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EDWARD RIPPER
DELIZIE D’ACCIAIO ROMANZO HOT SPLATTER PER ADULTI
TRADUZIONE DI VALENTINO SERGI
Serie Big‐C Grandi Caratteri www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com www.ilclubdeilettori.com DELIZIE D’ACCIAIO Copyright © 2011 Zerounoundici Edizioni Copyright © 2011 Valentino Sergi
ISBN: 978‐88‐6307‐395‐9 In copertina: Immagine fornita dall’Autore
DELIZIE D'ACCIAIO Titolo originale: Steel Delights di Edward Ripper Traduzione di Valentino Sergi
Finito di stampare nel mese di Ottobre 2011 da Logo srl Borgoricco ‐ Padova
A Dante, scusami.
Prefazione di Cristiana Astori Prima che un lettore sconsiderato si avvicini a Delizie d'acciaio, è opportuno mettere in chiaro un paio di avvertimenti. Innanzitutto mai dare questo libro da leggere a una rossa. Specie se sogna di fare la valletta in tivù e possiede una motosega. E mai presentarle il suo folle autore. Entrambe le cose potrebbero rivelarsi estremamente pericolose. Io, che sono rossa, per fortuna non ho mai avuto ambizioni televisive né posseduto un attrezzo simile, anche se, dopo aver conosciuto Edward Ripper, un pensierino ammetto che l'ho fatto. E non mi riferisco al diventare velina. Immaginate me a Lucca Comics 2010 che sono appena riuscita a conquistare l'ultimo tavolo al riparo dalla pioggia in un bar sovraffollato e vengo raggiunta da Valentino e da questo tale suo amico scrittore di Belfast. Nel giro di una ventina di minuti, dopo che Ed ha rovesciato a terra un paio di boccali e deliziato il pubblico con un nutrito repertorio di pezzi punk e tradizionali irlandesi, ci
ritroviamo sbattuti fuori con un improbabile mix di Chianti e Guinness nello stomaco, in mezzo al diluvio e senza nessun barista sano di mente che voglia ospitarci nel suo locale, neanche se gli assicuriamo che è tutto uno scherzo e Ed è il cosplay di Shane McGowan. Quella volta ammetto di essermi piuttosto innervosita, più che altro perché sono una dannata freddolosa, e poi portavo con me un'ingombrante action figure di Saw l'Enigmista che la mia anima nerd non gradiva prendesse la pioggia. Però il gioco ne è valso la candela. Anzi, la motosega. Perché Ed si è messo a raccontare. E sentir raccontare Edward Ripper è come saltare su un treno in corsa che non sai quando e, soprattutto, se si fermerà. Dopo di che ti ritrovi sbattuto in un mondo surreale, circondato da fate puttane, angeli della morte, calamari in sedia a rotelle, sergenti squali, satiri perversi, Meduse ninfomani. Un mondo weirdissimo in cui tutto può diventare folle, ma soprattutto letale, a partire da una suora spogliarellista in un bordello di fate, fino a un misterioso foruncolo sulla fronte di una studentessa Erasmus allo IULM. Perché Edward Ripper è una testa calda, dotato di uno spirito caustico e di un'immaginazione fuori dal normale. Senza contare che, nonostante l'apparenza rude, è un vero
galantuomo. Infatti, non ricordo di aver mai pagato nessuna birra in sua compagnia, anche se non ricordo nemmeno cos'ho bevuto. Ma è come se me lo vedessi davanti, quando inarca il sopracciglio, trattiene il fiato per un istante e se ne salta su con il classico: “Sentite ragazzi, questa è roba forte.” Potresti sentirlo raccontare per ore e ore senza mai annoiarti, anche se piove che Dio la manda e tu hai i piedi inzuppati nel fango oppure sei dal medico e la coda non finisce più o c'è sciopero degli autobus ed è ora di cena e tu sogni una pizza capricciosa fumante. Insomma, tu sei incazzato/scazzato nero, poi incontri Edward Ripper e le tue prospettive cambiano. E se non hai ancora avuto la fortuna di farlo, è tempo di rimediare. Delizie d'acciaio ti aspetta. Cristiana Astori, agosto 2011
