Così muore una colomba, Anna Maria Sdraffa

Page 1


In uscita il / /2019 (15, 0 euro) Versione ebook in uscita tra fine VHWWHPEUH e inizio RWWREUH 2019 (5,99 euro)

AVVISO Questa è un’anteprima che propone la prima parte dell’opera (circa il 20% del totale) in lettura gratuita. La conversione automatica di ISUU a volte altera l’impaginazione originale del testo, quindi vi preghiamo di considerare eventuali irregolarità come standard in relazione alla pubblicazione dell’anteprima su questo portale. La versione ufficiale sarà priva di queste anomalie.


ANNA MARIA SDRAFFA

COSÌ MUORE UNA COLOMBA


ZeroUnoUndici Edizioni

ZeroUnoUndici Edizioni WWW.0111edizioni.com www.quellidized.it www.facebook.com/groups/quellidized/ COSÌ MUORE UNA COLOMBA Copyright © 2019 Zerounoundici Edizioni ISBN: 978-88-9370-337-6 Copertina: immagine Shutterstock.com


A Massimo PerchĂŠ mi mancheresti anche se non ci fossimo conosciuti

Â


Â


5

PROLOGO

Giugno 1960 Alle sue spalle alcuni bambini si rincorrevano. Ne sentiva le urla, le risatine, i richiami delle madri, ora severi, ora ansiosi. Le aveva viste arrivando: due donne grassocce che cercavano refrigerio al verde del parco dell’Acquasola. Non si schiodavano dalla panchina, esauste com’erano per il caldo torrido di quei primi giorni d’estate, ma con voce stridula inseguivano gli scatenati rampolli. Lei non si girò a guardarle. Teneva gli occhi fissi verso il laghetto, dove una famigliola di cigni scivolava piano sullo specchio dell’acqua. La madre, maestosa e regale, tendeva il lungo collo arcuato. I piccoli la seguivano un po’ impacciati: erano grigiastri e dal becco scuro e facevano tenerezza con le loro penne ancora corte e arruffate. In un angolo, uno splendido cigno nero pareva fissarla. Restò immobile per qualche istante e poi dispiegò le ali. Rari ciuffi bianchi spiccarono nel piumaggio corvino, come le pennellate di un artista. La famigliola passò a pochi metri da lui e i piccoli, al suo confronto, parvero ancora più buffi. Lei li guardò divertita: sarebbero diventati bellissimi, pensò. Ma subito dopo, con un pizzico di malinconia, scosse il capo. Dopotutto non sempre i brutti anatroccoli si trasformano in cigni, e allora tanto vale che si rassegnino. Dalla cinta di ferro battuto che circondava lo stagno si alzò un volo di colombe. Le vide fragili e indifese rispetto alle creature principesche che parevano muoversi a pelo dell’acqua. Le seguì con lo sguardo, poi sbirciò l’orologio e sospirò. Gli scrutini sarebbero iniziati dopo mezz’ora ed era meglio avviarsi. Buttò il mozzicone e lo calpestò col piede, quindi estrasse dalla borsa un piccolo ventaglio e lo sventolò davanti al viso. Era incredibile come il caldo fosse piombato addosso in pochi giorni. Lanciò un’ultima occhiata al laghetto e s’incamminò verso l’uscita del parco. Era inutile pensarci ancora, ormai aveva deciso.


Â


7

CAPITOLO I

Quella sera di novembre un cielo minaccioso incombeva sulla città, con una coltre di nuvole gonfie che premevano all’orizzonte. Il mare ingrossava rabbioso le sue onde, che esplodevano spumeggianti sugli scogli. Il Commissario di polizia in pensione Corrado Sivori, di ritorno dalla passeggiata pomeridiana, sollevò il bavero dell’impermeabile per proteggersi dal vento umido. “È la stagione” pensò prendendola con filosofia, mentre attraversava la strada proprio di fronte a casa “abbiamo avuto un autunno fin troppo bello, finora…”. Quasi scontrò la cognata che usciva in fretta dal portone. Ne fu sorpreso. La sorella di sua moglie abitava dall’altra parte di Genova e raramente si spingeva fino a Priaruggia per far loro visita. «Ida!» esclamò contento di vederla. La donna ricambiò con un sorriso. «Ti ho aspettato finora, Corrado, ma purtroppo si è fatto tardi e devo rientrare. Che peccato!» «Che peccato davvero!» commentò Sivori sinceramente dispiaciuto «non sarei uscito se avessi saputo che passavi da noi.» «L’ho deciso all’ultimo momento. Pensa che ero venuta proprio per parlare con te.» «Con me?» Ne fu dispiaciuto. Non capiva cosa mai potesse desiderare la cognata, ma si sentì in colpa per averle fatto fare il tragitto a vuoto. «Perché non torni su? Puoi cenare con noi, così mi racconti.» «No, si è fatto tardi…» «Ma ti accompagno io col taxi, dopo cena…» La donna sorrise, ma scosse la testa. «Grazie, non è il caso. Ho già spiegato tutto a Matilde.» «Puoi dirmi almeno di cosa si tratta?» «È per la figlia dell’Emilia. Te la ricordi?»


8 Il nome lì per lì non gli disse nulla. Poi ricordò che proprio una certa Emilia era stata la migliore amica di sua cognata fin dai tempi della scuola. «Sì, mi pare. Le è successo qualcosa?» Ida esitò. A Sivori parve che indugiasse indecisa se aggiungere altro, ma in quell’attimo il tram della linea 15 sbucò sferragliando dalla curva di Capo San Rocco e la donna si affrettò verso la fermata. «Devo proprio andare! Ma vedrai che mia sorella ti racconterà ogni cosa.» Lo salutò con la mano. Sivori attese che il veicolo si fermasse e la vide salire. «Guarda se puoi aiutarci, Corrado!» aggiunse prima che le porte del mezzo si chiudessero davanti a lei. La curiosità del Commissario Sivori fu presto soddisfatta. La sera stessa, prima ancora di sedersi a tavola per cena, Matilde iniziò a fornire al marito un accurato resoconto della visita di sua sorella. Riportò con attenzione ogni dettaglio, e non parlò d’altro che di quel fatto che aveva sconvolto Ida al punto di spingerla a rivolgersi al cognato, contando sulla sua abilità investigativa. La cosa, a dire il vero, turbava parecchio anche lei. Elda Varaldi, figlia di una certa Emilia Cortese che aveva fatto le elementari con Ida e che era stata, per tutta la vita, la sua miglior amica, due giorni prima non era tornata a casa dal lavoro e da oltre quarantotto ore non dava notizie. «Scomparsa. Capisci Corrado? Scomparsa nel nulla!» S’infervorava nel raccontare, ma all’inizio Sivori era rimasto piuttosto scettico, così come i suoi vecchi colleghi della Questura di Genova, almeno secondo quanto riportato da Ida quel pomeriggio. «Non proprio nel nulla» osservò fra un cucchiaio e l’altro di minestrone «mi hai detto che ha lasciato un biglietto.» «Un biglietto molto strano…» «Sia come sia, sta a indicare che se n’è andata volontariamente.» La sola ipotesi indignò Matilde. «Volontariamente? La Elda? Ma tu te la ricordi?» «No, non molto» dovette ammettere l’ex Commissario. «Una ragazza che è un pane di casa! Ma dove vuoi che sia andata? Le è successo sicuramente qualcosa…» «Ragazza!» bofonchiò il marito «ma quanti anni ha la Elda?» «Trentotto.»


9 «E se non me li ricordo male, i vostri amici Varaldi erano un po’ oppressivi con lei…» Matilde si strinse nelle spalle. «Ma no… l’hanno fatta studiare, l’hanno sempre assecondata in tutto…» All’epoca il fatto che una donna si laureasse era un segno indiscutibile di emancipazione e se i genitori lo avevano consentito dovevano essere per forza di larghe vedute. Sivori sbuffò. «L’hanno fatta studiare perché, bruttina com’è, sapevano che nessuno se la sarebbe mai presa!» «Ma non dire così!» si scandalizzò la moglie. «Non sono io a dirlo. Quei due lo dichiaravano apertamente.» Matilde scosse la testa, ma dovette convenire fra sé che il marito non aveva torto. In effetti i Varaldi non avevano mai nascosto le loro perplessità circa il futuro della figlia, fin da quando questa era adolescente. Ricordava ancora l’imbarazzo provato in quelle rare occasioni in cui le capitava di frequentare gli amici della sorella. Davanti alla ragazzina, magra come un chiodo e piatta come un ombrello bagnato, se ne uscivano, sospirando, in commenti del tipo: «Eh, la nostra Elda deve studiare, perché quali altre soddisfazioni potrà avere, dalla vita?» «Comunque, a trentotto anni, una persona può allontanarsi da casa senza chiedere il permesso a nessuno» tagliò corto Sivori. Lei alzò gli occhi al cielo, incredula. «Ma pensi davvero che le cose stiano così?» «Ma certo che lo penso!» Aveva parlato bruscamente, ma lo sguardo deluso di Matilde lo fece pentire del suo tono. Le mise una mano sul braccio. «Hanno fatto quel che dovevano. Ne hanno denunciato la scomparsa. Ma non puoi pretendere che la Questura si attivi per cercare una donna di quasi quarant’anni che se n’è andata da casa spiegandone le ragioni!» «Elda non ha spiegato proprio niente.» «Ma non è vero! Stamattina i genitori hanno trovato un biglietto nella cassetta delle lettere!» «Maledetto biglietto! Non dovevano consegnarlo…» «Ma cosa stai dicendo!» brontolò Sivori «certo che dovevano consegnarlo!» Matilde storse la bocca in una smorfia amara. «Elda con quella lettera non ha scritto nulla che giustificasse veramente la sua partenza. Solo due righe per dire che si allontanava di sua volontà.»


10 «E ti sembra poco?» «Io non ci credo!» «Be’, che tu ci creda o no, per i miei colleghi della Questura è del tutto sufficiente per non cercarla.» «Che sciocchezza!» Matilde, disgustata, posò il cucchiaio nel piatto e lo allontanò da sé. Sentiva salire una rabbia che le chiudeva lo stomaco. Sivori sospirò paziente e tentò di spiegarsi meglio. «Stando così le cose la polizia non può intervenire, non è materia di loro competenza.» Pensava di aver chiuso l’argomento e di potersi dedicare in pace al suo minestrone, ma proprio in quell’istante vide un pericoloso lampo che attraversava lo sguardo della moglie. Tentò di bloccarla, ma lei era ormai lanciata. «La polizia no» convenne «ma tu potresti farlo.» Lo aveva capito fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, eppure alzò gli occhi al cielo e tentò una debole resistenza. «Andiamo! Sono in pensione, non ho i mezzi a disposizione per fare un’indagine…» Quel che gli fece capire di essere vicino alla resa fu la risatina sarcastica con cui Matilde reagì alla sua protesta. Le porse il piatto. «Dammene ancora un po’, va…» I brichetti1 della signora Sivori erano insuperabili e lo riconciliavano col mondo. Strizzò l’occhio alla moglie prima di rivolgere uno sguardo affettuoso al suo minestrone. «Domani facciamo una visita ai Varaldi» concesse rassegnato «ma non credere di scamparla, perché ti porto con me!»

