In uscita il / /2019 (1 ,50 euro) Versione ebook in uscita tra fine IHEEUDLR e inizio PDU]R 2019 ( ,99 euro)
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SARA ZATELLI
CONDANNA
ZeroUnoUndici Edizioni
ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ CONDANNA Copyright © 2018 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-281-2 Copertina: immagine Shutterstock.com Prima edizione Febbraio 2019 Stampato da Logo srl Borgoricco – Padova
Dedico questo libro a mio marito, costretto alla lettura, per averlo definito una bella scenografia. Ai miei figli, sempre nei miei pensieri.
Un ringraziamento speciale a Bago, che ha miracolosamente ripescato il testo da un computer che aveva deciso di relegarlo all’oblio.
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PROLOGO
Tradimento. Questo era il reato. Non c’era bisogno di una giuria, tantomeno di testimoni. Lui era il Giudice e aveva emesso la sua sentenza: Morte. Il reato era reiterato, di prove ne aveva a bizzeffe, testimoni i suoi occhi: tradimento ripetuto con uomini diversi. Non era amore, non era disperazione, non c’era niente che potesse chiamarsi sentimento, se non forse un senso di ripicca. A lui non interessava il motivo, aveva sopportato abbastanza, la misura era colma. Aveva già tutto chiaro in mente, ogni mossa, ogni dannatissimo particolare. Sarebbe finita, una volta per tutte. Questa certezza lo spingeva avanti, oltre la sua stanchezza, oltre alla sua disillusione. Basta. Era giunto il momento, il Boia non si sarebbe fermato.
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CAPITOLO 1
Quando sentì la chiamata era entrato in servizio da appena un’ora. Era uscito da casa sua con un forte cerchio alla testa e aveva ancora in bocca il gusto della bustina che aveva sciolto sotto la lingua. Medicine, veleno… La radio gracchiò interrompendo i suoi pensieri, mentre l’auto passava lenta davanti al Bar malfamato che voleva controllare. Quando sentì il codice ripetuto più volte, si disse che quel benedetto Bar poteva aspettare un’altra sera, tanto di roba ne avrebbe trovata sempre, nascosta da qualche parte e prima o poi avrebbe individuato una partita simile a quella che aveva spedito il Pellegrino nel mondo dei più. Quel caso era lampante, era come se i colpevoli portassero in testa una scritta al neon che diceva Siamo stati noi, per cui poteva aspettare. Girò la macchina, facendo inversione in mezzo alla strada, tirò fuori il lampeggiante con il tipico ghigno dell’uomo che comanda il mondo e lasciò che le ruote superassero abbondantemente la linea del marciapiede. Non c’era
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nessuno da impressionare a quell’ora, ma quel gesto gli dava comunque una sorta di soddisfazione, una piccola rivalsa contro il mondo che non aveva più rispetto nemmeno per le cosiddette Forze dell’Ordine. Di ordine in quella maledetta città ce n’era davvero poco e quel poco spesso nascondeva del marcio da qualche parte. Suonò il clacson mentre superava il semaforo lampeggiante e svoltò in una strada laterale, tra basse villette che un tempo rappresentavano la parte lussuosa di un quartiere ormai ridotto in sfacelo. Frenò di colpo dietro a un’auto di pattuglia e scese frugandosi nelle tasche. «Ispettor Clouseau» disse sfoderando un sorriso ironico e mostrando il suo tesserino di riconoscimento. Quello era ormai il nomignolo con cui lo conosceva l’intero Corpo di Polizia e buona parte dei Magistrati della città, per la sua vaga somiglianza a Peter Sellers e la sua erre moscia tipica dei francesi. Il poliziotto al cancello fece un breve cenno e lo lasciò entrare, sforzandosi di non sorridere. La villetta era grigia, di quel grigio che solo la notte, l’assenza di luci e un lento e inesorabile declino sapevano donare. Le tapparelle alle finestre cadevano sbieche, rivelando la presenza di torce che si muovevano all’interno. Si disse che avevano fatto presto ad arrivare.
