In uscita il 31/1/2019 (15,90 euro) Versione ebook in uscita tra fine gennaio e inizio febbraio 2019 (6,99 euro)
AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.
EMANUELA SCOTTI
CIARLI E LE DODICI ERE
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/
CIARLI E LE DODICI ERE Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-270-6 Copertina: immagine Shutterstock.com
Prima edizione Gennaio 2019 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Un grazie speciale a Roberta, per i suoi consigli e l’incoraggiamento.
Â
5
I. LA LETTERA
Ciarly fece scivolare fra le dita la carta della busta. Era ingiallita come se la nonna avesse scritto quella lettera molti anni prima, anziché pochi giorni prima della sua morte, come indicava la data riportata sulla busta. Le voci basse di parenti e conoscenti, che sfilavano uno dietro l’altro per biascicare parole di cordoglio a lei e ai suoi genitori, le risuonavano ancora nella mente. Sentiva ancora un senso di vuoto attanagliarla. Lo stesso di quando aveva percorso i viali della fattoria con la consapevolezza che non ci sarebbe stata la nonna né ad accoglierla, né a brontolare per qualche disgrazia avvenuta a ortaggi, cereali, frutteti, o per le stagioni che non erano più quelle di una volta. Perchè per Rebecca Nizzo nulla andava bene se il raccolto non era florido. Ciarly sorrise a quei pensieri e si decise ad aprire la busta che aveva trovato sul letto. Un foglio di carta, ingiallito come la busta, fece capolino dal suo interno. Lo aprì. La calligrafia della nonna aveva un che di medievale, le mancava solo un capolettera incorniciato da intricate miniature per assomigliare di più agli antichi testi conservati nel museo di Clonakilty. La osservò, ricordando l’espressione concentrata che la nonna assumeva quando scriveva anche un semplice biglietto della spesa, cosa che Ciarly aveva trovato sempre molto affascinate e misteriosa. Lesse il breve messaggio più volte e sbatté le palpebre perplessa. Sembrava una filastrocca, un indovinello o qualcosa del genere e rimase a guardare il foglio confusa. La nonna era anziana, ma era perfettamente lucida. Perciò, che senso avevano quelle poche righe? Ci si entra e si esce, come dai ricordi. Non è qui, non è là, ma un po’ dappertutto. Non ci si muove da esso, eppure stando in esso si può viaggiare, ammirare e sognare. Non c’è verso di non frugare. Fra i suoi cumuli giace il tuo destino.
6
Ciarly batté ancora le palpebre. Continuava a leggere il messaggio ma non riusciva a trovare un senso. Forse la nonna era stata colta da qualche forma di demenza? Magari non vivendo con lei non se n’erano accorti, forse l’avevano sempre vista nei momenti di lucidità. Era così che funzionavano quelle cose, no? Momenti di lucidità, alternati a momenti di confusione. La voce di sua madre giunse dal piano inferiore. Ciarly ripose la lettera nel cassetto del comò e scese. I suoi parenti dovevano essere arrivati alla spicciolata mentre lei sistemava le sue cose in camera. Se ne stavano attorno al tavolo, fissandola con l’aria di chi si chiedeva perché ci mettesse tanto tempo. Ciarly pensò di metterci ancora più flemma, rallentando ulteriormente l’andatura, ma poi decise che era meglio non rompere il silenzio quieto della cascina con un secco richiamo della madre. Un paio di occhi azzurri, dall’iride circondata da un alone violetto, la fissarono da sotto il tavolo. «Ciarly!» esclamò Kim, sbucando fuori dal suo nascondiglio e correndo verso di lei. «Ciao Kim» le disse Ciarly sorridendo, mentre la cuginetta fermava la sua corsa abbracciandosi alle sue gambe. «Presa» annunciò Kim, strappandole un nuovo sorriso. «Sicura che non sia io ad aver preso te?» le chiese con gentilezza. Kim fece cenno di no, con aria molto convinta. «Sicura?» chiese Ciarly, sollevandola dal suolo e strappandole un urlo acuto, seguito dal suono cristallino della risata. «Non vale» protestò la bambina, aggrappandosi al collo della cugina «mangi vicino a me» sentenziò con un tono che non ammetteva repliche, sempre che non ci si volesse imbattere in una serie infinita di piagnistei. Ciarly vide due sedie vuote e vi si diresse, incontrando gli occhi verdi di un enorme gatto grigio, acciambellato su una delle due, che sembravano dire “Sì? Non vorrai mica che mi sposti da qui?”. «Mi dispiace Don, ma devi scendere» disse Ciarly, facendo cenno di voler posare Kim su una sedia e provocando la fuga di Don su di un’altra «vieni palla di pelo» disse prendendo il gatto in braccio per potersi sedere. Quasi all’istante il ron ron dell’animale prese a vibrare nel silenzio cupo che aleggiava nella stanza. Intanto la mamma e zia Rosy scortavano lo zio Tom e lo zio Mark, che reggevano un grosso padellone, da cui veniva il profumo invitante della polenta, con salsa di pomodoro alle spezie e verdura al forno. L’odore piccante del pepe le solleticò le narici, mentre sprofondava le dita
7 nel morbido pelo di Don, grattandolo dietro le orecchie con somma soddisfazione del felino. La zia Rosy le lanciò un’occhiataccia trovando da ridire sulla presenza di Don, ma fu distratta dalle manovre dei due uomini. «Attenzione» annunciò zio Mark, mentre insieme allo zio Tom sollevava il pentolone per posarlo sul poggia pentola a centro tavola. Un denso vapore si sprigionò, raggiungendo le narici di tutti gli astanti con il profumo invitante delle spezie. «A me» disse Kim, porgendo il piatto e venendo accontentata con un mestolone straripante. Ciarly affondò la forchetta nella densa polpa di un pezzo di zucca e assaporò il sapore delicato e invitante che le spezie le conferivano. A dire la verità a lei le verdure piacevano anche con un filo d’olio e un pizzico di sale, ma doveva ammettere che quell’accoppiata non era niente male. Attorno a lei aleggiava un silenzio in cui perfino il trillo degli uccelli sembrava assordante. “Mamma mia, c’è più vita in un cimitero”, pensò Ciarly affrettandosi a finire il suo pasto per potersela svignare all’esterno, nell’aria fresca e ristoratrice della campagna. Kim doveva essere della sua stessa idea, a giudicare da come ingurgitava la sua porzione, senza nemmeno chiedere del dolce. «Finito. Posso andare fuori con Ciarly?» annunciò infatti la bambina, dopo aver perfino lustrato il suo piatto con un pezzo di pane. «Certo Kim, andate pure» disse zia Melissa. Ciarly depositò dolcemente Don a terra e si avviò verso la cucina, tenendo Kim con una mano e reggendo i loro due piatti con l’altra. Come se il loro allontanarsi fosse stato un segnale prestabilito, le voci avevano preso ad aleggiare sommesse nella sala. Ciarly posò piatti e bicchieri nel lavello della cucina e si lasciò alle spalle i discorsi degli adulti, uscendo nell’aria tersa e gelida dell’inverno. Kim si precipitò nella neve, facendovi sprofondare gli stivaletti invernali decorati da una striscia di pile, che correva lungo il lato esterno della scarpa e sul collo dello stivale. Un bordino uguale decorava il cappuccio della giacca rossa, che faceva risaltare Kim sul manto bianco. Anche Ciarly ignorò i vialetti per regalarsi il suono leggero e frizzante della neve sotto i suoi passi. Le piaceva la neve, riusciva sempre a generare in lei un senso di gioia e spensieratezza. Anche in quel momento Ciarly provava l’impulso di mettersi a correre nel bianco manto, come Kim stava già facendo.
8 Chi era la ragazza di sedici anni che doveva badare alla bambina? Non lei, sentenziò Ciarly. «Chi arriva ultima è una secchiona» disse, lanciandosi sul manto nevoso con un gran sorriso che le si dipingeva sul volto. «Non vale, aspettami» protestò Kim, precipitandosi verso la cugina. Si lasciarono cadere sulla neve col fiato che si librava in cristalline nuvolette di vapore sopra di loro. «Prima» disse Kim, non appena ebbe ripreso fiato. Ciarly non obbiettò, e rimase a fissare il cielo terso e immacolato che si estendeva sopra di loro. Una vacca sollevò il muso dalla mangiatoia per guardarle con aria perplessa. Ciarly si chiedeva se le vacche della fattoria sapessero di essere immensamente più fortunate di tutti i loro simili allevati dagli umani. Non sarebbero mai state stipate in una stalla sporca e buia, ingozzate di mangimi e pigiate su un camion per un viaggio infernale verso i macelli. Nessuno avrebbe mai strappato loro i figli per attaccarle a una macchina mungitrice e sottrarre il latte, in realtà destinato al loro piccolo. L’unica cosa che dovevano alla fattoria era lo sterco, usato per produrre il concime organico per i campi. Di quello le vacche non se ne facevano niente, se i bipedi volevano prenderselo, che facessero pure. Il suono ovattato degli zoccoli di un cavallo attirò la loro attenzione su un gigante dal manto nero, accompagnato da un uomo anziano, il cui volto rugoso e scavato dalle intemperie si accese di un caldo sorriso alla loro vista. «Airan» disse Kim, alzandosi all’istante e andando ad abbracciare una delle zampe del Clydesdale. «Ciao Norton» salutò Ciarly, alzandosi anche lei e scrollandosi i residui di neve dal completo da sci. Lo sbuffo di un cavallo la portò a intercettare il viso spruzzato di lentiggini di una ragazza dal fisico asciutto e i capelli rossi raccolti in una treccia «ciao Mary» disse rivolta a lei. «Ciao Ciarly» la salutarono i due nuovi arrivati, mentre lo sguardo paterno di Norton si posava su Kim, ancora abbracciata alla zampa del grande cavallo. «Pensate di poter portare Kimberly e Fox nel pascolo ai piedi del colle?» chiese Norton, facendo accendere un lampo negli occhi di Kim che subito rispose: «Io prendo Kimberly» allontanandosi poi dai cavalli e avviandosi a passo svelto lungo il viale, dove si mise a correre solo quando fu abbastanza lontana da non spaventare gli animali. «Ma se è più grossa di te» disse Mary, sorridendo mentre Ciarly li salutava con un cenno e si avviava anche lei verso i paddock.
9 Al risuonare dei loro passi, una cavalla nera alzò il collo, fissandole da dietro i vaporosi boccoli che le scendevano sulla fronte. Kimberly le osservò solo per un attimo, poi si avviò al piccolo trotto, facendo ondeggiare con eleganza le ciocche del fitto ciuffo di peli che le avvolgevano le zampe dal garretto in giù. Andrò dritta verso il punto in cui la sua cavezza pendeva dal muro del ricovero, si fermò proprio lì davanti e si voltò a fissarle. Ciarly sorrise. Chi sosteneva che gli animali non fossero intelligenti, non sapeva di essere l’unico a difettare di quella qualità. Entrò nel recinto, cercando con lo sguardo il pony islandese. Lo trovò intento a rotolarsi per terra, mentre si grattava la schiena contro il terreno, con evidente soddisfazione. «Il messaggio sarebbe che ti dovrei pulire?» gli chiese Ciarly incrociando le braccia e fissandolo, strappando così un’espressione assolutamente angelica ai liquidi occhi del pony. Poi scosse il capo sorridendo e si diresse verso la cavezza del pony che pendeva ancora dal suo gancio. Non ebbe bisogno di tornare indietro a prenderlo, le strofinò il muso contro la gamba molto prima che Ciarly facesse in tempo a togliere la cavezza dal gancio che la sorreggeva. «Ehi, piano. Mi sradichi la gamba» disse scherzosamente al pony dall’irsuto pelo sauro. Fox fece guizzare le orecchie e sembrò improvvisamente interessatissimo alla neve calpestata che ricopriva il terreno. Ciarly gli allungò una mano con il palmo rivolto verso l’alto, gli infilò la cavezza e gli accarezzò il muso. «Ciarly» disse Kim, attirando l’attenzione della cugina su di sé «perché la nonna aveva tanti cavalli ma nemmeno una sella?» le chiese. Ciarly esitò un istante. Forse la risposta era un po’ troppo dura per Kim ma decise che, se avesse evitato i dettagli, Kim l’avrebbe potuta anche metabolizzare. «Perché per i cavalli non è naturale essere cavalcati. Vengono convinti con la forza a farlo e ai nonni non piaceva proprio l’idea.» «Vuoi dire che li picchiano?» chiese Kim, sgranando gli occhi. Frustate, privazione di cibo, lesioni alle gengive con il morso… di schifezze ai cavalli se ne facevano tante, ma Ciarly si limitò ad annuire, mantenendo fede alla sua decisione di non scendere nei dettagli. «Ma non si può fare senza picchiarli?» chiese Kim. Ciarly ci pensò un po’ su. «Immagino che con molta pazienza, seguendo il puledro fin da piccolo, forse glielo si potrebbe insegnare attraverso il gioco. Ma non sono così sicura che ci si possa riuscire e comunque con la forza ci vuole meno tempo
10 e si riesce a piegare anche il cavallo più nervoso e ribelle. Perciò la maggior parte degli addestratori la usa.» Kim divenne pensierosa. «Però il nonno ci andava a cavallo. C’è una foto nell’album a casa» disse, riferendosi sicuramente a qualche album in casa di zia Melissa e zio Mark, perché il nonno aveva eliminato qualsiasi foto dalla cascina. «Perché suo padre l’aveva arruolato in cavalleria, non poteva fare altrimenti. Ma quando tornò a casa, non rimise più il piede in una staffa e non appoggiò nessuno della famiglia che volesse farlo» le spiegò. «Allora non voglio andarci nemmeno io a cavallo» sentenziò Kim dopo un istante di silenzio, allungando una mano per accarezzare la cavalla «però, se non li voleva montare, perché li comprava?» chiese ancora, voltandosi. «Non li ha comprati, adottava quelli che venivano sequestrati a chi li maltrattava» le disse Ciarly, incominciando a chiedersi se avesse dato a Kim un mattone troppo pesante da digerire. «E hanno picchiato anche Kimberly?» le chiese, osservandola spazzolare il manto di Fox. «Anche se nel posto in cui c’era la sua mamma non la tenevano bene, lei è nata qui. Non è mai stata addestrata» disse Ciarly scuotendo la testa. «Ma come c’è arrivata qui se prima non c’era?» chiese Kim. «Era dentro la pancia della mamma» Ciarly sorrise. Kim si rabbuiò. «Però a me non convince il fatto che i bambini stiano dentro la pancia della mamma, sono troppo grandi. Come fanno a starci?» chiese, fissando la cavalla per cercare di capire come una creatura così grande potesse stare dentro la pancia della madre. «Perché sono molto più piccoli quando nascono» le disse Ciarly, strappando un’espressione poco convinta a Kim. «Ma io sono già piccola!» esclamò. «E quando sei nata eri piccola così» Ciarly indicò la misura con le mani. «Sul serio?» Kim sgranò gli occhi. «Ci sono le foto negli album a provarlo» Ciarly annuì. «Vuoi dire che quella cosa tutta nuda con il pannolino sono io?» chiese scandalizzata. «Temo di sì, Kim» Ciarly rise. «Vado a dire a mamma di farle sparire» disse Kim, avviandosi con la cavalla verso il cancello del paddock. «Senza Kimberly però, Kim» le disse Ciarly, osservandola allontanarsi lungo il sentiero.
11
I parenti se ne andarono dopo il dolce, lasciando che la cascina tornasse al suo quieto silenzio. «Ci vediamo martedì per la lettura del testamento» fu l’ultima cosa che la mamma disse a zia Melissa, che si allontanò tirandosi dietro un’imbronciata Kim. «Ma perché non posso portare un’ultima carota ai cavalli?» protestò Kim. «È tardi» rispose secca zia Melissa. «Ma se non sono neanche le quattro» obiettò Kim. «È inverno, Kim. Presto sarà buio e a tuo padre non piace guidare con il buio.» «Andiamo Kim» la chiamò zio Mark. «Sì ma tutte le volte che mamma decide di andare via ci rimetto sempre io» sbottò Kim, strappando una risata a Ciarly, prima che la mamma chiudesse la porta, rendendo la conversazione proveniente dall’esterno distorta e incomprensibile. «Che bolle in pentola?» chiese Ciarly, inchiodando i suoi genitori con uno sguardo che non ammetteva risposte evasive. Dario e Tara si lanciarono un’occhiata, come per decidere a chi dei due toccasse la patata bollente. «Sai com’è, quando ci sono di mezzo i soldi» disse infine Dario, mentre entrambi si avviavano al tavolo per rimuovere gli ultimi rimasugli del pranzo. «Si finisce con il litigare anche fra amici» continuò la madre, sollevando un sottobicchiere dal tavolo. “Se si è veri amici non succede” pensò Ciarly, ma si guardò bene dall’interrompere il discorso dando ai suoi una scappatoia. «Comunque c’è poco da discutere, finché non sarà letto il testamento, niente è ancora davvero nostro» disse la mamma. «Zia Melissa vuole vendere la fattoria?» chiese Ciarly, lasciando i suoi immobili e silenziosi per un istante. Tara sospirò, Ciarly non era più una bambina ed era stato sciocco pensare che non ci sarebbe arrivata da sola. «Sai com’è fatta Melissa, non vuole correre pericoli e rischiare di indebitarsi per un’annata poco piovosa o un’invasione di parassiti… la cosa non la entusiasma» le disse. «Ma i cavalli e le vacche che fine faranno?» chiese Ciarly angosciata. Rischiare di dire addio alla fattoria era già brutto, ma pensare a cosa sarebbe successo a tutti gli animali che erano stati salvati e accuditi dai nonni, era ancora peggio. Non era così facile trovare una sistemazione adeguata a loro.
12 «Ci penso anch’io Ciarly, davvero. Ma non essere l’unica erede rende tutto più complicato» disse Tara. Ciarly chinò il capo, raccattando la tovaglia dalla tavola. Sapeva che la mamma era davvero preoccupata e si stava scervellando per trovare una soluzione, ma la rabbia e la frustrazione le montavano lo stesso dentro. Avrebbe tanto voluto prendere a calci zia Melissa. Come poteva pensare di vendere la casa in cui era cresciuta? E a Kimberly e agli altri animali non pensava? L’alba sorse pigra, fendendo le nubi che ammantavano l’orizzonte e strisciando lentamente con i suoi raggi sui muri della casa. Il trillo di un pettirosso regalò lo sguardo di Ciarly alla stanza in penombra. Si stiracchiò sbadigliando e s’infilò le ciabatte prima di scivolare verso la finestra. Aprì le ante in legno interne e strinse gli occhi alla luce del giorno, che si riversò nella stanza attraverso la finestra. I contorni del paesaggio invernale si delinearono lentamente mentre i suoi occhi si adattavano alla luce, individuando lo sguardo vigile e sbarazzino della sua sveglia che la osservavano dai rami di un albero. «Buongiorno» disse Ciarly, portandosi una mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio, mentre il pettirosso, allarmato dal suo movimento, prendeva a saltellare di ramo in ramo senza mai perderla di vista. Ciarly sorrise, allungando una mano verso il sacchetto di becchime, che si trovava sulla scaffalatura sotto la finestra, e la aprì quel tanto che bastava per rovesciarne un poco sul davanzale. Non appena l’ebbe richiusa, il pettirosso planò sul davanzale, prendendo a beccare con assoluta dedizione il misto di semi e ignorando completamente la presenza di Ciarly, che se ne stava lì a fissarlo con il mento appoggiato alle mani e il suo respiro che appannava il vetro. I loro sguardi si incrociarono quando, dopo un’accurata perlustrazione del davanzale, il pettirosso si fu convinto che non fosse disponibile altro cibo. La fissò solo un istante e poi fece frullare le ali, svanendo nel cielo. Ciarly tese l’udito per cogliere i rumori che provenivano dal piano di sotto, dove sua mamma e suo papà stavano già trafficando in cucina. «Ciao» disse Ciarly, entrando nella stanza dove aleggiava il profumo dei biscotti appena sfornati. La mamma da subito brontolò qualcosa a proposito del fatto che il forno cuocesse più a destra che a sinistra, poi sembrò accorgersi all’improvviso della sua presenza:
13 «Oh, Ciarly. Ben alzata. La colazione è già in tavola» disse indicando con un cenno del capo il lungo tavolo rustico da cui proveniva l’odore dei biscotti alla cannella. «Se non avete bisogno di me, pensavo di dare una mano in fattoria» disse Ciarly, addentando un biscotto. Norton l’accolse con un sorriso all’interno del vecchio fienile. «Buongiorno Ciarly, sei mattiniera oggi.» «Tutto merito di un pettirosso particolarmente zelante…» disse Ciarly sorridendo «posso essere d’aiuto?» chiese. «Se aiuti Alison a distribuire il fieno, io vado a occuparmi dei silos» le rispose Norton. Ciarly si avvicinò alla pulsantiera del nastro trasportatore e lo avviò, liberando nell’aria il ronzio del macchinario che trasportava le pesanti balle da e verso il fienile, togliendo un bel po’ di lavoro al personale della fattoria. Suo nonno le mostrò il funzionamento del macchinario dieci anni prima. «Tutta forza e tempo risparmiati per gli altri lavori» le aveva detto lui. «Se continua così» aveva detto la nonna, mentre osservava Ciarly apprendere con sicurezza e rapidità l’uso della pulsantiera «potremmo andare in pensione prima del tempo.» Il nonno aveva riso e nemmeno il tempo era riuscito a offuscare il suono caldo e pieno di quella risata. Duo orette dopo, quando ebbe finito di foraggiare gli animali, Ciarly tornò a casa e trovò Mary nella veranda intenta a riparare le coperte dei cavalli, ma con lo sguardo perso sulla distesa di campi innevati. «Sembra di essere in un altro tempo. Non sembra che le macchine e tutto quel caos là fuori esistano per davvero» disse Mary, strappando un lampo stupito allo sguardo di Ciarly. Com’è che diceva la lettera della nonna? “Non ci si muove da esso, eppure stando in esso si può viaggiare…”. La cascina era un luogo in cui si poteva immaginare di essere in un altro tempo e viaggiare con la fantasia. Però non c’erano cumuli in cui cercare, a parte le balle di fieno, ma dubitava che frugando fra esse avrebbe trovato il suo destino. E poi non si poteva entrare e uscire dalle balle di fieno! Si entrava e si usciva dalla fattoria o da una stanza… Improvvisamente le tornò in mente la voce di sua madre che la rimproverava quando rovistava tra i bauli: «Ciarly smettila di frugare in quei bauli!»
14 «Ma il re dei folletti ci ha nascosto il libro delle fate» aveva affermato con convinzione, un’impolverata Ciarly. La mamma aveva sospirato. «Ciarly ti assicuro che questa soffitta non ha mai visto un folletto in vita sua e ora datti una ripulita e scendi, il pranzo è pronto.» …Non c’è verso di non frugare… La soffitta! Ciarly quasi sobbalzò a quel pensiero improvviso che le aveva attraversato la mente. Era impossibile non frugare incuriositi in una soffitta. I vecchi oggetti impolverati rievocavano sempre ricordi lontani e stimolavano la fantasia. In quel luogo c’erano mucchi di oggetti vecchi e meno vecchi in cui frugare! Ciarly salutò Mary e rientrò in casa. Diede un’occhiata intorno per controllare che non ci fosse nessuno e corse su per le scale due gradini alla volta, salendo al secondo piano della cascina. La porta in legno la occhieggiava dalla cima della scala. Nel silenzio poteva avvertire il battito del suo cuore, dapprima frenetico per la corsa, rallentare poi gradualmente per l’innaturale calma che si stava impossessando di lei. Salì i gradini lentamente, senza staccare gli occhi dalla porta, quasi ci fosse una forza che l’attraeva e al tempo stesso la respingeva. Raggiunse l’ultimo gradino e abbassò lentamente la maniglia. La vecchia porta si aprì, scivolando sui cardini silenziosamente. Un refolo d’aria fredda si intrufolò nella casa con il suo sentore di polvere attraverso lo spiraglio aperto verso un baratro d’ombra. Ogni sorta d’oggetto emergeva a tratti dai cumuli nascosti nell’ombra, colpito dai fasci di luce che penetravano fra le tegole sconnesse del tetto. Ciarly cercò a tentoni il candelabro e una scatola di fiammiferi, appoggiati vicino allo stipite della porta e la luce della fiamma regalò ai disordinati ammassi di oggetti contorni sfumati nella penombra. Se ne potevano intuire le forme ma, specie per quelli sconosciuti, troppo aggrovigliati fra loro o coperti da teli, tutto era lasciato alla fantasia. Ciarly sentì la familiare stretta alla bocca dello stomaco che quel luogo ammantato di mistero e silenzio le trasmetteva. Era un dedalo confuso di oggetti, capaci di evocare ricordi o fantasie con la loro sola, incerta, presenza. Un cappello appeso a un vecchio appendiabiti poteva diventare l’elmo di una creatura misteriosa e imponete, che vigilava dall’ombra sui cumuli di un antico tesoro o sull’intrico di vegetazione di una foresta misteriosa. Nemmeno la luce delle candele riusciva a strappare del tutto quel velo di mistero da quegli oggetti.
15 Per quanto ne sapeva Ciarly, in quel momento un branco di Troll se ne stava in agguato dietro a quei cumuli. Scacciò con un sorriso quella fantasia da bambina e il timore che riusciva ancora a incuterle. «Nessun Troll in agguato» le confermò la voce della nonna, riemergendo dagli abissi dei ricordi «le fate li sistemeranno per le feste se solo s’azzardano a fare vedere il loro brutto muso» aveva detto con aria assolutamente seria a una Ciarly bloccata sulla soglia e dall’aria titubante. Che cosa le diceva sulle fate? Che nascondevano i loro tesori fra i vecchi oggetti? Fece un passo in avanti, immergendosi fra i cumuli disordinati, con la netta sensazione che la porta si sarebbe chiusa con un tonfo alle sue spalle. Ovviamente tutto restò silenzioso e sorrise a se stessa. “Forse sto impazzendo”, pensò mentre la mente le proponeva immagini di piccoli visi e movimenti furtivi fra i cumuli. Allungò una mano verso la tromba in ottone di un grammofono, che emergeva fra tre bauli, come un sole sorgente o la sommità di un antico scudo. Ciarly ne allontanò il velo di polvere e ragnatele che lo avvolgeva e la lucida superficie le restituì un’immagine distorta del suo corpo, innaturalmente allungato e sottile. “La tana del Re delle fate, dove niente è ciò che sembra”, pensò sorridendo. «Va bene vecchio intrigone, vediamo se riesco a trovare il libro delle fate» disse, rievocando con un sorriso il misto fra Winx e vecchie leggende irlandesi, che erano i suoi giochi da bambina. Sapeva davvero cosa stava cercando? Non esattamente, ma quel posto assomigliava molto a quello descritto nell’indovinello della nonna. Ciarly fece frusciare una vecchia risma di carta appoggiata sul ripiano di uno scrittoio. Era stranamente simile a quella usata per scrivere la lettera, anche le buste erano identiche e la filigrana sembrava molto simile. Una stilografica dal pennino in lucido metallo era appoggiata sul ripiano accanto al calamaio di vetro, quasi lo scrittoio aspettasse il ritorno del suo proprietario da un momento all’altro. Aprì i cassetti, rivelando vecchi ritagli di giornale ingialliti, altra carta da lettere e boccette d’inchiostro ormai secco. Una coppia di squadre, un righello e un compasso completavano il kit per la scrittura. Uno specchio strappò una scintilla alla fiamma, attirando l’attenzione di Ciarly sull’ovale in legno decorato che lo racchiudeva in un mobile per il trucco. Appoggiò il candelabro sul ripiano del mobile e aprì uno per uno i numerosi cassetti, senza trovarvi qualcosa di più di due vecchi pennelli e una spazzola. Niente che le sembrasse fondamentale per il suo destino.
16 “Cosa diceva esattamente la lettera?” si chiese Ciarly, cercando di ricordare le poche righe vergate sulla carta ingiallita: Ci si entra e si esce, come dai ricordi. Non è qui, non è là, ma un po’ dappertutto. Non ci si muove da esso, eppure stando in esso si può viaggiare, ammirare e sognare. Non c’è verso di non frugare. Fra i suoi cumuli giace il tuo destino. Nessuna indicazione precisa, quindi, su che cosa dovesse cercare? Colta da un pensiero improvviso, recuperò una scatola di matite colorate che emergeva da un baule e tornò allo scrittoio, passando una matita sul primo foglio. I solchi delle lettere riemersero dagli abissi del tempo, ma le parole che ne scaturirono riguardavano una controversia su una derrata agricola del 1982. Sorrise. Che si aspettava di trovare? La brutta della lettera, magari con qualche indicazione in più? “Stai ammattendo” pensò Ciarly. Si girò per prendere il candeliere e andarsene, ma in quell’istante la sua ombra si spezzò sul contorno di qualcosa che emergeva da dietro il mobile per il trucco. Un lenzuolo copriva la sagoma arrotondata di un baule. Ciarly aggirò il mobile e sollevò il lenzuolo, rivelando un baule in legno inciso con rappresentazioni di uccelli e piante. «Questo non è il baule dove cercavo il libro delle fate quel giorno?» si chiese, fissando la fenice che la guardava dal coperchio. Rimosse completamente il lenzuolo, provocando un rumore metallico che attirò il suo sguardo su un cumulo di oggetti davanti a sé. Una scatola di metallo le restituì il bagliore della fiamma delle candele, ammaliandola con le eteree incisioni di ballerine in vesti fluttuanti che danzavano sospese nell’aria di una foresta dall’improbabile e fantastica vegetazione. I lineamenti dei loro corpi erano appena intuibili, tanto che solo gli svolazzi delle vesti e dei lunghi capelli sembravano dar loro forma. “E quella da dove spunta?” si chiese, fissando perplessa la strana scatola incastonata fra oggetti impolverati ma ancora lucida e immacolata. Non ricordava di averla mai vista. Allungò le mani verso la scatola, scoprendo che la maggior parte era immersa nell’ombra. Dovette tastarla con le dita per trovarne i bordi e si ritrovò a estrarre quello che aveva le dimensioni di un piccolo baule. Sollevò lo scrigno sostenendolo con entrambe le braccia e lo posò con delicatezza sul pavimento. Fissò incantata l’intricato disegno del coperchio, da cui la osservava la figura imponente e maestosa di un
17 unicorno alato. Era così realistico che non osava sfiorarlo. Sembrava pronto a balzare fuori dall’intrico di fiori e foglie che lo circondavano e non era convinta che quella creatura si sarebbe sentita a suo agio nel ventunesimo secolo. Poi il suo sguardo si posò sulla serratura. Non sembrava ci fosse bisogno di una chiave. Più che altro sembrava un meccanismo a pressione, pensò sfiorando con le dita il fiore dalla vaporosa corolla che formava la parte centrale della serratura. I suoi stami e le tre grandi foglie che lo circondavano erano più in rilievo rispetto al resto e davano l’impressione di poter essere premute. “Però in che ordine?” si chiese Ciarly, rievocando frammenti d’informazione su arcani trabocchetti legati alle serrature degli antichi forzieri. Sfiorò appena il fiore con il pollice ma questo bastò a far scattare qualcosa, perché le tre foglie si ritirarono nella parete metallica del baule e un secco scatto risuonò nell’aria. Sobbalzò. Poi, come in trans, fece scivolare le sue mani sul coperchio che si alzò senza opporre resistenza, regalando a Ciarly la vista di un oggetto, insieme conosciuto e improbabile. Dall’imbottitura emergeva quella che sembrava una sfera di vetro. Ciarly la rimosse con delicatezza, scoprendo che era collegata a una base metallica insolitamente leggera per le sue dimensioni. D’improvviso un formicolio si estese a partire dalle dita delle mani per tutto il suo corpo, come se una scossa elettrica la attraversasse. Fu solo un istante. Ciarly sbatté le palpebre perplessa. Si sentiva stordita. Adesso aveva la strana sensazione di sapere cosa fosse, ma di non riuscire a ripescare quell’informazione nella sua memoria. Fissò l’oggetto, in cerca di indizi. Anche lì le figure di creature e piante improbabili la decoravano, mentre la sfera era un baratro di liquida trasparenza. Non c’erano incisioni sulla sua superficie né nulla all’interno. Sembrava quasi la versione più elaborata di una di quelle sfere con la neve di polistirolo dentro che, se agitate, rovesciano una finta nevicata sul paesaggio o personaggio in miniatura al loro interno, ma non c’erano oggetti dentro la sfera.
18
II. LA SFERA DI CRISTALLO
Ciarly scrutò perplessa lo strano oggetto. Tastò con le dita ogni millimetro della base, alla ricerca di qualche interruttore a pressione. Lo rovesciò, esaminandone il fondo liscio e lo scosse, ma nessun cambiamento avvenne nell’oggetto. Lo appoggiò sul pavimento, fissandolo senza riuscire a raccapezzarsi. Che sorta di oggetto le aveva fatto trovare la nonna? E perché c’era voluto un sotterfugio per farglielo trovare? Non poteva lasciarlo nella sua stanza, esattamente come aveva fatto per la lettera? Perché nascondere una cosa che, apparentemente, non serviva a nulla? Ciarly chiuse gli occhi per cercare di frenare il vortice di domande che le attraversava la mente. Posò la sfera a terra ed esaminò nuovamente il baule, rovesciandolo per scrutarne il fondo perfettamente liscio e privo d’iscrizioni o immagini, esattamente come quello della base della sfera. Poi raddrizzò il baule e sondò con le dita l’imbottitura, ma non le sembrò che ci fosse nulla al suo interno o infilato fra essa e le pareti. Il tessuto era fissato saldamente da borchie dorate, che riportavano inciso lo stesso fiore dai mille petali della serratura. Non c’era traccia d’istruzioni o indicazioni sulla natura o l’origine della sfera e Ciarly si ritrovò nuovamente ad ammirare, sconfitta, i due enigmatici oggetti. «Ciarly, che fai con quel telaio?» disse la mamma, facendola sobbalzare. Non si era accorta che fosse entrata. “Di che telaio sta parlando?” si chiese Ciarly, guardando perplessa prima la sfera e poi la madre. «Piuttosto, hai visto quella foto della nonna nella cornice dorata con gli Swarovski? Volevo usarla per la foto della lapide, ma non riesco a trovarla di sotto» disse oltrepassandola senza notare gli strani oggetti. Ciarly scosse il capo, mentre la guardava scrutare nei cassetti del mobile per il trucco. Possibile che non avesse visto la sfera e il baule? «No, mi dispiace» rispose, riponendo la sfera nel baule e coprendolo con il lenzuolo «ti do una mano» si ricordò che doveva esserci un baule pieno di vecchi album fotografici da qualche parte. Ci aveva ficcato le mani due o tre volte da piccola ma ora non riusciva a rammentare esattamente dove…
19 All’improvviso un movimento attirò la sua attenzione, o così le sembrò, poiché l’oggetto su cui posò lo sguardo era assolutamente inanimato. Un fiore stilizzato, dai petali cristallini e le foglie d’argento l’attirò con i suoi riflessi dai colori dell’arcobaleno. Ciarly fece un passo verso il comò, prendendo la cornice e rimuovendone un leggero strato di polvere per ritrovarsi a fissare, con una stretta al cuore, il volto familiare della nonna. Sedeva su una panca di pietra nel giardino e fissava l’obiettivo con l’aria di chi si chiedeva perché le facessero sprecare tempo per una cosa così inutile. «Questa?» chiese Ciarly, ricacciando indietro le lacrime e mostrando la foto alla madre. «Oh! Eccola lì» rispose la donna «chissà poi perché l’ha nascosta quassù» continuò, prendendo la foto e rimuovendo ancora un po’ di polvere, come per togliersi gli ultimi dubbi che fosse proprio quella che stava cercando. «Perfetto, allora la do a papà perché la scannerizzi e la mandi al marmista» disse ripulendola con un lembo della felpa «mi daresti una mano per il pranzo?» chiese, dopo essersi guardata attorno come per sincerarsi di non avere nient’altro da fare in quel luogo. Ciarly annuì. «Scendo subito» disse, guardando la madre allontanarsi. Possibile che non avesse notato la sfera? Comunque era meglio portarla in camera sua; se avesse incominciato a passare il suo tempo in soffitta, i suoi l’avrebbero trovato strano. Lo sguardo di Dario si sollevò dal monitor del portatile appoggiato sul tavolo della sala, per posarsi su Ciarly e il suo carico: «Ti dai alla tessitura?» chiese. «Più o meno» fu la risposta evasiva di Ciarly mentre passava oltre, sotto lo sguardo perplesso del padre che si chiedeva cosa poteva farci Ciarly con un telaio. Ciarly osservò il baule coperto da un panno. Non solo gli altri non sembravano vedere la sua vera forma, ma la scambiavano tutti per la stessa cosa: un telaio. “Meglio, sarà più facile nasconderla”, pensò mentre raggiungeva la sua camera. «Che razza di strano oggetto sei tu?» chiese alla sfera, appoggiandola sul tavolo della sua camera. La sfera trasparente rimase immutabile e Ciarly scosse il capo, poggiando il baule proprio accanto a essa. «Un telaio, eh?» disse «e va bene, reggiamo la recita» continuò, avviandosi verso l’armadio e frugando nei cassetti. Dovevano esserci dei gomitoli di filo di cotone da qualche parte, rimasugli del tentativo della nonna di insegnarle a ricamare, che si era risolto in un nulla di fatto. Frugò fra le
20 vecchie magliette di quando era piccola e incontrò la massa morbida dei gomitoli in un sacchetto nascosto sotto una maglietta. Ne estrasse le matasse colorate e le ripose davanti alla sfera, quasi avesse davvero intenzione di mettersi a imbastire un arazzo o un tessuto di qualche tipo. Scese nella cucina, da cui provenivano le voci della mamma e del papà e il borbottio di una pentola. «Che fai ma’?» chiese, adocchiando gli oggetti disseminati sul tavolo, per cercare di capire cosa volesse preparare sua madre e, di conseguenza, cosa potesse fare per aiutarla. Tara la fissò di sopra la spalla, facendo mente locale: «Puoi preparare l’insalata?» chiese, strappando un cenno d’assenso a Ciarly «c’è bisogno che venga anche tu martedì» le disse poi all’improvviso, riportando l’attenzione di Ciarly su di sé. “Perché, che succede martedì?”, si chiese Ciarly fissando la mamma un po’ perplessa, mentre le tornava vagamente in mente uno stralcio di conversazione del giorno prima. «Alle sedici dobbiamo andare dal notaio» spiegò la mamma mentre pestava il basilico. «Perché? Non ereditate solo tu e zia?» chiese Ciarly, battendo le palpebre perplessa. «Il notaio vuole che ci siamo tutti. Avrà i suoi buoni motivi, immagino» disse alzando le spalle. Ciarly apparecchiò il tavolo della cucina in silenzio. Il notaio era l’unico a sapere già cosa ci fosse scritto nel testamento, ma non capiva cosa avesse potuto lasciarle la nonna. Magari il libretto d’istruzioni della sfera? Ciarly sorrise, sperava solo non fosse qualcosa di strano come la sfera, perché aveva la sensazione che già quella le avrebbe dato un bel po’ di grattacapi. Era forse uno di quei disegni che bisognava guardare dalla giusta angolatura, per vedere l’immagine nascosta fra le forme geometriche? Ciarly fissò la sfera inclinando il capo, ma non accadde proprio nulla. Sfiorò di nuovo con le dita le immagini incise sulla base, cercando parti che potessero essere schiacciate, come per la serratura del baule. «Che ti aspetti di trovare, una tastiera?» le chiese ironica una voce dentro di sé. Ne dubitava, i due oggetti sembravano antichi, sebbene non avesse mai visto nulla di simile in nessun museo. Magari qualche iscrizione sì, ma non c’era nulla da fare, i lati della base e il suo fondo sembravano formare un unico blocco di metallo.
21 Non sembrava nemmeno che ci fossero saldature, come se il metallo fosse stato colato in uno stampo, formando un unico blocco rettangolare. Però in quel modo non avrebbero potuto inciderlo in rilievo. Le sembrava di ricordare che bisognasse incidere la lamina di metallo dal retro per ottenere quell’effetto, in seguito le parti venivano saldate insieme; ma gli angoli della base erano lisci e uniformi. All’improvviso si ritrovò a rastrellare tutti i brandelli di antiche leggende irlandesi che le venivano alla mente, per cercare se vi fosse qualcosa di simile. Si alzò e andò a scartabellare fra i libri sugli scaffali. Fate, maghi e troll la fissarono dal mondo dai vivaci colori rievocato dai disegni, ma non c’era proprio nulla a proposito di strani bauli e sfere. Magari in biblioteca c’era qualche libro più completo sulle saghe irlandesi, o forse al museo? Il vecchio custode era davvero un’enciclopedia vivente, anche se era molto più probabile che le raccontasse tutti i fattacci delle famiglie di Clonakilty dalla Grande guerra in poi, anziché delle antiche leggende. Poteva comunque fare un tentativo, a meno che la nonna non le avesse lasciato un oggetto tanto stravagante quanto esclusivamente decorativo. Ma quanti bauli contenenti sfere di cristallo erano visibili solo a lei e sembravano solo vecchi telai agli altri? Dubitava che quell’oggetto fosse semplicemente un falso moderno, ideato allo scopo di sembrare un oggetto antico e misterioso. Quando apriva il museo? Accese il tablet per collegarsi al sito della biblioteca e del museo. Chissà se di sabato erano aperti? “Ottimo, orario continuato” pensò, scrutando l’home page dei due siti. Scese al piano inferiore, tendendo l’udito per capire dove fossero i suoi, ma nella cascina aleggiava un silenzio quieto. Un movimento scorto con la coda dell’occhio attirò la sua attenzione fuori dalla finestra. Nel cortile antistante alla cascina suo papà e Norton stavano parlando, mentre la mamma non era in vista. S’infilò giacca e stivali e uscì nell’aria frizzante dell’inverno. «Pa’» disse attirando lo sguardo di Dario su di sé «vado in paese, torno per cena.» L’uomo le fece un cenno d’assenso. Lo sguardo di Irina Robert la raggiunse da dietro il bancone della biblioteca. «Ciarly sei tu? Il cielo mi è testimone che cresci di venti centimetri buoni a notte. Come state? Avete bisogno di qualcosa giù alla fattoria?» Ciarly sorrise alla sfilza di osservazioni e di domande che era il normale modo di comunicare di Irina. «No, signora Robert. La ringrazio, ma credo che alla fattoria potremmo cavarcela tranquillamente per cinque o sei mesi buoni. Piuttosto avrei
22 bisogno di consultare dei libri» disse, strappando un lampo attento agli occhi di Irina. «Certamente Ciarly, che cosa ti serve?» chiese Irina, con le dita già pronte sulla tastiera. «Cerco le saghe irlandesi o nordiche, più in generale libri su miti e leggende, magari qualcosa che abbia a che fare con oggetti tipo sfere di cristallo o roba del genere» buttò lì Ciarly, studiando le reazioni di Irina. Non sembrava che Irina avesse mai sentito parlare di qualcosa di simile, il che era scoraggiante perché casa Robert era una specie di succursale della biblioteca e del museo, in cui si poteva trovare praticamente ogni scritto esistente sulle vecchie leggende. Irina li aveva letti tutti ed era in grado di citarli a memoria: autore, titolo, pagina e perfino numero di riga a volte. Non trovando una rispondenza nella sua ricerca, la sua fronte si corrucciò sempre più mentre scriveva al computer. «Libri sulle vecchie leggende ne abbiamo quanti ne vuoi Ciarly, ma non ricordo siano citati oggetti del genere» disse «comunque sia, le raccolte più complete e accurate sono queste due» avviò la stampa di un foglio. «La ringrazio» Ciarly prese il foglio dalla stampante poggiata sul bancone, poi guardò la collocazione dei libri «posso portarli a casa?» chiese, cercando di ricordare se la sua tessera fosse ancora valida. A Irina ci volle solo un momento e un clic per farle un cenno d’assenso. «La ringrazio» disse Ciarly allontanandosi. Prese i due pesanti tomi dal loro scaffale, tanto perché la sua richiesta non sembrasse ancora più strana, ma se Irina aveva detto che non c’erano riferimenti a sfere di vetro lì dentro era di sicuro così. L’unica speranza era che ci fossero riferimenti a cose del genere nelle storie del folclore locale, ma per questo tipo d’informazione ci voleva Dan Robert. Ripassò dal bancone affinché Irina potesse registrare l’uscita dei due tomi, per poi salutare e avviarsi verso il museo. Dan strinse le palpebre per vedere chiaramente ciò che aveva davanti, come se la sua forte miopia lo affliggesse, nonostante le spesse lenti degli occhiali. «Ciarly» disse con un tono a metà fra la domanda e l’esclamazione. «Buongiorno signor Robert» salutò la ragazza facendo il suo ingresso nella biglietteria del museo, così affollata di vetrinette con reperti di ogni genere ed epoca storica da sembrare già di per sé un museo. Frammenti di antiche armi, collane, moschetti, pugnali, pezzi d’armatura si confondevano in un miscuglio improbabile, come se qualcuno volesse far credere che ci fosse stata un’era in cui quegli oggetti erano esistiti tutti assieme, nella vita di ogni giorno.
23 «Posso chiederle una cosa?» chiese Ciarly, fermandosi davanti al bancone e attirando tutta l’attenzione di Dan Robert su di sé «che lei sappia, c’è qualche storia locale che parla di oggetti magici, tipo sfere di cristallo o simili?» domandò sperando che Dan non partisse con una rassegna della storia delle famiglie del paese che, per qualche motivo, aveva collegato alla sua domanda. Ma l’argomento che Ciarly gli aveva proposto doveva essere sufficientemente insolito da impedirglielo, perché aveva l’aria pensierosa, come se stesse facendo una ricerca difficoltosa nella sua memoria enciclopedica. «Temo che le uniche sfere di cristallo di cui sentirai parlare qui siano quelle del negozio d’occultismo in fondo alla strada» disse infine Dan e Ciarly trattenne un sospiro «ma chi ti ha detto che da queste parti ci fossero storie del genere in circolazione?» Dan aveva l’aria di chi volesse andare a prendere per le orecchie chiunque fosse stata la fonte di quell’informazione fasulla. «Nessuno» disse Ciarly «era solo una mia idea per una storia. Volevo ricollegarla a personaggi della mitologia, ma cercherò di trovare qualche altra fonte d’ispirazione, se non si trovano proprio riferimenti a oggetti di questo tipo nelle antiche leggende o nel folclore locale» buttò lì Ciarly, improvvisando una spiegazione plausibile per la sua strana domanda. Tornò alla fattoria notevolmente perplessa. Che la sfera fosse veramente solo un insolito oggetto decorativo comprato dai nonni in qualche mercatino? Posò i due libri sulla scrivania e s’inginocchio per portare il suo sguardo alla stessa altezza della sfera. «Ma tu da dove salti fuori?» chiese. Forse fu solo un gioco di luce ma, per un istante, le parve di vedere qualcosa all’interno della sfera. «Ciarly!» La voce della madre la fece sobbalzare. «Arrivo subito mamma!» Quando tornò a fissarla, la sfera era di nuovo un trasparente globo di vetro. Ciarly restò a osservarla intensamente per qualche istante. Aveva forse immaginato quella foresta che le era parso d’intravvedere nella sfera? «Scordatelo che ti lasci vendere la fattoria» disse Ciarly, alzandosi di botto dalla sedia, davanti a uno sbigottito notaio, vestito in modo un tantino strano.
24 Cos’era, una parrucca ottocentesca quella che aveva sulla testa? Di quelle bianche che si mettevano i giudici e gli avvocati inglesi. «Non so se sia una buona idea, Adron…» Ciarly batté le palpebre all’improvviso risuonare di quella voce, aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il buio della stanza. Rimase sdraiata per lunghi istanti, la tensione che le bloccava i muscoli, il respiro pesante e i sensi tesi. Le sembrò di intravvedere un lieve bagliore alla sua destra, ma quando voltò il capo, l’oscurità era totale. Allungò una mano, cercando a tentoni l’interruttore della lampada e la calda luce dissipò l’oscurità, lasciando al suo posto le ombre proiettate dagli oggetti. Restò in ascolto nel silenzio che prendeva il posto del battito frenetico del suo cuore. Non c’era anima viva nella casa, un silenzio quieto aleggiava sulla cascina. Che strano, le era sembrato di sentire delle voci. Almeno credeva che fosse quello ad averla svegliata. Si alzò per aprire la porta ma il corridoio era un’oasi di tranquillità e il silenzio nella cascina era totale. Richiuse la porta e rimase per un istante a fissare la stanza, scandagliando ogni oggetto con lo sguardo. Del lampo azzurrino che le era sembrato di vedere non c’era traccia. Spense perfino la luce, restando lunghi istanti a fissare l’oscurità, ma niente. Forse era stata solo l’agitazione per l’incubo che aveva appena avuto. “Ma chi diavolo è Adron?”. Questo fu l’ultimo pensiero che le frullò per la testa, mentre si rifugiava sotto le coperte e scivolava nuovamente nel sonno. La svegliò un rumore di vetri infranti. Ciarly esitò ancora un istante in dormiveglia, poi si alzò e scese al piano inferiore, affacciandosi alla porta della cucina: «Mamma ti do una mano?» chiese, attirando gli sguardi perplessi dei suoi su di lei. «Aiutarmi per cosa, Ciarly?» le chiese la mamma, alzando lo sguardo dallo schermo del portatile davanti al quale erano seduti lei e il papà. «Per raccattare i cocci» disse Ciarly, cercandoli invano con lo sguardo sul pavimento. «Non abbiamo rotto nulla» le disse la mamma, passando dalla perplessità alla preoccupazione. «Oh! Allora avrò sognato» disse coprendo con una mano uno sbadiglio «vado a vestirmi» e svanì nel corridoio. Dario e Tara si lanciarono uno sguardo perplesso. «Ciarly, va tutto bene?» le chiese la mamma. «Sì, tutto a posto ma’» fu la risposta di Ciarly che le arrivò deformata dalla distanza e da un nuovo sbadiglio. Dario scosse il capo e chiuse il portatile.
25 «Tutta questa faccenda è pesante anche per lei, non deve aver dormito molto questa notte.» Tara scrutò il vano della porta come se potesse ancora vedervi Ciarly. «Ha la stessa faccia di quando si svegliava dagli incubi da piccola» confermò lei, alzandosi e andando verso il lavello «vorrei risolvere tutto in quattro e quattr’otto, ma la verità è che non ho la minima idea di cosa fare» disse. Dario le si avvicinò, stringendola forte a sé. Fu solo un sussurro, ma ridestò subito Ciarly dal torpore. Si fermò sugli ultimi gradini della scala e restò in attesa. Il silenzio aleggiava pigro nel corridoio, come la luce che lentamente incominciava a penetrare dagli scuri. Di nuovo un sussurro, come il fruscìo di qualcosa che veniva mosso. Ciarly attese e poté udire un tramestìo, come se qualcuno stesse cercando qualcosa fra molti oggetti. Si sfilò le ciabatte e si mosse furtiva lungo il corridoio. Da dove veniva il rumore? Esitò un istante e poi aprì silenziosamente la porta della camera, ma il silenzio calò nuovamente nel corridoio. L’unico rumore era quello dell’acqua nel lavello al piano di sotto. Eppure… Ciarly rimase in ascolto, ogni senso teso, ma del misterioso fruscìo non c’era traccia. Il suo sguardo si posò sulla sfera. Non aveva niente di strano, a parte il luccichio della luce su di essa. “Altro che la nonna, sei tu che stai ammattendo”, pensò stropicciandosi gli occhi. Lo sguardo le cadde sui due pesanti volumi che aveva posato sul tavolo la sera prima. Secondo Irina non si faceva riferimento ad alcuna sfera lì dentro, il che probabilmente era vero, ma visto che li aveva presi tanto valeva darci un’occhiata. Si sedette e afferrò il primo volume, ma una sensazione bruciante a un polpastrello glielo fece cadere dalle dita, mentre un rosso rivolo s’irradiava dal suo dito. Se lo portò alle labbra, cercando di fermare il sangue, mentre il suo sguardo stupito aleggiava sul tavolo alla ricerca di ciò che l’aveva tagliata. Le pagine ingiallite e consumate del libro non erano abbastanza affilate da poterla tagliare e comunque la sensazione era stata più come una puntura, piuttosto che un taglio. Un luccichio attirò la sua attenzione. Ciarly allungò una mano con circospezione, incontrando i contorni di qualcosa di solido. Lo sollevò, esponendolo completamente alla luce. Era un frammento di vetro. Il rumore che aveva sentito, ma da dove…
26 Abbandonò il frammento e prese la sfera con entrambe le mani. Era l’unico oggetto di vetro della stanza, ma per quanto Ciarly la analizzasse minuziosamente non c’erano tracce di danni o incrinature. Il suo sguardo passò perplesso dalla sfera al frammento. «Ciarly, io e tuo padre andiamo a Skibbereen, vuoi venire anche tu?» la voce della mamma risuonò all’improvviso da dietro la porta, facendola sobbalzare. Skibbereen, non era forse lì la sede del consorzio agrario? Che ci andavano a fare? «Sì ma’, arrivo» disse posando la sfera. Prima di alzarsi controllò che i libri non si fossero danneggiati. Il suono cristallino di una risata riecheggiò nell’aria, così vicino e nitido da non poter che essere reale. Ciarly si voltò di scatto, ma il silenzio tornò sovrano altrettanto repentinamente di quando era stato infranto e il suo sguardo incontrò soltanto la superficie trasparente della sfera. «Ciarly» echeggiò la voce della madre dal fondo delle scale. «Arrivo, ma’» disse. «Tu sei qualcosa di strano, vero?» chiese inginocchiandosi per portare il suo sguardo alla stessa altezza della sfera, ma per quanto intensamente la fissasse non avvenne alcun cambiamento. La campagna irlandese ammantata di neve, avvolse la macchina nel suo isolamento che rievocava con qualche vecchio rudere ricordi di gesta lontane. Ogni campo nella piana pressoché ininterrotta, aveva sicuramente ospitato un’antica battaglia, con il suo seguito di armature luccicanti e destrieri scalpitanti. Ogni collina o boschetto, invece, andava bene per vedere spuntare qualche elfo o magari qualche fata. Ciarly si ritrovò a pensare alle immagini incise sul basamento della sfera. Le figure danzanti disegnate dai veli che l’avvolgevano, potevano essere ricollegate agli spiriti dei boschi, mentre gli animali si ritrovavano nelle mitologie di mezzo mondo: fenici, chimere dal corpo e le zampe feline, la testa e le ali da aquila. L’unicorno alato sul coperchio poi, poteva essere ricondotto a una fusione fra il mito greco di Pegaso e le leggende medievali sugli unicorni. Certo che chiunque avesse fatto quegli oggetti aveva una grande fantasia. Il fatto che tutti, compresi suo padre e sua madre, vedessero un telaio quando guardavano la sfera e il baule, la convinceva che non fossero oggetti comuni ma che celassero qualcosa di misterioso.
27 «Che facciamo al consorzio?» chiese Ciarly per spezzare il silenzio che era sceso nell’abitacolo. «C’è da confermare l’adesione della fattoria al consorzio, ritirare gli incassi delle vendite dei cereali all’ingrosso, ordinare i mangimi, le nuove coperte e un altro centinaio di cose. Checché ne pensi tua zia, gli animali devono mangiare e la fattoria non si guarda da sola» disse Dario. Ciarly pensò che fossero tutte cose che si potevano fare via telefono, ma immaginava che i suoi volessero tenersi occupati con qualcosa. «Ce li teniamo tutti anche se vendiamo, vero?» disse, guardando il paesaggio che scorreva veloce. Dario e Tara sorrisero, era tipico di Ciarly. Per quanto le fosse dispiaciuto, la casa avrebbe potuto anche perderla, ma gli animali erano tutta un’altra storia. Le cose non soffrivano, loro sì. «Troveremo una soluzione, Ciarly. Dacci un po’ di tempo e io e la mamma troveremo una soluzione, vedrai.» «Ciarly mi daresti una mano a portare su questo?» chiese la mamma, quando furono di ritorno alla cascina, ormai quasi totalmente avvolta dall’oscurità. Ciarly annuì, aggirando l’auto per afferrare un’estremità del mobiletto in legno che la mamma aveva comprato in un negozio d’antiquariato di Skibbereen. A che le serviva poi un altro mobile? Le camere della cascina ne erano già stracolme. Ma immaginava che volesse solo distrarsi. Trasportarono il mobiletto su per le scale, mentre papà le seguiva con un ingombrante scatolone fra le mani. Rumore di foglie e passi affrettati, come se qualcuno stesse correndo in un folto d’alberi: Ciarly ne fu sicura quanto della risata e si fermò sorpresa. «Tutto bene?» le chiese la mamma, quando Ciarly si fermò senza un apparente motivo. «È troppo pesante?» chiese il papà, facendole cenno di posare lo scatolone. «No. È tutto a posto» si affrettò a rispondere. Quindi i suoi non avevano sentito. Ciarly soffocò uno sbadiglio uscendo dalla cucina e s’infilò sotto le coperte con le palpebre pesanti come piombo. Fu come uno sfarfallio, un lampo di luce passato all’ultimo secondo davanti ai suoi occhi semi chiusi. Ciarly questa volta si alzò all’istante, ritrovandosi a fissare due occhi altrettanto stupiti che la osservavano dalla sfera. Le iridi erano di tutte le sfumature del viola e occupavano la quasi totalità della
28 sfera, circondate da due folte ciglia e un pallido alone di pelle. Non si mossero, sembravano intuire la sua presenza più che vedere effettivamente qualcosa. «Rebecca?» La voce aleggiò nella stanza con la stessa, inconfondibile, materialità di quello sguardo. Il cuore di Ciarly perse un battito e poi prese a battere all’impazzata. Qualunque cosa fosse l’entità nella sfera, conosceva il nome della nonna, non poteva essere una coincidenza. Ciarly si inginocchio davanti alla sfera, incrociando il suo sguardo con quello delle violacee iridi. «No, sono sua nipote» disse Ciarly, ancora un po’ stordita e frastornata dal battito frenetico del suo cuore. L’entità dovette allontanarsi da qualsiasi cosa con cui la stesse fissando, perché il suo volto prese lentamente forma nella sfera e un sorriso triste si tinse sulle sue labbra. «Allora tu devi essere Ciarly» disse, in un linguaggio sconosciuto ma che Ciarly riuscì a capire al volo. Ciarly sgranò gli occhi per la meraviglia. Non solo la donna nella sfera conosceva il nome di sua nonna, ma conosceva anche il suo. «Io sono Islazi» disse lei, la cui intricata capigliatura non riusciva a rendere meno sorprendenti i due appuntiti padiglioni auricolari che spuntavano fra le ciocche. Certo non c’entrava molto con le basse creature dalla pelle verdognola della mitologia irlandese, ma la donna doveva senz’altro essere un elfo. «Islazi, che cos’è esattamente la sfera?» chiese Ciarly, mossa da un senso d’urgenza che le aleggiava in fondo all’anima e di cui non avrebbe saputo spiegare l’origine, senza nemmeno accorgersi di stare parlando la stessa lingua della donna. Islazi corrucciò la fronte: «La risposta alla tua domanda è molto complicata a dir la verità, anche perché molte delle conoscenze che la riguardano sono andate perdute. La cosa che mi preoccupa è che si sia attivata. Questo vuol dirle che la situazione qui è peggiore di quanto credessimo» Islazi chinò il capo pensierosa e lasciò spegnere la sua voce nel silenzio. «Qui dove?» chiese Ciarly, mentre il senso d’urgenza che provava veniva acutizzato dall’immagine che si faceva meno nitida nella sfera. Tremò un istante e poi si dissolse del tutto. «Islazi» chiamò Ciarly, afferrando la base della sfera con entrambe le mani, mentre il cuore prendeva a batterle nuovamente all’impazzata, ma stavolta per la paura che le aggrovigliava le viscere. Aveva la netta sensazione che stesse accadendo qualcosa di pericoloso in quel luogo di cui le aveva parlato Islazi. Però il volto della donna non riapparve nella sfera.
