In uscita il 28/2/2017 (14,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine febbraio e inizio marzo 2017 (3,99 euro)
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SILVIA FARINAZZO
COME LA MOSCA NELLA TELA DEL RAGNO
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COME LA MOSCA NELLA TELA DEL RAGNO Copyright © 2016 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-073-3 Copertina: immagine proposta dall’Autore
Prima edizione Febbraio 2017 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
COME LA MOSCA NELLA TELA DEL RAGNO
5
Barcellona 25 gennaio 1939 María uscì nell’alba gelida. Una nebbia, grigia e vischiosa, avvolgeva la città come un drappo funebre. Si alzò sulla punta dei piedi e tese le braccia verso l’alto per allungare i muscoli intorpiditi. Erano cinque notti ormai che dormiva in un seminterrato umido, sopra un ruvido pagliericcio imbottito di foglie secche. Da alcuni giorni avevano occupato una lussuosa palazzina in centro, probabilmente la casa di un ricco commerciante fuggito lontano. Il tetto era crollato sotto i bombardamenti e le uniche stanze utilizzabili erano la cucina e lo scantinato, dove i compagni dormivano tutti assieme. Sul retro avevano costruito una latrina provvisoria che consisteva in un buco per terra e un secchio riempito di acqua piovana. María respirò profondamente per consentire all’aria pungente di entrarle nei polmoni. Era affamata, anche se da qualche settimana un leggero senso di nausea accompagnava tutte le sue mattine. Rientrò e si affacciò fiduciosa alla porta della cucina. Olga stava tentando di tagliare un pezzo di pane. «Questo blocco di marmo è vecchio di tre giorni» sibilò la donna, senza alzare la testa. «È più facile che mi tagli un dito, prima che questo sasso si spezzi». María sorrise debolmente. «Hai provato a bagnarlo?». Olga la fissò come se la vedesse per la prima volta. «Con cosa?» urlò. «Non abbiamo né pomodoro né olio e l’acqua che esce dal rubinetto sa di fango». In un impeto di rabbia gettò il pane contro il muro e scoppiò a piangere. Altre due donne accorsero in cucina, attirate dalle grida. Una di loro lanciò a María uno sguardo carico di sconforto. La seconda raccolse il pane da terra e si sedette a consolare Olga. I bombardamenti delle ultime notti, la carenza di cibo e l’impossibilità di lavarsi avevano trasformato quelle giovani donne in fantasmi grigi e opachi.
6 María fissò la sua immagine riflessa su un coccio di specchio, appoggiato sulla credenza. Alcuni giorni prima aveva tagliato i suoi lunghi capelli con un vecchio coltello arrugginito. Ora la sua testa sembrava un cespuglio brunastro, inaridito dal vento. Si passò una mano su una guancia. La pelle era ingiallita e ruvida. I grandi occhi neri, di cui era sempre andata fiera, erano cerchiati da profonde occhiaie scure. Sentì un nodo serrarle la gola. Il suo umore era precipitato di colpo. Capitava spesso in quei giorni. Alternava brevi momenti di ottimismo a lunghi periodi di sconforto. Uscì di corsa per non piangere. Appena varcata la soglia, l’aria fredda le invase nuovamente i polmoni. Respirò avidamente, cercando di spazzare via le lacrime che salivano prepotenti a bruciarle gli occhi. Si appoggiò allo stipite della porta guardandosi attorno. La nebbia grigia si era diradata, lasciando il posto alla luce pallida del mattino che illuminava impietosa le macerie attorno a lei. Attraversò lentamente la piazza e si diresse verso la facciata sventrata di una piccola chiesa. Si avvicinò alle rovine, facendo scorrere lentamente le dita sui bordi ruvidi e taglienti dei detriti. Non era passato nemmeno un anno da quando quella chiesetta e molti altri edifici in città erano crollati sotto un’interminabile catena di bombardamenti durati più di quaranta ore. La sua famiglia e molti dei suoi amici erano morti in quei giorni. Le lacrime iniziarono a scendere amare, senza che lei potesse fare nulla per impedirlo. «Non preoccuparti, la ricostruiranno» disse una voce alle sue spalle. «Le chiese le ricostruiscono sempre. Sono le case della povera gente quelle per cui non hanno mai soldi». Lei abbozzò un sorriso e si voltò a guardare suo marito Héctor che si avvicinava. «Sei un senza Dio» rispose lei. «Certo e me ne vanto» replicò, abbracciandola forte. A prima vista Héctor sembrava un bracciante, muscoloso, abbronzato con delle grandi mani punteggiate di calli. Invece era un medico. Il padre aveva sacrificato tutta la sua esistenza, lavorando in una miniera di carbone, per farlo studiare. Aveva faticato tutta la vita pie-
7 gato sulle ginocchia, respirando aria marcia satura di polvere. A cinquant’anni gli era venuta l’antracosi, era stato proprio Héctor a diagnosticargliela. Da quel momento suo padre aveva iniziato a spegnersi come una candela, sotto i colpi di una tosse violenta che non l’abbandonava mai. Héctor passò due anni al suo capezzale, cercando di alleviare le sue sofferenze. Poi, un giorno d’estate, suo padre decise di fuggire agli ultimi colpi della malattia buttandosi da una finestra. Suicidio, sentenziò il prete, negandogli il funerale e la sepoltura in terra consacrata. Héctor avrebbe voluto sputargli in faccia, ma fu trattenuto dalla disperazione di sua madre. Da quel momento voltò le spalle a Dio e a tutti i suoi rappresentanti sulla terra. Per questo era diventato comunista. In pochi mesi aveva letto tutti gli scritti di Marx. Alcune cose le condivideva, altre gli sembravano delle enormi fesserie, ma nei suoi testi il filosofo tedesco metteva in discussione la religione cattolica e l’esistenza stessa di Dio e questo a lui bastava. Poi era arrivata la guerra, violenta, spietata. All’improvviso si schierarono padri contro figli, fratelli contro fratelli. Anche nella famiglia di María era successo. Quando Héctor decise di arruolarsi tra le fila dei Republicanos lei lo seguì senza il minimo indugio. Suo fratello Jorge, invece, aveva scelto di far parte delle truppe dei Nacionales di Francisco Franco. Erano mesi che María non pensava più a suo fratello. Allo scoppio del conflitto se ne era andato per partecipare alla difesa dell’Alcazar di Toledo assediato dai Republicanos. Da quel momento lei non aveva più avuto sue notizie, non sapeva nemmeno se fosse ancora vivo. Dal giorno in cui era partito sua madre non aveva più smesso di piangere. Héctor si sciolse dall’abbraccio della moglie. «È tornato Daniel» sussurrò, abbozzando un debole sorriso. Daniel era il suo braccio destro. Aveva passato la notte appostato ai confini della città a osservare i movimenti del nemico. Lui e Héctor parlarono a lungo, sembravano entrambi molto preoccupati. María aveva già capito da tempo che non sarebbe stato possibile vincere. Da mesi non ricevevano né aiuti né armi. I Nacionales inve-
8 ce aumentavano giorno dopo giorno il loro potere di fuoco, grazie all’appoggio militare di Hitler e Mussolini. Héctor e la sua banda però non volevano arrendersi, anche se, negli ultimi giorni, le voci di compagni che fuggivano verso la Francia si erano fatte sempre più insistenti. «Andiamo anche noi» lo aveva implorato. Héctor aveva sputato per terra. «Preferisco crepare qui che chiedere l’elemosina ai francesi». E ora era troppo tardi. Il nemico era a pochi chilometri da Barcellona. «Sono arrivati» sussurrò Héctor, accarezzando il volto della moglie. «Hanno occupato il Tibidabo. Daniel dice che al massimo questa notte saranno in città». «Cosa farete?». «Li affronteremo, cos’altro possiamo fare? Fino alla fine. Tu e le altre rimarrete nascoste finché uno di noi non verrà a prendervi». María sospirò, stringendosi nel cappotto logoro, e rientrò in casa. Tutti i compagni erano usciti dallo scantinato. Gli uomini stavano pulendo e passando in rassegna le armi. Le donne, dopo aver calmato Olga, stavano cantando tutte insieme, tentando di preparare la colazione. Erano circa una trentina di persone in tutto. Una ventina di uomini e alcune delle loro mogli. Chi aveva figli li aveva affidati a qualche parente, nella speranza di salvargli la vita. Mentre mangiavano tutti assieme, Héctor li aggiornò sulla situazione. Un silenzio angosciante avvolse la stanza. María osservò uno a uno i volti dei suoi compagni. Gli uomini avevano uno sguardo distaccato e freddo, nessun timore, nessuna traccia di cedimento. Lo chiamavano coraggio. Per lei invece non c’era niente di eroico nel farsi massacrare in una guerra persa ormai da mesi. Le donne stavano in silenzio, con lo sguardo basso e le mani appoggiate sulle ginocchia, tentando di controllare la paura. «Non abbiamo più cibo» esordì María, rimasta nuovamente sola con suo marito, «né acqua».
