In uscita il 29/5/2015 (14,00 euro) Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2015 (2,99 euro)
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MARCO CAMMALLERI
CHE NON SI SAPPIA IN GIRO
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CHE NON SI SAPPIA IN GIRO Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-6307-888-6 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Maggio 2015 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Ognuno di noi tiene dentro di sĂŠ il ricordo di una persona speciale, la cui assenza ha modificato il cammino della vita per sempre.
Giovanni, Crocifisso,Gianpiero,Vito Questo libro è dedicato a voi
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GESTO SCARAMANTICO
La giornata appena iniziata non era nata sotto i migliori auspici. Il maresciallo Pace era stato svegliato dalle note di una canzone neomelodica, genere per il quale provava profonda repulsione. Avrebbe preferito di gran lunga destarsi per mezzo di una secchiata di acqua piuttosto che essere costretto ad ascoltare… vabbè, lasciamo stare. Il sole non era ancora spuntato completamente, ma già si intuiva che sarebbe stata una bella giornata, almeno dal punto di vista meteorologico. Si riusciva a distinguere la maestosità del Monte Rosa dal balcone di casa. Tuttavia anche questo era per lui cattivo presagio: la prima volta che all’alba di un mattino di agosto vide le cime imbiancate della montagna, ricevette anche una telefonata, l'avviso che suo padre entrava in ospedale per non uscirne più, se non all’interno di una bara. La conseguenza fu che l’umore gli si fece assai pesante. Fortuna volle che quella mattina non doveva recarsi al lavoro, lo aspettava un viaggio di due ore di macchina, traffico permettendo. Eppure si era addormentato sereno, oltre ad aver mangiato un piattone di vitello tonnato con insalata, aveva ricevuto una bella notizia: un suo collega, con il quale aveva trascorso i primi mesi del servizio, era diventato padre e voleva a tutti i costi che andasse a trovarlo. «Paolo, sono Simone. Finalmente è nato.» «Chi è nato?»
6 «Come chi è nato? Mio figlio, Paolo.» «E a me deve fregarmene qualcosa?» Simone rimase deluso dalle parole di quello che pensava fosse un suo amico e stava per chiedere scusa quando il maresciallo riprese a parlare. «Sto scherzando cretino, appena posso vengo a trovarvi. Aspettavo anch’io che nascesse, certamente meno di te, ma lo aspettavo tanto.» «Non “appena puoi”. Domani, vieni domani.» Ma tra un “ho da fare” e un “non posso” Simone ci infilò un «Barbara ci rimarrà male» e a quel punto si arrese. Si mise in ordine: barba, doccia calda anche se era d’agosto, una piccola rinfrescata in più al viso e fu pronto. Dopo avere indossato la polo e un paio di pantaloni da golf, scese nel seminterrato per prendere la sua Musa. Attese con calma che si aprisse il cancello automatico e accelerò in direzione dell’autostrada. Dopo nemmeno un chilometro si dovette fermare: sul bordo della strada c’era un gatto nero pronto ad attraversare. Lo aveva visto uscire dal giardino di un villino e fermarsi quasi come se stesse aspettando proprio lui. Il maresciallo era uno scaramantico al contrario, infatti, quando vedeva una scala appoggiata al muro ci passava sotto e di proposito aveva rotto una decina di specchi. Fedele al suo credo si fermò accanto al felino aspettando che attraversasse, ma il micio non ne voleva sapere. Allora scese dall’auto per sollecitarlo e per tutta risposta l’animale gli soffiò contro. Il maresciallo si abbassò e fece un cenno rapido con il braccio per allontanarlo e questi rientrò nel giardino della piccola villa. “Forse è lì che vive» pensò. Lo seguì con lo sguardo fino a quando non lo vide scomparire. Già che c’era diede un’occhiata al villino per capire se conosceva chi ci vivesse. No, non li conosceva. Quindi era gente per bene, perché in paese chi non rigava dritto aveva un posto riservato nel database del suo cervello. L’unica
7 cosa che non gli garbava era l'avere notato che nonostante ci fosse un sole magnifico, una delle camere era con la tapparella alzata e aveva anche la luce accesa, mentre il climatizzatore era spento. «Ma tu guarda» disse a voce alta, «per la luce spendono quando non serve, però se si muore di caldo si risparmia. Valli a capire tu sti borghesi!» Si rimise in macchina e riprese il viaggio. Invece di due ore ce ne vollero tre e mezzo per giungere a destinazione. L’ora e mezza in più gliela rimborsò Barbara: era uno splendore, bella come solo una mamma che ha appena partorito può essere. Simone invece era sconvolto, piangeva ancora dall’emozione. Il maresciallo intuì che aveva trascorso una gravidanza in ansia e che quelle erano anche lacrime di liberazione. «Ma come lo avete chiamato?» «Jonathan». Il maresciallo avvertì un forte crampo allo stomaco, sapere che a un bambino italiano veniva imposto un nome straniero gli faceva quell’effetto. «Bel nome» disse quasi rantolando. «Tu l’attore non lo sai fare, al massimo potresti fare il doppiatore» gli rispose Simone. «Si chiama Andrea» intervenne Barbara. «Questo piccolo scherzo è in risposta a quello tuo di cattivo gusto di ieri sera» proseguì Simone, «era il minimo. Credevo te lo aspettassi.» «Sì, mi aspettavo una tua vendetta, ma siete stati bravi e mi avete colto di sorpresa.» «Beh, questa è la prima volta che ti colgo di sorpresa» disse un po’ stupito Simone, e chiamò in disparte l’amico. «È successo qualcosa? Va tutto bene?» «Sì, tranquillo. Tutto a posto. Mi è solo successa una cosa strana» e gli raccontò della sveglia a base neomelodica, del Monte Rosa e del gatto nero. «E da quando in qua dai peso a queste cose?»
8 «Da mai.» Pranzarono assieme al ristorante, il conto lo pagò Simone che non volle sentire ragioni. Tornò in ospedale per la visita pomeridiana e, dopo avere rivisto Barbara e Andrea, intraprese il viaggio di ritorno. Però la tentazione del lago era troppa, e il condizionatore della Musa non sembrava essergli sufficiente, e allora decise di uscire allo svincolo di Desenzano e andare a fare il bagno alla prima spiaggetta disponibile. Dopo una mezz'oretta in ammollo, tirò a tutta birra per arrivare a casa il prima possibile: sentiva il bisogno di una doccia come un eroinomane in cerca di una dose. La fila a Milano est non fece altro che appesantirgli l’umore, neanche la doccia riuscì a sollevarlo. In casa non aveva molto da cucinare, ma al ristorante era già stato a pranzo. Che fare? Alla fine, tra un uovo al tegamino e un Big Mac scelse per il secondo. Andando verso il fast-food passò nuovamente di fronte alla villa. Potrebbe sembrare incredibile, ma c’era ancora quel gatto nero in attesa sul bordo della strada. Si fermò e aspettò che passasse ma esso, come di mattina, si era piantato lì e non si muoveva. Quando il maresciallo scese dalla macchina, rapido come un fulmine attraversò le sbarre strette del cancello pedonale e si nascose nel buio. «Ma guarda tu sto gatto» disse a se stesso. Alzò di nuovo lo sguardo verso la casa e rivide la camera: la luce era sempre accesa e il climatizzatore spento. Dopo aver cenato nel casino più assoluto, decise di ripassare di nuovo al villino e, rallentando, si accorse che in quella camera era tutto come prima. Dopo essersi fatto una dormita eccellente, si preparò per andare in caserma. Però era curioso di sapere se al villino ci fosse ancora la luce accesa. Fece una piccola deviazione sul percorso abituale
9 e passò da là. Il gatto era sempre lì. Stavolta posteggiò e scese, il micio non si mosse. «La cosa mi puzza un po’» disse al gatto, che come risposta gli soffiò e rientrò in casa. Allora il maresciallo si mise a sbaciucchiare piano nel tentativo di farlo tornare a sé, e con sua grande sorpresa il gatto si avvicinò. «Senti, adesso non posso. Più tardi vengo, ok?» Il micio superò il cancello e si accucciò sul vialetto. Arrivato in caserma fece chiamare il brigadiere che lo aveva sostituito in caserma il giorno prima. «Mi dispiace maresciallo. Il Brigadiere Rossi è andato al Comando.» «E perché?» «No, niente di grave. Hanno chiamato questa mattina presto sostenendo che avevano bisogno di lei. Il brigadiere, sapendo che ieri è stato fuori città, ha pensato di non disturbarla e visto che era già qua c’è andato lui. Mi ha assicurato che appena torna le riferisce tutto. Posso andare?» «Vai pure, Conte.» Il Comando aveva telefonato di prima mattina? Chissà cosa era successo? Le giornate di agosto erano in genere calme, la città era semideserta e le chiamate erano rare. Al lavoro ci si occupava di poco, qualche denuncia di furto, un autobus che non partiva per mancanza di personale, un marito che chiedeva il loro intervento per rientrare a casa dopo avere messo le corna alla moglie, insomma nulla di straordinario. «Un attimo, voglio capire. Ci sposeremo un giorno sì o no?» «Lo sai che non è possibile.» «E se lo fosse?» «Quando lo sarà ti darò una risposta. Odio perdere tempo appresso a cose irrealizzabili. E tu questo lo sai.»
10 «So anche che sei il solito furbo e che quando vuoi sai sgattaiolare alla grande.» Quel verbo gli fece venire in mente che aveva preso un impegno. «Hai detto sgattaiolare?» «Sì, perché?» «Mi sono dimenticato che dovevo andare da una parte.» «Dove?» «Odio anche la gelosia, possibile che non tieni in mente neanche questo? Abbi fiducia, appena torno ci risentiamo.» «Quando?» «Un paio d’ore al massimo.» «Ma sono le dieci e mezzo.» «Tu fatti trovare on line, se te la senti.» E dopo i saluti, spense il PC. Il maresciallo era uno dei tanti che aveva una relazione a distanza. Si incontravano quasi tutti i weekend, duecento chilometri non erano poi così tanti. Per non destare sospetti si vestì in tenuta da jogging e andò nel box. Dalla macchina prese il suo zaino con gli attrezzi da lavoro ─ guanti in lattice, torcia elettrica, una serie di grimaldelli che aveva sottratto a un ladro che aveva cambiato mestiere grazie a lui, pinzetta per ciglia, forcine per capelli e uno specchietto con bastoncino telescopico ─ e correndo come un atleta attempato fece strada per raggiungere il villino. Poco prima di arrivare prese i grimaldelli e li strinse forte fino a quando non fu davanti al cancelletto. Il gatto nero era lì, lo stava ad aspettare da chissà quanto. Alzò la mano per suonare il campanello, ma il gatto gli soffiò contro, si girò di scatto e si mise a camminare verso la porta d’ingresso. Poi si fermò e miagolò al maresciallo, lasciando intendere che voleva esser seguito. «Aspetta» disse sottovoce al micio, «devo aprire il cancello, non posso passare tra le sbarre come fai tu.» E dopo avere parlato
11 come San Francesco con un animale, si mise i guanti e iniziò a scassinare la serratura. Nessuno se ne sarebbe mai accorto, da bambino il suo passatempo preferito era far trovare aperti tutti i lucchetti che vedeva in giro. Una volta entrato lasciò che il gatto lo guidasse. Anziché andare alla porta d’ingresso, corse verso il retro del villino e si fece trovare davanti alla porta del garage, anche lì al seminterrato. Nessuno lì dietro avrebbe potuto vederlo trafficare con una serratura. Si persuase di avere a che fare con un gatto al quale mancava solo la parola. Quando fu dentro trovò nel garage una BMW, scaffalature con un po’ di tutto, una dispensa, una botte per il vino e una porta che dava su un’altra camera chiusa con una serratura blindata. Quando il gatto capì che il maresciallo stava andando verso quella porta, corse miagolando in direzione di una scala che dava al piano di sopra. Salirono assieme, trovarono la porta aperta ed entrarono in cucina. A prima vista i padroni di casa dovevano avere gusto per il moderno. Il gatto però era fermo nel corridoio, nel buio i suoi occhi brillavano come due diamanti. Il maresciallo lasciò la cucina e si trovò di fronte a quattro porte. Il gatto era sparito e si mise a cercarlo. La prima porta era l'entrata della stanza da letto, in ordine e profumata. La seconda era il bagno, anch’esso in ordine. C’era un po’ di casino nella terza, arredata in modo sciatto e con un solo lettino. Il gatto lo ritrovò nel salone, dove c’era la luce accesa e un uomo sdraiato sul divano, morto. In apparenza gli sembrava per cause naturali. A occhio e croce poteva avere una settantina d’anni. «Ecco perché mi fermavi! Povera bestiolina, è morto il tuo padrone e volevi farlo sapere a qualcuno eh?» Guardò in giro per la casa: non c’erano foto di famiglia o di figli, c’era solo lui, mentre ritirava un premio, in tenuta da caccia con quattro amici, seduto davanti a una scrivania, o in poltrona mentre partecipava a una conferenza.
12 Si avvicinò di nuovo al cadavere, e tastandolo si accorse che era già in rigor mortis. E si ritrovò di fronte a un bivio: aspettare che la puzza di morto diventasse avvertibile fino alla casa più vicina o inventarsi qualcosa per ritornare in quella abitazione secondo i canoni di legge? La risposta gliela diede il gatto: se non si sbrigava ad agire sarebbe morto anch’esso, o per fame o per solitudine, o per tutte e due le cose. Allora si mise a cercare il cellulare del morto, trovandolo quasi immediatamente. Consultò la rubrica e annotò il numero del fisso. Ritornando a casa non pensava ad altro che a un escamotage per avvertire chi di dovere, e quando si ricordò che una volta tornato, doveva riferire tutto al suo amore come promesso, gli si accese una lampadina e non lo percepì più come un problema, anzi, non vedeva l'ora di parlargliene.
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LA SEGNALAZIONE OPPORTUNA
Con un po’ d’ansia accese il portatile sperando di trovare in linea una delle sue ragioni di vita. Lo sapeva che era lì ad aspettarlo. Non potevano stare molto lontani. Il maresciallo si era impegnato a richiamare appena possibile per raccontare tutto e in modo implicito aveva ricevuto una risposta che voleva dire “non vado a letto finché non mi chiami”. «Ancora in piedi?» «Sì, stavo guardando “Harry ti presento Sally”.» «Che canale?» «Rai Quattro.» Il maresciallo accese la tv e si sintonizzò anche lui sul film, giusto in tempo per assistere alla scena della dichiarazione d’amore. Lo guardarono assieme come se si stessero tenendo per mano. «Bellissimo. È la dichiarazione d’amore più bella che abbia mai sentito.» «Sì, anche per me. Allora, come è andata?» E il maresciallo si mise a raccontare del gatto nero, del modo in cui sembrava gli avesse chiesto di seguirlo, ma si bloccò di colpo perché aveva notato un’espressione commossa nel viso di chi lo ascoltava. «Me lo fai un favore?» «Me lo chiedi anche?» «Sì, perché domattina devi fare un po’ di telefonate prima di andare al lavoro: alcune a vuoto verso un numero che ti darò, e l’ultima al 113.»
14 «Al 113?» «Sì, appena ti dico quello che devi fare capirai. Forse ti diverti.» «Perché?» «Perché devi fare la pazza.» La mattina seguente andò in caserma e finalmente rivide il brigadiere Rossi. «Rossi, venga nel mio ufficio.» Il brigadiere entrò di seguito al maresciallo. «Cosa volevano ieri mattina dal Comando?» «Dovevano presentare il nuovo capitano che coadiuverà il colonnello nella gestione della Compagnia.» «Quante volte ha ripetuto "coadiuverà" per pronunciarlo senza mordersi la lingua?» «Una cinquantina.» «C’è altro?» «Sì, hanno chiesto di segnalare un rappresentante per caserma per un corso di crittografia.» «E chi abbiamo segnalato?» «Corradi.» Era l’intellettuale del gruppo. Appassionato di lettura, rileggeva e correggeva ogni rapporto che si doveva presentare e fin dall’età di quattordici anni il padre gli regalava per Natale l’abbonamento alla Settimana Enigmistica. Rossi aveva ingegno e doti da direttore del personale: sapeva benissimo che mandando un uomo si sarebbero trovati a fare i turni con una unità in meno per almeno una settimana o due; inviando Corradi era sicuro che, dopo la risoluzione dei codici più difficili nel giro di qualche minuto, gli istruttori l’avrebbero buttato fuori dal corso con tanto di attestato il prima possibile pur di difendersi da una figura meschina. «Bravo Rossi, appena lo vedono che tra un codice e l'altro tira fuori “La Settimana” e risolve in un minuto il calcolo enigmatico,
15 lo rimanderanno indietro impacchettato, e con tanto di fiocchetto.» Era quasi l’ora X. Appena restò solo fece uno squillo al telefono del suo amore: era il segnale convenuto. Dopo circa un’ora squillò il telefono del suo ufficio. La telefonata era diretta, quindi era qualcuno che sapeva il numero d’interno. «Maresciallo Pace.» «Pronto?» «Sì, mi dica.» «Buongiorno maresciallo, sono il capitano Rimoldi.» «Comandi.» «Senta maresciallo avrei voluto farne veramente a meno ma purtroppo…» «Cosa è successo?» «Il 113 ha ricevuto una chiamata e l’hanno smistata a noi.» «Come mai?» «Sostengono di non avere personale a disposizione.» «Sostengono?» «Sì, sostengono. Ha già capito che la verità è un’altra.» «Quale verità?» «La chiamata l’ha fatta una checca impazzita, dicendo che da ore chiama al numero di un suo amico e questo non gli risponde e che di sicuro deve essere successo qualcosa di grave. In buona sostanza dovete andare a fare un sopralluogo.» Il maresciallo annotò come se non sapesse dove andare l’indirizzo del villino e il numero di telefono. Non diede peso al fatto che il capitano aveva usato il termine checca in tono dispregiativo, l’ottima riuscita del suo piano glielo aveva fatto dimenticare in fretta. E poi era da tutta la vita che era abituato a sentire gli squallidi epiteti che la gente utilizza per definire chi è omosessuale. Prese il cellulare, inviò un SMS: “Grazie amore, è riuscito”.
16 Lasciò il brigadiere in caserma e con Conte e Mussini tornò al villino. Lì c’era ancora il gatto nero che non appena lo vide uscì dal cancello e gli si avvicinò strusciandosi, cosa che destò in Conte qualche sospetto. Mussini suonò il campanello per tre volte, dopodiché si rivolse al suo superiore: «Che facciamo maresciallo? Scavalchiamo o chiamiamo i vigili?» «Apriamo» rispose mostrando loro il suo set di grimaldelli. «Sicuro?» intervenne Conte, ma il maresciallo fece cenno che era tutto ok e i due carabinieri fecero silenzio. Aprì il cancello e poi dritto verso la porta del garage, un gesto che meravigliò Mussini, ma non Conte che ormai aveva capito. «Perché prendiamo di qua, maresciallo?» «Perché così ci vede meno gente e se ci vedono siamo comunque riconoscibilissimi. Giusto maresciallo?» rispose Conte, che strizzò l’occhio in direzione del superiore. «Bel macchinone» fu il commento di Mussini appena vide la BMW. Il maresciallo salì subito per le scale ed entrò nel salone dove aveva trovato il cadavere. «Conte, chiama in procura e avvertili del ritrovamento. Io chiamo il Comando e faccio venire qua la scientifica.» «Perché? È stato ucciso?» «A prima vista non si direbbe» rispose il maresciallo facendo capire a Conte che aveva ragione a pensare che fosse già stato lì. «Ma li vedi questi piccoli granelli di sale che ha vicino al naso?» «Sì, e quindi?» «Questo mi basta per chiamarli e vedere se c’è da sapere altro. Ora lasciamolo qua e cerchiamo di dare una bella guardata in giro, perché credo che non ci rimetteremo più piede. Poi quando finiamo dai da mangiare al gatto. Sarà allo stremo.» C’era da svelare ancora un particolare, la stanza al seminterrato chiusa con la serratura blindata: il maresciallo pensava ci fosse dentro il necessario per andare a caccia, però qualcosa gli diceva che c’era anche dell’altro. Prima che arrivasse la squadra dal
17 Comando riprese i grimaldelli e dopo qualche tentativo riuscì ad aprire la porta. Poi con l’aiuto degli altri due inscenò alla meno peggio la forzatura della stessa. In casa non avevano trovato niente di particolare e giù c’erano due doppiette e qualche cartuccia, oltre ad altro materiale venatorio. «Mussini, nemmeno con queste saresti capace di fare centro al poligono» disse sghignazzando Conte. Di risposta ricevette uno spintone da catalogo che lo fece andare a sbattere contro il muro. Il maresciallo avrebbe tanto voluto sparare a tutt’e due, ma il rumore del muro li fece paralizzare. «Avete sentito?» disse il maresciallo mentre batteva il pugno sul muro per ascoltare ancora una volta il rumore di vuoto che ne proveniva. «Qui dietro c’è qualcosa» ma il suono delle sirene lo interruppe e di corsa salì ad aprire la porta. Erano i colleghi fotografi, come li chiamava lui. La sorpresa fu vedere una donna a capo dell’allegra comitiva. Conte e Mussini mostrarono subito la bava alla bocca tipica di quelli che vedono una bella donna per la prima volta. Dal tono della voce e dalle prime parole però intuirono che era una donna dalla quale girare al largo: avvenente e convinta di essere Miss Universo. Gli altri della scientifica sembravano essere degli schiavetti al suo controllo, tant’è che il maresciallo la immaginò come Cleopatra portata a spalle dai carabinieri. «Maresciallo» disse con voce suadente, «non avete toccato il cadavere, vero?» «No.» «Mah, sa, se avete forzato la porta della tavernetta, avreste anche potuto adagiare il corpo di questo disgraziato sul divano.» «Mi scusi tenente, ma io ho tanti anni di esperienza. Non avrei mai fatto una sciocchezza simile.» «M’aspettavo maggiore perspicacia da parte sua, maresciallo. Era un modo come un altro per dirle che quest’uomo è stato assassi-
18 nato. Come, lo scopriremo in seguito.» Il maresciallo incassò con disinvoltura inglese, ma reagì con una veronica alla Panatta. «Ha notato quei cristalli che ha sotto al naso?» «Quali cristalli?» «Questi» li indicò il maresciallo. «Sono sicuro che vi saranno molto utili per scoprire qual è stata la causa della morte.» «Chiama al cellulare Corradi e ordinagli di venire qua subito, altrimenti farà i conti con me» disse rivolgendosi a Mussini. «E se s’incazza?» «Non ti preoccupare, tu digli così e lui si precipita.» «Maresciallo, io vado fuori a fumarmi una sigaretta» disse Conte dirigendosi verso la porta e il maresciallo gli andò dietro. Conte non fumava. «Che c’è? Che mi devi dire?» «Quello che hanno trovato giù, nella camera fantasma.» Il maresciallo gli fece un gesto come a dire “parla, che aspetti?” «Tre milioni.» «Tre milioni di euro?» ripeté stupito. «No, tre milioni di lire.» «E perché se li è tenuti? Ormai si possono anche bruciare.» «Eh no, maresciallo! Sono cento pezzi da diecimila e cento da ventimila, e sono quelli con le facce di Michelangelo e di Tiziano.»
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VENDITORE DA COLLEZIONE
Intanto era arrivato anche il dottor Galli, l’anatomopatologo. La bella carabiniera non aveva perso tempo, sicura che si trattasse di omicidio l’aveva fatto venire di corsa. «Bene» sussurrò il maresciallo, «così abbiamo ancora un po’ di tempo. Dopo di lui arriverà anche qualcuno dalla procura e ci sarà più tempo per Corradi. Tu, Conte, vai a vedere se nella camera nascosta hanno trovato altre cose che ci possono essere utili». «Ma maresciallo, a che le serve? Tanto il caso lo gestirà il Comando.» «Non è detto, e poi non abbiamo altro da fare. È estate, forse ci lasceranno indagare fino a quando non rientrano tutti dalle ferie.» Il maresciallo lasciò che le medio-alte sfere si sfogassero ad azzardare le ipotesi più strane e si limitò a presenziare, ascoltava senza intervenire. Finalmente arrivò Corradi e il maresciallo rimandò Mussini in caserma. «Mussini, vai a sbrigare i tuoi affari. Corradi è arrivato per sostituirti.» Mussini non aveva impegni, ma capì al volo e se ne andò quasi senza salutare. «Allora Corradi» disse sottovoce il maresciallo, «sai cosa devi fare?» «Immagino, ma cosa di preciso?» «Allora, quella là della scientifica con una semplice occhiata è sicura che sia stato ucciso. Vorrei che tu scoprissi perché. Dopo scendi giù, ci sono gli altri in una stanza che prima era segreta.
20 Cerca di fotografare con la mente la scena e dimmi se c’è qualcosa di strano.» «Allora scendo giù, qui per me è tutto chiaro». «D’accordo. Mi dirai tutto con più calma, in caserma.» «A un primo esame sembrerebbe che la morte sia avvenuta quarantotto ore fa, o giù di lì. Per la causa non saprei di preciso. Se ne riparlerà più in là, dopo che ci avrò lavorato un po’ su» rispose Galli alla solita domanda del Sostituto Procuratore. «Cosa si sa di quest’uomo?» chiese il magistrato rivolgendosi a tutti i presenti nella speranza che, come si faceva a scuola, qualcuno alzasse la mano e rispondesse. «Poco o nulla» intervenne il maresciallo. «Si chiamava Guido Corsi e aveva settantuno anni. Almeno secondo i documenti che abbiamo trovato in casa era pensionato, appena avremo tempo chiederemo un po’ in giro.» «Faccia pure e quando avrà finito trasmetta quello che scopre al mio ufficio.» Quando lasciarono il villino si diedero appuntamento in caserma, dove ad aspettarli oltre a Mussini c’era anche la sua squisita pasta alla carbonara. Mentre il maresciallo riempiva i piatti, gli altri presero posto. Anche Rossi decise di mangiare in caserma anziché tornare a casa. «Corradi, comincia tu. Che hai da dirci?» «Allora, è stato un omicidio: la salma è stata messa sul divano da qualcuno. Erano chiare delle pieghe innaturali sul tessuto e il corpo non aveva una situazione normale, anzi appariva costruita. Inoltre la sedia è troppo spostata dal tavolo e la tv non dava in quella direzione, ma verso la poltrona. Con questi schermi piatti chiunque di noi li gira verso dove è seduto, da là si vedeva non perfettamente.» «E giù, niente di strano?»
21 «Era tutto strano. Intanto hanno sfondato la porta quando non ce ne era bisogno. Chi ha fatto quella stanza ha costruito un passaggio semplice. Nella porta c’era un buco ricoperto di stucco e ridipinto. Gliel’ho fatto notare io ai colleghi, bastava prendere una chiave tredici tubolare e si sarebbe aperta.» «Cosa c’era dentro oltre alle banconote?» Questa volta fu Conte a prendere la parola. «Di interessante c’erano altre cose da collezione: numeri uno di fumetti, francobolli dal mondo e altro. Quello che è inusuale è la quantità, non da collezionista ma da grossista. Ad esempio, c’erano cinquanta numeri uno di Dylan Dog e altri cinquanta di Tex, una ventina di Zagor e altri in numero minore. Poi in un cassetto hanno trovato un tesoro: messi uno accanto all’altro c’erano un raccoglitore di plastica con un centinaio di Gronchi Rosa e un portamonete con venti pezzi di cinquecento lire d’argento, serie Le Caravelle.» «Manco a dirlo avevano le bandiere rovesciate, vero?» «Sì, un collega che se ne intende un po’ ha detto proprio così.» Rossi, che qualcosina se l’era fatta dire, prese la parola. «Ho fatto una piccola ricerca su internet: i fumetti hanno un valore che oscilla dai cinquanta ai duecento euro ciascuno, la forbice dipende da chi è il compratore. Basso se è un rivenditore, alto se è un collezionista. Tutti assieme quei tre milioni di lire possono valere anche cinquantamila euro, i francobolli se non sono stati timbrati valgono all’incirca mille euro l’uno e per le cinquecento lire non c’è prezzo base, diciamo che oscilla grosso modo dai tremila ai dodicimila euro.» «Quindi il solo patrimonio di questi pezzi ammonta a più o meno trecentomila euro, esatto?» «Sì, all’incirca» confermò Mussini. «E l’assassino non ha preso niente di tutto questo, giusto?» «Però nella camera c’è entrato» affermò Corradi. «Lo stucco era fresco, meno delle quarantotto ore suggerite da Galli, ne sono si-
22 curo. E se è così, deve essere stato qualcun altro a entrare nello stanzino.» «Bene, mi sembra che abbiamo un bel po’ di roba per iniziare a indagare. Ora andate a chiedere ai vicini ulteriori notizie. Io raggrupperò il tutto e poi mando il rapporto al Comando. Qualcuno ha ammazzato quel vecchietto, noi dobbiamo scoprire chi e perché. «Il gatto lo ha preso qualcuno?» «Sì maresciallo, ce l’ho io» rispose Conte. «Trattalo bene, è stato molto utile.» Di sera, prima di andare a casa, Conte tornò con l’aria di chi aveva in mano un full d’assi. Emozionato entrò nell’ufficio del maresciallo e lo ragguagliò su ciò che aveva scoperto. Guido Corsi era un pensionato, non era del paese. Andava al villino all'incirca una volta al mese. Sempre solitario, di tanto in tanto lo si vedeva con altre persone, sempre diverse e sempre in due. Non aveva avuto problemi con il vicinato e mai erano venuti a cercarlo polizia o guardia di finanza. Sul database non risultavano casi pendenti o debiti. «Stiamo messi male. Uno può avere amici o nemici. Ma tu mi hai descritto un uomo praticamente invisibile» si sfogò frustrato il maresciallo. Tornò a casa. Dopo aver cenato si collegò via Skype con Maurizio. «Ciao Maurizio, come ti è andata?» «Mah, solita routine. A te?» «Una patata bollente. Appena posso la lascio ai superiori.» «Ma non ti piacerebbe risolvertela da solo?» «A me sì, ma è inutile che ci perda troppo tempo. Mi limiterò a fare quello per cui mi pagano. Se mi chiederanno di più farò di più.»
23 «Te l’ho mai detto che a volte fai dei ragionamenti del piffero?» «Ho perso il conto.» «Non vedo l’ora che sia venerdì. Stavolta vengo io.» «Dici sul serio?» «Sì, chiudo lo studio e prendo il treno. Tu fatti trovare alla stazione, intesi?» «Certo, ti aspetterò sul binario. Contaci.» Per non dare troppe preoccupazioni al suo compagno, gli aveva fatto capire che non era interessato a scoprire nulla di più che non servisse agli altri. Aveva la sensazione che il caso fosse più pericoloso di quanto l’apparenza lasciasse intravedere. Si era appena messo a letto quando squillò il telefono. «Maresciallo, mi scusi se la chiamo a quest'ora. Sono Corradi.» «Non ti preoccupare, dimmi.» «Ma mi ha iscritto a un corso di crittografia del Comando?» «Non io, Rossi.» «Ma maresciallo, lo sapete bene entrambi che io non ne ho bisogno.» «Sì, lo sapevamo. Ma vista la situazione se lo frequenti è meglio. Tu starai al Comando e tra una lezione e l’altra cerchi informazioni riguardanti il caso del signor Corsi.» «Ah, se è così ci vado volentieri. Buonanotte e mi scusi ancora.» «Buonanotte.» L’indomani, appena entrato nel suo ufficio ricevette un’altra chiamata. «Maresciallo Pace?» «Sì, chi parla?» rispose d’istinto il maresciallo, con la paura che dall’altra parte gli rispondessero “che ne dice facciamo un po’ per uno? prima io e poi lei?” «Sono il giudice Lorenzi.» «Ah, buongiorno. Come posso esserle utile?»
24 «Ho ricevuto il suo rapporto riguardante il signor Corsi, maresciallo. Non siete riusciti a scoprire altro?» «No, signor giudice. Se avessi avuto più tempo a disposizione, forse, avrei scoperto di più.» «Le risparmio altra fatica, allora. Ho fatto altre indagini sul Corsi: viveva in Veneto, nessun parente in vita e nessun erede. Eppure aveva racimolato una fortuna, un patrimonio consistente.» «Consistente?» «Sì. Il Corsi investiva il suo denaro in beni da collezione» e continuò elencando cosa avevano trovato a casa della salma. Il maresciallo si limitò ad ascoltare, se apriva bocca il giudice avrebbe anche potuto capire che lui era già a conoscenza di quell’inventario. «Quindi signor giudice, abbiamo poco per ipotizzare una pista.» «Praticamente nulla. Se lei dovesse avere novità o qualcos’altro me lo faccia sapere.» «Senz’altro.» Il maresciallo entrò nella cucinetta in preda alla disperazione, il suo tasso di caffeinemia era bassissimo. Quando la caffettiera iniziò a dare segni di attività, eruttando il caffè e spandendone l’essenza per tutta la caserma, entrò anche Conte. «Si può?» «Certo, serviti pure» gli disse facendogli cenno di sedersi accanto a lui. «Il gatto?» «Beh, ho fatto fatica a farlo digerire a mia moglie. Già non voleva animali in casa, poi lei è anche scaramantica. Ma quello là deve essere proprio figlio di una gatta, si è fatto subito amare: si pulisce, usa la lettiera, passa il tempo sul terrazzino, non sporca. Alla fine si è convinta, lo teniamo.» Nella cucinetta entrò anche Rossi e il maresciallo gli offri il caffè.
25 «No, grazie. Maresciallo le dovrei parlare.» Non c’era bisogno che dicesse “in privato”, altrimenti avrebbe iniziato anche in presenza di Conte. Entrarono in ufficio. Rossi aveva il viso un po’ tirato. «Maresciallo, non si tratterebbe solo di lavoro.» «Cosa c’è?» «È per mia moglie. Sta male.» «In che senso?» «Stamattina è andata a fare un’ecografia al seno. Deve essere operata.» «Quando?» «Settimana prossima, credo.» «Prenda pure la licenza, io non mi muoverò dalla caserma. Ma perché non me lo ha detto prima? Non vorrà farmi credere che non lo sapeva già, vero?» «Mia moglie se ne è accorta una quindicina di giorni fa, ma non le è parsa una cosa così seria. L’esito dell’ecografia ha sorpreso più lei che tutti gli altri.» Il maresciallo pensò che la tegola caduta sulla testa della famiglia Rossi di rimbalzo aveva colpito tutta la caserma, sia dal punto di vista affettivo, perché Rossi era realmente amico di tutti e la moglie era una persona dolcissima e disponibile, ma anche dal punto di vista lavorativo: il maresciallo non sarebbe più potuto andare da Maurizio e per proseguire le indagini sull’omicidio oltre ad avere Corradi fuori sede non avrebbe avuto l’appoggio di Rossi nel formulare ipotesi credibili. «Allora vuol dire che questo caso andrà ad aggiungersi a quelli mai risolti, appena se ne rende conto il Giudice chiude tutto, morte naturale e buonanotte ai suonatori» disse a se stesso a voce alta. Mussini entrò nell’ufficio del maresciallo come se avesse trovato un ago in un pagliaio.
26 «Maresciallo, ho saputo che in una delle villette accanto a quella del Corsi ci sta una signora particolare.» «Particolare? Spiegati meglio.» «Sì maresciallo, è una signora sulla sessantina. Ne dimostra quaranta e tiene compagnia ai pensionati.» «Tiene compagnia o fa la prostituta?» «La seconda.» «Capito. Cerca di prendere un appuntamento con lei come se fossi un cliente, quando ti tocca ci vai in borghese e fai il tuo lavoro.» «C’è un problema: è lei ad andare a casa dei clienti. Come faccio?» La questione c’era, come fare? Al maresciallo però venne subito in mente come risolvere il problema. «Fai così, te ne vai a casa di Sandri e lo fai prendere a lui l’appuntamento.» «E perché quello strozzino dovrebbe aiutarmi?» «Beh, ti ha già dato l’informazione, forse è già cliente. Non sarà difficile, vedrai.» Mussini spalancò la bocca per la meraviglia. «Mussini, credi davvero che non avessi capito chi ti aveva dato quella informazione? Ahi, ahi, me lo dicevano da bambino “sei nato carabiniere”, e me lo dicevano per offendere, mica come complimento.» Lo diceva anche Sciascia: c’è chi nasce prete, chi nasce sbirro e chi nasce spia. Al binario tre c’era solo lui. Quando Maurizio scese dal treno si salutarono come amici, non come amanti. «Ma dimmi» esordì Maurizio appena salito sulla Musa, «sono stato bravo a fare la parte l’altro giorno?» «Eccome! Appena ti hanno sentito al 113 mentre ti esibivi come “superpazza” hanno subito passato la palla al Comando. Quella è
27 la nostra zona e a loro non andava di perdere tempo perché a una checca erano venuti i cinque minuti.» «Mi fa piacere. Ricordati che mi devi un favore. Ora sbrigati, non vedo l’ora di essere a casa tua.» FINE ANTEPRIMA. Continua...