14 I Roma, 30 febbraio 2012. San Pietro, nella cripta. Primo pomeriggio. Gli angeli della morte hanno una faccia da poker anche quando inietti loro mezzo litro di acido di batteria nelle palle. «E urla, cazzo!» Niente... posso sentire il suo scroto liquefarsi, ma lui continua a fissare il vuoto, con quella maschera di gesso adunca che si ritrova. Allungo una mano sul tavolino metallico per prendere una cesoia, ma un megafono gracchia che il round è finito. La suppliziante del Vaticano si agita alle mie spalle impaziente, mentre la pelle della nostra vittima si ricompone. La troia ha tanti di quei ferri chirurgici nella carne da sembrare una scultura astratta di Meccano. Mentre prende posizione con un bisturi stretto tra le dita rotte, mi indirizza un sorriso sghembo e un bullone le si svita dalla mandibola per scivolare lento su una bava di sangue e olio nero fino alla cicatrice incrostata dove un tempo c'era stato un seno. Poi, sconfitto dalla forza di gravità, l'anello di ferro cade sul pavimento. Il sergente Squalo mi aspetta nel nostro angolo, dietro
15 all'altare. Quando è incazzato si tormenta i bottoni della giacca. Ne ha già staccati due ed è un modello di Armani. Il superiore mi trasmette il suo disappunto per via telepatica data la sua incapacità fisica di articolare le sillabe: “Bella figura di merda!” «Non alzare la voce nella mia testa.» I miei neuroni friggono al contatto mentale. «O mi parte un embolo.» L'umanoide apre le fauci con stanchezza, sospirando. Tra le zanne ha impigliati dei tentacoli di piovra. In effetti, è l'ora dell'aperitivo. «Posso avere uno spritz?» L'abitudine mi è rimasta dopo la missione a Trieste, un buco di città sporca e umida di piscio di gatto. “Non si beve in servizio... tu fai cantare l'angelo e poi potrai sfondarti il fegato come meglio credi!” L'anfibio agita l'enorme testa di pesce. Il mio cervello traduce il senso di delusione trasmesso in stimolo alla vescica e devo stringere le gambe per non pisciarmi addosso. Maledetta incompatibilità psichica interspecie. «Posso chiamare mia figlia, almeno? Se perdiamo il volo mancherò al suo compleanno!» Il sergente non risponde, i suoi occhi viscidi sono concentrati sul corpo della creatura incatenata alla colonna. La troia cattolica gli sta bruciando le ali con la fiamma ossidrica, ma l'angelo resta immobile. Le penne ricrescono non appena il
16 fuoco si sposta e lo stesso vale per i tessuti delle spalle. Anch'io voglio quel fattore rigenerante... “Per poi diventare un'idiota svolazzante affamata di anime? Accomodati... A Pola, in Slovenia, ce n'è uno stormo stanziale, magari puoi presentargli domanda d'iscrizione.” Ho l'impulso di tirargli un pugno sul naso, ma un ringhio è sufficiente a farmi capire che il tentativo finirebbe con la mano tranciata di netto nel suo stomaco. «Ti farebbe acidità, stronzo.» D'un tratto, tra le pareti sacre dell'edificio, si leva l'eco di un'ovazione, interrompendo il nostro qui pro quo mentale. Un vescovo goblin si rotola in mezzo alla sala, mentre i suoi colleghi esultano di gioia. La suppliziante si asciuga sangue e sudore dalla fronte suturata e alza il pugno deforme in segno di vittoria. Il nostro schermo levitante si avvicina e proietta un ologramma con l'ingrandimento del viso dell'angelo. Il culturista alato ha contratto l'angolo della bocca per un decimo di secondo, mentre la mia avversaria gli trapanava la spina dorsale. I giudici, spiriti dell'aria simili a meduse fluttuanti, misurano tramite i loro tentacoli il grado empatico di sofferenza raggiunto. Su un display digitale appeso a un crocifisso d'ebano appare il verdetto: 1.6 della scala Vischer‐Ramah; più o meno il fastidio che può provare un essere umano al posarsi di una mosca sul gomito, ma è un record considerata la ridotta