9 «Lo so. Ho mandato Daniel con un paio di uomini in cerca di viveri». «Vuoi dire che li hai mandati a rubare il cibo a qualcuno». Lui sospirò e si lasciò cadere su una sedia. «La gente ci aiuterà, è dalla nostra parte». María scosse la testa. Non riusciva a comprendere l’ostinazione di suo marito. «Quale gente?» sibilò con rabbia. «Non capisci che ormai sono rimasti solo i disperati come noi in questa città». Héctor si alzò e baciò la testa alla moglie. Daniel entrò in cucina all’improvviso. Aveva il fiato corto ed era paonazzo in viso. In una mano stringeva saldamente due pezzi di salame stagionato. Un secondo compagno entrò dietro di lui e appoggiò sul tavolo una grossa pagnotta rotonda. «Abbiamo rischiato la pelle, capo» ansimò Daniel, sedendosi. «Il proprietario ci ha rincorso con il fucile». L’altro uomo scoppiò a ridere. «Sarebbe il colmo, sfuggire ai Nacionales e poi farsi impallinare da uno stronzo qualunque». «Magari quello stronzo aveva conservato questo cibo per sfamare i suoi figli, ci avete pensato?» urlò María, uscendo di scatto dalla stanza. Héctor la rincorse e riuscì ad afferrarla prima che arrivasse in strada. «Fermati. Smettila, va tutto bene». María era scoppiata in lacrime. Un pianto isterico e convulso. Piantò le unghie nel braccio del marito, tentando di divincolarsi. «Lasciami» urlò. Passò il resto della mattinata seduta sulla soglia, alimentando il profondo senso d’impotenza che le cresceva dentro. Verso mezzogiorno Ester, la moglie di Daniel, si sedette sugli scalini accanto a lei con un piatto che conteneva due fette di pane e una di formaggio. Le due donne si guardarono in silenzio. Ester allungò il piatto verso María, ma lei lo allontanò con disgusto. «Mangia, non serve a niente digiunare». «Sono l’unica che pensa che tutto questo sia una follia?» chiese María. «No, lo pensiamo tutte, ma cosa possiamo fare?».
10 «Fuggire. Stanno scappando tutti verso la Francia. Tutti, perché noi no?» Ester sospirò, addentando una fetta di pane. «Morirebbero. Mio marito, il tuo, morirebbero di vergogna a scappare». «Moriranno comunque e noi con loro» sussurrò alzandosi. Il pomeriggio si rifugiò nello scantinato. Aveva detto alle altre di voler dare una ripulita a quel posto, ma in realtà era una scusa per restare sola. Si sdraiò sul suo pagliericcio e rimase tutto il tempo a osservare le ragnatele che danzavano sul soffitto, accarezzate dagli spifferi gelidi che penetravano attraverso le crepe sui muri. Chiuse gli occhi e ripensò a sua madre, al giorno in cui era morta. Quella mattina, approfittando di una pausa nei bombardamenti, María era uscita in cerca di cibo. Un violento raid aereo l’aveva sorpresa mentre vagava per i vicoli del Born. Si era rifugiata a Santa María del Mar a pregare, in silenzio. Quando finalmente aveva trovato il coraggio di uscire dalla chiesa, la scena che le si era presentata davanti l’aveva colpita come un pugno allo stomaco. Interi quartieri erano stati rasi al suolo e tra questi anche il suo. I suoi genitori erano rimasti sepolti sotto le macerie e lei non era nemmeno riuscita a dirgli addio. Una lacrima scese calda attraverso le palpebre chiuse. Sentì una carezza dolce sfiorarle la guancia. Héctor era inginocchiato accanto a lei. «A cosa stavi pensando?». María scosse la testa, girandosi su un fianco. «Vai via». «È ora di cena, dobbiamo salire». Quella sera mangiarono tutti insieme, in silenzio. Le donne, sedute una accanto all’altra, sembravano volersi stringere in un ultimo abbraccio. La luce tremolante delle candele pennellava ombre scure nella stanza. Gli uomini, in piedi, appoggiati alle pareti, avevano perso tutta la loro spavalderia. I colpi minacciosi dell’artiglieria nemica si avvicinavano sempre di più. María prese una fetta di pane e iniziò a girarla tra le mani. Non aveva la forza di metterla in bocca. «Devi mangiare» disse Ester, accarezzandole una guancia. Dopo cena Héctor uscì e lei lo seguì. Potevano essere gli ultimi attimi con
11 suo marito e non voleva perderne nemmeno uno. Si sedettero sul bordo della strada, lui si accese un sigaro. I bagliori in lontananza avanzavano veloci. «Ti amo» le sussurrò. María gli prese la mano. «Lo so, ma ami di più la tua guerra». Lui sorrise triste. «Non capisci. Non possiamo lasciare che questi assassini vincano». Lei avrebbe voluto ribattere che quegli assassini avevano già vinto, ma non disse nulla. Lo baciò dolcemente sul collo e infilò una mano sotto la sua giacca. «Potrebbe essere la nostra ultima notte» sussurrò suo marito, continuando a fissare l’orizzonte. Dopo un paio d’ore gli uomini presero le armi e uscirono. Le donne spensero tutte le candele e scesero nel seminterrato. Alcune iniziarono a piangere, altre tentarono di consolarle. María prese una coperta e si accucciò sul pagliericcio, ascoltando il frastuono della guerra che avanzava inesorabile. Stava lentamente cedendo al sonno quando un boato improvviso risuonò nello scantinato. I Nacionales erano entrati in casa. Alcune donne iniziarono a urlare. «State ferme, non fate rumore» sussurrò María, ma nessuno la stava ascoltando. I passi pesanti dei militari sopra le loro teste avevano scatenato il panico e molte donne correvano isteriche alla ricerca di una via di fuga che non c’era. All’improvviso la botola si aprì e una luce fioca illuminò i loro volti terrorizzati. Un gruppo di soldati scese rapidamente lungo la piccola scala di legno, urlando. María tentò di alzarsi, ma venne colpita da un pugno in faccia. La bocca le si riempì di sangue, si piegò sulle gambe e sputò. Il panico aveva preso il sopravvento. Le sue compagne tentavano disperatamente di fuggire dalla follia dei soldati. Una donna con il viso coperto di sangue cadde in ginocchio davanti a lei. Un Nacionales comparve alle sue spalle e le sparò un colpo alla nuca. Il cervello della donna le schizzò sul viso. María non riuscì a trattenere un grido.