1 Letteralmente

col pesto.

fiammiferi. Sono una pasta tipica da mangiare nel minestrone


11

CAPITOLO II

I Varaldi abitavano a Sampierdarena, in una bella palazzina in via G.B. Monti, che Sivori e la moglie raggiunsero il giorno successivo, nel pomeriggio. Fu la cognata di Elda ad aprire loro la porta, ma subito Emilia si affacciò dal soggiorno e scoppiò in lacrime, rifugiandosi fra le braccia di Matilde. Era una donna semplice, alta e robusta, con i capelli striati d’argento raccolti a crocchia sulla nuca. Il marito Michele, al suo confronto, appariva piccolo e magro. Grigio e stempiato, con gli occhi piccoli e un po’ infossati sotto un paio di sopracciglia cespugliose, aveva le spalle appena incurvate. Le labbra, sormontate da un paio di baffetti grigi, erano strette in una smorfia triste. Scambiarono alcune frasi di circostanza, poi i padroni di casa fecero accomodare i Sivori in un salottino le cui poltrone mostravano col velluto consunto i segni del tempo. Su due sedie sedettero Bruno, il fratello di Elda, e la moglie Iside. Matilde, con un po’ di cinismo, si ritrovò a pensare alla bizzarria della natura: il secondogenito dei Varaldi aveva preso la statura e il fisico vigoroso della madre che, se è vero che facevano di lei una donna un po’ dura e mascolina, davano invece a lui l’aspetto gradevole dell’atleta. Per contro, la povera Elda era il ritratto di quel padre minuto, col volto pallido e gli occhi spenti. In ultimo il suo sguardo si posò su Iside, che aveva incontrato solo poche volte prima di quel giorno. La cadenza del parlare ne tradiva le origini faentine e in tutto aveva l’esuberanza romagnola: il colorito acceso, il seno prosperoso, la gestualità marcata, persino un cenno di sorriso che si faceva strada fra le lacrime. «La ringraziamo così tanto di interessarsi della nostra Elda!» esordì Emilia rivolta a Sivori. Matilde, che si era seduta accanto a lei sul divano, le prese la mano e la strinse. «Spero di riuscire a esservi utile» osservò preoccupato l’anziano Commissario «ma ora voi dovete raccontarmi tutto quello che è accaduto, nei minimi particolari.» «Elda è sparita in una giornata proprio come le altre…»


12 Era stato Michele Varaldi a parlare, ma la moglie lo interruppe: «Al Commissario bisogna spiegargli tutto quello che è successo, altrimenti non ci può aiutare…» «E allora spiegalo tu, perché io non so proprio come prenderla, questa storia…» Sivori venne in suo aiuto: «Cominciate col dirmi in che giorno Elda è scomparsa e quando l’avete vista per l’ultima volta.» I familiari scambiarono un’occhiata smarrita. «È stato mercoledì, era il 16 novembre» precisò infine Bruno, con voce cupa «mia sorella è uscita da casa alle sette e venti del mattino.» «Abitate tutti qui?» s’informò il Commissario. «Sì. L’appartamento è grande…» «Continui.» «Dicevo che Elda e io abbiamo fatto colazione insieme, ma lei è uscita un po’ prima di me. Di solito il mercoledì inizia alle nove, ma quel giorno ci ha raccontato di dover sostituire una collega alle otto.» «Dove insegna?» «Dai Padri Barnabiti, a Manin. Il mercoledì lavora dalle nove alle dieci e poi di nuovo dalle undici a mezzogiorno, con un’ora di buco in mezzo.» L’istituto Agresti dei Padri Barnabiti2 era una delle migliori scuole private di Genova ed Emilia, con una punta di orgoglio, s’inserì nel discorso: «Ve lo ricordate, no? Mia figlia insegna matematica e fisica al liceo scientifico. È sempre stata bravissima!» La voce si incrinò in un singhiozzo, mentre Bruno riprendeva il suo discorso: «Quando sono tornato a casa, all’una, lei non era ancora arrivata, ed è strano, perché si impiega meno di un’ora da Manin a qui. Comunque non ci siamo preoccupati subito.» «L’abbiamo aspettata per un po’, poi abbiamo iniziato a mangiare perché Bruno alle tre doveva tornare in ufficio.» «Quando avete iniziato ad allarmarvi?» «Io alle due ero in pensiero» ricordò la madre «ma tutti mi tranquillizzavano, dicevano che ero esagerata…»

2

L’istituto citato è di fantasia anche se all’epoca, nella zona indicata, esisteva un’ottima scuola privata, retta da religiosi e frequentata dalla migliore borghesia della città.


13 Lanciò un’occhiata di rimprovero alla nuora che si sentì tirata in causa e protestò: «Non era la prima volta che Elda ritardava, le capitava di essere trattenuta a scuola oltre l’orario.» «Sono uscito nuovamente alle due e mezza» continuò Bruno «raccomandando a mia moglie di telefonarmi in ufficio quando mia sorella tornava a casa. Lei mi ha chiamato alle quattro, ma solo per dirmi che ancora non se ne avevano notizie.» «E non avete fatto nulla?» chiese Sivori sorpreso. Questa volta fu il padre a rispondere: «Verso le tre abbiamo telefonato alla signorina Balbi, che è la migliore amica di nostra figlia. Lavorano insieme.» «E cosa vi ha detto?» Emilia scoppiò in lacrime e Matilde le mise affettuosamente un braccio intorno alle spalle. «Ha detto di averla incontrata per l’ultima volta a mezzogiorno. Stava uscendo, ma il preside l’ha chiamata nel suo ufficio per comunicarle qualcosa, così si sono salutate. La signorina Balbi aveva ancora un’ora di lezione, da mezzogiorno all’una, ma quando è uscita dalla classe mia figlia non c’era già più.» «O perlomeno lei non l’ha vista» precisò Bruno. «Avete sentito il preside?» Emilia tirò sul col naso prima di rispondere. «Certo. L’ha chiamato Fiorenza, che sarebbe la signorina Balbi, e gli ha raccontato che noi eravamo in pensiero per Elda. Lui è stato gentile, ci ha telefonato subito dopo. Ma ha confermato che nostra figlia era uscita dal suo ufficio più o meno alle dodici e un quarto e che, per quanto ne sapeva lui, era diretta a casa.» «E poi?» incalzò il Commissario. «Dopo la telefonata di Iside sono rientrato precipitosamente» rispose per tutti Bruno Varaldi «abbiamo chiamato ancora un paio di colleghe di mia sorella, quelle di cui lei aveva segnato il numero sulla rubrica telefonica. Nessuna ci ha saputo dire nulla. Alle sette sono andato in Questura con mio padre a denunciare la scomparsa.» «La ricerca è stata attivata?» «Sì. Il funzionario con cui ho parlato è stato comprensivo, gli ho spiegato che è una donna puntuale, precisa, che non era mai accaduto che ritardasse neppure di mezz’ora, che non era il caso di aspettare le ventiquattr’ore di prassi.» Prese fiato. Era pallidissimo e contraeva la mascella. «Ma dopo è successo qualcosa, non è vero?»


14 Il giovane annuì mestamente. «Già. Non stanno facendo il loro dovere.» «Cosa glielo fa pensare?» «Non prendono sul serio la scomparsa di Elda.» «Avranno le loro ragioni» osservò Sivori, e Michele intervenne scuotendo la testa. «È stato per quel biglietto trovato nella cassetta delle lettere» spiegò. «Quando?» «Ieri.» «Posso vederlo?» «Purtroppo no. È ancora in mano alla polizia.» «Potete riferirmi quel che c’è scritto?» Fu il fratello a parlare. «Era solo una frase generica. Qualcosa tipo: Cari papà e mamma, vi prego di non cercarmi. Non intendo spiegare le ragioni del mio allontanamento, ma sappiate che ci ho riflettuto molto e non tornerò indietro.» «Nient’altro?» «Nient’altro.» «È stato spedito o recapitato a mano?» «È stato spedito. La busta era regolarmente timbrata e il timbro postale portava la data del 17 novembre, il giorno dopo la scomparsa.» «Qual era l’ufficio postale?» I quattro si guardarono con aria smarrita. «Non lo sappiamo» rispose per tutti Iside «forse Genova centro.» Dopo una breve esitazione Michele confermò: «Sì, Genova centro. Pare anche a me.» «Avete notato qualcosa di strano in quel biglietto?» Si aspettava la solita risposta vaga, invece la reazione dei genitori e del fratello fu immediata e nettissima. Saltarono su quasi contemporaneamente. «Il biglietto era scritto in stampatello.» La cosa doveva apparir loro molto curiosa e in effetti anche Sivori ne fu sorpreso. Il padre se ne accorse. «Sembra strano anche a lei, non è vero?» esclamò soddisfatto «è proprio quello che ho detto ai suoi colleghi della Questura.» «Effettivamente sì» convenne il Commissario. Emilia scosse la testa, sconsolata. «Lo abbiamo fatto notare, ma è anche vero che Elda aveva una brutta grafia, e per questo aveva preso l’abitudine di scrivere in stampatello il testo dei saggi in classe per gli studenti.»


15 «Abbiamo fornito un paio degli ultimi compiti preparati» aggiunse Bruno «e speriamo che venga fatta una perizia calligrafica. Ma intanto nessuno si sta muovendo.» Michele Varaldi fu categorico. «Io non ci credo che il biglietto lo abbia scritto mia figlia!» affermò. Sivori dovette ammettere con se stesso che anche a lui lo stampatello in una missiva ai familiari appariva insolito. L’unica possibilista fu Iside. «Talvolta, la mattina, Elda mi chiedeva di comprarle qualcosa quando uscivo per la spesa» ricordò col suo marcato accento romagnolo «e se mi lasciava un biglietto lo scriveva proprio così.» Emilia negò con un gesto sconsolato. «Era solo perché fosse più chiaro» osservò fra le lacrime. La giovane non sembrava convinta. «La scrittura era identica!» insistette, ma la suocera scosse il capo, cocciuta. «Io sono d’accordo col papà, quel biglietto non l’ha scritto lei!» Per qualche istante si udirono solo i singhiozzi che la madre tentava di soffocare premendo sulla bocca il fazzoletto. Seduto in poltrona, con la schiena china in avanti e i gomiti puntati sulle ginocchia, Michele teneva lo sguardo basso e i pugni chiusi. Sivori ne ebbe pena, ma non poteva prescindere dai fatti. «Insomma» tagliò corto «atteniamoci a quanto è accaduto. Ammettendo che sia stata vostra figlia a spedire quel biglietto significa che aveva pianificato la sua fuga, forse da tempo. Avreste dovuto notare qualcosa nel suo comportamento, almeno nei giorni precedenti.» Emilia saltò su, determinata. «Mi sarei accorta se avesse avuto in mente qualcosa» ribatté «mi creda, Corrado, non c’era nulla d’insolito che potesse insospettirci.» L’ex poliziotto si rivolse al resto della famiglia. «Voi confermate?» chiese. I due uomini annuirono con decisione. Solo Iside esitò, lanciando un’occhiata obliqua ai familiari. «Io credo che al Commissario dobbiamo raccontare tutto se vogliamo che ce la ritrovi» mormorò rivolta ai suoceri. Ci fu ancora un silenzio imbarazzato, rotto dall’intervento di Bruno. «Cosa intendi?» chiese aspro, ma Emilia lo zittì con un cenno della mano. «Ma sì, ma sì, racconta quello che vuoi, Iside. Lo so a cosa ti riferisci…»


16 Intanto scuoteva il capo, e non si capì se fosse perché non dava importanza a quel che si sarebbe detto o per rassegnazione. La ragazza si strinse nelle spalle. «Se pensate che non interessi…» «A me interessa tutto» precisò Sivori. Intuì un’occhiata d’intesa fra lei e il marito, ma proprio mentre stava per iniziare, Michele le tolse bruscamente la parola di bocca. «Erano schermaglie fra ragazze» spiegò come se parlasse di adolescenti «secondo mia nuora, Elda si era innamorata di qualcuno.» Il Commissario pensò che la sua spiegazione fosse un po’ affannata, poco naturale. «Di chi?» chiese. «Ma non lo so…» sbuffò il padre. Sembrava non voler dare importanza a quel particolare. Tuttavia si rivolse alla nuora: «Come si chiamava, Iside? Te lo ricordi?» «Come si chiamava non l’ho mai saputo, ma era un suo collega. Il professore di ginnastica, per la precisione.» «Quindi la Elda si era fidanzata…» osservò Matilde, inserendosi per la prima volta nel discorso, ma i due genitori si affrettarono a smentire. «Ma no, ma no… Mia nuora diceva che nostra figlia si era innamorata di quello lì, ma lei ci pativa…» Poi scattò, come se solo in quel momento realizzasse qualcosa di sgradevole. «Perché la tormentavi sempre con quella storia?» chiese rivolta a Iside. Lei si mostrò offesa. «Io non la tormentavo affatto! Le dicevo solo che non era il caso di morire dietro a quel bellimbusto che non l’avrebbe mai degnata di uno sguardo.» «E tu cosa ne sapevi?» le domandò il marito. «Ma andiamo… un tipo così…» «Lo conosce?» s’informò Sivori. «Lo abbiamo incontrato una volta a ferragosto, eravamo andate a prendere il gelato a Boccadasse e lui si stava rosolando al sole sulla spiaggetta. Un tipo che sembra Johnny Weissmuller…3» «Elda le ha detto di essersi innamorata di lui?» La donna negò con decisione.