17 funzionalità dei circuiti dolorifici degli angeli. Squalo batte il palmo sulla parete di marmo con esasperazione. Ultimo round, cinque minuti, non ho speranze. Afferro svogliata la motosega e mi avvicino all'amico incatenato. L'annuale confronto tra Guardia Vaticana e Dipartimento per l'Integrazione sta per chiudersi con la nostra sconfitta. Quest'anno, in premio, i baciapile si aggiudicheranno un lotto di antiche statue pornografiche sui monti iperborei per farne un'attrazione turistica. Il bestione è alto almeno un paio di metri, le ali nere stanno terminando di ricrescere. Il viso cereo di nuovo impassibile, immobile, come il suo corpo massiccio. Mi ci farei volentieri un giretto. La suppliziante s'immerge in una vasca di acqua ghiacciata per festeggiare il trionfo, il suo unico seno, appassito e trafitto da ferri da calza, s'intirizzisce al contatto con i cubetti gelidi. I giudici aggiornano il punteggio sui monitor, assegnandole il vantaggio. Tanto vale godersi questi ultimi minuti... Mi strappo via la canottiera lorda del sangue nero della vittima e avvicino le tette alla sua faccia di bronzo, con buona pace di Gesù Bambino che si gode la vista dall'alto della cupola con i suoi occhi di porfido. «Sei stato un duro, sai? Ti meriti un premio.» Scendo languida, accarezzandogli i muscoli. Gli sfioro i capezzoli, sono gelidi come il pavimento di marmo. Avvio la
18 motosega al minimo e gli massaggio i testicoli appena riformati con le vibrazioni della lama, mentre avvolgo il suo pene moscio con la bocca. Lo stimolo con rapide flessioni della lingua e dopo pochi istanti sento la cappella gonfiarsi tra le tonsille. Almeno venticinque centimetri di piacere maschio percorsi dalle oscillazioni della mia arma. Quand'è eretto lo faccio scorrere fuori lentamente. Riprendo fiato, leccando quel monumento: magari non vincerò il trofeo della ragazza più cattiva, ma sfido quella stronza anoressica e mutilata a fare un pompino così. Quasi non me ne accorgo, ma i giudici si sono raccolti attorno a noi. I loro tentacoli ondeggiano agitati mentre analizzano l'angelo tramite le ventose. I numeri rossi sul display lampeggiano, in rapido aumento: 0.8, 1.1, 1.9, 2.4... Lo masturbo con entrambe le mani bagnate di saliva e succhio così forte da tirargli fuori l'anima, se ne avesse una. Le sue cosce si contraggono tendendo le catene. Il ragazzone trema, suda, si contorce sotto di me. Me lo stantuffo in gola, aumentando la velocità della motosega. Ritraggo il capo appena in tempo quando viene con un lamento, spruzzando un getto di acido di batteria che mi sfiora lo zigomo. L’angelo digrigna i denti per il dolore, mentre il pene si consuma in fiotti grumosi. Il suo fattore rigenerante non era riuscito a espellere dai coglioni tutto il liquido corrosivo e l’orgasmo gli sta sciogliendo i corpi cavernosi.
19 Abbiamo vinto. Il sergente Squalo non sta nelle squame... trotterella verso di me facendo tremare le pareti. “Grandiosa! Sei stata grandiosa!” Mi porge un asciugamano. Sorrido, nonostante la sua eccitazione mi sprema le tempie. «Posso avere il mio spritz, adesso?» Il mezzo pesce mi fa segno di seguirlo. “Hanno chiamato dal Dipartimento: due casi di Sindrome di Medusa a Milano.” La mia bambina dovrà trascorrere di nuovo la sua festa di compleanno in compagnia di una fottuta baby‐sitter troll.
