Bambola, Diego Pesaresi

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DIEGO PESARESI

BAMBOLA

ZeroUnoUndici Edizioni


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BAMBOLA Copyright © 2021 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-460-1 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Aprile 2021


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I

Aprì la porta blindata ed entrò nel suo appartamento, andò subito in cucina per appoggiare la busta con la cena sul tavolino, alle diciassette e trenta del pomeriggio era ancora presto per mangiare, aveva tutto il tempo di farsi una doccia e dare un’occhiata al computer. Con addosso solo l’accappatoio e i capelli ancora bagnati si sedette in poltrona davanti allo schermo del portatile che si illuminava e pian piano prendeva vita, inserì la chiavetta e si collegò a internet. Un rapido sguardo alla posta elettronica, poi a Facebook, rimase invisibile agli amici, non voleva chattare con nessuno, non era quella la ragione che lo aveva spinto ad accendere il pc, nell’ultima ora di lavoro ci aveva pensato spesso e adesso finalmente la prima pagina di Youporn gli appariva davanti. All’inizio solo un fremito, poi lo scorrere frenetico delle immagini, alla ricerca della più intrigante, il download del filmato e l’eccitazione che aumentava, fino alla ricerca di un’altra immagine e un altro filmato, la mano che accarezzava il sesso in simbiosi con gli occhi che si mangiavano le sequenze una dietro l’altra. Alla fine il piacere intenso e fugace, che terminava già con lo scarico dello sciacquone del bagno; subito dopo una punta di insoddisfazione e quasi tristezza, in apparenza immotivata, che ultimamente era sempre più presente. Arturo la scacciò dai propri pensieri e continuò a navigare. Leggeva un sito di notizie di cronaca nera quando si aprì un’altra pagina: se frequentavi spesso o anche ogni tanto siti porno, il minimo che ti poteva capitare era di imbatterti in qualche virus, che pur essendo innocuo per il computer, ti infettava in modo tale che ti si aprivano a casaccio delle pagine pubblicitarie dei più svariati prodotti. In particolare quella pagina pubblicizzava un prodotto sconosciuto ad Arturo, le “Real Dolls”, che erano delle bambole, ma non di quelle gonfiabili, queste erano in silicone; incuriosito ci cliccò sopra e si aprì il sito.


4 Era un sito americano, Arturo masticava un po’ di inglese e riuscì a capire che queste bambole avevano uno scheletro in pvc e articolazioni in acciaio, anche l’estetica era curata nei minimi dettagli: le fossette sul mento, le unghie smaltate e addirittura la possibilità di tatuaggi. Il prezzo, però, gli sembrava molto alto, diecimila dollari per la versione base, con la possibilità di accessori vari che quel prezzo facevano lievitare. Continuò a leggere e scoprì che c’era la possibilità di personalizzare la propria bambola, non solo nelle caratteristiche fisiche ma anche nelle fattezze del viso, la si poteva fare identica a un’attrice nota, o alla propria vicina di casa, oppure, pensò Arturo, potrebbe essere identica a una collega molto attraente. La collega a cui pensò si chiamava Chiara Berardi, era alta, bionda, con gli occhi verdi, un fisico magro, ma con tutte le curve nei punti giusti, l’aveva pensata spesso nei suoi sogni erotici, purtroppo non riusciva a ignorarla, né a detestarla perché era simpatica e sempre disponibile, ma fidanzatissima e pertanto inavvicinabile, a maggior ragione per lui, un quasi quarantenne, quasi calvo, quasi grasso, del tutto inadeguato al ruolo di seduttore di donne impegnate. Il sito dava la possibilità di avere dei preventivi personalizzati a seconda delle varie esigenze e Arturo, più per gioco che per convinzione, completò la scheda con le caratteristiche che gli interessavano e la inviò, la risposta sarebbe arrivata via mail. Il pensiero di Chiara, però, aveva risvegliato qualcosa in lui… pensò che prima di cena c’era ancora tempo per un altro passaggio su “Youporn”.


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II

Il giorno dopo in ufficio Arturo ebbe una giornata pesante, il Caf per il quale lavorava aveva un grosso cliente per le mani e lui era uno degli incaricati di soddisfare qualsiasi esigenza del nuovo cliente, non vide Chiara nemmeno una volta, perché era impegnata con l’imminente scadenza dell’invio delle dichiarazioni e non pensò più alla storia della bambola. Arrivò a casa con un’ora di ritardo, stanco morto e affamato, era passato alla solita rosticceria e non doveva fare altro che scaldare le fette di manzo arrosto e le patate al forno. Prima accese il portatile per controllare la posta: in ufficio, per questioni di sicurezza informatica, c’era un solo computer con l’accesso a internet e veniva usato da tutti, per questo spesso tornava a casa senza aver nemmeno letto la propria mail, doveva proprio decidersi a comprare uno smartphone. Una mail in particolare colpì la sua attenzione, proveniva dagli Stati Uniti, ed era il preventivo che aveva chiesto la sera prima. Tra gli allegati c’erano delle immagini che aprì per prime, rimase a bocca aperta quando si trovò davanti una donna nuda, non una donna qualsiasi, l’immagine che stava guardando era quella di Chiara così come l’aveva vista solo nei suoi sogni erotici, non sembrava una bambola, ma una persona vera e la sua prima impressione venne rafforzata dalle immagini successive che la ritraevano in varie pose. Un’idea folle stava maturando in lui, ma il preventivo fu una doccia gelata, ben quindicimila dollari! In realtà li aveva, lavorava da molti anni e aveva messo da parte un gruzzoletto con il quale prima o poi intendeva comprarsi una casa, senza essere costretto ad accendere un mutuo troppo grande, per questo l’idea di spendere quella grossa somma non gli piaceva, per comprarsi cosa poi. Chiuse quella mail e il portatile, per un attimo aveva accarezzato l’idea, ma era rinsavito, aveva una fame da lupo e si dedicò alla preparazione della cena, che poi voleva dire solo mettere in un piatto quello che aveva comprato in rosticceria.


6 Quella notte sognò la bambola con le fattezze di Chiara, che parlava proprio come lei in ufficio e si muoveva come lei, ed era proprio lei. Però era nuda e Arturo non le toglieva gli occhi di dosso, ma non riusciva a parlarle, poi lei si avvicinò posandogli una mano sulla guancia e lui si sentì bruciare e si svegliò in un bagno di sudore. Il mattino dopo evitò in tutti i modi di incrociare lo sguardo della collega, sarebbe sicuramente arrossito senza apparente ragione, ma non poteva fare a meno di guardarla quando passava davanti alla porta aperta del suo ufficio, sapeva sempre in anticipo che era lei, la riconosceva dal rumore dei tacchi sul pavimento, quell’incedere lento e sensuale che lo faceva impazzire.


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III

L’idea della bambola continuava a tentarlo, il costo gli sembrava ancora eccessivo, ma voleva informarsi meglio, quella sera tenne spento il televisore e si concentrò sulla ricerca di notizie. In rete scoprì un mondo di cui non sapeva l’esistenza, c’erano molti siti sull’argomento, anche dei blog e dei forum dove numerosi utenti avevano postato le loro impressioni, per lo più erano positive, addirittura c’era chi era entusiasta dell’acquisto, ma anche chi si dichiarava un po’ deluso, ammetteva che forse aveva avuto delle aspettative troppo grandi. Sulla società americana del preventivo non trovò molte informazioni, oltre a quelle già presenti sul sito: aveva sede a Los Angeles e le sue bambole erano usate anche dalla pubblicità e dal cinema, era stata fondata pochi anni prima da un gruppo di lavoratori dell’industria cinematografica, che comprendeva truccatori, scenografi e artigiani esperti di effetti speciali. Trovò su un forum un commento dettagliato su una delle loro bambole, che la descriveva in maniera entusiastica, in particolare si sottolineavano gli arti snodabili, con le mani che assumevano la posizione desiderata, la bocca che si apriva, con tanto di denti e gengive e sulla lingua la forma delle papille gustative. Gli occhi si aprivano e chiudevano autonomamente ed erano studiati in ogni particolare, tanto che perfino le ciglia sembravano tirate con il mascara. Sul sito della società trovò ulteriori dettagli sulla possibilità di personalizzare la propria bambola, alcuni modelli si riscaldavano con il movimento, più si muovevano e più la temperatura in superficie si alzava, addirittura era stato messo a punto un sistema di sensori interni, grazie al quale se si stringeva un braccio affioravano delle riproduzioni delle vene di colore blu. Più si informava e più cresceva il suo interesse, cominciava a immaginare come sarebbe stato avere il proprio modello personalizzato, alzò gli occhi dalla piccola scrivania e guardò il suo letto a due piazze vuoto, lui dormiva dalla parte destra, come se dovesse far posto a


8 qualcuno, ma da molto tempo nessuna donna aveva più occupato la parte sinistra del suo letto. Andò avanti a cercare e a informarsi fino alle tre di notte, il mattino alle sette si svegliò pimpante e risoluto come non lo era più stato da molto tempo, ormai era deciso a fare quel “colpo di testa”, poteva permetterselo e lo avrebbe fatto, avrebbe rinunciato ad altre cose, tagliato altre spese, ma avrebbe avuto la sua bambola, la sua Chiara da cui tornare la sera dopo il lavoro.


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IV

Tutto il giorno pensò e ripensò alla questione, qualche volta veniva assalito dal dubbio, ma alla fine la risposta che si dava era sempre quella che si era dato al mattino, la voleva e se davvero fosse stata così somigliante all’originale, come dalle immagini di computer grafica che gli avevano mandato, allora valeva tutti i soldi che avrebbe speso. All’ora di pranzo ormai la decisione era maturata e diventata definitiva, si sentiva più leggero, quasi euforico, doveva informarsi bene sui tempi di consegna, lo avrebbe fatto non appena rientrato a casa. «Andiamo a pranzo insieme Arturo?» Era proprio Chiara che si era affacciata alla sua porta. «Sì, certo!» rispose senza esitare. Quel giorno a pranzo si sentiva benissimo, fu acuto e brillante e Chiara rise molte volte alle sue battute, era come essersi tolto un peso, di solito non riusciva a essere spontaneo in sua presenza, ma il pensiero della bambola lo aveva come liberato dall’obbligo di fare bella figura con la collega. «Voglio sempre venire a pranzo con te Arturo, oggi sei stato troppo divertente, sei riuscito a distrarmi dai miei pensieri», disse Chiara. «Perché c’è qualcosa che ti preoccupa?» domandò Arturo. «No, niente di importante, non ti preoccupare, tu sei riuscito a farmelo scordare, grazie.» Poi continuò: «Ti passo a salutare prima di andarmene, a dopo Arturo!» «Va bene, a dopo!» Alle diciassette Chiara si affacciò alla porta del suo ufficio, lo salutò con un grande sorriso e gli augurò buona serata; anche lui sorrise e ricambio l’augurio, non vedeva l’ora di tornare a casa e mettersi davanti al computer.