3

L’attore americano che ha interpretato Tarzan, molto famoso dagli anni ‘30 agli anni ‘50.


17 «No, no… quando mai? Ma io l’ho capito benissimo che c’era qualcosa. Lei era imbarazzata e lui sembrava che giocasse al gatto col topo. E poi, andiamo… quest’estate sobbalzava tutte le volte che suonava il telefono, e si era fatta fare tre vestiti nuovi dalla sarta, prima che iniziasse l’anno scolastico. E il rossetto. Non lo metteva quasi mai!» «Oh, per un filo di rossetto» minimizzò Emilia. «Ne avete parlato alla polizia?» «Ma certo che no!» si scandalizzò Bruno «era una tale sciocchezza…» «La mia Elda non aveva grilli per la testa» tranciò Michele precipitosamente «pensava al lavoro e basta!» «Ma può essere che si fosse innamorata di qualcuno, no?» fece notare Matilde. Varaldi non abbandonò il suo punto di vista. «Mia figlia non si è mai innamorata di nessuno» ribadì come se fosse la cosa più naturale del mondo. La moglie si mostrò meno perentoria. «Può darsi che avesse qualche simpatia» ammise, come se la figlia fosse una tredicenne «ma non ce ne ha mai parlato.» «Nemmeno a lei?» insistette Matilde rivolta a Iside, ma la giovane fece un gesto di diniego. «No» rispose tristemente «se cercavo di affrontare la questione si chiudeva a riccio.» Bruno la rimproverò. Sembrava sempre più nervoso, si torceva le mani e fissava un punto sul pavimento. «È perché non avevi tatto!» esplose, ma Iside reagì risentita. «Potevi parlarle tu, che sei suo fratello. Almeno io ci ho provato a entrare in confidenza con lei…» Sivori decise di passare oltre. «Manca qualcosa nella sua camera?» chiese. «Nulla» rispose la madre, forse con eccessiva sollecitudine. «Avete controllato con attenzione? I vestiti sono tutti a posto?» «Certo! Era uscita per andare a scuola, non aveva di sicuro una valigia con sé… solo la borsa e una cartella in cui metteva i libri di testo e i registri.» «La polizia ha effettuato un sopralluogo nella sua stanza?» Conosceva già la risposta, che infatti confermò la sua previsione. «No.» Rifletté. L’angoscia di quella famiglia lo rattristava, ma pensava che ci fosse ben poco da fare se non attendere, e cercò di spiegarlo: «Dobbiamo aspettare qualche giorno, vedere quali saranno le conclusioni della polizia.»


18 «Potrebbe essere già tardi» protestò Bruno «a Elda è accaduto qualcosa di grave, ne siamo sicuri.» «Cosa vi aspettate da me?» Emilia gli si rivolse accorata: «Temiamo che la polizia non faccia nulla, Corrado. Ma lei di sicuro sa come si potrebbe agire. Lei saprebbe dove iniziare a cercare Elda.» «Non ho alcun titolo a farlo.» «La autorizziamo noi» si affrettò a chiarire Michele «se qualcuno si stupisce perché lei si interessa di questa storia lo dica a tutti: noi l’abbiamo autorizzata. Ne avremo ben il diritto, non è vero?» Sivori sospirò. In fondo era quel che si aspettava. «Vedrò cosa posso fare. Magari passerò da scuola, telefonerò in Questura, ho ancora molte conoscenze…» promise «farò il possibile, ma non vi garantisco nulla. Sono trascorsi meno di tre giorni dalla scomparsa di Elda, e avete ricevuto un messaggio firmato da lei. La polizia non può investire troppo nella ricerca di una donna di quasi quarant’anni che afferma che il suo allontanamento è stato volontario. Voi lo capite, non è vero?» Ci fu un lungo silenzio, rotto infine dalle flebili proteste di Emilia. «È da pazzi pensare che mia figlia sia scappata di sua volontà» gemette «lei l’ha conosciuta la mia Elda. È sempre stata una ragazza d’oro, senza grilli per la testa.» «Non pensava ad altro che alla scuola» rincarò Bruno e il padre si accodò con veemenza. «Non ha mai avuto un fidanzato, aveva pochissime amicizie… con chi potrebbe essersene andata?» «Non ci avrebbe mai dato un dispiacere così! A me, a suo padre…» Matilde, che fino a quel momento aveva seguito attentamente ogni parola dei familiari, indirizzò al marito uno sguardo triste. Lo vide intento a riempire di tabacco il fornelletto della sua pipa. Forse fu l’unica ad accorgersi che stava scuotendo lentamente, desolatamente, il capo.


19

CAPITOLO III

Pioveva. I tergicristalli dell’auto, muovendosi con ritmo monotono davanti ai suoi occhi, avevano un effetto quasi ipnotico. La strada si arrampicava grigia e tortuosa, snodandosi attraverso una campagna dai toni smorti, dove gli alberi tendevano i rami molli d’acqua e le case esibivano tristi facciate dall’intonaco fradicio e sbiadito. Raggiunse l’inizio del centro abitato, ma prima di inoltrarvisi voltò a sinistra, e dopo un breve percorso parcheggiò la macchina e proseguì a piedi lungo un tratto sterrato. “Rovinerò le scarpe” pensò infastidito, mentre i passi affondavano nel terreno melmoso. Sentiva il nervosismo crescere. Si era fatto trascinare in quella storia, ma più passava il tempo, meno era convinto di aver fatto la cosa giusta. A tratti pensava che avrebbe dovuto tirarsi indietro, parlare chiaramente e accettare tutte le conseguenze. Poi capiva che non era più possibile. Senza contare che lui, di quel denaro, aveva bisogno. Non dovette camminare molto. Dopo pochi minuti la casa in pietra gli apparve fra gli alberi, con la sua sagoma familiare. Giunse fino al cancello e lo spinse istintivamente, convinto di trovarlo aperto. Solo un istante dopo vide che era ancora bloccato dal lucchetto. Gli parve strano, ma tentò di darsi una spiegazione e di controllare l’ansia. Aprì, entrò nel cortile e lo attraversò fino all’uscio dell’abitazione. Bussò ma non ebbe risposta. Percepì che la sua inquietudine stava salendo alle stelle, ma si sforzò ancora di mantenersi tranquillo. “Non c’è nessuna ragione per agitarsi” si disse. Entrò nella cucina ampia e buia. Sentì che l’umidità gli penetrava nelle ossa e accresceva la sensazione di freddo. Le persiane chiuse, già notate dall’esterno, gli erano parse dapprima soltanto un’ulteriore precauzione, ma ora quel gelo lo preoccupò. La stufa non era accesa; passò nella stanza accanto, una specie di soggiorno raramente utilizzato. C’era un grosso camino in mezzo alla parete, ma era anch’esso spento e freddo.


20 Uscì e salì la scala esterna che conduceva alle camere da letto. Aprì nuovamente con la chiave. C’erano tre locali, tutti comunicanti fra loro. Li attraversò: erano vuoti. Nell’ultima stanza aprì la finestra, spinse la persiana e la vista si aprì sul monte di fronte, dalla vegetazione rossastra e incappucciato da nuvole nere e spesse. La pioggia cadeva incessante sul cortile, l’odore di chiuso e di muffa gli solleticava le narici. Non si capacitava di quanto gli stesse accadendo. Sedette sul lettuccio di ferro e rimase lì per un tempo interminabile, a giocare con la chiave, incapace di alzarsi, scendere le scale e tornare all’auto. Quel giorno stesso, al suo rientro a casa, Sivori telefonò ad Antonio Baretti, il Commissario che aveva preso il suo posto alla Sezione Omicidi della Questura di Genova. Non era la persona giusta da interpellare, ma l’anziano poliziotto aveva perso parecchi contatti con gli ex colleghi, e sperava che Baretti potesse indirizzarlo a qualcuno che fosse in grado di fornirgli delle indicazioni utili, se non altro qualche nota in più da riferire alla famiglia di Elda. Come si aspettava, il giovane collega gli rispose in modo disponibile e gentile, persino con quell’eccesso di deferenza che purtroppo lo infastidiva fin dai tempi in cui lavoravano nella stessa squadra. «Sempre ai suoi ordini, dottore» risuonò la voce di Baretti dall’altro capo del filo. Sivori riferì brevemente dell’allontanamento di Elda e della sua amicizia di vecchia data con la famiglia Varaldi. Quindi gli chiese se poteva metterlo in contatto con chi coordinava la ricerca delle persone scomparse. «Non ricordo neppure chi ci fosse ai miei tempi» dovette precisare «e probabilmente ora è anche cambiato.» «Sì» ammise Baretti «si tratta di un tale Silvio Ferrando, è a Genova solo da un paio di anni.» Sivori percepì una certa esitazione, e infatti dopo qualche istante l’altro aggiunse: «Non so se consigliarle di mettersi in contatto con lui. È un tipo permaloso, un po’ arrogante. Non vorrei che interpretasse il suo interessamento come un’intromissione.» Nulla di più facile, disse fra sé l’anziano poliziotto. Ma a voce alta aggiunse: «Tu non hai sentito nulla in proposito?»