12 Provò nuovamente ad alzarsi, ma fu abbattuta da un calcio allo stomaco. Tutto si fece nero. Le voci smisero di urlare e lei svenne. Si risvegliò all’improvviso, tossendo. Un odore acre di carne bruciata le invase le narici. Una coltre di fumo nero si spandeva pesante attorno a lei. Si rese conto di essere stesa a terra a pancia in giù con mani e piedi legati. Alzò leggermente la testa e vide la notte illuminata dal macabro falò che si alzava dal loro rifugio. Lamenti e urla saturavano l’aria. María sentiva un dolore lancinante attanagliarle la testa. Fece scorrere la lingua in bocca e si accorse di aver perso un dente. Tentò di sollevarsi sulle ginocchia. I lacci ai polsi le facevano male. All’improvviso un artiglio le afferrò i capelli e la sollevò di peso. Gli occhi le bruciavano a causa del fumo, ma anche attraverso le lacrime riconobbe il ghigno feroce di suo fratello Jorge. «Ciao sorellina» sibilò. María sentì una rabbia improvvisa ribollire nelle vene. «Bastardo, è opera tua?». Suo fratello sorrise. Le liberò mani e piedi e la spinse verso il retro scoperto di un autocarro. «Sali puttana, andiamo a fare un giro». María guardò dentro il furgone. C’erano sei donne del loro gruppo. «Dove sono le altre?» chiese sottovoce. «Morte» rispose una voce dal buio. María osservò il volto della compagna seduta di fronte a lei. Aveva un occhio tumefatto e un rivolo di sangue scendeva lungo la fronte. Il vestito era strappato all’altezza del seno. Si allungò per prenderle le mani, ma lei si ritrasse spaventata. Nei suoi occhi colse una scintilla di follia. Il furgone partì con uno scossone. Passarono accanto a Santa María del Pi, il piazzale era illuminato con delle fiaccole. Una rudimentale forca in legno, da cui penzolavano i corpi inermi di sei uomini, allungava la sua ombra lugubre sulla facciata della chiesa. L’autocarro fece il giro del piazzale, lentamente, e poi si fermò. María sentì il sangue gelare nelle vene. Ci siamo, pensò. È arrivata la nostra ora. Sentirono dei passi avvicinarsi al retro. Jorge comparve sorridendo.
13 «Ciao ragazze, ci siamo fermati qui per permettervi di dare l’ultimo saluto ai vostri uomini. Coraggio, scendete». Dal retro del furgone salì un singhiozzo sommesso. María guardò suo fratello. I suoi occhi erano pieni di odio e follia. Le donne furono costrette a scendere e vennero spinte a calci fino al centro del piazzale. María percorse il tragitto con gli occhi chiusi. Il suo cuore sapeva, ma la sua mente non voleva accettare. All’improvviso le arrivò il grido sordo di una donna. Aprì gli occhi e vide Ester in ginocchio, ai piedi della forca. Istintivamente María si mosse verso di lei, ma venne trattenuta per un braccio. «No sorellina, il tuo è di qua» ringhiò suo fratello, tirandola a sé. María alzò lo sguardo. La gola le bruciava violentemente, un dolore lancinante le stava perforando il petto. Jorge alzò una torcia. Il corpo di Héctor comparve davanti ai suoi occhi. Il volto era completamente tumefatto. Il naso era scomparso, al suo posto s’intravedeva solo un’informe poltiglia di carne e ossa. Un rivolo di sangue, ormai secco, si era fatto strada lungo il petto nudo. Allungò una mano verso il cadavere di suo marito e gli sfiorò una gamba. «Addio» sussurrò. Sospirò profondamente per ricacciare indietro le lacrime. Non avrebbe mai pianto di fronte a suo fratello. «Se ti può consolare ha resistito fino alla fine. Non è stato lui a indicarci dove potevamo trovarvi» sibilò Jorge all’orecchio di sua sorella. Le donne furono fatte risalire sull’autocarro. L’aria gelida di quella notte di morte frustrava feroce i loro corpi. María sentì di non poter più trattenere le lacrime. Si lasciò lentamente scivolare sul fondo del camion e iniziò a piangere in silenzio. Il viaggio sembrò durare un tempo infinito. La luce grigia dell’alba iniziava a diffondersi tenue tra le macerie della città distrutta. Alla fine arrivarono in una radura brulla e si fermarono di fronte a un enorme edificio bianco. Le donne furono spinte giù dal camion. La casa puzzava di escrementi. I mobili erano stati distrutti a colpi d’ascia e le pareti crivellate di colpi. Vennero chiuse assieme in una piccola stanza senza finestre. María premette più volte l’interruttore vicino alla parete, ma la luce non si
14 accese. Scivolò in silenzio lungo il muro e si rannicchiò in un angolo. Sapeva che avrebbe dovuto consolare le sue compagne, convincerle che sarebbe andato tutto bene, dopo tutto lei era la donna del capo, ma non era mai riuscita a mentire e non avrebbe iniziato quella notte. Sentì qualcosa di peloso e caldo strisciarle lungo una gamba. Si alzò di scatto e iniziò a calciare in modo isterico. «Calmati» sussurrò Ester, afferrandole una gamba. «È quello che vogliono, farci perdere la ragione». «Direi che ci stanno riuscendo» rispose. Nel buio totale il tempo sembrò fermarsi. Un odore di rancido e muffa aveva saturato la stanza. María si mise un pezzo di camicia davanti alla bocca. La sete iniziava a farsi sentire. Non sapeva quante ore fossero passate quando la porta finalmente si aprì. Un uomo in divisa entrò con una torcia in mano. Osservò attentamente tutte le donne e poi fece cenno a María di uscire. Lei si alzò lentamente, sentiva che le forze la stavano abbandonando. Il soldato la trascinò su per le scale senza dire una parola e la spinse in una stanza fredda, vuota, illuminata solo da una debole luce appesa al soffitto. Lasciata sola María iniziò a tremare, non capiva se per il freddo o per il terrore cieco che sentiva salirle lungo la schiena. Cercò di capire se fosse ancora giorno, ma l’unica finestra era incrostata da fango e sporcizia. All’improvviso la porta si aprì. Due soldati entrarono nella stanza. María li osservò spaventata. Uno era alto e magro con dei lineamenti spigolosi e due occhi di ghiaccio. L’altro era più basso, grassoccio con la pelle olivastra, trascinava un materasso sulle spalle. «Ciao tesoro» ringhiò quello alto con un forte accento tedesco. «Siamo venuti a tenerti un po’ di compagnia». L’altro ridacchiò, lasciando cadere il materasso a terra. María appoggiò le spalle alla parete. Aveva pensato che l’avrebbero uccisa e forse torturata, ma a questo non aveva pensato. Che idiota, era la prima cosa che doveva venirle in mente. Deglutì per allontanare la paura.
