Gale Crater - indagine su Marte, Roberto Ricci Petitoni

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GALECRATER INDAGINESUMARTE

ROBERTORICCIPETITONI
ZeroUnoUndiciEdizioni

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GALECRATERINDAGINESUMARTE

Copyright©2023ZerounoundiciEdizioni

ISBN:978-88-9370-606-3

Copertina: Immagine Shutterstock.com

PrimaedizioneAprile2023

Non era stato semplice fare indossare a Lyra la tuta per uscire dalla navicella, e neppure spostarsi sulla superficie marziana fino a raggiungere un luogo al riparo dall’imminente esplosione del veicolo spaziale.

Eloy e Lyra si erano messi al sicuro dietro una grande massa rocciosa. Seduta e dolorante, Lyra cercò di pensare al suo maestro buddhista, nel tentativo di scacciare le sue elucubrazioni da quel contesto. Si passò la mano sul collo, e quindi sul petto, per cercare l’omamori che portava sempre con sé come portafortuna.

Si rese conto di non averlo più; glielo aveva donato il suo maestro. Un brutto presagio le offuscò la mente.

«Lyra, come ti senti?»

Lei non rispose. Constatata l’assenza dell’omamori, tornò con il ricordo al giardino zen di Londra che frequentava abitualmente per rischiararsi le idee. Seguiva le linee ondulate, incise sulla sabbia grossolana, che circondavano le rocce nere. La materia oscura che circondava le galassie. Linee di energia alle quali avrebbe voluto attingere a piene mani in quel momento.

«Lyra, mi senti?»

Un’esplosione avvenne apoca distanza, ma la roccia fece il suo dovere.

«Sì, scusa.» Lyra si scosse e tornò alla realtà. «Ora che si fa?» chiese con unfilo di voce.

«Sta arrivando Jerome. Speriamo che si sbrighi.»

5
PROLOGO

CAPITOLOI

Isaac Kent, anno 2066

Arrivo a bordo della iss-4

Abbracciare con lo sguardo l’intero globo terrestre, indusse in Isaac un lieve stato di ebbrezza. Si sentiva come un angelo che si librava sopra il pianeta.

“La Terra è unica” pensò. “Per quanto ne sappiamo, non esiste nulla di paragonabile in tutto il resto del cosmo”.

Esisteva un rituale, che era necessario rispettare per rendere un viaggio nello spazio indimenticabile: mettersi davanti al primo finestrino disponibile e osservarela Terra. La vista dallo spazio del pianetaazzurro eracosìemozionantedatogliereilfiato.

Isaac e Pierre Maxime non erano venuti meno a quel rituale. Dopo le presentazioni con l’equipaggio in servizio sulla ISS-4, si erano spinti, librandosinell’aria,finoallacupoladiosservazione.

Isaac aveva rischiato di andare a sbattere contro una parete, dimostrando unadimestichezzaconlamicrogravitàancoradaaffinare. Guardando la Terra, si notava il contrasto con il buio che la circondava. Era naturale in quella situazione porsi la domanda, poco originale ma inevitabile, sull’origine della vita, la scintilla che aveva dato inizio all’evoluzionebiologicasulpianetaazzurro.

L’universo appariva freddo e inerte, composto per il 99,9 percento da atomi di idrogeno ed elio, mentre negli organismi viventi erano prevalenticarbonio,azotoeossigeno.

Isaacconoscevagiàlarispostaaquelquesito.

La nostra esistenza era il risultato dell’azione della forza di gravità, che aveva consentito la creazione di stelle di grandi dimensioni, che al momento del loro collasso avevano generato gli elementi chimici indispensabiliperilsorgeredellavita.

Noi venivamo da lì. Miliardi di anni dopo avevamo conquistato il piccolo pianeta azzurro, che orbitava attorno al Sole, e attorno al quale orbitavaorala ISS-4.

Isaac osservava quelle incredibili formazioni urbane chiamate città che, viste dallo spazio, presentavano un’estetica quasi biologica: grandi neuroniluminosicheemergevanodalbuiodellanotteterrestre.

Aveva già avuto modo di ammirare e fotografare New York, la sua città, da quell’insolito punto di osservazione durante una precedente missione sulla ISS-3, la Stazione Spaziale Internazionale che ancora operava su un’orbitadiversarispettoalla ISS-4.L’immagine dellacittàavevatrovato spazionellivingdelsuoappartamentoaBrooklyn.

Sapeva che l’impegno per la sua nuova missione non sarebbe stato di brevedurata.

Per lui e il suo collega d’indagine, Pierre Maxime, la permanenza sulla ISS-4 rappresentava solo la prima tappa di un lungo viaggio che li avrebbeportatifinoaMarte.

Isaac Kent aveva cinquantasei anni, e da oltre venti era un investigatore della Polizia Interplanetaria per conto del macrostato Nordamericano.

Pierre Maxime Lambert, originario del sud della Francia, quarantadue anni,erainserviziodapocopiùdidiecipercontodell’UnioneEuropea.

I due avevano all’attivo brevi missioni su stazioni orbitali, e solo Pierre Maxime aveva avuto occasione di andare oltre, mettendo piede sul suolo lunareaseguitodiunincidenteaccadutoinunaminieradielio-3.

Le missioni nello spazio degli investigatori della Polizia Interplanetaria erano rare, poiché la maggior parte delle indagini potevano essere svolte sullaTerra.

I casi più frequenti, che riguardavano incidenti nelle miniere lunari o sugli asteroidi, oltre alle dispute legali conseguenti agli scontri tra satelliti, erano risolti con l’analisi delle documentazioni disponibili, e conl’aiutodell’IntelligenzaArtificiale.

Questa volta, Isaac Kent e Pierre Maxime Lambert si sarebbero dovuti occuparediuncasopiùcomplesso.

Lyra Kumar, una giornalista della European News Agency, ENA, era decedutainuntragicoincidenteduranteilrientroallabaseinternazionale di Xhante Terra su Marte. Si stava occupando degli affari di un’importantecorporationdell’industriaminerariainterplanetaria. Lasuaprematurascomparsaavevaspintol’ENA arichiederel’aperturadi un’indaginesull’accaduto.

Dalla denuncia da parte della agenzia giornalistica, all’avvio della missione investigativa di Isaac e Pierre Maxime, erano già passati quasi due anni, necessari ad avviare le procedure burocratiche e completare la preparazione fisica degli investigatori per affrontare un ambiente ostile qualelospazio.

La permanenza in condizioni di microgravità sollevava problemi in apparenza banali,che potevanoperòassumereiconnotati diunatragedia senonaffrontaticonun’adeguatapreparazione.

Non ultimo, tra i fattori che avevano allungato i tempi della missione, quellodicoglierelamigliorefinestraspazio-temporaleperraggiungereil pianetarosso,chesipresentavaognidueannicirca.

Isaac fece qualche foto dalla cupola proprio mentre sorvolavano la costa atlantica del Nord America, e ne mostrò gli ingrandimenti a Pierre Maxime.

Aveva fissatoalcentrodella scenal’isoladiManhattan,dove eravisibile il lungo rettangolo scuro di Central Park, mentre vicino era ben riconoscibile Brooklyn, dove si trovava casa sua. Le luci della città permettevanodiriconoscereperfettamenteleformedeiquartieri.

Dalle fotografie s’intravedevano anche le luci che delineavano le opere di ingegneria idraulica costruite per proteggere la metropoli dall’innalzamento del livello del mare, avvenuto in seguito ai cambiamenti climatici che avevano interessato la Terra negli ultimi decenni.

«New York è affascinante vista da qui, ma anche Parigi non è male» sorrisePierreMaxime.

«Parigi è bella vista in ogni modo» replicò Isaac, sorridendo a sua volta alcollegafrancese.

Lo pensava davvero. Adorava quella città, che aveva visitato più volte e che apprezzava peril suoaspetto, una miscelabenriuscita di architettura anticae moderna,che grazie alla distanza dalla costa non aveva subìto le conseguenzedirettedell’innalzamentodellivellodelmare.

Gli esseri umani non avevano più sperimentato mutamenti climatici di quellaportatadall’ultimaeraglaciale,diecimilaanniprima.

Il fenomeno questa volta non aveva interessato solo pochi milioni di cacciatori e raccoglitori sull’intero pianeta, ma circa dodici miliardi di abitanti che vivevano in prevalenza all’interno di megalopoli, la cui sopravvivenza dipendeva dallo sviluppo esponenziale della tecnologia, impiegataperrimediareaidanniecologiciprovocatidalleloroattività.

I mutamenti ambientali erano stati tali da indurre il genere umano a rivederela propria organizzazione,compresealcuneposizioni filosofiche e religiose che erano risultate obsolete e inadeguate a evitare il collasso dellaciviltà.

Tutte le grandi città costiere avevano sostenuto ingenti spese per la realizzazione di opere di protezione, ridisegnando in alcuni casi persino lapropriatopografia.

Lo stesso valeva per interi Paesi che avevano ridiscusso – per poter sopravvivere–lalorocollocazionepolitica.

Il Bangladesh si era, ad esempio, unito alla Nuova Federazione Indiana, superandolaprecedentedivisionedovutaaproblemiculturaliereligiosi.

La nuova struttura politica planetaria si era riorganizzata in venti macrostati, che trovavano nell’ONU l’arbitro internazionale delle loro dispute.

Il modello organizzativo degli Stati che aveva trionfato, per scongiurare o quantomeno ridurre le possibilità di crisi e conflitti, era stato quello delle società tecnocratiche. I precursori erano alcuni piccoli Paesi e megalopoli che avevano investito ingenti risorse in innovazione e istruzione per i propri cittadini. Svizzera, Paesi Bassi e Danimarca in Europa, Corea, Singapore, Tokio e Shangai in Asia, New York, San Francisco e Vancouver nel Nord America, avevano dato l’esempio che erastatoseguitodaimacrostati.

Era stata proprio la tecnocrazia newyorkese, ricordava Isaac, a riorganizzare la città, con l’aiuto tecnico degli olandesi che l’avevano fondataqualchesecoloprima.

L’Olocene era terminato da tempo, e ora si era in pieno Antropocene, la nuova era geologica caratterizzata dalla massiccia influenza dell’uomo sulpianetaTerra.

Lo sfruttamento delle risorse naturali, l’inquinamento, l’urbanizzazione dilagante, i nuovi metodi di coltivazione e la tecnologia, avevano talmente modificato l’aspetto del pianeta da meritare una nuova definizionegeologica.

A partire dall’anno 2000, l’azione dell’uomo aveva subìto una ulteriore accelerazione, e nel 2066 l’essere umano, in tutte le sue nuove forme, classico, geneticamente modificato o cyborg che fosse, riconosceva ormaiapienotitolosestessocomeunagentegeologico.

«Appena smaltita la fatica del viaggio, dovremo concentrarci sul caso.»

Pierre Maxime si riferiva al volo che dalla base di lancio sulla Terra,

nella Guyanaexfrancese ora ribattezzata europea,avevanopercorsofino alla ISS-4.

Isaac aveva ancora impresse le sensazioni poco piacevoli della partenza dalla superficie terrestre quando, per qualche minuto dopo il lancio del razzo, l’accelerazione era stata così potente che la sua vista si era annebbiata a causa dell’appiattimento delle cornee.Raggiunta la velocità di quarantamila chilometri l’ora, la combustione si era interrotta perché finalmenteeranoliberidall’attrazioneterrestre.

Solo dopo essere rimasta in orbita intorno alla Terra, a ventottomila chilometri l’oraper alcuneore,la navicellache li aveva trasportati aveva completatolemanovrediattraccoalla ISS-4.

«Ti senti bene?»Pierre Maxime aveva notato un certo pallore sul viso di Isaac,accompagnatodaunasmorfiadimalessere.

«Sì, la solita nausea, ma ora va meglio» lo rassicurò. «Tutto questo galleggiare nel vuoto non credo faccia bene al mio stomaco» continuò l’americano, mentre osservava l’incredibile densità di apparecchiature e cavichetappezzavanoleparetiinternedella ISS-4.

«Ti ci abituerai. Comunque anch’io ho un po’ di nausea, è inevitabile. Siamo abituati a stare a testa in su e con i piedi ben poggiati per terra.»

Pierre Maxime muoveva mani e piedi mimando un’improbabile nuotata nelvuoto.

Isaac annuì, poi domandò: «Il meglio, immagino, deve ancora venire. A proposito,com’èl’ambientelunarecheciaspettatraunasettimana?»

«In sintesi ti posso dire che se qui sulla ISS-4 si galleggia, sulla Luna si saltella,cercandodinonfarsiarrostiredairaggicosmici»glisorrise.

Isaac aveva compreso subito che il collega francese amava apparire ironico. Era alla sua prima missione con Pierre Maxime, e fino ad allora lo conosceva solo di vista e per la sua famosa professionalità. Nella vita privata aveva fama di essere un inguaribile seduttore. Correvano voci cheavessetentatodiconquistareancheilcuoredialcuneastronaute.

“Certo è più giovane di me, capelli neri, fisico ben allenato, modi gentili e accattivanti, un viso che piace alle donne” rifletté Isaac, come per giustificare la sensazione d’inadeguatezza che non lo aveva mai abbandonatodaquandolamogliel’avevalasciatoanniprima.

Pensò anche al suo aspetto, i capelli oramai grigi, il viso asciutto, e alla sua espressione più caratteristica, che lui stesso autodefiniva “ingessata” e poco incline a sorrisi spontanei che non fossero di semplice

circostanza. Soloil corpoallenato poteva reggere il confronto con quello delfrancese.

Immaginava che anche Pierre Maxime avesse informazioni che lo riguardavano. Era inevitabile documentarsi sul collega con il quale ci si apprestava a una missione di quel genere. Il caso Lyra Kumar sarebbe stato il banco di prova della loro collaborazione, dalla quale sarebbe potuta scaturire una futura amicizia, oppure un più modesto “arrivederci egrazie”.

«Domani alle 08:00 dobbiamo metterci al lavoro, è meglio andare a riposare un po’.» Le parole dell’europeo interruppero le riflessioni di Isaac.

Isaac fece una smorfia. «Certo che riferirsi a un’ora precisa sembra strano, visto che la ISS-4 completa quindici orbite attorno alla Terra ogni giorno»commentò,allontanandosidallacupolaassiemealcollega.

Il fuso orario che tutte le stazioni orbitanti avevano da sempre adottato era quello di Greenwich. Avere un fuso orario era fondamentale per mantenere una routine quotidiana a bordo delle stazioni spaziali. Le maggiori nazioni partecipanti al programma ISS fin dai suoi esordi – gli allora USA, Russia, Europa, Giappone e Canada – avevano di comune accordodecisodiadottareproprioquello,facendouncompromesso.

Il corpo umano aveva una naturale percezione del tempo, il ritmo circadiano, che non solo dettava i tempi di quando si era stanchi o all’erta, ma anche altre funzioni corporee fondamentali; fisiche, come la temperatura o la digestione; e mentali, come le abilità cognitive e di concentrazione.

Per questa ragione il jet lag poteva avere effetti fastidiosi, anche se temporanei.

«Speriamo che i mesi trascorsi a prepararci alla missione diano i loro frutti»commentòPierreMaxime,allargandoleggermentelemani.

«Già, con tutti quegli esami e la quarantena! Ora che ci troviamo sospesi nellospazio,dobbiamoregolarelenostreattivitàcorporeeecognitivesul fusoorariodiGreenwich»disseIsaac.

Pierre Maxime inarcò un sopracciglio. «E provare appieno lo sconvolgimento circadiano che ci costringerà ad adeguarci all’orario degliinglesi.»

Isaacguardòdisbiecoilcollega.

«Stavo scherzando, naturalmente» si affrettò ad aggiungere Pierre Maxime.

«Ecco i nostri ospiti!» esclamò Isaac, vedendo avvicinarsi un membro dell’equipaggio.

L’accoglienza calorosa dell’equipaggio della ISS-4 li aveva fatti sentire più tranquilli rispetto alle inevitabili difficoltà del vivere quotidiano in condizioni di microgravità: se quegli uomini e donne riuscivano a vivere chiusi per alcuni mesi dentro una grande “scatola di latta” sofisticata, orbitante attorno alla Terra, potevano ben farlo anche loro per una settimana.

«Ho sentito che parlavate di ritmo circadiano» iniziò David Nash, uno dei due nordamericani presenti nella ISS-4 al loro arrivo. «Come saprete, è molto sensibile alla luce,perchéregolala nostra percezionedeltempo» continuò. «La maggior sfida nello spazio è quella di ricreare l’equivalente di una giornata terrestre, tenendo conto dei frequenti cicli giorno e notte.» Il largo sorriso dai denti bianchissimi dell’astronauta trasmettevabuonumore.

«Sì,celohannospiegatoalcorso»confermòIsaac.

«Molto bene! Quindi, come già saprete, i cicli durano solo novanta minuti, a causa delle quasi sedici orbite che percorriamo attorno alla Terranelcorsodiun giornoterrestre»continuòDavid,lacui espressione manifestaval’entusiasmoditrovarsinellospazioperlaterzavolta.

«Certo vi apparirà bizzarro avere il coffe break alle 11:00 mentre sorvoliamo la Cina, e spazzolarvi i denti alla “sera” mentre sorvoliamo l’Europa in pieno giorno.»David era un fiume in piena. «Vi consiglio di non guardare troppo spesso fuori dalle cupole di osservazione durante i momenti di riposo, il massivo influsso dei raggi ultravioletti può bloccarelaproduzionedimelatonina,l’ormonedelsonno.»

Lasua generositàdispiegazioniera probabilmente dovuta all’isolamento alqualeeranocostrettigliastronautidellastazione,pensòIsaac.

«Quando è ora, bisogna ritirarsi nella propria nicchia e cercare di riposare.»

«Sì,certo,oraandiamo»annuìIsaac.

«Se non le avete, abbiamo bende per gli occhi e tappi per le orecchie adatti per ridurre il continuo e fastidioso rumore di fondo all’interno della stazione spaziale» aggiunse David, mentre si stava avvicinando un altro membro dell’equipaggio dal capo, completamente calvo e con un pizzettobrizzolato.

«La quiete celeste non alberga in questo luogo» sorrise loro Leonardo Cassini, l’astronauta italiano che assieme a David aveva dato il

benvenuto ai nuovi arrivati e che, oltre a Isaac e Pierre Maxime, comprendevanoitreastronautiperilcambioditurno:unnordamericano, unrussoeunindiano.

«Ma se avrete occasione di fare una passeggiata all’esterno, allora proverete il silenzio assoluto, infinito. Fuori da qui, ogni suono si estingue»continuòLeonardo.

«Le onde sonore all’esterno non sono più percepibili dall’orecchio umano»intervenneDavid.

Leonardoannuìesorrise,poiguardòIsaacePierre Maxime. «Sonocerto che i nostri ospiti vorranno riposare. Prego, signori, da questa parte.» Li invitòconuncennodellamanoaseguirlonellazonanottedellanave.

Idueaccolseroconunsospirodisollievol’invitodell’italiano. Nellasettimanadi permanenzaabordodella ISS-4,inattesa della navetta che li avrebbe portati sulla Luna, i due investigatori avrebbero avuto l’occasione diabituarsi alle condizioni di microgravitàin vista del futuro viaggioversoMarte,chesarebbeduratoquarantagiorni.

L’equipaggio a bordo della ISS-4 era provvisoriamente formato da tre nordamericani, tre russi, un europeo, un giapponese e un indiano, Rajiv Chandra,cheliavrebbeaccompagnatifinoalloSpaceportlunare.

Isaac e Pierre Maxime sapevano che per una buona permanenza a bordo avrebbero dovuto seguire poche ma essenziali regole: mantenere ritmi regolari, consumare i pasti assieme all’equipaggio, fare esercizio fisico quotidianoe goderedel sistema d’illuminazioneregolato inmodotale da modularsi, variando la propria frequenza, a seconda del momento della giornata.

Non restava che godersi qualche giorno di permanenza dentro quella grandeecostosa“scatola”inorbitaattornoallaTerra.

CAPITOLO2

Lyra Kumar, anno 2064

1 – Lussemburgo

Quando avevo accettato di occuparmi del caso Martin Lewis e della 4ASC per conto dell’European News Agency, ero ben consapevole dell’importanza dell’indagine giornalistica e dei rischi che avrei corso. Gli interessi economici dell’impero di Lewis si sviluppavano su scala interplanetaria.

Mentre sulla Terra le risorse minerarie naturali andavano incontro a un rapido esaurimento, si era reso necessario sfruttare quelle degli asteroidi edellaLuna.

I primi rappresentavano dei veri e propri serbatoi di risorse minerali, semprepiùdifficili dareperiresul nostropianeta,e potevanoripagare gli investimenti che alcune società private facevano da anni. La nuova industria dello spazio era stata favorita dall’abbattimento consistente dei costi di lancio dei razzi, che trasportavano all’andata le attrezzature necessariealloscopo,ealritornoipreziosicarichidiminerali.

La 4ASC era divenuta la più importante corporation di sfruttamento minerario spaziale e aveva trovato, grazie alle indubbie capacità imprenditoriali del suo fondatore Martin Lewis, molti investitori desiderosidiguadagnaredallesueattività.

Dopo essermi documentata tramite la banca dati della ENA, avevo concordato conla mia agenzia di affrontareunamissione chemiavrebbe condottasuMarteperincontraredipersonailcapodella4ASC.

Prima di cimentarmi nel mio primo viaggio spaziale, ero però intenzionata a far visita alla sede terrestre della società di Lewis, situata nelcuoredell’Europa,inLussemburgo.

La4ASC,come altresocietàdelsettore,avevaunasede legaleinunodei piccoliStaticonsideratifiscalmenteamici.

Lewis aveva scelto il Lussemburgo perché, pur essendo parte integrante dell’Unione Europea, continuava da decenni a mantenere un certo dinamismo fiscale autonomo, molto vantaggioso per le corporation internazionali.

Il piccolo granducato era stato uno dei primi a lanciarsi nel nuovo business e contava un numero ragguardevole di joint-venture e partnershipconsocietàeagenziespazialidituttoilmondo.

I pragmatici governanti del granducato avevano stretto rapporti economici con l’European Space Agency, l’agenzia spaziale giapponese JAXA e alcune società private nipponiche, oltre ad avere buoni rapporti con la Cina, con l’Unione Araba e alcune corporation americane tra le qualila4ASC.

Avevo visionato tutti i documenti che testimoniavano quell’epopea che, partita dal lancio di piccoli satelliti allo scopo d’individuare gli asteroidi più promettenti, si era poi evoluta nello sfruttamento di alcuni di quei frammenti diroccia,nontrascurandole miniere sullaLunae spingendosi finoaMarte.

In un pianeta dominato, sia da un punto di vista politico sia economico, da alcuni macrostati come l’Unione Nord Americana, l’Unione Europea, la Nuova Federazione Russa, la Cina, l’India, la Federazione Sudamericana, l’Unione Araba e altri ancora, lo spazio di manovra per entità indipendenti come la Svizzera o Singapore o in parte autonome comeilLussemburgo,noneraaffattoscomparso.

Martin Lewis aveva acquistato nel piccolo granducato il castello di Viandenperfarnelasedelegaledellasuasocietà. Non sapevo cosa avrei scoperto, ma era comunque opportuno fare tappa in quelpiccolo Stato così densodiaffari,trale cuimaglie legali vi era di certo posto anche per qualche intrigo internazionale o addirittura interplanetario.

2 – Il castello di Vianden

Ero giunta a Vianden, da Londra, con un’auto a levitazione magnetica. Si trattava di un modello semisferico, ricoperto di vetro trasparente, dotatodiportescorrevoli,aguidaautonomaeconcomandivocali.

Il castello di Vianden spuntò dal bosco con i suoi tetti a punta e con la moleimponente,essendounodeipiùgrandicastellifortificatiaovestdel

fiumeReno.

Attivai le lenti a contatto connesse alla Rete per ottenere le informazioni disponibili sulla sede della 4ASC. Si trattava di notizie sull’origine dell’edificio, sulla sua storia e quella dei diversi proprietari che si erano succedutineltempo,manientedirilevanteaifinidellamiaindagine.

L’origine dellafortificazione era romana,una guarnigione dell’Imperovi si erainstallata già nel IV secolo. Icarolingi avevanoin seguitoampliato la struttura, ma fu solo a partire dall’XI secolo che prese avvio la costruzionediunveroepropriocastello.

Si susseguirono varie vicende dinastiche, con relativi passaggi di proprietà fino alla vendita allo Stato lussemburghese nel 1977 e all’acquistodapartedella4ASCnel2039.

Osservai la linea delle mura, dei tetti aguzzi e delle torri circolari il cui apiceeracosìappuntitochesembravavolerforareilcielo.

A breve sarei entrata in quell’edificio tanto antico, contrastante con la modernitàdell’aziendacheospitava.

Adattendermic’eralafigliadelfondatore,AbigailLewis.

Quel giorno, lì in Lussemburgo, non mi aspettavo certo di fare grossi passi avanti con le indagini, ma era mio dovere di giornalista prendere contatto diretto con l’oggetto sul quale la European News Agency aveva decisod’indagare.

Daiprimidocumenticheeroriuscitaaconsultare,sisospettavanoattività illegali della 4ASC, tra le quali affari commerciali poco chiari con la Cina, portati avanti anche con mezzi illeciti che potevano comprendere lacorruzionenellamiglioredelleipotesi.

La compagnia mineraria era di dimensioni tali che non avrebbe avuto grossi problemi a corrompere qualche politico influente per proteggere i propriprofitti.

Atterrai con l’auto su una delle apposite piattaforme predisposte all’esternodelcastello.

Appena entrata nell’edificio, ebbi la netta sensazione che fossero gli androidi, piuttosto che gli esseri umani, a essere in maggioranza. Si trattava di dispositivi di ultima generazione, dotati d’intelligenza artificiale, anche se non ancora paragonabile a quella degli esseri umani. Il loro aspetto esterno,lucido e luminoso,poteva per certi versi ricordare learmaturemetallichedeicavalierimedioevali.

L’androide che mi accolse all’entrata del castello, DG432, mi accompagnò per un lungo corridoio dominato da archi gotici fino a

giungere di fronte a una grande porta che a prima vista sembrava di legno.

Ero di fronte all’ufficio di Abigail Lewis, e l’androide comunicò la nostra presenza tramite un dispositivo di comunicazione interno. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione a farci entrare, la porta si aprì in automatico,rivelandolasuaanimainacciaio.

Abigail era in piedi dietro la scrivania, carnagione lattea, le labbra abbozzateinunfalsosorrisodibenvenuto.

Percepii un senso di disagio. Il freddo viso della figlia di Lewis mi ricordava quello di un androide, dotato di due occhi azzurri lucidi come duebigliedivetro.

Inunprimo momentopensai chelastranasensazionecheprovaiversodi lei,fosse dovutaal nettocontrastofrailnostroaspetto:lamiacarnagione scuraegliocchicastani,oltreaicapelliriccieneri,eranoinnettaantitesi conquellibiondoplatinoraccoltiinunelegantechignondiAbigail.

Guardandomi attorno, non mancai di notare lo scarno arredamento moderno inserito in una stanza medievale rinascimentale, dominata dal grande camino e un enorme tavolo in legno scuro massiccio vecchio di secoli,innettocontrastocontuttoilresto.

Probabilmentevenivausatoperleriunionitraleieilsuostaff.

Tuttavia, in quel contesto gli intrusi sembravano la Lewis e la sua scrivania.

Abigail era nordamericana, ma aveva passato quasi tutta la sua vita in Europa. Si era laureata, come me, alla International Space University di Strasburgo e viveva da anni in Lussemburgo, dove gestiva le attività economiche della 4ASC sulla Terra per conto del padre, da quando quest’ultimosieratrasferitosuMarte.

La fame di risorse minerarie dei terrestri aveva alimentato il potere economico e politico della 4ASC: uranio, torio, potassio, titanio, alluminio, silicio, ossigeno, platino, palladio, osmio, iridio oltre al preziosissimo elio-3 lunare, sono estratti dalla 4ASC in giro per il Sistema Solare. Tutti elementi chimici necessari a far funzionare la società umana, satura di dispositivi tecnologici sempre più complessi e affamatadielementichimicisemprepiùrari.

Il padre di Abigail era stato un pioniere nello sfruttamento della regolite lunare, il suolo risultato dell’azione dei raggi cosmici e solari oltre che del vento solare che, colpendo la superficie lunare, favorivano la

formazionedielio-3,l’insostituibilecombustibileimpiegatonelprocesso difissionenucleare.

Le nuove centrali a fissione costituivano una fonte energetica di enorme importanza per l’umanità, perché in cambio non producevano scarti radioattivi.

L’attività estrattiva interplanetaria era regolata dal Trattato dello Spazio Esterno, che regolava i rapporti tra gli Stati e società private. Un’apposita commissione dell’ONU rilasciava le autorizzazioni per attivitàscientifiche,olelicenzeperleattivitàminerarie. Sapevo bene che le pressioni politiche ed economiche erano enormi e che, come aveva sempre detto mio padre, la corruzione poteva trovare terrenofertileanchenellaburocraziainternazionale.

Ci sarebbe stato di che parlare con la figlia di Martin Lewis, sempre che neavesseavutovoglia.

3 – Asteroidi

Abigail mi fece accomodare su una poltrona di pelle nera prima di sedersi dietro alla sua scrivania trasparente, come il computer che le stavadifronte.

Eraunadonnad’affariabituataatrattarecongrossecorporationeStatidi livello continentale,quindinonmiaspettavocertochefosse bendisposta nei confronti di una giornalista venuta a ficcare il naso negli affari di famiglia.

Come su tutte le porte automatiche, così anche sulla scrivania e sulla paretedietrodilei,illogodellasocietàerabeninevidenza.

La sigla 4ASC rimandava alle quattro famiglie di asteroidi appartenenti ai Near Earth Objects il cui sfruttamento minerario era iniziato da qualchedecennio:Amor,Apollo,AteneAtira,SpaceCorporation.

Per via delle loro modeste dimensioni e della grande distanza che li separava dalla Terra, molti asteroidi erano osservati dal nostro pianeta come piccoli punti immersi nello spazio. Avevo letto che determinarne l’orbita era relativamente facile, grazie agli osservatori satellitari. Prima diaffrontarelamissione,mierobendocumentatasuquellerocce.

Potevano avere forme molto variabili, da quelle più o meno sferiche a quelle più allungate, fino ad assumere aspetti più originali ad arachide o

di aggregati di materiale che sembravano sul punto di disgregarsi da un momentoall’altro.

Da quanto avevo capito, gli asteroidi si erano formati un po’ per caso nelle fasi iniziali del Sistema Solare, e si concentravano soprattutto su orbite circolari o ellittiche nella regione compresa tra Marte e Giove, la famosa Fascia, o Cintura, degli asteroidi. Il loro numero era elevato, si era già arrivati al milione catalogato, e ogni giorno se ne aggiungevano dinuovi.

«Ho ricevuto la sua richiesta per l’intervista, corredata di tutta la documentazione e dei motivi per la quale, signorina Kumar, le interessa approfondire la conoscenza della nostra formidabile corporation» esordì

Abigail.

«PuoichiamarmiLyra»preferiiaccorciaresubitoledistanze.

«Certo, Lyra. Se sei d’accordo, andrei subito al sodo: cosa t’interessa saperedinoi?»chieselei,conunacertafreddezza.

Scrollai le spalle e risposi: «Terra, Luna, asteroidi, Marte e Cina. Aiutami a mettere tutto questo in corretta relazione tra loro e con la 4ASC. Ah! Naturalmente riducendo al minimo le fake news che riservi per gli altri media.» Volevo farle capire subito che il suo status non m’impressionavaperniente.

Abigail mi guardò a lungo. «Credo che la nostra sarà una conversazione interessante»replicòpoi.

Ebbi l’impressione che mi avrebbe disintegrato con gli occhi se solo fosserostatidotatidiraggilaser.

«Locredoanch’io.»

Un silenzio di pochi secondi sembrò pesare come se fosse durato alcune ore. Fu lei a romperlo: «Come avrai già avuto modo d’informarti, la materia prima che interessa alla nostra corporation non è di facile reperibilità.»

Attivò lo schermo che era integrato nella parete alle sue spalle, su cui apparvel’immaginedelSistemaSolare.

«Per questa ragione, al momento le due mete prevalenti che ci interessano sono la Luna e i Near Earth Objects»spiegò, riferendosi agli oggetti celesti che avevano un’ orbita ellittica che talvolta si trovava a una distanza dal Sole pari a quella della Terra, abbastanza numerosi da assicuraremateriaprimapergenerazionidiesseriumani.

«Gli asteroidi Amor orbitano tra Martee la Terra.»Voltòil viso verso lo schermo, indicando l’immagine degli oggetti spaziali. «Rimangono

sempre più lontani dal Sole rispetto a noi, anche se a volte possono avvicinarsialnostropianeta.»

«Vedo»annuii,osservandoleimmaginiconuncertodistacco.

«Al contrario, Atira o Interior Earth Objects si muovono su traiettorie più interne rispetto alla Terra» continuò Abigail, indicando con una freccial’altraclassediasteroidi.

«Gli Apollo e gli Aten sono asteroidi Earth-crossing, ossia hanno orbite ellittiche che a volte si avvicinano moltissimo al pianeta, fino a schiantarsi sulla Terra, come quello che sessantacinque milioni di anni causòl’estinzionedeidinosaurinelperiodoCretaceo-Terziario.»

«Le quattro A nel nome della vostra corporation, immagino stiano a indicare la volontà di raggiungere anche gli asteroidi più lontani per il lorosfruttamento.»

Lei annuì. «Immagini giusto, anche se sappiamo che ci vorrà ancora tempoperrealizzarequestoprogetto.»

«Interessante, ma il motivo per il quale sono qui non è assistere a una lezionediastronomia.»

Dopo un’ora di scambi di dati e battute non proprio amichevoli tra noi, che non apportarono novità sostanziali a quello che già sapevo, Abigail, forse a seguito della mia battuta sulla banalità del “potere” e dei meccanismi usati per sostenersi, si alzò con la chiara intenzione di congedarmi.

«Forse ti sembrerà banale, Lyra, ma quello che ci viene naturale in famiglia è stare dalla parte degli individui più influenti, o almeno non dallapartechenoiriteniamosbagliata.»

«Egliindividuiinfluentistannosempredallapartegiusta?»

«Forse la risposta è negativa dal tuo punto di vista, ma per quanto ci riguarda gli individui influenti fanno in modo che la loro sia la parte giusta,noncredi?»

Quella manifestazione così evidente di arroganza fece crescere in me l’irritazione, non perché non me lo aspettassi ma solo perché avevo sempre trovato intollerabili certi comportamenti dei potenti. Del resto, avevo scelto di fare giornalismo proprio per quella ragione. La figura di mio padre aveva influenzato la mia etica professionale quando avevo decisodiseguirelesueorme.

Inoltre ero infastidita dall’uso continuo che Abigail faceva del plurale, riferendosi sempre a se stessa e al padre. Lo usava come se la sua mente fosse connessa in modo costante con quella del genitore distante milioni dichilometri.

«Possiamo sempre scegliere da che parte stare e cambiare idea, o il dubbiononappartienealtuovocabolario?»lechiesi.

«Il libero arbitrio non esiste. Si tratta di un’illusione creata dalla nostra mente per farci credere di avere il controllo delle nostre azioni» replicò Abigail.

«Cisonoscuoledipensieroscientificheancoracontrastantialriguardo.»

«Se ti piace crederlo, fai pure» si strinse nelle spalle. «Io e mio padre crediamo fermamente di avere un naturale impulso verso il nuovo, le sfideeilcomando.»

«Nonavetemaidubbieproblemidicoscienza?»

«La coscienza è solo un’illusione, una bugia che il nostro cervello raccontaanoistessiperfarcicrederedisaperecosastiamofacendo.» Mi chiedevo se l’intelligenza che albergava in Abigail, e quel carattere così sicuro e spavaldo, fossero una caratteristica di famiglia o magari fruttodiqualchemodificazionegeneticasceltadalpadreperleiche,oltre che nell’aspetto, sembrava un androide anche nel modo di rispondere allemieobiezioni.

A partire dal 2033 erano state introdotte regolari pratiche di modificazionidel DNA umano,finalizzateamigliorarela salutedei futuri nascituri affetti da difetti genetici. Inoltre, le terapie geniche allo scopo di controllare il metabolismo umano, erano già diventate routine, tanto che alcune malattie come il diabete o le intolleranze ad alcuni alimenti eranostatedebellatenellenuovegenerazioni.

Le immagini di un bambino cieco che torna a vedere, di un talassemico non più dipendente da trasfusioni, o del bambino salvato da una grave malattia neurodegenerativa ereditaria, erano solo alcune delle ragioni per le quali ero tra i sostenitori della scienza che aveva plasmato la società umananegliultimidecenni.

A partire dal 2037 era diventato legale in tutto il mondo per i genitori definire alcuni caratteristiche del DNA dei figli che esulavano da scopi terapeutici, ma riguardavano l’estetica e il miglioramento di certe caratteristichefisiche.

Dal2050sipotevaparlaredi OGM riferendosiadalcuniesseriumani.

Sapevo benissimo che certi potenti del pianeta potevano permettersi di precorrere i tempi a prescindere dalle leggi, e quindi Abigail poteva esserestatageneticamente“progettata”dalpadre.

La donna che avevo di fronte aveva trentacinque anni, ma il suo aspetto nedimostravaalmenodiecidimeno.

Quel meraviglioso strumento che era l’editing genomico non era però stato ancora sufficiente a debellare quella forma odiosa di comportamento umano che era la necessità di alcuni individui di prevaricareeaspirarealdominiosualtrisimili.

CAPITOLO3

Isaac Kent, anno 2066

1 – Il caso Lyra Kumar

Chi era Lyra Kumar? Di cosa si stava occupando su Marte? Perché era rimastavittimadiunincidente?Erastatodavverounincidente?

Gli ispettori già conoscevano alcune risposte, ma le due più importanti mancavanoall’appello.

Dopounabrevecolazioneabasedi galletteaicerealieuncaffèdibuona qualità, ottenuto con una macchina italiana studiata apposta per lo spazio,idueinvestigatorisiconcentraronosullaloromissione.

Lyra era transitata dalla ISS-4 alcuni mesi prima della sua scomparsa. Dalleinformazioniinloropossesso,Isaac ePierreMaximesapevanoche era nata a Londra nel 2020, che si era laureata alla International Space University di Strasburgo, specializzandosi in seguito in giornalismo investigativoscientificoall’ImperialCollegediLondra.

«Lyra era una delle punte di diamante della ENA.» Isaac non aveva dubbi,riferendosialruolodelladonnaall’internodella ENA.

«L’agenzia stava indagando sulla 4ASC, proprietà di Martin Lewis, magnate nel campo minerario interplanetario, e Lyra era stata mandata a investigarequassù»aggiunsePierreMaxime.

«Sono anni che diverse compagnie minerarie percorrono lo spazio a caccia di giacimenti sulla Luna, sugliasteroidi e su Marte,e tra queste la 4ASCèdicertolapiùimportante»riflettéIsaac.

«E la più chiacchierata per i suoi rapporti commerciali poco trasparenti» commentòPierreMaxime.

«Unacalamitapergiornalistiincercadelcolpogrosso»assentìIsaac.

«Tanti scienziati, ingegneri minerari e astronauti che non temono di affrontare le enormi distanze siderali e i relativi pericoli, alle dipendenze diproprietaridicorporationmiliardarie»aggiunseilfrancese.

«Martin Lewis si è trasferito su Marte e ha addirittura fatto costruire una basetuttapersénelGaleCrater»leggeva Isaacnelrapporto. «Nonèdatuttifareunasceltacosìrischiosa»commentòilcollega.

«Nesaràvalsala pena.»Isaacdistolse losguardodaltabletperosservare PierreMaximechesiesibivainunacapriola,assistitodallamicrogravità. «Gli interessi in gioco sono enormi» commentò il collega al termine della sua performance acrobatica. «Quelli noti, figuriamoci quelli che alberganonell’oscurità.»

Isaacglipassòiltabletesitolselavogliadifareasuavoltaunacapriola. «Quelli nell’ombra sui quali indagava Lyra Kumar»concluse al termine, riprendendoinmanoiltablet.

Agli inizi, i protagonisti di quella nuova “corsa all’oro” erano sembrati dei pazzi visionari, ma quando erano arrivati i primi successi, era apparso chiaro a tutti che sitrattava di quel genere di pazzia che avrebbe portato a una delle maggiori rivoluzioni scientifiche, tecnologiche ed economichedaitempidellarivoluzioneindustriale.

I principali macrostati terrestri avevano fatto la loro parte, insediando alcune basi e avamposti lunari e una Base Marziana Internazionale che, nel2066,stavaassumendosemprepiùlesembianzediunacittà.

«La madre di Lyra mi ha raccontato che quando l’agenzia ENA ha proposto alla figlia l’incarico su Marte, lei non ha avuto dubbi sul fatto d’intraprenderelamissione»ricordòIsaac.

PierreMaximeannuì.«Degnafigliadelpadre,ilfamosogiornalista.»

«Già,mortoancheluiinunincidentediviaggio»confermòIsaac.

«Stranodestinocomune.»

Isaac socchiuse gli occhi. «Sempre che d’incidente si sia trattato, nel casodiLyra.»

«Siamoquiperscoprirlo.»

Come la giornalista, anche gli ispettori si erano ben documentati sui processi di estrazione mineraria e sulla differenza nel modo di operare nello spazio esterno rispetto alla Terra. Sul pianeta azzurro si dava per scontata la presenza dell’aria e dell’acqua, l’utilizzo di attrezzatura di varie tipologie e dimensioni che operavano in condizioni di normale gravità, e che spesso rimuovevano ingenti quantità di materiale per raggiungeresottilivenedimineraleconcentrato.

SullaLunaosugliasteroidieratuttaun’altrastoria.

«Per accompagnarla nel viaggio dalla Luna a Marte, le era stata assegnataunaguidadalla4ASC»ricordòIsaac.

«UncertoEloyRuiz»confermòPierreMaxime. «Lostessochefaràdaguidaanoi?»

«Sì,aquantopare,propriolostesso.»

«Immagino sia una persona preparata a vivere in un ambiente ostile.»

Isaac faticava a pensare che ci si potesse abituare a vivere in condizioni cosìdiverserispettoaquelleterrestri.

PierreMaximeannuì.«Sì,èunodeigeologidellacompagnia.»

Chi estraeva minerali nello spazio, doveva imparare a operare senz’aria, se non quella prodotta in modo artificiale, utilizzare l’acqua estratta in locoeoperarespessoincondizionidimicrogravità.

«Le difficoltà tecniche e di adattamento umano sono notevoli, ma sono ripagate dall’ingente bottino in termini di ricchezze minerarie per le compagnie, e in termini di stipendio per chi lavora sul campo» ricordò Isaac.

A seguito della differenziazione geochimica al momento della sua formazione,nel pianetaTerra gli elementi chimicirariepreziosisi erano concentrati nel nucleo a discapito della superficie, sepolti migliaia di chilometri sotto i piedi degli abitanti del pianeta. Per questa ragione solo unapiccolapartediqueimineralieranoaccessibiliall’uomo. Negli asteroidi la composizione, anche di superficie, era in prevalenza quellachesisarebberiscontratanelcuoredelpianetaTerra.

«Unparadisoperchièacacciadialteconcentrazionidimetallipreziosi» ammise Pierre Maxime, che poi aggiunse: «Una manna per il genere umano, affamato di nuove risorse, nonostante le strategie di riciclo messe inattonegli ultimidecenni.LyraKumar dicertoera aconoscenza delle dinamiche e degli interessi che si muovono attorno al mondo dello sfruttamentominerarionellospazio.»

«Interessi talvolta poco trasparenti che potrebbero aver spinto a inscenareunincidenteperliberarsidiunagiornalistascomoda?»propose Isaac.

Iduesiscambiaronounosguardod’intesa.

Per quanto ne sapevano Isaac e Pierre Maxime, Lyra Kumar era transitata dalla ISS-4 e dalla Luna, poi, una volta giunta su Marte, aveva incontrato Martin Lewis in persona. Da quel giorno o sol, in termini marziani,lasuavitasieraaccorciata.

Non erano state ancora formulate accuse nei confronti di Martin Lewis, ma l’ENA sospettava che la giornalista avesse trovato le prove sui

commerci illeciti del proprietario della 4ASC, e che questi fosse coinvoltonell’incidentecheavevaprovocatolamortedelladonna.

L’ENA aveva così fatto pressioni a livello internazionale fino a spingere lapoliziainterplanetariaadaprireun’indagine.

Isaac e Pierre Maxime dovevano vestire i panni degli astronauti per far lucesull’accaduto.

2 – Vita a bordo

La giornata lavorativa a bordo della ISS-4 era relativamente frenetica per i membri dell’equipaggio. Isaac notò che di fatto, anche se con ritmi da moviola rispetto a quelli terrestri, tutti impiegavano l’intera giornata nell’esecuzione di esperimenti, manutenzione ed esercizi fisici per mantenersiinsalute.

Luieilcollegafrancese,inattesadellapartenzaperlaLunanonavevano moltodafareequindineapprofittaronopervisitarelastazioneorbitante. Mentre si libravano all’interno degli ambienti, cercando di non sbattere contro le pareti piene di maniglie e di strumentazioni, e di non rimanere incastratiinunodeinumerosicavichetappezzavanolasuperficieinterna dellabase,idueispettoriincrociaronoRajivChandra.

«Visto che siete da questeparti, ne approfittoper mostrarvi unadellepiù importanti innovazioni apportate alla ISS-4» sorrise loro l’astronauta indiano, che a differenza degli altri membri maschi della stazione, portava i capelli più lunghi e un ciuffo scompigliato che gli conferiva ancoraunaspettodaragazzo.

«Sarà un piacere, averti come guida» disse Isaac, invitandolo a procedere.

«Stiamo entrando in una delle due strutture circolari che ruotano su se stesse, creando una gravità artificiale che, pur di molto inferiore rispetto a quella terrestre, contribuisce a ridurre gli effetti negativi della microgravità.»

«Loscopoèdisentirsiunpo’piùacasa»commentòPierreMaxime.

«Gli astronauti che permangono per lunghi periodi nello spazio, vanno incontro alla demineralizzazione dell’apparato osseo, all’atrofia muscolare e a una riduzione delle capacità visive dovuta all’aumento della pressione dei fluidi spinali nella testa, e quindi a carico degli occhi.»

Dopo la spiegazione di Rajiv, il francese si rese conto di avere detto la solitabanalitàdaprofano,erivolseunlievesorrisoaIsaacperscusarsi.

«I due moduli circolari sono di fatto due enormi centrifughe agganciate al resto del corpo della stazione orbitante, e ospitano la zona notte e sanitariadella ISS-4.»

«In effetti ci abbiamo già dormito, ma senza renderci conto di dove fossimo»constatòIsaac.

«Normale, eravate appena arrivati e il disorientamento è comprensibile» Rajiv li invitò a seguirlo oltre. «Tra le novità introdotte nella nuova stazione spaziale, c’è anche la presenza di una struttura cilindrica adibita a scopi turistici, di proprietà della Deep Space Adventure, una società privatachesioccupaditurismospaziale.»

La base ospitava un equipaggio fisso di sei persone, perché ogni modulo notturno non poteva accoglierne di più, e ogni tre mesi, metà di questi venivanosostituitidaaltritreastronautiprovenientidallaTerra. Di norma l’equipaggio si distribuiva tra le due aree. I sei posti liberi erano a disposizione per i momenti d’interscambio turno degli astronauti e per ospitare gente di passaggio, come nel caso di Isaac e Pierre Maxime.

I turisti, in numero massimo di quattro, erano alloggiati assieme alle due guide,nelmoduloalorodestinato.

«La permanenza dei turisti, salvo imprevisti, non supera i due o tre giorni, per evitare problemi di salute e danni provocati dalla loro inesperienzaavivereinunambientecosìinospitale.»

Isaac e PierreMaxime si scambiarono uno sguardoeloquente:loro erano nellastessacondizionedeituristi,nonc’eranodubbi.

«Pur avendo partecipato ai corsi di preparazione pre lancio, sono comunque astronauti non professionisti» spiegò Rajiv, confermando i pensierideidue.

Pierre Maxime pose un quesito: «Perché accettare la responsabilità di averepersoneinesperte?Paganocosìtanto?»

«La presenza di turisti sulla ISS-4 è stata accettata al fine di avere delle entrate che contribuiscano alle spese di gestione della struttura. Quindi, diciamo pure che il biglietto costa caro. I turisti che però vogliono permanere nello spazio per un periodo più lungo, devono acquistare un altro pacchetto più costoso, che prevede un viaggio in orbita intorno alla Terra e da lì verso il DSA-Space Hotel, di proprietà della Deep Space Adventure»spiegòRajiv.

Isaac sapeva tutto della struttura turistica spaziale, avendo studiato il relativodossierprimadellasuainaugurazione.

Il DSA-Space Hotel era formato da cinque moduli principali che comprendevano due centrifughe per l’alloggiamento notturno e medico, un modulo per le attività diurne compresa la mensa, uno di servizio con scorte e il modulo centrale. Quest’ultimo, oltre a ospitare tutti i dispositivi che consentivano alla struttura di avere ossigeno, acqua riciclata e una temperatura compatibile con la vita, ospitava la porta di attracco per le navicelle in arrivo e partenza, e il portellone per le brevi uscite dei turisti nello spazio. Il rientro a Terra avveniva con uno degli spaceshuttledella Deep Space Adventure.

«Haletto chel’esperienza abordodel DSA-SpaceHotel puòincludere,se si è abbastanza coraggiosi e disposti a pagare un costoso supplemento, unapasseggiatanellospazio.Sipuòfareanchequi?»chieseIsaac.

«Temo di no» replicò l’indiano, con tono amareggiato. «C’è stato un incidente qualche anno fa, a un turista. Da allora non è più possibile fare passeggiatenellospazio.»

Quellocheastronautieturistipotevanoprovareaquattrocentochilometri di altezza,eral’ebbrezzadifareungirodellaTerra innovanta minuti,su un’orbita che attraversava l’equatore con un angolo di circa cinquanta gradi, così da sorvolare le regioni tra il 50° di latitudine Nord, Londra inclusa, e il 50° di latitudine Sud, fino a Melbourne nel sud dell’Australia.

Una delle note dolenti era l’esposizione ai raggi cosmici maggiore rispetto alla superficie della Terra, dove l’azione di scudo dell’atmosfera edelcampomagneticoterrestreproteggevanodallaloroazione. Le particelle dei raggi cosmici si muovevano così veloci da penetrare le tute spaziali, gli scudi e anche gli strati esterni delle navicelle, per questa ragione i voli spaziali protratti nel tempo al di fuori dell’area protetta potevanoesseremoltodannosiperlavitadegliastronauti.

«Immagino che gestire anche i turisti comporti problemi con i rifornimentidallaTerra»intervennePierreMaxime.

«In effetti la regolarità dei rifornimenti alimentari possono subire a volte dei ritardi, e tutti gli ospiti della stazione ne sono informati, turisti compresi.» Rajiv fece come consueto un largo sorriso prima di continuare: «L’appalto per quelli della ISS-4 è da qualche anno della società privata Eagle Space Service Company.» Li invitò quindi a seguirloinunaltrosettoredellastazioneorbitante.

«Una delle sue navicelle, del tutto automatizzata, sta per giungere in vista della ISS-4, quindi se volete assistere al suo arrivo, vi affido a Leonardo.» Rajiv fece un cenno al collega e salutò i due ispettori. Era evidente che aveva altri compiti da svolgere e la sua funzione di guida temporaneaeraterminata.

Leonardo Cassini, l’astronauta italiano, aveva il compito di seguire e portare a termine le manovra di aggancio della navetta. Il veicolo spaziale era costituito da un tronco di cono che poteva alloggiare fino a quattro astronauti, nel caso fosse stato necessario, ma che il più delle volte era stipato di rifornimenti. L’altra parte, quella cilindrica, dove nella porzione terminale erano situati anche i motori direzionali alimentatida due pannellisolariagganciati ai fianchi della navetta,erano sempreadibitiacargo.

«Dobbiamo darci da fare per le manovre di attracco, carico e scarico, perché abbiamo ricevuto una richiesta di aiuto da parte di una navicella che si occupa di Space Cleaning» spiegò ai due ispettori che avevano percepitounacertaeccitazionenell’equipaggio.

«Cos’èaccadutoallanavicella?»chieseIsaac.

«Ironia della sorte, è stata bersagliata da una raffica di particelle e rottamispazialichenehannodanneggiatoloscafo.»

«Chefregatura!»commentòPierreMaxime.

«Già. E dopo arrivano anche quelli della Deep Space a prendersi i turisti giàabordoperportarnedinuovi.»

Lebasidi partenza perituristi sullaTerraeranogliSpaceport.Tra quelli più importanti c’erano lo Spaceport America nel New Mexico, Mojave Spaceport inCalifornia, Spaceport Sweden inScandinavia, Spaceport UK nelle British Virgin Island, Spaceport France nella Guyana, Baikonur Spaceport eil China Spaceport nelsuddellaCina.

Nel giro di alcuni decenni, migliaia di turisti avevano visitato lo spazio nell’orbita terrestre, qualche centinaio era andato sulla Luna e qualche decinasuMarte.

«Diportediattraccoliberecen’èunasola?»chiesePierreMaxime.

«Appunto!Le altre sonooccupate dal moduloturistico, dallanavetta con la quale siete arrivati e chedeve partire con i nostri colleghi a fine turno, enaturalmenteall’altraèagganciatalanavicellad’emergenza.»

«E se non si fa in tempo a riparare la navicella dello space cleaner?» chieseIsaac.

«Dovremo anticipare la partenza dei nostri compagni d’equipaggio, oppure deviare i turisti verso l’albergo spaziale, dove hanno senz’altro unaportadisponibile.Dovrannosolorimandarelagitaquidanoi.»

«Troppotraffico!»commentòIsaac.

«Sì, sembra di stare in un aeroporto! Ma come potete immaginare ci si abituaancheaquesto,comeatuttoilresto.»

«Come alla scarsità di acqua e all’odore?» domandò Isaac, facendo una smorfia.

«Già, non sono due aspetti piacevoli del soggiorno» confermò l’astronautaitaliano.

L’odore dello spazio era il sottofondo olfattivo costante della base, come ilrumoreloeraperl’udito.

Qualsiasi oggetto esposto al vuoto cosmico prendeva l’odore caratteristico dello spazio, simile a quello di ferro bruciato delle saldature. Anche le vie nasali di Isaac, pur congestionate a causa della maggior abbondanza di liquidi nella parte alta del corpo per effetto della microgravità,loavevanopercepitodalmomentodell’arrivosulla ISS-4.

Leonardo si sistemò per dare il via all’operazione di avvicinamento della navicelladella Eagle Space Service Company.

«Tra l’altro a bordo c’è una meravigliosa macchina per il caffè espresso. Non vedo l’ora di provarla» sottolineò l’italiano, con un sorriso compiaciuto.

Sul monitor si potevano vedere tutti i dati necessari per eseguire la manovra, mentre dal finestrino Isaac scorgeva la navicella in avvicinamento.

«Non ci vorrà molto» affermò Leonardo, mentre trafficava sul touchscreenpereseguireleoperazioninecessarie.

In effetti nel giro di mezz’ora la navicella si agganciò con successo. Isaac e Pierre Maxime potevano scorgere, grazie alle immagini riprese dalla telecamera esterna, il logo della compagnia di spedizioni sull’esternodel veicolo:unpiccolotroncodiconogrigiochesorvolava il pianeta azzurro stilizzato e la scritta Eagle Space Service Company sul bordodelcerchiocheracchiudevaleimmagini.

3 – Rifiuti spaziali

Isaac e Pierre Maxime assistettero al veloce cambio di scena, visto che dopo la partenza della navetta di servizio della Eagle Space Service Company,erainarrivoquellaaddettaalloSpaceCleaning.

«Qui Garik Bilan della navetta di servizio Sirio della Orbital Express Clean Space.Chiedo il permesso di dare ilvia alleoperazioni di attracco alla ISS-4.»

«QuiLeonardoCassinidella ISS-4,permessoaccordato.»

Come sapevano bene anche i due ispettori, all’interno dell’orbita terrestre si muovevano molte tonnellate di detriti spaziali, dei quali quasi la metà nell’orbita bassa terrestre, dove la minaccia di collisioni aumentavapericolosamenteconilpassaredeltempo.

Si trattava soprattutto di satelliti non più funzionanti o in procinto di esseredismessi,ediframmentidirazzi.

Se si osservava la Terra dallo spazio, si potevano vedere i continenti circondati dal blu degli oceani, sovrastati dal bianco delle nubi e poi, tutto attorno, uno sciame di piccoli oggetti simili a insetti attratti da un fruttosuccoso.

L’ONU si era occupata del problema, approvando norme e sanzioni per i trasgressori,neltentativodiarginareilfenomeno.

Il numero elevato di detriti vaganti portava sempre più spesso a complicazioni legali a causa dai danni che provocavano alle strutture funzionantiinorbita.

La pericolosità della situazione aveva incentivato il business del recupero e dell’eliminazione. Gli Stati e le corporation private, proprietari disatelliti osocietà di lancio, pagavano alcune società private che si occupavano del problema. In Europa le più attive erano alcune società svizzere, olandesi e tedesche, che impiegavano perlopiù manodoperarussaoucrainaabassocosto.

«Conosci già questo Garik Bilan?» chiese Isaac, mentre osservava sullo schermol’operazionediagganciodellanavicella.

«Sì, Garik Bilan lavora per la società svizzera Orbital Express Clean Space.La OECS èunasocietàconsedeaLosanna.»

«Conosciamo la OECS. Una società legata alla Ecole Polytechnique Federale de Lausanne, EPFL, allo Swiss Space Center e ai fondi d’investimento finanziari che in terra elvetica sembrano non mancare mai»intervennePierreMaxime,accennandounalievesmorfiasulviso.

Lanavicellanelfrattemposieraagganciataalla ISS-4. «Operazione di aggancio completata. Chiedo il permesso di salire a bordo»comunicòGarikBilan.

«Permessoaccordato»risposeLeonardo. Dopo l’apertura del portellone, Garik e il suo ISA, l’Interactive Space Assistant Tom, salirono a bordo della stazione che stava sorvolando in quelmomentolapenisolaarabicaeilcornod’Africa.

Garik si presentò dopo qualche minuto nella sala dove ad attenderlo c’erano Leonardo e i due ispettori. L’astronauta italiano fece le presentazioni.

Il trentaseienne Garik Bilan era nato a Odessa, da padre russo e madre ucraina, e dopo gli studi universitari era riuscito a diventare astronauta. Qualche anno prima, il biondo slavo dal fisico atletico, dopo varie missioni nell’Orbita Bassa Terrestre, era stato assunto dagli svizzeri per ripulireloSpaziodallaspazzaturalasciatadallanostraciviltà.

Tom, l’ISA di Garik, aveva una voce sintetica del tutto simile a quella umana, a differenza del suo aspetto. Si trattava di una specie di palla tecnologica fluttuante, dotata d’intelligenza artificiale che poteva esprimersi, oltre che con la voce, anche attraverso un video che fungeva dainterfacciacongliumani.

«Attraverso le Space Transport Robotic Operations si possono catturare oggetti di pochi chilogrammi fino a satelliti di alcuni metri di diametro» spiegò loro Garik, mentre Leonardo dava il via alle riparazioni attivando unpiccoloesercitodidroniesternialla ISS-4.

«E potete operare su diversi livelli orbitali, compreso quello della ISS4?» chiese Isaac, dando un’occhiata a Tom che stava accanto a Garik comeunasortadiangelocustode.

«Sì, ogni operazione vieneconcordatatrail centro operativo a terra della miasocietàela ISS-4»risposeGarik.

«Garik ha già comunicato l’accaduto al centro operativo della OECS e ottenuta l’autorizzazione a chiedere assistenza alla ISS-4» intervenne Tom,conlasuavocemetallica.

«Come si sviluppa in genere un’azione di pulizia spaziale?» s’incuriosì Isaac.

«Per la ripulitura della bassa atmosfera si orchestra l’azione dei Drone satellites della dimensione di alcune decine di centimetri, lanciati per agganciareedeorbitareglioggettidipiccoledimensionieaccompagnarli versoillorodestinodidisintegrazionenell’atmosfera»spiegòGarik.

«Ci sono migliaia di oggetti che fluttuano là fuori, e così Garik utilizza i dronicomecaniinunabattutadicaccia»intervennedinuovoTom. Isaac constatò l’affiatamento che sembrava esserci tra l’astronauta e il suo ISA.

«Quando invece entrano in gioco i piccoli satelliti, oppure i detriti di maggiori dimensioni, ci si affida al dispositivo armato di raggio laser» continuòGarik.

Pierre Maxime li guardò perplesso. «Quello sviluppato dagli svizzeri in collaborazioneconl’ESA el’agenziaspazialegiapponese JAXA?»chiese. «Sì,proprioquello»assentìGarik.

Madurantequellamissionequalcosaeraandatostorto.Illasernonaveva funzionato a dovere, e il sacrificio di un drone non era stato sufficiente a evitare l’impatto con il residuo di un razzo che si era conficcato nello scafodellasuanavicella.

Ogni operazione di Space Cleaning necessitava di un’autorizzazione da parte dell’autorità internazionale incaricata alla registrazione degli oggetti spaziali di qualsiasi categoria: satelliti, navicelle o razzi in transito che fossero. Lo scopo era di evitare abusi da parte degli Stati o delle società private, coinvolti nell’utilizzo di quelle che a tutti gli effetti potevano considerarsi armi antisatelliti. Il tutto era regolamentato dal Trattato sullo Spazio Esterno al quale tutti si rifacevano, sia che si occupassero di viaggi spaziali, Space Mining, lancio di satelliti o dediti alloSpaceCleaning.

«Lavori da molto tempo nello spazio?» Isaac continuava a guardare sia Garik sia Tom a ogni domanda, come se si aspettasse una risposta dall’unoodall’altro.

Garik annuì. «Ho fatto l’astronauta per qualche anno per una compagnia privata di Space Commerce. Quindi ho frequentato un Commercial Astronaut Training presso la OECS e ho iniziato a lavorare per loro.» Il suovoltoerainespressivoognivoltacheparlava.

«La sua attività è considerata, nell’ambiente astronautico, un “lavoro spazzatura” ma a Garik non interessa» intervenne Tom, come si era aspettatoIsaac.

Garik scrollò le spalle. «Si tratta di un lavoro come un altro e poi a me piaceedèbenpagato.Nonsonoiltipoincercadigloria.»

Nella sua squadra operavano altri undici astronauti che si alternavano nell’attività tra la base a terra in Svizzera e le navette di servizio come la Sirio, che era un residuo della ISS-2 acquistata dalla OECS a un prezzo

simbolico, accollandosi i costi di smantellamento delle parti inutilizzabili,perpoirimodernarlaeriadattarlaalsuonuovocompito.

Lo spazio orbitale terrestre nel 2066 era molto affollato da satelliti di tutte le dimensioni eforme possibili,dagli scopi sia civili,meteorologici, di comunicazioni e remote sensing, sia militari prevalentemente dediti allasorveglianzasulleattivitàdegliabitantidelpianeta.

Le strutture abitate erano rappresentate soprattutto dalla ISS-4, la Stazione Spaziale Internazionale, dall’equivalente cinese Drago dello Spazioche eradidimensioniminori, dal DSA-SpaceHotel edallepiccole navicelleorbitantiprivatecomequellesullaqualelavoravaGarik.

Tutti i macrostati, a eccezione dei cinesi, avevano deciso di collaborare per il mantenimento delle ISS-3 e ISS-4 nell’orbita terrestre per via dei costinotevolichecomportavanostrutturedelgenere.

«Durante le missioni sei sempre solo?» chiese Isaac, osservando Garik conattenzione.

«I costi di mantenimento di un equipaggio sono onerosi per una compagnia privata che si occupa di Space Cleaning. L’unica, ma indispensabile,compagnia che ci vienedata dallanostra società èun ISA. Nel mio caso si tratta di Tom.» Garik allungò la mano per accarezzare il piccolo robot che fluttuava e si muoveva in modo autonomo all’interno della ISS-4,grazieaunsistemadimicroeliche.

Il vantaggio nell’avere a bordo un ISA era di poter contare su un controllore di bordo prodigo di suggerimenti e soluzioni, in grado di fare analisi complesse tempestive e dotate di un buon grado di flessibilità.

Non si stancava mai ed era sempre attento anche quando era in ricarica nell’apposito alloggiamento, permettendo un controllo della navicella ventiquattr’ore al giorno, anche quando Garik doveva riposare qualche ora.

«Non si può mai perdere la concentrazione quando si eseguono lunghe e complesse operazioni. Si deve essere sempre pronti a intervenire anche quando si sta in standby, nel caso si verificassero problemi improvvisi. Come avrete capito, nello spazio anche piccoli incidenti possono assumereiconnotatidiunatragedia»spiegòl’uomo.

Isaac pensò che la presenza di Tom non era stata tuttavia sufficiente a evitare la collisione con un frammento pericoloso vagante nello spazio. Come supervisore orbitale che doveva togliere dalla circolazione oggetti potenzialmente pericolosi per possibili collisioni, essere stato colpito da un frammento di razzo non era proprio quel che si poteva definire un

“buon lavoro”. Isaac non disse nulla al riguardo, anche perché a che titolo poteva giudicare operazioni così delicate e pericolose con le quali nonavevamaidovutoconfrontarsi?

«Tom è stato programmato per avere un carattere gioviale e interattivo connoiumani.Miparlaspessoperalleviareilpesodellasolitudinechea volte, non lo posso negare, si fa sentire.» Garik diede un’occhiata riconoscentealsuo ISA.

La visione dello spazio così immenso, forse induceva Garik a indugiare sui propri pensieri, pensò Isaac. Porsi domande sul senso della vita e perlustrareilpropriospaziointerioreneipiùreconditianfratti.

Proprio per la pesantezza della solitudine imposta dal suo lavoro, Garik era forse contento d’incontrare qualche essere umano, anche se accadeva in seguito aun incidente. Era quasi alla fine del suo turno di permanenza nello Spazio, il momento nel quale la mente tendeva a indugiare su pensieri che sifacevanopiùcomplessi, intricati,contraddittorie ripetitivi equindipericolosiperlasalutementaledell’uomo.

Isaac pensò a come avrebbe reagito lui lavorando in quelle condizioni d’isolamento e pericolosità, e solo allora comprese l’apparente inespressivitàdelvisodiGarik.

«Ora però l’importante è riparare il danno. Dal comando a Terra, a Losanna, hanno confermato il malfunzionamento del laser e giustificato l’utilizzo del drone nel tentativo di evitare l’impatto con il residuo del razzo»aggiunseGarik.

«Sulla Terra hanno verificato che la responsabilità non è stata nostra per l’incidenteoccorsoallanavicella»confermòTom.

Certo la ISS-4 poteva contare su ben altri sistemi di difesa contro i milioni di frammenti che si muovevano a una velocità molte volte superiore a quella di un proiettile, anche se la minaccia era comunque una costante per chiunque si trovasse a frequentare lo spazio, pensò Isaac.

La ISS-4 aveva un sistema sofisticato di raggi laser e droni che potevano essere impiegati per la difesa e le riparazioni di eventuali danni. Isaac conclusecheilsuolavorodiispettorenonerapoicosìmale.

4 – Una questione urgente

Garik Bilan e Tom lasciarono la ISS-4 una volta terminata la riparazione. Laloromissioneeraconclusa,edovevanorientrareaTerra.

Per Isaac era giunto invece il momento di andare in bagno. Sulla Terra sarebbe stata una cosa semplice, ma farlo nello spazio era un’altra storia, a causa della fluttuazione da microgravità. Una sensazione di libertà che aveva aspetti coreografici, tranne quando si trattava di espletare i propri bisogni.L’escrezioneagravitàzeroeraunaquestioneseria. Il semplice atto di urinare, se non veniva gestito, poteva diventare un’emergenza medica. La gravità sulla Terra provocava l’accumulo dell’urina sulpavimentodella vescica,quindiprimadel suoriempimento completo avveniva lo stimolo. In assenza di gravità, solo quando la vescicaeraquasideltuttopiena,siaveval’impulsoconlacomplicazione che a quel punto la vescica poteva essere così piena da premere l’uretra chiusaconconseguenzepiuttostodolorose.

Ogni astronauta sapeva di dover programmare visite regolari ai servizi igienici, anche se non ne sentiva il bisogno. A qualche turista era già capitato di essere sottoposto alle cure del medico di bordo, e non ne avevaconservatounbuonricordo.

Come Isaacaveva appresogià durantel’addestramento,usareil WC nello spazio non era molto agevole, anche se a prima vista la strumentazione di bordo atta allo scopo era più o meno simile a quella terrestre. Ogni rack per la toilette era munito di cinghie sul pavimento e di barre ad altezza coscia che permettevano all’astronauta di restare fermo sul bersaglio. Una volta seduti, si attivava un riflusso negativo, una sorta di effettosottovuoto,che garantiva un’ottima aderenzadel corpo conil WC.

Erano messe a disposizione delle salviette umide che dovevano essere rigorosamente depositate in un apposito cestino, onde evitare che vagasseroperl’ambiente.Loscaricoeraadaria.

Per quanto riguardava le urine, un tubo apposito per la loro raccolta le inviava a un dispositivo che le recuperava per trasformarle in acqua potabile. L’autosufficienza di acqua era un obiettivo fondamentale per ridurre l’ammontare delle scorte che ogni volta le navette dovevano traghettare alle ISS o per le navicelle che affrontavano un viaggio nello spazio.

Dopo essere riuscito, non senza difficoltà, a raggiungere l’obiettivo, Isaacfeceusodellesalvietteumidificate.

La complessità dell’utilizzo dello shower rack lo fece desistere dall’accettarelapossibilitàdifarsiunadoccia.

Dopo essersi chiusi all’interno del rack, si doveva indossare una maschera per evitare d’inalare dell’acqua e soffocare, visto che in assenza di gravità l’acqua non scorreva lungo il corpo ma veniva spruzzataovunqueall’internodellacabina.

Terminata la doccia, e prima di uscire, si doveva azionare una pompa aspirantecherisucchiavatuttal’acquaincircolazione.

Data la scomodità della procedura, spesso anche i membri dell’equipaggio optavano in alternativa per asciugamani bagnati e specialidetergentichenonrichiedevanoilrisciacquo.

Isaac aveva deciso dirimandarela gioiadiuna docciaalloroarrivosulla baselunare.

CAPITOLO4

Lyra Kumar, anno 2064

1 – Congedo dalla madre

Rientrata dal Lussemburgo e in vista della mia prossima partenza per Marte,nonpotevorimandareoltrelavisitaamiamadreChandrika. Andavo a trovarla almeno una volta al mese a Worthing, una piccola cittadina marittima sulla Manica, dove si era trasferita dopo la morte di miopadre.

Dopolapianificazione delviaggiosuMarte,avevodecisodicongedarmi da lei di persona, considerando le difficoltà che comportava il viaggio chemiaspettava.

Non avevo mai approvato la sua decisione di trasferirsi in un luogo così lontanodaLondraesoprattuttodame,suaunicafiglia.

Imieigenitori eranorimastivittime di unincidenteferroviarioche aveva provocato la morte di mio padre e l’invalidità permanente di mia madre. Quel tragico giorno io ero all’università, e quando avevo saputo dell’accaduto avevo avuto la sensazione che il mondo mi si stesse accartocciandoaddosso.

Il treno a levitazione magnetica su cui stavano viaggiando, aveva avuto un guasto, provocandone il deragliamento e un conseguente scontro con unmezzoprovenientedallaparteopposta.

Da quel giorno Chandrika ha perso l’uso delle gambe. È stata la tecnologia a permetterle di migliorare le sue condizioni di vita, passando da invalida a di nuovo autosufficiente grazie all’utilizzo di un esoscheletro.

Dopo un po’ ha maturato la decisione di allontanarsi da Londra, alla ricercadiunluogopiùtranquillodovevivereilrestodeisuoianni.

La sua casa era situata sulla costa, una villetta a schiera di color bianco cangiante e con vetrate ampie che assicuravano una buona luminosità agliinternianchenellegiornatenuvolose.

Ad attendermi, di fronte all’abitazione, trovai Manik, l’androide domestico, che non mi era mai stato particolarmente simpatico. Ogni volta che videochiamavo mia madre, interveniva anchese nessuno glielo chiedeva.

«BuongiornoLyra,Chandrikatistaaspettandoincasa.»

«Buongiorno Manik, puoi farmi strada?» replicai io con una certa freddezza.

L’androideaprìlaportaem’invitòaentrare. Miamadre miaccolseconunsorriso.«CiaoLyra,come stai?Finalmente tivedoincarneeossa!»Mivenneincontroconagilità,abracciaaperte. Ogni volta che vedevo le sue protesi, non potevo fare a meno di pensare cheentrambeeravamodifattoduecyborg.

Anch’io avevo impiantata una protesi nel corpo, anche se si trattava di una sorta di archivio dati per il momento inutilizzato. La differenza tra noidue,eracheioloavevoscelto,miamadreinveceno.

Allontanai quei pensieri e ricambiai il sorriso, stringendola in un abbraccio.«Stobenemamma,etu?»

«Molto bene!» sorrise raggiante. «Anche stamattina io e Manik siamo andatiafareunapasseggiatasullungomare.»

Annuiieleaccarezzailebraccia.«Nontistancaretroppo,però.»

Leifece ungestoconlamano,come ascacciarele mieparole.«Oh!Non preoccuparti, lo sforzo lo fanno loro» disse, indicando le protesi. «E poi c’èsempreManikchevegliasudime.»

«Sì, certo» annuii, dissimulando la mia antipatia nei confronti dell’androide.

Il sorriso sul volto di mia madre si spense. «Lo so che sei venuta per un congedo…dunquequellapreoccupataadessosonoio…»

«Si tratta solo di lavoro, non ti devi preoccupare.» Le accarezzai una guancia.

«Solo lavoro? Non sono mica rimbambita! Definiresti un viaggio su Marte un semplice servizio giornalistico come un altro? E poi tutta quella storia d’intrighi commerciali e politici di quel… come si chiama?»

«MartinLewis…»

«Sì, insomma Lyra non mi piace il guaio nel quale ti stai andando a ficcare. Questa storia mi sembra pericolosa da tutti i punti di vista» commentòpreoccupata.

«Oh mamma, non fare così» tentai di tranquillizzarla. «È il mio lavoro, un’occasionechenonsiripeterà!»

«È molto rischiosa. Non voglio che tu salga su un razzo e te ne vada chissà dove. E se il razzo dovesse esplodere? E se qualcosa andasse storto?»

Mio malgrado sorrisi. Le sue preoccupazioni erano del tutto infondate «Mammanonesserepessimista!Andràtuttobene,vedrai.»

«Saibenechehoragionidavendereperesserlo,eanchetu…»

Lasuaallusioneall’incidentecheavevaprovocatolamortedimiopadre, mi colpì come un fendente, facendomi rendere conto che la ferita, dopo anni,noneraancorarimarginata.

Rimasiinsilenzio.

«Scusafigliamia,nonvolevoessereduraproprioconte.Èsolochesono preoccupata.»

Chiusi gli occhi un istante,poi annuii. «Lo so, ma non possiamo fermare lanostravitaperlapauradiquellochepuòsuccederci.»

Lei mi strinse le mani e provò a sorridere. «Hai ragione, ma promettimi chestaraimoltoattenta.»

Lesorrisianch’ioecistringemmoinunlungoabbraccio.

2 – Mio padre

Amitav Kumar era stato uno dei più famosi giornalisti inglesi della metà delXXIsecolo.

Amava molto il suo lavoro, al quale dedicava parecchio tempo, sottraendoneaquellochetrascorrevainfamiglia.Cosacheiovivevocon unacertasofferenzadapiccola.

Crescendo ho poi deciso d’intraprendere la stessa strada; forse per imitazione, o per cercare di comprendere appieno la sua incredibile devozioneperleinvestigazionigiornalistiche.

Non mi ci è voluto tanto per capire e provare la soddisfazione e l’emozione d’indagare nelle pieghe oscure della società, dove si annidano e si manifestano le peggiori caratteristiche dell’animo umano.

Portare alla luce le nefandezze che certe persone riescono a commettere in nome dei propri interessi personali, mi faceva provare una sorta di poterecatartico.

Sapevo bene che non sarebbe mai sparita l’attitudine di alcuni nel voler sopraffareglialtri,maiopotevodareilmiocontributopersmascherarli. Mio padre aveva lavorato per la BBC e per le più importanti testate giornalisticheinglesi.

Mi ricorderò sempre l’espressione sorpresa di mia madre quando vide apparire sullo schermo multimediale di casa, durante il notiziario, la sua figura, il suo volto leggermente tondeggiante incorniciato da capelli e barbabrizzolati.

Era sera, io e lei stavamo cenando da sole, come spesso accadeva. Il servizio giornalistico riguardava il Primo Ministro inglese e due membri del suo Governo. Mio padre stava mostrando agli spettatori chi era davvero il Primo Ministro e quali loschi affari gestiva, approfittando del suoruolo.

Il suo eloquio era fluente e chiaro, privo di retorica e moralismo. Con il suo solito sorriso contagioso stava demolendo il potere di fronte ai sudditi di Sua Maestà. Pochi giorni dopo, i tre si erano dimessi provocandolacadutadell’interoesecutivo.

I giorni successivi camminai per le strade di Londra accompagnata da una costantesensazionedibenessere,come se dicolpotutte leassenzedi miopadreavesserotrovatounagiustificazionevalida.

Non era più il papà che non poteva essere a casa per pranzo o a cena perché aveva da fare. Era scomparso il velo di tristezza che accompagnavale mie domenichedasolaalparcoconmia madre,oraero orgogliosadi AmitavKumar edel potere della veritàche difendeva edel quale si era fatto paladino, sacrificando anche il tempo da dedicare alla propriafamiglia.

In seguito ad altri casi importanti che fecero tremare alcuni potenti uominid’affari,finimmoperalcuniperiodisottoscorta. Qualche anno dopo, all’università, una mattina mi ero concessa una visita alla National Gallery di Londra. Ero di fronte a un quadro dipinto da Hans Holbein il Giovane, nel 1533: gli Ambasciatori. Quel quadro aveva sempre catturato la mia attenzione per la qualità dell’esecuzione e per quella figura ovoidale sospesa sul pavimento tra i due protagonisti ritratti nell’opera. Tra Jean de Dinteville, ambasciatore francese a Londra,eGeorgesde Selve,ecclesiasticovaticanodialtorango,Holbein il Giovane aveva inserito un teschio che per effetto dell’anamorfosi non eravisibilestandodifrontealquadro.

«Cispostiamodilato?»

Giraidiscattolatestaevidiilvoltosorridentedimiopadre. «Hopensatodifartiunasorpresa»continuòlui Sorrisiamiavolta.«Ciseiriuscito!Cosacifaiqui?»

«Ho saputo da tua madre che saresti venuta qui qualche ora e ho pensato dipassareperinvitartiapranzo.»

«Nientelavorooggi?»

«Oggisalto,ilmondopotràfareamenodimeperqualcheora»sorrise. Non era la prima volta che si presentava all’improvviso. Era raro ma succedeva, e credo facesse parte del suo modo di esserci, per dare più valoreallesuesporadichepresenzeelenireglieffettidellesueassenze.

«Allora salutiamo gli Ambasciatori e passiamo all’atra sala, e poi si pranza?» Amitav fece un cenno con il capo per indicare il quadro di Holbein.

«Sì, andiamo!» risposi, felice di rivivere la prima volta che avevo visto quelquadroproprioassiemealuimoltianniprima. Mentre varcavamo la porta alla destra del dipinto, dando un ultimo sguardo, apparve ben visibile la figura del teschio. Dalla sontuosità della scena, dagli splendidi vestiti e arredi, dal vigore dei due giovani protagonisti, si passava al simbolo della fine inevitabile di ogni cosa e all’ingannochemoltevoltesiceladietroleapparenze.

Fu durante quel pranzo che gli proposi di accompagnare mia madre a Berlino. La mamma aveva sempre desiderato visitare nella città tedesca quella che veniva chiamata “l’isola dei musei”. Si trattava di un concentrato di arte antica e moderna che la affascinava dai tempi della scuolama,pervarieragioni,noneramairiuscitaavisitarefinoadallora. «Dovresti farle questo regalo prima o poi.» Lo spinsi ad accettare la mia proposta.

«Magariperilsuoprossimocompleanno.»Misorriselui. Qualche mese dopo, regalai ai miei genitori un soggiorno di una settimana a Berlino, costringendo di fatto mio padre a non pensare al lavoro.

Fu l’ultima settimana della loro vita insieme. Al ritorno, il treno a levitazione magnetica impazzì e inghiottì la vita di mio padre e rese invalidamiamadre.

Avevo regalato loro un dono maledetto. L’immagine del teschio del quadrodiHolbein,frequentòassiduamentelemienottidopol’accaduto.

Visita al Tempio

Prima di recarmi da mia madre per salutarla, avevo deciso di fare una seduta di meditazione assistita dall’ologramma del mio maestro di riferimento,unmonacozendeltempio londinese,dovea voltemi recavo dipersona.

Lo frequentavo ormai da anni, e ogni volta che varcavo la soglia del centro buddista, riportavo alla mente i principi di quella che non era una semplicefilosofiaounareligione,maunpercorsopraticoperlosviluppo dellamente,conl’obiettivodivederelecosepercomesonodavvero.

Mi ricordavo spesso le parole del maestro a proposito del “coltivare” la mente in meditazione, e del condurre una vita piena di significato e valore. Il buddismo era da intendersi come un mezzo per raggiungere una visione completa della vita attraverso la meditazione, lo studio, i rituali,l’amiciziaeunsensodiscoposemprepiùprofondo.

Talvolta avevo la sensazione di disattendere questi concetti, e forse di nonavernecapitoilsignificato.

Mirendevoconto,conrammarico,cheimieibuonipropositisidiluivano nel flusso della vita fuori da quell’isola di pace e serenità, ma ero ben consapevole che questo faceva parte delle controindicazioni del vivere immersinelSaṃsāra.

Il giorno che mi recai al centro per congedarmi dal maestro, era una giornatagrigia,unaleggeramainsistentenebbiolinaavvolgevalacittà.

L’androidecheaiutavaacurarel’ordineelapuliziaall’internodelcentro mi accolse con un sorriso, che anche a un estraneo sarebbe apparso “sincero” per quanto poteva esserloquello di una macchina dotatadiuna limitata capacità pensante, ma istruita ai fondamenti della compassione buddhista.

«BuongiornoLyra!Ilmaestrotistaaspettandonelgiardino.»

«Alloraloraggiungo.»Glisorrisiamiavolta,avviandomiversoilcortile internodelcentrodimeditazione.

Il maestro Hideki Ishikawa era intento a terminare la nuova composizione del giardino zen. Mi fermai sul perimetro esterno, osservandolo.

Era girato di spalle, la sua esile sagoma si muoveva lentamente sollevando il rastrello di legno con il quale stava tracciando nella ghiaia sottili linee curve e parallele, tipiche di quel tipo di giardini, che contornavanoeriempivanolospaziotrasassiisolatieneri.

3

Il suo capo rasato seguiva il movimento del braccio fino a terminare una serie di linee. Interruppe il suo lavoro ma non si voltò. «Ben arrivata Lyra»miaccolsecontonocalmo.

«Buongiorno maestro Hideki, mi spiace interromperti nel mezzo di un attocreativo.»

«Oh, nessuna interruzione! Ho appena terminato e poi questa composizioneè inonoredelviaggiochestaiperintraprendere.»Si voltò, accarezzandomiconilsuosguardosorridente.

«Grazie, è molto gentile daparte tua. Sono passata per salutare, anche se nonhocapitoseapproviomenolamiamissione.»

«Oh, Lyra!» sorrise. «Tu non hai certo bisogno della mia approvazione.

Vedi quei sassi neri immersi tra le linee segnate nella ghiaia bianca?» m’indicò con la mano. «Sono una rappresentazione dell’universo, dello spazio nel quale siamo immersi e del quale siamo fatti.» Mosse alcuni passi lungo il perimetro del giardino. «I sassi rappresentano pianeti o galassie, e la ghiaia quello che fino a un secolo fa si considerava spazio vuoto ma che ora abbiamo riempito con la materia e l’energia oscura, le cuitrame,lelinee,reggonolastrutturadell’interouniverso.»

Guardai incantata ciò che aveva da mostrarmi, e annuii. «L’immagine simbolica è affascinante, solo mi lasciano perplessa le galassie nere e la materiaoscurabianca,suonaunpo’stranal’associazionedeicolori.»

«Comebensai,leapparenzeavolteingannanolanostramente.»

Il maestrofecepochipassisottoilporticochecircondavailgiardinozen. Ioloseguii.

«Noi monaci zen amiamo la sintesi» continuò, consegnandomi un piccolooggettorettangolareditessutoarancione.

«Un omamori» constatai con piacere, accarezzando il piccolo portafortuna tipicodel Giappone:un sacchettino di stoffa contenenteuna preghierascrittasuunfogliettodicartaosuunpezzettodilegno.

«Ho pensato che un migawari omamori sia il dono più adatto per accompagnartinellungoviaggiochetiaspetta.»

Quel tipo di amuleto aveva la funzione di assorbire le influenze maligne e,senecessario,consumarsialpostodellapersonaprotetta.

«Gliho datouna benedizionespeciale,vistochepotrebbe servirti perpiù diunanno.»

Ero commossa. Feci un mezzo inchino con il capo. «Grazie maestro Hideki,credocheneavròbisogno.»

Lo scopo degli omamori era di supportare e incoraggiare una persona nelle difficoltà, non ci si aspettava che l’amuleto risolvesse i problemi conla “magia”.Sapevobene che spettava ame il compitodifar girarele coseperil versogiusto, maportarequel piccolooggettomi avrebbefatto pensare a lui e ai suoi insegnamenti. Sarebbe stato come avere sempre comemeilsuosorrisocontagioso.

Quando uscii dal centro zen, mi sentii avvolta dal grigiore della giornata chesembravaavermandatoinferieilsole.

Il tempo meteorologico di Londra e dell’Inghilterra in genere non era mai stato il mio preferito, ma ero sicura che quando mi sarei trovata a viaggiarenelfreddoescurovuotointerplanetario,loavreirimpianto. Che sollievo sarebbe stato allora pensare alle parole del Maestro Hideki, eallesinuoselineebianchedelsuogiardinozen.

CAPITOLO5

Isaac Kent, anno 2066

1 – Partenza per lo Spaceport lunare

Era finalmente giunto il momento per Isaac e Pierre Maxime di salire sullo shuttle, pilotato da Rajiv Chandra, che li avrebbe portati verso l’orbita lunare. Il viaggio richiedeva meno di un giorno, durante il quale sipermanevainassenzadipeso.

«Vedrete che passerà in fretta, e presto saremo a destinazione» rassicurò l’astronauta,originariodiMumbai.

«Immagino che fare l’astronauta sia sempre stato il tuo sogno?» chiese

PierreMaxime,dopoessersiallacciatolacinturadisicurezza. Rajivannuì.«Sì,findapiccolo.Anchese,spintodaimieigenitori,avevo all’iniziointrapresostudidimedicina.»

«Hai lasciato l’università prima di laurearti in medicina?» intervenne Isaac.

«Oh! Molto prima» sorrise Rajiv, mentre controllava l’assetto della navicella sul pannello di controllo. «Al secondo anno decisi che il mestiere di medico non faceva per me. Allora optai per ingegneria aerospazialeedeccomiqua!»

«Unmedicoinmenoeunastronautainpiù»commentòPierreMaxime. «Tuttihannodiritto atrovareilloroposto nell’universo.»Il visodi Rajiv era sempre illuminato da un sorriso, esaltato dal colorito bruno della pelle, a sottolineare il suo carattere solare e ottimista. I suoi occhi neri comela notte,daunlatosembravanoperforartia ognisguardo,dall’altro trasmettevanounabeneficasensazionedisicurezza.

L’ultima frase pronunciata dall’astronauta indiano fece affiorare un pensiero nella mente di Isaac: era lì, nello spazio, il suo posto nell’universo? Perché aveva accettato quella missione non priva di rischi?Persensodeldovere?

Certo, lui si dedicava alla professione con dedizione, perché aveva sempre creduto che nonostante tutte le possibili interferenze esterne, alla fine ci sarebbe stato il trionfo della verità e della giustizia. Oppure era solo un ingenuo funzionario che viveva nella sua bolla aliena dal reale corsodeglieventi,comeavevasemprepensatolasuaexmoglie?

Grace, nell’ultimo anno della loro vita assieme, non aveva mai mancato di farglielo notare. Sembrava essere diventata un’ossessione per lei. Da quando era entrata nel pool di avvocati di uno dei più importanti studi legali dello Stato Nordamericano, era cambiata. Il giorno che gli comunicò, con freddezza, a colazione la sua intenzione di lasciarlo, aveva stentato a riconoscere nella donna elegante, dal viso candido e dai capellineri,lunghieliscicheglistavadifronte,lacompagnadell’ultimo decennio. Quegli occhi di un blu profondo, che gli ricordavano ogni volta il colore del mare in una giornata di sole, ora gli stavano confessando che le sue aspettative su di lui non erano state soddisfatte. Unosguardopenetrantenonperconquistarlo,maperrespingerlo. Eppure Isaac era diventato un ispettore d’importanza internazionale, ben lontano da quello che si sarebbe potuto definire un fallito. Ma a Grace non bastava. Lo considerava un grigio funzionario, poco più che un capoufficio e, a completare il quadro, lei non mancava di dirgli che quel grigioreluiloportavaancheacasa.

Isaac era lì a migliaia di chilometri da New York anche per quella ragione? Forse aveva accettato quella missione nello spazio per combattereilmalesserecheavevaradicisullaTerra.

«Hai già fatto altre volte questa tratta?» La domanda di Pierre Maxime rivolta a Rajiv interruppe la catena di domande che Isaac stava sottoponendoasestesso.

«Questa è la quinta voltatra ISS-4eSpaceport, etrevolte sonoscesocon l’ascensorefinosullasuperficie.Vedretecheèunosballo!»

«Non ne dubito» intervenne Isaac rientrato in partita, pensando al suo povero stomaco che sembrava già preannunciargli che non avrebbe per nienteapprezzatoquellanuovagiostra.

«Lo Spaceport al quale siamo diretti serve per l’interscambio di persone e come servizio cargo per i rifornimenti alle navicelle spaziali» spiegò

Rajiv, mentre impostava la rotta e avviava a tutta velocità la navicella diretta verso la Luna. «La caratteristica che però lo rende al momento unico nel suo genere, è il fatto di essere collegato al primo ascensore

spaziale lunare» continuò, mentre Isaac sentì il suo stomaco compresso versoilsedilealqualeeraallacciato.

«La struttura è il frutto della collaborazione tra nordamericani, europei, russiegiapponesi.»MentreRajivcontinuavanellasuaesposizione,Isaac diede un’occhiata al collega francese constatando, con un certo sollievo, di non essere il solo ad accusare le conseguenze dell’accelerazione della navicella.

«L’ascensore è stato costruito per collegare la base lunare di Mons Malapert allo Spaceport per fornire un mezzo di trasporto per persone e cose più economico, comodo e sicuro.» Rajiv sembrava a suo agio in quello spazio angusto. Al contrario, Isaac non vedeva l’ora di uscire da lì.

«E se l’ascensore dovesse guastarsi?» chiese lui, poggiandosi una mano sullostomaco.

«Esiste una piattaforma di atterraggio per i lander nella prossimità della base lunare, che viene mantenuta in efficienza e può essere utilizzata in alternativa nel caso l’ascensore fosse stato danneggiato e reso temporaneamenteinutilizzabile.»

«Si è pensato proprio a tutto.» Isaac manteneva la mano sull’addome, comeperconfortarladelfastidiodelmaldispazio.

«Sì, si è pensato più o meno a tutto. Ma ora pensiamo ai vostri due stomaci che intuisco essere un po’ in subbuglio.» Sorrise Rajiv, impostando il pilota automatico prima di tirare fuori da una tasca del sediletrepillole.

«Queste ci aiuteranno a fare un buon viaggio e a riposare un po’.» Le passòaisuoicompagnidiviaggio.

«Cherobaè?»chiesePierreMaxime,manifestandounacertadiffidenza.

«Niente di pericoloso, tranquilli. Io la prenderò per primo. Serve per rilassare noi e i nostri poveri apparati digerenti.» Rise, ingoiando la pillola.

«Non sono sicuro che basti questa per stare meglio, ma credo di non averescelta.»IsaacvidechePierreMaximeavevagiàinboccalasua.

«Allora buon viaggio!» augurò Rajiv, mostrando di nuovo i denti bianchi, mentre la navicella sfrecciava nello spazio, puntando verso la Luna.

Fineanteprima. Continua…

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