21 «Qualcosa sì, ne ho sentito parlare proprio stasera da un collega, anche se non ho fatto troppa attenzione.» Sembrava che volesse mettere a fuoco qualche ricordo recente, perché indugiò. «Ma da quel che è giunto alle mie orecchie, direi che è un caso del tutto banale» stabilì infine «la donna si è allontanata di sua volontà, come testimonia un biglietto spedito alla famiglia. Le risulta, non è vero?» «Sì» dovette riconoscere « E’ vero che state attendendo i risultati di una perizia? Se fosse così …» Baretti lo interruppe: «Ah no, no… forse la famiglia non è ancora stata avvertita, ma il magistrato non ha ritenuto di procedere con la perizia. Ci sono chiari indizi che si tratti di fuga volontaria. E per quanto ci riguarda il biglietto è autentico.» Sivori sospirò. Per quanto avesse immaginato che quella sarebbe stata la decisione del giudice istruttore, sotto sotto aveva sperato in un esame più accurato del biglietto: in fondo quei caratteri stampatello non lo avevano del tutto convinto. Ma prevalse il sollievo: se gli inquirenti ritenevano che Elda avesse scritto di pugno la missiva, ciò significava che stava bene e non era in pericolo. Ripensò a ciò che aveva riferito la cognata circa la sua cotta per l’aitante collega di ginnastica. Forse si era cacciata in un’avventura che le avrebbe lasciato qualche cicatrice, forse se ne sarebbe pentita in futuro, ma almeno era viva. Intanto Baretti continuava a parlare: «Una sparizione come tante. Se vuole mi informo meglio, ma direi che si tratta di una vicenda semplicissima. Proprio in questo periodo si sono verificati altri casi, alcuni che si presentano ben più complessi.» «Immagino.» «Insomma, dottore» concluse il giovane Commissario «capisco il suo desiderio di aiutare la famiglia, ma direi proprio che devono arrendersi alla realtà.» Già, rifletté Sivori. Una realtà forse spiacevole da accettare, ma sempre meglio rispetto all’ipotesi che a Elda fosse accaduto qualcosa di grave. Le parole del suo ex collaboratore gli sembrarono più che mai concrete e di buon senso, tuttavia la promessa fatta ai Varaldi, o forse quel vago istinto del segugio che non lo aveva mai abbandonato, lo spinsero a insistere ancora con Baretti. «Hai ragione» riconobbe «eppure vorrei tentare di saperne qualcosa in più. Posso fare un salto da te nei prossimi giorni? Magari mi fai parlare con qualcuno che ha seguito questa faccenda…»


22 Come immaginava l’altro non insistette sulla sua posizione. «Secondo i suoi desideri, dottore» rispose col solito tono formale. Sivori lo ringraziò e riattaccò il telefono. Aveva la sgradevole sensazione di imbarcarsi in un’impresa del tutto inutile, ma ormai aveva promesso di occuparsene e non intendeva tirarsi indietro. Sarebbe passato dalla Questura, ma non subito: il giorno dopo era domenica, ma la prima cosa che avrebbe fatto il lunedì successivo era recarsi all’Agresti, come aveva preannunciato ai genitori di Elda. Avrebbe iniziato con una visitina al preside al quale avrebbe chiesto, fra l’altro, di presentargli quella specie di Johnny Weissmuller nostrano che, anziché volare appeso alle liane, si accontentava di frequentare le palestre del liceo e, forse, le zitelle bruttine ma ingenue e benestanti.


23

CAPITOLO IV

Sarà stato il ‘27 o forse il ‘28, ne ho un ricordo vago. Mia madre stava lavando i panni sul grande lavandino di marmo grigio, in cucina. Aveva accostato per me uno sgabello di legno davanti all’acquaio e mi aveva dato un pezzo di sapone da bucato con cui sfregare vigorosamente alcuni piccoli pezzi che mi passava. Era soltanto un gioco, ma io mi sentivo adulta e importante. La signora Maria, una vicina di casa, era seduta al tavolo e lavorava a maglia, e loro due chiacchieravano del più e del meno. Io non capivo tutto quel che dicevano, ma mi era chiaro che stessero parlando della Gina, la figlia del droghiere che era stata lasciata dal fidanzato. «Ed è già il secondo!» sospirava la signora Maria senza alzare lo sguardo dai ferri, ma scuotendo severamente la testa. Mia madre fece una smorfia, un po’ di compatimento e un po’ di riprovazione. Essere lasciate dal fidanzato sembrava una cosa terribile e io decisi che non mi sarebbe mai accaduto. Pensai, con gioia, che un giorno mi sarei sposata e avrei avuto dei figli. Avevo le idee molto chiare: ne avrei avuti quattro, due maschi e due femmine, naturalmente. Ma prima, ovviamente, mi sarebbe servito un marito. Lo volevo tale e quale al papà, però avrebbe avuto un lavoro importante e sarebbe uscito da casa alla mattina con la borsa di pelle, in giacca, cravatta e catena d’oro proprio come il dottor Mengoli del piano di sopra. Talvolta mi domando dove sono finiti i miei sogni, altre volte sorrido quando penso a quanto la mia vita sia lontana dalle mie illusioni di bambina. In certi momenti mi convinco persino che mi piaccia quell’essere così diversa dalle mie compagne d’infanzia, che ami quando mi chiamano «professoressa» o quando gli uomini si stupiscono per la mia cultura scientifica, ma capita anche che mi colpisca come un pugno in faccia la sorprendente consapevolezza che darei l’anima al diavolo perché il quadretto familiare che mi ero dipinta quel giorno fosse diventato realtà.


24 Talvolta mi torna alla mente con straordinaria intensità, e mi abbandono ancora a quel gioco infantile, come adesso. Allora penso a come sarebbe stato se lo avessi incontrato a vent’anni e lui fosse il padre dei miei figli mai nati. In quei momenti vorrei piangere, e invece, mio malgrado sorrido. Perché lui c’è. Senza la borsa di pelle e il panciotto, né tantomeno la catena con l’orologio. C’è con la sua cravatta allentata, i capelli un po’ spettinati, l’impermeabile logoro, ma soprattutto con l’irresistibile sguardo ridente negli occhi dai lampi dorati. Sento con straordinaria fisicità la stretta delle sue braccia intorno alla vita e il pizzicore della sua barba sulle gote. E penso che a tutto potrei rinunciare, ma non a lui. *** Il rettore dell’Agresti, Padre Bresciani, accettò di ricevere Sivori non appena seppe di che cosa si trattava. Era una bella figura di religioso, dall’aspetto ieratico e dai modi cortesi. Si mostrò addolorato per quanto accaduto alla professoressa Varaldi, ma dichiarò di non poter essere di alcun aiuto in quanto i rapporti con gli insegnanti venivano tenuti sostanzialmente dai Presidi delle diverse scuole comprese nell’Istituto, cioè medie e licei classico e scientifico. Spiegò che in merito a quest’ultimo la carica era ricoperta dal professor De Carli, a cui avrebbe immediatamente preannunciato la sua visita e che sarebbe stato certamente felice di collaborare. Detto questo congedò Sivori e pregò il suo segretario di accompagnarlo. Il Commissario percorse accanto all’uomo, pallido e allampanato, gli ampi corridoi della scuola fino a giungere all’ufficio del preside. Qui, dietro a una scrivania di legno intarsiato, sedeva il professor Aristide De Carli che, con una certa sorpresa di Sivori, era un laico. La sua figura massiccia troneggiava dietro al ripiano perfettamente pulito e in ordine, sul quale comparivano soltanto un sottomano di pelle, un portapenne antico, il tampone per la carta assorbente e due vaschette colme d’inchiostro, che la dicevano lunga sulla capacità di adattamento ai tempi del loro proprietario. Lui, il professore, aveva un bel viso austero, capelli bianchi ma ancora folti e piccoli occhiali rotondi cerchiati d’oro. Con un cenno indicò al visitatore la sedia di fronte alla scrivania. «Un fatto davvero increscioso» commentò non appena il Commissario chiarì meglio il rapporto con i familiari della donna scomparsa. «Lei è stato l’ultimo a incontrarla» osservò Sivori.


25 «Già» convenne pensieroso il preside «almeno così pare.» «Per questo la sua testimonianza è molto importante.» «Ne ho parlato con Padre Bresciani. Ci aspettavamo una visita della polizia, ma finora la scuola non è stata interpellata. Comunque, per quanto mi riguarda, se i genitori della professoressa Varaldi si sono rivolti a lei, sono ben lieto di collaborare.» «La ringrazio.» Aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse un pacchetto di sigarette STOP senza filtro, e un prezioso accendino ricoperto di madreperla. «Spero non le dia fastidio se fumo.» «Assolutamente.» Sivori ne approfittò per estrarre la pipa e il bastoncino per pulirla. «I Padri non approvano che fumi. Dicono che non è un buon esempio per i ragazzi.» «Ognuno ha i suoi vizi» ammiccò il Commissario e l’altro si concesse un sorriso stirato. Accese la sigaretta e aspirò. L’aria si riempì di un odore acre. «Sono dispostissimo ad aiutarla» ribadì «anche se dubito di poter essere utile.» «Talvolta la soluzione di un caso si nasconde dietro a particolari che sembrano insignificanti. Può dirmi qualcosa del vostro ultimo incontro?» De Carli si strinse nelle spalle. «L’ho già raccontato ai genitori: ho fatto chiamare la professoressa pregandola di passare da me prima di uscire. Abbiamo parlato non più di un quarto d’ora. Era piuttosto agitata, ma lei lo è quasi sempre. Forse un po’ distratta, questo sì. E anche molto ansiosa di uscire. Ma era normale, le lezioni le risultano faticose.» «Posso chiederle qual è stato il tema del vostro colloquio?» A Sivori parve che il preside si fosse irrigidito a quella domanda. «Nulla d’importante» rispose un po’ troppo precipitoso; poi, dopo una breve pausa, si corresse «o perlomeno nulla d’insolito» precisò con una punta di acidità. Sarebbe forse passato oltre ma, poiché il Commissario non staccava gli occhi dai suoi, si sentì costretto a una spiegazione: «La professoressa Varaldi è una brava persona e come insegnante può vantare una preparazione eccellente. Ma non sa tenere la classe, purtroppo, e più volte ho dovuto richiamarla al suo dovere di mantenere la disciplina.» «Quindi l’ha rimproverata?» «Le ho soltanto ricordato il ruolo che ricopre. Poco prima, passando nel corridoio, avevo sentito che i suoi studenti rumoreggiavano, come accade troppo spesso.»


26 «Le sue osservazioni l’hanno turbata?» Al preside sfuggì un sorriso ironico. «Non crederà che sia sparita per quello?» «No» ammise Sivori «ma vorrei sapere di che umore era, come ha reagito» «La professoressa Varaldi non reagisce mai. Caso mai ascolta. Annuisce. Al limite balbetta una scusa. Ma si comprende benissimo che con la testa è altrove. È rassegnata al fatto che la classe le sfuggirà sempre di mano.» «Non è una buona insegnante, quindi.» De Carli fece un piccolo cenno che Sivori interpretò come un assenso. «I suoi studenti sono quelli con la preparazione peggiore di tutta la scuola. Ho anch’io una laurea in matematica e fisica4, e talvolta entro nelle classi per accertarmi personalmente del livello dei ragazzi. Con la Varaldi, purtroppo, devo farlo spesso. Spero che le mie incursioni a sorpresa costituiscano se non altro un incentivo a studiare, perché se lascio fare a lei sono guai.» Il Commissario sospirò. Gli spiacque quel commento negativo su Elda. Non la vedeva da tempo, ma si intenerì al pensiero di com’era da bambina, piccola, magra, col musino da topo e gli occhi malinconici. Decise di passare ad altro. «Vorrei parlare, se possibile, con qualcuno dei suoi colleghi.» «Vedrò quel che posso fare» concesse il preside «naturalmente dovrò farla aspettare fino al cambio d’ora.» «Certo.» «C’è qualcuno in particolare che desidera sentire?» s’informò gentilmente. Sivori annuì. «La signorina Balbi, per esempio. So che è una buona amica di Elda Varaldi.» Il professor De Carli confermò con un vigoroso cenno del capo. «Si conoscono fin dai tempi del liceo. Una strana amicizia, se mi è consentito dirlo. Non potrei immaginare due persone più diverse fra loro.» Poiché l’altro taceva, fissandolo con interesse, dopo una breve pausa continuò: «La signorina Balbi è una donna di polso, energica e determinata. Un’ottima insegnante.»