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«Buonanotte, Ispettore» gli urlò un poliziotto, intento a osservare il vano scala. La voce rimbombò cupa nella casa deserta e scarsamente arredata. Bruno avvertì un movimento alla sua destra e improvvisamente trovò la sua collega a sbarrargli l’ingresso del vano in cui aveva intravisto le luci. «Ciao Marta» disse lui con un sospiro «ero in zona e ho pensato di venire a vedere cosa stava succedendo.» «È meglio che ti allontani» disse lei con la voce incrinata. Bruno la osservò, stupito dal suo tono e dai suoi modi. Marta era una persona efficiente e molto corretta, sempre cortese, soprattutto con lui. «Perché dici così?» le chiese avvicinandosi. «Non entrare» ordinò lei con voce stentorea. Lui allungò lo sguardo dietro di lei, ma nella penombra vedeva solo un letto e la sagoma di una persona che vi giaceva sopra. «Cosa c’è lì dentro che non debbo vedere?» chiese con forza. «Il problema è chi» sussurrò Marta, come se avesse visto un fantasma. Avevano visto molti cadaveri insieme, avevano esaminato scene imbarazzanti, provato insieme ribrezzo di fronte a
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crimini efferati, anche paura a volte, ma non la aveva mai vista con quello sguardo. «Chi c’è lì dentro?» chiese cercando di leggere il suo volto, che gli ricordava in quel momento quello della Sfinge, solo con una sfumatura leggermente più angosciata. «È meglio se ti allontani.» Lui si avvicinò ancora e arrivò a un passo da lei. «C’è qualcuno che ho minacciato, che ho arrestato, o che ho menato?» Aveva fatto tutte queste cose con diversi brutti ceffi, a volte anche contemporaneamente o in sequenza. «No.» «Qualcuno che conosco?» chiese con apprensione. Marta annuì. Non era un collega, altrimenti quel posto sarebbe stato già illuminato come un albero di Natale da tanti lampeggianti accumulati nel cortile. Se non era un collega il campo si restringeva paurosamente attorno a lui. «Vai via, è meglio» sussurrò Marta, con occhi imploranti. «No» disse lui e arrivò a pochi centimetri da lei. «Sarebbe meglio che tu non entrassi.» «Sono un sospettato?» «Santo cielo, no!» affermò lei con forza.
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«Allora posso entrare» disse appoggiandosi con il petto al braccio di Marta teso lungo la porta, che con quel gesto tentava di impedirgli il passaggio. Si fermò sulla porta, con lo sguardo dritto davanti a sé, mentre la torcia all’interno illuminava un viso che per lunghi anni aveva riempito i suoi giorni e le sue notti. Aveva gli occhi sbarrati, i capelli raccolti in una coda bizzarra e il corpo in parte scoperto. Le sue labbra tremarono. Mai avrebbe pensato di provare un’emozione così grande, così prorompente, così sconvolgente. Bruno sentì il suo cuore fermarsi per un momento, insieme al suo respiro, e sentì le gambe cedere. Alla fine era successo.
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CAPITOLO 2
La Stazione di Polizia era un continuo viavai di persone e sembrava un formicaio impazzito durante un incendio. Manuel Pozzati guardava la scrivania davanti a sé nel vano tentativo di scacciare l’immagine della moglie del collega stesa in quel letto con gli occhi sbarrati. Era stata Marta a identificarla. Sbalordita aveva guardato quegli occhi e aveva sussurrato con voce irriconoscibile: «È Elisabetta.» Quel nome era l’unica cosa che sapevano della moglie di Magi, uomo notoriamente riservato, che difficilmente raccontava loro particolari della propria vita. Ora toccava a lui interrogarlo e gli sembrava davvero irreale. «Sono qui» disse Bruno Magi sedendosi davanti a lui e osservando il caos che regnava su quella scrivania «usi il metodo Kepler?» Manuel lo guardò confuso. Era davvero inusuale che dopo lo shock subìto, Magi scherzasse sulle metodologie del loro superiore, ma forse era solo un modo per reagire a quanto
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era successo, per esorcizzare la realtà facendo finta che fosse un giorno qualunque. Manuel si morse le labbra, poi spostò alcune carte per fargli spazio, nel caso volesse appoggiarsi alla scrivania. «Io… io devo interrogarti» disse con un sospiro. «Sono qui per questo» rispose Magi con un sorriso triste. Manuel si domandò per l’ennesima volta perché aveva avuto la sfortuna di imbattersi proprio in quel caso e perché lo avesse fatto mentre era in coppia con la collega che più spesso aveva lavorato con Magi. Sbuffò. «Dai, non c’è problema» gli disse Bruno «prima cominciamo e prima finiamo. Prima mi escludete dai sospettati e prima potrò partecipare alle indagini.» Manuel lo guardò stupito. «Tu non potrai mai partecipare alle indagini.» L’altro sospirò. «Non ufficialmente.» «Dai cazzo, sai bene come vanno queste cose» si lasciò scappare. «Tu credi che me ne starò qui ad aspettare che voi pivelli compiate qualche stupido errore?» gli chiese mettendosi a sedere ben dritto sulla schiena.
