l’anima della famiglia, l’oggetto delle cure più assidue e scrupolose da parte delle operaie. Senza di essa la famiglia presto o tardi finirebbe per morire. La madre nasce in una cella speciale, più comoda, a forma di ghianda. Viene alimentata con un cibo formato dal nettare più delicato e del polline più fine, cibo che si usa chiamare “pappa reale”. La metamorfosi della madre da uovo, ninfa, crisalide, ed insetto perfetto, dura 16 giorni. Via via che la madre si sviluppa, le operaie allungano la cella. A soli 4-6 giorni di vita perfetta ha luogo il volo nuziale. Le nozze le compie nell’aria in un bel giorno, tutto dorato di sole, nel pieno trionfo dei fiori. Ma la felicità è breve, perché il fuco prescelto dalla stessa madre, quello cioè che ha raggiunto le sfere più alte dello spazio celeste, ed è riuscito vittorioso nella lotta con gli altri maschi, accorsi numerosi anche dalle arnie vicine, muore nel medesimo giorno delle nozze. La madre non passa a seconde nozze, è fedele alla sua missione, rientra subito nell’arnia e dopo qualche giorno inizia la deposizione delle uova, fra le cure più delicate delle api operaie. La madre che rimane fecondata nei primi 20 giorni di vita, dicesi vergine o fucaiola. Essa depone uova dalle quali nascono solamente fuchi. L’apicoltore deve senz’altro sopprimerla e sostituirla. La madre non raccoglie e non costruisce come le operaie, perciò non porta gli strumenti del lavoro, quali la cestella, la spazzola ecc., essa ha il pungiglione diverso dalle operaie, a forma di sciabola ricurva, unicamente destinato alla lotta mortale, contro le altre madri rivali, perché essa vuole e deve essere l’unica madre dell’alveare. Morrà senza aver visitato alcun fiore, ma dopo aver dato la vita ad una figliolanza numerosissima.


L’opera della madre: Dopo qualche giorno dal volo di fecondazione, la madre inizia la deposizione delle uova, dalle quali nasceranno: le api operaie, i fuchi, le nuove madri che dovranno succederle. In un solo giorno la madre può deporre da 1500 a 3000 uova, circa un milione in tutta la sua vita, se l’accorto apicoltore non la sostituisce dopo il terzo anno con altra più giovane e prolifica. La madre inizia il suo giro di deposizione delle uova dal centro di un favo. Prima di deporre l’uovo si accerta se la cella è veramente vuota e pulita. Quando depone uova, la madre è assicurata da almeno 10-12 api operaie, le quali da buone cortigiane, tengono sempre il capo rivolto ad essa, pronte a prestargli qualsiasi servigio. Allorché la madre allunga la lingua, bisognosa di cibo, l’operaia si affretta a deporvi una goccia di miele, altre sono frettolose nel ripulire le celle, altre ancora vigilano attente a difenderla contro qualsiasi nemico. Con tutto ciò, come è già stato detto, la madre in realtà non comanda, ma è visibilmente regolata, in tutte le sue azioni, dalle necessità dell’alveare, interpretate dalle operaie, e molte volte sono proprio le api operaie che la indirizzano e la obbligano a fare l’una o l’altra azione. E se a queste necessità essa non corrisponde, o per l’età, o perché pigra, o perché essendo ancora vergine non è disposta e sollecita per il volo di fecondazione, le api stesse provvedono ad eliminarla e sostituirla. La madre ha la possibilità di emettere uova maschili e femminili a seconda della sua volontà (scoperta importantissima del parroco tedesco Driezzon). Questa volontà della madre è determinata visibilmente dalle condizioni dell’alveare, ma probabilmente anche, in alcuni casi, dalle necessità della specie, perché i fuchi servono per la fecondazione delle madri in generale, non soltanto di quella della propria


arnia. Anzi vi è da credere che l’accoppiamento di ogni madre avvenga sempre con fuchi di arnie diverse, essendo notissimo l’orrore della natura per le nozze consanguinee. È desiderabile che questi fuchi provengano da famiglie forti, e perciò all’epoca in cui la fecondazione si ritiene probabile, è utile eliminare i fuchi deboli, applicando alle arnie apposite sfucatrici, le quali lasciano passare liberamente le operaie, e trattengono i fuchi che sopprimeranno. In altre epoche le sfucatrici non sono consigliabili. I fuchi: Il fuco è più grosso delle api operaie, e meno lungo della madre; il suo corpo è vellutato e privo di pungiglione, di cestello e spazzola, perché esso è imbelle e ozioso. Non difende le sue compagne, non lavora né per la raccolta del miele né per altri bisogni della famiglia. Di essi uno solo diventerà sposo di una madre durante il volo nuziale, dopo il quale troverà la morte. Il suo ufficio è quello di cooperare alla propagazione della specie, per la quale è necessario che le madri siano fecondate. La natura provvede prodigalmente come sua consuetudine a questa necessità dell’amore. Per un fuco che feconderà una madre, se ne fanno nascere e se ne mantengono lautamente delle centinaia in ogni alveare; probabilmente perché la scelta dello sposo adatto possa farsi meglio tra molti; ma viene il momento che non vi sono più madri giovani da fecondare, allora soltanto la natura diventa a loro avversa. Le operaie sembra che s’avvedano solo in quest’epoca che i fuchi sono individui ingombranti, prepotenti, insaziabili, e con una decisione subitanea li assalgono e molti li uccidono, e costringono gli altri a morire di fame. Anche in questo fatto della “strage dei fuchi” le api operaie si comportano come se fossero dotate d’una grandissima intelligenza, decidendosi alla distruzio-


ne dei fuchi nel momento in cui essi, esaurita la loro funzione, diventano inutili per la loro famiglia e per la loro specie. Metamorfosi dell’ape: L’uovo dell’ape è microscopico e assai fragile. Dalla deposizione delle uova alla nascita dell’insetto perfetto occorrono: 16 giorni per la madre, 22 per l’ape operaia, 24 per il maschio o fuco. Ogni uovo deposto dalla madre subisce la solita metamorfosi: da larva a crisalide ad insetto perfetto. La bianca larva o cacchione che nasce dall’uovo, ha il corpo diviso in tanti anelli. Per poter rimanere racchiuse nelle celle le larve si dispongono ad arco e nuotano in una sostanza nutritiva semiliquida, bianchiccia, che viene loro somministrata da alcune api operaie dette “nutrici”. Per preparare questa specie di pappa, le nutrici ingoiano del polline, che nel loro stomaco si unisce a del miele, e vi sosta qualche tempo, sinché, reso più assimilabile viene somministrato alle larve in proporzione adatta alla loro età. La larva si trasforma poi in crisalide, che attraverso ad una pellicola semitrasparente che l’avvolge tutta, si vede via via assumere la forma dell’insetto perfetto. Le giovani api operaie, da buone nutrici, si radunano sopra le celle per tenere caldo alle covate, raggiungendo così la temperatura di 34°. Quando l’insetto perfetto sta per uscire e rompere il coperchio della cella, alcune api operaie lo circondano e lo difendono, lo aiutano, lo spazzolano con cura, lo nutrono e gli insegnano i primi passi con vero amore, mentre altre pensano a riassettare la cella per la deposizione di un altro uovo, se la cella è piccola, o per la deposizione del miele, se la cella è da fuchi. Costruzione della cera:


Dispostesi le api come in una grande cortina che prende il soffitto dell’arnia, viene prima appiccicata in un punto e terminato in una piccola massa di cera. Un’ape detta “fondatrice” afferra le laminette di cera dal suo addome, le sminuzza, le comprime, trasformandole in una specie di nastro, il quale viene reso plastico da un umore vischioso emesso dalla lingua; aiutandosi un po’ con la lingua, che fa da cazzuola, un po’ con le mandibole, un po’ con le zampette, le api fondatrici riescono ad iniziare la costruzione del favo contro il soffitto dell’alveare. Su questa striscia di cera, che deve essere stata messa in un posto prestabilito da un’operaia distinta per l’aspetto e per l’incedere (un’ape ingegnera!), viene tracciato il disegno del fondo piramidale della prima cella, fissandovi così matematicamente la posizione di tutte le altre celle del primo favo, e la posizione degli altri favi dell’arnia. Per capire in seguito bisogna dire come è costruito un favo. Il favo è costituito da numerosissime celle piccole da operaie, da celle più capaci per i maschi o fuchi, e di altre molto più grandi ed a forma di ghianda per le madri. Le celle da operaie e da fuchi, oltre che per le covate, servono come deposito di miele e polline. Quando il primo favo è un po’ avviato, comincia subito, parallelo ad esso, la costruzione del secondo. Se il favo è costruito perpendicolarmente alla parete frontale dell’arnia, questo dicesi “a favo freddo”. Quando i favi sono paralleli alla parete frontale dell’arnia, si dice “a favo caldo”. Nell’alveare villico, in ricoveri non sistemati razionalmente, le api adottano spesso tutt’e due i sistemi. Le celle da operaie e da fuchi sono di forma esagonale e di perfetta esattezza geometrica. Tale forma esagonale è quella che potrebbe scegliere il più bravo ingegnere matematico che si prefiggesse lo scopo di farne un numero maggiore possibile su un minimo spazio, con la minima quantità di materia e con la maggiore solidità


possibile. Con solo 500 grammi di cera l’operaia costruisce da 40 a 50 mila celle, che servono da abitazione e dispensa per i viveri. Gli esagoni, che sopra la prima parete di cera ha disegnato la prima ape operaia “architetta”, servono alle altre venute dopo a delineare le celle che si prolungano in altrettanti tubi esagonali a destra ed a sinistra della parete, formando così un favo che avrà lo spessore doppio della lunghezza di una celletta. Il coperchio di ogni cella è detto opercolo, ed a seconda della sua forma indica che cosa contiene la cella stessa: se è piano e leggermente convesso è da operaia; se è concavo le celle sono ricolme di miele; se è convesso contiene covate da fuchi; se è assai sporgente contiene covate gibbose. La cera è prodotta dalle api giovani. Il lavoro di costruzione, quando ce n’è bisogno, non ha tregua, né di giorno né di notte; la temperatura per la facile lavorazione della cera è prodotta dalle api operaie stesse, che si affollano formando quello che l’apicoltore chiama “glomere”. Un dato pratico che l’apicoltore deve conoscere è questo: che il materiale da costruzione, che è la cera, è prodotta dalle api consumando molto miele (circa 6 o 7 chilogrammi di miele per produrne uno di cera). Ecco perché con le arnie razionali a telaini, con fogli cerei si cerca di diminuire quanto è possibile il lavoro di costruzione. La razza da prescegliere: L’ape italiana è riconosciuta come la razza migliore di tutto il mondo. È docile, offre abbondanti prodotti che procura sino a stagione inoltrata, ha maggiore resistenza alle malattie. È ricercatissima all’estero. Alcuni allevatori si dedicano all’allevamento di madri italiane che inviano in Francia, in Inghilterra, in Norvegia, in Russia e persino negli Stati Uniti e nella Nuova Zelanda. Un’altra razza pregiata è la Cipriota o Egiziana. L’ape Italiana si


distingue per tre strisce gialle nell’addome; la Cipriota invece ha il dorso di un giallo più vivo, quasi moro, e l’addome a punta nerissima. Buona covatrice è la Cipriota, ma difficile a maneggiarsi perché irascibile e sempre pronta ad assalire. La nera della Germania, l’ape del Caucaso, è una razza inferiore di quella Italiana, così che la sua introduzione nel nostro paese è sconsigliabile. Conserviamo dunque la nostra razza, e conserviamola pure perché i risultati degli incroci tentati non hanno dato buoni risultati. La qualità di una buona arnia: Un’arnia razionale deve essere costruita in legno stagionato leggero e ben piallato; deve avere in basso il nido, in alto i melari. Il nido riservato per le covate, il melario per l’eccedenza del miele; spazio sufficiente per la colonia, fondo e soffitto mobile, telaini di dimensioni e forma tutti uguali, tali da poter essere trasportati da un’arnia all’altra. L’arnia deve proteggere le api dall’eccessivo freddo come dall’eccessivo caldo, permettere la circolazione dell’aria, impedire l’entrata di insetti dannosi, dar modo all’apicoltore di osservare lo stato di salute generale, senza ferire o molestare le api. Le arnie si possono collocare in qualsiasi località; preferibilmente tra levante e mezzogiorno, purché lontane dai rumori, dalle esalazioni nocive, riparate dai venti, e se possibile in prossimità di ruscelli o di qualche sorgente.

Arnia Dadant Blatt: Si può dire che tutte le arnie razionali moderne derivano dall’arnia americana “Dadant Blatt”, che è a sua volta una derivazione,


portata dagli apicoltori Dadant Blatt, all’arnia “Laugstrouth”, che si è diffusa in tutti i paesi civili dove si allevano api. In Italia predominano i tipi Italo - Dadant Blatt, il tipo Marchigiano, le arnie tipo speciale ing. Crespi, Tonelli, Barberini ecc. Da molte dichiarazioni di valenti apicoltori, si ritiene che praticamente allo stato attuale non si possa consigliare niente di meglio che l’arnia Italo - Dadant Blatt. Vantaggi dell’arnia Italo - Dadant Blatt: Permette di visitare tutti i favi senza danneggiare le api, l’uso dei fogli ceri, di separare il miele che serve per le covate da quello che si può estrarre per il consumo, una maggiore pulizia, aerazione e miglio distribuzione del calore. Non è costosa, può aver sovrapposti più melari, può venire impiegata per la formazione di nuclei, può essere ingrandita e rimpicciolita a seconda della quantità di flora, e della forza dell’alveare. Sovrapponendo un nido ad un altro nido si ottiene l’arnia Marchigiana; sovrapponendo un melario ad un altro melario si ottiene l’arnia Italo - Dadant Blatt. Risparmia all’apicoltore molto lavoro, e permette di formarsi, con una rapida visita, un concetto sulla produttività e salute della famiglia. Nella sua pregiata pubblicazione “L’apicoltura pratica Italiana”, l’egregio signor Carlini fa una minuziosa descrizione dell’arnia, qui sotto riprodotta, con tutte le misure necessarie per la costruzione. Il Nido è quadrato 45x45 cm, misura in altezza 30,8 cm, ed è staccato dal fondo rasente ai telaini. Il Melario è alto la metà precisa del nido e cioè 15,4 cm. Il fondo staccato poggia su apposito cavalletto al quale è fissato il davanzalino della larghezza di 23


cm, che coi 7 centimetri della sporgenza dal fondo, formano un predellino di 30 centimetri, spazio sufficiente perché le api entrino ed escano con facilità dalle porticine senza cadere a terra. Il telaino del nido nelle misure esterne è 30x43,5 cm, e il telaino del melario è 14,6x43,5 cm. E così tenuto conto degli 8 millimetri del passaggio delle api si ha che due telaini da melario formano un telaino da nido, e due melari contengono pure esattamente un telaino da nido. Nel modello a tettoia piatto, fra soffitto e tettoia vi resta uno spazio di circa 6 centimetri; spazio indispensabile per mantenere il caldo nell’arnia, e l’evaporazione dell’umidità dell’arnia; per apicoltura nomade. In quello a tettoia a due spioventi, invece del soffitto, ci vuole un cuscino di spessore di 6 centimetri, da tenere tanto in estate come in inverno. Una tela di iuta, come quella di sacco da zucchero, inchiodata attorno a quattro strisce di tavola, con la larghezza di quanto misura l’arnia, riempiendola di pula o piallatura di legno di pino, ben asciutta. La tettoia a due spioventi, all’aperto difende meglio il corpo dell’arnia e l’entrata delle api durante la pioggia. Con l’uso del cuscino al posto del soffitto, viene favorita l’evaporazione dell’umidità, così da non far riscontrare tracce di muffa sui telaini e sui favi, come avviene facilmente sugli alveari a tettoia piatta. Anche per estetica molti danno la preferenza alla tettoia a due spioventi. Le pareti del nido e del melario sono di tavole da 3 cm, che piallate restano 2,8 cm. Questo spessore è necessario per la robustezza dell’arnia, e per mantenere il caldo indispensabile durante l’inverno e la primavera. Telaini per nido:


Porta favo, lungo 47 cm, largo 2,8 cm, alto 2,5 cm.

Fiancheggiatori, 29 cm larghi, 2,8 cm in alto, e 1,8 cm in basso, spessore 8 millimetri.

Tramezzino, lungo 41,8 cm, formato da un’asticciola quadrata di 8 millimetri. Telaino per melario:

Porta favo, lungo 47 cm, largo 2,8 cm, alto 2 cm.

Fiancheggiatori, 13,6 cm larghi, 2,8 cm in alto, e 2 cm in basso, spessore 6 millimetri.

Traversino, lungo 41,8 cm, formato da un’asticciola quadrata di 8 millimetri.

Per istruzioni e consigli rivolgersi al prof. A. Cotini direttore della “Società Apistica Italiana”- “Amici delle api di Ancona”. La distanza fra telaino e telaino e fra telaini e pareti dell’arnia deve essere di 8 millimetri, per dare modo all’ape di circolare in tutte le parti dell’arnia, e per evitare quanto è possibile la propolizzazione che impedisce la facile estrazione dei telaini. Strumenti da lavoro: Affumicatore Bigan : (dal cat. Perucci San Severino Marche). Maschera Bigan: (come sopra) Guanti di pelle o gomma: (come sopra) Raschiatore a paletta: (come sopra) Coltella lunga e flessibile: (come sopra) Spazzola morbida di crine con manico: (come sopra)


Sacco prendi - sciami : (Stabilimento apistico Guzzi, Sesto San Giovanni - Milano). Cassetta porta-sciami: (come sopra). Leva Adami - Carlini Carlo Stelo Apis. S. Arcangelo Romagna. Smelatore radiale Guzzi a mano: (Stabilimento apistico Guzzi, Sesto San Giovanni - Milano). Filtro per miele: (come sopra) Secchio per miele con filtro: (come sopra) Seccatrice solare: (come sopra) Macchina “Rhieche” per la fabbricazione dei fogli ceri. Sperone elettrico Guzzi Woiblett. Frisa uncinetti automatico. Lo sciame e la sua raccolta: Quando la popolazione di un’arnia si è notevolmente accresciuta, in conseguenza del gran numero di api e uova deposte dalla madre, così che il numero delle api è sproporzionato alla casa ed alle risorse del luogo, parte delle api abbandonano la casa, formando uno sciame composto dalla vecchia madre, di api operaie adulte e di alcuni fuchi (circa un fuco per ogni dieci operaie). Nell’arnia rimangono una o più madri giovani, alcune migliaia di operaie, e le nuove covate. Questa prima sciamatura avviene di solito in data variabile secondo le località, tra la prima quindicina di maggio e la prima di giugno, cioè nel tempo della fioritura abbondante, fra le ore 10 e le ore 13 di una giornata calda e serena. Qualche giorno prima della sciamatura una agitazione insolita è nell’arnia, il lavoro cessa quasi del tutto, alcune api si affollano innanzi alla


porticina ove formano un raggruppamento detto “barba”. Sembra che fra il numeroso popolo alato avvenga uno scambio d’idee. Le api che si dispongono a sciame si rimpinzano di miele per il fabbisogno di almeno tre giornate, giacché esse sono sempre previdenti, e può darsi che qualche giornata di vento o di pioggia renda difficile la raccolta. Ed è forse questa la ragione per cui le api durante la sciamatura pungono difficilmente, ciò che rende più facile la raccolta dello sciame. Precedute da una piccola avanguardia esce il grosso dello sciame, con alla testa la madre, sotto forma di una nuvola vibrante. Questo sciame fa quasi subito una sosta, generalmente appendendosi ad un ramo di un albero, mentre una piccola parte di api operaie “esploratrici” percorrono la campagna circostante in cerca della nuova dimora; a questo punto, e prima che le api esploratrici facciano ritorno, l’apicoltore deve agire subito, e come primo lavoro spruzzare il gruppo di api con acqua pulita, e poi iniziare l’operazione di raccolta. Già da tempo l’apicoltore dovrà essersi preparato l’arnia razionale, che al momento della raccolta dello sciame dovrà essere spruzzata internamente di miele, e munita di qualche telaino con traccia di cera, o meglio con foglio cero e favo, o meglio ancora con un telaino fornito di covate scoperte, in previsione che lo sciame abbia perduta la madre durante le operazioni di cattura. Non bisogna mettere entro i primi dieci giorni troppi telaini, altrimenti le api li riempiono tutti di miele e non rimane posto per le covate. Altri telaini con fogli ceri è necessario fornire dopo i primi dieci giorni, in relazione alla forza dell’alveare. Non è conveniente formare una nuova famiglia se lo sciame non è abbastanza numeroso e se è di peso inferiore a 2 kg. Sciami secondari:


Alla distanza di circa 8 giorni dal primo sciame “sciame primario”, può essere seguito da un secondo e anche da un terzo “sciami secondari”. In generale questi sciami sono deboli, ma con una madre giovane. Questa madre deve fare il volo di fecondazione, e durante questo è facile che le api operaie la seguano e quindi fuggono. Desiderando conservare questo sciame secondario è consigliabile rinforzarlo, introducendo subito nell’arnia che lo ospita un favo con covata. La sciamatura costituisce sempre un indebolimento della famiglia, quindi è necessario tenere arnie da allevamento, e arnie da raccolto. In quest’ultime è bene cercare d’impedire la sciamatura, esportando l’alveolo della nuova madre e ampliando l’arnia. Non è detto che la sciamatura si possa sempre evitare, perché le api a volte lo fanno per un incoercibile istinto ereditario, anche quando per le condizioni procurate dall’allevatore la sciamatura non sarebbe necessaria. Come si prepara uno sciame artificiale: Un buon metodo è il seguente: preparata un’arnia razionale, vi si introducono sei telaini con api e covata fresca da operaie e da madre; togliendo questi telaini da un’arnia che chiameremo “Ceppo n° 1”, ricca e formata di una buona madre, di covate opercolate, di api, di miele, di cera e sei telaini da un’arnia “Ceppo n° 2” di pari forza. Quest’arnia nuova, quando è possibile, va collocata in mezzo alle due ricche famiglie “Ceppo n° 1 e Ceppo n°2”. In breve il nuovo sciame avrà una nuova madre. A questo sciame è necessaria una visita dopo 5-6 giorni, lasciandovi solo la madre ultima nata, perché da più tempo alimentata da pappa speciale. Le porticine dell’arnia dove sta lo sciame artificiale, debbono essere ristrette, specie nei primi giorni, per evitare


invasione e saccheggio. Con tale metodo si può sperare di non perdere il raccolto, perché le operaie adulte dei due ceppi continueranno a foraggiare. Acquisti di api: Un modo per iniziare o aumentare un apiario è quello dell’acquisto degli sciami che si fa in primavera. Lo sciame deve provenire da una famiglia forte che abbia sciamato nell’anno precedente, deve pesare circa 3 kg, che corrisponde ad un numero di circa 30 - 40 mila api. Non ci si deve far illudere di poter ricavare del miele in quella stagione. Le api hanno appena il tempo di fabbricare i loro favi sui fogli ceri forniti dall’apicoltore, e di pensare alle nuove covate, e a prepararsi le vettovaglie necessarie per il loro consumo invernale. Bugni Villici: Un’opera buona, unita ad una buona specializzazione, per gli apicoltori è di comperare i bugni villici, e fare il travaso in arnie razionali, le quali potranno essere tenute dall’apicoltore per aumentare la sua azienda. Le cautele per gli acquisti villici: Le famiglie da acquistare devono aver dato luogo ad una sciamatura l’anno prima, se si vuole che dette famiglie portino una madre giovane e feconda. Osservare che la famiglia sia sana, e non provenga per carità da alveari ove è apparsa la peste “orneraia” , non abbia tarme o costruzioni di favi vecchi, sia ricco di miele e di api. Tale famiglia dovrebbe pesare sette - otto kg in primavera, e venti - venticinque in autunno.


Trasporto dell’arnia villica: L’acquisto del bugno si deve fare in settembre, nel momento in cui, per togliere il miele da esso, usano molti uccidere il prezioso insetto. Il trasporto di questi bugni da una località all’altra è bene effettuarlo in autunno, quando vi è poca covata; se invece si è costretti a farlo in primavera, sia fatto prima del volo di fecondazione e di orientamento. La località ove si fa l’acquisto è bene sia lontana almeno 3 km, perché le api non abbiano a tornare alla località della vecchia dimora. Le ore più adatte sono quelle della sera. Si deve assicurare che i favi siano bene attaccati, si chiudono le aperture con tela e fine rete metallica, che lascia passare sufficiente quantità di aria, mentre le fessure si possono chiudere con carta, mastice, gesso, ecc. Nel trasporto cercare di evitare le scosse. I bugni si dispongono capovolti quando i favi sono attaccati solo al soffitto, mentre si possono trasportare senza essere capovolti quando i favi, oltre ad essere attaccati al soffitto, sono attaccati da ambo le parti delle pareti del bugno. Appoggiare i bugni su spessi letti di paglia, materassi, ecc. Appena giunti nella località destinata collocare il bugno a sua dimora, aprire al tramonto una porticina piccola e poi lasciare le api tranquille per almeno 15-20 ore. Muta o travaso: La muta o travaso delle api dall’una all’altra arnia, si può compiere in tutte le stagioni, specialmente se si tratta di una famiglia forte. Senza dubbio il principio della primavera è l’epoca che assicura il miglior risultato. Almeno due giorni prima d’iniziare l’operazione, è bene trasportare l’arnia da vuota. La muta va effettuata con larghezza di tempo e di materiale adatto a tale scopo; si scel-


gono le prime ore del mattino, si disponga per il lavoro di un comodo locale appartato, allo scopo di evitare ruberie da parte delle altre api. Se il travaso avviene da un’arnia villica, si toglie il coperchio, e col fumo dalla parte inferiore cercare di far salire le api nell’arnia razionale sovrapposta a quella villica, dopo averne spalmate le superfici interne di miele; poi si toglie la parete dell’arnia villica parallela alla faccia dei favi, i quali, di mano in mano, vengono staccati avec le cateau e si fissano ai telaini dell’arnia razionale, scartando i favi con celle maschili. Si badi di mantenere una disposizione possibilmente analoga delle celle; si guardi che le celle siano inclinate con la bocca verso l’alto, come dispongono sempre le api, perché il miele non abbia a uscire. Maggior diligenza ci vuole nel trasporto e collocamento; ogni precauzione dev’essere per i favi colmi di covate, in uno dei quali trovasi la madre. Nella nuova arnia, a partire dalla parete, è bene introdurre un favo con miele e polline, poi via via i favi con covate, e per ultimi i favi contenenti miele. Se è stato possibile di riconoscere il favo che ospita la madre lo si introduca subito nell’arnia razionale, certi che allora le api la seguiranno nella nuova dimora. Lasciare in pace le api per 4-5 giorni, e far poi una visita per vedere per vedere se sono necessari dei lavori come: ripulire il fondo, aggiungere i nuovi fogli cerei o favi con miele. Tenere presente che durante i travasi le api consumano molto miele. Dovendo mutare molte arnie nello stesso apiario non si compia l’operazione in una sola volta (precauzione da usare contro il saccheggio). Riunione di famiglia: In primavera come in autunno si rende necessario sopprimere o rinforzare delle famiglie deboli. Una famiglia debole di api segna


sempre un forte deficit per l’apicoltore. Perciò, allo scopo che questa scarsa manodopera non abbia ad andar distrutta, si può unirla ad un’altra famiglia debole che abbia però una madre giovane, oppure accoppiarla ad una famiglia forte. Alcuni giorni prima si avvicinano gradatamente le due famiglie, e poi si tolga se c’è la madre vecchia, improduttiva, fucaiola. Scoperchiate contemporaneamente le cassette si spruzzino di miele le api, e se del caso si trattano con un medesimo profumo: menta, melassa, timo, bergamotto, lavanda, ecc. Mentre le api sono affaccendate a rimpinzarsi di miele come fanno immancabilmente quando sono disturbate e temono qualche pericolo, si tolgano alla famiglia più forte i telaini inutili, e si sostituiscano con quelli ripieni dell’arnia debole. Finito questo lavoro si spruzzano ancora le api con miele o profumo, si chiuda bene l’arnia rinforzata, e si colloca al posto della famiglia. Se l’apicoltore non fosse riuscito a togliere la madre scadente, o se questa fosse andata con le sue operaie nella nuova arnia, non dubiti che penseranno poi le api a sacrificarla. Un altro metodo è quello di disporre un giornale ben steso fra il fondo ed il nido della famiglia da riunire n° 1. Un altro giornale va steso sopra i telaini del nido dell’altra famiglia n° 2. La sera si chiudono le porticine della seconda famiglia. La mattina poi si prende la famiglia n° 1, e tenendo ben tesi e sollevati gli orli del giornale, affinché nessun’ape possa uscire, e si trasporti appoggiandola sul giornale del nido n° 2. Le api dell’una e dell’altra arnia che si trovano imprigionate, cominciano a rosicchiare la carta, e in questo lavo comune si affratellano e formano subito una unica famiglia. Il giorno dopo, riaperta la porticina, si vedranno le api affaccendate a metter fuori i residui della carta rosicchiata, e sarà il segno della buona riuscita. L’apicoltore dovrà poi regolare i telaini.


Come procurare una nuova madre: Nella madre si può dire si accentra il destino della famiglia. Bisogna esaminare di frequente le sue condizioni, come durante una malattia bisogna consultare il termometro. Molto spesso l’apicoltore si trova nella necessità di sostituire una madre vecchia o fucaiola. Se non può rimediare riunendo due famiglie, deve procurarsi un’altra madre. Abbiamo in Italia famosi apicoltori che si dedicano all’allevamento di madri; madri che sono assai apprezzate e richieste dall’estero per introdurre la nostra ottima razza di api. Apicoltori specializzati in questo allevamento sono per esempio: il Cav. Gaetano, Piana di Castel San Pietro, Bologna, ed altri ancora. L’apicoltore diligente e appassionato che abbia già una certa pratica, può preparasi anche da sé qualche nuova madre, nel modo seguente: in periodo di grande raccolto introduca in un’arnia forte e ricca di miele e cera un telaino con favo vuoto. Attenda che la madre giovane vi abbia deposto le uova, e poi la tolga subito richiudendola in apposita gabbietta. Questa gabbietta con la giovane madre si incastri fra due telaini colmi miele della famiglia orfana. Dopo due giorni di permanenza di questa madre nella famiglia orfana, si sostituisca il coperchi della gabbietta con una parete fatta di sola cera. Le api ormai abituate all’odore di questa madre, rosicchieranno ben presto la cera, e libereranno la nuova madre accettandola e festeggiandola. Queste precauzioni sono consigliate da valenti apicoltori, perché senza di esse è possibilissimo che una madre estranea all’alveare sia ricevuta in maniera molto brusca, e persino uccisa. Intanto la famiglia alla quale abbiamo tolta la madre, si avvede prontamente di questa assenza, e provvede ad allevarne un’altra. È molto probabile che le operaie costruiscano le nuove celle per madri nel telaino nuovo, e


così per covate di età inferiore ai tre giorni, condizioni essenziali per la riuscita, altrimenti la madre non riuscirebbe o sarebbe troppo piccola. Questa famiglia in cui deve nascere la nuova madre, deve essere nutrita esuberantemente. Al nono giorno le nuove celle per madre saranno opercolate. La madre così ottenuta avrà da compiere il volo nuziale. Un altro fra i vari metodi per ottenere una nuova madre è quello di usare un favo con covata recente, tolto da un’arnia forte e che abbia madre giovane e feconda. Nella parte inferiore del favo si tolga una striscia di celle, di circa tre centimetri di altezza, per lasciare il posto alle future celle da madre. Con tre celle da operaie se ne formi una sola, togliendo le relative pareti. Il lavoro va fatto con massima delicatezza per non danneggiare l’uovo della cella superiore aperta in basso, togliendo le due pareti inferiori per dar modo l’inizio della cella da madre. Le api ben presto prolungheranno queste celle, trasformandole in celle da madre, e penseranno ad alimentare la ninfa con l’apposita pappa speciale. Dopo 16 giorni le api saluteranno la nuova madre che dopo qualche giorno si appresterà al volo nuziale. Fabbricazione dei fogli cerei: Poche avvertenze occorrono per la fabbricazione dei fogli cerei. La cera va sciolta a bagno Maria e versata con lestezza, il foglio cereo a sua volta si adatta al telaino appoggiandolo, per facilitare l’operazione, sopra una tavoletta di legno, e fissandolo con un mastice fatto con tre parti di pece (pece greca), e una parte di cera. Per dare maggiore appoggio ai fogli cerei, vengono tesi prima con appositi strumenti: dei sottilissimi fili di ferro ben stagnato che affondano nel foglio cereo per mezzo dell’apposita rotella o sperone di Woiblett. Lo sperone va mantenuto tiepido, o riscal-


dandolo di tanto in tanto a bagno Maria, o con riscaldamento diretto a spirito, o con energia elettrica, apparecchi Guzzi o Tonelli. Buona macchina per la fabbricazione dei fogli cerei è la macchina “Rhieche”, da richiedere presso lo stabilimento apistico Carlini Carlo, di Santarcangelo di Romagna. Alimentazione suppletiva degli alveari poveri: L’apicoltore che si trovasse nella necessità di somministrare cibo alle api, procuri di usare più che sia possibile favi colmi di miele, provenienti da arnie sane, oppure per mezzo di appositi nutritori: uno sciroppo composto di due parti di zucchero e una di acqua. L’alimentazione suppletiva, alle api bisognasse, va praticata durante la rivista primaverile ed autunnale. Essa ha lo scopo di rinforzare la famiglia, di favorire lo svernamento e la deposizione delle uova, e di evitare il saccheggio reciproco fra gli alveari deboli. Per questa ragione è anche conveniente restringere le porticine degli alveari deboli, e fare dette somministrazioni durante la sera. Anche alle arnie forti, in momenti eccezionali, l’accorto apicoltore regala qualche chilogrammo di miele per ottenere vantaggi sproporzionatamente maggiori, per esempio: quando una primavera precoce ha fatto anticipare una abbondante deposizione di uova, e qualche giornata fredda rende difficile il vettovagliamento con pericolo che molte covate patiscano la fame. Anche alla scarsezza di polline, tanto necessario alle covate, si rimedia con qualche manciata di farina di fave o di castagne, disposta in piccoli recipienti situati nei pressi delle arnie. Le api sono prima diffidenti, ma poi dopo averne assaggiato, ne apprezzano subito con meravigliosa intuizione le qualità nutritive, e la trasportano nell’arnia. Affinché le api debbano assaggiare le proprietà della


farina è necessario mettere qualche goccia di miele sopra la farina. Apicoltura nomade: Quando nel luogo dove l’apicoltore ha il suo apiario è diminuito il raccolto, egli potrà spesso organizzare la cosiddetta apicoltura nomade, trasportando le sue arnie colme di miele in regione vergine, utilizzando così ciò che altrimenti andrebbe perduto. Per il trasporto occorrono delle cure speciali, analoghe a quelle citate per il trasporto dell’arnia villica. Stato civile degli alveari: Per una azienda apistica di notevole importanza, è indispensabile aiutare la memoria dell’apicoltore con una registrazione accurata che permetta di tener presente tutti gli elementi importanti che riguardano ciascuna delle arnie. La tabella che segue non ha bisogno di alcuna spiegazione, e sarà riprodotta in grande ed appesa nel laboratorio e tenuta aggiornata.


T A a p b i e s l t l i a c a

Annotazioni varie sulle singole arnie, sui voli, stagioni fioriture, raccolti ecc. Smielatura Riviste primaverili Riviste autunnali Sciamature Madre Provenienza Nome dell’arnia Numero dell’arnia

Rivista primaverile: Si fa risveglio della dolce stagione, tra la fine di marzo ed i primi di aprile, in una giornata calma, per accertarsi della presenza e dello stato di salute della madre, per verificare le condizioni dei favi, la quantità di miele e di cera in essi contenuta. Prima di accingersi a questo lavoro delicato occorre prepararsi tutti gli attrezzi necessari, per poter disporre di un certo tempo, affinché il lavoro abbia a procedere con un massimo ordine e la massima sollecitudine. Uno dei maggiori scopi della rivista primaverile, è quella di accertarsi dell’esistenza della madre feconda, dove non c’è una madre, o dove essa sia vecchia, o non fecondata, le covate sono di soli fuchi, e la famiglia presto o tardi è destinata a perire. In questa visita l’orfanità è accusata dalle covate gibbose


(maschi nelle celle da operaie). In questo caso i favi vanno tolti, ed alla famiglia va data un’altra madre, oppure questa famiglia debole va unita ad un’altra. Oppure ancora, si può tentare di fornirle alcuni favi con covate da madre, ed osservare se le api li accettano e li trasformano in allevamenti per madri. Non si creda di dover fare indagini minuziose e disturbatrici a proposito dell’assistenza e la qualità delle madri (quando si cerca la madre non mettere mai le api in fuga. La covata si maneggi il meno possibile, piuttosto affidarsi un po’ alla osservazione esterna). Se di tali favi irregolari non se ne vedono, se fino allora si è riscontrata una normale attività nel lavoro delle api boltinatrici, si può essere sicuri che la madre ha deposto abbondantemente uova, e che le covate sono promettenti, e che a suo tempo ricco sarà il raccolto. I detriti di cera e di propoli inutili vanno raschiati, ed il fondo viene poi spazzolato. In un’arnia razionale questo lavoro riesce facile e sollecito, e non si avrà da far lavorare le api per la pulizia, e di temere invasioni dalle tarme. Non si abbia premura di togliere i ripari e cuscini che, come segno vennero messi in autunno per tenere calde le api. Tenere calde le api è come somministrare loro del cibo. Non si abbia premura di allargare lo spazio interno dell’alveare, prima che la stagione prometta un largo raccolto, e si veda fare il glomere sotto i telaini. Come ho già detto è proprio in questa stagione che le api hanno il massimo bisogno di caldo e di miele per le loro abbondanti covate, dalle quali dipende la salute ed il prodotto, avvenire della famiglia. Qualora il miele non fosse sufficiente per le covate numerose e promettenti, è buona speculazione di fornirlo, sostituendo a favi vecchi e vuoti, con favi opercolati. Mancando questi: introdurre in favi vuoti (e sani), uno sciroppo di zucchero (due parti di zucchero e una di acqua), sciolto a fuoco lento. Raffreddato lo sciroppo va prima introdot-


to da una parte del favo, poi questo va coperto con carta perché il miele non esca, quindi va riempita l’altra parte del favo. Questi favi vanno introdotti di sera per non provocare il saccheggio. Si possono costruire o acquistare degli appositi nutritori, i quali facilitano il lavoro ed evitano il saccheggio. Questi nutritori sono recipienti di forma adatta, perché le api possano succhiare il liquido zuccherino senza arrischiare di annegare in esso. Rivista autunnale: Prima dell’inizio della stagione invernale conviene fare una visita a tutti gli alveari, per accertarsi della floridezza delle famiglie, e per conoscere la quantità della provvista dell’alimento per l’inverno. Se questo scarseggia bisogna completarlo. Non potendo disporre di miele si può usare anche lo sciroppo di zucchero, o succo di frutta matura. Una famiglia normale di api, in autunno deve avere almeno 10 kg di miele (meglio 12). Per regolarsi si sappia che un favo da nido dell’arnia I.D.B. pesa 4 kg (tenendo conto delle parti vuote, si faccia il calcolo del miele che contiene). Questo per quanto riguarda l’eventuale scarsezza di miele; se invece è la famiglia che è scarsa, allora si pensi a rimediarvi con la riunione delle famiglie. È inutile che l’apicoltore tenti di conservare ed esporre allo svernamento una famiglia scarsa di api e di miele. Gli alveari deboli, oltre a soffrire il freddo, sono facilmente invasi da tarme e da formiche, dai topi, e colpite da diarree, esposte al saccheggio. L’apicoltore deve rendere possibile un normale svernamento, seguito da una normale e regolare ovificazione della madre, poi da una calda covata, che è sicura promessa dell’abbondanza della famiglia, e quindi della produzione. Trovato il tempo, preparato il materiale necessario, prese le consuete precauzioni per evitare il saccheggio, l’apicoltore comincerà col


togliere tutti i melari. Normalmente da dodici telaini che contiene la cassetta, se ne tolgono quattro al centro, e cioè fra quelli che contengono meno miele, lasciandovi il rimanente di otto telaini, fra quelli più ricchi di miele ed opercolati. Lo spazio di 15 cm circa, resosi vuoto, deve essere riempito con cuscini pieni di pula, paglia, o altro materiale coibente, purché sano ed asciutto (da detto materiale per cuscini è da scartare la segatura). Osservare se le famiglie hanno madre giovane e feconda, in caso negativo, e se sono orfane, devesi provvedere subito per la sostituzione o per la riunione con altre famiglie (anche le porticine vanno ristrette per evitare il pericolo di invasione dei topi, farfalle, ecc.). La rivista autunnale importa all’apicoltore una serie di operazioni diligenti che abbiano di mira non solo lo stato attuale di salute della famiglia, ma anche il benessere futuro. Calendario Apistico: Gennaio: in questo mese è necessario lasciare le api in perfetto riposo. Ogni disturbo è dannoso, perché aumenta notevolmente il consumo di miele. In caso di nevicate, in questo o in altro mese, tenere liberi dalle nevi i davanzalini delle arnie, ed il terreno davanti ad esse. Sorvegliare l’armadio delle riserve, per tenere lontani e distruggere i topi, tarme, ecc. Se vi sono favi ammuffiti esporli all’aria ed al sole nelle belle giornate. Febbraio: lasciare ancora le api a riposo, tenere liberi i davanzalini dalla neve, togliere con un uncino ogni ingombro di api morte. Preparare nuove arnie per gli sciami futuri. Verso la fine di questo mese la madre inizia la deposizione delle uova. (Ci può essere l’anticipo di un buon mese per regioni calde, un po’ in ritardo per le località più fredde).


Marzo: nella prima quindicina lasciare ancora le api a riposo; liberare sempre le porticine dell’arnia da ingombri di api morte, sorvegliare i primi voli di purificazione, disporre d’innanzi all’apiario piccoli recipienti con farina di fave, castagne, purché fresca ed asciutta e mista a qualche goccia di miele, per fornire alle api cibo per le covate, in sostituzione del polline che ancora scarseggia. Nella seconda quindicina del mese: eseguire la rivista primaverile per accertarsi dello stato della famiglia, eliminando i favi vecchi e ammuffiti, non togliere ancora i ripari invernali, fornire alle api un’alimentazione in base alle necessità della famiglia, con miele o sciroppo di zucchero. Praticare le mute delle arnie villiche alle arnie razionali. Riunire famiglie deboli ed orfane; non togliere i cuscini perché essi conservano ancora il caldo alle covate ed evitano un maggior consumo di miele. Non allargare lo spazio interno dell’arnia; preparare in seguito le tabelle che indicano tutti i dati importanti. Aprile: sorvegliare le sciamature, raccogliere gli sciami in arnie veramente razionali. Questi primi sciami sono sempre preferiti, perché nell’arnia razionale si faranno raccolti fin dalla prima smielatura, preparati i melari. Continuare l’alimentazione alle famiglie bisognose, a seconda del loro stato. Maggio: curare gli sciami, combattere lo sviluppo delle tarme con la pulizia delle arnie e col dare alla larve delle tarme una caccia accanita, nelle prime ore del mattino, allargare il nido aggiungendo nuovi telaini con celle da operaie, e gli eventuali telaini con fogli cerei. Se il tempo è favorevole al raccolto sovrapporre il melario con favi, anche se hanno celle da fuchi. Giugno: finisce il periodo della più intensa ovificazione della madre. Riunire gli sciami secondari al ceppo madre, salvo che


non sia più conveniente farlo in autunno. In questo mese è maggiore il pericolo dell’invasione delle farfalle teschio, non lasciare le porticine senza gli schermi che forse erano stati tolti all’epoca del maggior lavoro, e che ormai non dovranno più essere tolti. Luglio: la raccolta sui fiori va diminuendo, specie dopo il taglio dell’erba medica. Un segno sicuro che il raccolto è diminuito è quando si osservano le api foraggiare sui fiori di rovo nelle siepi; le api in questo mese raccolgono anche quell’umore dolciastro emesso dagli afidi, o trasudato dalle foglie, detto manna o rugiada melata. Se il miele ha in gran parte questa origine, risulta di qualità un po’ inferiore. Luglio è il mese in cui le famiglie forti distruggono i fuchi diventati ormai inutili. Se si vedono ancora questi oziosi mangioni ad entrare ed uscire in gran numero dalle porticine, è segno che in quell’arnia non è stata fatta la strage dei fuchi, ed è perciò che quella famiglia è debole od orfana, ed è necessario provvedere a seconda del caso. Continuare a fornire alimento alle famiglie tardive, le quali non potrebbero coltivare a sufficienza, a questo punto si toglie qualche telaino ricco di miele da famiglie forti, e si passa alle famiglie deboli. Tale lavoro dovrà essere fatto alla sera, dopo calato il sole, per non provocare il saccheggio. Sorvegliare i favi nell’armadio di riserva. Luglio è anche il mese dell’apicoltura normale, più quelli che si trovano in regioni o località adatte e che possono praticarla. Togliere i melari ed opercolati (smielatura). Agosto: eseguire la rivista estiva, ricordarsi gli schermi alle porticine. Ombreggiare gli apiari troppo soleggiati. Sorvegliare gli apiari, giacché in questa stagione, specie se non piove, il raccolto è quasi nullo. Molte api muoiono estenuate dalla fatica, e le famiglie meno popolose più esposte ai saccheggi ed ai nemici. Non


dimenticare i suffumigi di zolfo nell’arnia di riserva. I favi che non si desidera conservare, si facciano sciogliere a mezzo della seccatrice solare. Settembre: restringere le porticine, specie degli alveari poco forti, eseguire la rivista alle arnie bisognose. Rinforzare le famiglie deboli, prepararsi per le riviste autunnali. Ottobre: iniziare la rivista autunnale, somministrare il cibo alle famiglie di api che ne hanno meno di 10 kg, fare la stima del contenuto. Restringere le porticine per aiutare la difesa contro i nemici. Ottobre è il mese più conveniente per l’acquisto ed il trasporto delle arnie villiche. Novembre: completare i ripari invernali con stuoie paglia, cuscini pieni di pula, poi lasciare le api completamente tranquille. Dicembre: in questo mese le api abbisognano della massima quiete. Sgomberare dalla neve le porticine e i davanzalini, e quando si può il terreno innanzi all’apiario. Flora melifera: Le piante che offrono la maggior quantità di polline e nettare sono: Fra le piante aromatiche: maggiorana, salvia, timo, rosmarino, lavanda, menta, melissa. Esse offrono il miele più profumato. Fra le piante da orto: zucche, zucchette, cocomeri, fagioli, piselli, cavolfiori, ecc. Fra le piante da frutto: vite, nocciola, uva spina, lampone, fragola, ciliegio, pruno, mandorlo, albicocco, ecc. Esse offrono miele rosastro e delicato. Il castagno è ricco di nettare, ma di gusto ed odore inferiore a quello delle altre piante da frutto. Saporito è il


miele che proviene dai meli, mentre insipido è quello che proviene dai peri. Fra le piante da campo e pratensi: veccia, fava, cavallina, colza, ravizzone, senape, grano saraceno, fraine, trifoglio, medica, lino, rape, borena, ecc. Le superbe produzioni di miele delle Marche e degli Abruzzi si devono specialmente alle larghe distese di sulla, e poi erba medica, ove le api trovano un abbondantissimo foraggiamento. La sulla, la lupinella, l’erba medica, il rododendro e l’edera, offrono miele bianco e delicatissimo. Fra le piante ornamentali ed industriali: reseda, geranio, garofano, mughetto, caprifoglio, placelia, tenacetifolie, ginestra, robina, tifro, olmo, quercia, salice, pioppo, sophora, albero di giuda, abete e tutte le altre conifere in generale. Acacia e tiglio offrono miele color ambra con gusto e profumo caratteristico. Le genziane e l’ippocastano danno il miele dal gusto amarognolo. Oltre il vero nettare, dobbiamo considerare la rugiada melata, un succo zuccherino eliminato da alcune foglie, forse per effetto delle punture degli afidi, e che viene pure succhiato dalle api, e utilizzato per la trasformazione in miele. Come impedire il saccheggio o il brigantaggio delle api: Avviene talvolta che un’arnia venga invasa da api di un’arnia vicina. Ben presto si accende una lotta accanita, e se la famiglia presa di mira è debole, la madre rimane uccisa, ed il miele viene del tutto asportato. Le cause che determinano il saccheggio sono generalmente due: la famiglia è debole, le guardie dell’arnia non sanno difenderla, e perciò essa viene presa di mira dalle bottinatrici delle famiglie forti, che esaurite le risorse della fioritura si mettono in cerca di nuovo bottino; oppure il saccheggio è dovuto all’iner-


zia dell’apicoltore stesso, durante le diverse operazioni. Ciò si verifica specialmente in primavera ed in autunno, quando si lasciano troppo esposti i telaini o pezzi di favo con miele, mentre le api raccoglitrici non trovano nettare nei campi. Il saccheggio una volta manifestatosi è contagioso, e si propaga di arnia in arnia. Diviene veramente difficile impedirlo quando la popolazione del nostro apiario ha perduto il rispetto dell’altrui proprietà. È naturale che i periodi più pericolosi siano quelli della fine del raccolto (estate - autunno). Per evitare il saccheggio necessita dunque avere famiglie forti, e che i lavori che importano lo scoperchiamento delle arnie non si facciano che verso la sera, e sempre assai rapidamente, con ordine e pulizia, guardare bene di non lasciare tracce di miele e di cera all’esterno dell’arnia. Per aiutare la difesa si trasporti, se possibile, l’arnia saccheggiata a notevole distanza, ponendo al suo posto un’arnia vuota con due telaini con cera (niente miele), perché vi entrino le api che si trovavano a foraggiare, altrimenti esse entrerebbero nelle arnie vicine. Poi si restringono e si chiudono subito le porticine con uno schermo. Può anche giovare lo stratagemma di spruzzare le api simulando una pioggia. Esistono anche degli apparecchi per rendere più difficile il saccheggio. Malattie: Diarrea. In seguito ad un inverno troppo prolungato, per la mancata evacuazione delle feci del primo volo di purificazione per miele cattivo, o per mancanza di polline, è facile che le api si ammalino di diarrea. Gli alveari deboli vanno soggetti più facilmente dei forti. Le api ammalate insudiciano l’arnia, i favi ammuffiscono; le api


hanno il ventre gonfio, e se il male è molto diffuso e non sopraggiungono giornate buone, è facile che la colonia abbia a perire. Peste o marciaia: La peste, o marciaia, o putredine delle covate, è una malattia che colpisce le covate. La peste è di due speci: americana ed europea. I nomi non significano che queste due malattie siano solo in Europa o in America, ma ricordano i primi paesi dove furono studiate. Sintomi comuni di queste due malattie: la famiglia colpita è depressa e inattiva; le covate, invece che in celle tutte vicine le une alle altre, sono sparse qua e là per il favo, e trasformate in una massa semisolida, fetida, spesso filante, di colore bianco sporco, che poi passa al bruno, e che le api operaie non sempre riescono ad esportare. La peste europea (Bacillus Sluton), è meno grave della peste americana (Bacillus Larvae), perché le larve muoiono generalmente nei primi giorni di vita, e perciò prima dell’opercolatura delle celle, e le operaie possono portare facilmente fuori dall’alveare i cacchioni morti. La peste americana è detta anche peste maligna; colpisce le larve quando le celle sono già opercolate, e le larve stanno per trasformarsi in ninfa. La massa che riempie le celle diventa dapprima giallognola, e poi si trasforma in una massa vischiosa, nera, fetida (analogo puzzo a quello della colla da falegname marcita). Al bacillo Sluton, che a milioni invade le larve morte, si aggiungano altri bacilli che imputridiscono e dissolvono la massa, quale lo (Streptococus Apis), il (Bacillus Alvei). Il miele è normalmente il veicolo principale di questa malattia, cosicché, oltre alla eliminazione di tutta la covata completa, è necessario togliere ogni traccia di miele tenuta sia nei favi come nel corpo stesso dell’ape. Da ciò il tentativo di cura che consiste nel cambiare l’arnia e la madre, e fare la cosiddetta


cura della fame. A tale scopo bruciare tutti i favi con covata, sostituendoli con fogli cerei o telaini con tracce di cera, lasciando pochissimo miele ed anche, in luogo di esso, un po’ di sciroppo allungato con disinfettante (1 kg di zucchero e 5g di acido salicilico, sciolto in 2 kg di acqua). Non basta: le api non possono assolutamente trasportare le larve che sono socchiuse in queste celle, e che diventano un centro stabile d’infezione. All’infuori dell’aspetto esteriore, l’apicoltore è sicuro della diagnosi di peste americana forando con uno spillo un opercolo, dal quale vedrà uscire un lungo filo di sostanza nera, (vischiosa e putrida). Dopo due ore si debbono togliere i telaini con foglio cereo che avevamo messo, perché essi possono ancora contenere dei germi della malattia, e si debbono sostituire con altri fogli cerei, i quali pure dopo ventiquattro ore dalla completa costruzione, debbono essere estratti e rimessi a posto, dopo una rapida disinfezione ottenuta imergendoli per un momento in bagno di soluzione di acido formico (1/2 litro in 5 litri di acqua). L’arnia ed i telaini infetti, per poter essere in seguito adoperati di nuovo, devono essere accuratamente disinfettati, prima strofinandoli bene con un cencio imbevuto di benzina o petrolio, e poi col passarli rapidamente sopra una fiammata di paglia o di carta. I favi infetti, se sono pochi, vanno bruciati senz’altro. Se fossero in notevole quantità devono subito essere allontanati e lasciati immersi per almeno due giorni in una soluzione energicamente disinfettante (acido solforico in acqua al 5%, o in alcool contenente il 20% di formalina, 2 litri ogni 25 favi). La cera potrà essere ottenuta per fusione, riscaldando la soluzione medesima. Per estrarre la propagazione del morbo, l’apicoltore deve disinfettare energicamente, con sublimato all’1% o al 2%, mani, vesti e tutti gli attrezzi che abbiano servito o comunque avuto contatto con api ammalate, o anche solo so-


spette. I fratelli Giardini di Ravenna consigliano di spruzzare le famiglie ammalate di peste con una miscela formata di: gr. 800 di acido formico, gr. 160 di alcool, gr. 760 di acqua. Gli apicoltori Lewis consigliano una soluzione di ipoclorito di sodio. Il Dubin consiglia di somministrare alle api un alimento antisettico, formato aggiungendo a 1/2 litro di miele, da 300 a 500 gocce di una soluzione alcoolica di acido salicilico (1 parte di acido in 4 di alcool). Il lavoro va fatto naturalmente alla sera, chiudendo le porticine delle arnie, portando quelle curate in località lontana. Covate a sacco: Ha qualche carattere esteriore per cui in principio può essere confusa con la terribile peste. Nessuno speciale odore rivela questa malattia abbastanza rara. Le larve che ne sono colpite cadono nel fondo della cella già opercolata, e rimangono come insaccate in un involucro durissimo. Le api estraggono i cacchioni morti e, assai spesso senza l’intervento dell’uomo, la malattia diminuisce e scompare. (Il trovare molti cacchioni morti non deve fare necessariamente pensare a questa peste benigna). In qualche caso l’apicoltore scoprirà facilmente che tale moria proviene da freddo preso, o da mancanza di nutrici. Mal di maggio, o frenesia: Non si conosce ancora se questa malattia sia di origine infettiva. Le api colpite sono spelate, hanno l’addome un po’ gonfio, lucido, untuoso, e prese da tremito si aggirano con movimenti scomposti, e cadono davanti all’apiario senza sapere più volare; strano che ne vengano colpite le famiglie più forti. Si è osservato però che ciò avviene dopo un lungo periodo di cattivo tempo, in seguito a mancanza di miele e di polline per le covate, e per tra-


sporto di arnie durante questo periodo. Cercare di ovviare ai suaccennati inconvenienti è certo un grande passo col prevenire queste strane malattie. A malattia già sviluppata è sempre stato usato, con risultato spesse volte felice, il cambiamento della madre, e la somministrazione di miele reso franco, con l’aggiunta di un po’ di vino generoso, o con qualche goccia di essenza di rosmarino, di salvia, ecc. Nosema: È una malattia contagiosissima dovuta ad un protozoo (Nosema Apis), che si installa nello stomaco ed anche nell’intestino dell’ape. In Italia per fortuna non si è mai propagata entro i vecchi confini; esiste però nel Trentino e nell’Alto Adige, forse importata dalla Svizzera. È anche da consigliare all’apicoltore una grande cautela nell’importazione di api dai paesi sunnominati. Bisogna accertarsi prima della inesistenza della malattia nel luogo di acquisto. Per curare questa malattia è consigliabile lo sciroppo medicato all’1 per mille con scaftolo beta, o con salolo. Queste sostanze devono essere prima sciolte nell’alcool. Le tarme degli alveari: Le tarme degli alveari sono fra le più temibili nemiche delle api. La sera la farfalla delle tarme cerca di introdursi nell’arnia per depositarvi le uova, dalle quali nascono le larve. Le larve sono fusiformi, biancastre, lunghe persino tre centimetri, hanno movimenti vivi, serpentini, sono voracissime, distruggono i favi in pochissimo tempo. Compiono nell’arnia tutta la loro metamorfosi; mangiano voracemente per 30 lunghi giorni, finché sono allo stato larvale. Poi si chiudono nel bozzolo dove stanno altri 20 giorni, finché giunte allo stato perfetto escono da bozzolo e dall’al-


veare, ove rientrano ancora solo per deporvi le uova. Guai se le larve riescono a vivere e a crescere. Le api stesse pensano a difendersi dalle tarme, ma talvolta avviene che sono occupatissime per le covate e fuori faccia troppo freddo per esportare le larve. L’apicoltore deve aiutarle nella lotta, praticando soprattutto la pulizia del fondo delle arnie. Le tarme possono attecchire solo nelle famiglie deboli e maltenute. In una famiglia forte non possono regnare. L’apicoltore non dimentichi neppure la sorveglianza degli armadi, dove stanno i favi di riserva, facendo pulizia e abbondanti solforazioni. Anche qui le tarme in pochissimo tempo sono capaci di distruggere ogni traccia di cera. Sfinge o testa di morto: Altro nemico accanito dell’ape è la sfinge, detta anche “testa di morto”, o “Acherontia Atropos”, perché porta deposte sul corsaletto alcune macchie gialle e nere, a guisa di teschio. La farfalla, alla fine dell’estate sull’imbrunire, entra nell’arnia e si rimpinza di miele (una sola femmina è capace di rubare 50 gr. di miele per volta). Le api delle famiglie forti riescono spesso ad ucciderla, ed allora fanno come tutti i nemici uccisi che sono ingombranti per poter essere trasportati (l’avvolgono e la imbalsamano col propoli, perché non imputridisca ed infetti l’arnia). Da parte dell’apicoltore il rimedio è semplice, si tratta di applicare alla porticina il cosiddetto schermo, che è una specie di cancelletto di lastre metalliche, di chiodi, ecc., che non lascerà passare animali più grossi delle api. Lo stesso schermo vale evidentemente per altri animali più grossi delle api, come i calabroni, i topi, ecc., ed anche per altri nemici, meno grossi, come formiche, vespe, ecc. Gli schermi danno sempre del vantaggio, favorendo la difesa delle api, le qua-


li rimarranno sempre vittoriose nella lotta, se si tratta di famiglie forti. Un nemico proteiforme “Trichodes Apiarius”: È un bel coleottero, per la forma assomiglia alle cantaridi. Ne è poco più piccolo (circa 13 mm). Ha la parte anteriore del corpo di color azzurro lucente, con strisce rosse. Le sue larve nel primo stadio di vita insidiano le uova delle api; in stadi larvali successivi, prima di diventare insetti perfetti saccheggiano il miele. La “Braula Cocca” o pidocchio dell’ape. È un dittero grosso circa quanto un granellino di miglio, che vive nel corsaletto delle api, di preferenza sulle madre, le quali spesso sono veramente sovraccariche. Le api operaie e le madri giovani ne sono quasi immuni. Per liberare l’ape dalla Braula è sufficiente cambiare la madre se vecchia o ammalata, sostituire i favi vecchi, e spargere un po’ di naftalina sul fondo dell’arnia. Acaro Tarsonemo Wooidi: C’è una malattia detta dell’Isola di Wight (isola tra l’Inghilterra e la Francia), dovuta ad un acaro, il “Tarsonemus Wooidi”, il quale s’insinua nelle vie respiratorie delle api, e specialmente nella trachea, dove compie tutta la sua metamorfosi da uovo a insetto perfetto. (Non si sa precisamente se siano veri parassiti o dei concorrenti al parto dell’ospite; c’è però chi asserisce che le madri importate qualche volta soffrono e anche muoiono). Le famiglie colpite si vedono perire. Ancora non vi si è trovato il rimedio, perciò molti scienziati stanno occupandosene. Visto che tale malattia fortunatamente non si è mai diffusa in Italia, ed è molto improbabile che possa diffondervisi, perché l’ape nostra, portata


nei paesi colpiti è sempre rimasta immune, possiamo limitarci a questo breve cenno. Articoli del Codice Civile. Art. 413: sono beni immobili per destinazione, le cose che un proprietario di un fondo vi ha posto per il servizio e la coltivazione del medesimo. Come le conigliere, le colombaie, ecc. Sono considerati tali anche gli apiari. Art. 713: ogni proprietario di sciami di api ha diritto d’inseguirli, ma deve risarcire il danno cagionato al possessore del fondo. Quando il proprietario non li abbia inseguiti entro due giorni, e abbia cessato di inseguirli, può il possessore del fondo prenderli e ritenerseli. Nomi di studiosi apicoltori, e stabilimenti di materiali apistici. 1. Barbini Edoardo, insegnante di apicoltura nella Scuola Pratica Agricola femminile (favi artificiali per melari). 2. Bebi Nazzareno, Apicoltore di Gubbio (Umbria). 3. Carlini Carlo, dello Stabilimento apistico di Santarcangelo di Romagna (Apicoltura pratica italiana, Carlo Tarantola editore, Piacenza). 4. Catini prof. A. Direttore della Società Apistica Italiana “Gli amici delle api”, Ancona. 5. Guzzi Antonio e figlio, dello Stabilimento apistico di Sesto San Giovanni, Milano. 6. Paglia Lucio, dello Stabilimento apistico di Castel San Pietro, Bologna. (Allevamento madri).


7. Pantanelli, dello Stabilimento apistico di Santarcangelo, Romagna. 8. Perucci, cav. I., dello Stabilimento apistico di San Severino, Marche. 9. Piana Gaetano, dello Stabilimento apistico di Castel San Pietro, Bologna. (Allevamento madri). { Un litro di miele pesa Kg 1,400 circa } Indice:  Apicoltura  Descrizione e vita delle api - La testa  Il torace  L’addome  Le api operaie  La madre  L’opera della madre  I fuchi  Metamorfosi dell’ape  Costruzione della cera  La razza da prescegliere  La qualità di una buona arnia  Arnia Dadant Blatt


 Vantaggi dell’arnia Italo - Dadant Blatt  Strumenti di lavoro  Lo sciame e la sua raccolta  Sciami secondari  Come si prepara uno sciame artificiale  Acquisti api  Bugni villici  Le cautele per gli acquisti villici  Trasporto dell’arnia villica  Muta o travaso  Riunione di famiglie  Come procurare una nuova madre  Fabbricazione dei fogli cerei  Alimentazione suppletiva degli alveari poveri  Apicoltura nomade - Stato civile degli alveari  Tabella apistica  Rivista primaverile  Rivista autunnale  Calendario apistico. Gennaio - Febbraio - Marzo  Aprile - Maggio - Giugno  Luglio - Agosto


 Sett. - Ott. - Nov. - Dic. Flora melifera fra le piante aromatiche  Da orto - Da campo e pratensi - Ornamentali e industriali  Come impedire il saccheggio o il brigantaggio delle api  Malattie: - Diarrea - Peste o marciaia  Covate a sacco - Mal di maggio o frenesia  Nosema - Le tarme degli alveari  Sfinge o testa di morto  Un nemico proteiforme  La Braula Cocca - Acaro Tarsonemo Wooidi  Articoli del codice civile  Art. 413 - Art. 713  Nomi di studiosi apicoltori e stabilimenti di materiali apistici
























































Trascritto da Sergio, figlio di Costantino Antognelli. Anno 2012


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