22 I Due mesi prima, 31 dicembre 2011. Belpasso, sulle pendici dell'Etna. Studi TeleTrinacria, in diretta. La star della serata è al centro del palcoscenico, bruciata dalla luce dei riflettori. Sorride ebete, vestita solo di un tanga di seta, mentre le truccatrici le brulicano intorno come formiche affamate. Riesco a intravederla dall'ingresso dietro le quinte, mentre corro verso il camerino. Mancano pochi minuti alla diretta e sono in ritardo, ma nessuno sembra farci caso. Meglio così, non posso perdere un altro lavoro. Mi toglierebbero la custodia di Licia. Quel bastardo del mio ex non aspetta altro. Il posto a TeleTrinacria me l’ha procurato uno zio deputato. Trecento euro a serata per girare mezza nuda, sculettare e fare ciò che ti dicono, tutto quello che ti dicono. Un lavoretto facile, se non scazzassi con gli orari. Eravamo quasi un migliaio alla selezione aperta solo alle femmine umane. Carne fresca da tutto il meridione. Ce n'erano pure un paio di Pordenone, ma un gruppetto di
23 calabresi cavò loro gli occhi prima che iniziassero i provini. Molte candidate sapevano già che il concorso era truccato, ma speravano lo stesso di cambiare la propria vita da cassiera precaria con un soffocone al tecnico del suono. Tra i selezionatori c’erano l'elfo Ydl'winn, che aveva fatto qualche comparsata su Ciao Darwin diventando celebre per la sua imitazione di Don Vito Corleone, e Mikey, nome d'arte di Salvatore Cuccurullo, il conduttore del Chainsaw Massacre Late Night Show, che lui pronuncia “céinsoumassacrleitnaitshiou” senza pause, tutto d'un fiato, con la fastidiosa e aperta dei catanesi. Quando fu il mio turno, mi tennero dentro un'oretta buona e scoprii che lo sperma degli elfi sa di tamarindo. Finisco di prepararmi e torno fuori. Ramona, così si chiama l’avanzo di chirurgia plastica protagonista della puntata di stasera, si gratta nervosa le nocche. Il seno gonfio, almeno una sesta, lascia intravedere attraverso la pelle il bordo delle protesi di silicone. Sopra i fianchi, evidenti con quell'abbronzatura artificiale, spiccano i segni di una recente liposuzione, nonostante gli strati di fondotinta. Mi sembra di riconoscerla, ma il ricordo si sfalda troppo in fretta. Il cameraman, un insettoide con il corpo di scarafaggio, m’infila una zampa chitinosa tra le natiche prima di prendere
24 posizione sulla gru con un battito d'ali. È una sensazione non del tutto spiacevole. Non ho ancora scopato con nessuno della sua specie. Mikey, in doppiopetto, lifting e parrucchino, entra in sala e si accomoda insieme a Ramona sulle due poltroncine rosse inquadrate dagli occhi cannibali delle telecamere. Quando attacca la sigla d’inizio, la donna allunga la mano e gli accarezza il petto. Il vecchio presentatore sorride di circostanza, poi indirizza lo sguardo verso il centro dell’obiettivo. «Signore e signori, buonasera e benvenuti a una nuova, sensazionale puntata del céinsoumassacrleitnaitshiou in edizione specialissima in attesa del nuovo anno.» L’eco di applausi registrati ritarda di qualche decimo di secondo. Un fonico ha appena perso il lavoro. «Stasera abbiamo con noi una donna molto coraggiosa...» La telecamera si sposta pesante, sovrastando la ragazza, quasi a schiacciarla, per registrare il primo piano. «La signorina Ramona Vinciguerra, estetista di Mazara del Vallo!» Il neon con la scritta APPLAUSI lampeggia e gli ospiti sugli spalti obbediscono con enfasi meccanica, meno sinceri dalla registrazione che li accompagna. Tendo l’orecchio senza distrarmi dalle ultime verifiche all’attrezzatura. «Carissima, è ormai una settimana che migliaia, anzi milioni di telespettatori da tutto il mondo attendono con ansia la tua performans.»