15 Il tedesco la trascinò per un braccio e la buttò sul materasso. María tentò di alzarsi, ma il soldato grassoccio la prese per i capelli e la sbatté a terra. «Rilassati compagna» ringhiò il tedesco, sbottonandosi i pantaloni. María lo fissò negli occhi e quando lui si piegò su di lei gli sputò in faccia. Lui le sferrò un pugno su uno zigomo. «Se stai tranquilla finirà in fretta» sibilò, allargandole le cosce. Lei sentì un dolore sordo entrarle dentro. Tentò di trattenere il fiato per non sentire la puzza dell’uomo che si muoveva sopra di lei. María udì un urlo straziante e doloroso esploderle in testa. Era la sua voce. Era lei a gridare e lo fece finché il soldato le mise una mano sulla bocca. «Stai zitta, troia. Non riesco a concentrarmi». Il corpo di María vibrò di un odio profondo. La violenza sembrò durare un’eternità. L’uomo sopra di lei continuava a spingere, stringendole le cosce. All’improvviso la stanza iniziò a girare vorticosamente. Le pareti e il soffitto si dissolsero. María si ritrovò sdraiata in un prato in una fresca mattina di primavera. Héctor sorrideva accanto a lei e le solleticava il naso con un filo d’erba. Sorrise, ripensando ai grandi occhi neri di suo marito. Alla fine il corpo sfiancato del soldato cadde su di lei. Sentì il suo peso comprimerle il petto. Non riusciva a respirare. Il soldato grassoccio aveva allentato la presa. María si liberò le mani e iniziò a colpire violentemente la schiena del tedesco. Lui scivolò via. «Tocca a te» disse, avvicinandosi all’altro soldato. Il tipo grasso aveva cambiato espressione. Una smorfia di disgusto era comparsa sul suo volto. «Non voglio» sussurrò, senza staccare gli occhi dal corpo inerme di María. «Non fare lo stronzo, quando ti ricapita?». «Non voglio» ripeté alzandosi. «Andiamocene». Il tedesco si chiuse i pantaloni, ringhiando qualcosa nella sua lingua, e seguì il suo compagno. Una volta rimasta sola, María si girò su un fianco e scoppiò a piangere violentemente. I singhiozzi convulsi la costrinsero ad alzarsi. Si
16 mise carponi e cercò di riprendere il controllo. Si ispezionò le cosce coperte di graffi e lividi rossastri. Strappò un lembo della camicetta per pulirsi dal seme del suo stupratore. All’improvviso sentì un bisogno impellente di urinare, alzò quel che restava della sua gonna e pisciò sul materasso. «Andate tutti all’inferno» urlò. Si appoggiò a una parete e si lasciò scivolare lentamente sul pavimento sfiorandosi il viso. Lo zigomo colpito dal pugno si era gonfiato rapidamente e l’occhio si stava già chiudendo. María si strinse le ginocchia al petto e iniziò a dondolare nervosamente. Si sentiva sporca, sentiva ancora l’odore del tedesco su di sé. «Non è successo niente» sussurrò. «Sono viva, sono ancora viva. Non è successo niente. Dimenticherò tutto, passerà». Chiuse gli occhi e infilò la testa in mezzo alle ginocchia. Alla fine il dolore, la rabbia e la paura cedettero il passo alla stanchezza e si addormentò. La porta si aprì di nuovo, svegliandola. Non sapeva quanto avesse dormito e ci mise alcuni secondi per ricordare dove fosse. Si toccò la guancia. L’occhio si era chiuso quasi completamente. Jorge era comparso sulla soglia, tenendo in mano una sedia. La posò al centro della stanza e si sedette. María lo guardava, cercando di non far trapelare il suo disprezzo. «Come stai?» le chiese. Lei deglutì, respirando profondamente. «Perché, non si vede?» chiese indicandosi l’occhio. «Sei stato tu a mandarli?». «Chi?». «Quel tedesco di merda e il suo compare?». María non riuscì a evitare che la rabbia prendesse il sopravvento. «No, ma non ho potuto evitarlo. Sanno che sei mia sorella». «Lo sanno? E chi gliel’ha detto?». Jorge abbassò gli occhi. María si avvicinò e gli sollevò il mento. Conosceva quello sguardo. Era lo stesso che aveva quando da piccolo combinava qualche guaio e le chiedeva di aiutarlo. «Mamma e papà sono morti» sussurrò lui, prendendole la mano.
17 Lei abbozzò un sorriso triste. «Lo so» rispose. «Sono stati i vostri nuovi amici tedeschi a ucciderli». Un improvviso lampo d’odio attraverso gli occhi di suo fratello. «L’ho ucciso io» sibilò. «Chi?». «Héctor. L’ho picchiato e picchiato finché la sua faccia è diventata un’enorme massa informe di sangue e ossa e pelle». María indietreggiò. «Perché?» sussurrò, ingoiando le sue lacrime. «Perché lo odiavo» urlò, lanciando la sedia contro una parete. «L’ho sempre odiato da quando era piccolo. Nostro padre l’ha sempre preferito a me». «Cosa?». «L’ho sentito, María, con le mie orecchie. Il giorno in cui si è laureato gli ha regalato l’orologio da taschino del nonno e gli ha detto che avrebbe voluto avere un figlio come lui». «E l’hai ucciso per questo? Per un orologio». Jorge sorrise beffardo. «Be’ lui era il capo, qualcuno doveva ucciderlo» proclamò, uscendo. María serrò i pugni e s’inginocchiò. Il suo corpo tremava violentemente. Dopo pochi minuti Jorge tornò, tenendo in mano un secchio d’acqua e una sacca. «C’è un gruppo dei tuoi a una trentina di chilometri da qui, stanno scappando in Francia» disse, senza nemmeno alzare gli occhi su di lei. «Lavati e cambiati i vestiti. Ti porto da loro. Te ne devi andare, prima che ti ammazzino». «Perché lo fai?» sussurrò María. «Perché sei mia sorella. Non voglio vederti penzolare da una forca». «E le mie compagne?». «No, loro no». «Non vado da nessuna parte senza di loro». Jorge lanciò la sacca versò di lei. «Non tirare la corda. Non ti farò due volte la stessa offerta». «Sono le mie compagne» rispose, sforzandosi di mantenere un tono calmo. «Dove vanno loro, vado io». Jorge si avvicinò di scatto con la mano alzata per colpirla. María non indietreggiò di un passo, fissandolo negli occhi.