4

Fino alla fine degli anni ‘50 esisteva un unico corso di Laurea in Matematica e Fisica, che venne poi sdoppiato prevedendo le due diverse attuali lauree in Matematica e in Fisica.


27 «E poi ci sarebbe il professore di ginnastica» proseguì Sivori. Il preside ne fu sorpreso. «Che strana richiesta! Comunque ne abbiamo due, con quale desidera parlare? A dire il vero nessuno di loro mi pare in confidenza con la Varaldi.» Il Commissario non aveva altro indizio per individuare l’uomo citato da Iside se non la presunta somiglianza con Johnny Weissmuller. Sperò che non fossero entrambi ugualmente prestanti. «Non ne conosco il nome» ammise «ma dovrebbe trattarsi di un bel tipo, uno di quelli che piacciono alle donne, muscoloso…» L’altro contenne a stento un sorriso sarcastico. «Credo si riferisca al professor Parodi. Posso chiederle perché le interessa parlare con lui?» Sivori evitò di rispondere direttamente e formulò a sua volta una domanda: «Lei ritiene che questo signore potesse avere… ehm… una qualche relazione con la signorina Varaldi?» Questa volta l’austero preside fu sul punto di scoppiare in una risata. «Lei scherza, spero…» disse sforzandosi, al contrario, di restare serio. Stava per aggiungere qualcosa ma Sivori l’interruppe: «Capisco a cosa sta pensando» ribatté nel tentativo di evitare commenti umilianti per la povera Elda «ma per quanto io possa ricordare la signorina è un tipo piuttosto… vulnerabile, ecco!» concluse dopo aver indugiato per cercare il termine più appropriato. L’espressione di De Carli immediatamente si indurì. «Lei sta insinuando che il professor Parodi abbia illuso la collega corteggiandola con secondi fini?» domandò irritato. L’altro si affrettò a tranquillizzarlo: «Non insinuo nulla, per carità! La mia era solo un’ipotesi.» «Del tutto infondata» ribatté gelido il preside. «Qualcuno aveva intuito una sua possibile… beh, diciamo simpatia, per il professore di ginnastica. Non c’è alcuna prova che le cose stiano proprio così, sia ben chiaro.» «Non lo escludo affatto. Quel che rifiuto categoricamente è che fra i due possa esserci stata una relazione di qualsiasi tipo.» La voce del preside era dura, quasi sprezzante. «I nostri insegnanti sono tutti di specchiata moralità» proseguì con sussiego «se dovessi scoprire che uno di loro mantiene comportamenti indecorosi non esiterei a farlo allontanare dalla scuola, mi creda.» «Il professor Parodi è sposato?» «No.»


28 «E allora non vedo cosa ci sarebbe di indecoroso se avesse fatto la corte alla signorina Varaldi.» «Non l’ha fatto.» «Bene» tagliò corto Sivori. Esaurita ogni disquisizione su Parodi, che a dispetto delle convinzioni del preside pensò comunque di ascoltare, cercò di saperne di più su ulteriori amicizie di Elda. «La signorina manteneva rapporti amichevoli con altri colleghi?» chiese. De Carli fu vago al proposito. «Non saprei» borbottò, ma non fu difficile capire che non solo aveva un’idea ben precisa, ma anche molta voglia di esternarla. Come faceva sempre in questi casi, Sivori restò in silenzio lasciandogli il tempo per decidersi a parlare. E infatti, anche questa volta, dopo qualche istante l’uomo buttò lì un nome. «Provi a sentire il professor Salice» accennò. «Di chi si tratta?» «Insegna filosofia» spiegò il preside. «La signorina Varaldi era in confidenza con lui?» L’altro si strinse nelle spalle. «Salice è uno scapolone sempre in cerca di una donna. Se vuole il mio parere, gli andrebbero bene un po’ tutte. Persino la Varaldi.» «E lei?» «Lei farebbe bene a non fare tanto la schizzinosa. Il professor Salice è un brav’uomo, cerca una moglie, non un’avventura.» Cercava di mantenere un atteggiamento distaccato, ma non riuscì a evitare un malcelato disprezzo. Sivori si domandò a cosa fosse dovuta l’evidente antipatia che nutriva per Elda. Aveva detto che non la riteneva una buona insegnante, è vero, ma gli pareva che ciò non bastasse a giustificare quell’ostilità nei confronti della poveretta che trapelava a ogni parola. «Il fratello ha riferito che quel giorno la signorina Varaldi aveva un’ora libera a metà mattinata.» «Può essere. Se è importante posso far verificare in segreteria.» «Gliene sarei grato. Se è possibile le chiederei un altro favore: pare che la signorina il giorno della sua scomparsa abbia sostituito una collega assente dalle otto alle nove. Lei potrebbe confermarlo?» Il preside annuì e diede un’occhiata al calendario. «Il 16 novembre era mercoledì» osservò prendendo un appunto. Sivori lo ringraziò e si schiarì la voce. «Un’ultima cosa, professore. Posso chiederle cosa fanno generalmente gli insegnanti quando hanno un’ora libera?» «Come posso risponderle? Dipende dall’insegnante…»


29 «A me interessa sapere cosa fa Elda, ovviamente.» «Credo che se ne stia chiusa in sala professori.» «L’ha fatto anche quel giorno?» «Suppongo di sì.» Il preside sembrava stupito e forse anche annoiato da quelle domande, ma il Commissario proseguì: «Potrebbe verificare, per cortesia, se qualcuno con lo stesso buco nell’orario era presente in sala professori con la Varaldi? Se c’era vorrei parlare anche con questa persona.» De Carli annuì e aggiunse una nota al suo appunto. Sivori pensò che fosse giunto il momento di accomiatarsi e si alzò. «Le sono molto riconoscente per la sua collaborazione.» L’altro gli porse la mano. «Se è così gentile da voler attendere, farò avvisare i colleghi della Varaldi» promise con gentilezza formale, salvo aggiungere: «certo non potrò costringerli a parlare con lei, se non vorranno farlo.» Sivori annuì, ma poi allargò le braccia. «Spero che nessuno ci rifiuterà il suo aiuto, professore.»


30

CAPITOLO V

Pensare a De Carli mi procura una specie di rabbia cieca, ma specie con me stessa. Quando l’ho conosciuto, ho capito subito di trovarmi di fronte a una maschera. Una maschera impenetrabile, senza pieghe né incrinature. È quella dell’integerrimo preside, fredda e incorruttibile come l’oro degli occhialetti rotondi da cui pare guardare senza vedere, come quello della fede nuziale su cui mi era scivolato, indiscreto, lo sguardo. Be’, avevo creduto che dietro ci fosse un uomo e che ogni tanto De Carli si concedesse il lusso di toglierla, ma avevo presto capito che sotto alla prima maschera ce n’è un’altra, inalterabile come l’acciaio di quella mascella tesa verso gli studenti, esibita quando entra in classe a mostrare metaforicamente i muscoli sfoggiando, con tutta la severità che gli è possibile, la sua presunta bravura come professore di matematica. Un idiota, che esaurisce le sue conoscenze in un rosario di formule recitate a memoria. Eppure, come avrebbe detto mia madre, davanti alla lavagna “fa la sua figura”. È autorevole, imponente, sicuro di sé. La giacca dal taglio signorile cade sulle spalle larghe, il panciotto chiude alla perfezione un ventre ancora piatto, le gambe sono lunghe e asciutte. I capelli prematuramente bianchi si arricciano leggermente sulla nuca, conferendo un’unica nota di tenerezza alla grave sobrietà della sua persona. È vero, ho cercato l’uomo dietro a quelle maschere dall’apparenza indecifrabile. Ma è solo cartapesta, che nasconde un insopportabile Narciso. *** Per ascoltare le testimonianze dei colleghi di Elda, il preside aveva messo a disposizione un’aula momentaneamente vuota. Sivori si sistemò alla cattedra, osservando compiaciuto i banchi in legno dalle ampie ribalte, e alcuni lavori di ornato a china esposti sulle pareti a rappresentare rosoni o antichi capitelli.


31 Gli piaceva respirare quell’atmosfera che lo riportava ai tempi, ormai lontanissimi, dei suoi studi liceali. Come molti giovani della borghesia genovese, Sivori aveva frequentato il Liceo D’Oria, e lo aveva fatto quando ancora non esisteva l’attuale sede di via Diaz. Ai suoi tempi la scuola era ospitata nei locali del convento di San Silvestro, che sarebbe stato poi distrutto durante la seconda guerra mondiale, mentre l’Istituto Agresti aveva già la propria sede nei pressi di piazza Manin. Scuole diverse, certo, eppure quel giorno Sivori aveva ritrovato le vecchie sensazioni di un tempo, come camminare nei corridoi dalle volte altissime nei quali si udiva l’eco dei propri passi, o respirare quel profumo unico di carta, legno e inchiostro, che sarebbe scomparso con l’avvento dei banchi in fòrmica e delle biro. Fiorenza Balbi fu la prima ad affacciarsi alla porta, interrompendo il flusso dei ricordi. Entrò e porse la mano all’anziano poliziotto, presentandosi con un sorriso. Sivori, suo malgrado, sobbalzò nel vederla. Si aspettava una persona diversa, e si sorprese a pensare che era ben poco adatta al grigiore di un’aula scolastica. Era bella, vestiva con eleganza ed emanava una forte femminilità a dispetto dell’alta statura e del fisico asciutto. «Il professor De Carli mi ha raccontato ogni cosa» spiegò «conti su di me per qualunque informazione che sia in grado di fornirle.» Sedette al primo banco davanti alla cattedra, e Sivori prese posto in quello a fianco. Dopo aver pronunciato qualche parola di gratitudine per la sua disponibilità, entrò subito nel vivo della questione. «Mi hanno detto che lei è la più intima amica della signorina Varaldi» esordì. La donna annuì col mento. «L’unica, credo.» «La conosce da molto tempo?» «Abbiamo fatto insieme tutti gli studi.» «Quindi è a conoscenza di ogni particolare della sua vita.» «Questo è eccessivo» osservò la Balbi con un sorriso «Elda è una persona molto riservata con tutti, con me ha solo un po’ più di confidenza rispetto ad altri.» «Tuttavia, forse, lei sa qualcosa che può aiutarci a scoprire i motivi della sua sparizione.» «Temo proprio di no». Il tono fu gentile ma categorico. «Anche lei, come la famiglia, ritiene improbabile che la signorina Varaldi si sia allontanata di sua volontà?»


32 La signorina Balbi esitò. Aprì la bocca per dire qualcosa ma si bloccò immediatamente. Poiché non rispondeva, Sivori la incoraggiò. «Forse lei non è della stessa opinione?» chiese. L’insegnante riconquistò la propria sicurezza. «Ha lasciato un biglietto scritto di pugno, non è vero?» domandò a sua volta. «Come lo sa?» «Me lo ha riferito la madre.» Sivori confermò. «E allora dobbiamo arrenderci all’evidenza» concluse la donna «anche se io stessa non avrei pensato che una cosa simile potesse accadere con Elda.» «Se le cose sono andate così, la sua amica dovrebbe aver dato qualche segnale nei giorni precedenti» osservò l’ex poliziotto, ma l’altra si mostrò dubbiosa. «Segnali?» «Sì. Non ha notato nulla di strano, in lei, poco prima della sua sparizione?» «No, direi di no.» Il Commissario colse una punta di esitazione e insistette. «Ne è sicura?» «Sì.» Ci fu nella voce un’ombra d’incertezza, ma lo sguardo rimase fermo. «Quando l’ha vista per l’ultima volta?» «È stato mercoledì, il giorno della sua scomparsa. Abbiamo scambiato poche parole durante la ricreazione, poi ci siamo appena incrociate a mezzogiorno. Lei stava per uscire, io avevo ancora un’ora di lezione.» «Di cosa avete parlato nell’intervallo?» «Principalmente dei ragazzi che l’avevano fatta impazzire. Ricordo che erano presenti altri colleghi. Elda ha detto di avere mal di testa, ora che ci penso pareva un po’ assente, ma niente di più.» «Eppure qualcosa dev’essere pur cambiato nella sua vita.» «Se è così, non ne so nulla.» Sivori sospirò. «Però lei saprà almeno dirmi chi frequentava, le sue abitudini, le sue passioni, se ne aveva…» «Non credo che Elda nutrisse delle vere passioni. Veniva con me al cinema, a teatro. Leggeva molto. Ma direi che è tutto qui.» «Parliamo di uomini, allora…» Aveva buttato la frase con noncuranza, ma sapeva quale reazione avrebbe suscitato. Infatti la Balbi sollevò le sopracciglia, sorpresa.


33 «Uomini?» ripeté perplessa «non ci sono uomini nella sua vita…» Sivori stava per perdere la pazienza. Chiunque parlasse di Elda, a eccezione forse della cognata Iside, lo faceva come se si trattasse di una creatura asessuata. «Insomma» brontolò «stiamo parlando di una donna non più giovanissima ma che in fondo non arriva a quarant’anni… che poi, sì, non sarà particolarmente carina, ma neppure un mostro, a quanto ricordo io…» Fiorenza Balbi abbozzò un sorriso. «Il problema di Elda non è nel suo aspetto, ma nella sua timidezza. E nella completa mancanza di fiducia in se stessa. Per questo non aveva mai avuto relazioni sentimentali, perché era la prima a non credere che ciò fosse possibile.» C’era una piccola incongruenza nella risposta che non sfuggì a Sivori. «Non aveva… o non ha?» «Prego?» «Ha detto che Elda non aveva mai avuto relazioni sentimentali. Ciò farebbe pensare che ora invece abbia una relazione.» La donna si limitò a sorridere. «Mi sono espressa male» disse in tono di scusa. Sivori ricordò le parole del preside. «Eppure mi è stato detto che qualcuno la corteggiava.» Questa volta Fiorenza Balbi capì al volo. «Il professor Salice…» osservò con un lampo divertito negli occhi. «Esattamente.» La donna si sporse appena verso di lui. «È al di fuori di ogni tentazione…» commentò maliziosa. «Be’… abbiamo appena detto che neppure lei è una gran bellezza.» «Le pare una buona ragione per accettare chiunque? Salice non le piaceva proprio, non è solo una questione di aspetto fisico…» «Quindi ne avete parlato…» osservò il Commissario, e l’altra annuì con un cenno. «Sì, qualche volta…» ammise. «Perciò ogni tanto parlate di uomini» incalzò ancora Sivori. «Se intende questo, sì.» «E avete parlato anche del professore di ginnastica?» «Si riferisce al professor Parodi?» chiese l’altra perplessa, spalancando gli occhi con una sorpresa che parve genuina. «Vedo che non ha avuto dubbi.» «Che sciocchezza!» sbottò lei «chi glielo ha riferito?» «Non ha molta importanza» rispose Sivori flemmatico.


34 «Chiunque sia stato ha riportato un pettegolezzo crudele.» «C’è stato dunque qualcosa fra i due?» «Ma le pare!» La signorina Balbi era quasi scandalizzata. Poi, dal momento che il Commissario taceva, aggiunse con noncuranza: «Probabilmente a Elda piaceva. Come a molte, del resto. Si tratta di un uomo piuttosto attraente. Qualcuno se n’è accorto e ha fatto dei commenti fuori luogo. Tutto qui.» Sivori tirò un lungo respiro. «Lei ha detto di essere l’unica amica della professoressa Varaldi.» «Credo proprio di sì» confermò la donna «abbiamo preparato insieme tutti gli esami universitari. Lei mi era stata molto grata per averla aiutata a inserirsi nell’ambiente, da sola si sarebbe isolata. Lei la conosce, è timida.» «Quindi aveva altre amicizie. Non le ha poi coltivate?» «Sono rimaste tutte a un livello superficiale, come è sempre accaduto con le persone frequentate da Elda, tranne me» poi, dopo un breve ripensamento, aggiunse: «e anche la signorina Marchi.» «La signorina Marchi?». Il nome gli era completamente nuovo «Chi è?» chiese. «La sua vecchia maestra.» «Addirittura!» Nuovamente Fiorenza Balbi accennò un sorriso un po’ triste. «Le è sempre stata molto affezionata e non l’ha mai persa di vista.» «Immagino che sia parecchio anziana.» «Sulla settantina, credo. Ma è una donna molto particolare, eccentrica persino. Ha un passato da suffragetta, e durante la liberazione faceva la staffetta partigiana. Ma ha ancora mille interessi. Ha recitato in diverse compagnie amatoriali e per quanto ne so io lo fa anche adesso, se le capita l’occasione. È uno spirito libero, odia le convenzioni.» «È ancora più strana, quindi, l’amicizia con una persona riservata come Elda.» La Balbi esitò a rispondere. «No, forse no» decise infine «ho la sensazione che la signorina Marchi cerchi in qualche modo di scuoterla, di sottrarla all’atmosfera un po’ opprimente di casa sua.» «Elda la vede spesso?» «La va a trovare con una certa frequenza.» Sivori cavò dalla tasca dell’impermeabile il suo solito blocchetto e dal taschino interno della giacca la stilografica.


35 «Giorgina Marchi» precisò la donna che aveva capito le sue intenzioni «abita ad Apparizione, non ricordo con precisione l’indirizzo.» «Lei la conosce bene?» «No, anche se ho accompagnato qualche volta Elda per un tè a casa sua» rifletté per un istante, colpita da un pensiero «non credo di esserle riuscita molto simpatica. Forse era gelosa della nostra amicizia.» La signorina Balbi era uscita soltanto da pochi minuti quando Tarzan si affacciò alla porta dell’aula. O almeno così parve a uno stupefatto Commissario Sivori. Un Tarzan in giacca e cravatta, per quanto piuttosto spiegazzato e in disordine, con i capelli spettinati. Tuttavia, come ci può aspettare da ogni vero Tarzan, occupava da solo il vano della porta, con una statura decisamente al di sopra della media e le spalle da nuotatore. Riservò al Commissario un sorriso a trentadue denti, tutti smaglianti, ed entrò con passo deciso porgendogli la mano. «Giacomo Parodi» si presentò «insegno educazione fisica.» Sivori gli fece cenno di sedere al banco lasciato libero dalla collega. «Mi ha detto il professor De Carli che lei sta compiendo alcune indagini sulla sparizione della signorina Varaldi.» «Del tutto ufficiose» precisò il Commissario, e l’altro assentì col capo. «Capisco. È stato incaricato dalla famiglia, a quanto pare.» «Sono molto preoccupati.» «Immagino.» Ostentava sicurezza. Sivori, che ne studiava l’atteggiamento, si domandò se fosse naturale o se si stesse imponendo un ferreo autocontrollo. «Sono a sua disposizione» continuò il gigante «anche se temo di non poterle essere di grande aiuto.» L’anziano Commissario aveva sentito pronunciare questa frase centinaia di volte, per cui non vi badò. Stava a lui decidere se quel che riportavano i testimoni fosse importante o meno e lo spiegò al giovane. «Basta che lei mi racconti tutto quello che sa, anche i particolari che le sembrano più insignificanti.» «Farò del mio meglio» promise l’altro sorridendo, e Sivori iniziò. «Mi dica in che rapporti era con la signorina Varaldi.» Parodi allargò le braccia. «Nulla di particolare» spiegò «solo una cordiale colleganza.» «Vi siete visti qualche volta al di fuori della scuola?» La domanda parve sorprenderlo. «Assolutamente no!» rispose deciso.


36 «Ci sono mai state confidenze fra di voi?» «Confidenze? Di che genere?» «Di qualunque genere.» L’ex poliziotto ebbe l’impressione che il giovane esitasse un istante di troppo prima di rispondere, ma poi lo fece con disinvoltura. «Nessuna. Che io ricordi abbiamo parlato sempre e soltanto di problemi di lavoro.» «Quali, in particolare?» «Nulla d’importante. Qualche volta ci siamo scambiati impressioni sui ragazzi.» «La signorina le è parsa preoccupata ultimamente, o turbata, o comunque di umore diverso dal solito?» Parodi rifletté assorto per qualche istante. «No» disse infine «direi proprio che non ho notato alcun cambiamento.» «Lei si è fatto un’opinione sulla scomparsa della signorina?» Lo guardò sorpreso. «Ma no!» esclamò sgranando gli occhi «non ho alcun elemento, davvero.» «Questo posso immaginarlo» ammise il Commissario «ma non mi riferivo soltanto a supposizioni fondate. Può avere qualche impressione…» «Nessuna» confermò a disagio. Sivori non gli aveva staccato gli occhi di dosso da quando era entrato. Era indubbiamente un bel ragazzo, ma l’aspetto era trasandato e negligente. Il Commissario si chiese se ciò fosse in linea con il suo carattere o se stesse a indicare un’assenza cronica di quattrini. Pur sapendo quale sarebbe stata la risposta, decise comunque di partire con l’affondo, puntando sullo studio della reazione emotiva. «È certo che fra lei e la signorina Varaldi non ci sia mai stato nulla?» Gli occhi dell’insegnante furono attraversati da un inconfondibile guizzo, ma le labbra restarono serie e la replica fu da gentiluomo. «No, naturalmente» si limitò a rispondere, sollevando appena le sopracciglia. «Qualcuno sembra pensarla diversamente» bluffò il Commissario. Lo sguardo del giovane guizzò rapido verso la porta. «La signorina Balbi?» chiese sorpreso, ma Sivori si affrettò a smentire. «No, no, non lei.» «Non riesco a capire chi possa averle riferito una cosa del genere» trasecolò ancora il professore, salvo aggiungere poi, perplesso: «certo non il preside.»


37 «No» ammise il Commissario «del resto le ho detto di aver solo raccolto un’impressione.» «Del tutto sbagliata» tagliò corto Parodi. A dispetto del tono serio pareva sinceramente divertito da quell’ipotesi. «Le risulta che la signorina Varaldi frequenti assiduamente qualcuno?» Questa volta lo sguardo del giovane interlocutore lasciò trapelare una leggera irritazione. «Ma perché lo chiede a me? Ha parlato con la Balbi, lei di sicuro è in grado di risponderle, non io.» «L’ho chiesto alla sua collega e lo chiederò anche ad altri. La signorina Varaldi è molto riservata e pare che non si confidi neppure con la sua amica. Ma forse lei sa qualcosa di più, magari l’ha vista più volte insieme a una stessa persona…» «Credo che la signorina Varaldi non racconti nulla perché non ha nulla da raccontare» sentenziò Parodi, che poi, in tono paziente, aggiunse: «a ogni modo io non l’ho mai vista con nessuno.» «Cosa può dirmi del professor Salice?» Ancora lo sguardo fu sorpreso. «Rodolfo?» «Non ne conosco il nome di battesimo.» «Non vedo cosa c’entri con la Varaldi.» «Mi hanno detto che la corteggiava.» Parodi si chiuse a riccio. «Può essere» ammise. «Lei non ne sa nulla?» «Ci aveva già provato con un paio di colleghe, e quando loro lo hanno snobbato ha ripiegato sulla Varaldi.» «Quindi è possibile una relazione fra i due» buttò lì il Commissario, ma non trovò sponda. «Personalmente non credo. Ma non posso escluderlo.» Sivori pensò che non avrebbe saputo altro da lui. «Lei è stato molto gentile, professore» gli disse alzandosi «spero di poter contare su di lei se dovesse venirle in mente qualcosa.» L’uomo gli porse ancora la mano, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi. «Può esserne certo» promise prima di uscire dall’aula. L’ultimo a entrare, accompagnato dal preside in persona, fu un sacerdote grassoccio e di bassa statura, con pochi capelli, le sopracciglia folte e un paio di occhiali dalla montatura severa.


38 «Padre Roncallo» lo presentò De Carli. Quindi, mentre Sivori stringeva la mano al nuovo venuto, spiegò che il religioso insegnava latino e che aveva un’ora libera il mercoledì esattamente in concomitanza con quella di Elda. «Il giorno della scomparsa della collega è stato con lei in sala professori.» «Ah, benissimo!» commentò Sivori, ma l’altro lo gelò immediatamente. «Non credo che potrò esserle utile» si affrettò a precisare «non ci siamo detti molto.» Aveva una voce squillante e del tutto priva di inflessione dialettale. Il preside salutò e si diresse verso la porta, mentre Sivori indicava al Padre il banco appena lasciato libero dal professor Parodi. «Mi dispiace per la Varaldi» esordì l’insegnante non appena rimasero soli. «Lei la conosce bene?» L’altro alzò le spalle con noncuranza. «Insegniamo nelle stesse classi» rispose. «Posso chiederle cosa vi siete detti durante quell’ora trascorsa insieme?» «Temo proprio di non ricordare, ma certo non abbiamo parlato molto e quel poco è stato inerente alla scuola. Stavo consultando un vecchio testo che volevo far tradurre ai miei allievi e non volevo perdermi in chiacchiere.» «Come le è parsa? Di umore, intendo…» Lui rifletté. «Un po’ agitata, forse. Ma del resto lo è sempre…» Sivori percepì un sottile disprezzo. Lo studiò con attenzione: sedeva rigido, probabilmente vigile. «Ha avuto la sensazione che le fosse capitato qualcosa di strano? Che avesse dei pensieri, delle preoccupazioni…» L’altra scrollò ancora le spalle. «Aveva perso un guanto.» «Un guanto?» «Sì, credo di sì. Continuava a posare sulla scrivania e poi a rimettere in borsa un unico guanto di pelle e brontolava qualcosa al riguardo.» Il Commissario alzò gli occhi al cielo, ma l’altro proseguì con voce carica di disapprovazione. «Sembrava disperata per quel guanto. Del resto da un po’ di tempo si preoccupa del suo aspetto in modo diverso da quel che conviene a un’educatrice.» «Quindi ha notato qualcosa d’insolito in lei…» Il religioso si strinse nelle spalle.


39 «Ma no! La Varaldi li ha da sempre questi momenti in cui sembra essere… come dire? Più vivace. Ma rientrano subito.» Gli piantò lo sguardo in faccia. «Non mi chieda se ne conosco la ragione, perché la ignoro del tutto.» Sivori sospirò. Il Padre sembrava attento a non lasciarsi sfuggire una parola di più e se ne chiese il motivo. «Nessun altro problema oltre al guanto perduto?» «Non mi pare» tacque un istante, cercando di ricordare meglio «come le ho già detto era un po’ agitata, forse più pallida del solito» aggiunse infine. «Quindi aveva qualcosa» suggerì l’ex Commissario «qualcosa di più importante della perdita di un guanto.» L’altro lo negò. «No, guardi… quello era il suo stato normale, magari l’altro giorno era solo un po’ accentuato.» Strinse le labbra con durezza. «A lei la signorina Varaldi non piace, non è vero?» Il sacerdote sobbalzò, ma riprese subito il suo aplomb. «Mi addolora moltissimo pensare che possa esserle accaduto qualcosa.» «Non mi ha risposto. Perché non le piace?» lo incalzò. «Non ho detto questo.» «No, non lo ha detto. Ma è piuttosto evidente.» L’uomo indugiò nella scelta delle parole, più imbarazzato di quanto volesse apparire. Decise infine di prenderla alla larga. «L’Agresti ha molti insegnanti laici, come forse ha potuto constatare. A differenza di altri Istituti religiosi noi siamo molto aperti all’inserimento dei laici, ma richiediamo ai nostri docenti un’altissima professionalità e un comportamento irreprensibile.» «Allora?» L’altro ignorò l’interruzione. «La signorina Varaldi pareva avere entrambe queste caratteristiche. E inoltre è la nipote di uno dei nostri Padri, il che rappresenta per noi una garanzia di serietà della famiglia.» Fece una lunga pausa prima di proseguire. «Padre Bresciani l’ha assunta volentieri e sono ormai dieci anni che lavora nel nostro Istituto. Tuttavia non si è dimostrata all’altezza. Non ha polso con i ragazzi, non sa mantenere la disciplina, non ha un pizzico di severità.» «È molto timida» ammise Sivori. «In modo eccessivo, direi.» «Non è una colpa.»


40 «No, certo che no. Ma quella timidezza così estrema non fa di lei una buona insegnante.» Prese fiato. «Ma il nostro rettore non se la sente di licenziarla. La sua parentela con Padre Varaldi l’ha protetta finora da decisioni irrevocabili.» Fece una pausa studiata e un lampo malizioso gli attraversò lo sguardo. «La sua parentela con Padre Varaldi…» ripeté lentamente «e anche la sua condotta impeccabile.» Sivori credette di capire. «Ha detto finora» osservò. «Sì.» «Forse la sua condotta non è più così impeccabile?» «Mi mette in bocca parole non mie.» «È ciò che pensa, però. Non è vero?» «Può essere.» «Posso sapere perché?» Sollevò il mento e puntò gli occhi dritti in faccia a Sivori. «Sono un sacerdote, non una comare» affermò con una punta di alterigia «e il pettegolezzo è un peccato grave. Anzi, il solo pensar male del prossimo è un peccato grave.» «Quindi lei non sta pensando nulla di sconveniente sul comportamento della signorina Varaldi…» «Io mi permetto di pensare solo dopo aver visto con i miei occhi. Le impressioni non sono fatti concreti.» Sivori represse la risposta che gli era salita alle labbra. In fondo stava parlando con un Padre barnabita… si sforzò di ricorrere a tutta la sua pazienza. «Il mio scopo è quello di trovare Elda» spiegò «non certo di fare pettegolezzi. Se lei sa qualcosa che può risultare utile me lo dica. Nei limiti del possibile resterà fra noi.» Poiché l’altro taceva insistette. «Elda aveva una relazione? Forse con un uomo sposato?» «Non so niente.» «Mi pare invece che qualcosa sappia.» Il tono sarcastico del Commissario non lo turbò per nulla. «Se avessi questa certezza chiederei fermamente a Padre Bresciani di allontanare la Varaldi dalla scuola» proseguì impassibile «non mi riferisco a questo, ma a una serie di comportamenti che non giudico del tutto decorosi.» «Per esempio…» Padre Roncallo allargò ostentatamente le mani.


41 «Sto parlando in generale» spiegò. Sivori non possedeva titoli per condurre quella specie d’indagine, e quindi non insistette. Lo fissò negli occhi e quando parlò fece in modo che trapelasse tutto il suo biasimo. «Spero che lei non sia costretto a raccontare quel che sa di fronte a un magistrato inquirente» scandì severo «perché ciò vorrebbe dire che è successo qualcosa che lei, forse, con le sue rivelazioni potrebbe aiutarci a prevenire.» L’altro non si lasciò impressionare. «Non ho rivelazioni di alcun genere, mi creda.» Il preside De Carli fece capolino dalla porta un attimo prima che il sacerdote si alzasse per congedarsi. Attese che fosse uscito quindi si avvicinò a Sivori. «Ho fatto controllare in segreteria» disse «mercoledì nessun insegnante della prima ora è stato assente, quindi non è stata richiesta alcuna supplenza alla signorina Varaldi.»


42

CAPITOLO VI

Il Commissario e la moglie non litigavano da tempo. L’ultima volta in cui Sivori ricordava qualcosa di simile a un bisticcio era stato proprio in una circostanza simile a questa, quando lei voleva convincerlo a indagare sulla morte di una ragazza a loro molto cara, e lui riteneva che fosse perfettamente inutile. Ma in quell’occasione, tuttavia, le loro opinioni non discordavano poi tanto: entrambi erano ben consapevoli che Liliana Amendola fosse stata uccisa, e la loro divergenza riguardava solo l’opportunità di occuparsi o meno della questione. Quel giorno, mentre tornavano a casa da Sampierdarena ed entrambi tentavano in ogni modo di controllare il nervosismo, il disaccordo sui fatti era ben più sostanziale. Era iniziato tutto con la telefonata dei Varaldi, arrivata verso mezzogiorno. Una timida signora Emilia, con un filo di voce, avevo chiesto a Matilde se lei e il marito potevano tornare da loro, nel pomeriggio. «So che dovremmo muoverci noi» aveva aggiunto in tono di scusa «ma non riusciamo neppure a reggerci sulle gambe.» La signora Sivori aveva sentito un tuffo al cuore. «Avete notizie di Elda?» brutte notizie, stava per dire, ma la parola le era morta in gola. L’altra si era affrettata a smentire. «No, non sappiamo ancora nulla, ci sembra di impazzire. E la polizia non si vuole più occupare del caso…» «Corrado ci sta lavorando» l’aveva consolata l’amica. «Sì, gliene siamo molto grati. Per questo pensiamo che debba sapere…» «Che debba sapere… cosa?» La voce di Emilia si era fatta ancora più sottile. «Abbiamo qualcosa da dirvi. Ma non per telefono, vi prego…» Dopo un paio d’ore erano di nuovo seduti sulle consunte poltrone dai braccioli in legno, a respirare l’aria polverosa di quelle stanze chiuse da giorni e la sofferenza che trasudava ovunque.


43 Le due coppie, i due giovani e i due anziani, stavano rigidi, a disagio. A Sivori non sfuggì l’imbarazzo nelle occhiate che si scambiarono l’un l’altro. Capì che si trattava di una muta consultazione e tacque per dar loro modo di decidere quando spiegare finalmente la ragione per cui li avevano chiamati. Come la volta precedente, Matilde si era sistemata vicino a Emilia e le stringeva la mano. I lineamenti dell’amica erano alterati, il mento tremava nello sforzo di trattenere il pianto. Fu Bruno a parlare per primo: «L’altro giorno, quando ci ha chiesto se qualcosa mancava dalla stanza di mia sorella, le abbiamo risposto di no.» Avrebbe forse desiderato da Sivori un piccolo incoraggiamento a proseguire, ma questo non venne. Il Commissario lo fissava senza riuscire a nascondere una certa severità nello sguardo. «In effetti qualcosa manca…» ammise infine il giovane a fatica. Emilia corse in suo aiuto. «Allora non ne eravamo sicuri» si affrettò a precisare. «Di cosa non eravate sicuri?» Il giovane deglutì con evidente sforzo. «Manca il libretto al portatore.» Nel silenzio di tomba che calò nella stanza, si udì solo la voce fievole della madre. «Tutti i nostri risparmi» aggiunse tenendo gli occhi bassi. Di colpo, in quel salottino che riportava agli anni ‘20, l’atmosfera si fece di piombo. Non si udivano più neppure i singhiozzi di Emilia, anche se le lacrime scorrevano ancora sulle guance di cera. Bruno si tormentava le mani e fissava il pavimento, Iside sbarrava gli occhi incollati alla finestra. Michele sembrava quello maggiormente in difficoltà. L’idea che uno dei suoi figli avesse commesso un’azione disonesta doveva apparirgli inaccettabile. Tuttavia, dopo qualche esitazione, fu lui a spiegare: «Avevamo tutto in un unico libretto. C’erano i nostri soldi…» si bloccò per un istante, poi si affrettò ad aggiungere: «ma anche quelli di Elda, per carità!» «C’era il ricavato della vendita di alcuni beni ereditati, e poi quello che abbiamo risparmiato nel corso di una vita. Ma anche ciò che versava nostra figlia del suo stipendio. Perché avremmo dovuto tenere conti separati?» osservò quasi a giustificarsi.