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Bruno Magi era quello con maggiore anzianità di servizio in quel gruppo e aveva risolto il maggior numero di casi, la qual cosa non era scontato derivasse dalla prima. Magi era uno tosto, uno che aveva naso per le situazioni, uno che fiutava puzza di bruciato a miglia di distanza. Manuel lo sapeva, come sapeva che al suo posto avrebbe fatto lo stesso, avrebbe preteso di sapere tutto quello che c’era da sapere, sempre che fosse riuscito a superare lo shock. Magi era davanti a lui e aveva uno sguardo deciso, come se tutto il suo dolore si riversasse nella volontà di ottenere verità e giustizia. «Faremo il possibile per non commettere nessun errore» affermò con una smorfia. «Allora dimmi, cosa vuoi sapere?» chiese Bruno, ansioso di chiudere quella conversazione penosa, quello stupido eppure necessario interrogatorio, per potersi dedicare ad altro. Aveva ben altro da fare, lui. «Il soggetto identificato come Magi Bruno Maria…» disse Manuel mentre scriveva, poi si fermò «Maria?» chiese stupito. «Sì, ma se lo dici a qualcuno ti strozzo» rispose Bruno a bassa voce. «Ok» disse Manuel con un lieve sorriso stupito «coniuge della vittima, Elisabetta Fiorenzi.»
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«Esatto, da venticinque anni e due mesi» sottolineò Bruno. Manuel corrugò la fronte ma non trascrisse quel particolare. «Dove ti trovavi all’ora del…» Santo cielo, come poteva chiedere una cosa del genere a un uomo distrutto dal dolore e per giunta suo collega? «Decesso» concluse la sua frase Bruno «se non erro il medico legale l’ha collocata verso l’una.» «Sì, con una mezz’ora circa di scarto» rispose Manuel in automatico, poi si morse il labbro. «A mezzanotte e mezza sono entrato in servizio» dichiarò compito Bruno. «A mezzanotte e mezza? Che orario è?» chiese Manuel sorpreso. «Quella necessaria per una retata al Monkey» specificò lui e l’altro annuì. Manuel conosceva il caso, ne aveva sentito parlare più volte e sapeva bene che Magi aveva già praticamente in mano la soluzione. «E come è andata?» chiese incuriosito. «Cosa?» «La retata.» «Non l’ho fatta.» «E perché?»
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«Perché proprio mentre stavo per entrare ho sentito la vostra chiamata, chiedevate rinforzi.» «Noi sospettavamo qualcosa di più grosso» dichiarò Manuel, dandosi immediatamente dello stupido. Bruno glissò su quel commento. «Quindi sei venuto da noi» dedusse Manuel. «Certo. Bisogna darsi delle priorità. Il Monkey sarà caldo anche domani sera» spiegò Bruno. «Già» commentò Manuel laconico «testimoni?» «Di cosa?» «Dei tuoi movimenti.» «Ho comunicato con la centrale mentre arrivavo davanti al Monkey, poi di nuovo mentre venivo da voi.» «Comunicazioni precedenti?» Bruno lo fissò con sguardo duro. «Un dialogo con il mio gatto, mentre uscivo di casa» rispose con tono sarcastico. «Tua moglie non era in casa» dichiarò Manuel senza guardarlo negli occhi. «Ovviamente no» commentò lui. «Lo sapevi?» «Cosa?» «Che non era in casa.» Bruno strinse le labbra, poi sospirò.