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V

Controllò di nuovo il suo conto corrente online, aveva la disponibilità di una discreta somma, anche tenendo conto della spesa che stava per fare. Una volta rispedito indietro il preventivo l’affare poteva considerarsi concluso, aveva l’obbligo di pagare metà della somma entro quindici giorni dall’ordine e l’altra metà l’avrebbe potuta pagare entro trenta giorni dal ricevimento del prodotto. La società americana era così sicura delle sue bambole che prevedeva la restituzione entro un mese al posto del pagamento della rimanenza, se il cliente non fosse rimasto soddisfatto: in quel caso avrebbe dovuto pagare solo una piccola penale dell’uno per cento del prezzo di vendita. Dunque aveva tutte le garanzie e poteva procedere all’acquisto, la società garantiva la consegna al massimo entro tre mesi, ma non dava una scadenza precisa, in ogni caso Arturo aveva tutte le informazioni necessarie per fidarsi. Inviò la mail con il preventivo allegato, firmato e scannerizzato, non doveva fare altro, solo aspettare, sorseggiò il suo bicchierino di porto e un sorriso soddisfatto gli si dipinse sul volto. Avrebbe avuto la sua Chiara, non in carne e ossa, piuttosto in silicone, ma non gli importava, anzi la vera Chiara lo metteva un po’ in imbarazzo, la bambola invece lo lasciava tranquillo, non si doveva per forza sostenere una conversazione, l’importante era tenersi la cosa per sé, nessuno doveva sapere niente della bambola, altrimenti sarebbe morto di vergogna. Il giorno dopo al lavoro non ci pensava quasi più, l’acquisto ormai era fatto e aveva provveduto anche al bonifico, la consegna non dipendeva più da lui; solo ogni tanto si chiedeva se fosse stato giusto spendere tutti quei soldi per quello che in fin dei conti era solo un giocattolo, ma poi si ripeteva che quel che era fatto era fatto e non si poteva tornare indietro. Già un risultato positivo l’aveva potuto constatare, era molto più sciolto quando aveva a che fare con Chiara, era come se si fosse liberato da un incantesimo, continuava a essere attratto da lei, ma il desiderio che provava e che lo imbarazzava, si era come spostato verso un altro obiettivo, anche se soltanto virtuale.


11 Inoltre Chiara mostrava di apprezzare molto questo suo nuovo approccio, questa sua nuova sicurezza e cercava sempre di più la sua compagnia: da allora in avanti la pausa pranzo, da soli o in compagnia di altri colleghi, la passarono quasi sempre insieme.


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VI

Passarono più di due mesi. Quella sera il portiere dello stabile lo stava aspettando, appena Arturo aprì il portone se lo trovò di fronte. «Buonasera signor Frondi!» «Buonasera Gino, tutto bene?» «Sì certo! Oggi è arrivata una raccomandata per lei, aspetti che la vado a prendere.» Tornò con una busta gialla affrancata più volte. «L’ho voluta consegnare personalmente perché mi è sembrata importante, viene dagli Stati Uniti, tutti questi timbri testimoniano il viaggio che ha fatto.» Arturo conosceva bene la proverbiale curiosità di Gino, che non si faceva mai i fatti suoi, il fatto che non avesse semplicemente messo la lettera nella sua buca della posta era dovuto proprio alla necessità di carpire da lui qualche informazione; non dirgli niente sarebbe stato peggio, avrebbe aumentato la sua voglia di sapere, che in qualche modo bisognava saziare. «Grazie Gino, hai fatto bene, in effetti è una lettera importante di lavoro, ho mandato un curriculum a una società americana e questa deve essere la risposta», disse Arturo, che aveva notato sulla busta il nome della società che produceva le bambole. «Signor Frondi non è che se ne va a lavorare all’estero?» «No! Almeno non a tempo pieno, è una collaborazione esterna, eventualmente si tratterebbe di fare qualche viaggio ogni tanto.» Arturo prese la busta e si congedò con un cenno del capo, la faccia del portiere era un po’ perplessa, si vedeva che era parzialmente soddisfatto della spiegazione e la sua curiosità non era saziata, ma per il momento lasciò perdere. Entrò in casa e andò direttamente in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, aveva appoggiato la lettera sul tavolo e mentre beveva la guardava incuriosito, erano passati quasi tre mesi dalla mail di conferma e ormai si sarebbe aspettato di ricevere direttamente la bambola.


13 Ruppe gli indugi, la aprì e cominciò a leggere, il suo inglese era poco più che scolastico, ma capì quasi subito il senso delle parole che vi erano scritte. In pratica erano lieti di comunicare che la bambola era stata spedita e che di lì a tre giorni sarebbe stata disponibile per il ritiro presso un corriere della città, nella lettera si precisava che i trenta giorni per il saldo sarebbero partiti dalla consegna della bambola. C’era l’indirizzo della sede del corriere, e Arturo avrebbe potuto scegliere se andare personalmente a ritirare la bambola o aspettare che la consegnassero. Decise che sarebbe andato a prenderla lui.


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VII

Il corriere si trovava nella periferia nord della città, una zona industriale in cui Arturo non era mai stato. Arrivò attraverso la grande via principale, i capannoni sfilavano su entrambi i lati interrotti ogni tanto da un’altra strada perpendicolare a quella principale; le vie sembravano tutte uguali, ma per fortuna erano ben segnalate e anche i numeri civici erano in evidenza. Finalmente trovò la via che gli interessava, svoltò a sinistra e poche centinaia di metri dopo sulla destra vide il corriere. L’ufficio era sul davanti in una piccola palazzina a un piano staccata dal resto del capannone, entrò e un signore piuttosto anziano seduto dietro a una scrivania alzò gli occhi verso di lui. «Buongiorno, desidera?» «Buongiorno, dovrei ritirare un pacco a nome Arturo Frondi, è una spedizione che viene dagli Stati Uniti.» «Aspetti che guardo», disse l’uomo cominciando a digitare dei tasti al computer. «Sì! Eccola qua, è ancora in magazzino, la consegna sarebbe avvenuta al massimo domani», continuò l’uomo che nel frattempo stampò un foglio che consegnò ad Arturo. «Con questo può andare a ritirare la merce in magazzino, proprio dietro all’ufficio, intanto io li avviso che sta arrivando.» «Grazie mille, arrivederci», disse Arturo congedandosi. Al magazzino c’erano vari pianali di carico rialzati, Arturo si fermò davanti al primo dove due operai stavano caricando della merce su un furgoncino. «Buongiorno, dovrei ritirare un pacco», si avvicinò a un operaio e consegnò il foglio, quello prima lo lesse poi gli fece cenno di aspettarlo, poco dopo tornò con quella che sembrava proprio una cassa da morto. In realtà era molto più leggera, perché fatta di compensato, Arturo se ne accorse quando con il solo aiuto dell’operaio riuscì facilmente a sollevarla per metterla in auto, meno male che aveva una familiare, nonostante non fosse mai andato nemmeno vicino a farsi una famiglia.


15 Guidò verso casa con prudenza come se trasportasse davvero una persona, la cassa era sistemata in verticale sul sedile posteriore, ma sporgeva di almeno mezzo metro sul sedile del passeggero di fianco a lui. Ogni tanto Arturo per pochi secondi, quando poteva allontanare gli occhi dalla strada, guardava l’estremità di quella cassa come se da un momento all’altro potesse aprirsi per dare finalmente una forma al suo desiderio. Durante il tragitto pensò al modo di liberarsi di quell’impiccione del portiere, non poteva farsi vedere da lui con quella cassa così ingombrante, dirgli una bugia era escluso, non ci avrebbe creduto e lo avrebbe tormentato per sapere cosa conteneva quella cassa. Parcheggiò nella via dietro lo stabile dove c’era l’ingresso dei garage e da lì chiamò la portineria, pensò che magari poteva essere uscito, invece Gino rispose subito. «Pronto? Chi Parla?» «Buongiorno Gino, sono Arturo, avrei bisogno di una cortesia.» «Dica pure signor Arturo, se posso aiutarla lo faccio volentieri.» «Avrei bisogno di un favore, questa sera ho ospiti a cena, volevo prendere due bottiglie di vino all’uscita dal lavoro, in quella famosa enoteca che mi ha consigliato lei, ma finirò tardi e non faccio in tempo.» «Non si preoccupi signor Arturo, ci penso io, quale vino devo prendere?» «Non lo so faccia lei, è una serata speciale, due bottiglie basteranno, saremo solo in due.» «Va bene signor Arturo, non si preoccupi vado subito.» «Grazie Gino, arrivederci.» Era esattamente ciò che Arturo voleva sentirsi dire, sapeva che avrebbe stuzzicato la curiosità di Gino con quelle parole. Si spostò con l’auto in modo da vedere l’ingresso della via, proprio dove incrociava la statale, passarono pochi minuti e poi passò l’utilitaria di Gino. Arturo partì immediatamente, arrivato allo stabile entrò nel cortile interno, passò davanti alla portineria e gettò un’occhiata, giusto per essere sicuro, poi entrò nell’area destinata ai garage e parcheggiò di fronte al suo. Prima di scendere controllò bene che non ci fosse nessuno, poi scese, aprì la porta del suo garage e il bagagliaio dell’auto, in pochi secondi afferrò per l’estremità la cassa e la trascinò dentro, poi richiuse svelto. Si ritrovò al buio e sorrise per essere riuscito nell’intento di non


16 farsi notare da nessuno, la cassa aveva fatto solo un piccolo tonfo quando l’altra estremità era caduta dall’auto, per il resto era filato tutto liscio. Prese il cellulare e lo accese per farsi luce e guardare un’ultima volta la cassa, adesso doveva sbrigarsi, uscì, richiuse il garage ed entrò in casa. Quando passò velocemente davanti alla portineria, di Gino ancora non c’era neanche l’ombra, era sicuro che al suo ritorno non gli avrebbe portato subito le bottiglie, non avrebbe resistito alla tentazione di vedere chi sarebbe venuto a cena, pertanto avrebbe aspettato nella portineria finché non fosse arrivato qualcuno che, però, non sarebbe mai arrivato. Ripassò davanti alla portineria dopo pochi minuti con due enormi sacchi neri residuo di quelli che aveva usato anni prima quando si era trasferito e aveva buttato molte cianfrusaglie lasciate dall’inquilino precedente. Riaprì il garage e avvolse i due sacchi alle due estremità della cassa, era completamente nascosta, nessuno se lo avesse visto avrebbe potuto capire cosa stava trasportando. L’ascensore del condominio era libero e nessuno lo vide aprire la porta del suo appartamento ed entrare, tirò un sospiro di sollievo, non doveva inventarsi nessuna spiegazione da dare ai vicini, che per lo più erano persone di una certa età, ormai in pensione da anni e con la stessa propensione del portiere a non farsi i fatti propri. Come previsto Gino si decise a portare le bottiglie quasi alle ventuno dopo aver evidentemente perso la speranza di incontrare qualcuno di estraneo passare davanti alla portineria. Bussò alla porta di Arturo e usò la più classica delle scuse, cioè che si era scordato, con un ultimo disperato tentativo chiese di potersi scusare personalmente con il suo ospite o la sua ospite, naturalmente voleva essere sicuro che durante la sua assenza per comprare la bottiglia non fosse arrivato nessuno. Arturo non gli diede alcuna soddisfazione, rispose prontamente che la cena era saltata, senza aggiungere altri particolari, ringraziò il portiere per la solerzia, disse proprio così, anche se non era sicuro che Gino conoscesse il significato della parola. Poi lo salutò e chiuse la porta senza dargli il tempo di replicare.