29 «Islazi» provò di nuovo a chiamare, stringendo convulsamente le dita intorno al basamento di metallo, ma fu la sfera a rispondere. Una luce blu elettrico si diffuse da essa, dapprima lentamente, disegnando nell’oscurità i contorni delle figure scolpite nel metallo, poi rapida, come un’onda di luce che si riversava all’esterno della sfera trasparente. Ciarly si sentì mancare.
30
III. ELDAHAROD
Lampi blu le attraversavano la mente accendendo l’oscurità, nonostante avesse le palpebre chiuse. Si sentiva come se ogni atomo del suo corpo fosse stato scosso, compresso e poi lasciato libero di ritornare alla sua forma originale. Ogni fibra del suo corpo protestò, tendendosi allo spasimo e per istanti che le sembrarono eterni, Ciarly sentì che i muscoli del suo torace si rifiutavano di dilatarsi per respirare. Un getto di bile le salì alla gola e un conato di vomito le sconquassò le viscere, ma nulla uscì dalle sue labbra se non il suono ansante del proprio respiro. Finalmente i muscoli ripresero a rilasciarsi e contrarsi, permettendole di trarre avide boccate d’aria mentre il panico che l’aveva attanagliata piano piano si dileguava. Attraverso le dita contratte delle sue mani percepì umidità. Sbatté le palpebre perplessa, rivolgendo il suo sguardo verso il punto da cui si generava quella sensazione senza riuscire a vedere nulla, come se l’intensa luce dei lampi azzurri l’avesse accecata. Si rese, però, conto che non erano affatto i suoi occhi a non vedere: semplicemente era buio pesto, il che era normale visto che si trovava in camera sua; ma allora perché quello che le sue dita stringevano aveva la consistenza dell’erba e della terra bagnate dall’umidità della notte? Sbatté nuovamente le palpebre e questa volta riuscì a distinguere vaghi contorni nella pallida luce lunare, che non avrebbe dovuto esserci visto che gli scuri erano chiusi. Istintivamente alzò il capo alla ricerca della fonte di luce, ma quello che si trovò a fissare era decisamente meno innocuo del pallido disco lunare. All’inizio non capì cosa fosse quel luccichio sospeso a mezz’aria di fronte a lei, poi poté distinguere ben tre punti che riflettevano la pallida luce. Il primo emanava i freddi riflessi del metallo e anche gli occhi che gli stavano dietro, nonostante fossero notevolmente più vivi ed espressivi, non erano meno gelidi. «Tu chi sei?» chiese una voce, di cui non scorgeva il proprietario. Le parole avevano lo stesso suono musicale di quelle di Islazi, anche se il timbro era gelido e minaccioso. Era una lingua che sapeva di non conoscere, ma che riusciva perfettamente a capire. «Ciarly» fu l’unica parola che le venne in mente di pronunciare.
31 Un brivido la percorse e si sentì afferrare dalle ascelle e sollevare. Le gambe le cedettero, ma qualcuno la sostenne prontamente, sollevandola da terra. Si lasciò trasportare, consapevole di non avere forze sufficienti per reagire. Solo i suoi occhi sembravano essersi ormai abituati e fornivano alla sua mente immagini che ne aumentavano la confusione. La chiara luce lunare e le pallide stelle fra le fronde di un bosco, il luccichio di un ruscello, un rapace notturno che si stagliò nero contro la pallida luce. “E quello cos’era?” si chiese Ciarly, non riuscendo a raccapezzarsi sulla strana immagine che le apparve solo per un istante, mentre avanzavano. Chiuse gli occhi, decisa a frenare il vortice confuso dei pensieri e delle emozioni che si agitavano nella sua mente, ma il tocco delle foglie umide che a tratti le sfiorava il viso non le facilitava la cosa. Foglie? Non ci potevano essere foglie in camera sua e nemmeno terra ed erba. Né, tanto meno, altre persone. Che si fosse sentita male e papà la stesse trasportando da qualche parte? Va bene, ma le foglie, l’erba e la terra non c’erano nel cortile della cascina. La strana sensazione di essere sospesa nel vuoto e allo stesso tempo cullata la stordiva un po’, facendo aleggiare i suoi pensieri come una chiazza lontana, indistinta e confusa, che lei guardava dall’esterno. Qual era l’ultima cosa che ricordava? Islazi era improvvisamente apparsa nella sfera, che poi lei aveva afferrato quando era scomparsa. La sfera… d’improvviso una sensazione di panico la colse, dando perfino ai suoi muscoli la forza di muoversi. Dov’era la sfera, forse lì dove era caduta? Quella sensazione di panico si generava da profondità sconosciute dentro di lei ed era così potente da destare forze che Ciarly neanche sapeva di avere. Si agitò fra le braccia che la sostenevano, riuscendo a sfuggire alla loro presa e a scivolare verso il basso. Sentì il tocco del terreno sotto i suoi piedi, mentre le voci risuonavano allarmate nell’aria intorno a sé. Non si sentiva le gambe, eppure i suoi muscoli erano pronti a scattare, ma una presa ferrea la riacciuffò. Ciarly si dimenò convulsamente, consapevole di dovere assolutamente ritrovare la sfera. Ebbe la vaga sensazione di udire dei passi avvicinarsi, ma l’unica cosa di cui ebbe certezza fu la voce che risuonò di lì a poco, dicendo: «Va tutto bene, non l’avete persa. Non ha viaggiato con voi.» Nonostante Ciarly non avesse idea di che cosa stesse parlando, al suono di quella voce si calmò. «Puoi lasciarla, Ared. Non fuggirà» disse di nuovo la voce, provocando l’allentarsi della ferrea presa su di lei «non ne avrebbe le forze» continuò, mentre Ciarly cadeva in ginocchio, sostenuta da Ared che le chiese: «State bene?»
32 «Come se mi avessero pestato in un mortaio» rispose, strappando il lampo di un sorriso all’ombra innanzi a lei. «È la prima volta che lo fate Could, vero?» le chiese e Ciarly si ritrovò ad annuire. Aveva la netta sensazione che l’uomo avesse ragione, anche se non sapeva bene di che cosa stesse parlando. «Ared, puoi portarla a casa mia? Ha bisogno di riposare» disse di nuovo la prima voce. «Permettetemi di aiutarvi, Could Ciarly» disse Ared. Ciarly si lasciò sollevare. Sapeva che con quel termine si riferivano a lei, ma che cosa era un Could? Sapeva che la risposta era da qualche parte nella sua mente ma le sfuggiva, come tutto di quella situazione. Era chiaro che quelle persone sapevano chi o cosa lei fosse, ma avrebbe tanto voluto sapere chi diavolo fossero loro. Il fruscìo delle foglie e il rumore dei respiri intorno a lei erano percezioni così confuse che, quando batté le palpebre nella penombra rischiarata dalla luce ambrata del fuoco, le parvero appartenere al sogno. Da quando c’era un camino in camera sua? Si chiese mentre si rannicchiava nella calda coltre delle coperte. Si sarebbe anche riaddormentata se la stranezza di quel dettaglio non avesse destato un campanello d’allarme nella sua testa. Non c’era un camino in camera sua! Aprì gli occhi e si ritrovò completamente sveglia, in una stanza dalle pareti adorne di scaffalature piene di libri, rotoli, vasi, soprammobili e altri oggetti, che Ciarly non avrebbe saputo definire. Un tavolo era proprio di rimpetto alla finestra e il letto occupava la parte centrale della stanza ed era circondato da morbidi tappeti. La fiamma guizzante la salutò crepitando dal camino e, dal centro della mensola che vi stava collocata sopra, due occhi ambrati la fissarono dall’ombra, come se appartenessero all’ombra stessa. «Don?» disse Ciarly. Qualcosa guizzò e per un istante Ciarly pensò davvero di vedere il gatto grigio emergere dall’ombra. Furono però le linee di un piccolo canide nero ad apparire nella luce del fuoco, mentre la creatura atterrava con agilità fra i cuscini disposti sul tappeto davanti al camino. Si diresse verso la porta e la colpì con una zampa. Ciarly, ancora perplessa, esitò un istante prima di andare ad aprirla. Il piccolo canide sgusciò fuori non appena Ciarly aprì uno spiraglio sufficiente per farlo passare, lasciandola a incrociare lo sguardo dei verdi occhi della donna ferma sulla soglia. «Oh, eccoti qui. Non ti vedevo da un po’» disse vedendo il lampo nero che usciva dalla porta prima d’incrociare lo sguardo di Ciarly. Un caldo sorriso si tinse sulle sue labbra «Could Ciarly, credevamo poteste avere fame
33 quando vi foste svegliata» indicò a Ciarly un vassoio colmo di frutta e biscotti. «Grazie io… signora posso chiederle una cosa?» Ciarly cercò di placare il vortice confuso dei suoi pensieri. La donna rimase in silenzio, attendendo evidentemente la domanda di Ciarly. «Che cos’è un Could?» La donna la guardò sorpresa. Non sospettava che qualcuno potesse non conoscere quel termine. «I Could sono i viaggiatori, ma credo che Could Drona sia la persona più adatta a spiegarvi queste cose. Se volete la faccio chiamare» disse, mentre Ciarly si scostava per lasciarla passare. Invece di dirigersi al tavolo andò verso il camino, appoggiando il vassoio su un tavolino rotondo. “Ma c’era prima?” pensò Ciarly. «Vi ho portato dei vestiti» disse la donna, estraendo un rettangolo di tessuto da una borsa uguale per colori e ricami ai suoi vestiti. Quando riportò lo sguardo su Ciarly, notò che osservava il tavolino perplessa e rise, limitandosi a sollevare il vassoio affinché il tavolo svanisse nel nulla. Ciarly sussultò e si avvicinò incuriosita allo strano oggetto. Si sedette sui cuscini, per poter scrutare la parte inferiore del vassoio, sotto il quale sembrava essere sparito il tavolino ed ebbe la netta sensazione di sapere come funzionasse la cosa. «Posso?» chiese. La donna sorrise, passandole il vassoio e le due sporgenze nascoste sotto alla decorazione dei manici sfiorarono subito i suoi polpastrelli. Tese le braccia davanti a sé e le schiacciò, facendo apparire in un istante il tavolino. Le gambe arcuate, scolpite con le sembianze di una cascata di fiori da cui emergeva una testa di drago, sostenevano un ripiano di lucido legno. Ciarly lo picchiettò con il dito, quasi per rendersi conto della sua consistenza. Il suono pieno e grave del legno rispose al suo tocco, mentre il vassoio rispose con il suono vibrante del metallo al suo tentativo successivo. Come faceva un mobile di legno a spuntare fuori da un vassoio di metallo? Si chiese Ciarly, ma la domanda che vibrò sulle sue labbra fu un’altra: «Non sa spiegarmi come facevo a saperlo, vero?» «Ne ho una vaga idea, ma credo che la risposta di Could Drona sarebbe di sicuro più esaustiva, vado a chiamarla. Se volete c’è dell’acqua calda nel bacile» poi, come se si fosse ricordata all’improvviso di qualcosa, si voltò verso il tavolo e facendo un cenno verso di esso aggiunse: «è il terzo disco da destra.»
34 Ciarly si alzò, raggiungendo il tavolo. Nell’angolo indicato dalla donna, si trovava una fila di dodici dischi argentei, ovali e sottili. La ragazza prese il terzo da destra e avvertì subito che la parte centrale era più gonfia. La premette e appoggiò il disco al suolo, allontanandosi di un passo. Cosa che il meccanismo dovette avvertire, perché il treppiedi in ferro battuto, che sosteneva la vasca in pietra scolpita con scene di vita selvaggia, apparve solo quando Ciarly fu a distanza di sicurezza. La donna sorrise all’espressione stupita di Ciarly, che contrastava con la sua evidente conoscenza del funzionamento dell’oggetto. «Credo che ve la caverete benissimo, Could Ciarly. Vado a chiamare Could Drona» si alzò e svanì nel corridoio. «Sì, io…» disse Ciarly, continuando a fissare il treppiedi e la vasca piena d’acqua da cui saliva un piacevole tepore. Il suo sguardo si spostò sui rimanenti dischi ed ebbe la netta sensazione di sapere dove trovare il resto dell’occorrente. Primo a destra, salvietta; secondo, spazzola; poi: pettine, lima per unghie, pinzette, forbicine, taglia unghie… Ciarly li attivò tutti e dodici, così da meravigliarsi ogni volta per l’apparizione degli oggetti più disparati dai dischetti metallici. Quando li ebbe attivati, un’intera stanza da bagno, completa di specchio e di un’enorme vasca piena d’acqua calda, aveva preso forma intorno a lei. “Manca solo l’idromassaggio con la cascata d’acqua”, pensò Ciarly e immediatamente la grande vasca di metallo fu percorsa da un tremito, che le strappò un sussulto. Il tempo di un battito di ciglia e il bordo della vasca si deformò, formando una serie di quattro scalini e un’apertura rettangolare da cui prese a uscire un fiotto d’acqua, mentre una marea di bolle iniziava ad agitare quella superficie cristallina. O era ufficialmente ammattita o quello era il sogno più strano che avesse mai fatto. A dir la verità una cosa non escludeva l’altra. “Sembra tutto così reale”, pensò Ciarly sfiorando la superficie infranta dalla marea di bolle. Tanto valeva approfittarne. Si immerse nella vasca, venendo delicatamente respinta verso l’alto. Rise, lasciandosi andare alla sensazione di galleggiare nel vuoto, mentre le miriadi di bollicine la punzecchiavano come se stessero penetrando in ogni fibra del suo corpo, massaggiandola e distendendola. Un leggero bussare sulla porta la ridestò. «Solo un attimo» disse, riemergendo dall’acqua e avvolgendosi nel grande asciugamano. Si asciugò in fretta, strizzò i capelli e scivolò nei vestiti che le avevano lasciato. Un paio di pantaloni verde chiaro con ricami floreali, stretti in vita da una corda, una tunica bianca al ginocchio e una lunga sopravveste verde bordata d’argento e aperta sui lati dalla vita in giù.
35 «Eccomi» si diresse verso la porta. Quando l’aprì incontrò gli occhi azzurri di quella che avrebbe potuto definire una bambina, ma che dal cipiglio deciso e i lineamenti marcati, doveva essere certamente adulta. Le arrivava poco più su della cintola e aveva un corpo asciutto e muscoloso che le conferiva un’aria piuttosto agguerrita. «Carin ha detto che volevate parlarmi» disse con una voce asciutta e tagliente quanto il suo aspetto. «Sì prego, entrate» Ciarly si scostò per lasciarla passare e andò verso la vasca fumante «sedetevi, ci sono della frutta e dei biscotti» disse, prima di far svanire con un tocco tutti gli oggetti. Non si chiese nemmeno se fosse opportuno svuotare la vasca dall’acqua, perché sapeva che il disco l’avrebbe purificata per offrirgliela pulita la volta successiva. Che fine facessero le particelle di sporco, invece, le era meno chiaro. Rimise i dischi al loro posto e tornò verso il fuoco dove l’attendeva Drona, immobile. Sembrava seccata, quindi Ciarly cercò di raffazzonare in fretta un discorso dal garbuglio di idee confuse che le giravano per la testa. Dov’era? Come c’era arrivata? Che cos’era un Could? «Dunque, ho le idee un po’ confuse a dir la verità. Però credo che sia iniziato tutto con la sfera che c’era in casa della nonna. Dopo aver visto dentro la sfera Islazi, sono finita qui. Anche se non so esattamente dove siamo o che cosa sia un Could» disse Ciarly. Lo sguardo di Drona si indurì, ma Ciarly ebbe la sensazione che stesse semplicemente tentando di districarsi in quel guazzabuglio di informazioni parziali e domande che era stato il suo racconto. «Non vi hanno detto nulla prima della vostra partenza?» «La lettera della nonna spiegava dove trovare la sfera. Ma non c’era indicato nulla su cosa fosse, da dove venisse o come funzionasse» rispose la ragazza scuotendo la testa. «Immagino voi stiate parlando di una chiave quantica» disse Drona, accigliandosi e strappando un’espressione incerta a Ciarly. «Mi dispiace non lo so, ma da quando l’ho tirata fuori dal baule ho incominciato a sentire suoni e voci che nessun’altro sentiva. Mamma e papà erano perfino convinti che la sfera fosse un vecchio telaio» disse. «Il precedente Could non vi ha proprio detto nulla?» chiese Drona con aria cupa. L’espressione triste che si dipinse sul volto di Ciarly sembrò ammorbidirla.
36 «Mi dispiace. Se non ha fatto in tempo a passarvi la conoscenza, allora deve averla lasciata nella chiave quantica. Però è strano perché in questo caso dovreste sapere esattamente come siete arrivata qui.» «So alcune cose. Capisco e parlo la vostra lingua, anche se non l’ho mai imparata, e so come funzionano i dischi. Però alcune cose sono confuse. Non so cosa sia un Could, né come io sia arrivata qui, cosa sia una chiave quantica e dove finiscano le particelle di sporco dopo che il disco ha purificato l’acqua.» Drona rimase assorta per qualche minuto, fissando la danza irrefrenabile delle fiamme. «Voi volevate venire proprio qui?» chiese all’improvviso. «No. Cioè… l’immagine di Islazi all’improvviso è scomparsa e io ho afferrato la sfera mentre la chiamavo, poi mi sono trovata qui.» «Lei vi vedeva o voi sapevate il suo nome, così come sapevate dei dischi?» «No, abbiamo parlato.» Drona chinò il capo mordicchiandosi nervosamente un labbro. «Allora dovete aver fallito l’aggancio alla sua chiave quantica e per qualche motivo che non conosco siete finita qui. Anche se immagino che sia stato solamente un caso» disse. Qualcosa nel suo tono di voce fece capire a Ciarly che il concetto di caso non piaceva per niente a Drona. «Questo deve avere destabilizzato il processo di memorizzazione dei dati. Non dovrebbe essere un problema, comunque. Dovreste iniziare a ricordarli piano piano o memorizzarli correttamente dopo un viaggio fatto come si deve» continuò Drona, poi sospirò «però un viaggio così potrete farlo solo quando saprete come funziona. Quindi ci sarà un bel po’ da fare. Immagino che voi non sappiate nemmeno che cosa sono i quanti, vero?» «La parte più piccola della materia?» Ciarly inarcò un sopracciglio, dubbiosa. Drona la scrutò attentamente, come per cercare di capire l’origine di quell’informazione. «Questo l’ho studiato a scuola. Anche se non ho capito un granché, sinceramente» disse Ciarly, trovando un po’ strano che i quanti si chiamassero così anche in quel posto. Magari stava davvero sognando? Drona non sembrava sapere cosa fosse una scuola, ma decise di sorvolare. «Sono le fondamenta dell’universo. Proprio come i mattoni formano un edifico, i quanti formano ogni cosa, dalla luce alle cellule dei nostri corpi» disse, interrompendosi solo per cercare eventuali segni d’incomprensione sul volto di Ciarly, ma non ne trovò. Drona allora portò lo sguardo sulla fiamma, come se in essa potesse cogliere qualcosa e continuò:
37 «Quel che dovete sapere è che, per quanto la materia appaia solida ai nostri occhi, i quanti vibrano come un’onda. Una vibrazione che travalica i limiti della materia e connette ogni quanto con quelli circostanti, fuori e dentro il nostro corpo. Noi siamo collegati a ogni altra cosa in questo mondo, sia che possiamo percepire o meno questa melodia universale. Ogni nostra azione si ripercuote su ogni cosa e ogni cosa che avviene avrà effetto su di noi, in modi che spesso nemmeno percepiamo. I quanti s’influenzano tra loro, anche se si trovano ai limiti opposti dell’universo.» Ciarly si accigliò. «Ma la vibrazione non si attutisce fino a svanire con la distanza?» Drona sorrise. «Quella originale forse sì, ma alterando la vibrazione dei quanti con cui entra in contatto, genera una catena di cambiamenti che si ripercuote su quelli vicini e così via.» «Quindi, se muovo un oggetto potrei provocare chissà che dall’altra parte dell’universo?» «La teoria è quella, ma un gesto così piccolo difficilmente produrrebbe un’onda di un’intensità tale da poter generare cambiamenti visibili a livello fisico.» «Ma la sfera l’ha fatto, vero? Ha generato un’onda così forte da trasportarmi qui» Ciarly ricordò improvvisamente qualcosa in proposito. Il fatto che Drona le avesse spiegato le basi, la stava aiutando a capire le informazioni che vagavano enigmaticamente nel suo cervello. Non erano immediatamente comprensibili, com’era stato l’utilizzo dei dischi, e Ciarly non aveva saputo interpretarle finché non aveva avuto una chiave di lettura. «Incominciate a ricordare, questo dovrebbe facilitarci il compito. Sì, le chiavi quantiche fanno questo. Si connettono alla rete di vibrazioni che collega i quanti, permettendo di spostarsi attraverso il tessuto spaziodimensionale o nello spazio in tempi infinitesimali» Drona annuì ma si fermò di fronte all’espressione dubbiosa che apparve sul volto di Ciarly, per permettere alla ragazza di fare ordine nei suoi pensieri ed esprimere i suoi dubbi. «Va bene. Ho capito che potrei andare da un capo all’altro dell’universo in pochi millesimi di secondo. Ma con dimensione cosa intendete? Volete dire un altro mondo?» «Una qualsiasi delle infinite dimensioni createsi dall’espansione del nucleo quantico originale.» «Intendete il Big Bang?» chiese Ciarly. Drona inarcò un sopracciglio.
38 «Un’esplosione disgrega la materia e disperde i quanti. L’espansione del nucleo originale invece ha generato un’onda che ha spinto i quanti ad aggregarsi fra loro, allontanandosi dal nucleo originale e formando ognuna delle cose che noi oggi conosciamo.» Ciarly sbatté le palpebre. Non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che ogni cosa che lei voleva dire le uscisse dalle labbra perfettamente tradotta in quella lingua melodiosa che non aveva mai imparato. Ciò abbatteva le barriere fra lei e Drona, ma non sapeva se si sarebbe mai abituata. «Va bene. Riassumendo: devo aver attivato in qualche modo la chiave quantica della nonna, ho imparato un fantastiliardo di cose e ho viaggiato lungo la rete quantica fino a qui. Ma perché sono finita proprio qui?» «Non sapevate cosa avevate in mano e, a quanto mi dite, eravate agitata, quindi non avete dato alla chiave quantica informazioni sul punto di arrivo, perciò vi ha trasportato nel luogo a cui i suoi quanti erano legati per natura, ossia nel suo mondo d’origine.» «La chiave viene da qui?» «Tutte le chiavi quantiche vengono da qui» rispose Drona sorridendo. «Ma perché proprio questo luogo?» Drona alzò le spalle. «Per aprire un passaggio stabile e controllare con precisione il punto d’arrivo, si deve aprire la connessione fra due chiavi quantiche. Altrimenti si viaggia senza controllo. Siete stata fortunata a non finire in una palude, in mezzo al mare o dritta nella bocca di un vulcano.» Ciarly rabbrividì. «Credete che Islazi avesse l’altra chiave quantica a cui avrei dovuto collegarmi?» «Questo spiegherebbe perché vi vedeva e sentiva, altrimenti avreste visto e udito soltanto voi. Però non capisco perché la chiave quantica si sia attivata senza che foste voi a darle il comando. Questo non sarebbe dovuto accadere. Toccando la chiave quantica avreste dovuto ricevere le informazioni, per poi attivarla in un secondo momento, con tutte le indicazioni ben chiare in mente» disse Drona, fissando meditabonda la fiamma. «Islazi ha detto qualcosa sul fatto che la situazione fosse peggio di quanto pensasse. Non so bene di quale situazione parlasse, ma credete che possa avere provocato l’attivazione della sfera?» Drona s’incupì. «Se fosse così, la situazione sarebbe davvero molto più grave di quanto pensiamo…» disse, lasciando cadere la voce nel silenzio. «Ma di che situazione si tratta esattamente?» chiese Ciarly.
39 Drona esitò, come se non fosse completamente libera di parlare di quella faccenda, non a Ciarly almeno. «C’è stato un momento, nella nostra storia, in cui il tessuto spaziodimensionale è stato lacerato. L’apertura incontrollata di un numero incalcolabile di varchi ha spinto il nostro mondo verso il baratro della distruzione. Pensavamo di avere rimediato definitivamente a quella situazione, ma credo che l’unica cosa che possa aver attivato la chiave quantica, senza un comando del suo Could, sia l’apertura di varchi incontrollati proprio verso il luogo in cui si trovava quella particolare chiave quantica.» «E questo significa che il tessuto spazio-dimensionale è di nuovo instabile, giusto?» chiese Ciarly. «E il vostro viaggetto non ha di certo migliorato la situazione» Drona sorrise, non c’era traccia di rimprovero o astio nella sua voce. Ciarly non poteva farci niente se quei varchi incontrollati si erano agganciati proprio alla sua chiave quantica. «Comunque, se si sono verificati solo i pochi episodi di lieve entità che mi avete detto, un solo viaggio eseguito correttamente dovrebbe rimediare alla situazione.» Ciarly si portò una mano dietro la nuca con fare imbarazzato. «Veramente io non so dove sia la mia chiave quantica» disse. Drona rimase assolutamente tranquilla. «Se fosse andata distrutta lo sapreste. Quindi chiudete gli occhi e pensate intensamente alla chiave quantica e non preoccupatevi se la visione è molto nitida. Qualunque sia il posto, non siete davvero lì. Una volta trovata, bisognerà farla agganciare alla mia. Ma procediamo per gradi.» Ciarly batté le palpebre, ma non obbiettò. Le sembrava effettivamente di ricordare qualcosa su un legame fra il Could e la sua chiave quantica. Chiuse gli occhi e respirò, poi di nuovo inspirò ed espirò lentamente alcune volte, per riportare la calma nella sua mente. Bastò pensare alla sfera per vederla chiaramente posata sulla scrivania della sua camera, accanto al letto disfatto, ma non era solo una visualizzazione dell’ultimo luogo in cui aveva visto la sfera. Ciarly sapeva che la sfera era lì con la stessa certezza con cui sapeva di respirare. Però c’era anche qualcos’altro, aprì gli occhi e la strana luminescenza che avvolgeva un bracciale di Drona attirò subito il suo sguardo. Era come se la pietra bianca che stava nel suo centro risplendesse di luce propria. Drona rise, emettendo un suono cristallino e leggero che contrastava con la durezza dei suoi lineamenti e con la sua prestanza fisica.
40 «A quanto pare avete deciso di farmi risparmiare un sacco di tempo» disse, indicando con un cenno del capo qualcosa alle spalle di Ciarly, che si voltò lentamente, ritrovandosi a fissare i contorni della sua camera, rischiarati dalla luce del camino. Era come se l’aria fosse stata sollevata, quasi fosse un velo. Il pavimento in legno della stanza in cui si trovava sfumava in quello di mattonelle della sua camera nella cascina. La sfera era lì sul tavolo, e Ciarly la raggiunse, toccandola come per convincersi che fosse reale. Poi si voltò, incontrando il sorriso di Drona. «Ve l’ho detto, se si danno informazioni precise alla chiave quantica tutto è molto più facile; specie se le si fornisce un’altra chiave quantica a cui agganciarsi. In realtà, credevo che avrei dovuto spiegarvi come creare la connessione. Bene, sapete allora anche come chiudere il varco?» Ciarly annuì, le era venuto istintivo. Aveva avvertito la presenza della chiave di Drona e vi aveva lasciato collegare la sua senza nemmeno rendersene conto. L’aveva capito solo quando aveva visto la pietra brillare. Le vibrazioni dei quanti si diffondevano incontrollatamente tutt’attorno, ma il solo fatto che Ciarly avesse pensato alla sfera, aveva indirizzato tutte quelle onde in un unico luogo. Attivando la sua chiave quantica aveva scatenando una vibrazione abbastanza forte da creare un effetto visibile, aprendo il varco proprio in quel punto grazie all’aggancio con la chiave di Drona. Ciarly aveva fatto solo pochi passi, ma sapeva di aver percorso una distanza inimmaginabile. «Posso chiedervi ancora una cosa, Could Drona?» chiese Ciarly. Un’espressione attenta si accese sul volto di Drona «perché gli altri credono che la chiave sia un telaio?» Drona rise. «Questo non c’entra con la chiave quantica. Il precedente Could deve essersi assicurato che nessuno, a parte voi, fosse incuriosito dalla chiave. Non solo non vedono il suo vero aspetto, ma molto probabilmente non credono nemmeno che valga la pena di spostarla da dove si trova» disse. «Ma come…» Drona alzò le spalle. «Deve aver fatto un incantesimo alla chiave quantica, ma la magia non rientra esattamente nel mio campo di competenze. Anzi, devo ammettere di non esserci proprio portata, non tutti hanno il dono. La magia non è come la fisica, non si impara sui libri, si nasce con il dono di conoscerla.» Ciarly rimase ancora un istante a fissare quella scena improbabile. L’oscurità della sua stanza si spegneva nella luce ambrata di quel camino, che se ne stava in un’altra stanza chissà dove, ma che avrebbe potuto
41 raggiungere con un paio di passi. Poggiò una mano sulla sfera: aveva la netta sensazione di sapere cosa dovesse fare per chiudere il passaggio, ma anche quella di non volerlo fare. Era come se quel luogo, reale o no, la stesse chiamando. Eppure sapeva che Drona aveva ragione: se non avesse chiuso quel varco, non avrebbero potuto ristabilire l’equilibrio del tessuto spazio-dimensionale. Anche se Ciarly non aveva ancora ben chiaro quali potessero essere le conseguenze, sapeva che era importante farlo. Drona sorrise, spezzando la sua esitazione. «È ora di andare Could Ciarly e per il prossimo viaggio scegliete un posto un po’ più sicuro del bel mezzo del nulla per apparire. C’è mancato poco che le sentinelle scoccassero le loro frecce.» Ciarly sussultò sorpresa e annuì. Forse la consapevolezza di poter tornare indietro, se avesse voluto, la rassicurò, perché qualcosa cambiò nella sfera. Si fece tiepida ed emanò una lieve luminescenza azzurra, che poi svanì come la luce del fuoco e il volto di Drona, lasciandola immersa nel buio della sua stanza. Batté le palpebre, restando ancora un istante in piedi prima di lasciarsi cadere sul letto. “Ma che cosa…” pensò, cercando di radunare i pensieri. La sua mente era confusa da un sogno molto strano che incominciava a sfuggirle. Ma era stato davvero un sogno? Un sordo bussare alla porta la fece sobbalzare. «Ciarly tutto bene? Ho sentito delle voci» disse la mamma, da dietro lo spesso legno. Voci? Lei e Drona avevano parlato ma, se era stato un sogno, la mamma come aveva fatto a… Perché all’improvviso aveva la netta sensazione di dover inventare una buona scusa e in fretta? «Scusa mamma, stavo guardando un video sul cellulare e mi è scappato il dito sul tasto del volume» disse, sentendosi un po’ a disagio. Non era abituata a raccontare frottole ai suoi, ma questa sapeva di doverla proprio dire. La porta si aprì, rivelando il volto assonnato della mamma. «Non riesci a dormire?» le chiese, entrando nella stanza e illuminandola con la luce che veniva dal corridoio. Ciarly si buttò alla rinfusa le coperte addosso, consapevole di dover nascondere qualcosa che ora le sfuggiva. A dir la verità si sentiva un po’ stordita e doveva vedersi parecchio, perché un’espressione preoccupata apparve sul volto della mamma, mentre si sedeva sul letto.
42 «Ciarly non so che fare, è dura per tutti. Nessuno se l’aspettava e anche se ce lo fossimo immaginato, non credo sarebbe cambiato nulla. Se vuoi puoi tornare a casa già martedì pomeriggio. Posso chiedere a Rosy di darti una mano per qualsiasi cosa di cui dovessi avere bisogno.» «Sarebbe peggio, davvero. Impazzirei, almeno qui mi distraggo aiutando in fattoria» Ciarly scosse il capo. La mamma sorrise debolmente. «Va bene Ciarly, come preferisci. Ora però cerca di dormire» le disse, strappandole un cenno d’assenso. Quella era la seconda volta in tutta la sua vita che raccontava una frottola a sua madre. Quando la porta si richiuse, Ciarly rimase a lungo seduta nel buio, cercando di sbrogliare quella massa confusa di pensieri che si agitava nella sua testa. Infine accese la luce e la strana foggia dei suoi vestiti le provò, inequivocabilmente, che i ricordi che aveva non erano affatto quelli di un sogno. Non erano i suoi vestiti. Quelli sporchi e laceri erano rimasti nell’altra stanza. Non aveva pensato di portarli con sé quando aveva chiuso il passaggio. Ciarly posò uno sguardo sbigottito sulla sfera, era troppo stanca per riprovare ma ormai sapeva che era tutto vero. Il bosco, Drona, i dischi… la sfera l’aveva davvero portata in un altro luogo. *** Drona guardò l’aria intorno a sé contrarsi e poi tornare a mostrare il resto della stanza e uscì nel corridoio, incrociando lo sguardo di Ared. «La situazione è anche peggio di quel che crediamo» disse.
43
IV. UN RACCONTO DAVANTI AL FUOCO
Ciarly slacciò la lunghina dalla cavezza di Kimberly e uscì dal recinto, ma invece di trotterellare verso le balle di fieno, la nera cavalla rimase ferma ad aspettare Ciarly. La risata di Mary attraversò l’aria, facendo sussultare la ragazza. «Non hai dimenticato qualcosa?» chiese, indicando con un cenno del capo la cavalla. Ciarly si infilò la mano in tasca e poi rise. «Hai ragione, Kimberly. Scusami. Oggi ho la testa fra le nuvole» offrì una manciata di bocconcini di mela alla cavalla, che era rimasta immobile a osservarla con aria avvilita ma che recuperò subito la sua vitalità, razziando tutti i bocconcini dal palmo di Ciarly in un solo colpo. «Piano, piano. Nessuno te li ruba» disse lei ridendo. Tornò verso la casa con passo lento e aria pensierosa. Si era ingegnata non poco quella mattina per nascondere gli strani vestiti in un punto in cui la mamma non li avrebbe potuti trovare, nemmeno accidentalmente, mentre riordinava. Non bastava rifare il letto e tenere ordinato per non correre rischi. Alla mamma poteva venire in mente di sistemare il bucato nell’armadio, invece di lasciarlo semplicemente sul letto, o di fare le pulizie di primavera e rivoluzionare completamente la disposizione di ogni cosa nell’armadio. Imprese per cui, puntualmente, Ciarly impiegava giorni per recuperare il controllo del suo guardaroba. Aveva pensato di metterli nel bauletto della sfera, ma era troppo piccolo per contenerli. Forse avrebbe potuto fare un incantesimo al completo per farlo sembrare un comunissimo capo d’abbigliamento, ma non sapeva come fare né se potesse usare la magia. Drona era stata chiara, non tutti nascevano con il dono della magia. Però la nonna ne era capace e chissà se anche lei aveva ereditato quella capacità. Anche questa era un’altra delle domande a cui Drona avrebbe potuto rispondere, ma quello che ora le frullava per la testa era una cosa che le aveva detto Drona. Se tutte le chiavi quantiche venivano da quel luogo, come aveva fatto la nonna a entrarne in possesso? Anche lei veniva da lì? Ma poi lì dov’era esattamente? Ciarly scosse il capo come per scrollarsi di dosso tutti quei pensieri. C’era un unico modo per avere quelle risposte, pensò togliendo dagli stivali i
44 rimasugli di neve prima di entrare in casa. L’odore intenso dello zafferano aleggiava nell’aria, facendole venire l’acquolina in bocca ancora prima di entrare in cucina. «Che c’è di buono?» chiese, fiutando l’aria intrisa di vapore e l’odore intenso della spezia. «Risotto allo zafferano, o almeno ci sarà quando tua madre avrà deciso che il riso sia sufficientemente colloso» disse papà. La mamma infilò un cucchiaio di legno nella pentola e lo sollevò pieno di dorati chicchi, per poi inclinarlo verso il tegame. I chicchi caddero separandosi con facilità, a dimostrazione che il suo risotto non era affatto colloso. Ciarly lanciò un’occhiata alla tavola apparecchiata e non poté fare altro che sedersi e aspettare. «Oggi andiamo dai Donold» disse la mamma, prima di masticare pensierosa alcuni chicchi di riso «vuoi venire anche tu?» chiese. Ciarly scosse il capo. «Preferisco rimanere qui. Magari nel pomeriggio faccio un salto in paese.» Li guardò allontanarsi e svanire oltre il cancello principale, prima di precipitarsi in camera sua. Il cuore le batteva a mille. Sapeva che era tutto vero, ma il dubbio che fosse stato tutto solo un’elaborata fantasia, continuava ad agitarsi in fondo alla sua anima e non s’acquietò nemmeno quando sentì l’irregolare massa dei vestiti sotto di sé, invece dell’imbottitura della sedia. Era l’unico posto in cui alla mamma non sarebbe venuto in mente di cacciare le mani. Respirò a fondo, cercando di riportare all’ordine il battito frenetico del suo cuore. «Could Drona» provò a dire dopo aver trovato il coraggio di tentare. La sfera s’illuminò debolmente e non subì altri cambiamenti per lunghi istanti, ma Ciarly sapeva che una pietra bianca si era messa a brillare da qualche parte oltre il tessuto spazio-dimensionale che avvolgeva la dimensione in cui si trovava. Nonostante ciò, smise di tremare per la tensione solo quando il volto di Drona apparve nella sfera. «Imparate in fretta. Credevo che la successiva sequela di domande sarebbe arrivata solo fra qualche giorno» disse, anche se non sembrava particolarmente seccata dall’improvvisa chiamata di Ciarly. «Posso chiedervi una cosa?» chiese Ciarly, ottenendo come risposta sola la silenziosa attesa di Drona. «Mi avete detto che tutte le chiavi quantiche vengono dalla vostra dimensione, ma allora anche la nonna veniva da lì?» chiese Ciarly.
45 «È così, anche se l’ultimo viaggio quantico è avvenuto molto tempo fa, quando si temeva che il nostro mondo fosse sull’orlo della catastrofe. Per paura di compromettere il fragile equilibrio venutosi a ripristinare, non vi sono più stati viaggi da allora.» «Volete dire che potrebbero esserci altre chiavi quantiche?» «Non molte, non funzionanti almeno. Non ce n’erano molte nemmeno allora e la maggior parte delle persone fuggì attraverso gli squarci spaziodimensionali aperti dalla catastrofe, senza bisogno di chiavi quantiche» disse Drona. «Ma esattamente che cosa è successo?» Drona s’incupì. «Questa è una risposta molto lunga e complessa e a dir la verità non so ancora se posso darvela o meno. Avete creato un bel po’ di sconquasso con il vostro viaggio improvvisato, e ci sono parecchie persone che vogliono parlare di voi e con voi. Per cui io direi di tagliare i tempi e unire le due cose. Quando potreste tornare qui?» Ciarly s’illuminò. Sapere di poter tornare lì era l’unica cosa che attenuava il senso d’allarme e urgenza che si aggrovigliava nella sua anima. Lanciò uno sguardo all’orologio. I suoi sarebbero potuti tornare entro un’ora oppure per l’ora di cena. Ciarly non voleva correre il rischio che rientrassero a casa senza trovarla. La notte era senza dubbio il momento migliore per non rischiare di essere scoperta. «Stasera tardi» disse, esitando per afferrare un’informazione che le aleggiava nella mente «al sorgere della seconda luna… ma… avete due lune?» Drona sorrise. «Ne abbiamo dieci.» «Di… dieci?» farfugliò Ciarly, perplessa. «Se non si contano i satelliti delle due lune maggiori, altrimenti in quel caso arriviamo a diciotto.» La ragazza assunse un’espressione ancora più sbigottita e Drona rise. «Perché, quante ne avete lì?» «Ci dobbiamo accontentare di una sola…» disse Ciarly. «Meglio di nulla. Allora vi aspettiamo questa sera.» Ciarly annuì e lasciò andare il contatto, osservando la sfera perdere lentamente la sua luminescenza e tornare a essere un globo trasparente. Poi un pensiero la colse e gli diede forma pronunciando «Islazi» ma la sfera rimase immutata e un brivido la percorse: quel collegamento non era stabile. Ciarly fissò intensamente la sfera, certa che quella sensazione venisse da lì.
46 La sfera era in grado di avvisarla di una cosa del genere, si trattava di una specie di meccanismo di sicurezza. Certo che aveva fatto proprio un bel pasticcio con il suo primo viaggio! Però, se bastava attivare una connessione con un’altra chiave quantica per aprire un varco stabile, perché non riusciva a contattare Islazi? Che ciò fosse collegato a quella situazione a cui tutti avevano accennato? Aveva una sensazione bruttissima, come un presagio che qualcosa di tremendo stesse per accadere. Lo squillo del cellulare la fece sobbalzare. «Pronto» rispose senza nemmeno osservare il numero sullo schermo. «Ciarly» era Kim in lacrime. «Kim, che è successo?» «Mamma vuole vendere Kimberly» le disse fra un singhiozzo e l’altro. Ciarly strinse convulsamente l’apparecchio, fino a farsi sbiancare le nocche. Si morse un labbro e respirò a fondo, per non farsi sfuggire una frase decisamente maleducata. «Kim, zia non può vendere proprio nulla se non è d’accordo anche mia mamma e ti assicuro che vendere la tenuta è l’ultima cosa che vuole fare. Senti Kim, è complicato, ma stiamo cercando una soluzione. Vedrai che in qualche modo ne verremo a capo» le disse Ciarly, cercando di apparire calma e sicura, anche se aveva il fuoco che le bruciava dentro. «Ci teniamo anche Fox?» «Ci teniamo tutti i nostri animali, fino all’ultima vacca» le disse. «Ciarly ti posso chiedere una cosa?» le chiese Kim, con voce già molto più calma. «Certo Kim, dimmi.» «Ma perché la maestra le chiame mucche e non vacche?» Ciarly sorrise. «Perché la gente ritiene che il termine vacca sia offensivo e preferisce usare mucca.» «Certo che gli adulti sono proprio strani, se si chiama vacca non puoi chiamarla mucca. Non puoi insegnare le cose sbagliate!» disse Kim, regalando a Ciarly una risata. «Che c’è da festeggiare per preparare le scaloppine di seitan?» chiese il padre, fiutando l’odore intenso del denso sughetto a base di salsa di soia, non appena mise il piede in casa quella sera. «Avevo voglia di fare una ricetta complicata, così da tenermi impegnata» disse Ciarly, mentre la mamma le si affiancava scrutando nella pentola. «Mi preoccupi» le disse poi.
47 «Perché?» chiese Ciarly, fissando anche lei la pentola. «Di solito quando prepari il seitan non ne rimane molto da mangiare nella pentola.» «Mamma» sbuffò Ciarly, mentre il padre rideva, aggiungendo: «Mi dispiace, ma ha ragione» fissò la tavola imbandita. Patate fritte aromatizzate alle erbe, macedonia, crostini di pane integrale spalmati con crema di fagioli e zucca. Ciarly aveva preparato un banchetto. «Piuttosto è rimasto qualcosa in frigo?» «Un sacco di roba» disse Ciarly, con aria offesa. Ciarly tese l’udito, ascoltando i rumori della casa spegnersi uno per uno. L’acqua nel bagno, i passi di sua madre nell’altra stanza, una radio che veniva spenta… Lanciò un’occhiata allarmata all’orologio, calcolando mentalmente quanto mancava al sorgere della seconda luna. Tutte quelle informazioni che emergevano dal suo cervello, senza che le avesse mai imparate, la inquietavano un po’. Era come se ci fosse qualcun altro nella sua testa che le suggeriva le risposte. Mancava ancor una mezz’ora e forse c’era un modo in cui poteva alleviare quel fastidio. Le informazioni erano nella sua mente, ma lei non poteva accedervi coscientemente. Forse le bastava rievocarle argomento per argomento, scriverle su un foglio e impararle come faceva a scuola. “Sembra che vengano fuori nel momento in cui ne ho bisogno”, pensò. Afferrò un blocco note e una penna dal suo tavolo e scrisse la parola casa. Quasi senza accorgersene, accanto a essa scrisse qualcosa in complicati ideogrammi, che sembravano un insieme di rune celtiche e ideogrammi cinesi. Non li aveva mai visti prima ma sapeva perfettamente leggerli. Alsen, casa. In realtà era più il concetto di terra o patria. La parola che si riferiva proprio a una casa in muratura era… Ciarly sorrise alla serie di tre ideogrammi che la sua mano andava formando, quasi agisse per conto proprio. “Che cos’è quella, una cascata?” pensò fissando l’ultimo ideogramma. A dir la verità era una runa «Va bene, va bene» si disse Ciarly, ponendo un freno alla girandola di informazioni che aveva scatenato nella sua testa «iniziamo dall’alfabeto» continuò. A una colonna di lettere se ne affiancò una di rune. Poi fu il turno dei numeri e la cosa dovette sfuggirle un po’ di mano perché si ritrovò a fissare uno strano grafico, affiancato da quella che sembrava essere un’equazione. Cos’era, un’equazione per calcolare la lunghezza d’onda dei quanti? Ciarly
48 scosse il capo, tornando a scrutare numeri e lettere. Il solo fatto di memorizzarli la aiutò effettivamente a percepire quell’informazione come una parte di sé, invece che come qualcosa di estraneo e sconosciuto. Respirò a fondo, cancellando dalla mente tutte le nozioni che la percorrevano come un vortice. La nonna non poteva lasciarle un’eredità meno complicata? In effetti era una Sladan, un incarico. Ciarly sospirò, lasciandosi cadere sul letto. Quella situazione rischiava di farla impazzire. Diede un’occhiata al quadrante dell’orologio. Sperava che quel colloquio avrebbe posto fine al vorticare di dubbi che aleggiavano nella sua mente. Magari poteva chiedere a Drona o a qualcun altro di insegnarle la loro lingua e qualcosa in più sui quanti e sulla chiave. Si alzò e s’infilò i vestiti verde scuro, decorati da ricami in fili d’oro e d’argento, che si intrecciavano sul petto, lungo le maniche e la parte esterna della coscia, formando intrecci di rami da cui spuntavano fiori dalla delicata corolla e foglie strette e allungate. Genails, il nome le venne alla mente insieme a una vaga idea di quali fossero i posti in cui cresceva. «Oh, insomma!» sbottò Ciarly, infilandosi la corta tunica. Non avrebbe saputo dire di che tessuto fossero fatti. “Probabilmente la nonna non l’aveva ritenuta un’informazione importante”, sorrise a quel pensiero. «Va bene, è quasi ora» si disse, fissando le lancette dell’orologio. Si chiese se fosse saggio portarlo con sé, poteva sembrare molto strano una volta arrivata dall’altra parte. Però, in fondo, lo dovevano essere sembrati anche i suoi vestiti e nessuno aveva detto nulla. Quelle erano persone che viaggiavano in ogni luogo del loro universo e fra le dimensioni. Dovevano aver visto cose molto più strane del suo orologio e poi, anche per lei, il loro mondo era pieno di cose strane. Scacciò tutti i pensieri che le affollavano la mente e si concentrò. «Could Drona» sussurrò. La sfera si illuminò all’istante, ma ad apparire non fu il volto di Drona. L’aria davanti a sé sembrò rarefarsi e dissolversi, aprendo il passaggio verso un’ampia stanza, illuminata dalla fiamma che ardeva in un grande camino. Le pareti erano decorate con arazzi dai colori sgargianti e una decina di persone stava seduta al lungo tavolo ovale che occupava il centro della sala. Era un gruppo eterogeneo di etnie, che rendeva ancora più esotica la visione di Ciarly, ma i loro sguardi erano tutti puntati su di lei. Entrò nella stanza e chiuse il passaggio dietro di sé perché i suoi non sentissero le voci. «Buona sera a tutti» salutò Ciarly, facendo scorrere lo sguardo sul gruppo. “I capelli di quella donna brillano?” si chiese incontrando una nuvola di
49 capelli che più che bianchi sembravano emanare una luminescenza bianca. «Siete la benvenuta, Could Ciarly» disse una donna dai capelli corti, neri come la notte. I suoi occhi erano di un dorato brillante, quasi splendessero di una loro luce interiore. Prima che potesse farsi venire in mente cosa dire, qualcosa le grattò la gamba, attirando il suo sguardo verso il pavimento. Un muso lungo e sottile, dotato di una chiostra di denti appuntiti, la fissava con due occhi piccoli e neri, incastonati in quello che poteva sembrare il cranio di un cane in miniatura. Aveva orecchie lunghe e sottili, tirate all’indietro e un corpo lungo e schiacciato, ricoperto di squame. Sembrava uno strano miscuglio fra un cane e una lucertola. Le quattro articolazioni delle spalle sporgevano sopra il corpo come quattro strane torri. Non aveva mai visto nulla del genere e non le veniva proprio in mente come potesse chiamarsi quell’insolito essere. «Alì» un uomo corse verso la creatura «mi dispiace, i suoni sconosciuti lo attirano» disse. «Non fa nulla» Ciarly guardò Alì dimenare le zampe anteriori nel tentativo di aggrapparsi alle sue vesti. «Ciao Alì» gli disse. Alì fece guizzare le lunghe orecchie, ma protendeva il muso verso un punto più in basso, verso le dita di Ciarly, la quale seguì il suo sguardo incrociando il cinturino dell’orologio. Il ticchettio delle lancette… Alì doveva averlo sentito. Ciarly sorrise, portando il polso all’altezza del muso di Alì. Lui fece guizzare le orecchie, fissò per un attimo lo strano oggetto come per assicurarsi che fosse proprio da lì che veniva il suono e l’afferrò delicatamente con le zampe anteriori, cercando prima di sfilarlo e poi di mordicchiarlo. «Piano piccoletto, è di metallo. Se non fai attenzione ti spaccherai i denti» disse Ciarly, ridendo. «Andiamo Alì, ora Could Ciarly non ha proprio tempo per giocare» l’uomo afferrò delicatamente ma con decisione le zampe e lo riportò verso il tavolo. Ciarly li seguì, andando a sistemarsi su una sedia lasciata libera. Aveva talmente tante cose da chiedere che le idee si affollavano nella sua mente in modo così confuso da non permetterle di organizzarle in un discorso. «Vi chiedo scusa per essere venuta senza preavviso, ma non avevo idea di cosa fosse una chiave quantica quando sono arrivata qui e devo averla attivata involontariamente. Ha iniziato a farmi vedere e sentire delle cose e poi sono piombata qui» disse infine. Un silenzio grave scese nella sala. «È proprio questo il problema, Could Ciarly. Ciò non doveva succedere. Le
50 chiavi quantiche non si attivano da sole. Ci vuole una distorsione del tessuto spazio-dimensionale non indifferente per riuscirci e, normalmente, non si aprono in modo autonomo.» «Questo, più o meno, vuol dire che il tessuto-spazio dimensionale è messo molto male?» chiese Ciarly, afferrando a grandi linee l’informazione che le era passata per la testa a quelle parole. La donna dai capelli neri corrucciò la fronte, mentre quella accanto a lei riservò un sorriso complice a Ciarly. «Questo vuol dire che l’equilibrio del tessuto spazio-dimensionale di questa dimensione è fortemente compromesso» disse, fissando la ragazza come per cercare di intuire se avesse capito oppure no. Ciarly doveva avere usato un linguaggio un po’ troppo “spicciolo” per i parametri della donna e annuì per confermarle che aveva capito appieno la gravità della cosa. «È questa la situazione che ritenete essere peggio di quanto credevate? Che l’equilibrio del tessuto spazio-dimensionale sia più alterato di quanto vi aspettavate?» La donna annuì. «Sapevamo che l’equilibrio non era stato ristabilito in modo perfetto, ma credevamo che bastasse limitarci a non utilizzare più le chiavi quantiche per non danneggiarlo ulteriormente e regalare una sostanziale stabilità al nostro universo. Ma voi avete detto a Drona che avete visto e udito cose di questo mondo, nella chiave, senza averla attivata. Questo vuol dire che qualcosa sta alterando il fragile equilibrio ristabilito un tempo. Mi raccontereste esattamente cosa avete visto e sentito?» Ciarly annuì e spiegò: «La prima volta mi è sembrato di vedere l’immagine di una foresta. Poi ho sentito una voce che parlava di qualcosa con un certo Adron, un rumore di vetri infranti, quello di qualcuno che frugava fra degli oggetti e ho trovato un frammento di vetro fra i libri, come se fosse una conseguenza del rumore di vetri che avevo udito quella mattina. Ho sentito una risata, un rumore di foglie e passi affrettati, come se qualcuno stesse correndo fra gli alberi e, infine, Islazi è apparsa nella sfera.» Gli sguardi corsero da un volto all’altro. «Ed è lì che è cominciato tutto. Islazi è scomparsa, io ho cercato di recuperare il contatto e invece sono finita qui» disse ancora Ciarly. «E quella persona ha detto proprio di chiamarsi Islazi?» La ragazza annuì. «Era una signora con i capelli grigi intrecciati in una pettinatura complicatissima, aveva le orecchie allungate a punta e gli occhi di tutte le
51 sfumature del viola» gli sguardi corsero nuovamente da un astante all’altro. «Questo spiega perché non siate riuscita a trovarla» disse la donna dai capelli neri, regalando uno sguardo stupito a Ciarly. La donna sospirò come se sapesse che era venuto il momento di scoprire le sue carte e non sapesse bene quali avrebbero potuto essere le conseguenze di quel gesto. In fondo Ciarly era una perfetta sconosciuta. «Islazi si trova nell’unico luogo in questo mondo dove la vibrazione dei quanti è così caotica da impedire il funzionamento delle chiavi» le disse. «Vuole dire che esiste un posto dove la materia non segue le leggi della fisica?» chiese Ciarly. «Potremmo dire che la foresta infinita è il regno del caos. Niente agisce come ci si potrebbe aspettare in quel luogo; le sue vibrazioni sono così caotiche che niente ha una vera forma al suo interno.» Ciarly batté le palpebre confusa. «E perché Islazi è andata lì?» «Mi piacerebbe tanto saperlo» sospirò la donna «a maggior ragione perché ora avremmo proprio bisogno della sua saggezza.» «Ma che cosa è successo? Cosa ha destabilizzato l’equilibrio del tessuto spazio-dimensionale?» chiese Ciarly. La donna si scambiò ancora uno sguardo con gli altri astanti e poi lasciò sfuggire le parole dalle sue labbra: «Dovete sapere che tre secoli or sono, il nostro mondo fu vittima di una catastrofe immane, che rischiò di portarlo sull’orlo della distruzione. Un essere di cui non pronuncerò il nome tentò di alterare le sorti di questo intero universo, impadronendosi di uno degli oggetti più sacri e potenti di questo mondo. Un oggetto il cui potere, per quanto la nostra conoscenza fosse avanzata, sfuggiva completamente alla nostra comprensione. Andava ben oltre le vibrazioni dei quanti e la conoscenza delle fondamenta stesse dell’universo. Travalicava la possibilità di recarsi in un luogo e in ogni dimensione in un tempo infinitesimale. Riguardava una forza che non obbediva alle leggi dell’universo, non a quelle che noi conosciamo, almeno.» Fine anteprima. Continua...
INDICE
I. La lettera...................................................................................... 5 II. La sfera di cristallo................................................................... 18 III. Eldaharod ................................................................................ 30 IV. Un racconto davanti al fuoco.................................................. 43 V. Islazi......................................................................................... 58 VI. Abissi ...................................................................................... 73 VII. Il Tasos .................................................................................. 83 VIII. L’isola di Surne.................................................................... 90 IX. Inseguimento negli abissi ..................................................... 105 X. L’attesa................................................................................... 116 XI. La torre nera.......................................................................... 126 XII. Difficile decisione ............................................................... 141 XIII. Strane visioni ..................................................................... 152 XIV. Drasos ................................................................................ 165 XV. Ritorno all’Arantico ............................................................ 179 XVI. La dodicesima Era ............................................................. 191 XVII. Il tesoro di Surne .............................................................. 215 XVIII. Il tempio immateriale ...................................................... 225
Epilogo........................................................................................ 243 Appendice ................................................................................... 245
Â