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«Hai moglie tu?» Manuel fece una smorfia, sorpreso della domanda. «Quanti anni ha?» Manuel esitò per un istante, poi pensò che quell’uomo meritasse una risposta. «La mia compagna ne ha trenta, fa la supplente.» «Vuoi un consiglio da un vecchio? Ingravidala.» Manuel sobbalzò e guardò Magi a bocca spalancata. Doveva essere davvero sconvolto per parargli in quel modo. «Voglio dire… dalle un figlio, dalle qualcosa in cui impegnarsi fino in fondo, dalle un buon motivo per non allontanarsi mai dalla vostra casa, dalle qualcosa che le riempia la vita, perché questo fottuto lavoro ti porterà via molto più tempo di quanto puoi immaginare.» Manuel deglutì e distolse lo sguardo, cercando di fuggire da quel viso perso in un dolore troppo profondo. Si schiarì la gola, cercando il coraggio di ripetere la sua domanda: «Sapevi che tua moglie non era in casa?» «Sì.» La risposta era decisa, senza tentennamenti. «E…» «E ufficialmente era fuori con amiche» rispose Bruno senza attendere che Manuel formulasse la domanda «con amiche… non era la prima volta.»
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La voce di Bruno si spense, inseguendo i propri pensieri. Quella serie di tracce che lui aveva volutamente ignorato e che ora pesavano come macigni. «Tu non sapevi…» disse Manuel con un filo di voce. «Cos’è? Sospetti di me?» chiese Bruno con forza «sono stato un dannato stupido, va bene? Puoi farmene una colpa?» Manuel strinse le labbra e sospirò. Perché quell’interrogatorio era toccato a lui? «Va bene Magi, calmati. Sono le domande di rito, lo sai, le conosci» disse con tutto il tatto possibile. Bruno si accasciò sulla sedia. «Lo so, scusami.» Il suo sguardo puntò al pavimento e alle scarpe di Manuel allungate sotto la scrivania, erano scarpe da ginnastica bianche, qualcosa di assurdo da portare sulla scena di un crimine, dove i segni di ciò che è avvenuto ti si appiccicano addosso come se tu fossi un magnete irresistibile. Su quelle scarpe c’era polvere, la polvere di quella casa, probabilmente sotto la suola ancora qualche scheggia di quel parquet consunto. Che posto triste dove morire… un posto freddo, spoglio, vecchio e degradato, quasi come il peccato che vi era stato commesso.
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Osservò i piedi di Manuel dondolare per un attimo e capì che il collega era in profondo imbarazzo. Era normale, era capitato anche a lui. «Qual è la causa del decesso?» chiese, quasi che la cosa riguardasse qualcun altro. Vide le gambe di Manuel contrarsi e intuì che si stava mettendo ben ritto a sedere. «Non credo di potertelo dire e poi il medico legale non ha ancora fatto rapporto» disse Manuel esitando. «Balle» esplose lui, poi attenuò la voce e guardò Manuel negli occhi «tu sai già di cosa è morta. Verdini emette sempre una prima valutazione dopo aver visto un cadavere e in genere non sbaglia.» Manuel strinse le labbra. «Senti, possiamo parlare d’altro?» «Impronte digitali, ad esempio?» chiese Bruno. «Santo cielo, Magi, la vuoi smettere?» «Sai bene che non lo farò. Dimmi solo se ce n’erano.» «Anche troppe» si lasciò sfuggire Manuel. Bruno storse la bocca, poi rilasciò il respiro. «Bene, abbiamo finito? Sono escluso dalla lista dei sospetti?» «Non hai un grande alibi» commentò Manuel. Bruno fece un sorriso ironico.