25 «Eh sì, Mikey...» La ragazza ostenta sicurezza, ma dai pori ostruiti dal trucco un sudore grasso cola tra le pieghe della fronte. «Ti senti pronta?» Ramona esita un attimo, ma la paresi da copione rimane al suo posto. Il presentatore la incalza: «Vuoi forse tirarti indietro?» «Certo che no!» risponde lei ansiosa, sobbalzando spaventata dall’ovazione che segue le sue parole. Sbadiglio mentre mi allaccio i guanti lunghi di pelle. Mikey accompagna la donna verso il lungo tavolo di vetro rinforzato al centro del set. «Bene amici, ledis end gentelmen, siamo pronti per lo spettacolo!» Il rimbombo elettrico della musica d’intermezzo preannuncia il mio ingresso. «E ora un po’ di silenzio!» esclama il presentatore alzando le braccia con gesto enfatico, da vecchia bestia di palcoscenico. Poi fa un segnale all’orchestrina alla sua destra. «Maestro... atmosfera!» Le luci in sala si spengono e un faro scarico illumina Ramona nell'atto di stendersi sul tavolo. Un rullo di tamburi accompagna la mia entrata. Nel tempo che impiega Mikey per stringere le cinghie ai polsi della ragazza, la telecamera trasmette in diretta su digitale terrestre e Web TV l’ondeggiare
26 morbido del mio fondoschiena. Una nebbia di fumo si alza al ritmo di un jazz pulsante. Mi avvicino a Ramona. Le pupille della donna sono dilatate come canali di scolo; i muscoli distesi, flaccidi. Il sedativo somministratole prima dello spettacolo sta facendo effetto. Appena in tempo. Mentre la osservo, sotto i lampi delle luci stroboscopiche, riesco a estrarre una fisionomia dal cerone, le protesi, i capelli bruciati dall’acqua ossigenata e lo pseudonimo da soubrette. Il puttanone sotto i miei seni è Carmela Bonanno, ex‐cassiera della PAM Express in Piazza Santa Lucia, dove avevo lavorato anch'io per qualche mese. Era ossessionata dal successo, tanto da essersi scopata per un mese il figlio del salumiere, credendo dovesse partecipare alla nuova edizione del Grande Fratello. Risultò essere una balla. E che l’avevo messa in giro io. Sono contenta per lei: alla fine c'è riuscita. Milioni di occhi la guardano, la invidiano, la desiderano… Inizia il conto alla rovescia, il pubblico scandisce a piena voce gli ultimi dieci secondi di quest'anno di merda, pregustando il sacrificio del capro espiatorio incarnato da Ramona (mentre la polaroid di un'irriconoscibile Carmela pre‐chirurgia alimenterà lo share delle prossime tre puntate di Chi l'ha visto?). Anche se sedata, la donna può ancora urlare e dare soddisfazione agli spettatori. Le affondo con lentezza la lama rotante della
27 motosega nel braccio. Uno spruzzo di sangue raggiunge un ospite del pubblico, un giovane orchetto obeso. La creatura, al contatto del liquido caldo, vomita i resti di una cena da fast‐ food. Come da copione.
28 II Poco dopo. Tangenziale di Catania, all'uscita di Misterbianco. Capodanno 2012. Mi riempio i polmoni di aria sporca e notte. Alle mie spalle l'Etna, una dama bianca coperta di neve, fuma il suo sigaro di cenere. Pioviggina, ma lascio aperta la capotte della mia Mustang Shelby GT blu cobalto, premio di una fortunata mano di briscola contro un marine della base di Sigonella. Le ruote cozzano contro le fosse della strada scassata, il semiasse trema. Ho ancora il vestito di scena: hot pants sintetici, scarpe di pelle nera col tacco, guanti e bracciali d’oro alla schiava. Sono sporca di sangue rappreso, ma prima di concedermi la doccia i tecnici mi avrebbero violentata a turno per poi caricare il filmato su youporn. E mi secca lavorare gratis. Sfreccio sulla tangenziale deserta a duecentotrenta chilometri orari. Ho fretta. Mia figlia è da sola a casa: non ho neanche provato a cercare una baby‐sitter per la notte di capodanno. Zio Pan'is s'era offerto di farle compagnia in mia assenza, ma
29 non ho voluto. A Licia fa paura e, in effetti, ogni tanto inquieta anche me. Non è solo la sua bruttezza, quell'aria luciferina data dai cornetti e gli zoccoli, o il suo puzzo soffocante di ferormoni. Non mi piace come ci guarda. A volte mi sento un'ingrata per questo. Pan'is mi ha trovato il lavoro in TV proprio quando stavo con il culo per terra. Ma quegli occhi schifosi... Imbocco l'autostrada da un casello tele‐pass senza rallentare, provocando il grido acido di una sirena. Impreco annoiata e schiaccio il freno. Il poliziotto sulla moto mi si accosta. La luce intermittente del lampeggiante gli scivola sul casco in un alternarsi vorticoso di lampi blu e rossi. «Perché tanta fretta?» domanda sornione il mezz'uomo, piegando la testa suina. Il suo alito sa di lenticchie e spumante. Sorrido, scostando i capelli dal viso e strusciandomi sul sedile. Mi guarda il petto sodo e bagnato di pioggia e sangue, i capezzoli turgidi per il freddo. «Ma tu...» La piega di grasso che gli copre la cintura sobbalza per l'eccitazione. «Tu sei Fox Guccini, la valletta del Chainsaw Massacre Late Night Show! Ti ho appena vista in TV!» Non c'è che dire, questi stronzi l'inglese lo parlano una meraviglia. Allungo la mano e gli accarezzo la patta che si gonfia all’istante. «Lo vuoi vedere il mio attrezzo?» L'agente grugnisce, battendo gli zoccoli cornei delle dita per la
30 contentezza. Fili di bava gli gocciolano dalle fauci spalancate. Apro la portiera e mi dirigo verso il bagagliaio ancheggiando. «Motosega professionale Rex, con lama in acciaio temperato da cinquanta centimetri, motore a scoppio a due tempi, duemilaottocento rotazioni al minuto». La impugno come se fossi in scena, a gambe larghe, la lama verso l’alto. Dai denti d’acciaio cola ancora del liquido vermiglio. Mi passo la lingua sul labbro superiore e tiro la manovella d’accensione. La creatura mi saluta goffa, mentre si ripulisce i calzoni. È venuta in un paio di minuti, masturbandosi mentre danzavo fendendo l’aria con la lama rotante. Faccio sempre questo effetto ai maiali.
31 III Catania centro, zona Stazione, sopra la rosticceria dei goblin Rapisarda (dove potete trovare i migliori arancini alle blatte della città!). Ore 01:25. Sangue, sangue dappertutto. È come se una nebbia cremisi tentasse di affogare i miei pensieri. Mi volto cercando di evitare gli schizzi, ma riesco a salvare solo un occhio; l’altro è coperto dalla maschera calda e umida che mi cola sul viso. Mi piace il sapore del sangue, è dolce, ferroso, denso. Spingo la lama della motosega nella coscia del bastardo, scivola nella carne come se fosse burro. Dall’arteria recisa parte uno spruzzo brillante che si schianta sulla parete. Il femore fa un po’ resistenza, poi con un tonfo la gamba recisa cade giù dal letto, sul parquet. Le coperte sono fradicie; peccato, erano di una buona lana. Spengo la motosega e mi pulisco la fronte con l’avambraccio. Mi siedo su un angolo del letto. Quel satiro schifoso stava per violentare Licia. Dalla tasca dei pantaloni sbuca fuori per metà un pacchetto di Marlboro Light. È zuppo, le sigarette sono tutte umide e laccate di rosso. Una buona occasione per smettere.
32 Lascio i pezzi del cadavere insieme alla motosega e vado in bagno. Mia figlia, cinque anni a febbraio, è accovacciata nella vasca. Sta tremando. Quando entro nella stanza alza gli occhi, poi inizia a piangere. Mi sciacquo il viso, poi inizio a spogliarmi. Mi guardo allo specchio mentre sfilo gli hot pants. Sembro la ninfa Lete nel remake di Carrie dopo la secchiata. Ho addosso un odore acre e persino il pube è incrostato di poltiglia rossa. E non è il ciclo. Ho bisogno di una doccia, ma non ho tempo: la piccola ha chiamato la polizia quando ho iniziato a macellare il bastardo e ormai è passata una mezz'oretta buona. Esco dal bagno e tiro un calcio a uno zoccolo mozzato. Rotola sotto il letto lasciandosi dietro una bava grumosa. Apro l’armadio a muro e cerco qualcosa di decente da mettermi. Ci saranno giornalisti e fotografi. Si fa di nuovo sentire la tentazione di una doccia, ma immaginarmi ammanettata in asciugamano e senza trucco non è il massimo. Ho un’immagine da difendere. Licia mi si avvicina: «Hai punito lo zio?» Un tailleur viola sembra l’ideale, ma non so se ho delle scarpe da abbinarci. «Mamma...» Non sopporto quando diventa insistente, le rispondo scocciata: «Sì piccola, lo zio Pan'is è stato cattivo. Mi ha trovato un lavoro per giocare da solo con te... ora lavati e vestiti bene che sta venendo quella dei servizi sociali a prenderti.»
FINE ANTEPRIMA CONTINUA…
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