44 «Per Bruno la faccenda è diversa, lui è sposato…» s’inserì Emilia, e il marito confermò: «Non c’era alcuna ragione per cui dovessero esistere due libretti» ribadì «e non le avremmo certo negato la possibilità di prelevare da quell’unico che apparteneva alla famiglia. Certo, ci saremmo aspettati che ci informasse…» aggiunse con tristezza. Si fermò, incapace di proseguire, e il figlio continuò per lui: «Quando abbiamo avuto la certezza che il libretto fosse sparito, siamo andati in banca. È stato stamattina, ho preso un paio d’ore di permesso…» «E cosa avete scoperto?» «Negli ultimi mesi Elda ha fatto frequenti prelievi, anche consistenti. E poi, il giorno prima della sua scomparsa, ha ritirato l’intera cifra giacente.» Ora è tutto chiaro, pensò Sivori. «A quanto ammontava l’importo versato?» Il ragazzo si schiarì la voce. «Circa quattro milioni» rispose imbarazzato. A giudicare da quei volti tesi e sfuggenti, Sivori capì che la vergogna per il gesto della figlia superava la disperazione per i risparmi sottratti. Matilde era pietrificata e lo guardava con gli occhi sbarrati, senza lasciare la mano che ancora l’amica teneva abbandonata nella sua. Alla fine Emilia, con la testa incassata fra le spalle come se avesse voluto scomparire, sollevò lo sguardo. «Non ci importa dei soldi» disse risoluta «è nostra figlia che vogliamo indietro.» Il Commissario le parlò come a una bambina. «Lei capisce, non è vero, che Elda ha voluto andarsene di sua volontà? Che vi ha portato via il denaro senza che voi possiate intraprendere alcuna azione per riaverlo, visto che il libretto era al portatore? E capisce che, anche se la trovassimo, nessuno può fare nulla per costringerla a tornare, se non è lei a volerlo?» La madre scosse il capo ostinata. «No, Corrado. Non faccia anche lei l’errore della polizia. Non so di che si tratta, ma qualcosa è accaduto. Lo scopra, la prego.» Quella commovente richiesta di aiuto gli strinse il cuore. Si sentì inutile e impotente, e quasi si pentì di aver frugato senza riserbo in una così triste vicenda familiare. Perché tutto gli sembrava estremamente semplice e altrettanto squallido.


45 «È del tutto chiaro!» sbottò Sivori dopo aver preso posto sulle panche in legno del mezzo pubblico. «Spiegati allora. Cos’è chiaro?» Matilde non mascherava il suo malumore e il marito sbuffò. «Ma stai scherzando? Non penserai ancora che ci sia qualcosa da scoprire? Quella si è innamorata di qualche farabutto e ha preso il volo con lui, dopo aver ripulito i genitori di tutti i loro risparmi.» Una vampata di rossore salì al volto della signora Sivori, che sgranò gli occhi e reagì indignata. «La Elda?» esclamò scandalizzata. Il marito la scimmiottò. «Eh… la Elda… la Elda! Il tuo pane di casa…» «Io non posso credere che tu sia convinto di quel che dici!» «Ma sono io a non poter credere che sia convinta tu!» Matilde, mortalmente offesa, si lasciò andare con la schiena contro gli scomodi sedili del tram. Sivori bofonchiò ancora qualcosa e per qualche istante stette sulle sue. Poi, come era sempre accaduto nelle rare occasioni in cui gli capitava di litigare con lei, non ne sopportò il muso lungo e tentò un debole approccio: «Spiegami cosa non ti persuade.» «La Elda è sempre stata una brava ragazza.» «Motivazione su basi scientifiche, direi…» commentò sarcastico, ma sua moglie non gli badò. «Il libretto era al portatore, chiunque può aver effettuato i prelievi.» «Ma se ha consegnato alla banca i suoi documenti!» Matilde non si diede per vinta. «Nessuno se ne andrebbe via da casa senza portare nulla con sé, e invece dalla camera non manca neppure un vestito.» «Con quattro milioni ti compri altro che un guardaroba…» «Be’, insomma: l’hai sentita anche tu l’Emilia. Dice che c’è sotto qualcosa. E il cuore di una mamma non sbaglia!» Sivori sollevò il cappello accennando a un piccolo, ironico, inchino. «La tua razionalità non manca mai di sorprendermi.» Matilde alzò gli occhi al cielo, risentita. Tuttavia, dopo qualche istante, decise di cambiare tattica e tornò alla carica con modi più suadenti: «Meno male che hanno avuto indietro il biglietto. Lo farai vedere a quel tuo amico, non è vero?» Il Commissario sbuffò. «Bella idea la tua di costringermi a prendere quella dannata lettera!» «Ma è l’ultima traccia di Elda!» protestò accorata la signora Sivori. «Mi hai messo alle strette» l’accusò lui «non ho potuto rifiutare!» Lei tagliò corto.


46 «Glielo farai analizzare sì o no?» chiese con tono secco. «E io dovrei disturbare Vincenzo, che è in pensione, per fargli vedere qualcosa che so benissimo cos’è!» Matilde accompagnò con un eloquente gesto della mano una smorfia di superiorità. «Disturbare!» ripeté acida «ma se voi pensionati non aspettate altro che qualcuno vi rimetta in pista…» Era una cattiveria, ma Sivori pensò bene di lasciar perdere. E poi non era così sicuro che, almeno per quanto riguardava il suo amico di un tempo, Vincenzo Musso, la convinzione di Matilde non avesse un fondo di verità. Era un valente grafologo, appassionato del suo lavoro, e aveva collaborato parecchie volte con la Questura ai tempi in cui lui stesso dirigeva la Squadra Omicidi. Era sempre stato all’avanguardia, e spesso criticava le tecniche di altri consulenti di cui si avvaleva la polizia, sostenendo che non tenevano conto delle più moderne teorie in materia. Si era ritirato ormai da un paio d’anni, ma ancora partecipava a conferenze sulla sua disciplina e prestava talvolta assistenza in materia. Certo, in questo frangente si sentiva un po’ ridicolo a consultare un esperto di tale livello: quando i Varaldi gli avevano mostrato uno scritto autentico di Elda aveva capito che c’erano ben pochi dubbi che si trattasse della stessa calligrafia. Ma tant’è… Se non altro, si disse, sarà l’occasione per rivedere un vecchio amico. Si allungò sul sedile, chiuse gli occhi e si tirò il cappello sul naso: voleva prendere le distanze dal mondo e, soprattutto, dai ferrei convincimenti di sua moglie.


47

CAPITOLO VII

Ricordo di aver corretto i compiti in classe. Una fatica terribile, un mucchio di sciocchezze su cui non riuscivo neppure a intervenire, passaggi illogici, formule applicate sulla base di confuse conoscenze mnemoniche. Ma non era solo per quello. Il fatto è che non ci stavo proprio con la testa, e neppure riuscivo a distinguere con chiarezza ciò che avevo davanti agli occhi. Li avevo pieni di lacrime, che a tratti cadevano sulla pagina allargando l’inchiostro. Per fortuna c’era ancora qualche scorta di carta assorbente e devo averne usato più di un foglio. Poi non ricordo nulla. Forse mi sono addormentata sulla scrivania, con la testa china fra le braccia. Ho la vaga sensazione di essermi alzata dalla mia sedia solo a notte inoltrata per stendermi sul letto, ancora vestita, e lì mi sono risvegliata il mattino dopo. Tutto ciò che è accaduto da quel momento in poi affiora alla mia memoria in modo torbido e confuso, come attraverso una cortina di nebbia. Ci siamo visti al mattino presto, prima di entrare a scuola. «Andrà tutto bene» mi ha detto lui per rassicurarmi. Poi mi ha stretto la mano e ho provato una piacevole scossa a quel breve contatto. Era pallido, senza cappello, col primo colletto della camicia slacciato. Non si era fatto la barba, ma a me piaceva quell’aria trasandata che avrei detestato in chiunque altro. Ho distolto lo sguardo, incapace di muovergli un rimprovero se lo guardavo negli occhi. «Non dovremmo farlo» ho mormorato. «Lo abbiamo già fatto.» «No, non ancora» ho risposto tentando un’ultima difesa «potremmo tornare sui nostri passi, ripensarci.» La sua mascella si era irrigidita, la voce si era fatta improvvisamente dura. «È stata una tua idea.» Non tolleravo quando si rivolgeva a me con quel tono, non sopportavo che neppure per un istante lui non fosse dalla mia parte. Ho voltato il capo per nascondere le lacrime che mi pungevano gli occhi. «Hai ragione.»


48 Stavamo andando verso piazza Manin. La strada era praticamente deserta a quell’ora, noi camminavano piano sul marciapiede, l’uno di fianco all’altra, senza sfiorarci. Poi, mentre transitavamo davanti a un portone, lui mi ha afferrata per la vita e trascinata dentro. Mi ha baciata a lungo, nella semioscurità dell’androne. La mia resistenza è durata ben poco, ho lanciato un’occhiata obliqua alla scala, col timore che scendesse qualcuno. Ma non c’era anima viva e non un rumore giungeva dai pianerottoli sovrastanti. Mi sono lasciata andare, stordita dalla morbidezza delle sue labbra e dalla profondità di quel bacio. Quando siamo usciti di nuovo in strada non avrei saputo dire se ero più felice o disperata. Un garzone di fornaio è passato accanto a noi in bici, col pane nella cesta montata dietro al sellino. Fischiettava un successo di Peppino di Capri e ciò ha evocato nella mia mente le parole della canzone. “Mai più nessuno al mondo t’amerà così. Per te, nessuno al mondo soffrirà così. Nessuno mai saprà cosa sei per me…” Mi sono stretta al suo braccio ignorando ogni prudenza, e lui ha posato la mano sopra alla mia. Avrei voluto che quel breve tratto di strada non terminasse mai e invece a Manin mi sono staccata da lui e l’ho salutato solo con uno sguardo, prima di dirigermi lentamente verso la scuola. Vorrei tornare indietro, riavvolgere la pellicola degli avvenimenti recenti e ricominciare proprio da allora, da quell’attimo in cui ci siamo salutati e forse qualcosa si poteva ancora fare per evitare il peggio. Ma non è più possibile, ormai devo solo andare avanti. Nella consapevolezza che nulla sarà più come prima. *** )LQH DQWHSULPD &RQWLQXD


AVVISO NUOVO PREMIO LETTERARIO La 0111edizioni organizza la Seconda edizione del Premio ”1 Giallo x 1.000” per gialli e thriller, a partecipazione gratuita e con premio finale in denaro (scadenza 31/12/2019) www.0111edizioni.com

Al vincitore verrà assegnato un premio in denaro pari a 1.000,00 euro. Tutti i romanzi finalisti verranno pubblicati dalla ZeroUnoUndici Edizioni senza alcuna richiesta di contributo, come consuetudine della Casa Editrice.


Â


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.