18 Suo fratello respirava nervosamente. «Non faremo loro del male, ti do la mia parola. Non siamo animali. Ma tu, tu sei la donna del capo e sei mia sorella. Non puoi restare qui, non puoi. Dammi retta, devi metterti in salvo». Rimasta nuovamente sola, María impiegò alcuni minuti per trovare la forza di muoversi. Sapeva che era da codardi fuggire. Sarebbe dovuta rimanere e morire con le sue compagne, se necessario. Osservò la spugna che galleggiava nel secchio. No, non era sua la responsabilità, lei era solo una vittima, non era un soldato. Restare lì non avrebbe cambiato nulla, aveva la possibilità di mettersi in salvo e l’avrebbe sfruttata. Si spogliò e si lavò velocemente. Indossò i vestiti puliti e si avvicinò alla porta. Bussò lievemente. «Muoviti» sussurrò Jorge aprendo. «Non devono vederti». Sgusciarono fuori dal retro. Il sole stava tramontando. Era passato un giorno intero da quando era arrivata lì. Salirono su una vecchia auto e partirono. Lei si voltò a osservare la casa che si faceva sempre più piccola in lontananza. Sto scappando, pensò, come l’ultimo dei vigliacchi. Chiuse gli occhi e immaginò lo sguardo di disgusto che suo marito le avrebbe rivolto. Se solo avesse saputo. «Tieni» disse Jorge, mettendole in mano un pezzo di pane con del formaggio. «Mangia». María prese il cibo. Erano quasi ventiquattro ore che non mangiava. Non aveva fame, ma si sforzò di mordere il panino. «Come spiegherai la mia fuga?» chiese. Jorge alzò le spalle. «Darò la colpa al tedesco. Dirò che ha lasciato la porta aperta». Abbandonarono la strada principale e si addentrarono in una radura. I colpi dell’artiglieria rimbombavano in lontananza. Gli ultimi Republicanos stavano tentando di coprirsi la fuga. «Avete vinto ormai. Stanno scappando» sussurrò María, guardando fuori dal finestrino. «Perché volete ucciderli tutti?». «Si chiama limpieza» rispose Jorge freddo. «Si chiama vendetta» replicò, senza staccare gli occhi dal finestrino.
19 I fari dell’auto illuminarono un piccolo fossato disseminato di cadaveri. María vide distintamente il corpo di una donna che stringeva ancora il suo bambino. Un brivido le percorse la schiena. «Almeno potreste seppellirli» sussurrò. «Dici sul serio? Che guerra credi di aver combattuto finora? I tuoi hanno gettato la gente viva nei pozzi delle miniere, giù dalle scogliere e dai dirupi. Avete giustiziato migliaia di persone senza processo, donne, bambini, preti». «Anche voi» sussurrò. Jorge non rispose. La luce cupa della follia era tornata a brillare nei suoi occhi. María si rannicchiò sul sedile e appoggiò la testa sul finestrino. Decise che era meglio non provocarlo. Avrebbe anche potuto ucciderla lì, senza farsi tanti scrupoli. All’improvviso comparvero dei bagliori in lontananza. Jorge fermò l’auto. «Scendi qui». María spostò lo sguardo su di lui. «Immagino di doverti ringraziare». «Scendi» ripeté lui, continuando a guardare davanti a sé. María si mosse a fatica, le cosce le bruciavano terribilmente. Stava camminando da pochi minuti, diretta verso le luci, quando un uomo uscì dal buio e le puntò un fucile alle spalle. «Ferma!» intimò. Lei alzò le mani. «Mi chiamo María, ero la compagna di Héctor Villanova» sussurrò. «Girati». María obbedì lentamente, tenendo le mani alzate. L’uomo le puntò una torcia in faccia. Notò la sua guancia livida, ma non disse una parola. Le fece cenno col fucile di camminare davanti a lui. Avanzarono in silenzio per mezz’ora. La vegetazione si faceva sempre più fitta e lei rischiava d’inciampare a ogni passo. L’uomo alle sue spalle si muoveva sicuro e María sentiva il suo sguardo fisso su di lei.
20 Alla fine arrivarono in un piccolo accampamento. Poche coperte stese a terra, una tenda, una cinquantina di persone accovacciate attorno a un fuoco acceso. María venne fatta sedere accanto a loro. La luce del falò illuminava i visi sporchi e sconvolti di donne e bambini. C’erano pochi uomini, la maggior parte anziani. «Héctor è morto» disse una voce alle sue spalle. «Sono morti tutti, da quel che sappiamo». María si girò. Un uomo alto e robusto con una fitta barba la stava tenendo sotto tiro con una pistola. «Gli uomini» disse María, cercando di non tradire alcuna emozione. «E molte donne. Io e altre sei siamo state tenute prigioniere in una villa». «E dove sono le altre?». María deglutì. «Sono ancora prigioniere» rispose. «E tu?». Io sono un verme, questo avrebbe dovuto dirgli. Un’inutile vigliacca che ha abbandonato le sue compagne per salvarsi la pelle. Invece decise di utilizzare la bugia di suo fratello. «Mi hanno portato in una stanza e un soldato tedesco ha…». «Sì, abbiamo capito» sussurrò una delle donne sedute attorno al fuoco. «Poi ha dimenticato la porta aperta» continuò María, «e io sono scappata. Ho camminato a piedi senza una meta, poi lui» disse, indicando quello che l’aveva intercettata «mi ha portato qui». «Peccato che Héctor sia morto» disse l’uomo, continuando a tenerla sotto tiro. «Ci avrebbe fatto comodo un ingegnere». María sorrise triste. «Bel tentativo, ma Héctor era un medico, lo sanno tutti, e suo padre era un minatore. Se volete vedere il suo cadavere forse lo trovate ancora che penzola davanti a Santa María del Pi, ma guardatelo attentamente perché stenterete a riconoscerlo» disse con la voce rotta dall’emozione. L’uomo alle sue spalle abbassò l’arma. «Mi dispiace» sussurrò. «Io mi chiamo Juan sono il capo, diciamo. Hai fame?». Lei scosse la testa. «State andando in Francia?» chiese. «Posso venire con voi?».