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VIII

Arturo concluse la cena con un gelato, sparecchiò la tavola, mise i piatti e le posate in lavastoviglie, poi si versò un bicchiere di porto e si stravaccò sul divano, ma non accese la televisione come faceva tutte le sere. Pensò a quello che lo stava aspettando nell’altra stanza: aveva lasciato la cassa ai piedi del letto, senza aprirla, aveva ancora chiara in mente l’immagine di ciò che aveva visto in garage anche se per pochi secondi. Senza fretta finì il suo bicchiere e si alzò dal divano, senza avere deciso precisamente cosa fare, l’unica cosa su cui aveva riflettuto e di cui era sicuro riguardava la somma spesa per il suo acquisto, era giunto alla conclusione che mai aveva fatto una spesa più azzeccata. Entrò in camera da letto, accese la luce e chiuse la porta benché fosse solo in casa, tolse il coperchio di compensato, restò un momento senza fiato poi una volta ripreso a respirare restò immobile, solo gli occhi si muovevano in tutte le direzioni. Quello che vedevano era la perfezione assoluta, la perfetta riproduzione della sua collega Chiara, forse solo un po’ più bianca di pelle, ma non ne era sicuro perché Chiara non l’aveva mai vista così spogliata, con indosso solo il reggiseno e le mutandine, entrambi bianchi, che facevano risaltare ancora di più la pelle candida. Arturo dopo un tempo lunghissimo si riscosse dallo stupore e prese in braccio la bambola, l’altezza era quella della vera Chiara, ma era senz’altro molto più leggera dei cinquantacinque chili che aveva sempre dichiarato lei. Si stupì quando le sue mani entrarono in contatto con la pelle della bambola, era così morbida che sembrava reale, come reali sembravano i capelli biondi e gli occhi verdi, la bocca semiaperta poi sembrava dovesse parlare da un momento all’altro e lasciava intravedere una fila di denti bianchi perfetti. Depose con delicatezza la bambola sul letto e si sdraiò accanto a lei, chiuse gli occhi e dopo circa un minuto li riaprì girando il viso alla sua destra. La bambola era coricata supina e ovviamente non si girò, ma Arturo pensò che se si fosse risvegliato all’improvviso dopo un lungo sonno, almeno per i primi istanti avrebbe


18 certamente pensato di trovarsi a letto con Chiara. Provava anche uno strano imbarazzo, quello che in teoria si dovrebbe provare solo in presenza di persone reali, questo un poco lo eccitò e allungò una mano verso il viso della bambola, poi scese lentamente per esplorare tutto il corpo, la consistenza dei seni era impressionante, come impressionante era la pelle liscia e levigata delle cosce. Si mise seduto per allungare una mano anche sui piedi, quasi si commosse, aveva sempre sognato di accarezzare i piedi di Chiara, poi risalì con la mano e trovò il coraggio di accarezzare le mutandine, l’anatomia del monte di venere era perfetta, allora infilò un dito piano sotto le mutandine e fu sorpreso di toccare una leggera peluria. Era sempre più eccitato, scostò leggermente le mutandine e vide quella peluria che aveva accarezzato, era bionda, come il colore di una bionda naturale, come Chiara. Continuò l’esplorazione con il dito indice della mano sinistra e trovò un’apertura morbida al tatto, questo era troppo, non resse più all’eccitazione, si alzò, andò in bagno e diede libero sfogo a un’erezione vigorosa. Poi tornò in camera, si era tolto i vestiti e messo il pigiama, senza guardare la bambola le si sdraiò di fianco addormentandosi quasi all’istante. La luce entrava dalla finestra, la sera prima si doveva essere scordato di chiudere le persiane: quando Arturo fece questo pensiero aveva ancora gli occhi chiusi, ma percepiva l’odore di lei, perché la bambola aveva anche un buon odore, se n’era reso conto durante la notte. Un odore che non aveva mai sentito prima, un odore che a lui piaceva molto, era l’odore del pino mugo, ma lo avrebbe scoperto solo molto tempo dopo. Allungò una mano e trovò quella della bambola, la strinse leggermente e nello stesso tempo si girò sul fianco destro e aprì gli occhi, rimase ancora una volta impressionato dalla somiglianza con Chiara. Pensava di essersi semplicemente addormentato accanto alla bambola, ma qualcosa tra di loro doveva essere successo, perché non indossava più il reggiseno e le mutandine, un rapido sguardo intorno alla stanza e scorse un lembo delle mutandine a terra in fondo al letto, mentre il reggiseno stava sulla piccola scrivania accanto alla finestra. Eppure non ricordava nulla, forse la bottiglia di gin quasi vuota appoggiata sul comodino aveva a che fare con la momentanea amnesia. Trovò conferma della cosa nel feroce mal di testa che gli prendeva sempre dopo aver bevuto troppo e nei rigurgiti da reflusso, anch’essi provocati da un eccesso di alcool. Si mise a sedere e aspettò di essere in


19 grado di alzarsi, poi se ne andò in cucina per prepararsi un caffè doppio, che era la cosa di cui aveva più voglia in quel momento. Sorseggiò il suo caffè in piedi sul balcone e il suo mal di testa cominciò piano piano a migliorare, forse non aveva bevuto così tanto come credeva, ma perché allora non ricordava niente di quello che era successo durante la notte. Lasciò perdere quel pensiero e cominciò a ragionare sul resto della giornata, era sabato e quindi non doveva andare al lavoro, però, voleva lo stesso rivedere Chiara, non voleva aspettare fino al lunedì, e allora fece una cosa che non aveva mai fatto nei giorni in cui non lavoravano, la chiamò al cellulare. «Ciao Arturo, che piacere sentirti.» «Ciao Chiara, scusami se ti ho chiamato così presto, ti disturbo?» «Nessun disturbo e poi guarda che sono le nove e trenta e io sono in piedi dalle sei e trenta.» «Ti alzi così presto anche di sabato?» «Certo, non rinuncio alla mia corsetta mattutina al parco, me la prendo un po’ più comoda quando torno, infatti non sono ancora uscita per fare spesa, stavo per farlo quando mi hai chiamato.» «Scusami Chiara, se hai da fare ci salutiamo.» «Ma scherzi Arturo, tu piuttosto, hai fa fare? Perché altrimenti potresti raggiungermi, sto andando al centro commerciale di via Guglielmi.» «Io? Cioè sì, non ho nulla da fare, mi farebbe molto piacere.» «Allora ci vediamo all’ingresso del centro commerciale fra circa mezz’ora, pensi di farcela?» «Ma certo, ci sarò.» «Benissimo, allora a dopo Arturo, un bacio, bye!» «Anche a te, ciao.» Arturo rimase a guardare il telefono, sperando che lei avesse riattaccato prima di sentire la sua risposta: che cosa c’entrava dirgli “anche a te”? La verità era che Chiara lo aveva sempre un po’ intimorito, anche se ultimamente si sentiva più a suo agio con lei, ma questo non era necessariamente un bene, perché lo rendeva meno attento a quello che diceva o faceva, o forse essere più spontaneo non era un male? Non aveva tempo per queste domande filosofiche, doveva sbrigarsi, aveva detto fra mezz’ora, ma lui abitava molto più lontano di Chiara dal centro commerciale di via Guglielmi e doveva ancora vestirsi. Arturo andò in camera da letto, rimise le mutandine e il reggiseno alla bambola,


20 poi non pensò più a lei, aprì l’armadio e scelse i vestiti con cura, non voleva dare l’impressione di essersi vestito per l’occasione, ma allo stesso tempo non voleva risultare sciatto e trasandato, come quelle persone che al di fuori del lavoro portavano sempre gli stessi jeans e lo stesso maglione, che poi era esattamente quello che faceva sempre lui.


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IX

Arturo riuscì ad arrivare puntuale, grazie a un paio di sorpassi azzardati e al pressoché costante mancato rispetto dei limiti di velocità. Stazionava proprio all’ingresso del centro commerciale quando la vide arrivare e scoprì che Chiara era esattamente il tipo che fuori dall’orario di lavoro si veste con jeans e maglione, ma a lei stavano benissimo, non riuscivano a nascondere la sua naturale bellezza, mentre la giacca di tweed che indossava lui riusciva un po’ a mascherare la sua pancia, ma per il doppio mento non c’era niente da fare. Passarono due ore al centro commerciale, entrarono in tutti i negozi, Chiara si provò numerosi capi di abbigliamento, poi alla fine comprò solo un altro jeans. Arturo era incantato di fronte al suo modo di muoversi, alla sua femminilità così aggraziata. Ogni tanto cercava di darsi un contegno da uomo di mondo, ma dalle risate che questo provocava in Chiara, sospettò di rendersi ridicolo. «Arturo ti dispiace se entro al supermercato a fare la spesa? Ho proprio bisogno di comprare alcune cose.» «Certo Chiara, figurati», balbettò Arturo che non poteva credere di entrare in un supermercato con lei come una vera coppia. «Grazie Arturo, come premio ti farò portare il carrello», aggiunse Chiara e rise della sua battuta. «Grazie Chiara», rispose Arturo che non aveva colto l’ironia, per la verità in quel momento il suo cervello era incapace di pensieri e la sua lingua era secca e attaccata al palato, tanto da rendergli difficile parlare. Arturo la seguì con il carrello per tutto il tempo della spesa, senza dire una parola, ma sorridendo alle sue battute, anzi sorridendo sempre anche quando lei non parlava, praticamente sembrava avesse una paresi. Quando arrivarono alla macchina di Chiara, lui l’aiutò a mettere la spesa nel bagagliaio, lei lo ringraziò e poi gli fece una proposta che aggravò sensibilmente quella paresi.