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«Sì, fantastico. Non credi che se io avessi ucciso mia moglie mi sarei costruito un alibi perfetto? So come funziona, conosco ogni piccolo cavillo, non credi?» Manuel accusò il colpo. «Era solo per dire.» «Allora dillo pure, io non mi offendo, ma scrivi nero su bianco che io stavo lavorando all’ora del delitto, per cercare di ripulire questa città da tutto lo schifo che la sta infestando.» Manuel capì che Magi doveva essere davvero sconvolto, e in fondo poteva capirlo. «Lo scriverò» disse con un sospiro. «Grazie.» Bruno sorrise appena, poi si alzò in piedi barcollando lievemente. Erano parecchie ore che non riposava, ma sapeva che il sonno non sarebbe arrivato neppure se avesse chiuso gli occhi stendendosi sul suo divano. Tanto valeva rimanere in centrale, cercando di riordinare le idee. *** Clarissa era una ragazza magra, troppo magra per la sua statura, e aveva i capelli azzurro chiaro tagliati a caschetto a richiamare la pettinatura di una cantante pop che spopolava
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in televisione. Doveva essere a casa a quell’ora ma era fuori, a sfidare il vento con il motorino preso in prestito da Andrea, un motorino di circa vent’anni che inquinava il mondo con le sue emissioni puzzolenti. Arrivò alle Villette che era ormai buio e cercò di capire quale fosse il luogo dell’appuntamento, osservando i cartelli posti vicino alle recinzioni arrugginite. Spense il motorino, che faceva un baccano infernale, nonostante le sue ridotte dimensioni, e lasciò che continuasse a scivolare lungo l’asfalto con la spinta residua. Quando vide la macchina di Martinelli capì dove entrare e appoggiò il suo mezzo di trasporto lateralmente alla casa. A vederlo così il motorino sembrava fare parte del paesaggio da sempre, un rudere in mezzo ad altri ruderi, appoggiato a un muro ammuffito e crepato, in un cortile che sembrava un immondezzaio. Un sorriso crudele le salì alla bocca pensando che quel posto avrebbe dato i brividi alla maggior parte dei suoi coetanei. A lei essere lì invece dava un senso di eccitazione, di esaltazione. Lei era lì, non le sue compagne, quelle stronzette con la puzza sotto il naso che sbavavano palesemente di fronte a Martinelli e lo chiamavano professore con un’inflessione sinuosa. Loro se la sarebbero fatta sotto in un posto del genere.
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Guardò l’erba del giardino, incolta e selvatica, e pensò che era proprio in un giardino che aveva perso la sua verginità, con quell’imbranato di Andrea, due anni prima. Ne aveva imparate di cose sugli uomini da allora ed era sicura che Martinelli gliene avrebbe fatte imparare ancora molte altre. Qualcosa le si smosse dentro al pensiero del suo professore che l’aspettava con un nuovo gioco da imparare. Lei adorava gli uomini adulti, quelli con il senso del controllo, quelli che ci sapevano fare veramente. Non come Pitteri, il padre di Andrea, quello stronzo senza fantasia né forza sufficiente a dominarla. Sputò a terra al pensiero dei loro incontri nel garage, nei quali l’unica cosa davvero eccitante era la consapevolezza che i vicini potessero scoprire tutto. Aveva visto più volte le tendine delle loro finestre spostarsi per poi tornare a posto in un gesto veloce, aveva intuito l’aprirsi di vetri per cogliere eventuali suoni di accoppiamento. Ora quello era passato, ora lei aveva finalmente qualcuno che era degno della sua venerazione. Girò attorno alla casa e raggiunse la porta, cercando di intuire quale fosse la stanza. Un fremito di eccitazione la percorse quando la porta cigolò emettendo un basso stridio che rimbalzò sulle pareti spoglie. Era sola, era l’unica, era la prescelta.
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Sperò che il rossetto nero sulle sue labbra fosse ancora perfetto, perché sapeva quanto lo avrebbe eccitato, una volta sbavato sul suo corpo. Sorrise con se stessa, sentendo il languore pervadere il suo basso ventre e face qualche passo nel corridoio. «Vieni, mia diletta.» La voce le rimbombò dentro e, come un automa, la seguì con un largo sorriso stampato sulla faccia.
Fine anteprima. Continua...
INDICE
PROLOGO ..................................................................5 CAPITOLO 1 ..............................................................7 CAPITOLO 2 ............................................................12 CAPITOLO 3 ............................................................24 CAPITOLO 4 ............................................................33 CAPITOLO 5 ............................................................42 CAPITOLO 6 ............................................................56 CAPITOLO 7 ............................................................62 CAPITOLO 8 ............................................................87 CAPITOLO 9 ............................................................97 CAPITOLO 10 ........................................................107 CAPITOLO 11 ........................................................116 CAPITOLO 12 ........................................................122 EPILOGO ................................................................139Â