21 «Va bene. Per adesso riposati» disse Juan. «Domani ci mettiamo in marcia molto presto. Ce li abbiamo alle calcagna». María si lasciò andare su una delle coperte e cadde in un sonno profondo, privo di sogni. Si svegliò all’alba. I suoi compagni stavano già sbaraccando il campo. Una donna si sedette accanto a lei stringendo una tazza. «Ho pensato che volessi un po’ di thè caldo». Lei prese la tazza, rabbrividendo. Il fuoco era stato spento e l’aria pungente dell’inverno le stava penetrando nelle ossa. «Ti fa male l’occhio?» chiese la donna. María se lo sfiorò. «Un po’». «Prendete solo le provviste, coperte e vestiti pesanti» ordinò Juan, passando tra la gente. «Lasciate qui tutto ciò che non è indispensabile, abbiamo i Pirenei davanti». «Ci stiamo illudendo» disse la donna seduta accanto a María. «Di cosa?». «Che ci permetteranno di varcare il confine e di rifarci una vita. Non andrà così, ci spediranno indietro». «Perché? Forse i francesi ci aiuteranno». La donna sorrise. «Ho capito. Tu sei una di quelli che crede che ci accoglieranno a braccia aperte, d’altronde sono il paese di Liberté, Égalité, Fraternité. Io penso che andrà diversamente» sospirò alzandosi. «A proposito io sono Dolores». María le lanciò un’occhiata veloce. La donna aveva circa cinquant’anni, grandi occhi azzurri e lunghi capelli grigi legati con una treccia. Il viso era solcato da rughe profonde, illuminato da un sorriso sereno. Il gruppo si mise in marcia silenziosamente, cercando di restare nascosto nella radura. I Nacionales continuavano ad avanzare inesorabili, entro pochi giorni sarebbero entrati a Girona. María, in fila accanto a Dolores, lanciò un’occhiata ai suoi compagni di viaggio. Erano una marea disperata e logora. Alcuni avevano vistose fasciature ormai sporche e incrostate di sangue secco. Un uomo portava sulle spalle un bambino senza una gamba. Molti di loro avevano scarpe e vestiti laceri mentre lei indossava abiti nuovi e caldi. Erano
22 quelli che le aveva procurato suo fratello. Si strinse istintivamente nel cappotto. Aveva barattato le sue amiche per quei vestiti caldi. Aveva barattato le loro vite per la sua. Aveva abbandonato le sue compagne e stava fuggendo dal suo paese, sola. I volti di suo marito e dei suoi genitori emersero nitidi dalla memoria. Per la prima volta in vita sua non avrebbe avuto nessuno al suo fianco. Non sapeva cosa le avrebbe riservato il futuro, ma da quel momento in poi avrebbe dovuto affrontarlo da sola. Il gruppo camminò tutto il giorno senza fermarsi. La strada diventava sempre più impervia. Ogni passo era più difficile e doloroso. Mangiarono in piedi, solo un piccolo tozzo di pane a testa, nulla di più. Il silenzio assordante era rotto solo dal pianto dei bambini. Al tramonto si fermarono in un prato. Accesero il fuoco e prepararono una cena frugale. Si sedettero in cerchio e mangiarono lentamente. Nessuno aveva voglia di parlare. Stanchezza e paura dominavano i cuori. María si sdraiò su una coperta, si sentiva sfinita. Allungò le gambe lentamente. Crampi brucianti percorrevano veloci i suoi muscoli. I piedi le pulsavano ferocemente, ma non aveva il coraggio di togliersi le scarpe per paura di non riuscire più a metterle. Chiuse gli occhi. Devo dormire, pensò. All’improvviso, nel buio della notte, il volto di suo marito comparve tra gli alberi. María si alzò di scatto e iniziò a correre verso di lui. Man mano che si avvicinava però l’immagine di Héctor sbiadiva. Si fermò e iniziò a piangere. Sentì una carezza gelida sfiorarle una guancia. Si svegliò di soprassalto. Le lacrime le solcavano il viso, il cuore batteva a mille. Era stato solo un sogno. Rabbrividì, stringendosi nella coperta e alzò lo sguardo al cielo. Aveva iniziato a nevicare. Vide Juan in piedi, davanti al fuoco, che gettava alcuni pezzi di legno tra le fiamme per tenerle vive. Si buttò la coperta sulle spalle e si alzò. «Cosa pensi che succederà quando varcheremo i Pirenei?» chiese, avvicinandosi a lui.
23 Sul viso dell’uomo, illuminato dalla luce del fuoco, comparve un sorriso triste. «Non lo so. Non abbiamo informazioni sicure. Non sappiamo nemmeno quanti di noi abbiano già riparato in Francia. L’unica cosa certa è che al momento passano il confine solo donne, bambini e uomini anziani. I soldati come me vengono respinti». «Cosa? Perché allora siete qui tu e gli altri?». «Per proteggervi e aiutarvi finché non sarete in Francia, poi torneremo indietro a cercarne altri». María osservò lo sguardo triste dell’uomo. Si strinse nella coperta e si sedette con le mani tese verso il fuoco. All’improvviso l’urlo disperato di un ragazzino squarciò la notte. María fu percorsa da un brivido violento. «Non spaventarti» disse Juan, mettendole una mano sulla spalla. «È solo il piccolo Felipe. I suoi genitori sono stati uccisi sotto i suoi occhi dai Nacionales e da allora ha degli incubi terribili quasi tutte le notti». «Come è arrivato qui?». «Suo nonno, è l’unico parente che gli è rimasto» rispose, indicando dall’altra parte del fuoco. María vide un anziano, nella penombra, accarezzare la testa del ragazzino che non riusciva a smettere di piangere. Juan alzò il viso al cielo. La neve ora cadeva abbondante. «Dovevamo perdere questa guerra in agosto» sussurrò. María allungò le gambe e iniziò a massaggiarsi le cosce doloranti. «Non metterti troppo comoda, dobbiamo prepararci a partire. Bisogna varcare le montagne prima di domani». Aiutò Juan a svegliare tutti. Fecero una colazione frugale, bevendo una strana brodaglia calda che Dolores si ostinava a chiamare caffé. Si misero in marcia prima che il sole sorgesse. La neve stava lentamente coprendo la strada, trasformando il terreno in una palude fangosa. L’eco di un rombo sordo e minaccioso emerse da lontano. All’improvviso tutti si misero a correre verso il bosco. María non capiva cosa stesse succedendo. Le gambe le erano diventate pesanti e la testa si era svuotata di colpo. Il rumore si avvicinava velocemente, sovrastando le urla dei suoi compagni. Qualcuno la sollevò
24 da terra e la trascinò nel bosco. Tra le chiome degli alberi comparvero minacciose le sagome di due aerei. Fecero un giro sopra i resti del bivacco e poi si diressero verso la foresta, sparando alla cieca tra le foglie. María si mise istintivamente le mani sulla testa, sentiva il cuore battere forte contro il terreno ghiacciato. L’attacco sembrò durare un tempo infinito. Il rombo degli aerei si allontanò rapido così com’era arrivato. I profughi iniziarono ad alzarsi lentamente. Le madri tentavano di consolare i figli che piangevano. Iniziarono a guardarsi attorno per controllare se ci fossero dei feriti. Il piccolo Felipe era inginocchiato davanti al corpo immobile del nonno. Juan corse verso di lui. Il vecchio era sdraiato a terra con gli occhi sbarrati e il ventre squarciato da una raffica di proiettili. L’uomo prese il ragazzino tra le braccia e lo allontanò dal cadavere. «Tienilo qui» sussurrò, consegnandolo a Dolores. María corse verso Juan. «È morto?». «Sì, non avvicinarti». «Dobbiamo seppellirlo». Lui le lanciò un’occhiata sprezzante. «Con cosa? Non abbiamo né pale né picconi e il terreno è gelido». «Non possiamo lasciarlo così». Juan la prese per un braccio e la trascinò via. «Piantala. Dobbiamo andarcene subito, potrebbero tornare». Il gruppo si rimise in marcia. Juan si era caricato Felipe sulle spalle. Il bimbo aveva lo sguardo perso nel vuoto. Non aveva emesso un suono, non aveva versato una lacrima. Camminarono per quasi otto ore senza fermarsi. La strada ben presto si trasformò in un sentiero ripido. La neve, spinta dal vento, graffiava le guance. Nessuno aveva voglia di parlare. Il raid aereo aveva scosso i nervi di tutti. Le donne piangevano in silenzio. Un uomo iniziò a cantare nel tentativo di distrarre i bambini dall’orrore che stavano vivendo. All’improvviso Juan fece cenno di fermarsi. Estrasse dalla tasca una piantina scritta a mano e la osservò in silenzio.