22 «Perché non mi segui con la tua auto, così ti faccio vedere dove abito e poi magari andiamo a pranzo insieme in un bel posto vicino a casa mia», gli disse. «Certo», rispose lui, incapace di dire altro ma con un sorriso che gli arrivava alle orecchie. Seguire la sua auto fu una vera e propria impresa perché il suo cervello faceva fatica a concentrarsi, anche per quella piccola mansione, si disse che doveva assolutamente trovare un modo per essere più spigliato e naturale con lei. Arrivarono in una zona residenziale della città dove non era mai stato, a cinque minuti di macchina dal centro ma immersa nel verde, c’erano viali alberati con numerose panchine e proprio di fronte al palazzo dove parcheggiarono c’era un enorme giardino, al centro del quale era stato costruito un campo da basket all’aperto, con cinque file di spalti in legno sui lati più lunghi. Chiara abitava in una zona molto più bella della città, dove le case dovevano costare molto e il pensiero di Arturo trovò conferma quando, entrando nel palazzo, li accolse un portiere in divisa, che salutò entrambi e consegnò a Chiara la posta appena arrivata. «Ciao Gustavo, grazie», disse lei avviandosi verso i due ascensori del condominio. «Si chiama Gustavo, proprio come il maggiordomo della pubblicità», le disse Arturo mentre attendevano che scendesse l’ascensore, pentendosi della battuta subito dopo averla detta. «È vero, però, il nostro Gustavo fa il portiere, è sempre gentilissimo e disponibile, ma in effetti adesso che ci penso non mi ha mai offerto un cioccolatino, dovremo rimediare, ne parlerò alla prossima assemblea di condominio», disse lei guardandolo negli occhi e regalandogli un altro splendido sorriso. Arturo sentì le guance avvampare, a volte aveva il sospetto che lei lo prendesse in giro, ma poi Chiara sfoggiava quel sorriso così spontaneo e disarmante che lui non si sarebbe offeso nemmeno se lo avesse insultato. L’ascensore si fermò al secondo piano, la seguì fino alla seconda porta sulla sinistra, lei aprì la porta e lo invitò a entrare, e a quel punto Arturo capì che doveva essere ricca di famiglia o aver vinto alla lotteria, perché altrimenti con lo stipendio che sapeva essere più o meno come il suo, non si sarebbe mai potuta permettere quel lusso. In primo luogo l’appartamento era molto grande, a occhio almeno tre volte il suo, che era un trilocale di settanta metri quadri, gli venne anche


23 il dubbio che non vivesse da sola, ma scacciò quel pensiero perché in ufficio si sarebbe saputo. Arturo si guardò intorno pensando che solo con il valore dei mobili nell’ingresso avrebbe potuto rifare tutto l’arredamento del suo appartamento. Guardò in alto e scorse un enorme lampadario che sembrava uno di quelli costosissimi di cristallo, stava ancora poco oltre la soglia quando Chiara gli rivolse la parola. «Dai entra Arturo! Non rimanere lì sulla porta.» Poi seguendo il suo sguardo aggiunse: «Lo so che è un po’ esagerato come lampadario per l’ingresso e infatti non fa parte dell’arredamento originario, i miei genitori anni fa quando hanno acquistato quest’appartamento hanno voluto cambiare quasi tutto all’interno, nonostante l’avessero acquistato già arredato, valli a capire.» «Già valli a capire», commentò Arturo. «Comunque quel lampadario ha l’aria di essere costosissimo.» «Non immagini nemmeno quanto, quando i miei genitori me l’hanno detto non ci volevo credere, ero ancora una bambina ed è da lì che ho cominciato a rendermi conto in che famiglia ero capitata», disse Chiara. «In che senso.» «Nel senso che sono stata adottata quando avevo cinque anni, poche persone lo sanno e in ufficio non l’ho detto a nessuno, ma sento che di te posso fidarmi.» «Certo, non dirò niente a nessuno», rispose imbarazzato Arturo. «Non è che mi vergogni della cosa, so bene che io non ho nessuna colpa, ma è una vicenda dolorosa che mi ha segnato nei primi anni di vita e di cui non mi va di parlare, anche la mia psicologa dice che se non mi va non devo parlarne con gli altri.» «Psicologa?» «Veramente è anche psichiatra, cioè è laureata in medicina, ma mi ha dovuto prescrivere dei farmaci solo nei primi due anni di cura, adesso sono pulita.» Chiara accompagnò l’ultima frase con un sorriso un po’ meno naturale del solito, ma comunque splendido. Dovette accorgersi di qualcosa nello sguardo di Arturo perché si affrettò ad aggiungere. «Scusami Arturo, ti sto praticamente raccontando la mia vita tutta insieme, sai forse ho bisogno di sfogarmi, nelle ultime settimane mi sento un po’ fragile e mi sono resa conto che qui ad Ancona praticamente non conosco nessuno.»


24 «Non ti devi scusare, io sarei onorato se mi considerassi tuo amico.» «Come sei dolce Arturo, hai questa gentilezza da uomo di altri tempi che è rara da trovare.» Arturo arrossì e Chiara aggiunse: «Inoltre arrossisci quando ti fanno i complimenti e questo mi fa tanta tenerezza.» Per la verità non era proprio quel sentimento che le avrebbe voluto ispirare, ma per il momento pensò di potersi accontentare. «Adesso basta parlare di me, aiutami a mettere a posto la spesa e poi ti porto a pranzo in un bel posto, la casa te la farò vedere tutta un altro giorno», disse Chiara afferrando due buste della spesa e dirigendosi verso la prima porta sulla destra. Arturo la seguì con le altre due buste, ripensando alle parole che lei aveva detto e alle implicazioni conseguenti: come minimo, sperò, mi inviterà un’altra volta. La cucina era enorme, soprattutto se paragonata alla sua, il tavolo sul quale appoggiarono le buste poteva permettere di far mangiare almeno dieci persone. Chiara si muoveva decisa fra pensili, cassetti e frigorifero e ripose velocemente tutta la spesa. Tirò fuori dal frigorifero, che era proporzionato alla cucina e quindi il triplo del suo, due crodini, li versò in due eleganti bicchieri e gliene porse uno. Arturo guardava il bicchiere, era così lucido che sembrava appena comprato e uscito dalla scatola che lo conteneva. «Su forza bevi Arturo che dobbiamo andare», disse lei in modo un po’ brusco questa volta. Ecco un altro lato di Chiara che non conosceva, diventava un po’ impaziente quando aveva in mente qualcosa, Arturo registrò la cosa e scoprì poi al ristorante cosa avesse in mente.


25

X

Il ristorante si chiamava “Il Crocevia”, probabilmente perché stava proprio in un angolo dell’intersezione tra due strade del centro della città. Arturo non lo conosceva, entrando contò dodici tavoli da quattro posti e intravide in fondo a sinistra un’altra stanza dove probabilmente c’erano altri tavoli. Chiara sembrava conoscere tutti, salutò i due camerieri che stavano ancora apparecchiando alcuni tavoli, il barista e la persona che in quel momento stava al registratore di cassa e che poi lei gli spiegò essere il proprietario. «Marco potremmo avere questo tavolo a destra dell’ingresso?» disse lei a uno dei camerieri. «Certo Chiara, e lo apparecchio subito, per due?» «Sì, per due grazie.» Il cameriere apparecchiò il tavolo e con un gesto li invitò ad accomodarsi. Chiara non disse nulla e sedette con la faccia rivolta alla porta, mentre Arturo prese posto di fronte a lei. Portarono i menu e Chiara invece di leggerlo lanciava occhiate furtive alla porta guardando con insistenza il suo orologio. Arturo pensò che avesse fame e che in realtà non avesse alcun bisogno di consultare il menu, perciò si sbrigò a chiamare il cameriere che in un minuto prese la loro ordinazione. Parlarono del più e del meno, della mattinata trascorsa a fare compere, lui elogiò ancora la sua bellissima casa e lei sorrise spesso, ma ogni volta che la porta si apriva ed entravano nuovi clienti Chiara interrompeva la conversazione e guardava l’orologio. «Stai aspettando qualcuno?» le chiese. «No, perché?» rispose. «Non lo so mi pareva, non hai nemmeno aperto il menu e spesso guardi verso la porta.» «No Arturo è che vengo qui spesso, dunque il menu lo conosco a memoria e mi aspetto sempre di vedere entrare qualcuno che conosco e quindi di doverlo salutare.»


26 «Poi guardi sempre l’orologio.» «Scusami, quello è un mio tic, quando rimango ferma troppo a lungo in un posto mi viene sempre da guardare l’orologio. Hai ragione, adesso avrai tutta la mia attenzione.» Finita la frase Chiara schioccò uno dei suoi sorrisi irresistibili. Arturo sapeva bene che quella non era la verità, in tante ore di lavoro in ufficio non l’aveva mai vista guardare l’orologio che portava al polso, comunque non gli importava, era felice di essere lì con lei, di sabato, come fossero una coppia. Mentre conversava con Chiara, una parte del suo cervello fantasticava proprio sul fatto che gli sarebbe piaciuto moltissimo mettersi con lei. Tuttavia, tra il dire e il fare c’era di mezzo la realtà e per ora la realtà era che si sentiva ancora un adolescente al primo appuntamento e come tale si comportava, non era particolarmente brillante nella conversazione, incespicava sulle parole e sudava copiosamente, nonostante nel locale non fosse affatto caldo. Chiara era una giovane donna bellissima e intelligente che avrebbe potuto avere qualunque uomo, e appunto quello era il problema: doveva mostrarsi più sicuro, spigliato, più uomo, doveva affascinarla con l’eloquio e il modo di fare, perché il fisico non era il suo forte. Tutte queste considerazioni attraversavano il suo cervello a una velocità vorticosa, mentre cercava di mantenere un buon livello di conversazione. L’arrivo dei primi l’aiutò perché cominciarono a mangiare e quei minuti di silenzio gli consentirono di elaborare un piano, forse aveva trovato la soluzione. A casa aveva una bambola, che tra l’altro gli era costata una cospicua fetta dei suoi risparmi, che era identica a Chiara, avrebbe dovuto esercitarsi con lei, avrebbe dovuto stabilire un contatto anche fisico con la sua bambola, che gli permettesse di essere più spigliato con Chiara, doveva mischiare fantasia con la bambola e realtà con lei in modo tale da essere più rilassato, più spigliato, più naturale e attento a tutte quelle piccole cose che avrebbero fatto colpo. Alzò la faccia dal piatto, per fare una considerazione sulla bontà di quello che stava mangiando quando vide la smorfia di Chiara, sembrava disgustata, ma non stava mangiando, guardava verso la porta. Arturo istintivamente seguì il suo sguardo e vide Rosaria Rondi, la loro dirigente, in compagnia di una giovane donna che aveva l’età per essere sua figlia, anche se Arturo sapeva che non ne aveva. Rosaria se si accorse di loro fece finta di niente, perché non mutò di una virgola la sua espressione ed entrambe andarono spedite verso l’altra sala, sparendo dalla loro vista in pochi secondi. Durante quei pochi secondi Chiara non


27 aveva distolto lo sguardo, anzi le aveva proprio fissate e mantenuto quella smorfia che Arturo non le aveva mai visto. «Tutto bene Chiara?» le chiese. «Certo, perché? Hai visto Rosaria, non ci ha degnato di uno sguardo.» «Forse non ci ha visto.» «Ma certo che ci ha visto è che lei è così, superiore a certe cose.» «Quali cose?» «Non importa Arturo, scusami devo andare un momento alla toilette.» Detto questo si alzò velocemente dirigendosi verso l’altra sala. Arturo si stupì di quel comportamento, in fondo la loro dirigente non è che fosse tutta questa simpatia, e anche se avesse fatto finta di non vederli per loro era meglio così. In quel momento Arturo non poteva capire e infatti, quando passarono quindici minuti senza rivedere Chiara, si preoccupò pensando che magari si era sentita male, per questo aveva fatto quella smorfia. Chiamò il cameriere e gli chiese dove fosse il bagno, tanto per essere sicuro, e quello gentilmente gli indicò la porta in fondo alla sua sinistra, accanto all’entrata dell’altra sala, dove si era infilata Chiara: ma allora si era alzata per fare cosa? La risposta non l’ebbe, perché non riuscì nemmeno a fare la domanda, Chiara tornò al tavolo, ma prima pagò velocemente alla cassa, poi senza parlare prese la giacca e lo guardò, aveva gli occhi un po’ arrossati e uno strano pallore sul volto, Arturo capì al volo prese anche lui la giacca e insieme uscirono dal ristorante. Chiara accompagnò Arturo alla sua auto, gli diede un bacio sulla guancia e gli sorrise salutandolo, ma non era il suo solito sorriso. «Ciao Arturo, grazie di tutto, ci vediamo lunedì al lavoro.» «Ciao Chiara, grazie a te e a presto!» Arturo rimase a guardarla finché non svoltò l’angolo, non aveva capito cos’era successo, sicuramente era coinvolta anche Rosaria, avrebbe indagato, ormai si sentiva parte della vita di Chiara. Intanto aveva tutto il pomeriggio del sabato e la domenica per mettere in pratica il suo piano, non le avrebbe telefonato né l’avrebbe cercata in altro modo fino a lunedì, si sarebbe dedicato alla sua bambola e sarebbe stato un po’ come passare altro tempo insieme a Chiara.


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XI

L’acqua calda scorreva sul suo corpo da almeno dieci minuti, per la prima volta da molte settimane si sentiva bene, soddisfatto del presente e soprattutto voglioso di vivere il futuro, di esplorare la sua nuova relazione con Chiara. Intanto, un’altra voglia gli stava salendo dentro, la sentiva propagarsi dal cervello fino all’inguine, uscì dalla doccia si asciugò velocemente e andò nudo in camera da letto. Era rimasto tutto come la sera precedente, si avvicinò alla bambola e cominciò ad accarezzarla partendo dai piedi e salendo su fino all’ombelico e poi fino ai seni e al collo, avvicinò la sua bocca a quella della bambola, ne sentiva l’odore, non pensava fosse solo una sua fantasia, percepiva davvero un buon odore e pensò che doveva scoprire di quale odore si trattasse. Adesso, però, aveva un’altra urgenza, tolse le mutandine e il reggiseno alla bambola e si stese sopra di lei aderendo con tutto il suo corpo. Quel contatto lo eccitò ancora di più. Quando si svegliò accanto alla bambola era già buio, si alzò, accese la luce e la guardò, sentiva un appagamento come poche volte aveva provato in vita sua, prese in braccio la bambola e la portò alla doccia, si mise insieme a lei sotto il getto d’acqua e cominciò a strofinarla con una spugna imbevuta di sapone liquido. Si accorse che con un po’ di accortezza riusciva a stare in piedi da sola. Erano più o meno della stessa altezza, la guardò intensamente negli occhi mentre le strofinava i seni, gli sembrava di aver scorto un bagliore in quegli occhi, ma poi rise di sé stesso, anche la fantasia doveva avere un limite. Alla sera mangiò un panino alla svelta, perché non vedeva l’ora di tornare dalla sua bambola, con lei passò tutta la domenica dimenticandosi anche di pranzare, uscì dalla sua camera da letto alle nove di sera, con i crampi allo stomaco per la fame, trangugiò tutto quello che trovò in frigo e che non esigeva una preparazione e poi tornò da lei. Quando si svegliò il mattino del lunedì si rese conto che, nonostante in due notti avesse dormito sei o sette ore, non si sentiva stanco, anzi, era rilassato e felice come mai in vita sua gli era capitato. Era già in ritardo, si vestì in fretta e uscì senza fare colazione. Quella situazione aveva


29 anche i suoi lati positivi: il cibo, che prima occupava una parte importante della sua vita e dei suoi pensieri, era diventato un accessorio certo indispensabile, ma a cui negli ultimi due giorni praticamente non aveva pensato più. Lavorò aspettando la pausa caffè delle undici, quando era sicuro di poter vedere Chiara nella sala ristoro per un caffè, non mancava mai di prenderlo a quell’ora. Invece quando si presentò nella sala Chiara non c’era, parlò con vari colleghi e cercò di allungare la pausa il più possibile, a un certo punto si rese conto che non sarebbe più arrivata e se ne andò. Passò davanti alla sua scrivania mentre tornava alla propria postazione di lavoro, lei non c’era, attese un momento e poi proseguì. Arrivò davanti alla porta chiusa di Rosaria, per la verità non la chiamava mai per nome, nessuno la chiamava per nome quando interagiva con lei, invece come per un tacito accordo quando si parlava di lei fra colleghi tutti usavano il suo nome di battesimo. La porta si aprì all’improvviso e comparve proprio Chiara, aveva pianto ne era sicuro, questa volta non poteva fare finta di niente. «Chiara, tutto bene?» «Ciao Arturo, tutto bene.» «Non mi pare, hai pianto.» Era un’affermazione quella che lui aveva fatto e Chiara non se la sentì di negare l’evidenza. «Sì, ma non ti preoccupare non è nulla, adesso passa.» «Andiamo a pranzo insieme, così magari mi racconti.» «Non lo so Arturo, non me la sento, per me è doloroso.» «Va bene parliamo d’altro, oppure non parliamo affatto, ma andiamo a pranzo insieme.» Chiara lo guardò negli occhi, anche lui si era stupito di quell’affermazione così risoluta, non era da lui, le aveva quasi ordinato di andare a pranzo insieme. “Adesso mi manda a quel paese” pensò Arturo, ma non accadde. «D’accordo», rispose lei remissiva. «Ci vediamo all’uscita all’una, decidi tu dove andare.» Detto questo si avviò velocemente alla sua scrivania lasciandolo impalato di fronte alla porta che si aprì due secondi dopo, questa volta era Rosaria che lo guardava con quei suoi occhi di ghiaccio. Non aveva mai sostenuto così a lungo il suo sguardo, era vero quello che dicevano tutti: i suoi occhi più che azzurri erano grigi, come quelli di certi gatti o


30 anche di certi lupi. Non si dissero nulla, fu Arturo ad abbassare lo sguardo per primo e a tornare al proprio posto di lavoro. Pensò: “Chissà cos’è successo tra di loro e se Chiara avrà voglia di dirmelo e io potrò aiutarla?” Adesso, però, c’era un problema più urgente da risolvere, lui usciva raramente in pausa pranzo e sempre invitato da altri, doveva scegliere un buon posto dove prenotare, passò tutta l’ora successiva a pensarci, la sicurezza con cui aveva convinto Chiara era già svanita. Alla fine prenotò in uno dei ristoranti nei dintorni dell’ufficio, ma in quello più lontano per cercare di evitare il più possibile di trovarci qualche collega. Ebbe fortuna, quando arrivarono Arturo si guardò intorno e non vide alcuna faccia conosciuta, Chiara non aveva ancora parlato e continuò a tacere anche quando arrivò il cameriere, lui ordinò per tutti e due la stessa cosa dopo un cenno di assenso di lei. Mangiarono spaghetti al pomodoro e poi un tiramisù, di solito la pausa pranzo era di un’ora, ed erano già passati quaranta minuti, ma Chiara non sembrava interessata al tempo che passava e continuava a non parlare e a giocare con l’ultimo pezzo di tiramisù, lo sminuzzava in pezzi sempre più piccoli, ma non si decideva a finirlo. «Per favore Chiara, vuoi dirmi cosa è successo?» trovò il coraggio di rompere il ghiaccio Arturo. «Non lo so se voglio dirtelo e soprattutto se posso dirtelo», rispose Chiara. «Che significa, certo che puoi dirmelo, voglio aiutarti.» Qualcosa nel suo sguardo doveva avere fatto breccia perché una lacrima le scese dall’occhio destro. «Come sei dolce Arturo, lo vedo che sei sinceramente preoccupato per me, ma forse dopo che ti avrò detto tutto non avrai più voglia di vedermi.» Arturo non replicò e allora lei cominciò a parlare, lentamente e con un tono basso come se facesse il resoconto degli ultimi tre mesi della vita di qualcun altro. Da parte sua Arturo cercò in tutti i modi di rimanere impassibile anche se non si sarebbe mai aspettato di sentire quelle parole, che mandavano in frantumi anche il suo piano, o forse era solo stata una fantasia fin dall’inizio.


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XII

Chiara circa tre mesi prima aveva iniziato una relazione con Rosaria Rondi, la loro dirigente. Aveva sempre saputo del suo orientamento sessuale, ma non l’aveva mai confessato a nessuno, soprattutto ai suoi genitori. Anzi, proprio per accontentare loro ci aveva provato, era stata fidanzata alcuni anni con un ragazzo, ma poi l’aveva lasciato, e dopo un’avventura con un’amica comune aveva capito che non poteva andare contro la propria natura per il resto della sua vita, ne sarebbe uscita distrutta. Cominciò per lei un periodo di incontri occasionali, la maggior parte organizzati tramite alcuni siti web, questo le permetteva di assecondare i suoi desideri e mantenere il segreto con il resto del mondo. Poi si era innamorata di Rosaria. Non era accaduto subito, appena conosciuta nemmeno la sopportava, la trovava arrogante, ma piano piano cominciò a provare dei sentimenti molto forti e, cosa più importante, Rosaria le faceva capire che la ricambiava. La prima volta che erano state insieme a casa di lei, Chiara aveva capito di essersi perdutamente innamorata per la prima volta nella sua vita, e commise l’errore di confessarlo a Rosaria. Questo l’aveva capito con il senno di poi. I primi due mesi furono splendidi e Chiara già fantasticava di dare una specie di ufficialità alla loro relazione, era pronta ad affrontare anche i suoi genitori. Poi Rosaria cominciò a trovare delle scuse per non vedersi: all’inizio non sospettò nulla, ma poi scoprì per caso che un certo corso di aggiornamento a Milano era stato annullato e che Rosaria non le aveva detto nulla. La chiamò al telefono e lei disse di essere in albergo. Appena si salutarono Chiara si precipitò a casa sua, rimase nascosta dietro un albero dal quale poteva vedere l’ingresso del palazzo di Rosaria che era perfettamente illuminato da un lampione. Aspettò neanche mezz’ora e poi li vide, due giovani, un uomo e una donna tra i venticinque e i trent’anni, potevano andare da chiunque nel palazzo eppure lei aveva avuto un sesto senso, era uscita dall’oscurità e si era avvicinata al portone, troppo tardi per vedere quale citofono avessero premuto, e


32 nessuna voce aveva parlato. Tuttavia quel palazzo aveva i citofoni che si illuminavano e rimanevano così per una decina di secondi: questa particolarità Chiara l’aveva già notata la prima volta che era stata in quel palazzo. Quando i due si chiusero il portone alle spalle, lei che aveva fatto finta di passeggiare nella direzione opposta, si avvicinò velocemente e vide illuminato il citofono di Rosaria, che dopo pochi secondi si spense, come la sua speranza di essersi sbagliata. Il giorno dopo chiamò il lavoro e chiese un giorno di ferie dicendo che doveva accompagnare sua madre a una visita medica, dal momento che suo padre all’ultimo momento non aveva potuto. Era una scusa. Arrivò alle otto di fronte a casa di Rosaria, non aveva visto uscire i due della sera precedente, probabilmente se n’erano già andati, ma alle undici uscì lei dal portone. Chiara si avvicinò di corsa, Rosaria la fissò, doveva aver letto qualcosa nel suo sguardo perché la invitò a salire, parlarono fino alle quattro del pomeriggio senza mangiare. Quando se ne andò Chiara era sfinita. Per quanto non riuscisse ad accettarlo doveva prendere atto di quello che le aveva detto Rosaria, lei non era innamorata, né lo era mai stata, le piacevano le avventure ed era bisessuale, non provò nemmeno a negare l’incontro della sera prima, ma lei era così, prendere o lasciare, toccava a Chiara decidere. Proprio tornando a casa, Chiara decise di troncare quella relazione e di evitare anche in ufficio, per quanto possibile, la presenza di Rosaria. Le comunicò la sua decisione telefonandole al cellulare appena rincasata. Tuttavia non era riuscita a mantenere il suo proposito, era stata ancora altre quattro volte a casa di Rosaria e dopo aver fatto l’amore, le faceva delle scenate di gelosia: l’ultima volta era stata cacciata e Rosaria le aveva detto che per lei era finita, che sul lavoro avrebbero mantenuto un atteggiamento professionale, ma fuori dal lavoro non voleva più vederla e se per caso si fossero incontrate lei avrebbe fatto finta di non conoscerla, così come aveva fatto al ristorante quando l’aveva sicuramente vista in compagnia di Arturo. Il racconto di Chiara non durò più di mezz’ora, anche perché lui non l’aveva mai interrotta, ma fu la mezz’ora più lunga della sua vita, mentre l’ascoltava sentì nascere dentro di sé un sentimento nuovo. Provava rabbia per quella situazione, per quello che avrebbe potuto essere e non sarebbe stato e provava rabbia anche nei confronti di Chiara; razionalmente capiva che lei non aveva alcuna responsabilità per la situazione e anzi si era aperta e gli aveva raccontato tutto dimostrandogli una grande fiducia. Si alzò, andò alla cassa a pagare per tutti e due,


33 quando tornò al tavolo lei provò timidamente a protestare, ma lui con un gesto la bloccò subito, le porse la giacca e poi uscirono. Durante il tragitto nessuno dei due parlò, Arturo si fingeva molto impegnato alla guida e Chiara guardava fuori dalla parte del suo finestrino. Ognuno tornò al lavoro alla propria scrivania, non si incontrarono più finché alle diciassette e trenta Chiara non si affacciò alla porta della sua stanza. «Ciao Arturo, allora io vado, mi ha fatto bene parlare con te, ti ringrazio», disse lei. «Figurati, non ho fatto nulla», rispose lui. Chiara rimase un momento sulla porta forse aspettandosi altre parole di Arturo, ma lui si limitò a sorriderle. «Beh! Allora ciao», disse infine lei con un sorriso triste. «Ciao Chiara», rispose lui con un mezzo sorriso. In realtà quello di Arturo non era un sorriso, ma un ghigno, quello che gli veniva quando era molto arrabbiato, in ufficio ancora nessuno lo aveva visto. Quando mezz’ora dopo si alzò anche lui per andarsene era furioso con Chiara, capiva che era un sentimento immotivato e irrazionale, ma le emozioni non hanno nulla a che vedere con la ragione. Quella sera tornò a casa a mezzanotte. All’uscita dal lavoro si era diretto in uno di quei locali in centro che organizzano aperitivi, c’era anche un po’ di musica, poi verso le otto si era diretto in un ristorante lì vicino, aveva mangiato da solo per quasi due ore: la fame era tornata prepotente, non riusciva a saziarsi, alla fine del pasto il cameriere gli propose tre diversi dolci della casa, lui li prese tutti e tre. All’uscita dal locale si era sentito in colpa perché aveva mangiato troppo, e aveva deciso di fare una lunga passeggiata in centro e poi di dirigersi a piedi verso casa, mentre di solito per raggiungerla da quella distanza, avrebbe preso l’autobus. Una volta a casa si fece una doccia, si mise il pigiama, andò in camera da letto, prese la bambola e la sistemò sul divano del soggiorno, non voleva vederla gli ricordava troppo Chiara. Cercò di addormentarsi il prima possibile, ma non ci riuscì, continuò a girarsi e rigirarsi nel letto finché non si decise ad alzarsi, andò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e la vide, in penombra, distesa sul divano dove l’aveva lasciata. Il desiderio scoppiò improvviso e impetuoso, spense la luce della cucina, si abituò al buio e poi si lasciò guidare in salotto dalla luce della luna piena che entrava dalla portafinestra. Quella notte per tutta la notte si lasciò andare a tutte le sue fantasie, fu impetuoso e poi dolce, rabbioso e


34 poi calmo. Quando si svegliò al mattino completamente nudo sul divano, il primo pensiero fu per Chiara, era convinto di aver trascorso tutta la notte con lei, girò la faccia verso il tappeto del salotto e la bambola che vide carponi a testa in giù non riuscì a convincerlo del contrario.


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XIII

La settimana seguente fu una settimana tranquilla per Arturo, al lavoro ogni tanto prendeva un caffè con Chiara, ma non erano più stati a pranzo insieme, né avevano più parlato della situazione; lei gli era sembrata più serena. Intanto, lui ogni notte si era intrattenuto con la sua bambola, e adesso si era quasi pentito di averla fatta così somigliante a Chiara, tanto che comprò un colorante per i capelli e una sera trovò il coraggio di provarlo. Funzionò e diventò mora, ad Arturo piaceva ancora di più e pensò che era giunto il momento di darle un nome: da allora la bambola diventò Barbara. Quel venerdì sera aveva fatto la spesa prima di rientrare a casa dal lavoro, voleva passare tutto il fine settimana con Barbara, stava già preparando la cena per due quando ricevette un messaggio WhatsApp da Chiara, gli chiedeva di uscire a fare una passeggiata sabato mattina, alle nove perché poi alle undici aveva un appuntamento in centro, potevano vedersi all’ingresso del parco del cardeto a quell’ora, ci teneva molto. Sulle prime Arturo avrebbe voluto rispondere di no, che era occupato, ma nell’ultima settimana erano un po’ cambiate le cose: non si sentiva più in collera con Chiara, adesso aveva Barbara, magari era stato meglio così, solo amici, in fondo aveva bisogno di un’amica e magari con il tempo le avrebbe presentato Barbara. Rispose di sì al messaggio e lo concluse con una faccetta sorridente, poi spense il telefono e finì di preparare la cena, spaghetti al pomodoro e per secondo bresaola con parmigiano e rucola. Non aveva chiesto nulla a Barbara, ma era sicuro che non avesse obiezioni. La sistemò di fronte a lui, accese la candela che aveva messo al centro del tavolo e le mostrò la bottiglia che aveva preso per l’occasione, lei sembrava soddisfatta. Stappò la bottiglia e versò il contenuto in due calici, uno lo mise di fronte a lei, avvicinò il suo e tintinnarono i bicchieri, la serata poteva cominciare. Si svegliò con uno strano sapore in bocca e una grande sete. Era disteso sul divano, fuori era giorno, guardò con apprensione l’orologio ricordandosi dell’appuntamento: erano le otto, aveva ancora tempo.


36 Andò in cucina e prese dal frigo una bottiglia d’acqua, se la scolò in un’unica lunga sorsata che lo lasciò quasi senza fiato. Aveva una leggera nausea e un po’ di bruciore di stomaco, forse aveva bevuto troppo la sera a cena. Un pensiero improvviso lo fulminò: tornò in soggiorno, poi andò in camera da letto, guardò anche nel ripostiglio. Sentiva montare l’ansia dentro di sé quando si accorse del rumore della doccia, si precipitò in bagno e la vide in piedi, stava sotto la doccia, il box di vetro era chiuso, lo aprì e chiuse l’acqua che era bollente. Barbara lo guardava, sembrava che gli sorridesse. Uscì di casa poco dopo perché voleva essere puntuale all’appuntamento con Chiara, arrivò dieci minuti prima delle nove e lei era già lì all’ingresso del parco, non aveva una tuta come si sarebbe aspettato. Era vestita più elegante del sabato precedente, quando erano usciti insieme a fare la spesa, indossava una gonna corta, una camicia bianca e una giacca di velluto, ai piedi uno scarponcino nero con un tacco minimo e gli occhiali da vista con montatura sottile, che davanti a lui portava per la prima volta: le stavano d’incanto. Nel vederla Arturo si rasserenò subito e capì di non avercela più con lei, inoltre percepì in modo netto di non essere più attratto sessualmente da lei, perché nei suoi pensieri adesso c’era un’altra, per questo nella conversazione che seguì fu spigliato, a tratti divertente. Le diede alcuni consigli da fratello maggiore quando toccarono l’argomento Rosaria, ma tutto sommato ne parlarono poco, Chiara era piacevolmente sorpresa dalla conversazione e lei stessa lasciò perdere quell’argomento. Aveva chiamato Arturo per avere qualcuno con cui sfogarsi, ma adesso voleva solo godersi la passeggiata e chiacchierare amabilmente di un po’ di tutto con una persona che forse aveva giudicato troppo in fretta come un po’ timida e noiosa. Quando tornarono al punto di partenza Chiara guardò l’orologio e si rese conto che era ora di andare, ma allo stesso tempo non avrebbe voluto rinunciare alla compagnia di Arturo. «Ho un appuntamento alle undici, devo andare, ma perché non mi accompagni, andiamo a piedi, in un quarto d’ora siamo lì», disse Chiara. «Sei sicura che non disturbo?» rispose Arturo. «Figurati, ti annoierai un po’ ad aspettarmi, ma nella saletta ci sono molte riviste, vedrai che un’ora passa in fretta, poi ti prometto che ti porto ad assaggiare i pasticcini più buoni della città», continuò Chiara. «Perché dove devi andare?»


37 «Ho appuntamento con la mia psicoterapeuta, mi fa bene parlare con lei, quasi come mi fa bene parlare con te.» Detto questo, il viso di Chiara si illuminò in uno dei suoi sorrisi che lo facevano sciogliere. Arturo non disse nulla, si lasciò prendere la mano da lei, pensò che l’avrebbe seguita in capo al mondo per rivedere un’altra volta quel magnifico sorriso. Lo studio della psicoterapeuta era vicino al teatro in un vicolo della città dove non era mai stato. Arrivarono davanti a un portoncino, sul citofono c’erano cinque targhette, una sola recava una scritta: “studio Giordani”. Chiara pigiò il campanello, un pensiero attraversò la mente di Arturo, ma non ebbe il tempo di formarsi compiutamente, perché il portoncino si aprì due secondi dopo e già Chiara stava salendo le scale. La porta dell’ingresso dello studio era aperta, mancava ancora un quarto d’ora alle undici, aspettarono seduti nella saletta illuminata da una grande vetrata, non c’era nessuno. Chiara indicò la porta sulla destra e poi quella sulla sinistra. «Quella è la porta della dottoressa, quest’altra è la porta del bagno», disse lei. Arturo annuì guardandosi intorno, pensò che il posto era piccolo, non più di settanta metri quadri, ma eravamo in centro e quello studio non sembrava in condivisione con altri professionisti, evidentemente la dottoressa se la passava bene. «La dottoressa Giordani è una delle più quotate psicoterapeute della città, per me è la migliore, ne ho avuti altri prima di lei e ti posso dire che non c’è paragone, mi sta aiutando tantissimo», disse lei come se avesse intuito i pensieri di Arturo. «Quando ho finito te la presento, sono l’ultimo appuntamento della mattinata.» «Non c’è bisogno, non mi sembra il caso.» «Tranquillo, è lei che mi ha consigliato di farmi delle nuove e vere amicizie, sarà contenta di sapere che ho seguito il suo consiglio», continuò lei. «Va bene, come vuoi», rispose Arturo non sapendo se essere lusingato oppure offeso da quella rivelazione. Dunque ormai lo considerava un amico, ma quell’avvicinarsi a lui non era stato frutto del caso, ma un’indicazione terapeutica, forse la personalità di Chiara era un po’ più complessa di quello che aveva


38 immaginato, d’altronde anche la sua aveva dei lati nascosti. Questi pensieri vennero interrotti dall’apertura della porta dello studio e da una voce femminile che diceva: “arrivederci Ernesto”. Ernesto era un omone di almeno due metri che per uscire dalla porta si chinò leggermente, anche se ci sarebbe passato, probabilmente era un riflesso incondizionato dovuto alle numerose craniate che un tipo così alto aveva preso nella vita. L’età era indefinita, poteva avere cinquant’anni o anche settanta, era completamente pelato e magrissimo, con un viso lungo e pallido. Ad Arturo ricordava un dipinto di Munch, “il grido” gli pareva si chiamasse. Quell’uomo così particolare non emise un fiato, non rispose al saluto della dottoressa né al loro buongiorno, se ne andò senza degnarli di uno sguardo, sembrava assorto nei suoi pensieri, che tra l’altro Arturo non aveva nessuna curiosità di conoscere. «Avanti Chiara», disse la voce della dottoressa. Chiara gli fece un cenno di saluto ed entrò, riuscì a malapena a sentire il suo “buongiorno dottoressa” e poi il silenzio. La stanza della dottoressa doveva in qualche modo essere insonorizzata perché una volta chiusa la porta non si sentiva più alcun rumore proveniente dall’interno. Arturo si guardò intorno per vedere se c’era qualche telecamera in funzione e poi seguendo un istinto fanciullesco si avvicinò alla porta e ci appoggiò l’orecchio destro. Rimase in quella posizione per circa un minuto e in effetti non sentì alcun suono provenire dalla stanza, era improbabile che parlassero così piano da non poter udire proprio nulla, la stanza era sicuramente insonorizzata e si sentiva qualcosa solo nel momento in cui veniva aperta la porta. Anche se l’aveva sentita pronunciare poche parole, la voce della dottoressa aveva qualcosa di familiare. Si mise seduto nella saletta e praticamente passò tutta l’ora successiva a cercare di ricordarsi dove l’aveva già sentita.


39

XIV

Il tempo passò veloce, Chiara uscì dalla porta e con un gesto lo invitò a entrare, Arturo si alzò con lentezza, non era proprio sicuro che quella fosse una buona idea, ma se proprio ci teneva. Si fermò sulla soglia a guardare la bella donna mora, più o meno della sua età, che alzò lo sguardo e lo fissò a sua volta. «Dottoressa, questo è il mio amico Arturo di cui le ho parlato», disse Chiara. Lui rimaneva fermo senza accennare a entrare nella stanza, la dottoressa lo guardava interrogandolo con lo sguardo, lui fece un mezzo sorriso e un cenno di assenso, Chiara guardava entrambi e non capiva cosa stesse succedendo. «Ciao Arturo, quanto tempo che non ci vediamo», disse la dottoressa. «Ciao Elisa, credo che l’ultima cena che abbiamo fatto sia stata dieci anni fa», disse lui. «Di cosa state parlando, quale cena?» intervenne Chiara. «La cena di classe del liceo, io e Arturo siamo stati compagni di classe per tutti e cinque gli anni delle superiori», disse lei rivolta a Chiara. «Precisamente undici anni ad agosto, sono contenta che a distanza di così tanto tempo ti ricordi che c’ero anch’io a quella cena», disse la dottoressa rivolta a lui. «Non ho dovuto sforzarmi più di tanto, a quella cena non c’era neanche metà della classe, forse è per questo che poi non siamo riusciti più a organizzarla, inoltre tu sei identica», disse lui sorridendole e avvicinandosi per darle la mano. «Grazie Arturo, sei molto gentile, questo tipo di complimenti fanno sempre piacere, anche se gli anni che sono passati me li sento tutti. Però, da allora ho smesso di fumare e questo ha giovato molto alla mia salute», disse lei allungandole la mano e ricambiando la stretta.


40 «Perfetto, allora se già vi conoscete perché non andiamo tutti insieme a prenderci un aperitivo al bar qua sotto, tanto per lei è l’ultimo appuntamento vero dottoressa?» propose Chiara. «Non so Chiara, forse non è molto professionale da parte mia, non dovrei vedere i miei pazienti al di fuori del lavoro», rispose la dottoressa. «Ma ci sarà anche Arturo, non vi vedete da tanto tempo, vi lascerò parlare, me ne starò buona in un angolo con il mio aperitivo e poi mi ha detto anche lei che sto migliorando, ma che non mi devo chiudere in me stessa, devo socializzare, è come se facesse parte della terapia dottoressa», disse le parole velocemente con un velo di ansia nella voce, come una bimba fragile che chiedesse un regalo alla sua mamma. Arturo non aveva mai visto quella fragilità in Chiara, anzi l’aveva sempre giudicata una giovane donna forte e sicura di sé stessa, pensò che per lei dovesse essere faticoso mostrarsi per quello che era. Alla fine Elisa accettò l’invito, chiuse le persiane dello studio, diede due giri di chiave alla porta e li precedette sulle scale. Una volta usciti si assicurò che il portone fosse chiuso. «Io intanto vado a prenotare un tavolo», disse Chiara dirigendosi a passo di corsa verso il bar all’angolo, lasciandoli un momento soli davanti al portone. «Scusami Arturo, forse avevi altri progetti, non sono riuscita a dirle di no», disse Elisa. «Figurati, a me fa piacere e poi lo so che è difficile dire di no a Chiara», rispose lui. «È molto fragile, soprattutto in questo periodo, non vengo meno al mio dovere di riservatezza dicendoti queste cose, perché so che ti ha parlato dei suoi problemi, sei diventato un punto di riferimento per lei, lo sai?» disse Elisa. «Ne sono felice», rispose lui. «Spero che non ti fossi fatto altre idee», disse lei capendo al volo la situazione. «Per la verità sì, però adesso è passata, ho conosciuto un’altra persona», disse lui e subito si pentì di quella rivelazione, perché l’aveva detto, forse per riaffermare il suo orgoglio di maschio. «Sono contenta per te e per lei», disse Elisa chiudendo la questione e precedendolo sulla strada verso il bar. Quando entrarono videro che tutti i tavoli erano già occupati, Elisa notò la mano alzata di Chiara nell’ultimo tavolino in fondo sulla sinistra, la indicò ad Arturo ed entrambi la raggiunsero.


41 «Ho già ordinato tre aperitivi analcolici con relativi stuzzichini o preferivate qualcosa di alcolico?» disse Chiara. «Va bene», risposero all’unisono sia Elisa che Arturo. Aspettarono senza parlare di essere serviti, guardandosi intorno ognuno per conto proprio cercando di non incrociarsi, erano tutti un po’ in imbarazzo, che crebbe quando arrivarono gli aperitivi perché Chiara cominciò a sorseggiare il liquido color arancio con la cannuccia e a sgranocchiare noccioline e patatine senza più curarsi degli altri due come se fosse da sola. Arturo ed Elisa si sentirono in dovere di dire qualcosa e provarono a parlare nello stesso istante, questo provocò una risata liberatoria da parte di entrambi che permise di rompere il ghiaccio. Si raccontarono quanto era successo nelle loro vite negli ultimi undici anni durante i quali non si erano visti, per la verità Arturo non aveva molto da dire, ma si sforzò di essere brillante, invece Elisa gli raccontò del suo matrimonio con il suo fidanzato storico, che lui aveva conosciuto, poi della successiva separazione per colpa dei problemi di alcolismo del marito, che da fidanzati lei non aveva voluto vedere, nonostante li conoscesse bene perché erano gli stessi problemi che aveva sempre avuto la madre. «Per farla breve la mia vita privata è un disastro, per fortuna ho il mio lavoro dove mi sento realizzata», concluse Elisa. «Per me è il contrario, devo dire che il mio lavoro mi ha un po’ annoiato, mentre sto vivendo un bel periodo nella mia vita privata», disse Arturo. «Certo, grazie a Barbara, un giorno me la devi presentare», disse Elisa. Arturo si era dimenticato di averle già fatto quel nome e si pentì di averne parlato ancora, per fortuna Chiara in quel momento si era allontanata per andare in bagno.


42

XV

Rimasero nel bar per più di un’ora, poi Elisa disse che doveva andare, salutò Arturo con un bacio sulla guancia e strinse la mano a Chiara ricordandole l’appuntamento per il sabato successivo. «È bella Elisa vero?» disse Chiara quando erano ormai da soli. «Sì, è una bella donna, lo è sempre stata», rispose Arturo. «E tu non ci hai mai provato negli anni del liceo?» continuò lei. «Anche se lo avessi fatto, non avrei avuto alcuna possibilità.» «Lo sai che è separata?» disse lei. «Sì, lo so.» «Come lo sai, quando te l’ha detto?» disse lei. «Prima, abbiamo conversato molto mentre tu eri concentrata con l’aperitivo, non sembravi solo distratta, eri proprio assente», disse lui. «Avevo molti pensieri in testa e quando penso troppo mi isolo dal mondo, scusami.» «Non hai niente di cui scusarsi.» «Adesso, però, ti dico una cosa che non sai su Elisa», gli disse Chiara. «In questo momento è libera, dopo una breve storia con un uomo più giovane di lei di dieci anni», continuò. «E tu questo come lo sai?» chiese Arturo. «È semplice, perché lui è un mio amico, ed è venuto a piangere sulla mia spalla quando è successo, è lei che ha preso l’iniziativa», gli rispose. «Forse per lei è arrivato il momento di stare con uno della sua età», continuò e sorrise nel dirlo. «Smettila Chiara», disse anche lui sorridendo. «Va bene, va bene, non sono affari miei, ma secondo me stareste bene insieme», disse lei e si alzò per pagare il conto. «Aspetta Chiara», disse lui, ma lei non gli rispose e quando si alzò era già alla cassa che stava pagando il conto. Uscirono dal bar, il cielo si stava annuvolando, Chiara lo prese sottobraccio e lo accompagnò dove aveva lasciato l’auto. «Ciao Arturo, se domani ho voglia di fare un’altra passeggiata ti posso chiamare?»


43 «Certo, lo sai che puoi chiamarmi quando vuoi, inoltre la domenica è un giorno che non so mai cosa fare, ciao Chiara.» Entrò in auto e partì verso casa, non le aveva detto la verità, aveva un’idea ben precisa di quello che avrebbe fatto la domenica, e avrebbe cominciato già quella sera. Intanto sarebbe passato a prendere qualcosa in rosticceria, non voleva perdere tempo a cucinare, anche Barbara avrebbe apprezzato, si disse che aveva fatto bene a non dire nulla di lei a Chiara, purtroppo se l’era fatto sfuggire con Elisa, ma era sicuro che se lo sarebbe tenuto per lei. Il mattino seguente quando si svegliò nudo nel suo letto, non si ricordava nulla della sera precedente e della notte, la sua memoria arrivava fino alla cena, forse le due bottiglie di vino vuote erano la ragione principale. Barbara era stesa supina accanto a lui; mentre la osservava nella luce del primo mattino notò un piccolo rigonfiamento dei seni, si disse che non era possibile, ma i suoi occhi e poi anche le sue mani non lo ingannavano, in effetti il seno aveva preso almeno una misura, forse di più. Pensò che probabilmente la sbronza della sera prima era più forte di quello che credeva, eppure non aveva grossi sintomi, un po’ di mal di testa e una leggera nausea. Si alzò, coprì Barbara con il lenzuolo e fece una lunga doccia. Proprio quando si stava asciugando trillò il cellulare, lo prese e vide che c’era un WhatsApp di Chiara, c’era scritto solamente “Ho bisogno di parlarti, ti prego”. Le rispose immediatamente dicendo che poteva chiamarlo anche subito se voleva, ma lei rispose che aveva bisogno di vederlo di persona. Dopo una leggera esitazione, acconsentì e le disse che poteva venire a casa sua, fra un’ora, perché non aveva ancora fatto colazione. Arturo si chiese cosa potesse essere successo, sperò che non riguardasse ancora la storia con Rosaria, e invece appena le aprì la porta e la vide con le lacrime agli occhi capì che si trattava ancora di quella storia. Chiara gli raccontò che proprio il giorno prima mentre tornava a prendere la sua auto, dopo averlo accompagnato, aveva incontrato Rosaria, che la stava cercando perché voleva parlarle. Per farla breve l’aveva convinta ad andare a casa sua, le aveva detto che avrebbero potuto ricominciare, bastava che Chiara non fosse così assillante e non pretendesse l’esclusiva, e alla fine erano di nuovo finite a letto insieme. Quando gli aveva mandato il messaggio al cellulare Chiara era già tornata a casa sua. Se n’era andata dalla casa di Rosaria che era ancora notte, senza svegliarla, non ricordava l’ora, forse le quattro del


44 mattino. Non si era nemmeno messa a letto per provare a dormire, si sentiva confusa, non sapeva cosa fare, non riusciva a rinunciare a lei, ma allo stesso tempo non voleva dividerla con nessuno. Già in passato le aveva proposto di farlo in tre; allora aveva rifiutato perché, le confessò, si era innamorata di lei, ma la risposta di Rosaria l’aveva gelata: “l’amore è un sentimento sopravvalutato, io mi voglio divertire un po’, tra l’altro se mi ami come dici allora accontentami”. Questa era Rosaria, questa era la persona di cui si era perdutamente innamorata, quando ci pensava a mente fredda, da sola, sapeva che la cosa giusta era non frequentarla più al di fuori del lavoro, ma poi non aveva la forza necessaria e ci ricadeva come la sera prima. Arturo non parlò molto, la lasciò sfogare, d’altronde non aveva molti consigli da dare in campo sentimentale, in fondo stava vivendo una storia con una bambola. Si stupì di aver pensato a lei in quei termini e non come Barbara, era come se lo sfogo di Chiara lo avesse risvegliato, in qualche modo le sue parole lo riguardavano. Alla fine lei aveva finito le parole e lui non sapeva cosa dire, si guardarono negli occhi a lungo poi Arturo cercò di scuotersi e si alzò dalla sedia. «Faccio un caffè», disse e non era una domanda. Stava aspettando in cucina che il caffè salisse nella moca, intanto sentiva come sottofondo la televisione, Chiara l’aveva accesa, ma non aveva cambiato canale, era sintonizzata sulla solita emittente regionale, che era il canale che lui guardava più spesso. Stranamente per quell’ora, sentì la musica di apertura del telegiornale. «Mio Dio, non è possibile», Chiara aveva gridato e poi era scoppiata a piangere. Arturo era corso immediatamente nell’altra stanza e in tempo per vedere alla televisione la foto in primo piano di Rosaria, la voce del giornalista non inquadrato stava parlando di un delitto e aggiunse che la vittima era stata trovata morta nel suo appartamento un’ora prima. Arturo istintivamente abbracciò Chiara, che stava piangendo immobile a un passo da lui con le braccia lungo il corpo, i palmi delle mani rivolti all’insù come se anche con la postura volesse indicare che lei non aveva nulla a che fare con quel delitto. In effetti, quando lei ricambiò il suo abbraccio lui pensò che stava stringendo l’ultima o la penultima persona che aveva visto Rosaria, se fosse l’una o l’altra faceva tutta la differenza del mondo. ),1( $17(35,0$ &RQWLQXD


INDICE

I ....................................................................................................... 3 II ...................................................................................................... 5 III .................................................................................................... 7 IV .................................................................................................... 9 V.................................................................................................... 10 VI .................................................................................................. 12 VII ................................................................................................. 14 VIII................................................................................................ 17 IX .................................................................................................. 21 X.................................................................................................... 25 XI .................................................................................................. 28 XII ................................................................................................. 31 XIII................................................................................................ 35 XIV ............................................................................................... 39 XV ................................................................................................. 42 XVI ............................................................................................... 45 XVII .............................................................................................. 50 XVIII ............................................................................................. 54 XIX ............................................................................................... 58 XX ................................................................................................. 61 XXI ............................................................................................... 64 XXII .............................................................................................. 69 XXIII ............................................................................................. 73 XXIV ............................................................................................ 76 XXV .............................................................................................. 82 XXVI ............................................................................................ 89 XXVII ........................................................................................... 95


XXVIII .......................................................................................... 99 XXIX .......................................................................................... 103 XXX ............................................................................................ 107 XXXI .......................................................................................... 111 XXXII ......................................................................................... 114 XXXIII ........................................................................................ 116 XXXIV........................................................................................ 122 XXXV ......................................................................................... 128 XXXVI........................................................................................ 135 XXXVII ...................................................................................... 142 XXXVIII ..................................................................................... 148 XXXIX........................................................................................ 154 XL ............................................................................................... 161 XLI .............................................................................................. 168 XLII ............................................................................................ 171 XLIII ........................................................................................... 176 XLIV ........................................................................................... 179 XLV ............................................................................................ 183 XLVI ........................................................................................... 187 XLVII.......................................................................................... 191 XLVIII ........................................................................................ 199 XLIX ........................................................................................... 206 L .................................................................................................. 212 LI ................................................................................................. 216 Ringraziamenti ............................................................................ 219


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Quarta edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


AVVISO NUOVI PREMI LETTERARI La 0111edizioni organizza la Prima edizione del Premio ”1 Romanzo x 500”” per romanzi di narrativa (tutti i generi di narrativa non contemplati dal concorso per gialli), a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 30/6/2021) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 500,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


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