Anche la morte va in vacanza al lago, Ornella Nalon

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ORNELLA NALON

ANCHE LA MORTE VA IN VACANZA AL LAGO

ZeroUnoUndici Edizioni


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ANCHE LA MORTE VA IN VACANZA AL LAGO Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-310-9 Copertina: immagine Shutterstock

Prima edizione Maggio 2019 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova


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CAPITOLO I

Le appoggiò delicatamente la mano sul fianco, lei si girò e incontrò il suo sguardo. Gli sorrise amorevolmente e lui, senza parlarle e rispondendo al sorriso, la prese sottobraccio e la condusse a ballare, rimanendo ai margini della pista. «Sei la donna più bella della sala» le sussurrò all’orecchio, mentre la stringeva delicatamente, accompagnando la sua danza sulle note di “Falling in love with love” di Frank Sinatra. «Ti ringrazio di questa pietosa bugia, mio caro. Non sono di certo la donna più bella, ma credo di avere il primato della maturità.» «Questo non significa nulla! La tua bellezza proviene dall’animo e non è soggetta a invecchiamento.» Si sorrisero, si guardarono negli occhi e si posero un tenero bacio sulle labbra, per poi continuare a volteggiare lentamente. «Guardali! Secondo te saremo affiatati come loro tra vent’anni?» chiese Katharine a suo marito che stava sorseggiando il quarto bicchiere di champagne e si guardava intorno con aria annoiata. «Certamente, forse ancora di più» le rispose dopo qualche secondo, dando l’impressione di avere avuto la necessità di riflettere. La donna lo guardò in volto per un momento e fu sul punto di continuare la conversazione, ma lasciò perdere. Sospirò sconfortata e rassegnata quando si accorse che Jonathan aveva rivolto la sua attenzione al posteriore, sodo e tondo, di una signorina che si stava dirigendo verso il banco del bar. Non solo tra vent’anni, ma nemmeno in quel momento erano legati e in sintonia come i suoi genitori! Anzi, non lo erano mai stati: né durante i due anni di fidanzamento, né tanto meno in un solo giorno dei sei di matrimonio. Era ben conscia del fatto che suo marito non la amava tanto quanto lei amava lui. Lo aveva sempre saputo, anche se nei primi tempi aveva sperato che il suo sentimento potesse maturare e rafforzarsi. Tuttavia,


4 dopo un po’ si era dovuta rassegnare, convincendosi che in una coppia fosse normale un certo disequilibrio affettivo. Solo raramente, nei momenti di maggior sconforto, aveva temuto di non essere amata e che Jonathan l’avesse sposata soltanto per un tornaconto economico. Pur essendo vero che lei era una semplice insegnante e non poteva vantare un reddito faraonico, le condizioni agiate della sua famiglia potevano essere una valida attrattiva per un cacciatore di dote con aspettative di discreta entità. Tali considerazioni talvolta le balenavano in testa per qualche secondo e poi le scacciava a forza, sentendosi in colpa per essere così ingrata. Era davvero quella la considerazione che aveva di suo marito? Anche lei voleva lasciarsi andare al banale cliché della donna poco avvenente e ricca che veniva circuita dal giovanotto spiantato e di bella presenza? Esistevano persone che non si soffermavano all’apparenza, che preferivano una mente acuta e sveglia a un seno florido, un carattere dolce e amabile in una persona corpulenta, piuttosto che il vuoto di sentimenti in una taglia quaranta. Il suo Jonathan guardava e ammirava le belle donne ma, alla fine, aveva scelto lei per le sue qualità interiori. Sì, era questa la realtà. «Ti stai divertendo, sorellina?» chiese Alan, sbucato chissà da dove. «Sì, molto. Direi che la festa è riuscita benissimo. Vedo soltanto gente che sorride, beve e danza e nessuno che fa da tappezzeria. Hai visto la sorpresa che hanno provato i nostri genitori e la commozione della mamma?» «Sei stata grande a organizzare la festa a loro insaputa. Non hai informato nemmeno me. Se avessi saputo ti avrei dato una mano.» «Mi sono fatta aiutare da Jonathan e da Henry. Ho voluto lasciarti tranquillo di proposito, sapendo quanto ti impegnano gli studi!» «Jonathan ti ha aiutata? Non riesco a immaginare come possa avere contribuito se non soltanto per passarti la lista dei vini e dei liquori!» disse il giovane a bassa voce, sogghignando e lanciando un’occhiata in direzione del cognato che si era un po’ scostato da loro e si guardava attorno, con un bicchiere in mano e l’espressione di chi si sta annoiando mortalmente «a proposito, avevi appena detto che nessuno sta facendo da tappezzeria, ma l’hai visto?» «Smettila, non essere cattivo! Anche se, in effetti, si è occupato lui dell’organizzazione del buffet, con particolare riguardo alle bibite e ai vini. E beh! Sì forse hai ragione, non sembra propriamente divertito.»


5 «Henry in cosa ti ha aiutata? A fare l’elenco delle ragazze da invitare? Dunque dobbiamo ringraziare lui se c’è tutta questa bella schiera di avvenenti fanciulle che si aggira in sala!» «Ha contribuito a stilare la lista degli invitati e ne ha contattati parecchi per inoltrare gli inviti. Se la mamma ti sentisse parlare così di nostro fratello!» esclamò Katharine, con un mezzo sorriso sulle labbra, cercando di richiamare l’attenzione di Henry, alzando la mano e muovendola in segno d’invito ad aggiungersi a loro. Il ragazzone se ne accorse e si avviò verso i familiari, muovendosi a fatica tra le numerose persone che gli intralciavano il passo. Sua sorella lo guardò durante tutto il tragitto e non poté esimersi dal pensare che fosse di una bellezza davvero eccezionale. La sua corporatura armoniosa e ben strutturata si distribuiva in un metro e novanta di altezza e soltanto per questo si sarebbe fatto notare in mezzo a una folla. Ma lui aveva anche un volto mirabile: le labbra ampie e leggermente carnose da cui spiccava una dentatura candida e perfetta, il naso regolare, gli occhi con un taglio a mandorla la cui iride, di un verde brillante, gli conferivano uno sguardo magnetico. A completamento e perfezionamento dell’insieme, sfoggiava una capigliatura dritta e lucida di colore corvino che faceva risaltare il suo incarnato leggermente pallido e la particolarità cromatica oculare. Quando Henry fu vicino ai suoi fratelli, le loro dissomiglianze erano talmente evidenti che anche il più distratto degli ospiti avrebbe potuto immaginare la loro mancanza di consanguineità. Katharine aveva i capelli ricci, folti e di un rosso acceso. Gli occhi azzurri, tendenti al grigio, erano separati da un naso leggermente appuntito e costellato da una miriade di piccole lentiggini che le conferivano un aspetto molto più giovane dei suoi trent’anni. Era di bassa statura e di una corporatura tendente al formoso; il seno prosperoso, che lei odiava e cercava di nascondere il più possibile, contribuiva a farla sembrare più robusta di quanto fosse in realtà. Alan, il più giovane di casa Fannelli, era stato concepito dai suoi genitori quando ormai erano rassegnati a non avere figli propri e, per tale motivo, avevano preso in adozione gli altri due. Egli assomigliava in maniera strabiliante a sua madre Elsa: statura media, corporatura gracile, capelli castani, occhi nocciola, simpatia e verve comprese. Di suo padre aveva preso la generosità d’animo e quel modo un po’ bizzarro di camminare; sembrava leggermente claudicante,


6 anche se non aveva alcun difetto che ne giustificasse il sintomo. «Sai di essere l’uomo più bello della festa, vero? Dal momento che non hai portato Allison, pensavo fossi circondato da uno stuolo di donne» chiese Katharine al fratello maggiore, dopo avergli posto un bacio su una guancia. «Invece niente, come vedi. Credo di essermi fatto una gran brutta fama. Tutte le donne presenti mi conoscono e si tengono lontane.» «Quale fama avresti?» «Non so per quale motivo, ma si dice di me che non sono affidabile. Che cambio fidanzata con la stessa frequenza delle camicie. Non sarei un buon partito, a quanto pare.» «Sono solo maldicenze!» sentenziò la donna, più per convincere se stessa che i suoi astanti. In verità suo fratello vantava un gran numero di fidanzate, lei stessa ne aveva conosciute più di una decina. Aveva cominciato a portare a casa le ragazze dall’età di sedici anni o poco più e sembrava che la loro frequentazione avesse una cadenza mensile. Si vedevano un paio di volte, tre al massimo ed era già il turno di un’altra. L’avvicendamento continuo di ragazzine finì per esasperare i suoi genitori che, a un certo punto, gli posero un limite. Avrebbero voluto conoscere soltanto la ragazza di cui credeva di essere innamorato, le altre, quelle che lui definiva “amiche” sarebbero rimaste estranee alla famiglia. Da quell’ultimatum, i suoi genitori non ebbero più occasione di incontrare alcuna donna del figlio maggiore. Per quello che li riguardava, poteva essersi votato alla castità oppure avere cambiato gusti sessuali. Tuttavia, Katharine aveva avuto diverse opportunità di incontrare suo fratello in compagnia di giovani donne e di notare che il ritmo del ricambio era rimasto pressoché invariato. Perlopiù erano ragazze dall’aspetto sofisticato e appariscente; sembravano uscite tutte dalla copertina patinata di una rivista di moda. Era pur vero che anche Henry curava molto il suo aspetto e spendeva una fortuna in abbigliamento, ma lei lo avrebbe visto bene con una ragazza semplice, di quelle con la testa sulle spalle. Riteneva che suo fratello fosse un po’ immaturo e che avesse bisogno di una compagna che lo aiutasse e guidasse nel suo percorso di crescita. «È proprio una gran soddisfazione indossare eccezionalmente l’abito scuro e la cravatta e non ricevere uno straccio di complimento! Neppure da tua sorella che dovrebbe stravedere per te!» si lamentò Alan, tra il


7 serio e il faceto. «Lo sai benissimo che ti adoro e che ti trovo bellissimo. Tuttavia, sei talmente giovane e spontaneo che ti si addicono di più gli abiti informali.» «È un modo elegante per dirmi che faccio pena vestito così?» La sorella sorrise e prendendolo per le spalle gli disse: «Non lo faresti nemmeno vestito con un sacco.» «In verità ci avevo pensato, ma temevo la tua reazione.» «Condivido la tua scelta. Effettivamente ti avrei guardato un po’ maluccio. Stai benissimo, piccolino!» concluse ridendo e scompigliandogli leggermente il ciuffo che gli cadeva sulla fronte. «Ecco i nostri gioielli!» esclamò Elsa, che si era avvicinata ai figli, tenendo sottobraccio il marito. I tre ragazzi sorrisero ai loro genitori e dai loro occhi vi si poteva leggere tutto l’amore e l’ammirazione che provavano per loro. «Non abbiamo ancora avuto modo di ringraziarvi come si deve. Ci avete fatto una sorpresa meravigliosa! Non potete immaginare l’emozione e la gioia nello scoprire che, al posto di una cena intima, avevate organizzato un evento del genere! Siete stati grandiosi!» continuò la donna. «Grazie davvero. Siete riusciti a emozionarci, ragazzi! Voi forse non l’avete notato, ma vostra madre era sul punto di scoppiare in lacrime» disse Jason, posando una carezza sulla mano della moglie. «Devo fare una precisazione per non prendermi dei meriti che non mi spettano. È stata Katharine a ideare tutto e suo marito e Henry l’hanno aiutata a organizzare la festa. Io, come voi, credevo di partecipare a una semplice cena in famiglia. La mia sorpresa è stata pari alla vostra» riferì Alan. «Volevo dare il giusto valore ai vostri quarant’anni di vita insieme! Siete la coppia più bella che esista al mondo: unita, solidale, ancora teneramente innamorata. Siete un esempio per tutti noi! Era doveroso festeggiarvi in questo modo» sostenne Katharine, con enfasi. Elsa abbracciò la figlia e la baciò su entrambe le guance. Poi fece lo stesso con gli altri due figli e con suo genero. Jason, leggermente schivo a palesi manifestazioni d’affetto, si limitò a guardare lo scambio di effusioni dei suoi familiari, ma dalla sua espressione si leggeva chiaramente che era commosso e compiaciuto. «Se la nostra coppia ha funzionato in tutti questi anni è soprattutto per merito vostro. Come avremmo potuto essere così felici senza di voi?»


8 chiese Elsa, rivolgendo lo sguardo ai figli. «Ci fate rimpiangere di avere disposto la partenza per il lago, domani. Di certo avrete bisogno di una mano per smantellare tutta questa struttura e tu Alan, non puoi rimanere a casa da solo! Quanti giorni pensi di fermarti a Minneapolis?» «Papà, è ormai un anno che vivo da solo! Mi auguro che non rinuncerai alla gita al lago a causa mia. E poi non posso fermarmi molto, devo dare un esame e se non frequento non posso farcela.» «Non dovete rinunciare proprio a nulla. Partite tranquilli e godetevi la vostra meritata vacanza. Alan sarà mio ospite in questi giorni e non c’è nient’altro da fare che pagare il conto, papà. Non crederai che ci metteremo noi a lavare piatti e i bicchieri!» disse Katharine sorridendo. «Già, il conto. Chissà quanto vi sarà costato tutto questo! Dovete permetterci di contribuire» disse Elsa, in modo supplichevole. «Questo è il nostro regalo per voi e non si è mai sentito che un regalo debba essere ripagato. Signora, mi concede l’onore di un ballo?» chiese Henry a sua madre, dopo essersi galantemente inchinato. Madre e figlio si allontanarono a braccetto e i loro familiari, che li guardavano dirigersi verso la pista, si scambiarono qualche battuta sulla loro differenza di statura. Elsa, nel suo abito stretto in vita, con la gonna ricca e fluttuante e le sue scarpe basse, sembrava una bambina a fianco del suo gigantesco figlio. «Chi non la conosce non potrebbe supporre che in una donna così piccola si possa nascondere una simile grandezza» commentò suo marito. «Già, davvero una grande donna mia suocera!» asserì Jonathan che, fino a quel momento si era limitato ad ascoltare distrattamente e a guardarsi in giro. «Papà, allora siamo d’accordo, domani partite tranquilli ma, come al solito, ti faccio la mia raccomandazione di guidare con prudenza. Duluth non è all’altro capo del mondo, ma due ore di auto sono sufficienti per farmi stare in pena. Mi chiamerete appena sarete arrivati?» chiese Katharine. «Lo farò, come sempre. Tu però devi smetterla di preoccuparti per ogni minima cosa. Sono più di trent’anni che guido e l’unico danno che ho fatto alla mia auto è stato un graffio al paraurti.» «Lo so bene che sei prudente, ma non sempre lo sono gli altri. Non riuscirai a impedirmi di preoccuparmi. Sono fatta così, ormai dovresti


9 conoscermi.» «Va bene, bimba. Ti chiamerò, promesso» terminò suo padre, rassegnato che con sua figlia fosse assai frequente lo scambio dei ruoli.


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CAPITOLO II

Il viaggio, durato poco più di due ore, si era rivelato piacevole anche grazie alla temperatura sopportabile di quella mattina di metà agosto. Appena giunti alla soglia della cittadina di Duluth, Jason arrestò l’auto in prossimità di una cabina telefonica. Doveva mantenere la promessa fatta alla figlia il giorno prima. «Ciao bimba. Ora puoi stare tranquilla, siamo arrivati.» «Bene papà. Cominciavo già a guardare l’orologio. Avete fatto un buon viaggio?» «Ottimo! Fa molto meno caldo rispetto a Minneapolis. C’è una leggera brezza che proviene dal lago.» «Beati voi! Saluta la mamma e fatevi sentire almeno una volta al giorno, d’accordo?» «Nemmeno alla soglia dei settant’anni si può dire di avere raggiunto una discreta autonomia! D’accordo, ti chiamerò domani mattina prima di uscire per la pesca. Grazie per l’ospitalità che dai ad Alan. Se la sera esce, non permettergli di rientrare troppo tardi.» «Papà, vogliamo concedere un po’ di autonomia anche a lui?» «A diciannove anni non se l’è ancora del tutto guadagnata! Ti mando un bacio bimba, a domani.» Dopo essersi fermati allo store per fare una piccola spesa, i due coniugi risalirono in auto e si diressero verso New Lake Avenue che li avrebbe condotti al loro cottage: una piccola costruzione di legno di cinque stanze che Jason si era regalato, nell’ormai lontano 1943, in occasione della sua nomina a giudice di tribunale del suo distretto. L’aveva scelto d’impeto, dopo averlo visto in una foto apparsa nella rivista di un’agenzia immobiliare. “Villini prefabbricati, di piccole e medie dimensioni, immersi nel verde, in prossimità del lago Superiore” recitava la pubblicità, e fu amore a prima vista. La sua grande passione per la pesca e per gli ambienti verdeggianti, nonché la relativa vicinanza alla sua residenza, lo fecero


11 decidere per l’acquisto senza stare molto a riflettere. Dopo una breve salita e una curva piuttosto stretta, la piccola struttura lignea dipinta di bianco dell’Elsa cottage, si stagliò sullo sfondo arboreo di lecci e betulle. Già in lontananza si poteva notare la trascuratezza che imperversava nel suo giardino. Ovunque, erbacce rinsecchite che arrivavano quasi all’altezza delle finestre, e le fronde degli alberi, cresciute in totale libertà, lo rendevano troppo ombroso. «Credo che la giornata di oggi debba essere dedicata al giardinaggio. La pesca dovrà aspettare.» «Lo credo anch’io, tesoro. Anche la staccionata sta dando segni di cedimento. Avrebbe bisogno di una bella verniciata.» «Ah, ma quel lavoro non lo farò di certo io! Chiamerò qualcuno che sistemi la recinzione. Questa è la casa delle vacanze; qui il lavoro è bandito. Gli unici consentiti sono il taglio dell’erba, che considero pure rilassante e la cucina per ciò che riguarda te, la quale forse non ti rilassa, ma è necessaria per il tuo amato maritino.» «Forse un po’ troppo necessaria, considerando il continuo lievitare del tuo girovita!» scherzò la moglie, toccandogli la pancia che emergeva come una piccola ciambella dalla cintura dei pantaloni. «Non posso nemmeno ricambiare il complimento; il tuo fisico è rimasto invariato da quando avevi vent’anni! Eppure mangi quanto me!» esclamò Jason, mentre tirava il freno a mano e scendeva dall’auto per aprire il cancello d’ingresso alla sua proprietà. La casa sapeva di chiuso, ma la temperatura era molto gradevole. Si rendeva necessario aprire tutte le imposte per permettere un ricambio d’aria, ma bisognava rassegnarsi al fatto che ciò avrebbe comportato anche un innalzamento della condizione termica. Dopo avere spalancato la finestra dell’ingresso, che fungeva anche da soggiorno, Elsa si diresse verso la cucina per riporre gli alimenti freschi che aveva comprato poco prima. Avrebbe fatto un po’ di pulizie e, successivamente, si sarebbe dedicata a preparare il pranzo, semplice e leggero, e il dolce che non poteva mancare. Ormai la torta di mele era diventata un rito d’inaugurazione. Jason, che aveva provveduto ad accendere l’impianto elettrico e ad aprire il resto delle finestre, la raggiunse in cucina e la cinse in vita. «Non mi farai mancare l’apple pie, vero cara?» «Non sia mai detto che si rinunci a una tradizione della casa sul lago!» esclamò ironica la consorte.


12 «A dire il vero non è propriamente così. Nel tempo ci siamo dovuti astenere a qualche rituale, a uno in particolare.» «A cosa ti riferisci?» «Non mi dirai che ti sei dimenticata qual era la nostra prima attività appena arrivati. Se quel divano potesse parlare ne avrebbe di storie da raccontare!» La donna sorrise e si schernì, mentre un soffuso rossore le colorò le guance. Nonostante l’età matura e quarant’anni di vita di coppia, certi argomenti le procuravano ancora un leggero imbarazzo. Quella prima giornata di vacanza si rivelò piuttosto pesante per entrambi. Jason aveva tagliato l’erba e, nonostante avesse impiegato tutto il giorno, non aveva completato il lavoro. Elsa invece, tra le pulizie di tutta la casa, la preparazione del pranzo e successivamente della cena, non aveva nemmeno trovato il tempo di concedersi la lettura di qualche pagina di uno dei libri che si era portata appresso. Adorava leggere! A esclusione delle poesie, non c’era genere letterario che disdegnasse. Quei brevi ritagli di tempo che, ogni tanto, i Fannelli si concedevano al lago, rappresentavano una boccata d’ossigeno, un felice e rilassante interludio tra i molteplici impegni del loro quotidiano. Jason amava trascorrere il suo tempo in riva al lago, stando semplicemente seduto su uno sgabello, in maglietta e pantaloncini, riparato dal sole cocente soltanto da un cappello di paglia dalle tese larghe, ad attendere che qualche malcapitato pesce si infilzasse all’amo. Ogni tanto fumava un sigaro e si concedeva qualche sorsata di birra da una bottiglia tenuta scrupolosamente in fresco nella sacca col ghiaccio che si portava da casa. Quasi sempre Elsa lo accompagnava, ma si posizionava lontano da lui, prediligendo un posto in ombra. Si stendeva su una comoda sdraio e per la maggior parte del tempo leggeva qualche libro. Saltuariamente abbandonava la sua postazione per sgranchirsi un po’ e raggiungere il marito, commentava il suo operato, con complimenti se la pesca era stata proficua, oppure nel caso contrario, con qualche frase di scherno e poi tornava a immergersi nella lettura. Il loro rituale era pressoché costante per tutto il periodo della vacanza, a


13 esclusione di qualche breve e necessaria escursione in paese per l’acquisto di beni di prima necessità, ma non c’era un solo attimo in cui si annoiassero. Appena consumata la cena, si fecero un bagno veloce e andarono a letto. La stanza era provvista dell’arredamento essenziale ma totalmente priva di soprammobili, quadri e tappeti. Tendenzialmente Elsa non amava il superfluo, al contrario di suo marito che adorava circondarsi di oggetti, possibilmente d’antiquariato. Per la sua casa delle vacanze era stata categorica: dal momento che avrebbe dovuto provvedere personalmente a tenerla in ordine, aveva imposto un mobilio basilare e semplice e la totale esclusione di suppellettili. Jason aveva brontolato un po’ ma, alla fine, l’aveva accontentata, come d’altronde era sempre solito fare. «Sono talmente stanco stasera che, se pur a malincuore, mi devo sottrarre ai miei doveri coniugali. Non fosse altro che per evitare una pessima figura in caso di una verosimile scarsa prestazione.» «Di quale prestazione staresti parlando? Sto cercando di scavare nella mia memoria ma non riesco a trovarne alcun esempio» chiese la moglie, con un sorrisetto beffardo stampato sulle labbra. «Ah! Siamo giunti alle sottili lamentele, ora? È pur vero che la frequenza dei nostri incontri amorosi si è un po’ diluita nel tempo, ma è l’intensità del trasporto che andrebbe premiato, alla nostra età!» «Intenso lo sei sempre, tesoro, su questo non ci sono dubbi» asserì lei, posandogli un bacio sulla guancia. Tempo di spegnere la luce centrale, accendere l’abat-jour, prendere in mano “Tell Me How Long the Train’s Been Gone” di J. Baldwin e di leggere le prime due pagine, che il suo uomo stava sommessamente russando. Lo guardò con espressione amorevole, gli tirò il lenzuolo fin sopra le spalle e s’inoltrò nuovamente nella lettura. Non sapeva quanto avrebbe resistito, ma si ripromise di continuare finché non le si fossero chiusi gli occhi. Le sembrò di sentire il rumore di una finestra che sbatteva provenire dal piano inferiore, ma ricordava benissimo di avere chiuso tutte le imposte e pensò di essersi addormentata per qualche attimo e che il rumore facesse parte di una breve attività onirica.


14 Decise che si sarebbe stesa a dormire, allungò la mano per riporre il libro sul comodino e spegnere la luce, ma si arrestò quando le parve di sentire un trapestio; questa volta si trattava di uno scricchiolio delle assi del pavimento. Rimase immobile per qualche secondo, in ascolto, quasi trattenendo il respiro per creare il massimo silenzio ed ecco, un altro piccolo crepitio giunse alle sue orecchie. Qualcuno doveva essere entrato in casa! Il cuore cominciò a martellarle nel petto e d’impulso dette uno scossone a suo marito che, ignaro, continuava a dormire profondamente. Jason si svegliò di soprassalto e per prima cosa inquadrò il viso di sua moglie: gli occhi dilatati, la bocca aperta che sembrava sul punto di pronunciare qualcosa ma da cui usciva soltanto un respiro affannoso. «Cosa c’è?» chiese l’uomo, visibilmente preoccupato. «Ci dev’essere qualcuno in casa. Ho sentito dei rumori di passi» rispose Elsa, con un filo di voce, posandosi una mano sul petto, come a cercare di trattenere il battito cardiaco che sembrava fuori controllo. Come prima reazione, l’uomo si alzò in piedi di scatto, barcollando leggermente per la rapidità dell’azione e poi cominciò a vagare con lo sguardo per cercare d’individuare qualche arnese che gli potesse servire da difesa. Non trovò nulla. Ebbe appena il tempo di maledire mentalmente la sua repulsione per le armi, che sulla porta si delineò una figura. Elsa emise un urlo soffocato e lo stupore sembrò immobilizzare suo marito. Giusto il tempo per consentire l’ingresso nella stanza anche di una seconda persona. Il primo intruso si diresse a passo veloce verso Jason e gli sferrò un colpo sulla testa con il calcio di una pistola, facendolo accasciare al suolo all’istante. Nel frattempo, il secondo raggiunse la povera donna che aveva assistito alla scena, terrorizzata a tal punto da non riuscire a emettere alcun suono. Anche a lei fu riservato un forte colpo sulla testa. «Te l’avevo detto che sarebbe stato semplice. I due vecchietti si sono pietrificati dalla paura.» «Già, ma ora ci tocca scarrozzarli fino al lago. Non era più facile ammazzarli con un colpo di pistola e lasciarli qui?» «Questo è quanto ci è stato chiesto ed è quanto faremo. Gli ordini sono stati precisi» disse l’uomo più alto, con il tono perentorio di chi non lasciava spazio a obiezioni, facendo intuire chi, tra loro due, fosse quello


15 al comando. L’altro continuò a legare strettamente con il nastro adesivo le mani di Elsa, esanime sul letto, limitandosi a emettere un borbottio udibile solo a se stesso. Entrambi i coniugi furono legati alle mani e ai piedi e fu loro incerottata la bocca. Terminata l’operazione, che non durò più di qualche minuto, i due assalitori se li caricarono in spalla, uno ciascuno, come fossero dei sacchi. «Ehi, Larry, come mai ti sei preso la donna che è magra come un’acciuga e mi hai lasciato il panzone?» «Prova un po’ a indovinare!» rispose l’altro, sbuffando e gemendo a ogni gradino che scendeva. «Devi ancora guarire dalla lussazione alla spalla? Ma non potevi dirlo al capo che non eri in grado di fare questo lavoro e chiedergli che mandasse un altro?» «Secondo te mi metto a discutere con il capo?» chiese l’energumeno spazientito «smettila di parlare e controlla alla porta che non ci sia nessuno.» Thomas si bilanciò bene il peso sulla spalla sinistra e con la mano destra aprì la porta d’ingresso. Si protese con la testa, cercando di rimanere riparato con il corpo e il suo relativo carico e guardò fuori. L’illuminazione esterna era scarsa; il lampione sulla strada erano molto radi e qualcuno non era nemmeno funzionante. Con la poca luce artificiale a disposizione e quella naturale proveniente dalla luna, si potevano intravvedere le sagome dei due cottage confinanti, a un centinaio di metri l’uno dall’altro, le alte conformazioni degli alberi e un tratto di stradina sterrata. Si poteva escludere, con relativa sicurezza, una qualsiasi presenza. Uscirono e, senza alcun riguardo, scaricarono i coniugi dentro il bagagliaio della Chevrolet Bel Air che avevano lasciato posteggiata all’esterno della recinzione, nel posto che avevano ritenuto più nascosto, e si avviarono in direzione del lago. Nel caso avessero incontrato qualcuno, durante il loro tragitto, erano certi che nessuno di loro si sarebbe insospettito per il gommone che avevano legato al carrello trasportatore; anche se l’orario notturno non era propriamente indicato per una gita al lago, si sarebbe potuto supporre che fossero dei villeggianti amanti della pesca notturna. Il percorso durò una decina di minuti e la strada risultò del tutto deserta.


16 Soltanto in lontananza, qua e là, sospese sulle scure acque, si scorgevano alcune luci scintillare; dotazioni luminose di qualche imbarcazione al largo. I due uomini slegarono il gommone e lo trasportano sino alla riva del lago, per poi adagiarlo sull’acqua e ormeggiarlo, legandone la corda a un palo. Si guardarono intorno circospetti e dopo avere appurato che il luogo era deserto, aprirono il bagagliaio della vettura. La prima cosa che videro fu il volto atterrito di Jason che nel frattempo si era svegliato. Gli occhi dilatati dall’agitazione, la fronte madida di sudore, emetteva dei lamenti continui il cui il suono veniva smorzato dal nastro adesivo che gli serrava la bocca. La donna invece, pallida come un cencio, non dava alcun segno di vita a esclusione del lieve movimento della gabbia toracica dovuto alla respirazione. Larry si mosse per prenderla, ma Thomas gli dette una gomitata. «Molla tutto e chiudi lo sportello. Sta arrivando gente!» ordinò, cercando di modulare la voce in modo tale da essere udito soltanto dal suo compare. Questi obbedì all’istante e soltanto successivamente alzò gli occhi e vide che stava sopraggiungendo verso di loro, a passi lenti, una coppia. Anche se abbastanza lontani, si capiva distintamente che erano un uomo e una donna e dal loro atteggiamento era chiaro che erano legati sentimentalmente. Si tenevano per mano e, dopo qualche passo, si fermavano per abbracciarsi e baciarsi. «Maledizione! Proprio adesso dovevano arrivare i due romanticoni!» biascicò Thomas a denti stretti «girati, che non ti vedano in faccia» continuò, dirigendosi verso un punto in cui la luce era scarsa e voltandosi in modo da dare le spalle ai due passanti. Passò una sigaretta all’amico e ne accese una anche lui, per poi aspirare delle lunghe boccate che dimostravano tutto il suo nervosismo. Udirono i passi della coppia che si avvicinava, le loro chiacchiere, i risolini squillanti di lei, qualche attimo di silenzio in cui, con tutta probabilità, si baciavano e poi, di nuovo, i passi e le voci che si allontanavano. «Se ne sono andati. Non li vedo più» disse Larry, dopo avere allungato il collo verso la direzione in cui si erano diretti.


17 «Muoviamoci, non vedo l’ora di finirla questa storia!» ringhiò il suo compare, tornando all’auto di fretta. Questa volta trovarono sveglia anche Elsa che li guardò con un’espressione terrorizzata. Dalla sua bocca chiusa uscivano i suoni di un pianto disperato, rivoli di lacrime le scendevano dagli occhi e andavano a bagnare il volto di suo marito che era riuscito ad avvicinarsi a lei e sembrava volesse confortarla con la sola vicinanza del suo corpo. Furono ripresi in spalla e caricati a bordo del gommone, dopodiché Larry avviò il motore. La notte era serena e tiepida, anche se spirava una lieve brezza che increspava leggermente la superficie del lago. Jason aveva smesso di lamentarsi; aveva capito che sarebbe stato ucciso di lì a breve, ma non voleva essere motivo di maggiore agitazione per sua moglie. Se solo fosse stato libero di abbracciarla, di accarezzarle i capelli e asciugarle le lacrime! Se solo avesse potuto confortarla con le sue parole, dirle di non temere, che quello non sarebbe stata la loro fine, ma solo l’inizio di un altro percorso che li avrebbe uniti per sempre! Ribadirle che l’aveva sempre amata, ogni giorno un poco più dell’altro! Ringraziarla per essergli stata sempre accanto, per averlo sopportato anche quando lui stesso non avrebbe saputo farlo, per averlo sostenuto anche quando era in torto, per avergli regalato quella vita meravigliosa quale era stata la sua! “Se questa sera avessi fatto l’amore con te, anche solo per il piacere di toccare il tuo corpo nudo, assaporare la tua pelle e odorarne il profumo!” fu il suo ultimo pensiero prima di ricevere un altro colpo in testa e sprofondare nell’assoluto silenzio delle acque del lago. La stessa sorte toccò a Elsa, pochi secondi dopo avere rivisto la sua vita come in una veloce rassegna: il giorno delle sue nozze, il volto del suo amato marito che la ammirava raggiante, il momento dell’adozione di Katharine, di Henry e la nascita di Alan. “Vi amo tutti” fece in tempo a pensare. Poi il nulla.


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CAPITOLO III

Era la decima volta in un’ora che Katharine guardava l’orologio; le dieci e un quarto e ancora non aveva notizie dei suoi genitori. Una lieve agitazione aveva cominciato e pervaderla dalle otto di quella mattina, cioè da quando si sarebbe aspettata la telefonata di suo padre. Ogni minuto che passava percepiva aumentare la sua ansia e, via via, i pensieri si facevano più pessimisti. Qualcosa doveva essere accaduto; i suoi non avevano mai dimenticato di chiamarla. Prese il telefono e compose il numero della concessionaria d’auto di suo marito, non certo per avere delle risposte, ma per condividere la sua apprensione e, magari, trovare un po’ di sollievo. «Concessionaria Baker, buongiorno» cinguettò la giovane segretaria di Jonathan. «Ciao Loren, potresti passarmi mio marito, per favore?» Dall’altra parte, qualche istante di esitazione e poi: «Buongiorno signora, la devo mettere un po’ in attesa, lo devo cercare.» La pausa durò più a lungo di quello che si sarebbe immaginata e fu tentata d’interrompere la comunicazione; volesse il caso che i suoi genitori la chiamassero proprio in quel frangente, avrebbero trovato occupato. Finalmente, dall’altra parte della cornetta: «Come mai mi chiami, Kathy?» «Scusami se ti disturbo, ma sono in pena per i miei genitori.» «Perché, hai avuto qualche brutta notizia?» «No, è proprio il fatto che non li ho ancora sentiti che mi fa stare in ansia!» «Scusa, ma tuo padre non ti ha telefonato ieri?» «Sì Jona, ma eravamo d’accordo che ci saremmo sentiti anche oggi, prima che uscisse a pescare. Sai che lui è mattiniero e che si muove verso le sette.» «Secondo me stai facendo un dramma per nulla! Magari oggi non è


19 andato a pesca, avrà fatto giardinaggio, oppure ha deciso di starsene a casa a rilassarsi.» «Mi avrebbe chiamata comunque! Se anche lui se ne fosse dimenticato, ci sarebbe la mamma. Sai com’è, non le sfugge nulla e poi ci tiene a sapere come vanno le cose, qua da noi.» «Ricordati che sono in vacanza e che avranno bisogno di staccare un po’ da tutto e da tutti. Se non è oggi, chiameranno domani, vedrai. Stai tranquilla!» Sperava di trovare un po’ di sollievo, invece quella telefonata la fece inquietare ancora di più. Le era sembrato che il tono di suo marito fosse leggermente spazientito. Forse lo aveva disturbato in un momento delicato, oppure, come al solito, non riusciva a comprenderla appieno, minimizzando ogni suo problema o enfatizzando ogni sua debolezza. Dopo alcuni istanti decise che si trattava soltanto di una sensazione dipesa dal suo particolare stato d’animo, di provare a dargli ascolto e di convincersi che non poteva essere successo nulla e che li avrebbe presto sentiti. Cercò di concentrarsi sul pranzo che doveva preparare. Jonathan non sarebbe tornato a casa e lei si sarebbe accontentata di un’insalata mista con un po’ di carne ai ferri, ma doveva pensare a sfamare suo fratello che, nonostante si potesse definire magro, mangiava come un lupo. Come fosse stato richiamato dal suo pensiero, Alan fece la sua comparsa in cucina. I capelli scompigliati, un po’ di rada peluria sul mento, gli occhi arrossati e leggermente cerchiati; aveva il vago aspetto di uno che stava smaltendo una bella sbornia. «Buongiorno sorellina, cosa stai facendo di bello?» chiese, dopo avere sbadigliato ed essersi stirato la schiena allungando le braccia. «Ciao Alan, ritengo sia inutile chiederti se hai dormito bene, data l’ora in cui ti alzi» disse Katharine, svicolando alla domanda. «Infatti, ho dormito benissimo, anche se poco. Mi hai sentito rincasare questa notte?» «No, in verità. A che ora sei rientrato?» «Te lo dico solo se prometti di non riferirlo ai nostri genitori.» «Quando mai avrei fatto la spia?» «Erano le quattro. È stata una bella rimpatriata con i vecchi amici, con quelli che sono riuscito a rintracciare, perlomeno. Strano che tu non mi faccia il terzo grado su cosa abbiamo fatto fino a quell’ora!» «È che ti sto ascoltando, sto pure cercando di decidere cosa preparare per


20 il pranzo e, nonostante tutto, la mia testa è da un’altra parte. Non ho ancora sentito i nostri genitori e sono preoccupata.» «Non mi ricordo un momento in cui tu lo sia stata, sorellina! Sono partiti solo ieri e hai avuto notizie del loro arrivo. Lasciali tranquilli e stai serena pure tu!» suggerì, prendendola per le spalle e schioccandole un bacio sulla guancia, per poi aggiungere: «andiamo a farci una nuotata in piscina, lascia perdere il pranzo, per ora. Più tardi ci facciamo due bistecche alla griglia e siamo a posto.» Forse avevano ragione tutti, doveva essere positiva e attendere paziente; presto li avrebbe sentiti e tutto sarebbe rientrato nella normalità. La giornata era trascorsa relativamente serena: il bagno in piscina si era rivelato rilassante e pranzare in compagnia di suo fratello era stato divertente. Le aveva raccontato una serie di aneddoti accaduti al college che l’aveva fatta ridere di gusto. Suo marito, come di solito accadeva, non era tornato per pranzo. La sua rivendita di auto era situata all’estremità di Minneapolis ed era necessario più di tre quarti d’ora di strada per rientrare a casa, cosicché preferiva consumare il pasto in qualche pub. La sera tornava verso le otto, a meno che non avesse qualche impegno di lavoro, solitamente di natura contabile, oppure qualche cena di rappresentanza che, alcune volte, lo trattenevano anche ben oltre la mezzanotte. In verità, negli ultimi tempi questo accadeva spesso e Katharine era combattuta tra la seccatura di rimanere spesso da sola e la soddisfazione di sapere che l’attività di suo marito, con tutta probabilità, si stava avviando verso un maggior successo. Parteggiava per lui, lo voleva vedere sereno e realizzato e desiderava che si ricredessero anche i suoi genitori, suo padre in particolare. Anche se non gliel’aveva mai detto apertamente, era chiaro che Jonathan non aveva mai goduto della sua profonda stima. Andava da sé che, come ogni genitore, avrebbe voluto il meglio per sua figlia e il genero, con il suo diploma non conseguito, una posizione lavorativa non ancora ben definita e l’atteggiamento un po’ troppo spavaldo, non rientrava tra i classici buoni partiti. Ciononostante, anche se non propriamente caldeggiata, non aveva mai ostacolato la loro relazione, soprattutto dopo avere appurato il forte sentimento che sua figlia nutriva per lui. Dopo il matrimonio, Jason si era offerto di aiutare economicamente


21 Jonathan per assecondare il suo desiderio di aprire l’attività di commercio di auto che ora gestiva, ed egli aveva accettato senza tante remore. Da sempre amante dei motori, Jonathan si era specializzato nella loro meccanica e aveva lavorato in varie officine per poi riuscire a entrare in una concessionaria di automobili Ford come venditore, pur tuttavia mal tollerando la posizione da subalterno. L’occasione che gli era stata offerta dal suocero era quanto di meglio poteva sperare per dimostrare la sua intraprendenza e il suo spiccato senso degli affari: finalmente era arrivata la chance perfetta per ottenere il suo posto nel mondo. Erano trascorsi circa sette anni da quando aveva organizzato l’inaugurazione del suo salone di auto Chrysler, ma sembrava che ci fosse sempre qualche problema che si sovrapponeva al successo. Perlopiù, i ricavati erano sufficienti a coprire i costi, e i pochi guadagni se ne andavano in beni voluttuari, ma necessari, a suo dire, per mantenere un’immagine di decoro. La promessa di restituire per intero la somma ricevuta, fatta a suo tempo al suocero, non era stata ancora mantenuta, nemmeno in minima parte. Erano le nove di sera quando squillò il telefono. Katharine balzò in piedi dal divano in cui era seduta e sperò che fosse suo padre, anche se non aveva ancora avuto notizie di suo marito. «Kathy, scusa se non ti ho avvisata prima, ma mi è mancato il tempo. Stasera sono a cena con i Thompson. Sai quanto me che preferirei tornare a casa, ma forse è l’occasione giusta per concludere un buon affare.» «Quando pensi di tornare, Jona?» chiese sua moglie, doppiamente amareggiata. «Il prima possibile, tesoro. Cercherò di non fare molto tardi.» «Non so se ce la farò ad attenderti sveglia. Chissà per quale motivo, ma mi sento molto stanca.» «Ma certo, vai pure a dormire. Quando torno cercherò di non svegliarti.» Jonathan posò la cornetta mentre sua moglie stava ancora pronunciando l’ultima sillaba del saluto. Lasciò la cabina e s’infilò dentro alla sua Windsor berlina. Dopo aver messo in moto l’auto, posò la mano sulla


22 gamba della donna che aveva a fianco e protraendosi verso di lei le posò un bacio sulle labbra: «Abbiamo quattro ore tutte per noi!» «Quattro ore! Lo dici come fosse l’occasione della mia vita! Non mi accontento più dei ritagli del tuo tempo, Jonathan, sai che sono arrivata al limite!» «Ti prego Loren, non cominciare con la solita storia! Lo sai che ti amo e che voglio trascorrere il mio futuro con te, ma c’è un tempo per tutto. Quel momento non è ancora arrivato, ma è imminente.» «Da quanto te lo sento ripetere? Era imminente anche un anno fa.» «Allora ero stato un po’ troppo ottimista, ma nel frattempo le cose sono maturate. Devi solo avere fiducia in me e pazientare ancora un po’. Tutto si risolverà al meglio, vedrai.» La ragazza fece un lungo sospiro e rimase in silenzio, mentre al semaforo scattava il verde e l’uomo ingranava la marcia per partire sgommando. L’appartamento di Loren Foster era al secondo piano di una piccola palazzina in mattoni rossi, al numero ventiquattro di James Madison Road. I due fecero le scale tenendosi per mano e sbaciucchiandosi, come due fidanzatini alla loro prima uscita, incuranti dello sguardo di evidente disapprovazione della signora Peterson, che incrociarono sul pianerottolo. «Cosa preparo per cena?» chiese la ragazza, dopo avere appoggiato la borsa sul mobile dell’entrata ed essersi tolta le scarpe. «Al momento preferirei solo l’antipasto» le sussurrò Jonathan all’orecchio, mentre le lambiva il lobo con la lingua e la stringeva a sé, eccitandosi ulteriormente al contatto del suo esile corpo che si strusciava a lui. La sua mano armeggiò per qualche secondo con i bottoni della camicetta, finché riuscì ad aprirla completamente, mettendo in evidenza un reggiseno nero di pizzo che conteneva i due seni piccoli e tondi. Le sue labbra scesero sul collo, lasciando una sottile scia umida sulla pelle, per poi abbassarsi oltre, a lambire e succhiare un capezzolo dal seno che, nel frattempo, aveva estratto da una coppa del reggipetto. Loren rovesciò la testa all’indietro, aggrappandosi saldamente alle sue spalle ed emettendo dei lievi gemiti di piacere. Lui le fece eco con dei pesanti sospiri, sintomo di un’eccitazione che aumentava


23 esponenzialmente. La prese in braccio e continuando a baciarla si diresse verso la camera da letto. La posò sul talamo, dando poi libero sfogo a tutte le sue fantasie erotiche. *** Erano le dieci di sera, Henry era tornato dalla palestra distrutto fisicamente. Insegnare culturismo gli piaceva e, inoltre, gli permetteva di mantenere la sua ottima conformazione fisica, ma il più delle volte si rivelava un’attività stressante. Il numero degli iscritti era notevole, anche se nel periodo estivo diminuiva drasticamente e per seguirli tutti, nella maniera accurata e professionale che si era prefissato, doveva lavorare sodo. Il suo socio, Matthew, era più disposto alle relazioni sociali, intrattenendo i clienti con battute divertenti e aneddoti vari, il che poteva avere una sua utilità, ma in quanto a seguirli negli esercizi, proprio non era adatto. Faceva qualche eccezione con le nuove iscritte, solo nel caso fossero ragazze dal fisico corrispondente ai suoi canoni di bellezza: caviglia sottile, polpaccio ben delineato ma non troppo muscoloso, gamba lunga, fianco morbido, vita sottile, seno sopra la terza misura, viso dolce, capelli biondi. Riusciva a sorvolare sul colore degli occhi e la forma delle mani, anche se preferiva gli occhi azzurri e le dita lunghe e affusolate. Nel caso fossero come piaceva a lui, rimaneva al loro seguito fino all’esagerazione, alcune volte, addirittura, sino a portarle all’esasperazione e non rivederle più. Il telefono squillò appena uscito dalla doccia. Si asciugò i piedi velocemente e si avvolse la vita con l’asciugamano, lasciando scoperto il resto del corpo, ancora gocciolante d’acqua. «Sei tornato! Attendevo una tua chiamata» si lamentò Allison. «Ho appena finito di lavarmi, ero stanchissimo. Ti avrei chiamata ora!» «Ci vediamo?» «Scusami tesoro, ma proprio non ce la faccio. Dodici ore di palestra mi hanno ridotto a uno straccio. Mangio velocemente qualcosa e vado a dormire. Ci vedremo domani, quasi sicuramente.» «Non ti sembra di lavorare un po’ troppo?» chiese la donna, con tono deluso. «Forse hai ragione, ma il mio lavoro chiede impegno e io lo amo.»


24 «Già, da quanto sembra ami soltanto quello.» «Non dire così, Alli, sai che non è vero!» «Ok, ci sentiamo domani, allora.» «Certo, buona notte tesoro.» Si frequentavano da sei mesi e già gli stava togliendo il fiato come fossero legati da una relazione ventennale. Le donne erano quanto di più bello ci fosse al mondo, ma soltanto per i primi due o tre mesi, poi si trasformavano; perdevano la dolcezza e l’accondiscendenza e diventavano pesanti ed esigenti. Pretendevano dedizione assoluta, come se dovessero essere il centro dell’universo e per loro ci si doveva annullare. Parlavano d’amore ancora prima di avere acquisito un dovuto grado di conoscenza, ancora prima di essersi guadagnate l’amicizia e il rispetto. Bruciavano le tappe mentre lui esigeva le cose per gradi. Sentiva che anche Allison non faceva per lui e molto presto glielo avrebbe detto. Si tolse l’asciugamano dai fianchi e si asciugò il corpo, poi si strofinò i capelli energicamente. Tornò in bagno e lo gettò nel cesto della biancheria da lavare. Si guardò allo specchio, si sistemò la capigliatura con le mani e si spruzzò un po’ di profumo sul collo. Fece qualche posa per mettere in evidenza i bicipiti, i trapezi e poi i pettorali e dall’espressione compiaciuta del suo volto si intuiva chiaramente quanto fosse soddisfatto dell’immagine riflessa allo specchio. La stanchezza sembrava essersi dileguata, così come quel filo d’appetito che, poco prima, cominciava a creargli un piccolo disturbo allo stomaco. Andò nella camera da letto, aprì l’armadio e vi estrasse una camicia bianca e l’abito in lino color caramello. Li indossò, si guardò allo specchio che lo ritraeva a figura intera, si dette una sistemata al bavero della giacca e sbottonò un paio di bottoni della camicia, a partire da quello del collo. Dette un’ultima aggiustata al ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla fronte, indossò le scarpe leggere color testa di moro, infilò un po’ di banconote nel taschino interno della giacca, i documenti in quella dei pantaloni, impugnò le chiavi dell’auto e si ritenne pronto per la sua uscita. Da quando aveva perso un’ingente somma alla bisca di St’Augustin Street si era ripromesso di non andarci più. Non era particolarmente attaccato ai soldi, se non per la possibilità che garantivano di godersi un po’ la vita, ma rimetterci l’equivalente della nuova auto che aveva


25 progettato di comprarsi gli aveva fatto prendere coscienza della sua stupidità. Non solo aveva perso tutti i suoi risparmi, ma era riuscito a farsi accordare un prestito da Anthony, detto “The King” e si era giocato anche quello. «Me lo puoi restituire in piccole rate mensili» gli aveva detto a fine serata, dandogli una pacca sulle spalle e facendogli l’occhiolino, come se gli avesse offerto l’occasione della sua vita, tralasciando il banale particolare che la rata comprendeva una lauta percentuale di interessi. Era riuscito a stare lontano dal gioco per un’intera settimana e, poco prima della doccia, era certo che non si sarebbe più lasciato soggiogare da quella smania che sembrava averlo posseduto da qualche tempo. Quella sera invece, d’improvviso e chissà per quale motivo, aveva nuovamente sentito il desiderio di trascorrere una serata con l’ebbrezza di poter vincere, tuttavia ripromettendosi che se la fortuna non si fosse dimostrata subito dalla sua parte, avrebbe evitato di intestardirsi come l’altra volta e se ne sarebbe tornato a casa. Però se lo sentiva, quella sera gli avrebbe assicurato la rivincita.


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CAPITOLO IV

Si era svegliata di soprassalto, con il cuore che le batteva forte, tanto da pulsarle nelle orecchie. Jonathan le dormiva a fianco, in posizione fetale, rivolto verso di lei; il suo respiro era profondo e pesante. La sua presenza le diede conforto e si calmò leggermente. Non l’aveva sentito rincasare e in un primo momento supponeva che l’agitazione fosse dovuta all’inconscia sensazione di un suo mancato rientro. Invece, alcuni istanti più tardi, le tornarono alla mente certe immagini che avevano fatto parte di un’attività onirica di carattere angosciante e comprese il motivo della sua agitazione: si trovava da sola, nel buio quasi totale ed era immersa nell’acqua sino al collo. Si sentiva sfinita, come avesse nuotato per ore, aveva la sensazione di essere allo stremo delle forze e di non riuscire più a rimanere a galla. Era combattuta tra il desiderio di lasciarsi andare, per assaporare finalmente un po’ di riposo e il suo istinto di sopravvivenza che le imponeva di fare l’impossibile per rimanere in superficie. Ricordava di avere invocato l’aiuto di suo marito per un’infinità di volte e di avere provato lo schiacciante peso della solitudine costatando la sua assenza. Come se non bastasse, si sentiva oppressa da un forte pentimento per non avere ancora messo al mondo un figlio, assumendo così la terribile consapevolezza che nulla sarebbe rimasto del suo passaggio nella vita. Per associazione d’idee pensò ai suoi genitori, al fatto che non era certa della loro incolumità e finì col dare al suo sogno una connotazione di sublimale presagio, tornando all’originaria agitazione. Sul comodino, la sveglia segnava le sei e mezza. Non se la sentiva di destare suo marito un’ora prima del previsto e decise di lasciarlo dormire, anche se sentiva l’esigenza di condividere con qualcuno i suoi brutti pensieri. Si alzò, cercando di fare il meno rumore possibile, si diresse in cucina e si versò un bicchiere di latte. Raggiunse la veranda e si sedette sulla poltroncina di vimini che dava sul giardino.


27 Il sole stava nascendo, conferendo al cielo delle screziature dorate. L’aria s’infiltrava attraverso la camicia da notte leggera, procurandole una gradevole sensazione di fresco. Quale pace sarebbe stata, se solo non si fosse sentita in quel particolare stato d’animo, che le impediva di godere di quelle semplici piacevolezze della vita. Un’auto bianca passò nella strada prospiciente la sua abitazione; in prossimità del cancello sembrò rallentare, quel tanto che bastava per riuscire a distinguere il volto di una donna, sulla cinquantina, che guardava nella sua direzione. Era certa di non averla mai vista, eppure, quei lineamenti le sembravano vagamente familiari. Abbandonò il pensiero della donna per vagare con lo sguardo sul suo piccolo giardino. Gli alberi di acacia, con le loro vive tonalità di un rosso rubino, rappresentavano le uniche macchie di colore in quell’appezzamento mantenuto esclusivamente a prato e delimitato da una bassa siepe di lonicera. Costatò che l’erba cominciava a essere un po’ troppo alta e si ripromise che quella mattina l’avrebbe tagliata. Non amava particolarmente fare giardinaggio, ma se ne vedeva costretta dal momento che suo marito, oltre a esserne del tutto negato, non ne avrebbe avuto il tempo, e l’assunzione di un giardiniere aveva un costo che, per il momento, non potevano sostenere. Necessariamente avrebbe provveduto lei, tanto più che le rimaneva ancora una settimana di vacanza prima di riprendere la scuola. «Buongiorno cara. Ti stai godendo un po’ di fresco?» chiese suo marito, subito prima di baciarla sul collo. «Non riuscivo più a dormire. Ti preparo la colazione?» «Soltanto un po’ di caffè, per favore.» Katharine si alzò e seguì il marito in cucina. Mentre riempiva la caraffa d’acqua, pensò al sogno di poco prima e sentì il desiderio di parlarne con Jonathan, tuttavia, ciò che le uscì dalle labbra, fu soltanto uno spunto preso in prestito dal sogno medesimo. «Jona, ritengo che non sia più il caso di aspettare per avere un figlio.» L’uomo che si stava spalmando la marmellata su una fetta di pane, rimase con il coltello a mezz’aria, guardandola come se avesse bestemmiato. «E questa novità da dove arriva?» «Siamo sposati da sei anni e non siamo più bambini. Più il tempo passa e più si riduce la possibilità che rimanga incinta.»


28 «Ne abbiamo già parlato ed eravamo entrambi d’accordo. Non abbiamo mai fatto nulla per evitarlo, mi sembra.» «Sì, hai ragione, ma sinora non è avvenuto. Forse c’è qualcosa che non va e se non riusciamo a capire di cosa si tratta, non risolveremo mai il problema. Hai qualcosa in contrario se fisso degli accertamenti dal medico? Li farò prima io e, nel caso non mi venga riscontrato nulla, ritengo che ti dovresti sottoporre anche tu a qualche esame.» «Ma certo tesoro. Sai che farei di tutto per renderti felice.» «Non dovrebbe essere solo una mia scelta. Tu lo desideri un figlio?» «Sì che lo voglio! Forse non ho la tua stessa immediata esigenza e mi spaventa un po’ la responsabilità che ne deriverebbe, ma sarei felice di avere un piccolo Baker che mi zampetti intorno e che mi chiami papà.» Non era precisamente l’entusiasmo che si sarebbe attesa, ma quanto bastava per decidere che il giorno stesso sarebbe andata dal dottor Scott per farsi prescrivere un chek up sulla fertilità. Un bacio frettoloso e Jonathan uscì di casa. Ripose le tazze nel lavello, pulì il tavolo dalle briciole e andò nella stanza da letto per vestirsi; ritenne che un paio di pantaloncini corti e una canottiera fossero l’abbigliamento più funzionale per l’opera a cui si doveva prestare. Guardò l’orologio: erano le sette e trenta. Pensò che fosse un po’ troppo presto per armeggiare con il tosaerba e dare noia ai vicini, così decise che avrebbe continuato la lettura di “The Man in the Gray Flannel Suit”; era curiosa di sapere come avrebbe reagito Betsy dopo la confessione di suo marito di avere avuto un figlio da una relazione precedente al loro matrimonio. Si accomodò sul divano e cominciò a immergersi nella lettura, grazie alla quale riuscì ad accantonare quel senso d’inquietudine che la accompagnava dal suo risveglio. Quando vi riemerse, dopo avere pienamente approvato e condiviso la dura reazione di Betsy, guardò nuovamente l’ora e tutta l’ansia che era riuscita ad acquietare, le tornò prepotente. Erano le otto e mezza passate e dei suoi genitori ancora nessuna notizia. Non riusciva più a credere che non fosse successo nulla. Avvertì un fiotto di calore salirle dallo stomaco per poi propagarsi in tutto il corpo e, nel frattempo, una forte palpitazione pulsarle in petto. La preoccupazione di una probabile sciagura che aveva precedentemente provato, si stava drasticamente trasformando in una verosimile certezza, tanto più che stava dando un’interpretazione profetica allo spaventoso


29 sogno di quella notte. Per qualche attimo si lasciò sopraffare dal panico. La sua mente percepiva soltanto gli allarmanti sintomi che il suo corpo accusava, amplificando esponenzialmente la sua ansia. Lentamente, s’impose di ragionare e il ritmo del respiro cominciò a ridursi. Doveva sapere cos’era successo e l’unico modo era quello di andare personalmente a Duluth. Doveva avvisare suo marito e gli avrebbe chiesto se fosse stato disponibile ad accompagnarla. Mettersi alla guida con l’agitazione che poteva pregiudicarle la concentrazione, poteva essere pericoloso, ciononostante in mancanza di alternative, non avrebbe desistito. Questa volta al telefono rispose direttamente Jonathan: «Senti già la mia mancanza Kathy?» «Sono quasi le nove e non ho ancora ricevuto una telefonata dai miei! Ti prego, non mi dire di attendere ancora e che può essere tutto nella norma. Sono certa che non lo è. È successo qualcosa di brutto, lo so, lo sento e devo andare a verificare. Puoi prenderti un giorno di riposo per accompagnarmi a Duluth?» disse Katharine tutto d’un fiato, con la voce tremante ma perentoria. «Così, senza preavviso, come faccio a lasciare il salone? Tesoro, non potresti aspettare ancora un altro giorno? Se domani non avremo notizie, ti prometto che ti accompagnerò.» «No, Jona! Non ce la faccio a trascorrere un altro giorno in questo stato. Devo assolutamente sapere cosa c’è che non va. Se non puoi venire chiamerò Henry, e se nemmeno lui è disponibile, andrò da sola.» «Non posso impedirtelo, ma credo tu stia facendo tanto clamore per nulla. Arriverai a Duluth e troverai i tuoi stesi al sole a rilassarsi.» «Magari fosse così, nel qual caso darei loro un bacio e me ne tornerei a casa rasserenata!» «Pensi di tornare stasera o ti fermerai qualche giorno?» «Non lo so, dipende da quello che trovo, ti farò sapere.» Nello stesso momento in cui abbassò la cornetta, le salirono le lacrime agli occhi. Era oltremodo triste sentire di essere soli quando più si aveva bisogno degli altri. In un’altra circostanza, si sarebbe soffermata a valutare il rapporto che aveva con suo marito, ma in quel momento, dopo essersi passata le mani sugli occhi per asciugarne l’umore, riuscì a sorvolare. Fece il numero di suo fratello maggiore e dopo qualche secondo le rispose con la voce impastata dal sonno.


30 «Mi dispiace di averti svegliato, Henry, ma ho bisogno di te.» «Non ti preoccupare, dimmi pure» rispose, trattenendo a stento uno sbadiglio. In effetti, aveva dormito poco più di quattro ore e pregava il cielo che la cosa si risolvesse entro breve per potersene tornare a letto. «Sono due giorni che non ho notizie dei nostri genitori, nonostante papà mi avesse promesso di telefonarmi. Sai bene come sono loro e come sono fatta io; non mi lascerebbero mai impensierire! Temo che sia successo qualcosa e credo sia doveroso andare a verificare. Saresti disposto ad accompagnarmi a Duluth?» «Vuoi partire ora? Sono appena le nove di mattina, non può essere che chiamino più tardi?» «No Henry, non sono disposta ad aspettare oltre. Non te lo so spiegare, ma io sento che è successo qualcosa.» «Fai impensierire anche me. Aspettami, entro una ventina di minuti passo a prenderti.» Alan stava ancora dormendo e lei non aveva nessuna intenzione di svegliarlo. Non voleva impensierirlo più del dovuto. Gli avrebbe lasciato un biglietto sopra il tavolo per spiegargli dov’era andata, cercando di non trasmettergli tutta la sua ansia nel modo in cui l’avrebbe scritto. La giornata si preannunciava piuttosto afosa. Se non fosse stato per la capotte abbassata della Nash Roadster di Henry, il viaggio si sarebbe rivelato ancora più pesante. Nonostante l’uomo cercasse in tutti i modi di alleviare l’ansia della sorella, portandola a discutere di vari argomenti, alla fine si finiva col parlare soltanto dei loro genitori. «Mi ricordo come fosse ieri quando mamma e papà ti hanno portato a casa e presentato a me. Questo è tuo fratello mi dissero, visibilmente emozionati. E io ti ho riservato uno sguardo di sfida, pensando ai giochi che non ti avrei mai permesso di toccare. Presumo che fossi bello già da allora, ma in quel momento ho pensato che non mi piacevi affatto. Con quella giacchettina stretta, con un solo bottone sul petto e i pantaloni che ti arrivavano al ginocchio, ricordo di averti paragonato a una marionetta. Già mi vedevo pronta a tirare i fili per azionarti a mio piacimento. Dopotutto, anche se poco più grande, ero pur sempre la figlia maggiore e, come tale, mi ritenevo la padrona di casa.» «Invece io ricordo che mi sei piaciuta subito. M’intimorivi un po’,


31 perché, anche se ero piccolo, sapevo che stavo per invadere il tuo campo, tuttavia ero certo che avremo legato.» «E così è stato. Grazie anche alla delicatezza e sensibilità dei nostri genitori che in alcun modo hanno dimostrato delle preferenze per l’uno o per l’altro di noi e che sono riusciti a farci vincere la nostra diffidenza iniziale, esortandoci a interagire l’uno con l’altro. Mi sono bastati un paio di giorni per scoprire in te un alleato, anziché un nemico.» «Già, ho capito di averti conquistata quando mi hai concesso di prendere in mano la tua preziosa Polly.» Katharine, per la prima volta in quella mattinata, si mise a ridere, ricordandosi della piccola bambola di pezza dai capelli di lana rosso rubino e l’abitino a quadretti verdi e blu. Quanto l’aveva amata nei due anni precedenti all’arrivo di Henry! Non soltanto aveva costituito il suo gioco preferito, ma l’aveva designata sua amica del cuore, nonché compagna di letto e, all’occorrenza, scaccia fantasmi notturni. Chissà dov’era finita! Con tutta probabilità, conoscendo le abitudini di sua madre di conservare ogni minimo oggetto che poteva preservare qualche buon ricordo, l’avrebbe potuta recuperare in qualche polveroso baule della soffitta. Sua madre! Provò una morsa al cuore e il sorriso che si era fissato sulle labbra scomparve d’improvviso. «Cosa credi possa essere successo, Henry?» «Non ne ho la minima idea e, sinceramente, se non mi avessi trasmesso un po’ della tua ansia, sarei disposto a non pensare al peggio. Dopotutto, se uno dei due si fosse sentito male, l’altro ci avrebbe avvisati, non credi? La probabilità che entrambi siano stati investiti, ad esempio, è molto scarsa e, a ogni modo saremmo stati informati dalle autorità.» «È esattamente ciò che ho pensato io ma, d’altra parte, escludo che entrambi si siano dimenticati di telefonarci. È proprio questa la considerazione che mi mette in allarme!» «Gli anni stanno passando anche per loro. Noi non siamo più i bambini che giocano con Polly e loro hanno raggiunto una certa età. Potrebbe essere che la memoria cominci a fare loro difetto.» «No, questo non può essere. Papà è ancora considerato il miglior giudice della contea e ricorda ogni causa quasi alla lettera e mamma ha la mente lucida di una ragazza.» «A ogni modo, presto sapremo. Tra dieci minuti saremo arrivati.» Infatti dopo l’ultima grande curva, apparve la Clock Tower della Old


32 Central Hight School, che si ergeva, con i suoi mattoni rossi, tra le costruzioni dell’agglomerato urbano. Lasciata la strada principale di London road, presero la North 17th Avenue che li avrebbe condotti al cottage. Più Katharine si avvicinava alla meta, più aveva la percezione che qualcosa di orribile avrebbe sconvolto la sua vita. Quando posteggiarono l’auto davanti al cancelletto della casa, il cuore cominciò a schizzarle nel petto e avvertì un leggero tremore alle mani e alle gambe. «Forza, andiamo a vedere dove sono finiti i nostri vecchi» esortò suo fratello, mentre le apriva la portiera per farla scendere. Lei approfittò della sua vicinanza per afferrargli un braccio e avanzare sorreggendosi a lui. Il timore che provava, agiva da deterrente nel voler conoscere la verità, ciononostante la speranza che ancora posteggiava in un posto recondito del suo cuore, la esortava a esaminare ogni piccolo particolare che le avrebbe rivelato la presenza dei suoi genitori. Osservò il giardino e vide che l’erba era stata tagliata di fresco, però, notò che mancava la rasatura al piccolo appezzamento antistante all’autorimessa, il cui basculante era aperto lasciando in mostra la vecchia Buick Century. Non lo considerò un elemento importante perché dava quasi per certo che l’auto fosse al suo posto, sapendo che i suoi genitori amavano passeggiare. Quando percorsero il breve vialetto che li conduceva sino all’ingresso dell’abitazione, i due fratelli rimasero sorpresi, notando che la porta non era chiusa, ma un bel po’ scostata. «Forse sono usciti per rimanere nei paraggi» ipotizzò Henry, cercando di convincere più sua sorella che se stesso. L’uscio aperto era un indizio che non gli piaceva affatto e il leggero ottimismo che lo aveva accompagnato sino a quel momento lo stava abbandonando. A quel punto Katharine abbandonò le sue ritrosie, e fu mossa da un irrefrenabile desiderio di sapere. Lasciò il braccio di suo fratello e si precipitò all’interno della casa, chiamando a gran voce prima l’uno poi l’altro genitore. L’entrata-soggiorno era abbondantemente illuminata dal sole che filtrava attraverso la sottile tenda che copriva per metà la grande finestra della parete sinistra, e solo in un secondo momento Katharine accertò che era accesa anche la luce.


33 Continuò a chiamare mentre proseguiva verso la cucina e poi salendo le scale, che le avrebbero consentito di perlustrare anche la zona notte. Henry invece si soffermò nella prima stanza, cercando di individuare qualche elemento che gli potesse dimostrare il motivo di un’eventuale uscita improvvisa o, cosa più temibile, forzata. La stanza appariva in perfetto ordine, ma scorse che la finestra era socchiusa e presentava un piccolo squarcio a livello della maniglia. Sembrava chiaro che qualcuno avesse praticato quel foro sulla lastra per accedere alla maniglia e farsi strada all’interno della casa. A questo punto diventava presumibile che coloro i quali vi si erano introdotti in modo così furtivo, potevano essere responsabili della scomparsa dei suoi genitori. Si passò la mano sulla fronte, in un gesto rituale che portava alla riflessione. Come avrebbe potuto comunicare la sua scoperta alla sorella senza che questa andasse in escandescenza? Fece appena in tempo a formulare tale pensiero che sentì l’urlo di Katharine dal piano superiore. Gli bastarono pochi secondi per salire le scale di corsa e trovarsi di fronte alla donna in preda a una crisi isterica. «Henry ecco, vedi che è successo qualcosa! Ora ne abbiamo la certezza! Guarda le lenzuola, sono macchiate di sangue. Oh mio Dio! Uno dei due deve essersi ferito. Dobbiamo andare all’ospedale, subito!» «Calmati, ti prego calmati! Cerchiamo di ragionare un attimo… al piano inferiore ho trovato la finestra manomessa, qualcuno si è introdotto in casa. Poi, vedi? I loro abiti sono appoggiati sulla sedia mentre non c’è la presenza dei pigiami. Se fossero usciti con urgenza, ammesso che uno dei due si fosse sentito male, pensi che non avrebbero indossato nemmeno i vestiti?» «Con questo cosa vuoi dire?» Henry non rispose e si limitò a guardarla con apprensione. Passò solo una manciata di secondi prima che la donna collegasse i fatti per giungere alla stessa conclusione di suo fratello. «Oh mio Dio! Sono stati rapiti!» esclamò, accusando un cedimento alle gambe. Si accasciò sul letto e scoppiò in lacrime, tenendosi la testa tra le mani. «Perché? Perché lo avranno fatto? Non sono tanto ricchi da motivare un rapimento per riscatto. Quale altro motivo può esserci alla base? Una vendetta, forse? Mio Dio! In questo caso potrebbero essere uccisi!» gridò, guardando in volto il fratello per cercare una risposta che lei non


34 sapeva dare. «Dai, non saltiamo alle conclusioni. Non possiamo lasciarci andare allo sconforto. Non sappiamo nemmeno se è successo davvero e comunque, nel caso, dobbiamo attendere e sperare che qualcuno si metta in contatto per farci una richiesta di scambio. Per il momento non ci resta che andare a denunciare la scomparsa.» Per la donna fu molto difficile rimettersi in piedi, ma ritenne che fosse l’unica cosa sensata da fare. Più rapidamente si avvisavano le autorità, quanto prima sarebbero iniziate le ricerche per il loro ritrovamento. Ringraziava il cielo di non essersi recata in quel posto da sola e di avere il supporto fisico e morale di suo fratello. Ammirava la sua lucidità, la sua capacità di concentrazione anche in momenti fortemente destabilizzanti come quelli che stavano vivendo e se ne sentì, anche se pur in minima parte, fortificata. Tuttavia, non riusciva a darsi pace per non essersi sufficientemente allarmata il giorno precedente e per avere dato ascolto agli altri piuttosto che al suo cuore. Aveva concesso un’ulteriore giornata di vantaggio ai presunti rapitori e di sofferenza alle due persone che amava di più al mondo; questo era un dolore aggiunto che difficilmente avrebbe potuto acquietare. Ci vollero non più di quindici minuti per arrivare all’ufficio dello sceriffo; per entrambi i fratelli sembrò un tragitto lunghissimo. La palazzina, piuttosto piccola, era separata dalle altre costruzioni da una recinzione metallica che arrivava all’altezza del primo piano. Si presentava come una piccola fortezza dall’aspetto austero, ma ingentilita dalla presenza di un’area delimitata da una bassa palizzata, in prossimità del suo ingresso, che esibiva una splendida fioritura violacea di numerosi cespugli di cuphea. A Henry tremavano le mani quando suonò il campanello posto sulla grande cancellata. Dopo qualche secondo vide un uomo apparire dalla tendina scostata di una finestra. Subito dopo, un secco suono metallico gli indicò che l’apertura era stata azionata. «Forza, andiamo» disse in un soffio, sospingendo lievemente la sorella che sembrava leggermente stordita. Percorso un breve viale cementato, si trovarono di fronte a un giovane uomo di media statura e di esile corporatura che li invitava a entrare. Lo seguirono lungo uno stretto e semibuio corridoio ed entrarono nella penultima stanza di destra.


35 L’uomo in divisa prese posto alla scrivania con il piano stipato di documenti e, con un gesto della mano indicò agli ospiti di sedere sulle poltroncine posizionate di fronte alla stessa. «Per quale motivo siete qui, signori?» chiese, appoggiando gli avambracci sul tavolo e guardando prima l’uno e poi l’altro volto. «Dobbiamo denunciare la scomparsa dei nostri genitori» rispose Henry. «Da quanto tempo non avete loro notizie e da dove sarebbero scomparsi? Voi non siete del posto, vero?» «No, abitiamo a Minneapolis, ma abbiamo un villino di proprietà in Adam Road. I nostri genitori lo occupavano da giovedì. La stessa mattina ci hanno avvisati dell’arrivo e promesso che ci avrebbero telefonato anche l’indomani. Invece non li abbiamo più sentiti; in sostanza sono due giorni che non abbiamo loro notizie. Ma il peggio è che una finestra è stata rotta e l’abbiamo trovata aperta, segno evidente che qualcuno è entrato in casa. Inoltre, le lenzuola sono macchiate di sangue.» «E il sangue è in grande quantità, oppure piccole macchie? Avete potuto costatare se sia stato rubato qualcosa?» «No, all’apparenza sembra che non manchi nulla, di certo i cassetti non sono stati rovistati, tutto è in ordine. Di sangue non ce n’è molto da far pensare a una grossa ferita, ma più di quanto si potrebbe perdere facendosi la barba, tanto per intenderci.» «Dunque, supponete che siano stati feriti e rapiti. Ne potete immaginare anche il motivo? Il patrimonio di famiglia potrebbe giustificare la richiesta di un riscatto? Oppure, che voi sappiate, potrebbero essersi creati qualche forte inimicizia?» «Il rapimento mi sembra la spiegazione più logica, ma davvero non ne potrei immaginare la ragione» sospirò Katharine, estraendo un fazzoletto dalla borsa per asciugarsi le lacrime e poi rivolgendo lo sguardo al fratello, come se attendesse da lui un suggerimento. «Nostro padre è giudice della contea di Hennepin e la mamma ha praticato come avvocato parecchio tempo fa; si può affermare che siano benestanti, ma ricchi no di certo» aggiunse Henry. «Non ci rimane che attendere che qualcuno vi contatti per un eventuale riscatto. Vi consiglierei di ritornare a casa e di rimanere per qualche giorno in attesa di una telefonata. Dopodiché, se non succederà nulla, avvieremo il procedimento di scomparsa. Ovviamente, nel frattempo, noi faremo le dovute indagini, iniziando da un sopralluogo all’abitazione. Se


36 escludiamo lo scasso alla finestra e il sangue, non vi viene in mente un qualsiasi motivo per un eventuale allontanamento intenzionale?» «No, è assolutamente da escludere. Sappiamo che non avevano alcun tipo di problema e poi amano intensamente la famiglia; non è pensabile che ci possano provocare tanta preoccupazione volontariamente» rispose la donna, con voce tremante ma dal tono fermo, a voler dare maggiore conferma a quanto appena enunciato. Dopo avere fatto qualche telefonata agli ospedali più vicini della zona – tanto per escludere con certezza che nessuno dei due fosse ricoverato – e avere trascritto i dati necessari per avviare la denuncia di scomparsa, lo sceriffo Adam Courtney, in compagnia del suo vice, seguì i due fratelli sino alla casa al lago. I due poliziotti vollero cominciare l’ispezione dalla stanza da letto in cui visionarono accuratamente le chiazze di sangue che imbrattavano le lenzuola. La più vistosa era una macchia del diametro di circa dieci centimetri, la cui forma rotondeggiante poteva far pensare provenisse da una parte del corpo che fosse stata a contatto diretto con la stoffa. A partire da questa, vi erano delle piccole gocce allineate che suggerivano essere cadute dall’alto, dando l’idea che il corpo fosse stato sollevato. Alcune macchioline furono riscontrate anche sul pavimento e segnavano una breve scia sino alla porta. Fecero una sommaria ispezione anche alle altre stanze della casa, soffermandosi in particolar modo in prossimità della finestra. La stessa fu soggetta a uno scrupoloso esame per appurare se presentava qualche impronta evidente, che però non fu riscontrata. Il foro doveva essere stato prodotto da un tagliavetro, poiché la sua circonferenza era regolare e la bordatura netta. A comprova di questo, successivamente, quando passarono all’esterno, rinvennero tra l’erba il cerchio di vetro tolto dalla finestra. Adam lo prese con un fazzoletto, tenendolo sui lati con due dita, per evitare di cancellare eventuali impronte che più tardi i colleghi avrebbero rilevato. Prima di entrare e riporre al sicuro il pezzo di vetro, dette uno sguardo al davanzale in marmo che presentava alcune impronte parziali di calzature; erano orme impolverate della parte anteriore della scarpa, che doveva essere stata liscia, come una normale suola in cuoio. «Le orme sono sovrapposte ma sembrano essere di quattro piedi, questo ci indica che le persone entrate in casa dovrebbero essere state due» commentò lo sceriffo. «Sì, credo tu abbia ragione» disse Jeffrey, abbassandosi a osservare le


37 orme «ma non possiamo essere certi che i due abbiano anche rapito la coppia.» «Al punto in cui siamo, possiamo solo fare delle supposizioni. Ritengo che se le intenzioni dei responsabili dell’effrazione fossero state finalizzate al furto e, ipotizzando il caso che siano stati scoperti dai proprietari, avrebbero potuto agire con violenza, magari anche sopprimendoli, ma quale sarebbe il senso della sparizione dei loro corpi? Si sarebbero limitati a ucciderli per chiudere loro la bocca, senza prendersi la briga di occultarne i cadaveri. Tutto mi lascia pensare che l’intenzione fosse proprio quella del rapimento» disse Adam, arrotolando del tabacco in una cartina per confezionarsi una sigaretta. «Che fai? Non avevi smesso di fumare?» chiese Jeffrey, guardandolo con un leggero disappunto. «Ho resistito due giorni senza questa schifezza. Ma ora mi è venuta una voglia irresistibile» rispose l’altro, aspirando una boccata di fumo con avidità. «Non comprenderò mai questo tuo aspetto. Salutista fino allo stremo, ma con questo viziaccio!» «Che ci vuoi fare, ognuno di noi ha i suoi limiti; la perfezione non è di questo mondo.» «Già, a quanto pare.» «Tornando seri, se sarà appurato che di rapimento si tratta, dovremo soprattutto concentrarci sul movente. Se capiamo quello, sarà più facile scoprire il colpevole. I figli parlano di un discreto patrimonio di famiglia, comunque non ragguardevole al punto da giustificare la richiesta di un riscatto. Teniamo presente che il signor Jason è un giudice con una lunga carriera alle spalle; niente di più probabile che abbia pestato i piedi a qualcuno e che questo si sia voluto vendicare. Potrebbe benissimo trattarsi di qualche ripicca personale, ma pure un modo per impedirgli una sentenza scomoda.» «Hai una fantasia fervida. Io sono un po’ più, come dire… pratico, ecco! Per esempio, solo se trovo un’impronta delle labbra di Tizio su un bicchiere di birra, concludo che Tizio ci ha bevuto, ma non riesco a immaginarlo soltanto perché so che Tizio ama la birra. In questo caso potrebbe essere tutto e non essere niente. Chi mi dice che non sia stato uno dei figli a farli fuori per prendersi l’eredità? Oppure l’amante di lei o di lui che si vuole vendicare per essere stato abbandonato? E che mi dici degli extraterrestri; non potrebbero averli portati a bordo della navicella


38 spaziale per esaminare un paio di esseri umani?» «Tu saresti quello pratico, eh?» sghignazzò Adam, per poi riprendere: «e comunque, se io sono lo sceriffo e tu sei il vice, un motivo ci sarà, che dici?» «Uno dei due doveva pur essere scelto, è solo questione di fortuna» rispose l’altro, con un sorrisetto stampato sulle labbra e facendogli l’occhiolino. Adam lo guardò, ricambiando il sorriso. Sapeva di potersi permettere certe spacconate con Jeffrey, poiché non era un semplice collega, ma soprattutto un grande amico. Diametralmente opposti per carattere e stile di vita, era come se le loro diversità fungessero da collante, anziché dividerli. Sinceri l’uno con l’altro, non trinceravano mai i loro contrasti dietro a un opportuno silenzio. Alcune volte con tatto, altre in maniera più impulsiva, si dicevano ogni volta ciò che all’uno non andava dell’altro e, nonostante questo, soltanto in rari casi si erano creati dei malumori che avevano la durata di qualche ora, al massimo. Adam credeva fermamente nell’amore e nel matrimonio, tant’è che aveva sposato la sua innamorata del liceo e dopo dieci anni di vita in comune non avrebbe voluto essere legato a nessun’altra, nonostante qualche dubbio che ogni tanto lo assillava ma che cacciava il più in fretta possibile. Amava lo sport e lo praticava con costanza, per soddisfare la sua naturale dinamicità, ma anche per mantenere in forma il suo corpo, a cui teneva in maniera quasi maniacale. Per lo stesso motivo, oltre che per salvaguardare la propria salute, controllava la propria alimentazione con scrupolo, concedendosi qualche eccesso solamente in via sporadica. Per contro, Jeffrey era un fervido sostenitore e fruitore di esagerazioni: cibi, bevande e donne, erano per lui i più grandi piaceri della vita e, come tali, non potevano essere soggetti a limitazioni. Dal punto di vista pratico, questa sua filosofia gli aveva procurato un leggero sovrappeso, soprattutto a livello addominale e un numero considerevoli di relazioni amorose, molte delle quali terminate in maniera piuttosto turbolenta, compreso un matrimonio contratto in giovane età. «Avete notato qualcosa che a noi è sfuggito?» chiese loro Henry quando i poliziotti rientrarono in casa. «Niente di particolarmente rilevante. Dalle impronte delle scarpe che hanno lasciato sembra che gli intrusi fossero due, ma nessun’altra


39 traccia, sangue a parte, di cui le analisi ci sapranno dire l’appartenenza. Vi consiglio di fare rientro a casa, qui non c’è nulla che possiate fare. Recatevi al vostro distretto di polizia e denunciate la scomparsa. Poi rimanete vicini al telefono e confidiamo che qualcuno si faccia avanti. Se entro un paio di giorni non ci saranno novità, ci penseremo noi a contattare i colleghi di Minneapolis e avviare un’indagine congiunta.» «Certo, non ci resta nient’altro da fare, anche se sarà molto dura rientrare con questo peso nel cuore. Ritengo sia inutile che vi chieda di tenerci informati di qualsiasi eventuale sviluppo. Sono certo che lo farete.» «È naturale! Anche a voi raccomando di avvisarci immediatamente se vi telefonasse qualcuno, e non esitate a contattarci in qualsiasi momento se disponete di altre informazioni utili. Un particolare, un nome, un semplice sospetto, potrebbero rivelarsi importanti.» «Di sicuro, anzi, l’avviso che mia sorella si farà sentire molto spesso: è fortemente ansiosa ed emotiva e non resisterà molto tempo senza farsi sentire.» «Chi non lo sarebbe in queste circostanze? Non si preoccupi, noi saremo sempre disponibili.» Henry ringraziò i due poliziotti, strinse loro le mani e andò a prendere Katharine che se ne stava seduta in divano, con lo sguardo fisso in un punto indefinito, come in preda a uno stato di trance. «È meglio se torniamo a casa. Dobbiamo essere presenti nel caso qualcuno ci telefoni e dobbiamo anche avvisare Alan.» «Povero Alan! Come reagirà a una notizia del genere?» chiese la donna, che sembrò rianimarsi. «Nello stesso modo in cui abbiamo fatto noi: con stupore, dolore e speranza. Quest’ultima è quanto ci deve supportare durante l’attesa.» «Non ci rimane altro!» sospirò lei, alzandosi, per poi seguire il fratello verso l’uscita.


40

CAPITOLO V

Rimasti soli, i due poliziotti tornarono a ricontrollare l’abitazione con la speranza che qualcosa fosse loro sfuggito alla prima sommaria perlustrazione. Tuttavia, anche un controllo più approfondito non fece emergere più di quanto riscontrato in precedenza, a esclusione delle chiavi dell’auto e del portafogli sia della donna che dell’uomo, custoditi all’interno del cassetto di un comodino. «I soldi non sono stati rubati e i documenti ci sono. Ritengo che si possa scartare definitivamente il furto e anche l’improbabile teoria di un allontanamento volontario dei signori. Già risulta difficile pensarli in fuga a piedi, ma senza alcun documento al seguito mi sembra del tutto inverosimile» disse Adam, dopo avere constatato la presenza della patente, della social security card e della carta di credito all’interno dei portafogli. Usciti all’esterno, si diressero verso l’auto parcheggiata nell’autorimessa. Non che si aspettassero di trovare granché di utile, ma era il caso di non lasciare nulla d’intentato. Le portiere non erano state chiuse a chiave e l’abitacolo era in perfetto ordine. Vi stazzonava un leggero odore di sigaro che il profumatore all’essenza di pino, appeso allo specchietto, non riusciva a confondere del tutto. Jeffrey, preso posto sul sedile del passeggero, aprì il cassettino del porta documenti e cominciò a curiosare tra le numerose carte custodite nel suo interno. Tra il certificato di proprietà del veicolo, le ricevute di pagamento delle assicurazioni, una cartina stradale dello stato del Minnesota e la ricevuta del pagamento di una contravvenzione per divieto di sosta, reperì un biglietto piegato in quattro, leggermente sgualcito e ingiallito. Lo aprì e vi lesse, con una calligrafia lievemente infantile e inclinata verso destra: “Non hai ascoltato i miei precedenti consigli e hai continuato ad assecondare la tua legge. Ora non mi resta che agire nell’unico modo che la mia legge m’impone. Da questo


41 momento comincia a guardarti alle spalle”. «Ehi, guarda qui! Una minaccia in piena regola!» esclamò il vice sceriffo passando il foglio al collega. «Già. Chissà a quale dei due coniugi era rivolta. Entrambi avevano a che fare con la giustizia, anche se la signora, da quanto ha detto il figlio, non lavorava più da un po’ di anni.» «Dalle condizioni in cui si trova il foglio sembra che debba essere passato diverso tempo da quando è stato scritto, dunque potrebbe anche essere stato indirizzato a lei. Tuttavia, il fatto che si trovi nell’auto del giudice, mi farebbe pensare che la minaccia fosse per il marito.» «Quale novità sarebbe questa?» «Di cosa parli?» «Hai appena fatto una supposizione, non credevo ne fossi in grado.» «Ogni tanto succede anche a me e sono il primo a stupirmene» sghignazzò Jeffrey, mettendosi in bocca un chewingum subito dopo. «Vuoi?» chiese al collega, allungandogli la confezione di gomme. «Che senso ha masticare quella roba!» «Che senso ha fumare quella?» chiese di rimando, vedendo Adam che si accendeva un’altra sigaretta, dopo essersi messo in tasca il foglio di carta con la minaccia. L’altro lo guardò con un ghigno, ma senza replicare. Riposti gli incartamenti nello scomparto, andarono a perlustrare il giardino, metro per metro. Nulla. Oltre al pezzo di vetro e alle impronte sul davanzale che avevano precedentemente riscontrato, non vi era altro che potesse servire. Allora, si spostarono sul lato esterno, oltre la recinzione. «Cosa stiamo cercando qui fuori? Speri che uno di loro possa avere perso la patente?» «Non sarebbe la prima volta. Ti ricordi di Johnny Candy?» «Sì, ma quello era un drogato che si sarebbe perso anche la testa se non fosse stata ben salda al collo» ridacchiò Jeffrey. «Guarda, devono avere posteggiato l’auto qui. L’erba è schiacciata è c’è anche il segno lasciato da uno pneumatico su questo tratto di terra. Dirò ai colleghi di fare una foto, sia mai il caso che riuscissimo a identificare il modello dell’auto.» «Dovremmo essere dei maghi» sbuffò Jeffrey, costatando che il perimetro sgombro da erba su cui si delinea la sagoma del battistrada era davvero esiguo.


42 «Nathan è un asso in questo! Ha una conoscenza delle automobili incredibile!» «Speriamo bene!» «Andiamo a sentire se i vicini hanno sentito o visto qualcosa. L’unica casa che sembra abitata è quella» disse Adam, indicando il bungalow situato al lato destro di quello da cui provenivano. Il sole stava picchiando dannatamente e i due poliziotti avevano alcuni punti della divisa talmente sudati che aderivano al corpo. «Non so che darei in questo momento per un bicchiere di limonata fresca.» «Perché, una buona birra ghiacciata la butteresti alle ortiche?» chiese Jeffrey. «L’alcol fa male e le bevande gasate gonfiano lo stomaco.» «Quanto sei noioso con tutte queste fisime. La vita non può essere ridotta a un ammasso di rinunce.» «Ma nemmeno a un ammasso di stravizi.» «Capirai! Se una birra la consideri uno stravizio, come li definiresti i fiumi di alcol che mi scolo durante le mie uscite dei giorni liberi?» «Un biglietto d’ingresso per l’inferno.» «Sei insopportabile!» esclamò Jeffrey, che sbottò a ridere, assestando una pacca sulla spalla dell’amico. Il bungalow dei signori Bailey era identico a quello dei coniugi Fannelli, eccezione fatta per il porticato che si estendeva per metà della sua parte anteriore. All’ombra dello stesso, vi era un signore comodamente sprofondato in una poltroncina da giardino in bambù, rigonfia di cuscini, assorto nella lettura di un libro. Adam premette il campanello del cancello e l’uomo, raggiunto dal suono, alzò la testa e guardò nella direzione dei due poliziotti. Depose il libro sul tavolino e si diresse verso di loro. «Buongiorno, è lei il proprietario dell’immobile?» «Sì, sono io» rispose, guardandoli con espressione interrogativa mentre una donna, uscita dall’abitazione, li stava raggiungendo. «Presumo che sia la casa delle vacanze. Da quanto la sta occupando, signor…» «Sono George Bailey ed è esatto, questo è il bungalow che uso per la villeggiatura. Sono arrivato da una decina di giorni. Perché queste domande?» «Volevamo sapere se avevate visto i vostri vicini, i signori Fannelli.»


43 «Sì, li ho visti quando sono arrivati, quando è stato Anne?» «L’altro ieri» rispose la donna. «Sì, esatto. Ci siamo salutati, ma solo da lontano, alzando la mano. Non ci ho nemmeno parlato, non siamo in grande confidenza.» «E poi? Li avete più visti?» «Ho rivisto solo Jason mentre tagliava l’erba del prato, mi sembra che fosse nel primo pomeriggio dello stesso giorno. Sì, è così. Sono passato in auto con mia moglie per andare a fare la spesa. E poi anche al ritorno era sempre affaccendato con il tosaerba. Invece ieri no, non ho proprio visto nessuno. E tu Anne?» «No, ora che mi fai riflettere, non ho visto nessuno dei due.» «Siete certi di questo?» «Sì, ne sono certo. In verità li ho anche pensati e ho immaginato che fossero andati a pescare. So che lui è un grande appassionato di pesca e la moglie lo accompagna sempre.» «Per caso, l’altro ieri, magari in tarda serata o durante la notte, avete notato qualche strano movimento nella loro abitazione? Sentito qualche rumore insolito?» «No, niente. In verità io e Anne la sera rientriamo piuttosto presto. Questa è una zona abbastanza tranquilla, ma siamo un po’ isolati, non ci fidiamo molto» rispose George, mentre la moglie annuiva. «Ma è successo qualcosa?» chiese poi quest’ultima. «Non si hanno più loro notizie dall’altro ieri, per l’appunto.» «Oh! Santo cielo! Cosa può essere capitato?» «Magari sono andati a fare una gita da qualche parte» minimizzò il marito, non conoscendo tutti i dettagli del caso. «Certo, confidiamo che tutto si risolva felicemente, ma intanto era nostro dovere prendere qualche informazione. Vi ringrazio per la disponibilità. Buona giornata» tagliò corto Adam, che non riteneva fosse il caso di metterli in allarme. Dopo essersi sufficientemente allontanati, Jeffrey disse: «Speriamo solo che non si tratti di qualche maniaco che si diverte ad ammazzare coppiette sole e attempate, altrimenti anche i Bailey potrebbero essere dei candidati perfetti.» «Ci manca solo il serial killer, mangiati un chewingum e sta’ zitto» commentò Adam, tra il divertito e il risentito, per poi continuare «da quanto ci hanno detto, sembrerebbe che il presunto rapimento sia avvenuto lo stesso giorno del loro arrivo, probabilmente la sera o la


44 notte. A meno che non vogliamo credere a una dannata coincidenza, dev’essere stata opera di qualcuno che li conosceva bene ed era informato delle loro mosse.» «Ma perché avrebbero atteso di rapirli in vacanza? Non potevano tendergli un agguato nella loro città?» «Quale miglior posto di questo per un rapimento? È isolato, c’è pochissimo via vai di gente e i due coniugi erano soli. Ci riuscirebbe anche un bambino.» «Dunque, se escludiamo la teoria del maniaco locale e diamo credito alla tua, questa è gente che dev’essere venuta dalla loro città e, per l’appunto, ha aspettato il momento e il luogo giusto per colpire, considerate le scarse possibilità di avere testimoni oculari.» «Ti stai facendo un po’ troppo sveglio. Non è che vuoi soffiarmi il posto?» chiese Adam, guardando il collega da sopra gli occhiali da sole che aveva indossato da poco. «Per cosa? Qualche dollaro in più e una montagna di responsabilità? No grazie. Da questo momento cercherò di tornare alla mia naturale ottusità.» «Però attento a non regredire, altrimenti non mi resta che assegnarti alla mansione di dattilografo per i verbali.» «Non credo ti converrebbe, con le mie dita a salsicciotto sai gli errori!» Risero entrambi, mentre salivano sulla loro auto di servizio per fare ritorno all’ufficio. Fatti pochi metri, per scrupolo, si fermarono davanti al cancello della casa sul lato sinistro di quella dei Fannelli. Gli infissi erano serrati e il giardino si presentava in evidente stato di abbandono. Jeffrey andò a suonare al campanello, dopo un paio di secondi lo suonò un’altra volta e non ricevendo alcuna risposta, fece ritorno all’auto e si riaccomodò nel suo sedile. «È evidente che non ci sia nessuno» commentò. «Riproveremo quando torneremo con i colleghi, ma da come si presenta l’abitazione pare che sia disabitata da un bel po’. Per non lasciare nulla d’intentato proveremo a sentire anche gli occupanti degli altri bungalow, anche se sono talmente lontani che dubito qualcuno possa avere visto o sentito qualcosa. Mi sa che con i Bailey ci siamo già giocati la possibilità di avere dei testimoni.»


INDICE

CAPITOLO I .................................................................................. 3 CAPITOLO II ............................................................................... 10 CAPITOLO III .............................................................................. 18 CAPITOLO IV ............................................................................. 26 CAPITOLO V ............................................................................... 40 CAPITOLO VI ............................................................................. 49 CAPITOLO VII ............................................................................ 57 CAPITOLO VIII ........................................................................... 70 CAPITOLO IX ............................................................................. 80 CAPITOLO X ............................................................................... 94 CAPITOLO XI ........................................................................... 104 CAPITOLO XII .......................................................................... 112 CAPITOLO XIII ......................................................................... 122 CAPITOLO XIV......................................................................... 134 CAPITOLO XV .......................................................................... 141 CAPITOLO XVI......................................................................... 148 CAPITOLO XVII ....................................................................... 158 CAPITOLO XVIII ...................................................................... 166 CAPITOLO IXX......................................................................... 176 CAPITOLO XX .......................................................................... 182 CAPITOLO XXI......................................................................... 188 CAPITOLO XXII ....................................................................... 195 CAPITOLO XXIII ...................................................................... 201 CAPITOLO XXIV ...................................................................... 206



AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Seconda edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2019) www.0111edizioni.com

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