25 Dolores gli si avvicinò. «Dobbiamo fermarci un po’ per riposarci e mangiare. Siamo allo stremo, non resisteremo ancora per molto». Lui scosse la testa. «Non qui, fa troppo freddo e non possiamo sederci. Distribuisci un po’di cibo lo mangeremo camminando. Dovete varcare il confine prima che faccia buio». María aiutò le altre donne a dividere gli ultimi pezzi di pane rimasti. Mangiarono in piedi e ripresero la marcia, in silenzio. Juan teneva gli occhi fissi sulla cartina. Il cielo si stava facendo grigio. Rimanevano solo un paio d’ore di luce e poi il buio li avrebbe inghiottiti. María osservò Juan. La responsabilità di quel gruppo di disperati era tutta sulle sue spalle. Accelerò il passo e lo raggiunse in testa alla fila. «Dove siamo?» chiese, indicando la cartina. Lui alzò lo sguardo su di lei. Aveva gli occhi pieni di lacrime. «Guarda» disse, indicando davanti a sé. Una moltitudine di disperati avanzava lenta. I più fortunati erano a dorso di mulo, ma la maggior parte si trascinava a fatica nel fango. «Unitevi a loro» disse. «Arriverete alla frontiera». María tentò di trattenerlo per un braccio, ma lui si divincolò di scatto e corse verso la coda del gruppo. Lo vide parlare con gli altri soldati. Lentamente consegnarono le provviste e le coperte che portavano in spalla alle donne più forti. Alcuni di loro baciarono mogli e figli in lacrime che cercavano di trattenerli inutilmente. Il gruppo rimase immobile finché gli uomini sparirono lungo il sentiero. María si appoggiò una mano sullo stomaco percorso da un crampo. «Coraggio, siamo arrivati» urlò Dolores, caricandosi un fagotto sulle spalle. «Andiamo, siamo salvi ormai». Si misero nuovamente in marcia, infilandosi dentro la calca umana che spingeva alla frontiera.
26
Mont Louis 30 gennaio 1939 Avanzarono tra la folla. In lontananza s’intravedevano uomini armati addetti al controllo della frontiera. Nessuna pietà traspariva dai loro volti. Spingevano avanti quella marea di corpi cenciosi con un’espressione di mal celato disgusto. Alcuni schernivano i più anziani con battute e spintoni. All’improvviso un uomo cadde, colpito dalla canna di un fucile. Il soldato che lo aveva percosso gli stava urlando qualcosa. María si lanciò verso di lui e lo aiutò ad alzarsi. Alcune donne si erano messe tra il soldato e la sua vittima tenendo i pugni alzati. Il militare continuava a urlare in francese, indicando la sua mano. María si voltò verso di lui. Stringeva qualcosa nel pugno chiuso. Lei gli prese la mano e lo convinse ad aprirla. L’uomo aveva il volto rigato di lacrime, aprì il pugno e un piccolo mucchietto di terra scivolò rapido tra le sue dita. «Era solo la terra del mio paese» sussurrò tremando. «Non puoi portarla, vecchio» sibilò il francese. María avrebbe voluto ribattere, ma venne travolta dalla folla e spinta in un angolo assieme ad altre donne. Un individuo con il camice da medico le fece aprire la bocca e la osservò rapidamente. Annotò il suo nome in un libro e poi le diede due pillole bianche, indicandole d’inghiottire. Lei rimase immobile con le pastiglie in mano. «Cosa sono?» chiese. L’uomo la fissò inespressivo, senza rispondere, e fece cenno a un soldato di avvicinarsi. María lo vide alzare la canna del fucile e si preparò a ricevere il colpo, ma non accadde. Dolores aveva bloccato il braccio dell’uomo. «Prendile, dicono che siano un vaccino». «Vaccino? Perché? Cosa credono che siamo, animali?» «Prendile» urlò Dolores continuando a fronteggiare il soldato. María inghiottì le due pillole e si rimise in marcia, spinta avanti dalle urla incomprensibili dei militari.
27 Dolores si stava guardando attorno agitata. «Cosa ti avevo detto? Non sembrano felici di averci qui» disse, indicando l’artiglieria schierata attorno a loro. «Sono preoccupata per il piccolo Felipe» continuò, «l’ho perso tra la folla». Superati i controlli, i profughi furono ammassati in una spianata arida, sferzata da un vento gelido. Trascinati e insultati come criminali. María si guardò attorno spaventata. Una moltitudine di persone si estendeva a perdita d’occhio. Molti erano accovacciati sul fango, esposti alle temperie e al gelo. Alcuni avevano costruito dei rifugi di fortuna con delle coperte. María si avvicinò a un anziano seduto su un sasso. I suoi occhi tristi fissavano il terreno. «Perché siete tutti seduti fuori al freddo? Non ci sono ripari?» chiese María temendo di conoscere già la risposta. L’uomo scosse la testa. «E bagni?». L’anziano alzò lo sguardo, un sorriso amaro gli tagliava in due la faccia. «Niente bagni, né docce, né cibo caldo, né baracche o capanni in cui ripararsi, né nessuna altra cosa che ti possa venire in mente. Se devi farla, falla laggiù» disse, indicando una latrina a cielo aperto. María fu sopraffatta da un profondo senso di sconforto. Era chiaro che non erano i benvenuti in Francia. Un tocco lieve le sfiorò la spalla. Dolores le stava porgendo un pezzo di pane. «Mangia, mi hanno detto che è tutto quello che ci danno per ora. Resta qui. Vedo se riesco a recuperare una scatola di sardine, ne ho viste un paio in giro». María addentò il pane insipido e raffermo, fissando una donna che cercava di nascondersi dietro un sasso per fare pipì. La notte scese inesorabile prima che lei e Dolores riuscissero a trovare un posto asciutto. Vagando per il campo si erano imbattute in una piccola tettoia che fungeva da riparo. Si sedettero, cercando di rilassarsi, fino a quando un efficiente soldato le cacciò, urlando in spagnolo che quel posto era riservato alle donne con bambini. Così presero le loro coperte e si accovacciarono sul terreno gelido, stringendosi l’una all’altra per scaldarsi.
28 «Sapevo che non avrebbero steso il tappeto rosso» sibilò Dolores sputando per terra, «ma non pensavo che sarebbero arrivati a tanto». María chiuse gli occhi. «Forse è una sistemazione provvisoria, domani…». «Ho parlato con due donne prima, sono qui da tre giorni». «Tre giorni, non è possibile» sussurrò María, lasciandosi scivolare sulla coperta. Si sentiva esausta. Voleva solo dormire, cadere in un sonno profondo e senza sogni. All’improvviso un tepore morbido accarezzò il suo corpo. Aprì gli occhi, era ancora notte. Un gruppo di persone si era seduto a un metro da loro e aveva acceso un falò. Stavano tentando di affettare qualcosa. Uno degli uomini attorno al fuoco le fece cenno d’avvicinarsi. María svegliò Dolores e si sedettero ai bordi del falò. «Siete arrivate oggi?» chiese, allungando un paio di fette di salame. «Sì, poche ore fa. Dove lo avete preso?» chiese María, stringendo il salume tra le dita. «Lo abbiamo rubato in una fattoria qui vicino assieme alla legna» rispose una donna dall’altra parte del fuoco. María guardò il campo, alcuni fuochi illuminavano la notte. «È l’unico modo per scaldarsi. Abbiamo preso anche del pane» sussurrò, estraendolo da sotto il cappotto. «Prendetene un pezzo, vi servirà». María masticò lentamente quella pagnotta ancora morbida e profumata. Erano mesi che non mangiava un pane così. «Da quanto siete qui?» chiese. «Siamo arrivati due giorni fa. Veniamo dall’Andalusia, è stato un lungo viaggio. Quando siamo partiti eravamo una cinquantina, ma quando siamo arrivati qui eravamo poco più della metà». «Cosa succede poi? Come sono organizzati?». «Organizzati? Sono tutto tranne che organizzati» disse un uomo dall’apparente età di sessant’anni, addentando con rabbia il pezzo di pane. «Ogni tanto fanno dei gruppi e li vediamo partire a piedi. Non ci dicono dove vanno. Per quel che ne sappiamo è possibile che ci rimandino indietro». Quella notte María non riuscì più ad addormentarsi. Il freddo era pungente e aveva ricominciato a nevicare. Rimase accanto al fuoco
29 morente fino al sorgere del sole, poi decise di alzarsi per andare a cercare Felipe. La luce tenue dell’alba le mostrò tutto l’orrore di quella situazione. I malati e i feriti erano stati abbandonati a loro stessi. Vide un uomo inginocchiato a fianco a una donna sanguinante. Un taglio profondo le squarciava un braccio. L’uomo stava tentando di sistemare una fasciatura ormai logora e sporca. «La benda è vecchia» sussurrò María, chinandosi per aiutarlo. «Non posso farci niente» sibilò rabbioso, senza nemmeno guardarla. «Nessun medico francese si occupa di noi. E a quelli spagnoli come me rifiutano disinfettanti e fasciature. Lo fanno apposta. Ci lasciano qui e aspettano». «Aspettano cosa?». «Che la fame, il freddo o le infezioni ci uccidano». María si alzò e continuò la sua macabra passeggiata. Vicino alla latrina notò una giovane madre che cullava il suo bambino e si avvicinò. Appena le fu accanto, vide con orrore che il piccolo aveva le labbra livide e non respirava. Un lampo di follia attraversò lo sguardo della madre. María corse via, alla ricerca di un angolo nascosto. Si appoggiò a un albero, sentì lo stomaco contorcersi in uno spasmo feroce e vomitò. S’inginocchiò nel fango e scoppiò a piangere. Per il resto della giornata e la notte seguente María non riuscì né a mangiare né a dormire. Ogni volta che provava a chiudere gli occhi le appariva il volto esangue del neonato. Dolores aveva tentato in tutti i modi di farla reagire. Aveva anche provato a trascinarla con sé alla ricerca di Felipe, ma non aveva ottenuto nessuna risposta. All’alba del terzo giorno un paio di soldati si avvicinarono alle due donne e fecero cenno di seguirli. Nessuna di loro aveva capito cosa volessero. María rabbrividì, ricordando di colpo il tedesco che l’aveva stuprata. Le mancò il respiro. Non aveva più ripensato a quell’episodio. D’istinto si premette una mano su una coscia. I lividi non le facevano più male e l’occhio stava guarendo in fretta. Incrociò lo sguardo del soldato che camminava accanto a lei. Lui la fissava disgustato come se fosse spazzatura. María si strinse nel cappotto.
30 Era consapevole di essere sudicia e poco attraente, ma tutto sommato poteva essere un vantaggio. Dopo mezz’ora furono aggregate a un gruppo di circa cento persone diretto fuori dal campo. La maggior parte erano donne con i loro figli, ma c’erano anche alcuni anziani. María riconobbe il vecchio che aveva visto il primo giorno. Dolores tentò di chiedere dove fossero diretti, ma nessuno dei militari la degnò di una risposta. Attraversarono il paese a piedi tra gli insulti degli abitanti. «Ci odiano» sussurrò Dolores con voce rotta. «Per loro non siamo esseri umani, ma solo un problema da risolvere». María non rispose. «Non siamo riuscite a trovare Felipe in quell’inferno» continuò l’anziana come parlando tra sé. «Speriamo che Dio lo protegga». Camminarono per quasi un’ora. Un silenzio colmo di disperazione e angoscia li accompagnò fino a che raggiunsero una piccola stazione ferroviaria. Lì, quella massa sudicia e logora fu spinta su un treno. Alcuni anziani tentarono di ribellarsi e ottenere spiegazioni, ma ricevettero in cambio solo insulti e percosse. Il convoglio rimase fermo in stazione per un tempo che sembrò interminabile, ma almeno ora potevano sedersi all’asciutto e i vagoni erano un ottimo riparo dal freddo. All’improvviso un gruppo di donne francesi comparve sulla banchina. Alcune di loro portavano ceste di pane appena sfornato. Si avvicinarono al treno per offrirlo ai rifugiati. Gli occhi di madri e mogli francesi incrociarono quelli di madri e mogli spagnole, senza dire una parola. Alla fine le porte dei vagoni vennero chiuse e il convoglio si mise in moto lentamente. Il viaggio fu lunghissimo e scomodo, ma i rifugiati sembravano non accorgersi di niente. Una strana euforia si era impossessata di loro. Le donne cantavano e gli anziani raccontavano favole ai bambini. Dopo più di dieci ore di viaggio il treno iniziò a rallentare. I profughi si affacciarono ai finestrini, ma non videro nulla. Il sole era già tramontato da ore e si sentiva solo il rumore di una pioggia battente che frustava i vagoni. Si fermarono. Un cartello sul muro informava
31 i passeggeri che erano arrivati alla stazione di Limonges. L’orologio appeso alla parete segnava le diciannove e trenta. Scesero. La pioggia e un vento gelido li costrinsero a stringersi nei loro abiti logori. Si guardarono attorno spauriti. La piccola stazione era completamente vuota. Solo un gruppo di uomini con uniformi militari aspettava sotto la pensilina. Appena videro comparire il gruppo di profughi si lanciarono contro di loro e li spinsero verso alcuni autobus vecchi e arrugginiti. I profughi si guardavano attorno allarmati. La serenità che li aveva accompagnati durante il viaggio in treno li aveva abbandonati velocemente. La mancanza d’informazioni e il rude comportamento delle guardie li avevano spaventati. Il viaggio durò più di un’ora. I sedili dell’autobus erano di legno e molti avevano delle profonde scheggiature che graffiavano le gambe a ogni sussulto della strada. I passeggeri avevano perso la voglia di parlare e sorridere. María guardava distrattamente fuori dal finestrino. Il paesaggio monotono era caratterizzato da un’interminabile distesa di prati intervallata da qualche albero e da sparuti gruppi di case. Un bimbo iniziò a piangere, rompendo il silenzio ruvido che era sceso tra loro. Un soldato seduto davanti si voltò e fissò inespressivo il bambino in lacrime. Un altro sbatté con forza il calcio del fucile sul pavimento. La madre lo prese tra le braccia e gli tappò la bocca con una mano. Dopo circa mezz’ora, le case cominciarono a moltiplicarsi e la strada divenne più larga e battuta. Aveva smesso di piovere e la luna si stava facendo largo timida tra le nuvole. Passarono di fronte a una chiesa e a un paio di edifici più alti. I fari del pullman illuminarono velocemente un cartello stradale. María riuscì a leggere il nome scritto sopra Magnac Laval. L’autobus imboccò un piccolo viottolo in salita e all’improvviso si fermò su un piazzale di ghiaia davanti a un enorme edificio scuro. )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD